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Le Cantate di Johann Sebastian Bach: Ventiseiesima domenica dopo la Trinità

gbopera - Dom, 24/11/2024 - 08:19

Eseguita la prima volta a Lipsia, il 21 novembre 1723, la Cantata Wachet! betet! betet! wachet! BWV 70  è un ampiamento di una precedente Cantata destinata alla Seconda domenica di Avvento eseguita a Weimer il 6 dicembre 1716 Il tema è quello della seconda venuta di Cristo e del Giudizio Universale, e lo capiamo subito con la gloriosa introduzione delle trombe nel movimento di apertura! Dopo il ritornello orchestrale, il coro (Nr.1) entra senza accompagnamento per dare un tremendo preannuncio del Giudizio Universale.  Dopo il primo recitativo affidato al Basso (Nr.2) ancora dai toni drammatici, l’aria del contralto (Nr.3) è molto più rilassata, accompagnata da languide terzine di violoncello. L’aria di soprano (Nr.5) che segue il recitativo del tenore (Nr.4) è più vivace, con un accompagnamento di violino insistente e molto orecchiabile. Sembra che quest’aria sia stata presa da Bach da un’aria di basso dell’opera Almira di Handel, che dimostra come Bach abbia assorbito le influenze italiane nella sua musica. Un recitativo (Nr,6) e un semplice Corale (Nr.7) chiudono la prima metà della cantata. La seconda parte si apre con una bella aria del tenore (Nr.8) dal sapore vagamente  handeliano. Il recitativo del Basso (Nr.9) successivo vede il ritorno ad atmosfere più drammatiche,  un basso continuo potente, archi vibranti e la tromba che intona la melodia del Corale. Ma man mano che il testo diventa più consolante, la musica si calma. L’aria con da capo del basso (Nr.10) che segue inizia e termina con una melodia semplice e delicata, mentre l’anima contempla la beatitudine celeste, ma è interrotta nella parte centrale da accenti drammatici che ritornano a parlare del giorno del giudizio. Un semplice corale conclude la cantata.
Prima parte
1- Coro 
Vegliate! Pregate! Pregate! Vegliate!
Siate pronti
in ogni momento,
fino a quando il Signore della gloria
metterà fine a questo mondo.
2 – Recitativo  (Basso)
Temete, peccatori impenitenti!
Arriva un giorno
da cui nessuno può scampare:
si affretta per voi il severo giudizio,
o razza di peccatori,
per l’eterna tribolazione.
Ma per voi, prescelti figli di Dio,
è l’inizio della vera gioia.
Mentre tutto crolla e si distrugge,
il Salvatore vi convoca alla sua presenza;
perciò non abbiate paura!
3 – Aria (Contralto)
Quando verrà il giorno in cui partiremo
dall’Egitto di questo mondo?
Ah! Fuggiamo da Sodoma,
prima che il fuoco ci sommerga!
Svegliatevi, anime, dal vostro compiacimento
e credete, è l’ultima ora!
4 – Recitativo  (Tenore)
Anche se aspiriamo al cielo
il nostro corpo tiene prigioniero lo spirito;
con i suoi inganni il mondo
tende trappole e insidie ai giusti.
Lo spirito è pronto ma la carne è debole
e ci estorce un pietoso lamento!
5 – Aria  (soprano)
Lasciate che le lingue dei blasfemi ci
disprezzino, comunque dovrà avvenire
che noi vedremo Gesù
sulle nubi, nelle altezze celesti.
La terra e il cielo passeranno,
ma la parola di Cristo resterà per sempre.
Lasciate che le lingue dei blasfemi ci
disprezzino, comunque dovrà avvenire!
6 – Recitativo (Tenore)
In mezzo a tale generazione deviata
Dio si preoccuperà dei suoi servi,
in modo che questa stirpe malvagia
non li affligga ancora,
e li custodirà nelle sue mani
riservando un posto per loro nell’Eden celeste.
7 – Corale 
Gioisci, mia anima,
dimentica dolore e tristezza
poiché ora Cristo, tuo Signore,
ti raccoglie da questa valle di lacrime!
Potrai contemplare per l’eternità
la sua gioia e il suo splendore,
per rallegrarti con gli angeli
ed esultare per l’eternità.
Parte seconda
8 – Aria  (Tenore)
Alzate la testa
ed abbiate fiducia, giusti,
le vostre anime fioriranno!
Crescerete come fiori nell’Eden
per servire Dio in eterno.
9 – Recitativo  (Basso)
Ah, questo grande giorno,
la fine del mondo
e lo squillo della tromba,
l’inaudito colpo finale,
le parole proclamate dal Giudice,
le porte spalancate dell’inferno
risveglieranno nella mia anima
più dubbi, paura e terrore
in quanto figlio
del peccato?
Eppure dalla mia anima si eleva
un raggio di felicità, una luce di consolazione.
Il Salvatore non può celare il suo cuore
che trabocca di grazia,
il suo braccio misericordioso non mi abbandona.
Allora concludo il mio viaggio con gioia.
10 – Aria (Basso)
Giorno benedetto di rinascita,
conducimi nelle tue dimore!
Risuona, batti, ultimo colpo,
crollino il cielo e la terra!
Gesù mi condurrà alla pace,
al luogo in cui abbonda la gioia.
11 Corale
Non è alla terra, non è al cielo
che la mia anima aspira.
Io desidero Gesù e la sua luce,
egli mi ha riconciliato con Dio,
mi ha liberato dal giudizio,
non abbandonerò il mio Gesù.

Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Wachet! betet! betet! wachet!” BWV 70
Categorie: Musica corale

Mantova, Teatro Sociale, Mantova Live Theatre: “Balance of Power”

gbopera - Dom, 24/11/2024 - 00:36

Mantova, Teatro Sociale
Mantova Live Theatre
BALANCE OF POWER
PARSONS DANCE
Direttore Artistico David Parsons
Ballerini Zoey Anderson, Megan Garcia, Téa Pérez, Luke Romanzi, Joseph Cyranski, Justine Delius, Joanne Hwang, Luke Biddinger, Emerson Earnshaw
Lighting Designer Howell Binkley
Mantova, 21 novembre 2024
Spettatori in visibilio con applausi a scena aperta lungo gli intensi 70 minuti di questo spettacolo che raccoglie il favore anche del pubblico meno avvezzo alle coreografie di danza contemporanea. Infatti a David Parsons si riconosce il merito di saper orchestrare i passi di danza con la musica, opera del compositore e percussionista italiano Giancarlo De Trizio, dove anche i più piccoli movimenti dei danzatori sono in sincrono con le battute musicali. Questo binomio costituisce spettacolarità se viene poi a costituire la base di scenette, ammiccamenti e scaramucce tra i 9 ballerini della compagnia. Sono messi in scena assoli e danze di gruppo che vogliono rappresentare i rapporti interpersonali. Ben 6 le coreografie rappresentate senza soluzione di continuità, scandite dal veloce cambio di costumi eleganti e curati e di forte impatto, cambiati ad ogni scena. Nel gioco tra movimento e suono c’è la luce usata con padronanza dal pluripremiato lighting designer Howell Binkley, qui autore di atmosfere psichedeliche calde, con luci rosse e gialle. Il Balance of Power (tour 2024), pensato nel periodo della pandemia, sa valorizzare il talento di ogni singolo elemento della compagnia, espressione di una danza vibrante e radiosa che prende, emoziona e coinvolge per la sua carica di energia e positività acrobatica e comunicativa al tempo stesso. Balance of Power è il potere dell’equilibrio tra la danza e la musica, come tra il buio e il silenzio e lo si intuisce bene in Caught una coreografia di straordinaria teatralità, nonché definita dalla critica una tra le più belle degli ultimi tempi: un assolo, sulle note di Let The Power Fall, nel quale la danzatrice, con forte virtuosismo, sembra sospesa in aria grazie al gioco di luci stroboscopiche. Un classico è invece Takademe, assolo, pensato da un ex ballerino della compagnia, in cui il danzatore rappresenta movimenti acrobatici che poggiano sui ritmi e movimenti della danza indiana. A seguire Juke, che nel programma di sala si legge essere un omaggio al leggendario jazzista Miles Davis, e agli anni ’70. Qui si sfoggia il vero talento dei danzatori grazie a una commistione di composizioni coreografiche. Sempre intorno alla musica ruota The Shape of Us, l’ultima creazione di David Parsons: qui i ballerini si esplorano scoprendo i loro legami racchiusi nella loro bellezza. Chiude la serata Whirlaway, sulle note che spaziano dal Rockabilly & Twist al Blues, passando per tutta la gamma del jazz, una coreografia che è continuata sullo stage, per acclamazione del pubblico, anche dopo la chiusura del sipario. Un potpourri di assoli e di coppie che si rimescolano continuamente, un vero e proprio inno alla vita. Photocredit Rachel Neville

 

Categorie: Musica corale

Napoli, Teatro di San Carlo: Inaugurazione Stagione di Concerti 2024/25 “Dan Ettinger, Gabriele Pieranunzi, Pierluigi Sanarica”

gbopera - Dom, 24/11/2024 - 00:25

Napoli, Teatro di San Carlo
Direttore | Dan Ettinger
Violino | Gabriele Pieranunzi
Violoncello | Pierluigi Sanarica
Inaugurazione Stagione di Concerti 2024/25
Programma
Robert Schumann, Sinfonia n. 4 in re minore, op. 120
Johannes Brahms, Doppio concerto per violino, violoncello e orchestra in la minore, op. 102
Orchestra del Teatro di San Carlo
La stagione sinfonica 2024/2025 del Teatro San Carlo di Napoli si apre nel segno del Romanticismo musicale, incarnando le vette espressive di un’epoca che ha saputo trasfigurare il tumulto interiore in linguaggio orchestrale. Questo evento inaugurale, previsto per domenica 24 Novembre sotto la direzione dell’eminente maestro Dan Ettinger, vedrà l’Orchestra del Lirico partenopeo impegnata in un programma che celebra due colonne portanti del repertorio romantico: Robert Schumann e Johannes Brahms. La serata sarà ulteriormente impreziosita dalla presenza di due acclamati solisti, figure di riferimento del panorama musicale contemporaneo, Gabriele Pieranunzi al violino e Pierluigi Sanarica al violoncello, che offriranno una lettura personale e intimamente partecipata di due opere di grande intensità lirica. L’apertura sarà affidata alla Sinfonia n. 4 in re minore, op. 120 di Schumann, un’opera che, nella sua dimensione di sperimentazione e arditezza formale, incarna il dinamismo di un’estetica in costante tensione verso l’innovazione. Composta nell’estate del 1841, nel cosiddetto “anno sinfonico” del compositore, questa sinfonia testimonia il fervore creativo di Schumann, il quale, in una stagione particolarmente prolifica, cercava di ridefinire il linguaggio orchestrale secondo canoni di organicità e unitarietà tematica. La prima esecuzione al Gewandhaus di Lipsia, però, non ottenne il favore del pubblico, forse per l’audacia delle soluzioni adottate, percepite come eccessivamente ardite per il gusto dell’epoca. Tuttavia, nel 1852 Schumann decise di rielaborare profondamente la partitura, creando una versione che ne valorizza appieno la coerenza interna e la continuità dei materiali tematici. La peculiarità della Sinfonia n. 4 risiede infatti nella concezione unitaria della forma: i quattro movimenti sono concepiti come sezioni di un organismo unico, in cui la transizione tra una parte e l’altra avviene senza soluzione di continuità, in un fluire ininterrotto di idee musicali che, pur mutando nel carattere, mantengono una radice comune. Questo principio di unità ciclica non solo riflette il desiderio di Schumann di superare la frammentazione tipica delle sinfonie classiche, ma esprime anche una visione filosofica più ampia, legata all’idea romantica di un cosmo coerente e organico, in cui ogni parte è intimamente connessa al tutto. Attraverso l’uso di leitmotiv che si ripresentano e si trasformano, Schumann crea un tessuto musicale in cui l’ascoltatore viene condotto per mano lungo un percorso emozionale che evolve costantemente, pur restando fedele a se stesso. A seguire, il programma prevede il Doppio concerto per violino, violoncello e orchestra in la minore, op. 102 di Johannes Brahms, l’ultima opera sinfonica del compositore, scritta nel 1887. In questo lavoro, Brahms si rivolge al passato, riprendendo la forma barocca del Concerto grosso, ma la piega alle esigenze del linguaggio romantico, fondendo l’antico e il moderno in una sintesi perfettamente equilibrata. Il Doppio concerto è infatti un’opera che gioca sul dialogo, non solo tra i due strumenti solisti, ma anche tra questi e l’orchestra. Il violino e il violoncello si alternano, si rincorrono, si sovrappongono, dando vita a un tessuto musicale di straordinaria complessità, in cui ogni voce mantiene la propria individualità pur contribuendo all’insieme. Il recupero della forma concertistica barocca da parte di Brahms non è mero esercizio di stile, ma risponde a un’esigenza poetica profonda: quella di stabilire un ponte tra passato e presente, tra la tradizione e la sua rielaborazione contemporanea. Il Doppio concerto si presenta così come un esempio di neoclassicismo romantico, in cui la forma classica viene rivestita di nuove potenzialità espressive. Nei tre movimenti dell’opera, si passa da momenti di lirismo intimo, in cui il violino e il violoncello sembrano quasi cantare all’unisono, a sezioni di grande energia ritmica, in cui la scrittura orchestrale si fa densa e articolata, creando un clima di tensione drammatica che culmina nel brillante finale. Questa serata inaugurale non è solo un omaggio al Romanticismo musicale, ma rappresenta anche un tributo alla memoria di Giulia Romito, una figura di spicco nel mondo del teatro lirico partenopeo, scomparsa prematuramente all’età di 44 anni. Giulia Romito, giornalista e addetta stampa del Teatro San Carlo, è stata una presenza costante e instancabile nel dietro le quinte del teatro, contribuendo con la sua passione e il suo impegno a rendere accessibile e comprensibile la grande musica a un pubblico sempre più vasto. Dedicarle questa stagione sinfonica è un modo per onorarne la memoria e per ricordare l’importanza di coloro che, pur non essendo sotto i riflettori, contribuiscono in maniera determinante al successo di ogni rappresentazione. Sul podio, Dan Ettinger saprà certamente valorizzare le peculiarità di un programma tanto impegnativo quanto affascinante. La sua direzione, caratterizzata da una perfetta fusione di rigore tecnico e passione emotiva, è garanzia di un’interpretazione che saprà rendere giustizia alla complessità delle partiture in programma. L’Orchestra del Lirico napoletano, sotto la sua guida, si conferma una delle più raffinate formazioni del panorama musicale italiano, capace di affrontare con maestria le sfide poste da opere di grande spessore come quelle di Schumann e Brahms. I solisti della serata, Gabriele Pieranunzi e Pierluigi Sanarica, sono musicisti di straordinaria sensibilità e talento, in grado di affrontare il repertorio romantico con un’intensità interpretativa che ne valorizza ogni sfumatura. Pieranunzi, violino concertante dell’orchestra, è rinomato per il suo approccio virtuosistico, ma al tempo stesso profondamente espressivo, capace di dar voce alle emozioni più intime delle opere che interpreta. Sanarica, primo violoncello, è un artista che unisce una tecnica impeccabile a una capacità di comunicare attraverso il suono che rende ogni sua esecuzione un momento di autentica poesia. In un mondo sempre più frammentato e complesso, la musica rappresenta un linguaggio universale, capace di superare le barriere culturali e di parlare direttamente all’animo umano. Il programma proposto, con le sue profonde implicazioni emotive e intellettuali, invita il pubblico a lasciarsi trasportare dalla bellezza e a riscoprire, attraverso l’arte, quel senso di unità e di armonia che sembra spesso sfuggirci nella vita quotidiana.

Categorie: Musica corale

Napoli, Teatro di San Carlo: “Rusalka”

gbopera - Sab, 23/11/2024 - 23:27

Napoli, Teatro di San Carlo, Inaugurazione Stagione d’opera e danza 2024/25
“RUSALKA”
Fiaba lirica in tre atti di Antonín Dvořák
Libretto di Jaroslav Kvapil
Il Principe ADAM SMITH
La Principessa straniera EKATERINA GUBANOVA
Rusalka ASMIK GRIGORIAN
Vodník GABOR BRETZ
Ježibaba ANITA RACHVELISHVILI
Il guardiacaccia (nel libretto originale, Padre di Rusalka) PETER HOARE
Lo Sguattero (nel libretto originale, Madre di Rusalka) MARIA RICCARDA WESSELING
Prima ninfa JULIETTA ALEKSANYAN
Seconda ninfa IULIA MARIA DAN
Terza ninfa VALENTINA PLUZHNIKOVA
Il cacciatore ANDREY ZHILIKHOVSKY
Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Direttore Dan Ettinger
Maestro del Coro Fabrizio Cassi
Regia e Scene Dmitri Tcherniakov
Costumi Elena Zaytseva
Luci Gleb Filshtinsky
Video Designer Alexej Poluboyarinov
Lead Animation Artist Maria Kalatozishvili
Drammaturgia Tatiana Werestschagina
Nuova Produzione del Teatro di San Carlo
Napoli, 20 novembre 2024
È possibile osservare e vivere il teatro d’opera come un esperimento «artistico». Ciò, però, può avvenire soltanto se una rappresentazione diventa zona-esperimento, per dirla con Gilles Deleuze, di «interdisciplinarità»: uno spazio «creativo», entro cui possono convergere vari linguaggi e mezzi espressivi, anche formalmente «diversi» tra loro. L’incontro genera irrimediabili «contraddizioni», apparentemente risolvibili soltanto se lo spettatore accetta di osservare «emotivamente» l’evento teatrale, e non «razionalisticamente»; risolvibili, dunque, soltanto accettando l’inevitabile separazione del teatro d’opera (e dell’arte, in generale) dalla realtà empirica, parafrasando Theodor Adorno. Il teatro d’opera non può (e non deve, in fondo) riprodurre o restituire la realtà in un modo coerentemente realistico. Pertanto, eventuali inverosimiglianze sono strutturalmente inevitabili, soprattutto quando un’opera lirica ha già un’essenza totalmente favolistica. Parliamo di Rusalka, fiaba in tre atti composta da Antonín Dvořák nel 1900, la cui prima rappresentazione ebbe luogo il 31 marzo del 1901, al Teatro Nazionale di Praga. L’opera, che ha inaugurato la Stagione 2024/25 del Teatro di San Carlo, appare come un momento poeticamente irrealistico: il progetto registico e scenografico, firmato da Dmitri Tcherniakov, assume la forma d’un irrisolvibile teorema – perché nega a se stesso una eventuale possibilità di essere «totalmente» e definitivamente qualcosa. La natura potentemente frammentaria della rappresentazione risiede nell’ibridismo linguistico che la determina, e sembra alludere all’indefinita identità della protagonista, Rusalka: una creatura acquatica che ama come una donna, ma non ha un corpo per farlo effettivamente. Questa eterogeneità riguarda anche la struttura corporea della rappresentazione, determinata non soltanto dal linguaggio teatrale, ma anche da quello cinematografico (organizzato da Tatiana Werestschagina, autrice della drammaturgia); una rappresentazione caratterizzata da una disposizione «verticale» dei due linguaggi: immagini fumettistiche (curate anche da Alexej Poluboyarinov e Maria Kalatozishvili) proiettate su di una tenda nera che, all’occorrenza, si apre in strette forme geometriche e «finestre»; in micro spazi (determinati dalle nitide luci di Gleb Filshtinsky), entro cui i personaggi cantano soltanto, perché l’azione è totalmente demandata alle proiezioni di immagini animate. La trama del «film animato» pretende di risolvere i fatti favolistici immergendoli in una realtà contemporanea. La cosa può apparire innovativa, ma, come detto sopra, può anche creare inevitabili contraddizioni «strutturali», perché le due trame (quella operistica e quella fumettistica) non si intrecciano, ma si sovrappongono. Il taglio cinematografico dell’opera, però, è costantemente sostenuto e vivificato da un continuum sonoro romanticamente drammatico e seducente, che Dan Ettinger, alla testa dell’Orchestra del San Carlo, riesce nitidamente a governare: pura materia sonora, determinata da momenti d’estrema introspezione affettiva e da un espressionistico ricorso a scatenamenti d’una energia pressoché mitica e «primitiva»; elementi stupendamente riecheggianti non soltanto la natura graziosamente magica e fiabesca dell’opera, ma anche i «disagi» psicoanalitici, come la frantumazione dell’Io, che iniziavano a determinare le opere fin de siècle. Figure melodiche tragicamente espanse, cariche d’una disperata sensualità, conferiscono inventiva coloristica alla strumentazione; rarefatte e suggestive atmosfere sonore riescono a restituire, invece, il carattere espressivo e l’integrità compositiva di un’impostazione stilistica tardo-romantica, organicamente costituita da elementi strutturali tipicamente wagneriani (come, ad esempio, le omogenee transizioni da un motivo all’altro) e i dati poetici di matrice folclorica e popolare (boema e slava) del libretto, scritto da Jaroslav Kvapil. Esito felice per la compagnia canora. Il soprano Asmik Grigorian risolve la parte di Rusalka con un linguaggio melodico intriso di drammatica maturità. Voce teatralmente «accogliente» e morbida, soprattutto quando sfocia in un seducente e romantico sentimentalismo e in un lirismo carico d’affetto (come accade nell’aria lunare dell’Atto I). Vanta, dunque, una voce cromaticamente variegata – caratterizzata da un’interessante polivalenza drammatica, che garantisce all’attrice-cantante di restituire appropriatamente anche la disperazione d’una creatura acquatica costretta in un non-corpo che detesta. Un mirabile dinamismo vocale, determinato da omogeneità d’emissione e purezza stilistica. Lei, perdutamente innamorata del Principe, interpretato da Adam Smith. Il tenore garantisce al suo personaggio una voce potentemente declamante e un’efficace duttilità espressiva. Sfoggia un temperamento energico, vigorosamente proteso a soddisfare le esigenze drammatiche della parte, quella d’un personaggio dall’Io irrimediabilmente fratturato, perché determinato da atteggiamenti scattanti e momenti d’estrema introspezione sentimentalista. Una personalità dal carattere variegato, la cui natura riecheggia anche nell’ampio ventaglio timbrico, notevolmente governato anche nelle zone impervie della tessitura acuta. Nel ruolo di Ježibaba, invece, Anita Rachvelishvili: il mezzosoprano presta alla strega un timbro marcatamente scuro, dall’innegabile bellezza, e un’intensità di volume che l’artista utilizza teatralmente per la costruzione d’un personaggio dal temperamento sorprendentemente glaciale, determinato da accenti vigorosi e un uso «espressionistico» della voce, soprattutto nella zona grave. Parimenti ottima l’interpretazione del mezzosoprano Ekaterina Gubanova, che garantisce alla sua Principessa straniera un atteggiamento scenico intriso di febbrile sensualità, caratterizzato da solidità vocale ed efficacia interpretativa. Il baritono Gabor Bretz (Vodník) padroneggia, invece, un’energica e tonante vocalità. Validi, scenicamente e vocalmente, anche gli altri interpreti: Peter Hoare (Padre di Rusalka; nel libretto originale, Il guardiacaccia), Maria Riccarda Wesseling (Madre di Rusalka; nel libretto originale, Lo sguattero), Julietta Aleksanyan (Prima ninfa), Iulia Maria Dan (Seconda ninfa), Valentina Pluzhnikova (Terza ninfa), Andrey Zhilikhovsky (Il cacciatore). Tutti avvolti nei particolari e colorati costumi di Elena Zaytseva. Ottimo anche l’apporto del Coro del San Carlo, vocalmente inappuntabile, magistralmente preparato da Fabrizio Cassi. Al netto di contestazioni rivolte soprattutto alla «novità» rivoluzionaria dell’allestimento, la rappresentazione è stata accolta dal pubblico con vivo entusiasmo. Foto Luciano Romano

Categorie: Musica corale

Amici della Musica di Firenze: Concerto dell’ensemble “L’Astrée”

gbopera - Sab, 23/11/2024 - 12:51

Firenze, Teatro Niccolini, Stagione Concertistica degli Amici della Musica di Firenze 2024/25
“L’ASTRÉE”
Voci recitanti Sandro Cappelletto, Laura Torelli
Violini Francesco D’Orazio, Paola Nervi
Violoncello Daniele Bovo
Tiorba Pietro Prosser
Clavicembalo Giorgio Tabacco
Andrea Falconiero: Batalla de Barabasso y Satanas; Folias echa para mi Senora Dona Tarolilla de Caralleno; Luciano Berio: Dai “Duetti per due violini”: Peppino, Alfredo; Arcangelo Corelli: Sonata in re minore op. 5 n. 12, “La Follia”, per violino e basso continuo; Luciano Berio: Dai “Duetti per due violini”: Annie, Aldo; Marco Uccellini:La Vittoria Trionfante”, Sonata per violino e basso continuo; Antonio Vivaldi: Sonata a tre in sol maggiore, RV 71, per due violini e basso continuo; Sonata a tre in si bemolle maggiore, RV 77, per due violini e basso continuo; Sonata a tre in re minore, “La Follia”, RV 63, per due violini e basso continuo.
Firenze, 17 novembre 2024
L’ Astrée, ensemble di musica barocca, già a Firenze il 19 gennaio 2023, è ritornato per gli Amici della Musica con un’accattivante narrazione fuori dai consueti stereotipi. Il gruppo era consapevole che «chi non sa far stupir, vada alla striglia!», mentre il pubblico, visti gli interventi di Sandro Cappelletto (ideatore dei testi) e Laura Torelli, voci recitanti, si affidava alla loro guida in un percorso ove la protagonista era la musica italiana con autori barocchi inframmezzati da ‘incursioni’ su Luciano Berio di cui nel 2025 ricorre il centenario della nascita. Di quest’ultimo si sono ascoltati dei Duetti per due violini composti tra il 1979 e il 1981: Peppino (Di Giugno), Alfred (Schlee), Annie (Neuburger), Aldo (Bennici). Trattasi di musiche, secondo le intenzioni del compositore, dove sono «nascoste ragioni e occasioni personali» e che, pur attraverso linguaggi ed architetture diverse dalla musica barocca, strizzano l’occhio al ‘virtuosismo’ delle Sequenze o a Gesti (1966) concepito per flauto dolce (treble recorder) e dedicato a Frans Brüggen. Contaminazioni artistiche in cui le battaglie e le follie, tema portante del concerto, richiedevano particolare attenzione non disgiunta da un’adesione al Quaerendo invenietis di bachiana memoria. Occorreva ‘cercare’ tra testi, suoni e immagini quanto veniva proposto in itinere e per percepire la ‘follia’ si doveva attivare una vivifica immaginazione. La varietà degli strumenti utilizzati appariva reminiscenza di scene musicali di opere di Tintoretto o Tiepolo, mentre i musicisti sembravano personaggi di commedie goldoniane intenti in animate conversazioni su un programma che spaziava dalle musiche del napoletano Falconiero al veneziano Vivaldi. Se consideriamo perno del programma La Follia di Corelli (nume della sonata a tre), è stato come attraversare un periodo tra il XVII e XVIII secolo in cui si potevano percepire stili musicali e frammenti di storia e di pensieri. Il virtuosismo dei musicisti ha offerto eleganza, cantabilità e musicalità; inoltre ogni dettaglio dell’interpretazione, oltre a stupire l’ascoltatore, esprimeva lo stile e la poetica dei compositori. Nella forma della sonata violinistica e della sonata a tre barocca (non è casuale se tre dei compositori in programma erano anche violinisti), dal punto di vista esecutivo si potevano cogliere sia le qualità interpretative dell’ensemble sia il rigore nel restituire, da parte dei due violinisti e nella linea del basso, la limpida scrittura contrappuntistica. Le imitazioni, il chiaro fraseggio, i respiri, i colori e le concordi intenzioni interpretative, anche quando il gruppo era al completo, per il preciso scambio delle parti dei due violini (sovente grazie alla restituzione del melos in contrappunto all’ottava e al rapporto musicale simbiotico tra Francesco D’Orazio e Paola Nervi), facevano percepire un unico cantus e bassus ben articolato ed espressivo grazie al bel fraseggio di Daniele Bovo (violoncello), di Pietro Prosser (tiorba) e di Giorgio Tabacco (clavicembalo) con il compito di realizzare il basso continuo ed esprimere strutture armoniche, anche se in certi casi stereotipate, ma pur sempre affascinanti. Nella magnificenza della retorica barocca e in riferimento al tema della battaglia non poteva mancare la figura del vincitore che, per assurdo, può trasformarsi in perdente. Se con La Vittoria Trionfante si presuppone la resa dell’avversario, nell’intonazione del testo tassiano (tratto dalla Gerusalemme liberata) da parte di Monteverdi con il Combattimento di Tancredi e Clorinda, può accadere di uccidere la donna amata. Lo ha sottolineato Cappelletto insieme a Tabacco che intonava l’incipit del madrigale rappresentativo accompagnandosi al clavicembalo. Poteva sembrare un fuori programma ma invece era coerente con le idee del progetto. Il tema del concerto, grazie alla redazione dei testi che ha preso l’avvio dal 1609, anno in cui Galileo si reca a Venezia con il suo cannocchiale, è stato talmente scandagliato che poteva essere recepito come mancanza di senno di un’umanità smarrita. In realtà, grazie all’inventio dei compositori e alla bella interpretazione dell’ensemble, si è compreso quanto la reiterazione di accordi su cui si edifica il tema musicale di otto battute de La Follia possa rappresentare la lanterna di Diogene alla ricerca dell’uomo, nonché il viatico necessario per trasformare le avversità della vita in cimento, armonia, estro e quant’altro. Sono tutti elementi presenti nel brano finale di Vivaldi ove – nonostante i rimandi del tema del concerto agli orrori di guerre, battaglie e follie – la musica e le ammalianti ‘virtù’ interpretative de L’Astrée, hanno convinto il pubblico della potenza e bellezza di un programma in cui l’ascolto non poteva dissociarsi da un pensiero critico e pur sempre creativo. Foto di Luisa Santacesaria

Categorie: Musica corale

Gioacchino Rossini (1792 – 1868): “Ermione” (1819)

gbopera - Sab, 23/11/2024 - 08:17

Azione tragica in due su libretto di Leone Tottola. Serena Farnocchia (Ermione), Aurora Faggioli (Andromaca), Moisés Marín (Pirro), Patrick Kabongo (Oreste), Chuan Wang (Pilade), Junsung Gabriel Park (Fenicio), Mariana Poltorak (Cleone), Katarzyna Guran (Cefisa), Bartosz Jankowski (Attalo). Kraków Philharmonic Chorus, Marcin Wróbel (maestro del coro), Kraków Philharmonic Orchestra, Antonino Fogliani (direttore). Registrazione. Bad Wildbad. Trinkhalle, 16 e 23 giugno 2023. 2 CD NAXOS
La collaborazione tra la casa editrice Naxos e il festival di Bad Wildbad è ormai rodata e ha fornito anche ottime registrazioni. Questa volta oggetto di pubblicazione è “Ermione” , l’opera seria di Rosini allestita per l’edizione 2022 del festival. “Ermione” è uno dei lavori più originali e al contempo più complessi del pesarese. Quintessenza della tragedia neoclassica da un lato si arricchisce di una cura orchestrale in cui è evidente la conoscenza delle esperienze viennesi e più ampliamente mitteleuropee – qui Rossini comincia a essere quel “tedeschino” che sarà pienamente in “Zelmira”, opera che per molti versi è il compimento di quanto seminato con “Ermione” – dall’altro è il cimento della più estrema vocalità belcantista chiamata a esaltare le doti di una compagnia di fuoriclasse – Colbran, David, Nozzari – spinti fino al limite delle loro possibilità.
Un piccolo festival con possibilità ridotte come quello tedesco compie sicuramente un azzardo non da poco ad allestire un titolo così impegnativa ma bisogna riconoscere che il risultato finale risulta migliore di quanto le premesse lasciassero presagire.
Direttore di lunga esperienza rossiniana e presenta abituale sul podio del festival Antonino Fogliani fornisce una prestazione altalenante. Sicuramente il direttore ha mestiere e riesce a far rendere al meglio e con buon rigore stilistico complessi dignitosi ma di certo non di primissimo livello come quelli della Filarmonica di Cracovia. Non aiuta a riguardo la registrazione che se concede una bella presenza alle voci risulta un poco sorda per quanto riguarda l’orchestra. Lasciamo invece qualche perplessità le scelte agogiche non nei momenti più lirici e distesi, colti nel giusto clima e con belle sonorità, ma in quelli più concitati dove il direttore sembra dominato da una smania di forzare i ritmi rischiando più volte di far scivolare la concitazione drammatica di molti momenti in toni da opera buffa. Si ascoltino le strette così rapide e caricate da perdere di coerenza drammatica sostituita da eccessi sonori e dinamici poco in linea con l’atmosfera generale.
Il cast non può contare su autentiche stelle come quelle per cui vennero pensati i singoli ruoli ma può contare su professionisti volenterosi e attenti che riescono a portare in porto i loro cimenti quasi oltre le loro possibilità. Unica veterana del cast Serena Farnocchia affronta il ruolo della protagonista con una voce solida e sicura, capace di reggere con professionalità una tessitura ampia e non certo agevole. Il timbro non manca di asprezza ma per fortuna il ruolo concede non poco al riguardo specie quando l’interprete può far valere un temperamento ardente e un accento drammatico e intenso. Sul piano prettamente vocale si nota qualche durezza mentre su quello interpretativo la Farnocchia, cantante dal repertorio ecclettico in cui il bel canto non gioco un ruolo centrale, manca un po’ di aplomb stilistica virando il personaggio verso moduli espressivi che saranno dei repertori a venire.
Il congolese Patrick Kabongo ci era parso fuori ruolo nella “Lucie de Lammermoor” bergamasca, qui ci appare più in parte e regge con sicurezza la tessitura acutissima della parte di Oreste. La voce non è grande ma la buona ripresa sonora lo favorisce al riguardo, il timbro piacevole, gli acuti falici e squillanti. La cavatina “Reggia abborrita” è cantata con gusto e in modo più che convincente anche nei passaggi di coloratura in zone acute e nei duetti con Ermione trova anche un interessante accento drammatico. Non può competere con i mostri sacri che hanno in passato affrontato il ruolo ma gli va riconosciuto di uscirne con onore.
La parte di Pirro con la sue tessitura amplissima da autentico baritenore è forse ancor più impegnativa. Il giovane tenore spagnolo Moisés Marin l’affronta con slancio e facendo affidamento su una voce robusta nei centri e timbricamente ben distinta da quella di Kabongo. Gli acuti sono ricchi e svettanti mentre il settore grave non ha sempre la ricchezza di suono che si vorrebbe. La prestazione risulta però più che sufficiente anche sul piano interpretativo dove riesce a trasmettere l’autorità regale del personaggio.
Andromaca è Aurora Faggioli giovane mezzosoprano dal timbro morbido e scuro, assai interessante. Ancora un po’ acerba sul versante espressivo – il ruolo nella sua passivita tende naturalmente a ridursi alla sola dimensione musicale – è però molto musicale e risolve con precisione tutte le difficoltà delle parte.
Tra i ruoli di contorno spicca lo squillante Pilade di Chuan Wang, giovane tenore cinese che avevamo già apprezzato nelle sue esibizioni rossiniane a Novara. Solido ed efficacie il Fenicio di Jungsung Gabriel Park, nel complesso funzionali il Cleone di Mariana Potronak e la Cefisa di Katarzyna Guran, abbastanza sgraziato Bartosz Jakowski come Attalo.

 

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Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia: ” Miti greci per principi dauni”

gbopera - Ven, 22/11/2024 - 20:18

Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia
Miti Greci per Principi Dauni: Una Restituzione di Prestigiosi Reperti Archeologici all’Italia
La diplomazia culturale tra Italia e Germania celebra il ritorno di venticinque reperti di inestimabile valore, restituiti grazie a un’intesa internazionale e alla cooperazione delle più alte istituzioni di tutela del patrimonio culturale.
Roma, 22 novembre 2024
Oggi a Roma, presso il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, si è tenuta l’inaugurazione della mostra “Miti greci per principi dauni”, un evento di altissimo pregio culturale che sancisce la restituzione all’Italia di venticinque reperti archeologici di inestimabile valore. Alla cerimonia, presieduta dal Ministro della Cultura Alessandro Giuli, hanno preso parte eminenti personalità nel campo della tutela e della valorizzazione del patrimonio culturale. Tra questi, la direttrice del Museo, Luana Toniolo; il Direttore generale Musei e curatore della mostra, Massimo Osanna; il Capo Dipartimento per la tutela del patrimonio culturale e co-curatore Luigi La Rocca; il Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Roma, Giovanni Conzo; il Comandante dei Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale, Generale Francesco Gargaro; il Capo Dipartimento per la valorizzazione del patrimonio culturale, Alfonsina Russo, e l’Ambasciatore tedesco in Italia, Lucas Hans-Dieter. La mostra celebra il ritorno di un prestigioso gruppo di vasi apuli e attici a figure rosse, rinvenuti in contesti funerari e rappresentativi delle raffinate tradizioni pittoriche del IV secolo a.C., realizzati da ceramografi di acclamata maestria quali il Pittore di Dario e il Pittore dell’Oltretomba. Tali reperti, originariamente parte delle collezioni dell’Altes Museum di Berlino, sono stati restituiti all’Italia grazie a una sofisticata operazione di diplomazia culturale e di cooperazione giuridica, condotta dal Ministero della Cultura italiano in sinergia con i Carabinieri del Comando Tutela del Patrimonio Culturale. La restituzione è il frutto di un’intesa siglata il 13 giugno scorso tra i Ministeri della Cultura italiano e tedesco, la Fondazione per l’Eredità Culturale della Prussia (SPK) e l’Altes Museum di Berlino. L’accordo si inserisce in una più ampia strategia di contrasto al traffico illecito di beni archeologici, facilitato dalle indagini coordinate dalle Procure della Repubblica di Roma e Foggia. Grazie a tale sinergia, è stato possibile ricostruire le intricate vicende di esportazione illecita che coinvolsero i reperti, inizialmente acquisiti dal noto trafficante d’arte Giacomo Medici e successivamente venduti all’Altes Museum nel 1984, tramite il commerciante di antichità Christopher Leon, per la somma di 3 milioni di marchi. La collezione comprende anche vasi attici e lucani, testimonianze della complessità degli scambi culturali tra la Grecia e le popolazioni indigene della Penisola Italica. Il progetto espositivo – curato da Luigi La Rocca, Massimo Osanna e Luana Toniolo – rappresenta un esempio virtuoso di collaborazione tra istituzioni italiane e tedesche, ed è stato concepito con un allestimento immersivo e didattico, capace di restituire al pubblico la dimensione mitologica delle rappresentazioni figurate, nonché di narrare il contesto rituale e sociale in cui i vasi furono originariamente utilizzati. I materiali dauni, dopo l’esposizione a Villa Giulia, faranno ritorno in Puglia, dove saranno destinati all’istituendo Museo di Foggia presso Palazzo Filiasi, una volta completati i lavori di restauro e adeguamento funzionale in corso, che mirano alla realizzazione di un museo dedicato al contrasto allo scavo clandestino e alla tutela del patrimonio archeologico.

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Roma, Teatro Anfitrione: ” Il Favoloso Viaggio ” dal 21 al 24 novembre 2024

gbopera - Ven, 22/11/2024 - 17:38

Roma, Teatro Anfitrione
IL FAVOLOSO VIAGGIO
di e con Cinzia Grande e Andrea Lattari
Prod. Maner Manush, Roma
Lo spettacolo Il Favoloso Viaggio racconta la storia e le avventure dei commedianti Isabella Canali e Francesco Andreini, capocomici della Compagnia dei Gelosi, creatori di lazzi, storie, maschere e celebri personaggi: l’Innamorata Isabella e Capitan Spavento da Vall‘Inferna. Nel Rinascimento, attori girovaghi, viaggiando in carovane dall‘Italia in tutta Europa, presentarono nuovi personaggi in maschera.
I comici, attraversando paesi sconosciuti, incontrando differenti popoli e culture, si raccolsero nelle prime Compagnie professionistiche del Teatro, inventando un nuovo linguaggio, in seguito chiamato Commedia dell‘Arte. Francesco Andreini fu uno dei primi drammaturghi del Teatro Moderno e il suo personaggio, Capitano, ispirò attori e scrittori. Isabella Canali, talentuosa attrice e poetessa, incantò un pubblico internazionale, in tempi in cui recitare su un palcoscenico era ancora prerogativa esclusiva degli uomini, rappresentando un‘icona femminile rivoluzionaria. Dalla nascita delle prime compagnie di attori professionisti in Italia, continua il lungo viaggio del Teatro di Maschera sino ad oggi. Il Favoloso Viaggio percorre le tracce delle carovane dei comici, entrando nella vita degli attori, nel loro profondo rapporto con maschere e personaggi. Lo spettacolo mette in scena lazzi, canovacci antichi e originali, raccontando una storia reale e contemporanea di Teatro e attori. Qui per tutte le informazioni.

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La stagione del Teatro Regio di Torino apre nel segno di Mozart. “Le nozze di Figaro” in scena dal 23 novembre al 1 dicembre 2024.

gbopera - Ven, 22/11/2024 - 16:56

L’inaugurazione della Stagione d’Opera e di Balletto 2024/2025 del Regio è sabato 23 novembre alle ore 19 con “Le nozze di Figaro” di Wolfgang Amadeus Mozart. Sul podio dell’Orchestra e del Coro del Regio debutta il maestro Leonardo Sini, il Coro del Regio è istruito da Ulisse Trabacchin. I protagonisti sono artisti carismatici e affermati: Vito Priante (già Conte nell’edizione del 2015) e Monica Conesa sono il Conte e la Contessa, Giorgio Caoduro è Figaro, Giulia Semenzato Susanna, Josè Maria Lo Monaco (già apprezzata Rosina sul palcoscenico torinese) è Cherubino. Monica Conesa per indisposizione non potrà prendere parte alle prime due recite e sarà sostituita da Ruzan Mantashyan.
L’allestimento – per la prima volta in Italia – è del Teatro Regio di Torino e si basa sulla produzione originale del Teatro Real di Madrid (2009) in coproduzione con Asociación Bilbaína de Amigos de la Ópera (A.B.A.O.) la regia è di Emilo Sagi  con scene di Daniel Bianco e costumi di Renata Schussheim.
Torino e il Teatro Regio si confermano protagonisti della scena culturale, alternando due eventi di spicco: il 22 novembre il Teatro ospiterà l’inaugurazione del Torino Film Festival, collocata tra l’Anteprima Giovani e l’apertura della Stagione d’Opera e di Balletto 2024/2025. Questo connubio tra opera e cinema, già messo in luce con la trilogia Manon, testimonia la stretta collaborazione tra il Regio e il Museo Nazionale del Cinema, valorizzando il dialogo tra le due istituzioni e le rispettive arti.
Nei ruoli dei protagonisti si alternano: Jarrett Ott (il conte d’Almaviva), Kirsten MacKinnon (la contessa d’Almaviva), Christian Federici (Figaro), Martina Russomanno (Susanna), Siphokazi Molteno (Cherubino). Il cast si completa con: Chiara Tirotta (Marcellina), Andrea Concetti/ Giovanni Romeo (Bartolo), Juan José Medina (Basilio), Cristiano Olivieri (Don Curzio), Janusz Nosek (Antonio), Albina Tonkikh (Barbarina), Eugenia Braynova/Caterina Borruso (Prima contadina) e Daniela Valdenassi/Ivana Cravero (Seconda contadina). Molteno, Medina, Nosek, Tonkikh sono Artisti del Regio Ensemble.
Va in scena grazie al sostegno di Italgas, Socio Sostenitore del Teatro Regio di Torino.
Le recite proseguiranno fino al 1 dicembre, in alcune recite sarà attivo Opera Buffet il nuovo servizio al pubblico che permette di gustare un aperitivo in un’area dedicata nel Foyer del Toro. La durata prevista dello spettacolo è di circa tre ore e cinquanta minuti comprensiva degli intervalli.

Tutte le informazioni sono reperibili sul sito del Teatro Regio

https://www.teatroregio.torino.it/opera-e-balletto-2024-2025/le-nozze-di-figaro

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Roma, Sala Umberto: “Jannacci e dintorni”

gbopera - Ven, 22/11/2024 - 16:55

Roma, Sala Umberto
“JANNACCI E DINTORNI”
Una storia raccontata e cantata
con Simone Colombari e Max Paiella
Attilio Di Giovanni (pianoforte e direzione musicale), Gino Marinello (chitarra classica ed elettrica), Alberto Botta (batteria e percussioni), Flavio Cangialosi (basso e fisarmonica), Mario Caporilli (tromba e flicorno), Claudio Giusti (sax, tenore e contralto)
Regia di Lorenzo Gioielli
produzione Viola Produzioni – Centro di produzione teatrale | JANDO MUSIC
Roma, 20 Novembre 2024
“Jannacci e dintorni” è molto più di uno spettacolo teatrale. È un omaggio appassionato a Enzo Jannacci, uno dei più grandi cantautori italiani, medico e poeta del quotidiano, scomparso nel 2013. Lo spettacolo, in scena alla Sala Umberto, si snoda attraverso un dialogo continuo tra narrazione, musica e teatro, intrecciando episodi di vita e successi musicali.  Con grande maestria, Simone Colombari e Max Paiella raccontano le tappe fondamentali della carriera di Jannacci. Simone Colombari e Max Paiella, accompagnati da un ensemble di straordinari musicisti, guidano il pubblico in un viaggio emozionale e coinvolgente, capace di divertire, commuovere e far riflettere. “Jannacci e dintorni” è costruito come un viaggio nella vita e nell’universo creativo di Jannacci, dagli esordi fino alla piena maturità artistica. Gli spettatori sono trasportati nei luoghi e negli incontri che hanno segnato la carriera del cantautore milanese: dagli inizi con Adriano Celentano, al sodalizio con Giorgio Gaber nel duo “I due corsari”, fino alle collaborazioni con Dario Fo, Cochi e Renato, con Fabrizio De André. Attraverso canzoni iconiche come “El purtava i scarp del tenis”, “Vengo anch’io no tu no”, “Ho visto un re”, emergono la profondità e l’universalità del mondo poetico di Jannacci, capace di raccontare con leggerezza e malinconia la vita degli ultimi e delle persone comuni. Simone Colombari e Max Paiella sono i narratori e gli interpreti di questo omaggio, e la loro alchimia sul palco è palpabile. Insieme riescono a far rivivere il mondo di Jannacci, alternando momenti di pura leggerezza a scene di profonda introspezione. La loro performance trasforma la musica in un racconto e il racconto in un’esperienza teatrale che cattura e commuove. La stessa musica diventa narrazione, viene interpretata perfettamente attraverso la loro performance, attraverso gestualità e voce.  L’ensemble diretta da Attilio Di Giovanni è il cuore pulsante dello spettacolo. Con precisione e creatività, i musicisti ricreano l’atmosfera musicale di Jannacci, spaziando dal jazz al rock, senza dimenticare il cabaret e il folk, che hanno caratterizzato il suo stile unico. Attilio Di Giovanni, al pianoforte e alla direzione musicale; Gino Marinello dalla chitarra classica a quella elettrica; Alberto Botta, alla batteria e percussioni, regala momenti di pura energia, tra cui un assolo sorprendente che coinvolge ogni oggetto a portata di mano, trasformando sedie e superfici in strumenti ritmici; Flavio Cangialosi, con il basso e la fisarmonica; Mario Caporilli alla tromba e flicorno e Claudio Giusti ai sassofoni. Un dialogo musicale che oscilla tra delicatezza e potenza. I loro sorrisi, le intromissioni giocose, le smorfie e i piccoli balli diventano parte integrante dello spettacolo, regalando al pubblico un’atmosfera di complicità e gioia. Rende visibile un brano di Jannacci: “Quando un musicista ride è perché sente dentro una gioia vera.” Gli arrangiamenti musicali rendono omaggio anche alle influenze più importanti per Jannacci: il jazz dei suoi inizi, condiviso con Giorgio Gaber, l’ironia pungente ereditata da Dario Fo, e l’intensità poetica che lo avvicinò a Fabrizio De André. Questi incontri, richiamati nei brani e nella narrazione, sottolineano la ricchezza e la complessità del suo universo artistico. Le luci, curate con grande attenzione, alternano tonalità calde e intime per i momenti più riflessivi a colori vivaci e dinamici per i brani più ironici e ritmati. Questa alternanza riflette perfettamente la doppia anima di Jannacci, capace di mescolare sorriso e malinconia in modo unico. La scenografia lascia spazio alla musica e alla narrazione, evocando l’atmosfera di un piccolo cabaret milanese, di un salotto musicale. La regia di Lorenzo Gioielli è precisa e attenta. Ogni momento dello spettacolo è studiato per mantenere vivo il ritmo e l’attenzione del pubblico. Spazio e tempo sono gestiti perfettamente. Gioielli, infatti, riesce a bilanciare perfettamente gli elementi narrativi e musicali, la narrazione diventa un continuum della musica. Lascia spazio alla spontaneità e alla freschezza degli attori, creando un climax emotivo che tiene il pubblico incollato alla sedia per oltre un’ora e mezza. “Jannacci e dintorni” è un viaggio nell’anima dell’Italia, un racconto di storie comuni che diventano poesia, un’ode alla capacità di sorridere anche di fronte alle difficoltà. Enzo Jannacci, con il suo linguaggio universale e il suo sguardo unico sul mondo, è celebrato con rispetto, ironia e affetto. Come diceva lui stesso: “La tristezza è buona quando diventa musica.” Ed è proprio questa alchimia che lo spettacolo riesce a catturare, mescolando teatro, musica e narrazione in un’esperienza che lascia il pubblico con un sorriso, una lacrima e una riflessione nel cuore. “Jannacci e dintorni” è un invito a vivere la vita con leggerezza, a trovare la bellezza nell’assurdo, e a cantare, anche quando piove. 

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Milano, MTM, Teatro La Cavallerizza: “P come Penelope” dal 21 al 24 novembre 2024

gbopera - Ven, 22/11/2024 - 16:40

Milano, MTM – Teatro La Cavallerizza
“P COME PENELOPE”
dal 21 al 24/11
Il teatro più raccolto del circuito delle Manifatture Teatrali Milanesi ospita in questi giorni “P come Penelope” monologo scritto e interpretato da Paola Fresa in collaborazione con Christian Di Domenico, per la quale l’interprete ha vinto il Premio Enriquez 2024. Penelope è emblema dell’attesa. Aspetta Ulisse, sposo ed eroe, partito vent’anni prima per una guerra dalla quale tutti gli altri Achei hanno fatto ritorno. Perso nel mar Mediterraneo, naufrago su diversi lidi per volere di Poseidone, Ulisse è protagonista leggendario di una narrazione che attraversa i secoli. Penelope invece la guerra ce l’ha in casa: sola al comando di Itaca, assediata da pretendenti che rappresentano una minaccia per suo figlio, attende e sopporta, si oppone al potere maschile con i mezzi che il suo tempo le offre, contrapponendo all’arroganza dei Proci la sua caparbietà femminile. Nonostante questo, ben poco si conosce della vita di Penelope, la sua storia personale è narrata da un punto di vista maschile, per lo più in relazione al suo ruolo di moglie e madre. La domanda dalla quale siamo partiti è dunque chi è Penelope oggi. Una donna che aspetta per anni un uomo che non sa dire se sia vivo o morto, di cui riceve nel tempo informazioni frammentarie, più vicine al “si dice” che alla realtà dei fatti. Una madre che cresce da sola un figlio che, a sua volta, non ha mai conosciuto il padre e che, nutrito dal suo ricordo, si appresta a diventare un uomo. In uno spazio chiuso, asettico, come un laboratorio di analisi, mettiamo sotto il microscopio l’iconica storia di Penelope, cerchiamo di restituire alla figura universale del mito il suo sguardo negato, quello della donna che l’ha subito-vissuto, riconoscendole così una funzione attiva nella narrazione della sua vita. DURATA: 55 minuti INFO E BIGLIETTI: qui

 

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Roma, Palazzo Barberini: “Caravaggio. Ritratto svelato”

gbopera - Ven, 22/11/2024 - 13:00

Roma, Palazzo Barberini
CARAVAGGIO. IL RITRATTO SVELATO
curata da Thomas Clement Salomon e Paola Nicita
Roma, 22 Novembre 2024

Dal 23 novembre 2024 al 23 febbraio 2025, le Gallerie Nazionali di Arte Antica presenteranno al pubblico un evento di straordinaria rilevanza presso la Sala Paesaggi di Palazzo Barberini: la prima esposizione pubblica del “Ritratto di monsignor Maffeo Barberini” di Caravaggio. Questa opera, proveniente da una collezione privata e mai esposta al pubblico, rappresenta uno dei prestiti più significativi nella storia recente del museo e offre agli studiosi e agli appassionati un’opportunità unica per approfondire la comprensione dell’evoluzione stilistica e della ritrattistica di Caravaggio. Il ritratto, realizzato intorno al 1598 e attribuito con certezza a Michelangelo Merisi da Caravaggio, fu presentato alla comunità scientifica per la prima volta da Roberto Longhi nel 1963. Longhi, uno dei massimi esperti dell’opera caravaggesca, pubblicò un articolo intitolato “Il vero ‘Maffeo Barberini’ del Caravaggio” sulla rivista “Paragone“, delineando un’attribuzione che rimane, ancora oggi, condivisa dalla maggior parte degli studiosi di Caravaggio e della pittura del Seicento. Longhi descrisse il dipinto come un capolavoro di ritrattistica, in grado di rivelare non solo le fattezze del futuro papa Urbano VIII, ma anche la profondità intellettuale e l’ambizione politica che avrebbero caratterizzato la sua figura. L’esposizione, intitolata “Caravaggio. Il ritratto svelato“, curata da Thomas Clement Salomon e Paola Nicita, si pone l’obiettivo di mettere in luce un’opera fino ad oggi nota esclusivamente agli studiosi. La mostra è il frutto di anni di delicate trattative con il proprietario dell’opera, che fino a oggi non aveva mai acconsentito a far uscire il dipinto dal caveau in cui era custodito. Questo prestito, definito “storico” dai promotori dell’iniziativa, segna un momento fondamentale per la riscoperta dell’opera ritrattistica di Caravaggio, un aspetto spesso trascurato in favore delle sue celebri tele religiose. Il percorso del dipinto è avvolto nel mistero, essendo riemerso improvvisamente a Roma privo di una documentazione chiara riguardante il suo percorso collezionistico. Secondo Longhi, il quadro fece parte della collezione della famiglia Barberini per secoli, prima di essere disperso negli anni Trenta, durante una delle frequenti vendite delle proprietà nobiliari, dovute alle difficoltà economiche del periodo. Una recente pubblicazione della corrispondenza tra Longhi e Giuliano Briganti, risalente al 2021, ha gettato ulteriore luce sulla storia del dipinto: fu infatti Briganti a individuare il ritratto e a cederne a Longhi il diritto di pubblicazione. In una lettera del 2 luglio 1963, Longhi riconosceva il contributo di Briganti, ma alla fine pubblicò il dipinto senza menzionare il collega, concentrandosi piuttosto sul restauro eseguito da Alfredo De Sanctis. Si conosce l’esistenza di un secondo ritratto di Maffeo Barberini, conservato in una collezione privata di una nobile famiglia fiorentina e attribuito solo di recente a Caravaggio. Questo secondo ritratto, precedentemente considerato opera di Scipione Pulzone, continua a suscitare dibattiti tra gli studiosi, mentre l’attribuzione dell’opera esposta a Roma ha trovato consenso unanime tra i principali esperti di Caravaggio, tra cui Gianni Papi, Alessandro Zuccari, Keith Christiansen, Sebastian Schütze, Francesca Cappelletti e Rossella Vodret. L’importanza del “Ritratto di Maffeo Barberini” non si limita al suo valore iconografico, ma risiede anche nel suo ruolo nella produzione ritrattistica di Caravaggio. Longhi lo descrisse come una chiave di volta per la comprensione dell’opera del maestro, rivelando il potere dell’artista di cogliere la complessità psicologica del soggetto. Caravaggio affronta il tema del potere con la stessa intensità e realismo che caratterizzano i suoi dipinti religiosi. Il volto di Barberini è scolpito dalla luce caravaggesca, che sottolinea i lineamenti fieri e determinati del futuro papa. Questa luce, che nei dipinti religiosi di Caravaggio illumina i martiri e i santi, qui si posa su un uomo del potere terreno, rivelandone il carisma e la forza interiore. Maffeo Barberini, che sarebbe divenuto papa Urbano VIII, fu una figura di grande rilievo nella Roma barocca, promotore di importanti trasformazioni artistiche e architettoniche nella città. Nel ritratto di Caravaggio, Barberini appare in abito clericale scuro, immerso in uno sfondo essenziale che mette in risalto la forza espressiva del suo volto. Caravaggio, con il suo straordinario talento per la resa psicologica dei personaggi, riesce a far emergere non solo la fisicità del soggetto, ma anche l’intelligenza e l’ambizione che lo caratterizzavano.  Le Gallerie Nazionali di Arte Antica hanno inoltre deciso di arricchire l’esposizione con un ciclo di conferenze e incontri dedicati alla figura di Maffeo Barberini e al contesto storico dell’opera, offrendo così al pubblico l’occasione di riflettere sul rapporto tra arte e potere nella Roma del Seicento. Non è solo l’unicità del prestito a rendere questo evento eccezionale, ma anche la possibilità di riflettere sul ruolo delle collezioni private e sulla loro influenza nella storia dell’arte. Questo ritratto, rimasto celato al pubblico per decenni, viene oggi restituito alla comunità grazie alla disponibilità del collezionista, sollevando interrogativi sulla fruizione del patrimonio artistico e sull’equilibrio tra proprietà privata e bene comune, un tema che ha suscitato l’interesse di molti critici, tra cui lo stesso Longhi. La possibilità di mostrare un’opera di tale importanza al pubblico rappresenta un momento di crescita collettiva e di arricchimento culturale. L’evento costituisce, dunque, non solo una mostra, ma anche un’occasione di dialogo culturale e di riscoperta. La possibilità di ammirare un’opera così significativa offre un’opportunità unica di approfondire la conoscenza dell’arte di Caravaggio attraverso la lente della sua produzione ritrattistica, un aspetto spesso oscurato dalle sue opere più drammatiche e celebri. Il “Ritratto di monsignor Maffeo Barberini” consente di esplorare la capacità di Caravaggio di immortalare la complessità dell’animo umano, di rappresentare il potere e l’ambizione, e di farlo attraverso l’uso magistrale della luce e dell’ombra, cifra inconfondibile del suo stile. L’esposizione anticipa, infine, una grande mostra dedicata a Caravaggio che si terrà al museo romano a partire da marzo 2025, consolidando ulteriormente il ruolo delle Gallerie Nazionali di Arte Antica come centro di riferimento per lo studio e la divulgazione dell’opera del maestro lombardo.

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Milano, Teatro Menotti: “Shakespeare/ Poemetti. Venere e Adone / Lo stupro di Lucrezia”

gbopera - Ven, 22/11/2024 - 09:46

Milano, Teatro Menotti, Stagione 2024/25
“SHAKESPEARE / POEMETTI. Venere e Adone / Lo stupro di Lucrezia”
di e con Valter Malosti
Progetto sonoro e live electronics Gup Alcaro
Traduzione, adattamento e ricerca musicale Valter Malosti
Produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale in collaborazione con TPE – Teatro Piemonte Europa, Teatro di Dioniso
Milano, 19 novembre 2024
L’operazione di traduzione e di interpretazione che da circa quindici anni Valter Malosti sta compiendo sui due principali poemetti di Shakespeare – “Venere e Adone” e “Il ratto di Lucrezia” – è tra le più preziose della drammaturgia italiana contemporanea, e ha di recente ottenuto la sua consacrazione con la pubblicazione nella collana di poesia di Einaudi. È un privilegio poter assistere a una live performance di queste traduzioni, che non conoscono una natura fissa, ma negli anni si rigenerano proprio nel momento della parola proferita, della tradizione orale: questi testi senza tempo (che rappresentano il momento più alto della produzione lirica del Bardo) diventano dei veri e propri ipertesti in scena, grazie al lavoro di incessante curatela che Malosti pone alla phonè in tutti i suoi aspetti – intonazione, emissione, proiezione, fraseggio. Sebbene sul piano scenico lo spettacolo sia inesistente – si tratta di una lettura – l’interpretazione si trasforma in rapsodia, tessitura vocale e intreccio con la seconda grande protagonista della performance, la musica, che viene costruita dal vivo da Gup Alcaro sul testo scespiriano e sull’interpretazione di Malosti: a sua volta, tutto questo background sonoro prevede rumori, voci, suoni elettronici, frammenti di musica barocca, suoni ambientali, un vero universo che si scontra, si amalgama e rimodella sulla parola, e a sua volta conferisce nuove forme, nuove evocazioni al testo stesso. In alcuni punti la fusione è così perfetta da indurre quasi stati alterati, visualizzazioni, esperienze metafisiche – e a questa fruizione quasi mistica partecipa senza dubbio il testo in quanto tale, la dizione di Shakespeare: le sue strutture funamboliche, il suo manierismo spinto e tentacolare, che si nutre di similitudini, di subordinazione vertiginosa e di immagini di inesprimibile nitore. Anche l’ordine nel quale vengono letti è importante: “Venere e Adone” ha un’andamento più teatrale, è un soggetto su cui facilmente il barocco può avvilupparsi (pensiamo al nostrano poemetto di Marino, “L’Adone”, del 1623), ma presenta una materia poetica facilmente riconducibile ancora a un canone rinascimentale; “Venere e Adone” è una sublime ubriacatura iniziale, un’implacabile elegia del piacere, che lascia spazio, tuttavia, dopo l’intervallo, a quel gioiello d’originalità del “Ratto di Lucrezia”, ove un gusto veramente barocco – nel senso di inusitato, eccentrico, fascinosamente orrendo – pervade una romanità assolutamente incredibile nel suo rigore cerimonioso. “Il ratto di Lucrezia” è una sorta di studio su personaggi, un’iperbole introspettiva che si nutre di concordanze e rispecchiamenti, e nel quale ci perdiamo: d’un tratto ci troviamo a godere di una violenza carnale, e non sappiamo da dove venga questo piacere, se dal testo così perfettamente architettato, dall’interpretazione congeniata a regola d’arte o dall’animale che ci portiamo dentro – in ogni caso, siamo sconvolti e travolti dalla bellezza di una simile oscenità, come probabilmente non ci saremmo potuti aspettare prima. Nell’ascoltare e nel figurare, noi siamo Tarquinio e la povera Lucrezia allo stesso tempo, giustifichiamo l’uno come bramiamo l’altra, disprezziamo il primo per poter preservare la seconda. E anche nello scrivere queste poche frasi sconnesse ci accorgiamo che, in realtà, non si riesce a esprimere davvero questa interiore battaglia tra Bene e Male, tra Basso e Alto, tra Terreno e Divino, che avviene in noi man mano che Malosti e Alcaro sgranano la loro performance come un rosario, o meglio come una parata dell’umano, possibile e impossibile. Bisogna andare a vederli, per capire. Vi auguriamo di farlo, fino a domenica al Teatro Menotti di Milano, il 29 e il 30 novembre al Teatro Storchi a Modena. Foto Laila Pozzo e Tommaso La Pera

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Como, Teatro Sociale: “Minotauro” dal 22 al 23 novembre 2024

gbopera - Gio, 21/11/2024 - 23:51

Como, Teatro Sociale
MINOTAURO
Tratto da Durrenmatt
prodotto da LaTâche21 e Teatro Sociale Bellinzona
La programmazione del Teatro Sociale si diffonde “altrove” in tutto il teatro, occupando e reinventando tutti gli spazi e sale. Venerdì 22 novembre alle ore 20.30 e sabato 23 alle ore 17.00 e alle 20.30 andrà in scena “Minotauro”. La suggestiva cornice della platea del Teatro, svuotata dalle sue poltrone, accoglierà lo spettacolo in tutta la sua tragicità a 360°, sotto gli occhi attenti di un pubblico che sarà complice e spettatore dell’ingiustizia. Lo spettacolo, prodotto da LaTâche21 e Teatro Sociale Bellinzona, è tratto da “Minotauro”, una ballata di Friedrich Dürrenmatt. La scrittura di Dürrenmatt procede per immagini e da queste è nato lo spettacolo. Come in un’arena dell’antica Roma, il Minotauro rinchiuso nel suo labirinto fatto di specchi luci e ombre, ci invita a vivere insieme a lui ogni sfaccettatura, ogni riflesso della sua storia. Fin dal suo risveglio il Minotauro danza di gioia. Ci viene presentata una creatura innocente, come in un gioco di specchi tra narratrici e personaggi che raccontano il lento e progressivo cammino di consapevolezza del protagonista, costretto tra le pareti del labirinto che è simbolo di un percorso inevitabile della vita. Minotauro è creatura unica al mondo e duale, come tutto il genere umano del resto, ma in questa creatura la dualità è più evidente perché è anche fisica. Viene indagata la dualità nei sentimenti, nelle intenzioni, nei punti di vista diversi della stessa storia e anche nella maschera, nel corpo e nella sua fine. Minotauro non è consapevole della sua morte e nemmeno dell’inganno, a cui impotenti possiamo solo assistere. Il testo è qui tradotto magistralmente in italiano con tutta la sua musicalità da Donata Berra. La voce che di tanto in tanto prende parte alla rappresentazione, vuole essere veicolo di narrazione e di omaggio alla scrittura originale dell’autore svizzero. Unico elemento scenico è una scala ispirata all’opera visionaria di Maurits Cornelis Escher e alle sue famose scale impossibili e labirintiche. Le luci riflesse nei numerosi specchi che abitano la scena restituiscono uno spazio impenetrabile e chiuso come il labirinto di Dedalo. PER INFO E BIGLIETTI: qui

 

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Torino, Museo Egizio: ” Al via le celebrazioni per il bicentenario del Museo Egizio”

gbopera - Gio, 21/11/2024 - 23:40

Torino, Museo Egizio
RIAPERTURA DELLA GALLERIA DEI RE E DEL TEMPIO DI ELLESIYA
Nel contesto delle celebrazioni per il bicentenario del Museo Egizio di Torino, la riapertura della Galleria dei Re e del Tempio di Ellesiya rappresenta un evento di straordinaria rilevanza, segnando l’avvio di una nuova fase nella storia di questa prestigiosa istituzione culturale, la quale, attraverso un articolato e meticoloso processo di rinnovamento, si prefigge di ridefinire il proprio ruolo all’interno del panorama museale internazionale. Dopo otto mesi di accurati interventi di restauro e riallestimento, queste due aree simboliche del museo sono ora pronte per essere ammirate dal pubblico, in una rinnovata sintesi di rigore scientifico e innovazione tecnologica, che mira a unire la dimensione storica alla fruizione contemporanea. L’inaugurazione ufficiale ha visto la partecipazione di figure di spicco come il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il Ministro della Cultura Alessandro Giuli e Khaled Mohamed Ismail, Segretario Generale del Consiglio Supremo delle Antichità dell’Egitto, a testimonianza dell’importanza del progetto anche a livello istituzionale e internazionale. Il Museo Egizio, il più antico al mondo interamente dedicato alla civiltà faraonica, si rinnova grazie a un ambizioso progetto architettonico e museografico sviluppato dallo Studio OMA di Rotterdam, il quale ha concepito un piano di intervento volto a valorizzare il dialogo tra passato e futuro, rendendo il museo un’entità viva e in costante trasformazione, capace di coinvolgere il pubblico in una narrazione che si estende ben oltre la semplice esposizione di reperti antichi. La ristrutturazione della Galleria dei Re e del Tempio di Ellesiya, pertanto, non rappresenta soltanto un’opera di conservazione, ma anche un’iniziativa che ambisce a offrire un’esperienza culturale immersiva, promuovendo una rinnovata consapevolezza del patrimonio archeologico e del suo valore per la società contemporanea. La Galleria dei Re, completamente ridisegnata sotto la direzione di un’équipe internazionale di egittologi, propone un’interpretazione innovativa della regalità egizia, inserendo le statue monumentali dei faraoni in un contesto scenografico suggestivo e illuminato con perizia, così da trasformarle in protagoniste di una narrazione che esplora il contesto storico e culturale in cui queste figure hanno vissuto. Il nuovo allestimento, che si avvale dell’integrazione di tecnologie digitali e strumenti multimediali, arricchisce l’esperienza dei visitatori, con l’obiettivo di coniugare il rigore dell’indagine scientifica con una fruizione accessibile e coinvolgente, capace di stimolare una riflessione profonda sulla storia dell’antico Egitto. Il Tempio di Ellesiya, donato dal governo egiziano all’Italia negli anni Sessanta come riconoscimento per il contributo italiano alla salvaguardia dei monumenti della Nubia, è stato oggetto di un attento e accurato restauro, che ha riportato alla luce la bellezza originaria della Cappella rupestre, ora accessibile tramite una nuova entrata da via Duse, la quale ha ridefinito la struttura architettonica dell’ex Collegio dei Nobili. Un video mapping, sviluppato da Robin Studio, racconta il lungo e complesso viaggio del tempio dall’Egitto all’Italia, restituendo la ricchezza simbolica e storica di questo straordinario reperto, rendendolo al contempo un elemento narrativo capace di evocare la profondità storica e culturale che esso rappresenta. Nell’ambito delle celebrazioni del bicentenario, il Museo Egizio ha altresì avviato un programma di residenze artistiche, il cui obiettivo è quello di esplorare e reinterpretare il ruolo contemporaneo di un museo archeologico, stimolando una riflessione critica sull’eredità storica e sulle modalità attraverso le quali essa viene comunicata. Ali Cherri, vincitore del Leone d’Argento alla Biennale di Venezia 2022, e Sara Sallam, artista egiziana, sono stati i primi partecipanti di questo progetto. Cherri ha realizzato l’installazione “Returning the Gaze”, collocata nel vestibolo della Galleria dei Re, che indaga il concetto di sguardo e il ruolo degli oggetti museali nella società contemporanea, interrogandosi sulla relazione tra chi guarda e chi è guardato. L’opera, sviluppata in collaborazione con il direttore Christian Greco e il curatore Paolo Del Vesco, coinvolge sette reperti privi di occhi, scansionati digitalmente e reinterpretati in bronzo lucido, con l’intento di restituire loro simbolicamente la capacità di guardare, aprendo così una riflessione critica sulla relazione tra pubblico e oggetto museale, e sul significato stesso dell’osservazione museale. Sara Sallam, dal canto suo, offre una prospettiva decoloniale sulla musealizzazione e sulla rappresentazione dell’identità culturale, interrogandosi sulle narrazioni storiche e stimolando una riflessione critica sulle dinamiche di potere che queste comportano. Il suo progetto invita i visitatori a esplorare nuove prospettive sul rapporto tra passato e presente, incoraggiando una comprensione più consapevole delle narrazioni museali e delle loro implicazioni, evidenziando come la rappresentazione museale non sia mai neutra, ma sempre frutto di scelte interpretative e culturali. Il percorso di trasformazione del Museo si completerà nel 2025 con la costruzione di una corte coperta in vetro e acciaio e di un innovativo ipogeo, grazie al sostegno di importanti partner pubblici e privati, tra cui la Fondazione CRT, la Fondazione Compagnia di San Paolo e il Gruppo Ferrovie dello Stato. Questa sinergia tra istituzioni e sponsor permetterà al Museo Egizio di affermarsi come un punto di riferimento internazionale, aperto a un pubblico sempre più vasto e diversificato, nonché capace di offrire esperienze culturali che uniscano il rigore della ricerca archeologica all’emozione della scoperta. Le celebrazioni del bicentenario, che si svolgeranno dal 20 al 22 novembre, includono una serie di eventi, tra cui una Notte Bianca con performance artistiche e conferenze, pensate per promuovere la conoscenza della storia e della cultura egizia presso il grande pubblico. Inoltre, l’incontro del 22 novembre tra Christian Greco e Ali Abdelhalim Ali, direttore del Museo Egizio del Cairo, segna un ulteriore passo verso una cooperazione internazionale per la ricerca archeologica, testimoniando l’importanza di una collaborazione che mira a rafforzare i legami tra le due istituzioni e a promuovere nuovi progetti di ricerca condivisi. Con il bicentenario, Torino riafferma il suo ruolo di polo culturale europeo, capace di legare le radici della civiltà umana a una visione aperta e innovativa del futuro. Il Museo Egizio, così, continua a ridefinire il suo ruolo, divenendo sempre più un mezzo per comprendere il presente e ispirare le generazioni future, ponendosi come un punto di incontro tra passato, presente e futuro, e come un luogo in cui la storia diventa uno strumento per leggere e interpretare la realtà contemporanea. PhotocreditMuseoEgizioTorino

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Roma, Nuvola dell’ Eur: “Arte in Nuvola”

gbopera - Gio, 21/11/2024 - 18:27

Roma, Nuvola dell’ Eur
ARTE IN NUVOLA: QUARTA EDIZIONE
Dal 22 al 24 novembre, la Nuvola dell’EUR di Roma si trasformerà in un centro vibrante per l’arte moderna e contemporanea con la quarta edizione di Roma Arte in Nuvola. Un evento che promette di coinvolgere non solo gli addetti ai lavori, ma anche il grande pubblico, offrendo un’esperienza immersiva nel mondo della creatività contemporanea. Ideata da Alessandro Nicosia e guidata artisticamente da Adriana Polveroni, la manifestazione è sostenuta da C.O.R. e da Eur S.p.A., ed è ormai un appuntamento fisso per chiunque sia interessato alle nuove tendenze artistiche. L’atmosfera della Nuvola è quella di un laboratorio artistico in continua evoluzione, dove il visitatore ha l’opportunità di immergersi in un viaggio tra diverse discipline e linguaggi. Sono attese 140 gallerie, sia italiane che internazionali, pronte a portare il meglio della produzione contemporanea, creando una rete di relazioni e dialoghi tra artisti, curatori e appassionati d’arte. In questa edizione, spicca la presenza del Portogallo come Paese ospite, arricchendo il panorama con un’importante finestra sulla creatività lusitana, caratterizzata da una commistione di culture e influenze che rendono unico il suo contributo al mondo artistico. Un’altra grande novità di questa edizione è la partecipazione della Direzione Generale Archivi, che per la prima volta si unisce alla manifestazione. L’obiettivo è portare all’attenzione del pubblico l’importanza del patrimonio archivistico come parte integrante della cultura. Il loro spazio espositivo include la riproduzione di documenti storici iconici come lo Statuto Albertino e la Costituzione della Repubblica, nonché materiali originali di grande valore, quali studi per il mosaico del Ristorante uffici all’EUR di Angelo Canevari e prototipi di automobili della Società Bertone Stile, custoditi dall’Archivio Centrale dello Stato. Roma Arte in Nuvola si configura come un’occasione per vivere l’arte non solo come fruizione, ma come partecipazione attiva. Tra installazioni, performance, e opere che spaziano dal figurativo all’astratto, la Nuvola diventa un luogo di esplorazione estetica e culturale. Qui, ogni angolo è pensato per sorprendere, per scuotere lo spettatore dalla quotidianità e portarlo a riflettere, ad immergersi in una dimensione che va oltre la mera visione. Lo spazio dedicato ad Antonio Canova, realizzato grazie al supporto di Banca Ifis, rappresenta uno dei momenti più attesi dell’intera manifestazione. Saranno esposti dodici busti inediti del grande scultore veneziano, recentemente riscoperti e restaurati. Un allestimento raffinato che mira a far emergere tutta la potenza e l’eleganza dell’opera di Canova, ponendo in risalto la sua maestria nel dare vita al marmo con una delicatezza senza pari. Con il coinvolgimento di istituzioni come il Ministero della Cultura, il MAXXI, il Museo delle Civiltà, e grazie a una serie di eventi collaterali che animeranno la tre giorni, Roma Arte in Nuvola si preannuncia un appuntamento imperdibile. Non solo una fiera, ma un vero e proprio viaggio attraverso le mille sfaccettature della creatività contemporanea, capace di attirare l’interesse di un pubblico sempre più ampio, dai collezionisti agli appassionati, fino ai curiosi che vogliono avvicinarsi all’arte per la prima volta. Photocredit: Marino Festuccia

 

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Ricordando Franco Mannino nel centenario dalla nascita. Intervista a Massimo Biscardi

gbopera - Gio, 21/11/2024 - 16:01

Il 2024 è l’anno del centenario  dalla nascita di Franco Mannino (Palermo, 25 aprile 1924 – Roma, 1 febbraio 2005) autentico protagonista del Novecento: pianista, compositore, direttore d’orchestra e scrittore. Personalità talentuosa già nel suo Dna, in seguito l’incontro con i grandi personaggi della cultura diventerà la bussola della sua onestà intellettuale. A 10 anni si esibisce al pianoforte in onore di Pirandello il quale, riconoscendone il talento, lo invita a non dimenticare di essere figlio della Sicilia. Studia a Roma presso il Conservatorio “Santa Cecilia” e conosce molti intellettuali (Guttuso, De Chirico, Savinio, la figlia di Tolstoj, Sartre, Cocteau, Mann, ecc.) e musicisti: De Sabata, Giordano, Zandonai, Toscanini, Horowitz, Stravinskij, Casella, R. Strauss, Dallapiccola, Šostakóvič e l’amico fraterno Franco Ferrara. A 16 anni viene ammesso eccezionalmente a partecipare ad un concorso per direttori d’orchestra organizzato dall’Accademia di Santa Cecilia attirando l’attenzione di Tullio Serafin che nel ’47 lo fa scritturare come direttore di tre opere alla Fenice di Venezia. Svolge un’intensa carriera internazionale come pianista e direttore d’orchestra nei più importanti teatri del mondo, scrive oltre 500 composizioni e ricopre il ruolo di direttore artistico di varie istituzioni musicali. Significativo l’incontro con Luchino Visconti e la sorella Uberta, poi sua compagna di vita. Molto attento verso le nuove generazioni, come esempio si segnala una giovanissima Martha Argerich che si cimenta nel Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra di Chopin diretta dal maestro a Parigi il 1 febbraio 1970 di cui costituisce testimonianza il video.

Ricordiamo il maestro attraverso la testimonianza di Massimo Biscardi, musicista che ha conosciuto e collaborato con Mannino (poco più che ventenne, è stato suo direttore assistente) un protagonista del mondo della musica (inizia giovanissimo una feconda attività di concertista come pianista e direttore d’orchestra) e delle istituzioni italiane, essendo attualmente Sovrintendente della Fondazione Teatro Petruzzelli di Bari. Dal 2022 è Accademico dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e, nel suo perseguire obiettivi sempre più significativi, formuliamo il nostro Ad maiora per l’insediamento, dal febbraio 2025, come nuovo Presidente-Sovrintendente della stessa Istituzione.
Quando ha incontrato il maestro Franco Mannino e quanto l’esperienza di assistente può aver influito nella sua carriera di direttore d’orchestra?
Credo fosse il 1983, frequentavo assiduamente la casa del leggendario Franco Ferrara. Sotto la guida di questo grande maestro avevo seguito due corsi di perfezionamento di direzione d’orchestra e, in seguito, era nato un rapporto di normale frequentazione. Un giorno mi disse di raggiungerlo a casa sua, abitava a piazza Cavour a Roma, a due passi dalla mia abitazione, perché voleva presentarmi un grande musicista e grande suo amico dai tempi della giovinezza, Franco Mannino. Il maestro Mannino apparve subito una persona particolarmente curiosa nei riguardi di un giovane studente di musica. Da allora iniziò una frequentazione assidua. Non fui mai suo assistente nel senso vero del termine, ma ricordo che ogni domenica mattina mi faceva conoscere la sua ultima composizione che suonava al pianoforte del suo studio in via Fleming. Del maestro Mannino mi ha sempre colpito l’intelligenza acutissima, non solo musicale, e il senso di rispetto verso la musica e i musicisti che sono parte determinante del mio bagaglio culturale.
Potrebbe offrire una testimonianza del maestro come uomo e musicista versatile?
Una sua giornata-tipo prevedeva una parte dedicata alla composizione, una parte allo studio del pianoforte e delle partiture che avrebbe diretto e una parte alle pubbliche relazioni: la testimonianza della sua versatilità sta nei suoi normali ritmi di vita, che erano veramente frenetici.
I suoi studi coincidono con quelli di Mannino. È possibile immaginare alcune sue esperienze professionali grazie allo stesso percorso formativo?
Sono gli studi completi che ogni musicista serio doveva aver necessariamente fatto prima di affacciarsi alla professione. Oggi non è più cosi per gli studenti di musica, purtroppo, e ne subiamo le conseguenze.
Nel 1989 lei dirige Le notti bianche di Mannino. Cosa ricorda di quell’ esperienza?
Una composizione fascinosa che serbava lo spirito di un musicista, in fondo, figlio del romanticismo.
Il 2025 ricorrono vent’anni dalla scomparsa di Mannino. Quali le iniziative più urgenti, da parte delle istituzioni italiane, per valorizzare la sua figura di musicista del Novecento?
Come per tutti i musicisti scomparsi nel giro degli ultimi decenni, sarebbe utile fare innanzitutto uno studio di tutta la sua opera e individuare il meglio da poter tramandare alla conoscenza delle generazioni future come testimonianza della sua arte.
Ringraziamo Massimo Biscardi per la sua testimonianza e per aver condiviso con i nostri lettori un tratto della loro strada, l’amicizia e la collaborazione e soprattutto quei valori di cui, per altri aspetti e percorsi, rimangono ancora significative tracce in me.

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Il “Tokyo Ballet” al Teatro Lirico di Cagliari

gbopera - Gio, 21/11/2024 - 13:40

Cagliari, Teatro Lirico – Stagione lirica e di balletto 2024
“THE TOKYO BALLET”
“La Bayadère”: Il regno delle ombre
Coreografia Natalia Makarova da Marius Petipa
Musica Ludwig Minkus
Scene Pier Luigi Samaritani
Costumi Yolanda Sonnabend
“Petite Mort”
Coreografia e scene  Jirí Kylián
Musica Wolfgang Amadeus Mozart
Costumi Joke Visser
Luci Jirí Kylián realizzate da Joop Caboort
“Le Sacre du Printemps”
Coreografia Maurice Béjart
Musica Igor Stravinskij
Prime ballerine KANAKO OKI, AKIRA AKIYAMA
Primi ballerini DAN TSUKAMOTO, ARATA MIYAGAWA, SHOMA IKEMOTO
Orchestra del Teatro Lirico di Cagliari
Direttore d’orchestra Paul Murphy
Cagliari, 17 novembre 2024
Grande successo per la tappa cagliaritana del Tokyo Ballet: difficile al giorno d’oggi vedere il teatro pieno di pubblico entusiasta alla quinta replica di qualunque produzione. Ma era importante la possibilità di ammirare dal vivo uno dei corpi di ballo più celebrati al mondo in un repertorio di grande interesse, con l’evento principe de Le Sacre du Printemps di Stravinskij nella storica coreografia di Béjart. Le aspettative non sono state tradite, con uno spettacolo straordinario per tecnica, sobria eleganza ed espressione. Si può discutere l’evidente intenzione di dare esempi di versatilità della compagnia accontentando i vari gusti del pubblico, ma lo storico estratto ripreso da Petipa de La Bayadère, pur un po’ distante dal resto, ha dato comunque un magistrale esempio di atto bianco romantico. Solo una semplice quinta, vagamente ispirata allo stile ukiyo-e, taglia lo spazio scenico per l’entrata delle ombre, senza gli esotismi che spesso appesantiscono le scenografie di genere: tutto è ridotto alle geometrie essenziali e a un’espressione minimale sia nella gestualità che nella compostezza degli atteggiamenti. Una lettura dove è facile vedere il collegamento con la contemporaneità, in cui l’etereo mondo notturno e la levigatezza dell’atto bianco diventano un medium ideale per espressioni coreografiche più recenti. Inutile sottolineare la perfezione tecnica nei vari Pas, l’impressionante sincronia ed eleganza delle file, la bellezza e facilità di ogni variazione: puro godimento visivo. Dalla funzionale ma modesta musica di Minkus a Mozart il salto è grande: Petite Mort di Jirí Kylián, sul secondo tempo dei concerti K 488 e K 467, sublima fin dalla musica l’aspetto di diafana e notturna bellezza anticipato dalla coreografia precedente. La “petite mort” in francese indica l’orgasmo, il momento in cui il culmine del piacere sembra fondersi col presagio della morte: sei uomini entrano in silenzio e accompagnano i primi movimenti con delle spade il cui rumore nell’aria è l’unico elemento sonoro. L’allusione palesemente sessuale è mitigata dall’incontro con sei donne la cui unione è sempre solo suggerita, all’insegna di una sobrietà che è la cifra stilistica di tutto lo spettacolo. Il collegamento col mondo classico appare citato apertamente nel secondo numero musicale, con le donne che scivolano con leggerezza incredibile dentro degli stilizzati costumi-sagome settecenteschi, da cui si distaccano e uniscono in una serie di effetti in chiaroscuro di rara efficacia. Ma l’attesa era chiaramente per il pezzo forte della serata: il capolavoro di Stravinskij non ha segnato solo musicalmente il ‘900 ma anche l’allora criticata coreografia di Nijinsky ruppe definitivamente con il secolo passato introducendo una serie di novità con cui le numerose riprese dovettero fare sempre i conti. Di tutte le più importanti creazioni de Le Sacre du Printemps sicuramente quella di Béjart è una delle più belle e celebrate: cavallo di battaglia da sempre del Tokyo Ballet, che ne ebbe per anni l’esclusiva, è stata quindi imperdibile l’occasione di poterla ammirare in questa performance con la complessità dell’esecuzione orchestrale dal vivo, opportunità tutt’altro che comune per quest’opera. L’attrazione e la seduzione prima sublimate ora diventano palesi, lotta e sfida maschile, contatto, tensione animale, generi in incontro-scontro nell’eterno rito della fecondità primaverile, con la novità, per questa versione, del sacrificio finale proiettato non sull’eletta ma su una coppia uomo-donna. Difficile descrivere il perfetto equilibrio dei gruppi, il coordinamento delle figurazioni, la potenza dei salti, il contrappunto impeccabile dei movimenti coordinati con le continue varianti metriche, le simmetrie e il riempimento armonico degli spazi sgombri di qualunque orpello scenografico: un grande spettacolo, con momenti veramente emozionanti come il finale della prima parte, illuminato da un efficacissimo taglio laterale a guidare l’uscita degli uomini. Straordinarie le prime parti, ma ha impressionato soprattutto l’uguaglianza e il livello del corpo di ballo, specialmente nella componente femminile, frutto sicuramente di una profonda cultura d’assieme. Completa il quadro l’ottima prestazione dell’orchestra del Teatro Lirico che, sotto la guida di un esperto specialista come Paul Murphy, ha dato un eccellente esempio da ogni punto di vista. Se si possono liquidare Minkus come routine e Mozart come repertorio, un discorso a parte merita Le Sacre, proverbialmente pietra di paragone per il virtuosismo di qualunque orchestra: l’ensemble di Cagliari è stato protagonista di un’interpretazione precisa e scintillante in tutte le sezioni, brillante nei colori e nelle dinamiche, solida nell’infernale articolazione metrica e ritmica della celebre partitura. Una scommessa produttiva vincente, impreziosita dalla prestigiosa proposta coreografica, che merita sicuramente degli approfondimenti futuri.

 

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“La Cenerentola” al Teatro Filarmonico di Verona

gbopera - Gio, 21/11/2024 - 10:15

Verona, Teatro Filarmonico, Stagione Lirica 2024
 “LA CENERENTOLA”
Dramma giocoso in due atti su libretto di Jacopo Ferretti
Musica di Gioachino Rossini
Don Ramiro PIETRO ADAINI
Dandini ALESSANDRO LUONGO
Don Magnifico CARLO LEPORE
Clorinda DANIELA CAPPIELLO
Tisbe VALERIA GIRARDELLO
Angelina MARIA KATAEVA
Alidoro MATTEO D’APOLITO
Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona
Direttore Francesco Lanzillotta
Maestro del Coro Roberto Gabbiani          
Regia Manu Lalli
Scene Roberta Lazzeri
Costumi Gianna Poli
Luci Vincenzo Apicella riprese da Sergio Toffali
Allestimento del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino
Verona, 17 novembre 2024
Il dubbioso Rossini, reduce dal successo del suo Barbiere e già incaricato di scrivere un’opera buffa da rappresentarsi nella stagione di carnevale del 1817, accolse con entusiasmo l’idea di mettere in musica il soggetto di Cendrillon dall’omonima fiaba di Perrault. Per adattarla al gusto italiano, ancor più a quello romano, il librettista Ferretti sostituì gli elementi fiabeschi con situazioni più realistiche ed arricchite da effetti comici. Così il tronfio Don Magnifico, patrigno desideroso di un riscatto sociale, sostituisce la matrigna, la fata diventa il saggio Alidoro, precettore di Don Ramiro, e la celebre scarpetta di cristallo lascia il posto ad un più veritiero braccialetto. Punto di forza della vicenda è lo scambio di ruolo tra il principe Don Ramiro ed il suo cameriere Dandini, operato per valutare la condotta delle sorellastre Clorinda e Tisbe. Scritta a tempo di record, grazie ad una vera e propria catena di montaggio nella quale Ferretti scriveva i versi consegnandoli poi a Rossini che li metteva prontamente in musica, La Cenerentola è tornata al Filarmonico dopo gli allestimenti del 1996 e del 2016 nell’allestimento del Maggio Musicale Fiorentino recentemente andato in scena nella città gigliata, a firma di Manu Lalli. Per idee e contenuti, l’impianto registico strizza l’occhio al celebre film di Ponnelle del 1981 anche se talvolta eccede in mossette e caricature che comunque non disturbano lo spettacolo; vi è comunque da sottolineare che si tratta di un allestimento facilmente proponibile anche ad un pubblico giovanissimo in tempi di grande necessità culturale per le nuove generazioni. Il messaggio della regista è comunque forte e chiaro: Angelina vive e spera in un riscatto sociale, rivendicando i suoi diritti calpestati da una stupida e cieca ignoranza (come nel caso delle sorellastre che strappano le pagine dei libri che la ragazza conserva e con cui nutre le sue speranze) ma anche alimentando i propri sogni e desideri. Sogni che lasceranno il posto ad un futuro certo e basato non sull’interesse sociale ma sull’amore vero; l’autentica magìa non è quella della bacchetta ma della bontà e benevolenza, come nel perdono finale concesso proprio a coloro che l’avevano sempre maltrattata. La tradizione è presente anche nelle scene essenziali di Roberta Lazzeri, nei costumi di Gianna Poli (sui quali svetta il rosso di Don Magnifico) e nelle luci di Vincenzo Apicella, qui riprese da Sergio Toffali. Sul fronte musicale Maria Kataeva si dimostra interprete di livello con un bel colore vocale ed ottima resa scenica, conferendo al ruolo di Angelina una dimensione sospesa tra il sogno ed il reale anelito alla felicità, giungendo alle battute finali in trionfo come ampiamente sottolineato dai vibranti ed entusiasti applausi del pubblico.  Pietro Adaini, nei panni di Don Ramiro, restituisce al personaggio tutta la sua dignità aristocratica con una cantabilità nobile e lineare e facilità negli acuti, che però non sempre risultano a fuoco. Nulla da eccepire sul Don Magnifico di Carlo Lepore, ormai interprete rossiniano di riferimento, che si rivela sempre più degno erede della grande tradizione nel solco tracciato da Dara e Montarsolo, con voce potente ed indiscusse doti attoriali, oltre ad un’invidiabile disinvoltura nei passaggi di agilità e nei frenetici sillabati. Bene anche Alessandro Luongo il quale riesce efficacemente, nel ruolo del cameriere Dandini, a reggere adeguatamente un’ affettata regalità non priva di una certa ironia soprattutto nella sua cavatina Come un’ape ne’ giorni d’aprile. In sostituzione del previsto Gabriele Sagona, Matteo D’Apolito (già interprete del ruolo a Firenze) è il saggio consigliere Alidoro, personaggio che rende con fierezza intellettuale e nobiltà vocale. Le due terribili sorellastre erano rispettivamente Daniela Cappiello (Clorinda) e Valeria Girardello (Tisbe), entrambe perfettamente calate nelle loro parti, che riescono a gestire nel contrasto timbrico tra le due tessiture; forse un tantino eccessive nell’aspetto scenico, hanno comunque condotto felicemente in porto la loro recita. La direzione di Francesco Lanzillotta è brillante seppur tesa ad assecondare la cantabilità delle voci con tempi adeguati, tanto nelle arie quanto nei concertati grazie all’ottimo apporto dell’orchestra della Fondazione Arena. Molto bene il coro, sempre preciso e puntuale nei suoi interventi. Pubblico numeroso ed entusiasta, come testimoniato dagli applausi, soprattutto quello seguito al rondò finale Nacqui all’affanno, partito spontaneamente sulla coda orchestrale. Repliche il 22 e il 24 novembre. Foto Ennevi per Fondazione Arena.

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Bergamo, Donizetti Opera 2024: “Don Pasquale”; “Casa e bottega”

gbopera - Gio, 21/11/2024 - 08:17

Bergamo, Teatro Donizetti, Donizetti Opera 2024
“DON PASQUALE”
Dramma buffo in tre atti di Giovanni Ruffini
Musica di Gaetano Donizetti
Don Pasquale ROBERTO DE CANDIA
Norina GIULIA MAZZOLA
Ernesto JAVIER CAMARENA
Dottor Malatesta DARIO SOGOS
Un notaro FULVIO VALENTI
Orchestra Donizetti Opera
Coro dell’Accademia del Teatro alla Scala
Direttore Iván López-Reynoso
Maestro del coro Salvo Sgrò
Regia Amélie Niermeyer
Scene e costumi Maria-Alice Bahra
Luci Tobias Löffer
Coreografie Dustin Klein
“CASA E BOTTEGA” – Pagine per violino e pianoforte
Gaetano Donizetti: Sonata in fa minore per violino e pianoforte, “Impromptu” in re maggiore, Variazioni in fa maggiore
Violino Massimo Spadano
Pianoforte Francesco Libetta
Presentazione Paolo Fabbri
Bergamo,  17 novembre 2024
Titolo tra i più noti e rappresentati del catalogo donizettiano “Don Pasquale” sembra quasi sfuggire alle dinamiche festivaliere, l’allestimento bergamasco è stata però occasione per risentire l’opera integralmente come ricostruita dall’edizione critica a cura di Roger Parker e Gabriele Dotto. Non si tratta di stravolgimenti radicali ma di piccole modifiche e della riapertura di qualche inciso che non cambia la struttura generale ma puntualizza alcuni passaggi soprattutto sul piano narrativo. Finalmente sentiamo Norina chiedere quel “Pranzo da cinquanta” di cui solitamente Don Pasquale si lamenta senza che venga richiesto.
L’Orchestra Donizetti Opera era affidata per l’occasione a Iván López-Reynoso, giovane direttore messicano – poco più che trentenne – in fase di affermazione sulla scena internazionale. López-Reynoso vede nell’opera soprattutto la dimensione di commedia con ritmi rapinosi e sonorità brillanti mentre resta forse un po’ in secondo piano la componente patetica. Il suono orchestrale e nel complesso assai piacevole – pur con qualche eccesso fonico che si sarebbe potuto meglio controllare – così come sempre ben gestita è la fusione tra buca e palcoscenico nonostante l’estrema concitazione imposta dalla regia ai movimenti scenici.
Il cast  ci presenta qualche problema: Javier Camarena tenore che nelle scorse edizioni aveva elettrizzato il pubblico è apparso infatti in precarie condizioni di salute – un annuncio al riguardo sarebbe forse stato auspicabile – che l’hanno costretto a giocare in difesa. La classe resta sopraffina, la voce è ideale per la parte e la simpatia scenica impagabile, però è parso evidente la prudenza resa necessaria da una palese raucedine. Nessuna ombra sulla prova di Roberto De Candia, vero mattatore della serata. L’allievo di Sesto Bruscantini fornisce qui una prestazione degna del maestro. In un ruolo che sembra scritto per le sue corde De Candia non solo canta benissimo e con una assai bella come colore e facilissima nell’emissione – i sillabati sono al limite del credibile – ma soprattutto interpreta in modo superlativo. De Candia possiede ogni singola fibra del ruolo, sa dare il giusto colore, la giusta inflessione a ogni parola, a ogni accento. Non c’è nulla che sia neppure lontanamente fuori posto, non c’è nulla che non sia calibrato alla perfezione e che al contempo non trasmetta il senso di più totale naturalezza. Il risultato è un personaggio umanissimo per il quale è impossibile non provare empatia”. Gli altri interpreti sono giovani della Bottega Donizetti chiamati a cimentarsi con ruoli decisamente impegnativi. Giulia Mazzola è una Norina interessante. La voce è bella e ben proiettata, gli acuti sono facili e brillanti, il fraseggio già ricco e vario. Scenicamente simpatica e molto partecipe si cala bene nella parte ottenendone meritato successo. Dario Sogos è un Malatesta di bella presenza vocale, tecnicamente ben impostato e sicuro in tutta la gamma. Interpretativamente è però ancora un po’ scolastico e si sente l’inesperienza dovuta alla giovane età.
Alterno l’allestimento di Amélie Niermeyer tra buone idee di parenza e perdita di controllo progressiva. L’impianto scenico è moderno, una grande villa razionalista un po’ alla Pizzi dove abita Don Pasquale, attempato ma giovanile benestante alla moda – ci si chiede solo per quale ragione Norina voglia cambiare un arredamento di design all’ultimo grido. Ernesto è uno sfaccendato che vive alle spalle dello zio, Norina veramente una spiantata ridotta a vivere in un’auto parcheggiata dietro alla villa e sulla professionalità del Dottore si può nutrire qualche dubbio nel suo essere parte dello stesso mondo sub-proletario di Norina.
Il primo atto è nel complesso ben gestito, brillante e recitato con gusto. Forse i giovani sono un po’ troppo macchiettistici il che non li rende troppo simpatici e qualche scena e troppo caricata – davvero sguaiato per essere credibile il finto notaio – ma nell’insieme il gioco funziona. Il secondo atto è invece dominato da un horror vacui che tutto travolge, la regista riempie la scena di figure di cui sfugge il significato – il rosa elefante che apre l’atto apparentemente fuggito dagli incubi alcolici del Dumbo disneyano, fornitori vestiti con pigiami da orsetti, camerieri trasformati in ospiti di una festa di dubbio gusto, striscioni ideologici – senza che tutto questo riesca a comporsi in un racconto coerente.
La mattina del 17 novembre, presso la casa natale del compositore in Borgo Canale si è svolta – con introduzione di Paolo Fabbri – l’anteprima del nuovo CD – previsto in primavera per Sony Music – della registrazione integrale delle composizioni per pianoforte e violino di Donizetti affidate a Massimo Spadano e Francesco Libetta. La presentazione è stata accompagnata da alcuni brani eseguiti dal vivo. Per l’occasione Spadano ha suonato sul violino settecentesco con accordatura di budello usato per la registrazione mentre Libetta ha utilizzato un pianoforte moderno. Nel disco saranno invece utilizzati tre pianoforti d’epoca di fabbricazione napoletana, viennese e parigina ad accompagnare gli snodi fondamentali della carriera d’occasione.
Musiche d’occasione ma nel complesso assai piacevoli che tradiscono un modo di comporre che interpreta il pianoforte come orchestra e il violino come voce solista. Esemplare al riguardo l’Impromtu in re maggiore che sfugge alle convenzioni del genere – in generale le forme sono assai libere e lontane dal rigore delle coeve esperienze mitteleuropee – per presentarsi come una scena composta da recitativo, aria e da capo con variazioni.

Categorie: Musica corale

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