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Spoleto, Festival dei Due Mondi: “Didon et Énée”

gbopera - Mer, 16/07/2025 - 17:16

Spoleto 68, Festival dei Due Mondi, 2025
“DIDON ET ÉNÉE”
Regia e coreografia Blanca Li
Assistenti alla regia e coreografia Glyslein Lefever, Deborah Torres Garguilo
Scene Blanca Li
Assistente alle scene Nina Coulais
Musica registrata Les Arts Florissants – William Christie
Luci Pascal Laajili
Assistenti alle luci Jean-Luc Passarelli, Boris Pijetlovic
Costumi Laurent Mercier
Assistente ai costumi Ghjulia Giusti Muselli
Interpreti Martina Consoli, Alizée Dubernois (Didon), Coline Fayolle (Belinda), Meggie Isabet, Maeva Lassere, Julien Marie-Anne (Sorcière), Quentin Picot, Gaël Rougegrez, Gaétan Vermeulen, Vicot Virnot (Énée)
Produzione Calentito – Compagnie Blanca Li
Con il patrocinio dell’Ambasciata di Francia in Italia e dell’Ambasciata di Spagna in Italia
Prima Italiana
Spoleto, Teatro Romano, 11 luglio 2025
La coreografa andalusa Blanca Li aveva incontrato per la prima volta il gruppo musicale Les Arts Florissants di William Christie in occasione della produzione di Les Indes Galantes diretta da Andrei Serban per l’Opéra di Parigi, rimanendo estremamente affascinata dalla musica barocca eseguita con grande cura. Didon et Énée è stata la seconda collaborazione con Les Arts Florissants. Originariamente vi era un doppio degli interpreti: i cantanti in alto, i danzatori e il loro linguaggio delle emozioni in basso. Durante l’ultima esecuzione della produzione a Barcellona, Blanca Li chiese a William Christie di poter utilizzare la registrazione della musica dal vivo per elaborare una coreografia autonoma. Dunque, quanto visto a Spoleto è in realtà un trionfo della danza, che in quarantacinque minuti riesce ad esprimere tutte le mozioni associate alla leggenda narrata da Virgilio, dalla gioia alla seduzione, dall’amore alla passione, per poi arrivare alla delusione e alla disperazione. Ad aprire lo spettacolo è un prologo, che si presenta come un inno alla bellezza e alla natura. La coreografia è da subito molto fluida e dinamica, disarticolando il corpo a partire dal lavoro sul diaframma, da dove partono le emozioni forti ed ancestrali che arrivano al cuore dello spettatore. Niente costumi storici, solo tutine aderenti nere che si aprono in basso per permettere il lavoro delle gambe. I corpi mimano l’esecuzione musicale, diventando essi stessi degli strumenti da accordare, e fin da subito si impone il fine lavoro condotto sulla partitura musicale di Henry Purcell, rappresentata per la prima volta nel 1689 in occasione dell’incoronazione di Guglielmo III d’Orange e Maria II Stuart. Alle volte i danzatori vengono associati ai personaggi e al testo da loro cantato, altre volte si pongono come un coro emotivo slegato dal testo. L’impatto sull’immaginario è molto forte, specialmente quando in scena arriva l’acqua, simbolo del Mediterraneo, di Cartagine, dell’arrivo e della ripartenza di Enea. Se per il protagonista maschile prevale una sensazione di avventura, per Didone l’acqua è simbolo di morte, come ci racconta la stessa Blanca Li in un incontro con gli spettatori avvenuto la mattina dopo lo spettacolo all’Hotel dei Duchi in dialogo con il giornalista Andrea Penna. L’introduzione dell’acqua ha causato non poche difficoltà alla creatrice, che inizialmente non sapeva come controllarne l’impatto e ridurre il rischio di caduta degli interpreti, intenti a cimentarsi in vorticosi giri ed ampli salti. Dopo diverse prove in scena e in sartoria, attraverso l’utilizzo di particolari calzature e di guanti si è riusciti finalmente a trovare la formula giusta, ma si è dovuto affrontare un enorme lavoro sulla tecnica e la coreografia. C’è da dire che nel suo poliedrico lavoro che l’ha portata a divenire membro dell’Académie des Beaux-Arts di Parigi e direttrice artistica dei Teatros del Canal della Comunidad di Madrid dal 2019 al 2023, Blanca Li non ha temuto di confrontarsi con le più estreme novità. Due anni fa il suo Le Bal de Paris in VR ha incantato Spoleto, facendo partecipare il pubblico ad un viaggio onirico in abiti Chanel. Da un mese ha poi iniziato un nuovo lavoro in cui il virtuale si unisce al reale. Didon et Énee vuole invece rappresentare un “ritorno alla carne, al gesto, alla realtà ancestrale della danza”. Ci riesce pienamente, suggestionandoci con un linguaggio tecnico che non teme le difficoltà e gli acrobatismi, lasciandocele ammirare senza che si noti sforzo alcuno. In un flusso senza sosta ci si slancia sull’acqua per poi ruotare con grande impeto sul pavimento o per intrecciare i corpi in abbracci sensuali. Restano alla memoria scene molto espressive, improntate alla passione o ad apre discussioni. Si impongono alla vista dei gruppi scultorei che si stagliano sullo sfondo del Teatro Romano per lasciarci una durevole emozione di poesia, prima dell’imminente tragedia. Ed alla fine per Blanca Li un meritato premio dell’Associazione Spoleto Festival Friends accolto con grande entusiasmo. Foto Andrea Veroni

Categorie: Musica corale

Spoleto, Festival dei Due Mondi: “Flux – Full Experience. Viaggio dei Due Mondi”

gbopera - Mer, 16/07/2025 - 16:55

Spoleto, Festival dei Due Mondi
“FLUX – FULL EXPERIENCE. VIAGGIO DEI DUE MONDI”
Direttori creativi Maura Di Vietri, Ivan Taverniti
Coreografia Maura Di Vietri
Interprete Anastasia De Lucia
Narratrice Désirée Valdès
Musica Luca Maria Baldini
Luci Isadora Giuntini
Programmatori Alessandro Pregnolato, Isadora Giuntini, Jonathan Napolitano (Real Again)
Direttori di progetto Maura Di Vietri, Enrica Paltrinieri
Coordinatori di progetto/Art Directors Giulia Ferrando, Alessandro Galimberti, Elena Accenti
Supervisore personaggi e concept art Gloria Martinelli
Supervisore pre-produzione animazione creature Cristian Neri
Pre-produzione, Art team, Team produzione 3D/ Team di sviluppo VR experience Corsi accademici (anno 2022/2023) di concept, fumetto e animazione 3D della Scuola Mohole di Milano
Produzione Fattoria Vittadini
In collaborazione con Scuola Mohole
Progetto finanziato dal PNRR – Next Generation UE
Spoleto, Complesso Monumentale di San Nicolò, 11 luglio 2025
Era il 1992 quando nel suo romanzo di fantascienza Snow Crash Neal Stephenson immaginava un universo parallelo, nato dalla grafica per computer, a cui si poteva accedere da ogni parte del mondo tramite occhiali e auricolari, materializzandosi in corpi digitali definiti avatar. Un universo generato dal computer definito nel gergo di settore Metaverso, un mondo virtuale universale e immersivo che ai nostri giorni sta rimodellando il modo in cui ci rapportiamo agli altri e a noi stessi. Non poteva sfuggirgli la danza che nel suo processo di costituzione e definizione si è avvalsa di un corpo progressivamente sempre più tecnologico, pronto a sfidare le leggi della forza di gravità, né i coreografi nella loro opera di rilettura visionaria del mondo potevano evitare di confrontarsi con la realtà virtuale e la realtà aumentata. Nella sua peculiare attenzione per l’innovazione il Festival dei Due Mondi di Spoleto, giunto alla sua sessantottesima edizione, ha voluto proseguire l’esplorazione di esperienze immersive già tracciata negli scorsi anni con Le Bal de Paris di Blanca Li e Last minute del duo Adrien M & Claire B con FLUX – Full Experience ideato da Maura Di Vietri della Fattoria Vittadini. Qui l’apertura verso il nuovo si coniuga al recupero delle radici, grazie all’esperienza del viaggio sciamanico, antica tecnica che permette di esplorare mondi non ordinari attraverso stati di coscienza alterati alla ricerca del proprio animale-guida. All’ingresso con un rituale di presentazione viene spiegato agli spettatori come indossare i visori e una volta in sala ci si ritrova seduti in semicerchio, in attesa di partecipare ad un’esperienza dai connotati quasi magici. La scritta che compare davanti agli occhi è FLUX, e di un flusso propriamente si tratta che ci immerge in un paesaggio artificiale dove ammiriamo lo sfaldarsi delle rocce, l’emergere delle radici e di un albero dalla folta chioma, la luna e vari animali con cui si rapporta l’avatar dell’autrice in loro ascolto. Sui movimenti degli animali è stato condotto uno studio accurato, così come alla perfezione è stato riprodotto il corpo di Maura Di Vietri, studiato fin nei muscoli che determinano le espressioni del viso. Come da lei raccontato alla fine dello spettacolo, molto importante nella sua vita era stata la lettura di Donne che corrono coi lupi di Clarissa Pinkola Estés, psicanalisi del femminile che ruota attorno all’intuizione della donna selvaggia, materna e ferina al tempo stesso. Durante un personale viaggio sciamanico, all’autrice si era presentata la figura della civetta, elegante rapace dagli occhi giallo intenso e dall’intenso piumaggio maculato. Un simbolo di chiaroveggenza, il cui sguardo acuto penetra il buio, sfidando la notte, la morte e la passività. Altrettanto penetranti sono gli occhi dell’autrice del pezzo immersivo, formatasi nella scuola di Paolo Grassi, aperta all’esperienza del corpo che esce da sé, capace di trasformarsi pienamente nell’essere scenico. Dopo l’incontro con la lepre, col cervo, col lupo, dopo la visione delle lucciole, ecco l’incontro con il proprio animale guida e che dà luogo ad una piena fusione tra uomo e animale. Il risultato è una figura quasi mitologica ondeggiante nello spazio virtuale, che ci lascia incantati per poi riportarci alla realtà rituale della sala, dove l’interprete Anastasia De Lucia con grande generosità si dona al pubblico nel suo flusso di movimenti. In una posizione accovacciata, scompone dapprima solamente le spalle, poi le braccia, le mani ed il resto del corpo, riproducendo l’esperienza da noi affrontata grazie ai visori. Il suo corpo vestito da una velata tutina si illumina grazie a delle tinte fluorescenti che riflettono delle speciali luci catturando la nostra entusiastica attenzione. Musica elettronica, fruscii ed una voce, che ci ricorda il passaggio dagli stimoli esteriori alla realtà dell’anima. L’interprete entra in connessione con lo spazio da noi abitato, e ruotando alle nostre spalle entra in contatto con noi con una carezza ed il sorriso. Il corpo si abbandona alla pienezza del movimento, rifiutando la perfezione tecnologica e vivendo uno stato di semi-trance. Infine, avanza, ci viene incontro, e poi improvvisamente si volta indietro, procedendo verso l’oscurità. Un’esperienza che nell’abbracciare il futuro tecnologico si rivela introspettiva, facendoci riscoprire le sfumature animali dell’anima e del corpo, in una universalità che ci abbraccia inquietandoci, ma facendoci al contempo sentire al sicuro. Foto Andrea Veroni

Categorie: Musica corale

102° Arena di Verona Opera Festival 2025: “Aida”

gbopera - Mar, 15/07/2025 - 19:46

102° Arena di Verona Opera Festival 2025
“AIDA”
Opera in quattro atti su libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Il Re RAMAZ CHIKVILADZE
Amneris AGNIESZKA REHLIS
Aida OLGA MASLOVA
Radames JORGE DE LEON
Ramfis ALEXANDER VINOGRADOV
Amonasro AMARTUVSHIN ENKHBAT
Un messaggero CARLO BOSI
Gran sacerdotessa FRANCESCA MAIONCHI
Orchestra, Coro e Ballo della Fondazione Arena di Verona
Direttore Daniel Oren
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Regìa, scene, costumi, luci e coreografie Stefano Poda
Produzione del 100° Festival 2023
Verona, 13 luglio 2025
Per il terzo anno consecutivo va in scena all’Arena di Verona Aida secondo Stefano Poda: un viaggio dantesco che parte dall’interno e arriva alla pace di una visione estatica che trova esplicitazione su un praticabile di metallo e plexiglass sovrastato da una mano gigantesca, simbolo del potere in grado di creare e di distruggere: altre mani più piccole, montate su lance, ne rappresentano la multifunzionalità nel bene e nel male poiché se l’uomo costruisce, produce ed innalza può anche abbattere e rovinare. Nel 2023 vi erano anche una colonna greca frantumata ed alcuni rottami indefiniti, non presenti alla recita a cui abbiamo assistito (spariti dall’impianto scenografico o non montati per mancanza di tempo?). L’antico Egitto è richiamato dalle proiezioni laser che disegnano delle piramidi virtuali, da copricapi con testa di sciacallo, da un occhio egizio disegnato sui costumi e una grande palla argentata. Andando oltre, poiché l’allestimento visivo è già stato da noi recensito due anni fa, arriviamo al cast vocale che annoverava nel ruolo della protagonista Olga Maslova, interprete di levatura che nei momenti di tormento interiore ha delineato con efficacia tutte le caratteristiche del personaggio: l’anelito alla libertà e all’amore, il desiderio di riscatto, la lotta tra l’amor di patria e il dolce sentimento per il condottiero egizio. Di particolare intensità le due grandi arie del primo e del terzo atto. Jorge de Leòn è un Radames fiero e sanguigno, di potenza vocale e di squillo sonoro ma discontinuo nella cura del suono e non sempre impeccabile nell’intonazione. L’inizio di Celeste Aida è apparso incerto, quasi esitante, salvo poi riprendersi e concludere con un poderoso si bemolle la celebre aria e a condurre in porto, con ordinaria professionalità, la serata. Nella complessa e bellissima parte che Verdi affida alla principessa Amneris il mezzosoprano polacco Agnieszka Rehlis sfoggia una bella e salda vocalità oltre ad una notevole presenza scenica: ne risultano momenti di accesa passione e desiderio, nella fierezza con cui difende l’amore per Radames e la toccante disperazione nell’ultimo tentativo di salvarlo da un’orribile condanna. Nulla da eccepire anche sull’Amonasro di Amartuvshin Enkhbat, artista impegnato su più ruoli in questo festival: linea di canto morbida, bel suono e ottimo colore di voce che riversa nel rude guerriero smanioso di sfidare la potenza egiziana ma capace tuttavia anche di esternare i più teneri accenti paterni. Bene il Ramfis di Alexander Vinogradov, nella sua dimensione sacrale e punto di riferimento regale anche nelle decisioni più cupe e terribili quanto nella ieraticità dei momenti solenni; senza particolari bagliori il Re di Ramaz Chikviladze. Nei ruoli del messaggero e della sacerdotessa rispettivamente Carlo Bosi e Francesca Maionchi hanno offerto una prova positiva. Daniel Oren, maestro di indiscussa arte e professionalità, ha il teatro nel sangue ed un saldo mestiere acquisito con decenni di esperienza; ormai lontano da certi vezzi che lo hanno reso celebre (salti sul podio, voltate furiose di pagine, gestualità infuocata) ha ammorbidito il suo gesto ma con la stessa immutata sicurezza e tenuta del coordinamento tra buca e palcoscenico che domina con assoluta tranquillità, anche nel rincorrere con tenacia i due amanti infelici, non sempre ineccepibili ritmicamente. Serata con pubblico scarso, a dispetto di un titolo che richiama sempre le masse in Arena, soprattutto per una recita domenicale. Repliche fino al 4 settembre. Foto Ennevi per Fondazione Arena.

 

 

 

 

 

 

Categorie: Musica corale

Empoli, Collegiata di Sant’Andrea: European Youth Orchestra “Ferruccio Busoni”

gbopera - Mar, 15/07/2025 - 07:58

Empoli, Collegiata di Sant’Andrea
European Youth Orchestra “Ferruccio Busoni”
Direttore Sergio Alapont
Flauto Jiwoo Kim
Arpa Chiara Sgambato
Franz Joseph Haydn: “Le ultime sette parole di Cristo sulla croce”, Hob: XX:1; Ferruccio Busoni: Symphonische Suite, op. 25; Wolfang Amadeus Mozart: Concerto in do maggiore per flauto e arpa K299; Ludwig van Beethoven: Sinfonia n. 5 in do minore op. 67
Empoli, 11 luglio 2025
È appena trascorso un anno dal debutto dell’European Youth Orchestra “Ferruccio Busoni” a Empoli (19 luglio 2024), con l’esecuzione anche delle composizioni finaliste del Concorso Internazionale di Composizione “Ferruccio Busoni”. Immaginando un periodo di crescita con importanti cambiamenti per questa giovane realtà musicale e il momento in cui, dalle varie istituzioni nel nostro Paese, si registra una crescente esigenza nel voler dar vita a nuovi complessi strumentali e vocali, ha prevalso il desiderio e la curiosità di conoscere più da vicino questa orchestra costituita da giovani provenienti da istituzioni musicali di alcuni Paesi europei. Secondo Stefano Donati, presidente del Centro Studi Musicali “Ferruccio Busoni”, istituzione che ha curato l’evento, l’obiettivo è di «rafforzare il ruolo di Empoli come protagonista attiva sulla scena musicale regionale e nazionale» mentre, parlando con il direttore artistico Lorenzo Ancillotti, trattasi di “Un’avventura un po’… folle” che, nella sostanza, si traduce in grandissimo impegno per un ambizioso progetto, grazie ad una significativa sinergia tra istituzioni e contributi di sponsor. Il tutto è confermato dal direttore d’orchestra Sergio Alapont, il quale, insieme ad Ancillotti, sottolinea anche il cosmopolitismo dell’illustre musicista originario di Empoli. Assistendo al concerto, mi sento di aggiungere che la nascita e l’auspicabile maggiore sostegno verso quest’orchestra costituisce una speranza oltre che un segnale di rinnovamento e di futuro per la musica. Investire nel talento e nella passione dei giovani può aprire nuove prospettive umano-artistiche che confluiscono in un’identità culturale europea sempre più fulgida in cui concetti come dinamicità e differenze possono diventare, attraverso la condivisione di valori universali, la forza e il coraggio per affrontare le complessità delle grandi sfide. Venendo alla serata, è bastato varcare la soglia della Collegiata di Sant’Andrea per intuire l’incontro con la bellezza artistica tout court fino ad immaginarne il senso dell’armonia anche attraverso la percezione visiva. Attratti nell’immediato dal polittico di Lorenzo di Bicci, posto al centro dell’altare maggiore, non è sfuggita la vista di canne d’organo sul lato destro, angeli musicanti sul soffitto e un organo posto sopra il portone. Guardando tra le varie cappelle e il soffitto, si sosta davanti all’immagine di un Crocifisso ed altri segni che rimandano alla Passione. Poi, con immediatezza, sono bastate poche battute dal tono drammatico nella tonalità di re minore, e subito la musica ha evocato qualcosa di straziante e doloroso tanto che nel ‘dialogo’ immagini – suoni si è potuto percepire la profondità del mistero della Passione. Da quel momento si è restituita la forma sonora – anche grazie all’intenzione di Alapont che ne ha enfatizzato il pathos mediante un gesto a tratti sospeso per trattenere l’attesa e con gradualità espressive – della partitura de Le ultime sette parole di Cristo sulla croce di Haydn. Di particolare interesse, senza nascondere una certa curiosità da parte dei molti presenti, è risultata la Symphonische Suite di Busoni. L’ascolto, per rimanere nel dialogo tra le arti, è sembrato assumere la forma di un polittico in cui si percepiscono elementi stilistici rintracciabili nella grande tradizione sinfonica della seconda metà dell’Ottocento. Sul piano interpretativo è emersa un’esecuzione alquanto fluida, sempre alla ricerca di un coinvolgimento più empatico tra i musicisti, dettata da un ritmo narrativo alquanto lucido tale da mantenere alta l’attenzione del pubblico. Il Concerto in do maggiore per flauto e arpa K299 di Mozart, dal singolare organico e in qualche modo in stile ‘galante’, pur valorizzando i due strumenti (il flauto di Jiwoo Kim e l’arpa di Chiara Sgambato) ha aperto ad una prospettiva più dialogica senza rinunciare ad una concezione globale dell’opera e coinvolgente dell’orchestra. Ne è risultata una lettura dall’autentico spirito da sinfonia concertante in cui il direttore ha sottolineato l’equilibrio tra i due solisti e gli stacchi di tempi tenendo conto dell’acustica, indicando altresì la chiarezza espositiva dei temi, simmetrie, fraseggi e impasti sonori significativi. Con la Sinfonia n. 5 in do minore di Beethoven – autentico monumento sinfonico diventato celeberrimo per l’inizio dell’Allegro con brio con l’inciso delle quattro note sol, sol, sol, mi bemolle – si è conclusa la seconda parte in una Collegiata sold out. Il pubblico ha accolto con applausi scroscianti ed entusiastici la ricompattata compagine strumentale che prevede coppie di legni (anche ottavino e controfagotto), ottoni (anche terzo trombone), timpani e archi ove, se tutte le prime parti ad iniziare da quelle della sezione degli archi dalla spalla con Giorgio Abbadessa, insieme alle prime parti Mary Sato (violino II), Defne Sönmez (viola), Neus Vidal Sales (violoncello), Nikola Šumaruna (contrabbasso); Jiwoo Kim (flauto), Carmela Raso López (oboe), Domenico Michele Cetera (clarinetto), Raúl Ruiz Iruela (fagotto); Elisa Del Pero (corno), Aarón Ruiz (tromba), Pablo Baños Aznar (trombone) e Isidro Andreu Gil (timpani) hanno garantito la significativa espressività del melos, al resto dei musicisti la capacità di creare una radiosa ed energica performance all’insegna dell’inclusione e condivisione. Si è trattato di un viaggio emozionale che ha portato ad un finale trionfante (Allegro in do maggiore) in cui Alapont, oltre che sicura guida per l’orchestra e pur di far ‘cantare’ ogni singolo strumento, come per tutto il programma, è sembrato assurgere al ruolo di autentico ‘corifeo’ interagendo con intelligenza interpretativa con ogni singolo musicista.

Categorie: Musica corale

Chorégies d’Orange 2025: “Il Trovatore”

gbopera - Lun, 14/07/2025 - 15:42
Orange, Théâtre Antique, saison 2025 “IL TROVATORE” Opéra en 4 actes, livret de Salvatore Cammarano Musique de Giuseppe Verdi Le Comte de Luna  ALEKSEI ISAEV Leonora  ANNA NETREBKO Azucena  MARIE-NICOLE LEMIEUX Manrico  YUSIF EYVAZOV Ferrando  GRIGORY SHKAPURA Ines  CLAIRE DE MONTEIL Ruiz / un messager  VINCENZO DI NOCERA Un vieux gitan  STEFANO ARNAUDO Orchestre Philharmonique de Marseille Choeur des Chorégies d’Orange et de l’Opéra Grand Avignon Direction musicale Jader Bignamini Chef de chant Kira Parfeevets Lumières Vincent Cussey Orange, le 6 juillet 2025 Encore une superbe soirée sous les étoiles du Théâtre antique d’Orange. Pourtant, les ondées de la journée pouvaient faire craindre le pire. Mais le ciel aurait-il pu priver les milliers de spectateurs rassemblés ce soir de la sublime voix d’Anna Netrabko ? Le ciel, pas plus que l’empereur Auguste qui veille du haut du mur ne l’ont voulu. Comme pour Tosca l’été dernier, pas de mise en scène mais une mise en espace. Qui s’en plaindrait ? Malgré la mise en scène originale et respectueuse de Louis Désiré qui présentait cet ouvrage en juin dernier à l’Opéra de Marseille nous ne sommes malheureusement pas à l’abri des fantasmes de certains metteurs en scène qui gâchent le spectacle. Aussi avons-nous apprécié ces déplacements bien imaginés qui ne nuisent en rien à la compréhension de l’ouvrage. Les lumières de Vincent Cussey ainsi que quelques vidéos, une forteresse, un cloître, une rosace en vitrail toute religieuse ou une cellule où Azucena est incarcérée animent avec sobriété les scènes et il est amusant de penser aux problèmes que rencontrent les éventuels metteurs en scène pour meubler cet immense plateau, alors qu’il suffit à Anna Netrebko de se présenter pour que cette scène semble tout entière investie. Evidemment nous l’attendions et nous ne serons pas déçus. Les traditions et les superstitions se perdent. Qui aurait osé porter sur scène une robe verte il y a quelques années ? La soprano russe l’ose ! Robe somptueuse d’un vert éclatant, pour conjurer le sort ? Elle en portera une autre, très somptueuse aussi, d’un bleu profond après l’entracte. Si à son entrée la voix semble un peu chercher ses marques, ce n’est que passager, la richesse du timbre, la profondeur de la voix aux accents suaves s’élancent avec élégance jusqu’au plus haut des gradins avec de superbes aigus. Sa musicalité souvent dramatique s’entend dans chacun de ses airs ou duos avec des prises de notes délicates pour un “Di tale amor…” léger. Les inflexions changent naturellement, suppliantes devant  le Comte, mais plus fortes défendant son amour ou plus tendre encore avec Manrico. La qualité de sa voix et sa technique sans faille lui permettent toutes les nuances, des pianissimi éthérés et tenus aux intentions plus dramatiques avec la même aisance, avec la même luminosité dans des phrasés intenses au vibrato harmonieux. “D’amor sull’ali rosee” est un moment suspendu de douleur et de musicalité d’où ne sont pas absents de subtils portamenti. Sa puissance dramatique est un modèle du genre malgré des moments de légèreté. Une ovation très méritée ! Le Conte di Luna d’Aleksei Isaev est d’une grande force et d’une grande rigueur. Sa voix parfois un peu voilée livre un “Tace la notte” puissant et sonore dont les sentiments contrastés s’expriment naturellement. Homme un peu rude à la voix solide qui respecte les accents contenus dans la musique. On regrette parfois la force qu’utilise Yusif Eyvasov dans sa façon de chanter Manrico qui ne descend pas au-dessous du mezzo-forte bien que respectant les nuances. Voix vaillante et généreuse, s’il en est, dont le timbre mériterait de s’adoucir. Ses aigus puissants et tenus passent sans aucun problème mais l’on attendrait un peu plus de tendresse dans son jeu et sa voix surtout dans les duos avec Eleonora. L’appel aux armes héroïque de son “Di quella pira” avec ses aigus puissants et tenus soulève l’enthousiasme du public. Longueur et soutien du souffle font un peu oublier le manque de rondeur du timbre. Il sera lui aussi très applaudi. Comme en 2015 en ces murs, Marie-Nicole Lemieux est Azucena. Grâce à une plus grande maîtrise de la voix ses graves sont moins appuyés, moins poitrinés et le legato devient ainsi plus musical, plus élégant. Bien que privée de mise en scène, la contralto canadienne s’investit pleinement dans ce rôle avec des aigus pleins et sonores. Ses “Mi vendica ! “ résonnent avec force et le “Stride la vampa” attendu prend une certaine l’ampleur. Ainsi dans le dernier échange avec Manrico où peur et idée de vengeance se côtoient dans un timbre cuivré. Très appréciée, la basse russe Grigory Shkapura nous livre un Fernando très chantant aux beaux graves projetés dans un timbre rond et homogène. Sa présence et l’élégance de sa ligne de chant n’enlèvent pas la vigueur dans son récit “Abbieta zingara fosca vegliarda !” . Une prestation très applaudie ainsi que l’Ines de Claire de Monteil dont le soprano affirmé s’accorde avec le dramatique d’Eleonora. On a aussi apprécié les voix de Vincenzo Di Nocera (Ruiz) et de Stefano Arnaudo (Le vieux gitan). Les déplacements du Chœur mettent en valeur leurs voix homogènes et leur précision. Acteurs incontournables, les voix solides des hommes ne font pas oublier les voix féminines du Miserere. On a reproché les tempi lents du maestro Jader Bignamini, la rumeur venue des coulisses nous apprend qu’ils ont été imposés par les solistes. Nous avons beaucoup aimé l’élégance, la précision et la vigueur de sa direction laissant sonner l’orchestre et ses solistes sans jamais couvrir les voix, tout en restant à leur écoute. Il sera très applaudi ainsi que l’orchestrte qui a fait montre de beaucoup de souplesse et de musicalité dans des sonorités profondes ou plus incisives. Un triomphe! Photo Gromelle
Categorie: Musica corale

Philip Sawyers (n.1951): “Mayflower on the sea of time” (2020)

gbopera - Lun, 14/07/2025 - 11:56

Mayflower on the sea of time: Part One: Persecution and Journey; Part Two: Arrival in the New World; Part Three: Survival and Making Our Community; Part Four: Our New World. English Symphony Orchestra and Chorus. Kenneth Woods (Direttore). April Fredrick (soprano). Thomas Humphreys (baritono). Brittany King (soprano). Amelia Jones (soprano). Registrazione dal vivo. Worcester Cathedral, 17 giugno 2023. T. Time: 58’57”. 1 CD Nimbus Alliance NI 6439.
“Il 400° anniversario della traversata della Mayflower fu nel 2020. Il mio compito come compositore fu quello di scrivere un’opera sostanzialmente  corale/orchestrale per celebrare questo evento e le sfide che i pellegrini hanno affrontato nel Nuovo Mondo. Il mio librettista ha scritto un pezzo fantasioso che incorporava sia una narrazione e una riflessione sulle implicazioni più ampie della storia contenuta. Così  vengono toccate umane caratteristiche e fragilità, questioni morali, religiose e politiche”.
Con queste parole lo stesso compositore Philip Sawyers ha presentato Mayflower on the sea of time, lavoro sinfonico-corale composto su commissione di Anne Renshaw per conto del Consiglio comunale di Worcester, la cui Cattedrale ha ospitato la prima esecuzione assoluta il 25 aprile del 2020 e anche questa prima incisione mondiale 3 anni dopo. Si tratta di un grande oratorio in 4 parti che si susseguono senza soluzione di continuità, della quali la prima  Persecution and Journey (Persecuzione e viaggio) è una pagina di grande forza drammatica nella quale è evocata, con sonorità che lontanamente ricordano The Storm dal Peter Grimes di Britten, anche una tempesta in mare. La seconda parte, Arrival in the New World (Arrivo nel nuovo mondo), si segnala per il l’assolo del baritono, mentre la terza, Survival and Making Our Community (Sopravvivenza e creazione della nostra comunità), è formalmente uno Scherzo, nel quale un sentimento più leggero, che trova la sua espressione nei rimproveri delle mogli nei confronti dei mariti perché hanno bevuto eccessivamente, si mescola a un altro di malinconia indotta dal pensiero dei morti a causa del duro inverno. L’ultima parte, Our New World (Il nostro nuovo mondo), è, infine una grande esplosione di gioia. Lavoro di grande impegno, Mayflower on the sea of time, composta su libretto di Philip R. Groom, si segnala per la raffinata orchestrazione e per la bellezza delle sue melodie, oltreché per la capacità di rappresentare con grande realismo i sentimenti dei pellegrini della famosa nave che attraversò l’oceano nel 1620. Splendida l’esecuzione da parte dell’English Symphony Orchestra and Chorus diretta da Kenneth Woods, che trova tempi e sonorità adeguate, e funzionali gli apporti delle voce soliste: April Fredrick (soprano). Thomas Humphreys (baritono), Brittany King (soprano) e Amelia Jones (soprano).

Categorie: Musica corale

Sassari, Arena piazza d’Italia: “Madama Butterfly”

gbopera - Dom, 13/07/2025 - 21:38

Sassari, Arena piazza d’Italia – Stagione Lirica 2025
MADAMA BUTTERFLY”
Tragedia giapponese in tre atti di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa.
Musica di Giacomo Puccini
Madama Butterfly (Cio-Cio-San) VITTORIA YEO
Suzuki IRENE MOLINARI
Kate Pinkerton EVA GOREUX
F.B. Pinkerton FRANCESCO DEMURO
Sharpless FABIAN VELOZ
Goro NICOLAS RESINELLI
Il Principe Yamadori MICHAEL ZENI
Lo zio bonzo TEPPEI MATSUNAKA
Il commissario imperiale GIUSEPPE LISAI
L’ufficiale del registro SIMONE CASU
La madre di Cio-Cio-San ANTONELLA MASIA
La zia TANIA ESPOSITO
La cugina GIULIA CABIZZA
Coro e Orchestra dell’Ente de Carolis
Direttore Sergio Oliva
Maestro del coro Francesca Tosi
Regia, scene e costumi Alberto Gazale
Light designer Tony Grandi
Scenotecnico Danilo Coppola
Fonica Alberto Erre
Nuovo allestimento Ente de Carolis
Sassari, 10 luglio 2025
Dopo il “pastiche” Giselle around le Villi che ha inaugurato al Teatro Comunale la stagione lirica 2025, l’Ente de Carolis ha riproposto all’aperto, nella cosiddetta Arena piazza d’Italia, i Carmina Burana di Carl Orff a fine giugno e ora Madama Butterfly. Si tratta di due titoli infatti già recentemente ben prodotti dal de Carolis in teatro con buon successo e il riproporli, in nuovo allestimento, nella finestra estiva della propria stagione lirica pone, oltre all’opportunità della replica, i soliti problemi relativi alla realizzazione in uno spazio idoneo; è apparso infatti più evidente che nelle altre produzioni realizzate nel “salotto buono” della città, l’inadeguatezza di un’esecuzione all’aperto senza avere un luogo acusticamente isolato, adatto all’ascolto e, nel caso di utilizzo di apparati di amplificazione (per quanto professionali) la loro idoneità nella presa e diffusione del suono in proporzione agli spazi e alla complessità dell’opera. “Portare tra la gente” la grande musica o la sua semplificazione è la differenza tra fare un’operazione popolare o populista, cosa che, come ben sappiamo dalla politica, non sfocia mai in buoni risultati. Dall’Arena (quella vera) ai grandi festival all’aperto fino ai concerti da camera dei borghi storici, non esiste situazione della musica d’arte “open air” che non preveda ciò di cui sopra, con buona pace di chi pretenderebbe, come per il piano bar, la banalizzazione dei volumi amplificati sul vociare della piazza. Le opere poi di un’epoca in cui equilibri e raffinatezza orchestrale costituiscono un dato assodato, con sfumature vocali e interpretative fondamentali, soffrono molto più di altre se le dinamiche sono appiattite, se alcuni strumenti sono in primissimo rilievo e altri spariscono, se appena c’è un piano i rumori esterni prendono il sopravvento e se definizione, fronte sonoro e timbrica sono falsati. È ovvio che ciò renda difficile ascoltare e anche valutare interpreti in una situazione che appiattisce le buone qualità ed enfatizza i difetti, in particolare in opere intimiste, fondamentalmente statiche, dove il dettaglio è molto importante. Il capolavoro di Puccini non è opera da piazza e, pur senza gli evidenti problemi esecutivi che abbiamo invece sentito nei Carmina Burana d’apertura, è stata chiara la difficoltà nel restituire il carattere di una partitura molto più raffinata dei suoi stereotipi. Non è il caso quindi di approfondire aspetti musicali chiaramente in secondo piano nell’occasione, ma sono sembrati comunque brillanti e ben equilibrati i protagonisti: è soprattutto apparsa solida e adatta al ruolo della protagonista Vittoria Yeo, soprano coreano di cui sarebbe bello poter sentire le dinamiche in una situazione acustica. C’era molta attesa inoltre per il debutto di Francesco Demuro nel ruolo di Pinkerton e la sua timbrica naturalmente empatica è apparsa fondamentalmente adatta al personaggio: ne sentiremo col tempo la maturazione. Anche per quanto riguarda l’aspetto visivo c’è stato un problema di fronte scenico piuttosto misero per una grande piazza: la lirica all’aperto si fa spesso proprio per esaltarne gli aspetti scenografici e spettacolari e una piccola scena fissa movimentata solo dalle luci e qualche sbuffo di fumo non è molto interessante. L’elemento scenotecnico principale, un grande albero-ramo fiorito di sfondo, era comunque ben realizzato, per quanto un po’ didascalico nella sua funzione di “fiorito asil”, dove nessun altro dettaglio suggeriva l’ambientazione. A parte un componente che calerà simbolicamente alla fine, si notavano solo due luoghi deputati simmetrici, con dei figuranti. Alberto Gazale, direttore artistico del de Carolis, firma tutto l’allestimento ma è difficile apprezzare ciò che è stato effettivamente l’apporto creativo personale in mancanza di bozzetti, figurini e note di regia nello scarno libretto di sala; in ogni caso i costumi, nel solco dell’iconografia tradizionale, sono risultati gradevoli, grazie anche alla buona illuminazione. L’effetto d’insieme e la staticità dei movimenti risultavano però poco efficaci e monotoni per la situazione, senza tensione drammatica, compresa la celebre scena finale, mancante proprio del pathos necessario che, intendiamoci, era comunque penalizzato alla base da una dinamica musicale perennemente compressa e con una direzione apparsa piuttosto generica. Successo finale essenzialmente per i protagonisti, ma vari spettatori hanno disertato nel corso dell’esecuzione ed altri hanno avuto dei comportamenti che hanno disturbato ripetutamente: evidentemente l’atmosfera ha sdoganato chiacchierate al telefono, foto, riprese e commenti a voce alta. È stata una festa di piazza, e ciò è sempre positivo, ma per renderla una festa della musica occorrerebbero ben altri investimenti e/o un’altra situazione.

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102° Arena di Verona Opera Festival 2025: “La traviata”

gbopera - Dom, 13/07/2025 - 18:19

102° Arena di Verona Opera Festival 2025
“LA TRAVIATA”
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valéry ANGEL BLUE
Flora Bervoix SOFIA KOBERIDZE                                                                          Annina FRANCESCA MAIONCHI                                                                            Alfredo Germont ENEA SCALA
Giorgio Germont LUCA SALSI
Gastone, Visconte di Letorières CARLO BOSI
Barone Douphol NICOLÒ CERIANI                                                                        Marchese d’Obigny JAN ANTEM                                                                            Dottore Grenvil GABRIELE SAGONA                                                                      Domestico e Commissionario HIDENORI INOUE                                                      Giuseppe ALESSANDRO CARO                                                                              Orchestra, Coro e Ballo della Fondazione Arena di Verona
Direttore Speranza Scappucci
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Regia, Scene, Costumi, Luci Hugo De Hana                                                          Coreografia Leda Lojodice ripresa da Michele Cosentino
Verona, 11 luglio 2025
Presente in Arena fin dal 1946 La traviata torna nell’allestimento del Festival 2011 ideato da Hugo De Hana (che firma anche le scene, i costumi e le luci) per i 150 anni dell’Unità d’Italia, ripreso in seguito nel 2013 e 2016. Un allestimento concettualmente tradizionale ma ricco di simbologie ben precise: grandi specchi e gigantesche cornici vuote a sottolineare l’ipocrisia e l’ottusità di un mondo perbenista e dorato che non sa riconoscere la possibilità di vivere un amore vero ed autentico. Ma anche il bieco cinismo posto all’inizio del romanzo di Dumas, quando tutti i beni residui della protagonista vengono tristemente messi all’asta. Il regista argentino pospone l’azione di qualche decennio, collocandola alla fine dell’Ottocento in modo da poter sottolineare la corruzione della società contemporanea attraverso una vicenda borghese di forte impatto scenico che però non distoglie lo spettatore dallo svolgimento drammaturgico e musicale. Del resto in uno dei massimi capolavori della produzione verdiana aggiungere qualcosa a quanto già contenuto nella partitura e nelle didascalie presenti nel libretto, risulterebbe quasi pleonastico. Anche i costumi e le luci, pur rispettando la drammaturgia verdiana e focalizzando l’essenza dolorosa della storia sfortunata di Violetta ed Alfredo, sembrano voler creare un’atmosfera senza tempo attorno ai singoli protagonisti. Sul fronte musicale Angel Blue nel ruolo della protagonista è apparsa in difficoltà nei suoni acuti, soprattutto durante il primo atto; una linea di canto opaca ed un fraseggio assai lontani dallo scavo psicologico del personaggio hanno restituito ben poco della cortigiana frivola e disinvolta votata al piacere quotidiano. Molto meglio nel secondo atto dove l’intenso lirismo del sacrificio d’amore tocca le corde della passione sincera e non più superficiale, per poi trovare nel terzo atto la dimensione appropriata, in particolare nel testamento vocale di Addio del passato interpretata con accenti di toccante coinvolgimento emotivo. Enea Scala è un Alfredo elegante e dotato di un ottimo strumento vocale anche se la tendenza a qualche forzatura nel passaggio di registro rischiano di comprometterne la nobiltà del fraseggio musicale e a tratti anche l’intonazione; la sua resta comunque una prova soddisfacente sotto l’aspetto interpretativo, scenico e musicale.  Il personaggio chiave, cardine dell’intera vicenda, è Giorgio Germont, che in questa recita vedeva Luca Salsi vestire i panni del miope perbenista rappresentante di una società ipocrita quanto ottusa. A differenza di precedenti produzioni qui il baritono ha convinto per la vocalità generosa e per pastosità sonora riuscendo in tutta la prima scena del secondo atto ad imprimere quella forza drammaturgica che il ruolo richiede attraverso i più accorati e strazianti stati d’animo; lo stesso possiamo dire del finale catartico laddove il pentito Germont con il suo tardivo ravvedimento, mette a nudo tutto il suo afflato paterno. Nelle parti minori molto bene Sofia Koberidze, una Flora convincente, e tutto il resto del cast: Francesca Maionchi (Annina), Carlo Bosi (Gastone), Nicolò Ceriani (Douphol), Jan Antem (Obigny), Gabriele Sagona (Grenvil), Hidenori Inoue (Domestico e Commissionario) e Alessandro Caro (Giuseppe). Dal podio Speranza Scappucci ha fornito una lettura dell’opera più che convincente, con una scelta azzeccata dei tempi, relazionata alla vicenda e alla drammaturgia; ne è risultata una concertazione viva e pregnante, con il pieno controllo del golfo mistico e del palcoscenico, qui perfettamente in sintonia con l’orchestra della Fondazione Arena, ottima in ogni sezione. Bene anche il coro, preparato da Roberto Gabbiani, anche se talune dinamiche, legati e pianissimi nei momenti topici e di furore (ad esempio la festa del secondo atto) risultano alquanto discutibili. Serata fredda, con vento fastidioso, ma salutata da un pubblico assai numeroso ed appassionato. Repliche il 19 e 25 luglio e il 2 agosto. Foto Ennevi per Fondazione Arena.

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Roma, Caracalla Festival 2025: “Don Giovanni” dal 20 al 25 luglio 2025

gbopera - Dom, 13/07/2025 - 08:00

Roma, Caracalla Festival 2025
Basilica di Massenzio
DON GIOVANNI

Il capolavoro di Mozart in un nuovo allestimento per il Teatro dell’Opera di Roma
Il Teatro dell’Opera di Roma presenta un nuovo allestimento di Don Giovanni, dramma giocoso in due atti con musica di Wolfgang Amadeus Mozart e libretto di Lorenzo Da Ponte, tra le opere più complesse, stratificate e filosofiche dell’intero repertorio lirico. Un titolo che unisce leggerezza e abisso, comicità e dannazione, irresistibile seduzione e ineluttabile castigo. La nuova produzione vede sul podio Alessandro Cadario, direttore tra i più brillanti della scena italiana, attento alla trasparenza del linguaggio mozartiano e al dettaglio drammaturgico del suono. La regia è firmata da Vasily Barkhatov, tra i più apprezzati registi russi della nuova generazione, che restituisce un Don Giovanni inquieto e moderno, sospeso tra fedeltà testuale e riflessione sul presente. Zinovy Margolin cura le scene, essenziali ma cariche di tensione visiva; Olga Shaishmelashvili i costumi, che oscillano tra classicismo e suggestioni postmoderne; Alexander Sivaev firma un disegno luci che scolpisce gli ambienti con tagli netti e chiaroscuri teatrali. Il Maestro del Coro è Ciro Visco. Nel ruolo del protagonista, il baritono Roberto Frontali, interprete maturo e magnetico, dà corpo a un Don Giovanni carismatico e spregiudicato, affiancato da Vito Priante nel ruolo di Leporello, servo complice e specchio deformante del padrone. Completano il cast: Mihai Damian (Masetto), Gianluca Buratto (Commendatore), Anthony León (Don Ottavio), Nadja Mchantaf (Donna Anna), Carmela Remigio (Donna Elvira) ed Eleonora Bellocci (Zerlina). L’Orchestra e il Coro del Teatro dell’Opera di Roma danno voce a una partitura che, pur nella sua apparente linearità, contiene infiniti livelli espressivi: ironia, erotismo, pathos e un senso profondo di ineluttabilità morale. In questo Don Giovanni, la seduzione non è solo tema, ma linguaggio stesso dell’opera: musicale, visivo, teatrale. Il nuovo allestimento offre al pubblico un’occasione unica per riscoprire l’attualità dell’opera mozartiana: il libertino di Da Ponte e Mozart, infatti, non è solo un dissoluto punito, ma un archetipo della modernità, una figura che interroga il nostro rapporto con il desiderio, la responsabilità e il limite. Don Giovanni torna così a Roma con una veste nuova, per continuare a sedurre, inquietare e far riflettere, in una produzione che unisce rigore musicale e visione scenica contemporanea. Qui per tutte le informazioni.

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Le Cantate di Johann Sebastian Bach: Quarta Domenica dopo la Trinità

gbopera - Dom, 13/07/2025 - 07:23

Ich ruf zu dir, Herr Jesu Christ BWV 177 (Lipsia, 6 luglio 1732) per la Quarta Domenica dopo la Trinità è una cantata su Corale, basata sull’omonimo inno Ich ruf zu dir musicato da Johann Agricola(1492-1566), le cui strofe riflettono il Vangelo che la Chiesa Luterana prevede per questo giorno (Lettera ai Romani 8: 18-23; Vangelo di Luca 6:36-42) . La melodia originale dell’inno è utilizzata nella prima strofa (Nr.1 – una fantasia su  corale) e nell’ultima strofa (Nr.5 – una armonizzazione del Corale). Tra queste ci sono tre arie indipendenti, prive di recitativi. La prima (Nr.2 affidata al contralto) con solo continuo, la seconda (Nr.3 cantata dal soprano) con continuo e oboe da caccia obbligato e la terza (Nr.4) per tenore, con continuo, oboe da caccia obbligato e violino concertante. Questa struttura è molto efficace con uno schema che alterna pagine complesse (Nr.1), un  ritorno al semplice (Nr.2), aumento della complessità (Nr.3) e infine ritorno alla massima semplicità (Nr.5). Indubbiamente il Coro iniziale è pagina meravigliosa, pienamente all’altezza degli standard più elevati di Bach in questo genere.  Le tre arie basate sul corale sono stupefacenti nel loro contrasto e per essere perfettamente aderenti al testo. L’aria per contralto con continuo è straordinariamente profilata. La linea del basso comprende un classico disegno a “cuneo” in cui i parametri delle altezze si espandono gradualmente ed esprime magistralmente nel mostrare l’anima torturata vede il suo destino. L’aria del soprano con il corno inglese con le imitazioni fortemente stratificate della voce e delle parti strumentali danno vita a una straordinaria implorazione del peccatore tormentato. Allo stesso tempo il colore armonico è abbastanza gradevole; una combinazione interessante. L’aria del tenore con violino e fagotto obbligati è un sollievo rispetto al tormento delle arie precedenti, ma anche quest’aria ha una forte densità che colpisce. Il corale finale è una delle armonizzazioni corali più complesse di Bach. È infatti nel campo delle armonizzazioni corali che si assiste al più grande cambiamento stilistico del Bach degli anni 1720 rispetto a quello degli anni 1730.
Nr.1 – Coro
Ti invoco, Signore Gesù Cristo,
ti prego, ascolta la mia supplica,
assicurami la tua grazia in quest’ora,
non lasciarmi scoraggiare;
Signore, cerco il giusto cammino
che tu saprai indicarmi,
per vivere per te,
per essere utile al mio prossimo,
per custodire la tua parola.
Nr.2 – Aria (Contralto)
Ti chiedo ancora, o Signore Dio,
ciò che non mi potrai negare:
non sia mai disprezzato,
donami la speranza,
e infine, quando dovrò andarmene,
possa riporre in te la mia fiducia,
e non confidare solo
sulle mie opere,
altrimenti potrei pentirmene per sempre.
Nr.3 – Aria (Soprano)
Aiutami a perdonare i nemici
dal profondo del mio cuore,
perdonami in questo momento,
donami una vita nuova;
la tua Parola sia sempre il mio cibo,
nutrimento della mia anima,
per proteggermi
all’arrivo dell’avversità
che potrebbe fuorviarmi.
Nr.4 – Aria (Tenore)
Nessun piacere e nessuna paura in
questo mondo possano allontanarmi da te.
Donami infine la vita eterna,
tu solo ne hai il potere; e coloro a cui
ne fai dono, la ricevono gratuitamente:
nessuno può ereditare
o acquistare in virtù delle sue opere
la tua grazia
che ci salva dalla morte.
Nr.5 – Corale
Sono combattuto e resisto,
vinci la mia debolezza, o Signore!
Mi aggrappo solo alla tua misericordia,
tu puoi rendermi più forte.
Quando giunge la tentazione, Signore,
non lasciarmi cadere.
Tu la puoi contenere
in modo che non mi arrechi danno;
sono certo che non lo permetterai.
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach Cantata “Ich ruf zu dir, Herr Jesu Christ” BWV 177

 

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Siracusa, Teatro Greco: “Na nuttata ri passioni”

gbopera - Sab, 12/07/2025 - 17:39

Siracusa, Teatro Greco
Na nuttata ri passioni. Giuliano Peparini celebra Siracusa tra mito, memoria e visioni sceniche

Uno spettacolo corale al Teatro Greco per i vent’anni dell’iscrizione UNESCO di Siracusa e Pantalica
A vent’anni dall’iscrizione di Siracusa e delle Necropoli Rupestri di Pantalica nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’UNESCO, la città celebra il suo passato millenario e il suo presente culturale con uno spettacolo che è rito, sogno e dichiarazione d’amore: Na nuttata ri passioni, ideato e diretto da Giuliano Peparini. L’evento avrà luogo giovedì 17 luglio alle ore 21.00 nello scenario maestoso del Teatro Greco, luogo simbolo della civiltà classica che oggi torna ad accogliere un nuovo dialogo tra le arti. Prodotto in sinergia dal Comune di Siracusa, dalla Fondazione INDA e dal Parco Archeologico di Siracusa, Eloro, Villa del Tellaro e Akrai, Na nuttata ri passioni non è solo un evento celebrativo, ma un affresco visionario e multidisciplinare che coniuga parola, musica, danza e immagini in una narrazione stratificata, densa di rimandi colti e affetti popolari. A guidare lo spettatore in questo viaggio tra echi del mito e frammenti di contemporaneità è una parata di interpreti che attraversano con disinvoltura linguaggi e generi: il giornalista Alberto Matano, la cantautrice Levante, gli attori Vinicio Marchioni, Milena Mancini, Danilo Nigrelli e Massimo Venturiello, il coreografo e danzatore Angelo Madonia, le voci di Eleonora Bordonaro e Puccio Castrogiovanni, i fiati dei fratelli Giovanni e Matteo Cutello. In scena anche la Fanfara del Comando Scuole dell’Aeronautica Militare/3° Regione Aerea, le danzatrici della Special Class della Peparini Academy, gli allievi dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico e le attrici Elena Polic Greco e Simonetta Cartia. Lo spettacolo, concepito come una successione di quadri simbolici e poetici, attraversa la memoria storica e letteraria di Siracusa evocando figure emblematiche del mito – Aretusa, Proserpina, Medea, Colapesce – e intrecciandole con brani tratti da Euripide e Ovidio, Plutarco e Oscar Wilde, Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, fino a Patrizia Cavalli. Non mancano suggestioni visive ispirate alla pittura di Caravaggio e riferimenti al cinema italiano, da Kaos dei fratelli Taviani a Nuovo Cinema Paradiso, fino al Gattopardo. “Ho voluto restituire l’immagine di una bellezza complessa, disseminata e viva, che si manifesta attraverso racconti, suoni, corpi e visioni”, afferma Giuliano Peparini, che firma regia e impianto scenico. “Siracusa è una città che non si esaurisce nella sua monumentalità: è una trama vivente di narrazioni, una somma di gesti e presenze, di stratificazioni emotive e culturali. Con questo lavoro ho cercato di mettere in relazione la dimensione collettiva della memoria con l’esperienza sensibile e vibrante dell’arte dal vivo”. La serata del 17 luglio si configura così come un atto performativo di restituzione: un mosaico di memorie e affetti, di storie individuali e leggende ancestrali, in cui il tempo si sospende per rivelare la forza evocativa della scena.È un momento importante per Siracusa”, dichiara Francesco Italia, presidente della Fondazione INDA e sindaco della città. “Celebrare i vent’anni dall’iscrizione UNESCO significa anche rinnovare il nostro impegno verso la salvaguardia e la valorizzazione di questo patrimonio. La regia di Peparini e la partecipazione di artisti di assoluto valore offrono alla cittadinanza e al pubblico un’occasione per riflettere su chi siamo stati e su cosa possiamo diventare, nel segno della cultura e della bellezza condivisa”. Il programma alterna momenti intensi ed emozionanti: Levante interpreterà Lo stretto necessario, in una risonanza musicale che è anche dichiarazione poetica. Alberto Matano leggerà un testo dedicato al concetto di bellezza, mentre Angelo Madonia sarà protagonista di una coreografia che incarna la tensione tra corpo e paesaggio. Gli interventi attoriali – da Marchioni a Mancini, da Nigrelli a Venturiello – daranno voce a parole che attraversano epoche e stili, evocando la Sicilia come luogo dell’anima prima ancora che come geografia. Le musiche dal vivo e i canti tradizionali siciliani, reinterpretati da Eleonora Bordonaro e Puccio Castrogiovanni, si fonderanno con le sonorità jazz dei fratelli Cutello, creando un tessuto acustico denso e raffinato. Per Peparini, l’obiettivo è chiaro: “Dopo una stagione teatrale segnata da riflessioni profonde e drammaturgie intense, questo spettacolo vuole restituire anche il valore della leggerezza. Raccontiamo la nostra identità attraverso forme che parlano direttamente al cuore, senza perdere il senso della complessità. Il teatro non è mai solo intrattenimento: è una forma di conoscenza, un luogo in cui il presente può incontrare il passato e aprirsi al futuro”. L’evento, pensato come una tappa fondamentale nell’anno delle celebrazioni promosse dall’assessorato guidato da Fabio Granata, è anche un’occasione per riaffermare il ruolo di Siracusa come capitale della cultura mediterranea. Una città che, nelle parole di Peparini, “si svela sempre diversa e accogliente, custode di una bellezza che non smette di sorprendere. Ricevere l’abbraccio di Siracusa è un onore, ma anche una responsabilità: quella di esserne all’altezza, artisticamente ed emotivamente”. Na nuttata ri passioni non è solo una notte di arte e memoria, ma un atto d’amore per una città che continua a generare visioni. Una notte in cui il mito diventa materia viva e la scena si trasforma in specchio dell’anima collettiva.

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Madrid, Teatro Real: “I Lombardi alla prima crociata”

gbopera - Sab, 12/07/2025 - 14:57

Madrid, Teatro Real, Temporada 2024-2025
“I LOMBARDI ALLA PRIMA CROCIATA”
Dramma lirico in quattro atti su libretto di Temistocle Solera, basato sull’omonimo poema di Tommaso Grossi
Musica di Giuseppe Verdi
Arvino IVÁN AYÓN RIVAS
Pagano MARCO MIMIKA
Viclinda MIREN URBIETA-VEGA
Giselda LIDIA FRIDMAN
Pirro DAVID LAGARES
Un priore della città di Milano JOSEP FADÓ
Acciano MANUEL FUENTES
Oronte FRANCESCO MELI
Sofia MERCEDES GANCEDO
Coro y Orquesta Titulares del Teatro Real
Direttore Daniel Oren
Maestro del Coro José Luis Basso
Esecuzione in forma di concerto
Madrid, 9 luglio 2025
Per I Lombardi alla prima crociata che chiudono la stagione 2024-2025 del Teatro Real di Madrid si è parlato di una “crociata musicale allo stato puro”, di una “sinfonia militare”, di un agone calcistico. Fatte salve le buone intenzioni (e certo qual entusiasmo) dei recensori madrileni, non si potrebbe formulare giudizi sintetici più insipienti; in particolare, per un’esecuzione che si basa sulla meticolosa concertazione di Daniel Oren, artefice di una straordinaria rilettura della “narrazione musicale” e del suo divenire. Oren è forse il primo che abbia studiato nel dettaglio e rivelato con chiarezza (forse anche meglio del venerato Gavazzeni) il divenire interno della partitura dei Lombardi; lo ha fatto marcando una progressione, o addirittura una cesura, tra la prima parte dell’opera e la seconda. I primi due atti, infatti, sono tutti intessuti di tremuli degli archi, di poderose nervature nascoste dai temi, di colori corruschi degli ottoni (ottima la prestazione della Orquesta Sinfónica de Madrid, la compagine titolare del Teatro Real): è la rappresentazione della notte, del mistero, dell’assassinio, ossia dell’atmosfera di tutto il I atto e di parte del II. La seconda parte non è affatto una sinfonia di guerra, come scioccamente si è detto, bensì una responsione di temi musicali bellici (sia di parte cristiana sia di parte islamica), sempre soggetta all’intonazione di condanna dell’eccidio (è la funzione salvifica di Giselda) o di nostalgia dei tempi di pace (funzione del coro). In altre parole, lo sviluppo narrativo consegnato da Solera al libretto dei Lombardi soggiace a una diffusa negazione della violenza (privata e pubblica), contro qualunque idealizzazione dello spirito di crociata traducibile in fanfare oplitiche. Se anche tutto questo fosse opinabile (ma non lo è), vi sarebbe poi, a contraltare oggettivo, un riscontro nella resa sonora voluta e misurata dal direttore. Il gesto che Oren ripete più frequentemente è, appunto, quello della mano sinistra che impone con foga il “piano” o il “pianissimo”, che smorza le intensità, insomma che fa di tutto per evitare il fragore di una sinfonia di guerra o, ancor peggio, di una banda militare. Anche nei cori bellici, si apprezza sempre una gerarchia che dà priorità alle voci, soliste e corali, più che alla parte strumentale. All’ottima prestazione dell’orchestra si accompagna quella del Coro Intermezzo (titolare per il Teatro Real) preparato da José Luis Basso (ma efficacemente spronato durante l’esecuzione anche da Oren): tutte le sezioni hanno brillato nella resa dei distinti gruppi che punteggiano il dramma, dall’accolita di sicari di Milano alle donne dell’harem di Acciano ad Antiochia. Il cantante più preparato di tutta la compagnia è senza dubbio Francesco Meli, nella parte di Oronte. La cavatina «La mia letizia infondere» e il suo completamento lirico «Come poteva un angelo» formano una di quelle scene che meglio riassumono le abilità di Meli: virtuosismo delle mezze voci, smalto e squillo, acuti spiegati e sicuri, emissione della voce che galleggia su fiati poderosi e al tempo stesso percepibili. La protagonista femminile avrebbe dovuto essere Anna Pirozzi, all’ultimo momento sostituita da Lidia Fridman; vari recensori, forse lasciandosi influenzare dalla circostanza, hanno scritto che la sua prestazione è stata inadeguata. Al contrario, proprio perché il timbro mezzosopranile di Fridman non è né angelico né carezzevole, la sua Giselda – caratterizzata da una costante forza espressiva, da un’emissione piena e da acuti ben proiettati – è la vera protagonista drammatica della serata. La tecnica le permette di superare le difficoltà delle arie e delle cabalette, ma il vero problema della cantante, al di là di qualche inflessione proclive al verismo, è la cura del fraseggio con una pronuncia che risultata per lo più incomprensibile. In ogni caso, è a lei (oltre che al direttore e al coro) che il pubblico del Teatro Real tributa gli applausi più entusiastici. Il basso Marco Mimika intende che il suo Pagano debba essere improntato alla solennità e autorevolezza della linea di canto; il timbro glielo consente e per il I atto funziona efficacemente, ma Pagano è personaggio che muta identità, cuore, attitudine, fino alla morte redenta dal perdono fraterno: tutto questo implicherebbe una gamma di registri emotivi e sentimentali in successione, e gioco di armonici, anziché una monolitica (ancorché corretta) enunciazione della parte. Molto ben riuscita, proprio perché sostenuta in pianissimo, la morte del personaggio nella scena finale. Voce interessante e squillante quella del tenore Iván Ayón Rivas (Arvino); a volte eccede nello sfogo di un’emissione forzata, ma è abbastanza tipico per l’interprete di Arvino (e per di più in una esecuzione in forma di concerto) cadere nella tentazione di gareggiare con Oronte … Tra i comprimari è degno di menzione il basso David Lagares nella parte di Pirro. Corretti (o almeno volenterosi) gli altri cantanti, ma soprattutto da ricordare la “voce del violino” di Gergana Gergova, concertino dell’orchestra, nel magnifico assolo del preludio al III atto. Quando un teatro presenta un titolo d’opera in forma di concerto, anche di fronte al successo più smagliante, come in questo caso, si sollevano sempre dubbi e critiche di varia natura. Anziché discutere su quel che non c’è (scene, costumi, regia, scelte estetiche), sarà meglio individuare (almeno) un elemento di comprensione di questa esecuzione memorabile. Potrebbe essere il sentimento del tempo, musicale e narrativo, con cui Oren anima la concertazione: pacato, disteso, percorso da qualche sprezzatura nel rapporto dinamico tra orchestra e coro, ma sempre motivato dalla sintassi musicale di Verdi, a sua volta dipendente dall’accidentato libretto di Solera; un tempo naturale e ininterrotto, come il «palpito | solo celeste e pio» invocato da Pagano nel celebre terzetto.   Foto Javier del Real 

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Roma, Caracalla Festival 2025: “La Traviata” dal 19 luglio al 03 agosto 2025

gbopera - Sab, 12/07/2025 - 08:00

Roma, Caracalla Festival 2025
LA TRAVIATA

Un nuovo sguardo al capolavoro verdiano per il Teatro dell’Opera di Roma
Il Teatro dell’Opera di Roma presenta un nuovo allestimento de La traviata di Giuseppe Verdi, capolavoro assoluto del melodramma romantico, su libretto di Francesco Maria Piave tratto da La Dame aux Camélias di Alexandre Dumas figlio. Un’opera che, da oltre un secolo e mezzo, continua a commuovere e interrogare il pubblico per la sua struggente umanità e la sua forza tragica. A dirigere l’Orchestra, il Coro e il Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma sarà Francesco Lanzillotta, tra i più apprezzati direttori della nuova generazione, capace di restituire la raffinatezza timbrica e la tensione drammatica della partitura verdiana con profondità e sensibilità. La regia è affidata a Sláva Daubnerová, artista poliedrica e regista emergente di origine slovacca, nota per la sua cifra visiva moderna e incisiva, al suo debutto sul palcoscenico romano. Lo spettacolo si avvale della collaborazione di una squadra artistica internazionale: Alexandre Corazzola firma le scene con un’estetica sobria ed evocativa, Kateřina Hubená i costumi che dialogano tra eleganza storica e contemporaneità, Alessandro Carletti cura le luci con la sua consueta precisione poetica, mentre la coreografia di Ermanno Sbezzo accompagna il dramma con movimenti essenziali e intensi. Il Maestro del Coro è Ciro Visco. Nel ruolo di Violetta Valéry, eroina fragile e indimenticabile, si alterneranno due interpreti di grande impatto: Corinne Winters e Hasmik Torosyan (1 e 3 agosto), entrambe celebri per l’intensità espressiva e la bellezza del timbro. Nei panni di Alfredo Germont, l’amato giovane perdutamente innamorato, Piotr Buszewski e Oreste Cosimo (1 e 3 agosto). Il ruolo del padre, Giorgio Germont, sarà interpretato da Luca Micheletti e da Gustavo Castillo (27 luglio, 2 agosto), due voci autorevoli capaci di restituire tutta l’ambiguità morale del personaggio. Completano il cast: Maria Elena Pepi (Flora), Sofia Barbashova (Annina), Roberto Accurso (Douphol), Alejo Alvarez Castillo (d’Obigny), Mattia Denti (Grenvil), Christian Collia (Gastone), Enrico Porcarelli (Giuseppe), Massimo Di Stefano (un domestico), Andrea Jin Chen (un commissionario). Alcuni ruoli sono affidati ai giovani talenti del programma “Fabbrica” – Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma, che continua a formare e valorizzare le nuove voci del panorama lirico internazionale. Con questa nuova produzione, il Teatro dell’Opera di Roma rinnova la propria missione: rileggere i grandi classici con uno sguardo audace, che tenga insieme fedeltà alla partitura e forza interpretativa. La traviata non è soltanto un dramma d’amore e sacrificio, ma una riflessione profonda sul giudizio, la libertà femminile e il prezzo della dignità. In questa nuova messinscena, Violetta torna a parlare al nostro tempo, fragile e fiera, simbolo di una purezza irriducibile nella disillusione del mondo. Qui per tutte le informazioni.

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Macerata, MOF Sferisterio: “Rigoletto” dal 19 luglio all 08 agosto 2025

gbopera - Sab, 12/07/2025 - 08:00

Macerata, MOF Sferisterio
RIGOLETTO
Melodramma in tre atti di Giuseppe Verdi
Libretto di Francesco Maria Piave, tratto dal dramma di Victor Hugo «Le roi s’amuse»
Prima rappresentazione 
Venezia, Teatro La Fenice, 11 marzo 1851
Rigoletto, buffone di corte, vuole vendicare l’onore della figlia Gilda, sedotta dal Duca di Mantova ma la sua sete di vendetta porta a un finale tragico e ineluttabile. Giuseppe Verdi esplora temi come la maledizione, la giustizia  e la sofferenza con grande intensità, intrecciando la psicologia dei personaggi con una potente partitura musicale. Sul palco, l’edizione del MOF 2015 con la regia di Federico Grazzini che, pur mantenendo un forte legame con la tradizione, propone una lettura contemporanea ed attenta che restituisce l’opera verdiana nella sua autenticità. Rigoletto è una delle opere più amate dal pubblico, capace di affascinare anche le nuove generazioni grazie alla sua bellezza senza tempo. Qui per tutte le informazioni.

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Choregiés d’Orange 2025: Michele Spotti & Xavier de Maistre en concert

gbopera - Sab, 12/07/2025 - 07:53
Théâtre Antique, Orange, saison 2025 Orchestre Philharmonique de Marseille Direction musicale Michele Spotti Harpe Xavier de Maistre Edouard Lalo: “Le Roi d’Ys” (Ouverture); Reinhold Glière: Concerto pour harpe et orchestre en mi bémol majeur; Hector Berlioz:  “Symphonie Fantastique” Orange, le 5 juillet 2025 Programme varié très attractif sous les étoiles, en cette soirée du 5 juillet, proposé par l’Orchestre Philharmonique de Marseille sous la baguette inspirée du chef Michele Spotti. L’Ouverture du Roi d’Ys d’Edouard Lalo, donnée tout d’abord en concert avant de s’intégrer à l’opéra en sa totalité, est un véritable poème symphonique où le compositeur, en grand symphoniste, déploie ses talents de coloriste entrouvrant la porte de cette légende bretonne. Prenant son orchestre à bras le corps, le maestro fait ressortir avec sensibilité les couleurs spécifiques des instruments solistes, le cor au son timbré, le récit hautement musical du violoncelle, les timbales sonores, ou les trompettes attacca sans dureté. Les gestes amples du chef d’orchestre laissent sonner les envolées lyriques sous les archets précis des violons dans une musique qui avance en crescendo vers le dramatique. Les belles sonorités homogènes donnent une interprétation très imagée de cette ouverture. Suivait une superbe découverte, le Concerto pour harpe de Reinhold Glière, instrument que l’on ne s’attendait pas à entendre dans l’immensité de ce théâtre de plein air. Mais les Dieux veillaient et aucun souffle n’est venu disperser les notes perlées de cet instrument inattendu ici. La rencontre du compositeur russe et du soliste Xavier de Maistre fut un grand moment de musique et de virtuosité qui a marqué ce concert. Resté dans la tradition post romantique russe Reinhold Glière traversera les périodes troublées de la révolution et du stalinisme sans les problèmes rencontrés par un Chostakovitch. Ce concerto, écrit pour mettre à l’honneur l’instrument et faire briller le soliste est un réel moment de plaisir. Dans une technique éblouissante et un classicisme très musical Xavier de Maistre, la musicalité au bout des doigts, nous emporte dans des envolées lyriques. A l’écoute du soliste et dans un tempo allant, aux nuances sensibles, le maestro laisse percer la clarinette en contre chant. La cadence, claire aux notes sonores jusqu’aux graves, est jouée comme un monologue musical dans de beaux contrastes d’intensité. Les thèmes avec variations introduits par les basses laissent la parole au soliste qui répond à l’orchestre dans un dialogue imagé aux séquences contrastées alternant agilité et sensibilité. Dans l’Allegro giocoso le harpiste semble se jouer de ses 47 cordes, les pinçant gaiment de façon incisive, faisant sonner les harmoniques ou maniant avec dextérité arpèges et glissandi, soutenu par un orchestre qui maintient le tempo. Un feu d’artifice de notes dans des mélodies russes et bucoliques. Paraissant s’amuser, Xavier de Maistre nous a séduits et charmés. Après un tonnerre d’applaudissements, il nous offre en bis “Le Carnaval de Venise, thème et variations”. Elégance et délicatesse où les notes harmoniques se font entendre avec humour dans des pianissimi auxquels l’on tend l’oreille. Composée par Niccolo Paganini sur le thème d’une chanson napolitaine “O mamma mia” cette brillante transcription pour harpe fait redoubler les applaudissements. Un moment de grâce ! La Symphonie fantastique allait terminer ce concert avec éclat. Ce poème symphonique écrit en 1830 dans une écriture novatrice relate l’état d’exaltation amoureuse dans lequel se trouve le compositeur, joie, fureur, passion dépressive tout au long de ces 5 scènes. Très à l’aise, Michele Spotti laisse sonner l’orchestre, relatant les états d’âme du compositeur avec des attaques moelleuses pour une rêverie commencée dans un calme mystérieux aux inflexions du cor. Sans doute les accents qui suivent sont-ils un peu trop appuyés marquant la passion naissante, mais le Bal, au bon tempo, nous emmène dans une fête où les harpes se font entendre avec délicatesse. Dans de joyeux enchaînements les violons et la petite harmonie se répondent sans brutalité allant vers un accelerando de bon aloi. Grâce et homogénéité des sons. Plus nostalgique est la Scène aux champs avec le cor anglais auquel répond le hautbois en coulisses. Le ton est donné avec de belles couleurs ; les travaux des champs se terminent laissant un goût d’inachevé. Très belles atmosphères où le calme porte à l’introspection sur les longueurs d’archets mais l’orage de fin d’été laisse place à la solitude sur la phrase repise par le cor anglais. La marche au supplice est le reflet de l’amour malheureux où le compositeur assiste à sa propre exécution. Atmosphère pesante des cors bouchés et d’un quatuor qui marque les temps aux sons des bassons qui avancent. Marche inexorable où cuivres, cymbales et grosse caisse ne laissent aucune alternative au déferlement des timbales. Le mystère de la Nuit de sabbat est un songe onirique où les alti grinçants et le col legno des archets font entendre les ossements qui s’entrechoquent jusqu’aux ricanements des sorcières joués par la petite clarinette, les cloches sonnant le glas sur un choral de trombones. Un Dies irae funèbre pour le jour du jugement. L’orchestre, au mieux de sa forme emporté par la fougue de son jeune chef, a su faire ressortir les couleurs, les atmosphères voulues par le compositeur dans une fresque imagée et sonore. Un tonnerre d’applaudissements. Photo Gromelle
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Firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino: “L’elisir d’amore”

gbopera - Ven, 11/07/2025 - 19:23

Stagione estiva 2025 – Cavea del Teatro del Maggio
L’ELISIR D’AMORE”
Melodramma giocoso in due atti, su libretto di Felice Romani
Musica di Gaetano Donizetti
Adina LAVINIA BINI
Nemorino ANTONIO MANDRILLO
Belcore HAE KANG
Dulcamara ROBERTO DE CANDIA
Giannetta ALOISIA DE NARDIS
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Alessandro Bonato
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia Roberto Catalano
Scene Emanuele Sinisi
Costumi Ilaria Ariemme
Luci Oscar Frosio
Nuovo allestimento in coproduzione con la Fondazione Haydn di Bolzano e Trento
Firenze, 9 luglio 2025
Sotto la nuova veste dovuta all’installazione di 1000 sedute, che hanno accolto gli spettatori con maggiore comfort, la cavea del Maggio Musicale Fiorentino torna operativa per la seconda recita de “L’elisir d’amore” estivo. La scena di Emanuele Sinisi c’introduce all’interno di un parco urbano di periferia, dove un’Adina bambina gioca con spensieratezza col suo primo fidanzatino, divertendosi sull’altalena del parco. La prima delusione infantile non tarderà, però, a venire, quando poco dopo, sotto gli occhi di un artista di strada, la bimba viene abbandonata dal suo compagno di giochi, che la fa cadere dall’altalena, suscitando in lei una ferita indelebile. Ed è proprio su questa ferita che la regia di Roberto Catalano insiste, mostrandoci come anni dopo Adina sia una caporeparto professionale, impegnata a revisionare con freddezza i conti del reparto, al riparo di una corazza che inibisce la breccia di un nuovo amore. Spostando lo sguardo, i moderni e casual costumi di Ilaria Ariemme confermano l’ipotesi di uno spaccato di società, intenta a consumare la pausa pranzo nel medesimo parco, dove le luci di Oscar Frosio prolungano la staticità di una collettività frivola, volgendo sui toni del blu giusto sulla parentesi seria data dalla celebre romanza del tenore. Anche Nemorino, goffo manutentore, fa eccezione, con la sua profonda e sensibile capacità di amare, risultando un pesce fuor d’acqua oggetto di continui scherni, totalmente opposto a Belcore, che invece incarna perfettamente l’ideale celebrato dall’immaginario collettivo. Ed ecco che nel gioco dei pochi personaggi che reggono l’opera, anche Dulcamara acquista una luce particolare: sarà proprio quell’artista di strada che aveva offerto aiuto alla piccola Adina a dare nuova spensieratezza ai frequentatori del parco e a riscattare la protagonista, sotto la burla di un filtro dei desideri che altro non è che vino da tavola, prima, e l’acqua pubblica del fontanello, poi. Così, Adina torna a cullarsi sull’altalena, fiduciosa in un inatteso epilogo d’amore. Scevra da alcune varianti di tradizione e piuttosto aderente a partitura e libretto, la direzione di Alessandro Bonato si concentra sulla caratterizzazione in musica dei personaggi e l’alternanza tra sezioni dialogiche e liriche, all’interno di una direzione frizzante, dalle sonorità contenute. Più che insistere sulla dinamica o sulla sontuosità delle scene di folla dal retrogusto militaresco, il giovane direttore sembra affascinato dall’attenzione alle indicazioni agogiche, assai dettagliate in partitura, per una vivida resa dei cambi di tempo entro lo stesso numero musicale e una lettura studiatamente scorrevole. Sempre all’altezza della situazione, inoltre, la prova del coro guidato da Lorenzo Fratini, che assolve alle sue funzioni di spettatore, interlocutore e di contesto, sfoggiando una recitazione minuziosa e continua, all’altezza di quella centralità del coro tanto frequente nelle opere di Donizetti. Sul piano vocale, i cantanti che hanno dimostrato il miglior bilancio tra vocalità e resa complessiva sono stati i due baritoni. Hae Kang ha un timbro scuro e nitido, ben dispiegato nella saldezza delle eleganti linee melodiche di presa su Adina e guizzante sulla caratterizzazione del militaresco; mezzi che hanno ben trasmesso la peculiarità di un carattere piuttosto duro, bramoso di un amore che è più conquista che coronamento passionale. Grande l’attenzione all’espressività e alle movenze sceniche, mentre si riscontrava una minore duttilità nel cromatismo e nel canto d’agilità. Disinvolta anche la prova del Dulcamara di Roberto De Candia, ricca d’indugi, battute e modulazioni di tono, che hanno perlopiù restituito con originalità l’armamentario tipico del “buffo” e le qualità istrioniche da cantante-attore. Abile affabulatore e sicuramente a suo agio con la non particolarmente grave tessitura, all’interprete non è mancato di esibire la buona rotondità del registro medio-acuto e di districarsi con destrezza nei rapidi sillabati dall’accento sdrucciolo che tratteggiano la parte. A chiusura dei ruoli maschili, il giovane Nemorino di Antonio Mandrillo è un tenore lirico-leggero dal timbro chiaro e omogeneo in tutta l’estensione della parte, che affronta con elevato impegno attoriale. In quest’ottica, ci saremmo aspettati una maggiore levigatura del fraseggio e della resa coloristica, che indugia a muoversi da un recidivo mezzo-forte anche quando la voce dovrebbe sbocciare, forse per bilanciare agilità alle volte perfettibili. Il momento di minore timidezza vocale è senz’altro quello della romanza, dove pure qua e là la voce approda a suoni con qualche fissità di troppo e la tendenza al canto equilibrato smorza un po’ il consueto applauso. A confronto con l’intero cast, Lavinia Bini rimane l’interprete con i mezzi vocali più interessanti, soprattutto nel vellutato appoggio che pervade le malinconiche frasi di centro, nei soffici assottigliamenti che approcciano l’acuto e nella raffinatezza di alcuni passi virtuosistici, entro una resa attoriale ed espressiva di grande d’immedesimazione. Non sempre, però, ha mostrato la duttilità canora richiesta dalla scrittura, soprattutto al momento delle puntature acute (spesso tagliate) e della sbalzata cabaletta finale, risultando probabilmente più atta a ruoli maggiormente lirici e con minore salita sul pentagramma. Chiude il cerchio la Giannetta di Aloisia De Nardis, inizialmente un po’ sullo sfondo nei concertati, ma in seguito capace di rimarcare con pregnanza timbrica e di fraseggio gli scambi col coro. La recita termina poco prima della mezzanotte, nell’entusiasmo di un pubblico non troppo folto, ma ben disposto per la fresca temperatura e i generosi gelati offerti da Sammontana all’arrivo e durante l’intervallo.

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Napoli, Teatro di San Carlo: “Roberto Devereux” dal 16 al 22 luglio 2025

gbopera - Ven, 11/07/2025 - 18:15

Napoli, Teatro di San Carlo
“ROBERTO DEVEREUX”
Dal 16 al 22 luglio, al Teatro di San Carlo, va in scena Roberto Devereux: tragedia lirica in tre atti di Gaetano Donizetti su libretto di Salvadore Cammarano, tratto dalla tragedia di Jacques-François Ancelot Elisabeth d’Angleterre. La Prima è il 16 luglio 2025. Le date delle repliche sono le seguenti: 19 luglio, 22 luglio 2025.
Alla guida dell’Orchestra del San Carlo, Riccardo Frizza; Maestro del Coro: Fabrizio Cassi. La regia è a firma di Jetske Mijnssen, con drammaturgia di Luc Joosten, scene di Ben Baur, costumi di Klaus Bruns e luci di Cor van den Brink.
Nel ruolo di Elisabetta, Roberta Mantegna. Annalisa Stroppa interpreta, invece, Sara. Nel ruolo eponimo, Ismael Jordi. Il duca di Nottingham è, invece, interpretato da Nicola Alaimo. Completano il cast: Enrico Casari (Lord Cecil), Mariano Buccino (Sir Gualtiero Raleigh), Giacomo Mercaldo (Un cavaliere), Ciro Giordano Orsini (Un familiare di Nottingham). Una Coproduzione del Teatro di San Carlo, Dutch National Opera, Palau de les Arts Reina Sofia – Valencia. Qui per tutte le informazioni. Foto Prova Roberto Devereux / De Nationale Opera – DNO © Ben van Duin

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Roma, Teatro romano di Ostia Antica: “Antigone” 18-19 luglio 2025

gbopera - Ven, 11/07/2025 - 08:00

Roma, Teatro romano di Ostia Antica
ANTIGONE
di Jean Anouilh
adattamento e regia Roberto Latini
con (in o. a.) Silvia Battaglio (Ismene), Ilaria Drago (Emone), Manuela Kustermann (Nutrice), Roberto Latini (Antigone), Francesca Mazza (Creonte)
scene Gregorio Zurla
costumi Gianluca Sbicca
musica e suono Gianluca Misiti
luci e direzione tecnica Max Mugnai
foto Masiar Pasquali
produzione La Fabbrica dell’Attore Teatro Vascello e Teatro di Roma – Teatro Nazionale
Roberto Latini presenta una rilettura contemporanea dell’Antigone di Anouilh, ambientata nella Francia occupata e trasformata in una potente metafora della resistenza, esplora il conflitto eterno tra legge e coscienza. Antigone, figura archetipica che oltrepassa i confini del tempo, rimanendo eterna nella sua essenza, simbolo universale di ribellione diventa un’indagine intima sull’essenza dell’essere umano. In scena, un gioco di specchi tra Antigone e Creonte, un soliloquio a più voci che rileva le contraddizioni umane invitando il pubblico a riflettere sul significato dell’essere umano. La regia di Roberto Latini,  anche interprete di Antigone, dirige Manuela Kustermann (Nutrice) in un dialogo tra ragione, giustizia, leggi umane e morali. Coprodotto dal Teatro di Roma e La Fabbrica dell’Attore Teatro Vascello, il cast include anche Silvia Battaglio (Ismene), Ilaria Drago (Emone) e Francesca Mazza (Creonte). Qui per tutte le informazioni.

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Macerata, MOF Sferisterio: ” La Vedova Allegra” dal 18 luglio al 09 agosto 2025

gbopera - Ven, 11/07/2025 - 08:00

Macerata, MOF Sferisterio
LA VEDOVA ALLEGRA
Operetta in tre atti di Franz Lehár / VERSIONE ITALIANA
Libretto di Victor Léon e Leo Stein
Tratto dalla commedia di Henri Meilhac « L’Attaché d’ambassade »
Prima rappresentazione Vienna, Theater an der Wien, 30 dicembre 1905                                            
Traduzione e adattamento del testo a cura di Gianni Santucci
Per la prima volta allo Sferisterio La vedova allegra, celebre operetta in tre atti di Franz Lehár. La vicenda si svolge a Parigi, dove il conte Danilo, segretario dell’ambasciata del regno immaginario di Pontevedro, deve conquistare Hanna Glawari, una ricca vedova pontevedrina, per evitare che la sua fortuna venga trasferita fuori del piccolo regno prossimo alla bancarotta. La raffinata musica di Lehár, che spazia tra valzer, polke e mazurke e pagine come la “Romanza della Vilja” e il duetto “Tace il labbro” – amate e conosciute dal pubblico di tutto il mondo -, insieme alla trama che unisce romanticismo, momenti di leggerezza e l’eco di un’epoca al suo massimo splendore, fa sì che La vedova allegra, a 120 anni dalla sua prima esecuzione, continui a incantare spettatori di ogni generazione. Qui per tutte le informazioni.

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Roma, Palazzo delle Esposizioni: “Sergio Strizzi. Lo sguardo oltre il set”

gbopera - Mer, 09/07/2025 - 19:59

Roma, Palazzo delle Esposizioni
SERGIO STRIZZI. LO SGUARDO OLTRE IL SET
Sala Fontana
A cura di Melissa e Vanessa Strizzi
Mostra promossa dall’ Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e Azienda Speciale Palaexpo
realizzata da Azienda Speciale Palaexpo in collaborazione con Archivio Sergio Strizzi.
Roma, 09 luglio 2025
Non c’è star system, non c’è lustrino, non c’è flash da red carpet. C’è solo uno che guarda. Sempre, in silenzio, mentre tutto il resto fa casino. È Sergio Strizzi, uno che ha vissuto mezzo secolo di cinema con l’occhio del samurai e il passo felpato del ladro gentile. Non ha mai chiesto una posa, non ha mai detto “sorridi”. Eppure ha tirato fuori alcune delle immagini più sincere, spiazzanti e umane della storia del cinema italiano. Ora che la sua fotografia si prende tutta la Sala Fontana del Palazzo delle Esposizioni di Roma, con la mostra Lo sguardo oltre il set, ce lo ritroviamo davanti senza filtri: sessanta scatti, alcuni leggendari, altri mai visti prima, a dimostrarci che il backstage può essere più potente del film. Strizzi non cercava l’effetto. Trovava l’essenziale. Le sue foto non sono ricordi, sono fenditure. E dietro quella fenditura, ecco Monica Vitti, bellissima, verticale e ironica su un tetto milanese nel 1960. Lontana anni luce dal cliché della diva: fragile, incuriosita, reale. Il servizio realizzato da Strizzi alla Torre Galfa non è una seduta fotografica. È un film che non è mai stato girato. La Vitti non interpreta, si espone. E Strizzi fa la cosa più rivoluzionaria che può fare un fotografo: non disturba. Chi entra in questa mostra aspettandosi la sagra della nostalgia verrà deluso. Non c’è feticismo per la pellicola, né santini da appendere. Quello che emerge, semmai, è un senso quasi punk dell’immagine: fotografare significa spogliare. E Strizzi, armato della sua macchina fotografica, ha spogliato il cinema dalla sua retorica. Che siano le riprese di L’eclisse o una pausa sul set de La vita è bella, la logica è sempre la stessa: cercare la verità dove nessuno guarda. Sofia Loren mangia in mezzo alla folla durante le riprese de L’oro di Napoli e sembra un’apparizione pasoliniana. Antonioni sta zitto e pensa. Benigni è sorpreso mentre ancora non sa di star diventando una leggenda. Sono momenti senza aureola, e proprio per questo diventano eterni. Il vero colpo di scena è che Strizzi non ha mai avuto bisogno di gridare. Niente acrobazie estetiche, niente photoshop ante litteram, nessun culto del virtuosismo tecnico. Le sue immagini sono precise come una dichiarazione d’amore fatta in un giorno di pioggia: sanno dove colpire, senza far rumore. Quello che colpisce – a livello epidermico, emotivo e anche politico – è l’assoluta sobrietà dello sguardo. Strizzi non trasforma l’attore in personaggio. Fa il contrario. Ti mostra il momento in cui il personaggio cade, e sotto rimane l’essere umano. E lo fa con una gentilezza che oggi si è persa, travolta dall’estetica social dell’istantaneo, dell’iper-saturo, del selfie preconfezionato. Questa mostra è una lezione di sguardo. Non solo per chi ama il cinema, ma per chiunque senta il bisogno di tornare a vedere senza giudicare. Il cinema, quello vero, lo si riconosce nei dettagli: un microfono appeso, una sigaretta accesa fuori campo, un tecnico che regge una lampada come fosse un rito antico. Ecco, Strizzi è l’etnologo di quel mondo scomparso. Senza didascalie, senza moralismi, senza nostalgia. Con lo stesso rispetto con cui si fotografa un amore finito. Melissa e Vanessa Strizzi, che hanno curato la mostra, hanno fatto una scelta precisa: non spiegare troppo. Le immagini non vengono sovraccaricate di parole, non cercano consenso. Stanno lì, fiere, silenziose, a sfidarti. E se non le capisci, pazienza. Sono immagini pensate per chi ha ancora il coraggio di fermarsi. Di rallentare. Di sentire il peso leggero di uno sguardo che non ti vuole vendere nulla. Perché in fondo Sergio Strizzi non fotografava il cinema. Fotografava le sue pause. I suoi silenzi. Le crepe in cui il racconto si smarrisce e torna umano. Faceva ciò che oggi nessuno fa più: aspettava. E in quell’attesa, trovava l’immagine.

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