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Aggiornato: 1 ora 42 min fa

Roma, Portico d’Ottavia: “Monumenti Sonori”

Mar, 29/10/2024 - 11:32

Roma, arrivano i “Monumenti Sonori”
Un viaggio musicale attraverso la storia, dove le note di Puccini, Morricone e Respighi trasformano l’architettura in un palcoscenico a cielo aperto.
Roma, 25 Ottobre 2024

Ogni luogo racconta una storia” è il motto che ha inaugurato un’iniziativa straordinaria, trasformando alcuni dei siti più iconici di Roma in “testimoni sonori”. L’esperienza immersiva conduce i visitatori tra arte, musica e storia, in un viaggio che sembra annullare le barriere del tempo. Sei percorsi sonorizzati en plein air, distribuiti in alcuni luoghi simbolici della Capitale, creano un dialogo suggestivo tra le melodie scelte e l’essenza storica dei siti, un vero e proprio viaggio multisensoriale. La musica diventa la voce della storia, gli dà una nuova vita, la rende tangibile, risuona tra le pietre e le architetture secolari. Il progetto Monumenti Sonori è stato inaugurato al Portico d’Ottavia, nel cuore del Ghetto Ebraico. Alla cerimonia di apertura erano presenti Miguel Gotor, assessore alla Cultura di Roma Capitale, e Michele dall’Ongaro, presidente-sovrintendente dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Gli altri cinque monumenti coinvolti nell’iniziativa saranno rivelati nei prossimi mesi e il programma si estenderà fino a novembre 2025, con installazioni che interesseranno varie zone della città, dal Flaminio alla Magliana. Un sistema audio all’avanguardia, con altoparlanti integrati nell’ambiente, sfrutta le caratteristiche acustiche dei luoghi per creare un’esperienza sonora avvolgente, che permette di percepire ogni nota come se provenisse dalle stesse mura. L’innovativo l’“olofono”, sviluppato dal Centro Ricerche Musicali (Crm), orienta le emissioni sonore per creare spazi d’ascolto immersivi lungo il percorso. Le sonorità, così, sembrano emergere dagli ambienti stessi, la musica ti abbraccia e ti invita ad entrare. Il repertorio musicale scelto per “Monumenti Sonori” rende omaggio alla ricca tradizione musicale italiana, curato con maestria dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Tra i brani selezionati spiccano celebri capolavori come la Tosca di Giacomo Puccini, eseguita dall’Orchestra e dal Coro dell’Accademia, e i suggestivi poemi sinfonici di Ottorino Respighi, tra cui Pini di Roma, Feste romane e Fontane di Roma. Non mancano le emozionanti note del Love Theme composto da Andrea Morricone per la colonna sonora di Nuovo Cinema Paradiso, a cui si aggiungono le indimenticabili melodie di Ennio Morricone tratte dalla colonna sonora del film Mission.  Il palcoscenico architettonico diventa in questo modo più che suggestivo e il visitatore non può che trovarsi sorprendentemente immerso in una sinfonia di emozioni. I percorsi sonorizzati sono accessibili gratuitamente, con due fasce orarie: dalle 11:00 alle 13:00 e dalle 16:00 alle 18:00. Le diverse condizioni di luce e atmosfera offrono esperienze variabili, permettendo di cogliere le sfumature sonore in modi sempre nuovi, sia sotto la luce del giorno che nella morbidezza del tramonto. Questa iniziativa rientra nel più ampio progetto “Roma Smart Tourism”, che mira a valorizzare la Capitale con approcci innovativi alla fruizione culturale. L’obiettivo è restituire voce ai luoghi storici di Roma, risvegliando l’interesse di visitatori, turisti e cittadini romani. E la buona riuscita del progetto è il risultato di una sinergia tra varie istituzioni. Ideato dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e coordinato dal Dipartimento alle Attività Culturali, ha visto la collaborazione della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e della Fondazione Cinema per Roma. La direzione artistica è stata affidata all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, supportata dal Centro Ricerche Musicali (Crm), che ha condotto un’approfondita indagine artistica e tecnica sui monumenti coinvolti. Il coordinamento organizzativo è stato curato da Zètema Progetto Cultura. Monumenti Sonori rappresenta un ponte tra passato e presente, tradizione e innovazione, promettendo di lasciare un’impronta indelebile nella percezione dei luoghi storici di Roma. Le maestose note musicali rinnovano il legame tra la città e le sue storie meno note, creando un racconto che si diffonde e rimane impresso nella memoria di chi lo vive. I luoghi si trasformano in scrigni di suoni che, pur confinati nello spazio, continuano a riecheggiare nel tempo, arricchendo il patrimonio culturale della Capitale e l’anima di chi li visita.

Categorie: Musica corale

Piacenza, Teatro Municipale: “Mosè in Egitto”

Mar, 29/10/2024 - 08:13

Piacenza, Teatro Municipale, Stagione Opera 2023/2024
MOSÈ IN EGITTO”
Azione tragico-sacra in tre atti su libretto di Andrea Leone Tottola
Musica di Gioachino Rossini
Mosè MICHELE PERTUSI
Osiride DAVE MONACO
Amaltea MARIAM BATTISTELLI
Faraone ANDREA PELLEGRINI
Elcia AIDA PASCU
Amenofi ANGELA SCHISANO
Mambre ANDREA GALLI
Aronne MATTEO MEZZARO
Orchestra Filarmonica Italiana
Coro lirico di Modena
Direttore Giovanni Di Stefano
Maestro del Coro Giovanni Farina
Regia Pier Francesco Maestrini
Scene e video Nicolás Boni
Costumi Stefania Scaraggi
Luci Bruno Ciulli
Nuovo allestimento del Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena in comproduzione con Teatro Municipale di Piacenza e Teatro Municipale Romolo Valli di Reggio Emilia
Piacenza, 28 ottobre 2024
Mosè in Emilia: inaugurata la stagione a Modena, riversato su YouTube da Opera Streaming, fa il suo trionfale ingresso a Piacenza. Dove il pubblico migliore del mondo lo attendeva in trepidante eccitazione: “stai attenta alla preghiera alla fine: sentirai!” raccomanda chi “a casa ho anche il disco”. Ma poi precisa: “io c’ho il Mosè, senza in Egitto, ma per il grosso la musica è la stessa”. Il musicologo e il rossinista storcano i loro nasi: la sintesi è di indubbia efficacia. Pubblico migliore del mondo (va bene: al netto delle caramelle), si diceva, perché gaudente, sincero, amante. E, come ogni amante che si rispetti, cieco. Cieco a certi inveterati vezzi della messa in scena, quali pugnali che per buone mezz’ore vanno minacciando ugole cantanti, o palmi di mano che si levano scattanti con tutti i ditini ben ritti e staccati. Per non dire del piè furtivo mosso dal corista che, col favor delle tenebre (e del light designer, qui Bruno Ciulli), si piazza in scena, bell’e pronto per il suo prossimo intervento, mentre solo qualche centimetro più avanti qualcuno sta ancora finendo la propria intima aria. Pier Francesco Maestrini ci mette, insomma, il solito mestiere e ne viene una narrazione piana se non piatta. L’impianto visivo di Nicolás Boni è piuttosto astuto: un fondale animato e un eterno tulle su cui la stessa immagine del fondale fa da quintatura. C’è qualche remoto richiamo al bozzettismo ottocentesco (tardo però, soprattutto la grotta), ma l’immagine digitale si tradisce subito e fa parecchio videogioco. Per inciso, il Mosè rossiniano è protagonista di una delle prime proiezioni in movimento sulla scena lirica: a tentarla fu niente meno che Nicola Benois, alla Scala, nel 1937. Giustamente il pubblico amante non si cura troppo di queste cose e va al sodo: le voci. Michele Pertusi brilla per la bellezza della linea del canto, lubrificata dal mezzo così pastoso e morbido che gli conosciamo. Già “Celeste man placata” è una delizia, e poi la famigerata preghiera, bissata a furor di popolo in un pianissimo smorzato, quasi fosse un “a sé”, una preghiera interiore, di grande effetto. Si difende da cotanto Mosè il Faraone di Andrea Pellegrini, giovane voce che abbiamo già ascoltato in tutti i ruoli di fianco possibili e immaginabili. Il timbro è molto bello, mostoso, e il cantante sensibilissimo all’accento, alla parola, alle intenzioni. Ma a stupire per varietà di colori, d’accenti, di dinamiche, in un fraseggio articolato, vario, cangiante, sfumato, iridescente (può bastare?) è l’Osiride di Dave Monaco, dal timbro fresco, limpido, etereo e solare. Accanto a lui l’Elcia di Aida Pascu, voce nerboruta dai centri solidissimi, qualche spigolosità la rivela negli acuti. Amaltea è Mariam Battistelli, bellissima nella sua armatura da guerriera spaziale (i costumi sono di Stefania Scaraggi), chiara fresca e dolce voce di lussureggiante giovinezza ma irrimediabilmente, anzi irresistibilmente “lezzera”. Nelle parti di fianco spicca l’Aronne sonoro netto e squillante di Matteo Mezzaro, accanto all’Amenofi avvolgente e scura di Angela Schisano, e al maligno Mambre di Andrea Galli. L’Orchestra Filarmonica Italiana diretta da Giovanni Di Stefano oscilla lodevolmente fra complicità cameristiche e turgori romantici, mentre il Coro lirico di Modena di Giovanni Farina scandisce con suono netto e compatto il protagonistico lignaggio del proprio ruolo. Lo spettacolo approderà ancora a Reggio Emilia il 15 e 17 novembre prossimi. Foto Rolando Paolo Guerzoni

Categorie: Musica corale

Novara, Teatro Carlo Coccia: “La benedizione” – “Gianni Schicchi”

Lun, 28/10/2024 - 23:55

Novara, Teatro C. Coccio, stagione d’opera 2024
LA BENEDIZIONE”
Opera in un atto su libretto di Marco Malvaldi
Musica di Cristian Carrara
Buoso MARCELLO ROSIELLO
Zita FRANCESCA MERCURIALI
Gherardo XIAOSEN SU
Simone STEFANO PARADISO
Rinuccio NICOLA DI FILIPPO
Un frate EUGENIO DI LIETO
“GIANNI SCHICCHI”
Opera in un atto su libretto di Gioacchino Forzano
Musica di Giacomo Puccini
Giani Schicchi MARCELLO ROSIELLO
Lauretta BEATRICE CATERINO
Rinuccio NICOLA DI FILIPPO
Zita FRANCESCA MERCURIALI
Gherardo XIAOSEN SU
Nella ZI JING
Gherardino GIULIO ONGERI
Betto di Signa EUGENIO DI LIETO
Simone STEFANO PARADISO
Marco LORENZO LIBERALI
La Ciesca MARIATERESA FEDERICO
Maestro Spinelloccio/ Ser Amantio RANYI JIANG
Guccio ALBERTO PAROLA
Pinellino JESUS NOGUERA
Buoso Doati DANIELE GUIDA
Orchestra Bazzini Consort
Direttore Vittorio Parisi
Regia Teresa Gargano
Scene Lorenzo Mazzoletti
Costumi Silvia Lumes
Novara, 25 ottobre 2024
Spettacolo annuale del progetto AMO, la scuola di formazione per giovani cantanti portata avanti dal Teatro Coccia, questo dittico segue l’ormai consueta formula di affiancare un’opera di tradizione – quest’anno il ciclo delle farse rossiniane è stato interrotto da “Gianni Schicchi” all’interno delle celebrazioni pucciniane – a un nuovo lavoro introduttivo, appositamente commissionato e in qualche modo legato all’opera di repertorio. Questa volta l’obiettivo è stato pienamente raggiunto sul piano tematico essendo “La benedizione” con musiche di Cristian Carrara su libretto di Marco Malvaldi di fatto un prologo al “Gianni Schicchi” in cui si raccontano la morte di Buoso e le ragioni del testamento a favore dei Minori di Santa Reparata.
Teatralmente il nuovo lavoro funziona bene, è breve – poco più di mezz’ora di musica – e il libretto di Malvaldi con la sua ironia un po’ lugubre si fa decisamente apprezzare. La musica di Carrara è sostanzialmente tonale e d’impianto tradizionale. Lo scrittura orchestrale è di buona fattura e l’aspetto sinfonico non manca di colpire positivamente. latitano invece un maggior senso melodico e un maggior abbandono alla cantabilità, così che la parte vocale si riduce a un declamato teatralmente funzionale ma alla lunga fin troppo ripetitivo.
La parte musicale è stata affidata all’Orchestra Bazzini Consort, compagine bresciana formata da giovani musicisti e guidata per l’occasione da Vittorio Parisi. Si tratta di una formazione quasi amatoriale nata dall’iniziativa degli stessi strumentisti ma nel complesso capace di fornire una prestazione convincente con buona compattezza sonora e in cui si riconosce un notevole impegno. La direzione cerca soprattutto una quadratura complessiva dello spettacolo, sostenendo un cast d’interpreti alle prime armi e riuscendo a garantire una buona tenuta dell’insieme.
Lo spettacolo è una sorta di saggio per i ragazzi del progetto AMO e come tale deve essere considerato risultando evidente, da parte di tutti, una certa immaturità. Unico interprete di esperienza – e presenza abituale sulle scene novaresi – Marcello Rosiello fa un po’ da chioccia per il gruppo dei giovani impegnandosi nel doppio ruolo di Buoso e di Gianni Schicchi. La voce è solida anche se un po’ arida sul piano timbrico, la dizione però è ottima – fondamentale in parti di questo tipo – e il personaggio è ben colto, senza eccessi caricaturali e con una sobrietà complessiva che si apprezza sempre. Forse un accento più sfumato e cangiante non sarebbe stato sgradito ma la prova nel complesso è stata di convincente solidità. Alcuni cantanti partecipano a entrambe le opere. Eugenio di Lieto (un frate e Betto) ci è parso uno dei più solidi, con una buona voce di basso e una corretta linea vocale. Il Rinuccio di Nicola di Filippo ha una buona voce squillante e un’innegabile simpatia scenica però nello stornello è ancora un po’ generico e appare evidente una necessità di maturazione sia vocale sia interpretativa. Funzionale – soprattutto scenicamente – il Gherardo di Xiaosen Su. La Zita di Francesca Mercuriali manca purtroppo di un registro grave solido quale la parte richiede mentre il Simone di Stefano Paradiso non appare ancora centrato sufficientemente. Tra i cantanti presenti solo nel titolo pucciniano ci è parsa alquanto “acerba” la Lauretta di Beatrice Caterino mentre funzionano meglio – nella brevità delle loro parti –  la Cesca di Mariateresa Federico e la Nella di Zi Jing. Di anonima correttezza gli altri. Lo spettacolo firmato da Teresa Gargano ha il merito di mantenere una forte coerenza tra le due opere unite dallo spazio scenico oltre che dal racconto. L’ambientazione è contemporanea – e in un’opera come lo Schicchi manca il medioevo di cui libretto e musica sono così profondamente impastati – con tinte fosche e caratterizzazioni grottesche, palese il riferimento a una certa cinematografia italiana – “Parenti, serpenti” di Monicelli su tutti. Si nota il lavoro di preparazione attoriale – tanto più importante con interpreti così giovani e inesperti – e nel complesso la parte visiva riesce a divertire. Le scene di Lorenzo Mazzoletti con il loro gusto un po’ gotico e le citazioni fiorentine non mancano di efficacia visiva, più anonimi i costumi di Silvia Lumes.

Categorie: Musica corale

Rho (MI): “Madama Butterfly”

Lun, 28/10/2024 - 19:02

Rho (MI), Teatro Civico Roberto da Silva, Stagione 2024/25
MADAMA BUTTERFLY”
Opera in tre atti su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Musica di Giacomo Puccini
Cio-Cio-San DARIA MASIERO
Pinkerton GIUSEPPE DISTEFANO
Sharpless FRANCESCO LA GATTUTA
Goro GIACOMO LEONE
Suzuki CARLOTTA VICHI
Il Principe Yamadori YIMING GUO
Lo zio Bonzo GIACOMO PIERACCI
Kate Pinkerton BRONISŁAWA SOBIERAJSKA
Il Commissario Imperiale LIU ALL SONG HAO
Coro e Orchestra Filarmonica Italiana
Direttore Riccardo Bianchi
Maestro del coro Paolo Targa
Regia e Scene Stefano Monti
Costumi Desirée Costanzo e Allegra Montanelli
Movimenti mimici Monique Arnaud
Nuova produzione International Music and Arts in coproduzione con Teatro Civico Roberto De Silva, Fondazione “U. Artioli” Mantova Capitale Europea dello Spettacolo, Teatro Splendor Aosta
Rho (MI), 25 ottobre 2024
C’è una buona notizia al principio di questa recensione: il Comune di Rho, città metropolitana di Milano, per anni considerato il simbolo delle cosiddette “città-dormitorio“ fuori dal capoluogo meneghino, ha un nuovo teatro, bello, della giusta grandezza, con una buca per l’orchestra piccola ma molto profonda, in grado di ospitare compagini di una trentina di strumenti, e una acustica sorprendente; non solo: il Teatro Civico Roberto da Silva ha una stagione ricca, che comprende prosa di alto livello, musica sinfonica d’eccezione (quest’anno vi dirigeranno Pappano e Fasolis) e opera – non potevamo, dunque, farci scappare la loro prima, vera produzione, “Madama Butterfly”. Il dubbio che si tratti di una produzione di serie B viene immediatamente fugato dalla locandina, ove compaiono coro, orchestra, giovani artisti in carriera, e altre due realtà coproduttrici (il Teatro Splendor di Aosta e la Fondazione “U. Artioli” Mantova Capitale Europea dello Spettacolo di Mantova). La compagnia musicale vede senz’altro distinguersi il direttore d’orchestra, Riccardo Bianchi: la sua conduzione energica, senza dubbio personale, non tradisce tuttavia lo spirito più radicale, sofferto della partitura pucciniana; l’Orchestra Filarmonica Italiana, per l’occasione composta da trentuno elementi, non fa certo rimpiangere compagini più numerose, grazie a un suono potentemente coeso, ove senza dubbio spiccano gli archi; anche il rapporto con la scena è preciso e puntuale, e Bianchi si mostra sapiente mediatore tra rispetto filologico e convenzioni della concertazione. Il secondo astro della serata è Daria Masiero, esperta e apprezzata interprete del ruolo: la sua Butterfly è vocalmente morbida e tenace, passa con maestria dai filati più evanescenti al temperamento più passionale mettendo in evidenza un registro sempre brillante e una grazia smaltata e ardente allo stesso tempo, con una linea di canto sempre elegante. Accanto a lei ritroviamo la buona Carlotta Vichi nei panni di Suzuki, che abbiamo appena ascoltato a Savona nello stesso ruolo, riconferma il bel colore vocale, la solida tecnica, unite a un fraseggio accurato e a una efficace naturalezza scenica. Più alterno il Pinkerton d Giuseppe Distefano che mostra, almeno in questa occasione delle pecche nell’emissione con suoni sfocati o che risultano quasi metallici. Di conseguenza il fraseggio ne esce fortemente penalizzato. Complessivamente valida la prova di Francesco La Gattuta (Sharpless) soprattutto a partire dal secondo atto nel quale il baritono mostra una vocalità fresca e morbida. Di pregio il Goro di Giacomo Leone, soprattutto per la bellezza del colore vocale, oltre che per l’impegno profuso in scena. Nell’alveo della correttezza anche le altre performance: lo zio bonzo di Giacomo Pieratti, il Principe Yamadori di Yiming Guo, il Commissario Imperiale di Liu All Song Hao e la Kate Pinkerton di Bronisława Sobierajska, quest’ultima dalle screziature insolitamente e piacevolmente brunite. L’apporto del Coro è pure molto convincente – un plauso al maestro Paolo Targa –, mentre ci lascia più perplesso l’apparato scenico curato da Stefano Monti: la scelta è quella di un Giappone minimale, proiezioni sullo sfondo e tre grandi paraventi soli in scena, che vengono spostati, aperti e chiusi, per ricreare spazi diversi. Pur apprezzando questa idea, e anche la fattura degli oggetti di scena, troviamo le proiezioni alle spalle degli interpreti non solo di produzione scadente (sembrano una presentazione di PowerPoint), ma anche poco significative e dall’arbitrario valore artistico; anche un paio di trovate della regia non ci paiono persuasive – nella fattispecie: la presenza di un mimo silenzioso (Monique Arnaud) in abito tradizionale che durante alcune scene compare per danzare, o muovere oggetti, non sempre in maniera godibile, mai in maniera comprensibile per il pubblico; e l’uso di proiezioni dietro i paraventi, belle e di tradizione, ma che, ad esempio, anticipano al pubblico la presenza del piccolo Dolore (che, invece, molto presumibilmente, negli intenti originali dovrebbe rappresentare il colpo di scena del secondo atto). Inoltre la regia in quanto tale è troppo statica rispetto alla ricchissima drammaturgia musicale di Puccini: spesso i cantanti sono immobili, si osservano, a volte aspettano chiaramente di cantare, ma la cosa forse più stonata è il chiarissimo disagio durante il duetto d’amore del primo atto, in cui Pinkerton e Cio-Cio-San a malapena si toccano (in barba ai vari “Sei mia” e “Ti tengo”), cantandosi semplicemente addosso in maniera un po’ straniante. Insomma, la netta sensazione è che la regia sia composta di elementi slegati tra di loro, senza tener del giusto conto di ciò che Giacosa e Illica, ma soprattutto Puccini, hanno lasciato scritto.

Categorie: Musica corale

Venezia, Palazzetto Bru Zane: “Il tempo ritrovato” con Miriam Prandi e Gabriele Carcan

Dom, 27/10/2024 - 11:00

Venezia, Festival “Passione violoncello”, 21 settembre-24 ottobre 2024
IL TEMPO RITROVATO”
Violoncello Miriam Prandi
Pianoforte Gabriele Carcano
Claude Debussy: Sonate pour violoncelle et piano en ré mineur; Nadia Boulanger: Trois Pièces pour violoncelle et piano; César Franck: Sonate pour violon et piano en la majeur (transcrite pour violoncelle et piano)
Venezia, 24 ottobre 2024
Non poteva concludersi in un modo migliore il mirabolante viaggio virtuale alla scoperta del violoncello, iniziato il 21 settembre, su iniziativa del Centre de Musique Romantique Française, nella sontuosa sala capitolare della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista e proseguito nella deliziosa sala dei concerti del Palazzetto Bru Zane. L’ultimo concerto, infatti, si è svolto all’insegna della finezza interpretativa e della padronanza tecnica, del puro piacere estetico e dell’emozionata partecipazione del pubblico. Complici i due solisti, entrambi italiani, già affermatisi nel panorama internazionale, nonostante la loro ancora giovane età – Miriam Prandi al violoncello e Gabriele Carcano al pianoforte –, che hanno mirabilmente interpretato tre composizioni di indubbio fascino: La Sonata per violoncello e pianoforte di Claude Debussy, i Tre pezzi per violoncello e pianoforte di Nadia Boulanger, una trascrizione per violoncello e pianoforte della celebre Sonata per violino e pianoforte di César Franck. E proprio a quest’ultima si riferisce il rimando proustiano contenuto nel titolo, assegnato all’evento di cui trattiamo: è possibile, infatti, che Proust pensasse proprio al capolavoro del compositore belga, quando nella Recherche si riferisce all’enigmatica quanto immaginaria “Sonata di Vinteuil”, contenente la “petite phrase”, che Swann associa – ogni qual volta la sente – all’amata Odette. Nella realtà storica la Sonata di Franck lasciò un’impronta duratura sulla musica francese a cavallo tra Otto e Novecento. Nadia Boulanger, che nasce nello stesso anno della prima esecuzione parigina della Sonata, raccoglie il retaggio di Franck, ma è anche interessata alla rivoluzione di Debussy, che ha segnato un punto di svolta nella Francia musicale di inizio secolo. Questa dunque la ratio sottesa ai pezzi in programma nella serata, che il duo Prandi-Carcano ha eseguito, tra l’altro, con grande sensibilità e adeguatezza stilistica.
Veramente notevole la prestazione offerta da Miriam Prandi, che si è segnalata per la bellezza del suono, l’eleganza del fraseggio, la varietà degli accenti, ora ruvidi e perentori ora delicati e sognanti, oltre che per la perfetta concentrazione dimostrata durante ogni esecuzione, quasi che l’artista si estraniasse completamente dalla vita reale per immergersi in una dimensione, nella quale ogni sua fibra vibrava insieme allo strumento, cassa di risonanza del suo profondo sentire. Assolutamente encomiabile anche Gabriele Carcano, che ha dimostrato un’analoga capacità di immedesimarsi totalmente nella musica, facendosi apprezzare per l’estrema sensibilità e la profonda partecipazione, con cui ha interagito con la violoncellista, grazie anche ad un sicuro dominio della tastiera, da cui ha saputo trarre una ricchezza di colori e di accenti, davvero straordinaria. In un’aura notturna, lunare ci ha immerso la Sonata di Debussy – che l’autore voleva inizialmente intitolare “Pierrot faché avec la Lune” –, di cui si è pienamente apprezzato il colore armonico, prevalente in questo pezzo sulle linee melodiche. Molto espressivo, tra contrasti e sfumature, il dialogo tra i due strumenti: nel perentorio Prologo, che termina con con un diafano suono armonico del violoncello; nella Serenata, dove alla sognante linea melodica del violoncello il pianoforte ha contrapposto secchi accordi di chitarra stilizzata; nell’animato Finale concluso da una una strappata del violoncello e un secco accordo del pianoforte. Analogamente variegata l’espressività nei Tre pezzi di Nadia Boulanger: estatico il primo, dolcemente malinconico il secondo, dionisiaco il terzo. Strepitosa l’esecuzione della Sonata di Franck, trascritta per violoncello e pianoforte: un arrangiamento – verosimilmente quello realizzato da Jules Desart – molto fedele all’originale, che lascia intatta la parte del pianoforte e traspone quella del violino all’ottava inferiore solo quando risulta opportuno. Espressivo il pianoforte in apertura del primo movimento, Allegretto ben moderato, con i suoi pacati accordi introduttivi, prima che, alla quinta battuta, entrasse il violoncello con un leggiadro tema dal caratteristico andamento altalenante, il cui nucleo, rielaborato, sarebbe ritornato ciclicamente in tutta la sonata; un secondo tema dai toni quasi supplichevoli è stato poi introdotto dal pianoforte, dopodiché alcune modulazioni hanno rasserenato il clima espressivo, fino alla coda dolce e cullante. Emotivamente intenso, pervaso da accenti palpitanti, a volte drammatici – che ricordano il Quintetto in fa minore –, è risultato il secondo movimento, Allegro, aperto dagli arpeggi del pianoforte, da cui è emerso il primo tema, che si richiama all’idea ciclica, poi ripreso dal violoncello; una seconda idea tematica, triste e desolata, essa pure derivata dall’idea generatrice, ha rappresentato, in questo movimento turbinoso, una fase distensiva, consentendo al violoncello, cui era affidata, di mettersi in luce sopra arpeggi in terzine del pianoforte; successivamente sono riaffiorati, tramite brevi richiami, i temi precedenti, prima dell’impetuosa chiusura tra arpeggi e trilli dei due strumenti. Originale per concezione e struttura, il terzo movimento, Recitativo-Fantasia – altamente lirico e misterioso, nonché caratterizzato da passaggi a varie tonalità –, si è aperto con un lungo recitativo magnificamente eseguito dal violoncello, intervallato dal tema ciclico espresso con pari efficacia dal pianoforte, prima della comparsa di un nuovo tema, dapprima tranquillo, poi via via più drammatico e più volte elaborato, che si sarebbe poi ripresentato nel movimento successivo; più oltre la forte carica espressiva si è stemperata nel pianissimo che ha chiuso il movimento. Introdotto da un disegno imitativo, il quarto movimento, Allegretto poco mosso – che si sviluppa con un procedimento a canone, di cui César Franck è grande maestro – ha visto l’alternarsi di episodi e ritornello, via via riproposti in tonalità differenti, oltre al riapparire del tema presentato per la prima volta nel terzo tempo così come dell’idea tematica principale, prima della brillante chiusura, animata dai trilli del violoncello. Scrosciati applausi alla fine, placati da un bis: il Largo dalla Sonata per violoncello e pianoforte di Chopin, in cui il violoncello ha sfoggiato una serie di piano a dir poco sublimi.

Categorie: Musica corale

Le Cantate di Johann Sebastian Bach: ventiduesima Domenica dopo la Trinità

Dom, 27/10/2024 - 01:39

Mache dich, mein Geist, bereit BWV 115 è la seconda delle tre Cantate bachiane giunte a noi e destinate alla ventiduesima domenica dopo la Trinità. Eseguita per la prima volta a Lipsia il 5 novembre 1724, questa partitura ha alla base l’inno omonimo di Johann Burchard Freystein (1671-1718) un importante esponente della vita sociale di Dresda, consigliere di Corte e di Giustizia. L’inno che costituisce un invito a tenersi sempre pronti ad invocare il soccorso Divino e a respingere le tentazioni di Satana in vista del giudizio finale è costruito in 10 strofe musicate nel 1655, da Johann Rosenmüller (1615-1684) uno dei collaboratori di Tobias Michael (1592-1657) Thomaskantor a Lipsia dal 1647 al 1655. Apparentemente il testo sembra avere rapporti con le letture evangeliche, ma in realtà il lied vuole cogliere il messaggio che punta a voler impetrare il perdono Divino. Su questo stimolante invito, Bach costruisce un altro dei suoi capolavori, l’ennesima vetta in un panorama che pare non conoscere limiti ne pecche. La Fantasia su Corale che apre la partitura, nonostante la sua brevità, è articolata in modo assai complesso, un perfetto esempio di quella concisione, eleganza e ricercatezza che Bach sa profondere a piene mani in ogni momento. Le due arie con “da capo” in un andamento “Adagio” e “Molto Adagio” evitano la monotonia espressiva mediante di precisi colorismi strumentali. La prima aria (nr.2) per contralto impiega l’oboe d’amore e gli archi, in un tempo di “Siciliana”, affiancandosi alla tipologia delle melodrammatiche “arie del sonno”, sostenuta dalle regolari pulsazioni del Continuo, con una particolare attenzione delle differenziazioni dei piani e dei pesi sonori, nonché delle pause che gli interrogativi del testo suggeriscono. La seconda aria (Nr.4) per soprano, impone un impegnativo “tour de force” contrappuntistico al flauto e al violoncello piccolo.  La lentezza dell’accompagnamento viene compensata dal fluttuante e fluido dipanarsi del motivo melodico.
Nr.1 – Coro
Preparati, anima mia,
veglia, implora e prega
che il momento del Male non arrivi
su di te all’improvviso;
poiché
l’astuzia di Satana
sa indurre i giusti
in tentazione.
Nr.2 – Aria (Contralto)
O anima addormentata, come? Dormi ancora?
Svegliati subito!
Il giudizio potrebbe coglierti all’improvviso
e, se tu non ti svegli,
potrebbe avvolgerti nel sonno della morte eterna.
Nr.3 – Recitativo (Basso)
Dio, che veglia sulla tua anima,
detesta la notte del peccato;
ti invia la sua luce di grazia
ed in cambio dei suoi doni,
che ti ha abbondantemente promesso,
desidera che tu apra gli occhi dello spirito.
Non c’è limite all’astuzia di Satana
per sedurre i peccatori;
se tu stesso ora spezzi il patto di grazia
non avrai più il soccorso.
Il mondo intero ed i suoi componenti
non sono altro che falsi fratelli;
eppure la tua carne ed il tuo sangue
cercano le loro lusinghe.
Nr.4 – Aria su Corale (Soprano)
Prega allora
finchè sei sveglia!
Per la tua grande colpa implora
la pietà del tuo Giudice,
affinchè ti liberi dal peccato
e ti purifichi!
Nr.5 – Recitativo (Tenore)
Egli si commuove per i tuoi pianti,
volge ad essi le sue orecchie benigne;
se i nemici gioiscono delle nostre sventure,
noi vinceremo grazie al suo potere:
poiché suo Figlio, che noi preghiamo,
crea in noi coraggio e forza
e verrà in nostro soccorso.
Nr.6 – Corale
Allora dobbiamo sempre
vegliare, implorare, pregare,
poiché paura, angoscia, pericolo
si avvicinano sempre di più;
ma non è lontano
il momento in cui
Dio ci giudicherà
distruggendo il mondo.
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Mache dich, mein Geist, bereit” ,BWV 115

 

Categorie: Musica corale

Roma, Accademia Nazionale di San Luca: “Alighiero e Boetti. Raddoppiare dimezzando”

Sab, 26/10/2024 - 23:59

Roma, Accademia Nazionale di San Luca
ALIGHIERO E BOETTI. RADDOPPIARE DIMEZZANDO
La mostra Alighiero e Boetti. Raddoppiare dimezzando ha ormai aperto le sue porte al pubblico presso l’Accademia Nazionale di San Luca, offrendo un’occasione unica per esplorare l’opera di uno degli artisti più rivoluzionari del XX secolo. Curata da Marco Tirelli e ideata insieme a Caterina Boetti, la mostra rappresenta non solo un tributo, ma un dialogo intimo e profondo con l’eredità di Alighiero Boetti, nel trentennale della sua scomparsa. Il percorso espositivo si snoda attraverso gli spazi suggestivi di Palazzo Carpegna, con le opere collocate nel Salone d’Onore, nella Sala bianca e sotto il porticato borrominiano. Le scelte curatoriali di Marco Tirelli, noto per la sua capacità di creare atmosfere sospese e meditative, hanno saputo esaltare la complessità dell’opera di Boetti, mettendo in rilievo i temi centrali della sua ricerca: il doppio, la moltiplicazione e la frammentazione. Nelle sale, si percepisce un silenzio denso di significato, che avvolge il visitatore in un dialogo visivo con le opere. Tra i lavori esposti, le famose Mappe di Boetti catturano l’attenzione con la loro maestosità: i confini del mondo sono ridisegnati attraverso ricami colorati, che raccontano non solo una geografia politica, ma una riflessione profonda sull’idea di identità e appartenenza. La moltiplicazione dei segni e delle bandiere diventa simbolo di un mondo frammentato, dove l’individualità si scontra con la globalità. Uno degli aspetti più affascinanti della mostra è la sua capacità di far dialogare le opere con l’architettura del Palazzo. Nel porticato borrominiano, i lavori di Boetti si fondono con la luce naturale, creando un gioco di ombre che amplifica il concetto di raddoppiare dimezzando. La presenza fisica delle opere, che si espande nello spazio, riflette quel senso di crescita organica che caratterizza tutta la produzione dell’artista. Come sottolinea Marco Tirelli, “nessuna opera di Alighiero si esaurisce in sé stessa; apre sempre a un altro senso, a nuove interpretazioni”. La curatela di Tirelli, supportata dalla profonda conoscenza dell’opera del padre da parte di Caterina Boetti, offre al visitatore una lettura sfaccettata e raffinata, dove la potenza concettuale di Boetti è valorizzata attraverso un allestimento che ne esalta la poeticità e la profondità filosofica. La mostra non si limita a esporre opere, ma diventa un’esperienza immersiva, in cui lo spettatore è invitato a riflettere sul rapporto tra l’uno e il molteplice, tra l’ordine e il caos. L’inaugurazione ha segnato un momento di grande partecipazione culturale, con critici e appassionati d’arte che hanno elogiato la coerenza e l’eleganza della mostra. La scelta di esporre opere simboliche come le Mappe, accanto a lavori meno noti ma altrettanto emblematici del percorso di Boetti, dimostra un approccio curatoriale che guarda alla totalità dell’opera dell’artista, senza limitarla a categorie o periodi storici. Con Raddoppiare dimezzando, la mostra non solo celebra la memoria di Alighiero Boetti, ma offre una chiave di lettura contemporanea del suo pensiero, capace di interrogare lo spettatore sulle sfide del presente. Attraverso le opere, emerge la forza innovativa di un artista che ha saputo giocare con i confini dell’arte, della geometria e della filosofia, lasciando un’impronta indelebile nella storia culturale. L’installazione, tra rigore concettuale e vibrante poesia, si presenta così come una delle più significative manifestazioni artistiche dell’anno, un invito a scoprire (o riscoprire) l’universo di Alighiero Boetti con uno sguardo nuovo, capace di cogliere le infinite sfaccettature del suo pensiero.

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Ambra Jovinelli: “Sanghenapule. Vita Straordinaria di San Gennaro”

Ven, 25/10/2024 - 23:59

Roma, Teatro Ambra Jovinelli
SANGHENAPULE
Vita straordinaria di San Gennaro
testo e drammaturgia Roberto Saviano e Mimmo Borrelli
regia Mimmo Borrelli
con Roberto Saviano e Mimmo Borrelli
musiche, esecuzione ed elettronica Gianluca Catuogno e Antonio Della Ragione
scene Luigi Ferrigno
costumi Enzo Pirozzi
luci Salvatore Palladino
sound design Alessio Foglia
produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
Roma, 25 Ottobre 2024
Roberto Saviano e Mimmo Borrelli presentano “Sanghenapule. Vita straordinaria di San Gennaro”, un’opera densa di pathos che disvela la Napoli più profonda, quella delle periferie marginali e dei segreti sepolti sotto la sua superficie. Il testo, scaturito dalla collaborazione tra Saviano e Borrelli, esplora la città nelle sue intrinseche contraddizioni: un locus di brutalità e speranza, che si dipana sul palcoscenico attraverso una drammaturgia pervasa di tensione e di poesia oscura. Napoli è una città che vive in un equilibrio precario tra il sacro e il profano, un luogo in cui la bellezza coesiste con la tragedia, e la storia si intreccia con il mito. È una polis di fuoco e sangue, ove il Vesuvio si erge come un guardiano silente e minaccioso, emblema della forza primordiale che la contraddistingue. Napoli è un mosaico di storie ataviche, di personaggi che si muovono nei vicoli angusti, di preghiere sussurrate e di grida disperate. La sua anima si alimenta di contrasti: la devozione religiosa si interseca con la violenza della strada, l’opulenza barocca dei suoi edifici storici con la povertà che serpeggia nei suoi quartieri popolari. È un luogo in cui ogni pietra reca il racconto di resistenza e sopravvivenza, in cui il folklore diventa atto di sfida alla sofferenza quotidiana. In questo spettacolo, che intreccia narrazione e poesia, Borrelli e Saviano conducono lo spettatore nel cuore incandescente di Napoli, dove convivono mistero e contraddizione. Attraverso un linguaggio denso di forza espressiva, i due attori ripercorrono le tappe di una storia che si snoda in equilibrio fra il sacro e il profano, tra il mondo celeste e quello sotterraneo. Il tema del sangue diviene il filo conduttore che lega la narrazione, dalle antiche storie di martiri sino al presente, evocando la sofferenza e la resistenza di una città che lotta incessantemente contro l’oppressione. È il sangue che si scioglie ogni anno in segno di speranza; è il sangue dei martiri della fede e dei “martiri laici” della Repubblica Partenopea, che nel tardo Settecento tentò di contrapporsi all’oppressione borbonica; è l’emorragia dei migranti che lasciarono Napoli nei primi decenni del Novecento, in cerca di un futuro migliore; è il sangue degli innocenti falciati dalle bombe della Seconda Guerra Mondiale e delle vittime della camorra. La regia di Mimmo Borrelli è rigorosa ed essenziale, volta a cogliere la forza primordiale del testo senza concessioni al superfluo. Borrelli modella la scena come un’incudine su cui forgiare l’anima di Napoli, scandendo il ritmo con cambi repentini e pause che divengono respiri profondi, indispensabili per immergersi nell’abisso della città. Ogni dettaglio della regia mira a scuotere lo spettatore, costringendolo a confrontarsi con la crudezza della realtà napoletana, in un percorso che lo conduce nei vicoli bui e senza tregua di una città che ride e sanguina, vive e muore. La trama si dipana attraverso narrazioni intime e confessioni, esplorando una Napoli percorsa da contrasti e popolata da un’umanità dolente. Saviano e Borrelli danno voce a personaggi che si dibattono tra miseria e speranza, con una presenza scenica carismatica e densa di pathos. Saviano, con la sua parola acuminata e tagliente, si fa testimone delle storie di dolore e resistenza; Borrelli, con la sua voce potente e una gestualità evocativa, dà corpo al dolore e alla rabbia di Napoli, in una performance che rasenta il rituale, carica di autenticità e di una forza ancestrale. La scenografia di Luigi Ferrigno è ridotta all’essenziale: pochi elementi suggeriscono una Napoli oscura, fatta di vicoli angusti e di interni modesti, con il Vesuvio che incombe sullo sfondo come un monito perenne. I costumi di Enzo Pirozzi rievocano l’iconografia tradizionale in modo sobrio ed efficace, mentre le luci di Salvatore Palladino creano atmosfere crude e drammatiche, evidenziando la precarietà di una città sospesa fra speranza e dannazione. Le luci fredde, particolarmente nei momenti di violenza, acuiscono il senso di smarrimento e l’urgenza di sopravvivere. La musica, curata ed eseguita da Gianluca Catuogno e Antonio Della Ragione, accompagna la narrazione con un tessuto sonoro che coniuga sonorità elettroniche e ritmi tradizionali napoletani. La colonna sonora si intreccia alla recitazione, creando un dialogo costante tra le voci degli attori e la musica, amplificando la tensione emotiva e rendendo la narrazione ancora più viscerale. Il sound design di Alessio Foglia avvolge lo spettatore in un ambiente sonoro che lo trascina in una Napoli sospesa tra mito e realtà. “Sanghenapule” è uno spettacolo che non può lasciare indifferenti, che invita alla riflessione sulla realtà di Napoli e, per estensione, sull’Italia intera. Saviano e Borrelli, con una onestà disarmante, portano sul palco una città fatta di vicoli oscuri, di esistenze spezzate, e di una speranza che non smette di resistere. Il teatro diviene luogo di denuncia e riflessione, ma anche di possibile rinascita: un altare su cui sacrificare l’indifferenza e accendere una fiamma di consapevolezza. Un’opera di intensa potenza, che si imprime nell’animo come un marchio indelebile, un grido disperato che non può essere ignorato. Il pubblico ha applaudito con entusiasmo e grande partecipazione, dimostrando di aver colto e apprezzato l’intensità e la profondità dello spettacolo. Napoli, con la sua storia di oppressioni e lotte, diviene un simbolo universale di resistenza e di umanità, invitando ciascuno di noi a non arrendersi mai di fronte alle difficoltà e a cercare una redenzione collettiva attraverso la solidarietà e la consapevolezza. Photocredit©LorenzoCevaVall

Categorie: Musica corale

Pompei, Parco Archeologico: ” Nuove scoperte: una raffinata abitazione senza atrio riccamente decorata”

Ven, 25/10/2024 - 13:35

Pompei, Parco Archeologico
DAGLI SCAVI IN CORSO NELL’INSULA DEI CASTI AMANTI UN NUOVO ESEMPIO DI CASA SENZA ATRIO RICCAMENTE DECORATA
Gli inglesi le chiamerebbero “Tiny House”: piccole case autonome, dalle dimensioni ridotte ma in questo caso, dalle decorazioni estremamente raffinate. È il caso di una tra le più recenti unità abitative emerse nel corso delle indagini in atto nel cantiere dell’Insula dei casti Amanti, nel quartiere centrale della città antica di Pompei, lungo Via dell’Abbondanza. Una casa dallo spazio ristretto, senza il tradizionale atrio. Una particolarità considerato che, nonostante le ridotte dimensioni della dimora, non sarebbe stato impossibile l’inserimento di un piccolo atrio con la classica vasca (impluvio) per la raccolta dell’acqua piovana, tipico nell’architettura delle ricche dimore pompeiane, e che invece in questo caso è assente.  Una scelta probabilmente da mettere in relazione con i mutamenti che stavano attraversando la società romana, e pompeiana nello specifico, nel corso del I secolo d.C.  e che questo rinvenimento consente di studiare e approfondire. Un primo inquadramento scientifico è riportato nell’ultimo articolo della rivista scientifica digitale del Parco https://pompeiisites.org/e-journal-degli-scavi-di-pompei/. L’abitazione colpisce per l’alto livello delle decorazioni parietali, che non ha nulla da invidiare alla più grande e ricca casa dei Pittori al Lavoro, con la quale confina. Grazie al ritrovamento di un affresco ben conservato, rappresentante il mito di Ippolito e Fedra, la si è denominata provvisoriamente Casa di Fedra. I due ambienti attualmente oggetto di indagini si trovano nella parte retrostante dell’abitazione. Nel primo, oltre al quadretto mitologico con Ippolito e Fedra, le pareti splendidamente decorate in IV stile mostrano altre scene tratte dal repertorio dei miti classici: una rappresentazione di un symplegma (amplesso) tra satiro e ninfa, un quadretto con coppia divina, forse Venere e Adone, nonché una scena, purtroppo danneggiata dalle esplorazioni borboniche, in cui probabilmente si può riconoscere un Giudizio di Paride. Una finestra, a fianco al quadretto con Ippolito e Fedra, si apre su un piccolo cortile, dove al momento dell’eruzione    erano in corso lavori edilizi, caratterizzato all’ingresso dalla presenza di un piccolo larario (altare domestico) con una ricca decorazione dipinta a motivi vegetali e animali su fondo bianco. Il cortile è dotato di una zona coperta che precede una grande vasca con le pareti dipinte di rosso. Intorno correva una canaletta, che consentiva di convogliare l’acqua piovana verso l’imbocco di un pozzo collegato con una cisterna sottostante. Nella decorazione del larario campeggia nella parte alta un rapace in volo, probabilmente un’aquila, che regge fra gli artigli un ramo di palma, e nella parte inferiore la scena principale composta da due serpenti affrontati, che incorniciano un altare con fusto circolare e scanalato su cui si dispongono le offerte. Si riconoscono da sinistra: la pigna, un elemento sopraelevato che sostiene un uovo, quelli che sembrerebbero essere un fico e un dattero. A riempire il fondo della scena due arbusti con foglie lanceolate e bacche gialle e rosse su cui si muovono tre passeri. All’interno della nicchia sono statti rinvenuti gli oggetti rituali, lasciati con l’ultima offerta prima dell’eruzione del 79 d.C che distrusse Pompei: un bruciaprofumi in ceramica acroma con lacune antiche e una lucerna, entrambi con evidenti tracce di bruciato. Le analisi di laboratorio hanno consentito di individuare resti di rametti di essenze odorose, mentre due parti di un fico essiccato sono state recuperate alle spalle dei due oggetti. Sul piano dell’altare sono stati ritrovati, inoltre, due listelli in marmi colorati e un terzo elemento, presumibilmente in marmo rosso, con una raffigurazione di un volto riconducibile alla sfera dionisiaca, probabilmente un sileno. Infine, nella parte anteriore dell’altare si sono individuati una base quadrangolare e modanata in marmo, con un alloggio centrale e sulla sinistra un coltello in ferro il cui manico termina con gancio ad occhiello per la sospensione. Il cantiere in corso presso l’Insula dei casti amanti è oggetto di un complesso progetto- diviso in due lotti differenti – che ha previsto diverse fasi, di cui alcune già conclusesi e che hanno permesso di rendere possibile la fruizione al pubblico del complesso, attraverso un sistema di passerelle sopraelevate. Le diverse fasi hanno interessato: la verifica, progettazione e realizzazione della nuova copertura; gli scavi archeologici; la riprofilatura dei fronti di scavo; la messa in sicurezza degli elevati murari; il restauro delle superfici e degli elementi archeologici. Attualmente, gli archeologi del Parco stanno operando nel settore nord-est dell’isolato, all’interno di una serie di ambienti con accesso dal vicolo orientale. L’apporto delle indagini in corso sta permettendo di definire sempre più precisamente la sistemazione planimetrica dell’Insula, tanto da consentire di individuare questa nuova unità abitativa. È un esempio di archeologia pubblica o, come preferisco chiamarla, archeologia circolare: conservazione, ricerca, gestione, accessibilità e fruizione formano un circuito virtuoso – dichiara il Direttore del Parco, Gabriel Zuchtriegel – Scavare e restaurare sotto gli occhi dei visitatori, ma anche pubblicare i dati online sul nostro e-journal e sulla piattaforma open.pompeiisites.org significa restituire alla società che finanzia le nostre attività tramite biglietti, tasse e sponsorizzazioni la piena trasparenza di ciò che facciamo, non per il bene di una ristretta cerchia di studiosi, ma per tutti. L’archeologia deve essere di tutti perché solo così creeremo comprensione verso gli archeologi che lavorano in tutta Italia sui cantieri nell’ambito della cosiddetta archeologia preventiva. Se il cantiere della metro o di una strada ritarda a causa di rinvenimenti archeologici, visitare Pompei e osservare il lavoro di archeologi e restauratori può aiutarci a capire perché vale la pena documentare e salvaguardare le tracce delle generazioni che hanno vissuto prima di noi.” Poche settimane fa anche Alberto Angela e’ tornato nell’Insula dei Casti Amanti per realizzare un servizio su questi nuovi ambienti. Presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, il servizio andrà in onda in versione integrale su Raiuno sabato 26 ottobre alle 15,05 circa nella trasmissione Passaggio a Nord Ovest.

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