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Roma, Teatro Sala Umberto: “Azzurro”

gbopera - Dom, 17/11/2024 - 00:01

Roma, Teatro Sala Umberto
AZZURRO
tratto dal libro “Azzurro, stralci di vita” di CURZIO MALTESE
con SERGIO COLICCHIO (il pianista)
musiche NICOLA PIOVANI 
luci DANILO FACCO
costumi ARABELLA BETTAZZI 
coordinamento artistico NORMA MARTELLI
voci registrate Federico Baudino, Irene Colicchio, Carmen Giardina
elaborazione suoni Lorenzo Gardena
direttore di produzione Rosi Tranfaglia
produzione Viola Produzioni – Centro di produzione teatrale
Roma, 15 novembre 2024
“Azzurro” è uno spettacolo che affascina e coinvolge il pubblico, trasportandolo nelle vicende personali e professionali di Curzio Maltese, una figura poliedrica del panorama italiano. Interpretato con maestria da Antonio Catania, questo atto unico si ispira all’ultimo libro di Maltese “Azzurro. Stralci di vita” ed è frutto della penna di Paola Ponti, con la regia di Carmen Giardina.  Le musiche originali, composte dal premio Oscar Nicola Piovani ed eseguite dal vivo da Sergio Colicchio, donano un ulteriore strato di profondità emotiva e contribuiscono a sottolineare i momenti più intensi della narrazione. La scenografia, essenziale e suggestiva, è dominata da un’insegna al neon con la scritta “Azzurro” posta al centro in alto. Tre poltrone centrali e uno schermo sullo sfondo creano l’impressione di trovarsi in una sala cinematografica. Una scrivania con un moderno computer completa l’ambiente, suggerendo il luogo in cui Curzio Maltese riflette e rivive le sue esperienze. In questo spazio, Curzio diventa anch’egli spettatore della propria esistenza, mentre diverse proiezioni di filmati, che sembrano vecchie registrazioni, lo accompagnano nel suo racconto; sono le voci registrate di Federico Baudino, Irene Colicchio e Carmen Giardina che contribuiscono ancora di più a rendere tangibile il confine tra memoria e realtà. Sul lato destro del palco, un pianoforte accompagna i momenti salienti, mentre l’apertura affidata alle note di un carillon trasporta immediatamente gli spettatori nell’intimità dei suoi ricordi. L’entrata e l’uscita del protagonista, orchestrate con precisione, contribuiscono a creare un sottile gioco di assenza e presenza, simbolo degli sprazzi di vita narrati e ri-vissuti. Gli abiti, di Arabella Bettazzi, caratterizzano il protagonista nella sua essenza. La scelta di un semplice abito da uomo, con la giacca che viene indossata e tolta in momenti chiave. Gesti che riflettono la routine e la resilienza di un uomo che porta con sé il peso della sua storia, invitando il pubblico a partecipare a questa esperienza vissuta con autenticità. La narrazione si sviluppa con maestria, intrecciando il vissuto personale di Curzio con gli eventi storici e politici che hanno segnato l’Italia, creando un percorso ricco di memorie, emozioni e riflessioni. L’interpretazione di Curzio evoca incontri straordinari con figure iconiche come Roman Polanski e Sharon Tate, mentre ricorda anche i grandi protagonisti della scena culturale italiana, da Mariangela Melato a Giorgio Armani e Carla Fracci. Un potente rimando al “Macbeth” di Shakespeare, simbolo delle battaglie interiori, viene abilmente inserito nella trama, stabilendo un parallelo tra le turbolenze del protagonista e del suo tempo. Tra gli eventi storici trattati, la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 emerge come uno dei momenti più traumatici, che ha inciso profondamente sulla sua coscienza collettiva e del paese. L’ingresso di Silvio Berlusconi nel panorama politico, invece, è analizzato con uno sguardo critico, da giornalista, e allo stesso tempo ironico, evidenziando l’impatto che la sua ascesa ha avuto sui media e sull’intero assetto sociopolitico dell’Italia contemporanea. La musica riveste un ruolo fondamentale, attraversando e arricchendo ogni momento dello spettacolo. Curzio canta le canzoni che hanno segnato la sua crescita, come “Azzurro” di Paolo Conte e Vito Pallavicini, o “L’Internazionale”, simbolo di speranza e lotta collettiva. Questi brani, insieme ad altri, fanno parte dell’archivio intimo della sua memoria. La musica, insieme agli oggetti scenici, si intreccia con i suoi ricordi e le sue esperienze, creando un tessuto emotivo che rende lo spettacolo autenticamente umano e condiviso. Tali frammenti disegnano il ritratto di un uomo e danno vita a un affresco collettivo di un’epoca vibrante, segnata da passioni, contraddizioni e cambiamenti. Le luci, curate da Danilo Facco, si fondono perfettamente con la musica, amplificando l’intensità emotiva e avvolgendo gli spettatori in un’atmosfera intima. Gli oggetti scenici, come una valigia, una palla da gioco e una macchinina rossa, non sono semplici elementi di scena, ma simboli di amicizie, viaggi e ricordi lontani. Rappresentano frammenti dell’archivio personale di Curzio, evocando una profonda nostalgia. Quegli oggetti diventano preziosi grazie ai ricordi.  Antonio Catania, con la sua interpretazione magistrale, conferisce al personaggio un equilibrio perfetto tra ironia e profondità, dando vita a una figura ricca di sfumature emotive. Le sue pause ponderate e le modulazioni vocali fanno sì che ogni ricordo diventi un momento di coinvolgimento, invitando il pubblico a condividere quel viaggio emotivo. E le osservazioni pungenti servono come monito: “La democrazia, se svuotata, apre la strada alla dittatura”. “Azzurro”, prodotto da Viola Produzioni – Centro di produzione teatrale, è un tributo alla memoria e alla potenza delle parole. “Noi siamo fatti di parole. Ed io le parole le ho perse” è la frase emblematica che ha racchiuso l’essenza dello spettacolo. L’importanza delle parole, non solo per raccontare, ma per vivere e ricordare la vita di un grande uomo. Tra momenti di intensa commozione e sprazzi di leggerezza, lo spettacolo rappresenta la vita con autenticità e complessità.  Antonio Catania, con la sua straordinaria interpretazione, regala al pubblico un ritratto vibrante e universale dell’esistenza umana, capace di farci ridere e commuovere, rendendoci spettatori dei nostri stessi ricordi e delle somiglianze che ci uniscono come esseri umani. E, in tutto questo, ci ricorda che è la bellezza che spesso ci salva.

 

Categorie: Musica corale

Milano accoglie la meditazione nelle sue strade: l’arte pubblica diventa introspezione collettiva con URBAN PROJECT di The Prism

gbopera - Sab, 16/11/2024 - 17:22

Milano
URBAN PROJECT
progetto artistico ideato da Stefano Simontacchi
curato da Marco Senaldi
The Prism, progetto artistico ideato da Stefano Simontacchi e curato da Marco Senaldi, presenta URBAN PROJECT, un’esperienza immersiva di meditazione a cielo aperto che attraverserà il cuore della città per due settimane. L’iniziativa prende vita in Piazza San Fedele questo fine settimana (16-17 novembre) e continuerà fino al 1° dicembre coinvolgendo altre cinque zone di Milano: Porta Lodovica, Corso Como, San Babila, Buenos Aires, e Via de Amicis. L’arte di The Prism si trasferisce sugli imponenti ledwall metropolitani, offrendo un invito a guardare in alto, a prendere un momento per respirare davvero e a riconnettersi con sé stessi. Una proposta unica che rende la meditazione accessibile a tutti nelle vie di Milano, trasformando l’arte pubblica in un’esperienza tanto intima quanto collettiva. “URBAN PROJECT” rappresenta un’opportunità inedita: l’arte di The Prism, nota per i suoi portali energetici, viene amplificata in dimensioni monumentali per regalare ai cittadini uno spazio di introspezione e crescita personale, direttamente nei centri nevralgici della città. Il percorso di meditazione prende il nome di THE PRISM WAY, strutturato in sette passi che guidano verso una maggiore consapevolezza e armonia interiore. Tramite un QR code proiettato insieme alle opere, ogni persona può accedere a meditazioni guidate dalla voce dell’artista, scoprendo un viaggio di trasformazione profonda attraverso sette portali energetici, ognuno rappresentante una diversa tappa del percorso. Stefano Simontacchi descrive THE PRISM WAY come un manifesto di trasformazione: “È un invito a guardare oltre l’apparenza e ad ascoltare quella voce interiore troppo spesso dimenticata. Il percorso inizia con la scoperta del proprio scopo e la definizione di una visione chiara, fino alla manifestazione delle intenzioni con amore, passando per la presa di decisioni consapevoli e arrivando ad agire con determinazione, sempre con gratitudine verso la vita.” Il progetto è reso possibile grazie al supporto del mecenate Vincenzo Acone e della sua azienda Acone Associati, leader nelle sponsorizzazioni pubblicitarie per il restauro di edifici e monumenti. Acone Associati ha messo a disposizione non solo il ledwall di Piazza San Fedele per l’intero weekend del lancio, ma anche altri grandi impianti pubblicitari nelle aree strategiche di Milano fino al 1° dicembre, garantendo così oltre un milione e mezzo di contatti visivi. Il curatore Marco Senaldi spiega l’unicità dell’iniziativa: “L’arte contemporanea ha sempre cercato di uscire dagli spazi tradizionali, come musei o gallerie, ma URBAN PROJECT va oltre l’uso degli spazi pubblicitari urbani: non è soltanto una questione estetica. Qui si recupera una pratica sciamanica in cui forme, colori, suoni e parole diventano vibrazioni in grado di generare una risonanza energetica, sia individuale che collettiva. L’intento è tornare a concepire l’arte come un dono al servizio dell’uomo, capace di offrire una vera guarigione dell’anima, per tornare a vivere ed esistere nella piena consapevolezza del Sé.” Nella frenesia della vita quotidiana, URBAN PROJECT offre un’opportunità rara per fermarsi e guardarsi dentro, un atto rivoluzionario che restituisce valore al singolo individuo all’interno della collettività urbana. Il progetto porta i portali emozionali di The Prism fuori dal The Prism Core Center, inaugurato nel marzo 2024 in Piazza Napoli 22 a Milano, per incontrare le persone là dove vivono la loro quotidianità. Parallelamente all’installazione pubblica, il The Prism Core Center ospiterà workshop e seminari dedicati alla crescita personale e spirituale, in collaborazione con esponenti del benessere olistico. Un modo per approfondire l’esperienza e per scoprire nuove modalità di connessione con sé stessi e con il mondo. The Prism è un progetto di ricerca artistica interattiva che connette il pubblico attraverso portali emozionali e opere luminose, veri e propri varchi per l’indagine spirituale. Dopo essere stato presentato nel 2023 con il percorso “Project Revelation” a Milano, The Prism ha ampliato il proprio raggio d’azione, conquistando anche il pubblico internazionale. Nel maggio 2024, il progetto ha raggiunto il Consolato Generale d’Italia a New York e ha partecipato alla New York Design Week, portando le sue opere iconiche oltreoceano. Stefano Simontacchi, alias The Prism, è una figura di rilievo nel panorama italiano: avvocato di successo e presidente di uno dei più importanti studi legali del paese, è stato insignito dell’onorificenza di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Con The Prism, Simontacchi coniuga la sua lunga esperienza professionale con una profonda crescita spirituale, esplorando lo sciamanesimo e la meditazione come strumenti di trasformazione personale. The Prism è la sintesi del suo percorso interiore, un progetto che vuole offrire al pubblico la possibilità di “vedere” ciò che solitamente sfugge, aprendo la luce in una miriade di sfaccettature e rendendo l’arte uno strumento per l’elevazione interiore e la conoscenza profonda. URBAN PROJECT di The Prism è molto più di una semplice installazione artistica: è un viaggio nella spiritualità, un’esperienza di meditazione collettiva che sfida i ritmi convulsi della città per riconnettere i cittadini con la parte più autentica di sé. Attraverso la potenza visiva e spirituale delle opere di Simontacchi, Milano diventa teatro di una riflessione profonda, un luogo in cui l’arte e la meditazione si fondono per offrire un momento di autentica rigenerazione. Fino al 1° dicembre, Milano è il palcoscenico di un’arte che è allo stesso tempo rifugio e rivelazione, che ci invita a fermarci, respirare e riscoprire la bellezza di essere presenti.

Categorie: Musica corale

Roma, Villa Farnesina: ” Il Seicento a Villa Farnesina”

gbopera - Sab, 16/11/2024 - 16:15

Roma, Villa Farnesina
IL SEICENTO A VILLA FARNESINA
Villa Farnesina si rivela ancora una volta come uno scrigno inesauribile di sorprese, capace di riscoprire il dialogo fra le epoche, dove la decorazione pittorica diventa il mezzo per reinterpretare l’incessante stratificazione storica di questo gioiello rinascimentale. La recente scoperta degli affreschi seicenteschi dell’antico soggiorno, emersi in un’intercapedine sopra la volta ottocentesca, offre uno spunto per una rilettura della villa in chiave barocca, illuminando angoli nascosti rimasti celati per secoli. Grazie all’utilizzo di tecnologie digitali avanzate, questi affreschi vengono restituiti allo sguardo del pubblico, attraverso video e immagini curate da Luigi Spina, che ci permettono di sfiorare con lo sguardo il cielo popolato da putti in volo intorno allo stemma Farnese, e di ammirare i delicati paesaggi autunnali ad adornare le lunette. Questa piccola ma preziosa mostra, intitolata “Il Seicento a Villa Farnesina”, diventa una finestra sull’evoluzione iconografica e stilistica della villa, ponendo l’accento sulle reinterpretazioni seicentesche delle celebri decorazioni di Raffaello. La mostra, aperta fino al 12 gennaio, svela infatti come i soggetti iconografici ideati dal maestro di Urbino abbiano continuato a ispirare generazioni di artisti, offrendo uno sguardo sulla fortuna dei suoi temi nella Roma del Seicento. L’iniziativa è frutto di una collaborazione tra Villa Farnesina e Palazzo Farnese, condotta in sinergia con l’École française de Rome, un ente che da quasi 150 anni si impegna nella valorizzazione del patrimonio storico e artistico italiano. Questo progetto si inserisce all’interno di una più ampia strategia di cooperazione culturale che coinvolge anche le celebrazioni per l’anniversario dell’École. Le collaborazioni fra Villa Farnesina e Palazzo Farnese, situati sulle opposte rive del Tevere, rievocano simbolicamente il Ponte di Michelangelo, mai costruito, ma concepito nel 1540 come collegamento ideale tra due delle più importanti residenze storiche di Roma. Questo dialogo architettonico e culturale si fa oggi metafora del tentativo di costruire ponti tra passato e presente, tra luoghi che condividono un’eredità comune e la responsabilità della sua trasmissione. Il progetto vuole essere anche un atto di riscoperta del legame profondo tra le due residenze, simboli di un’eleganza e di una raffinatezza senza tempo. La collaborazione tra l’École française de Rome e Villa Farnesina si inserisce in un contesto più ampio di promozione culturale, volto a rinnovare la percezione e la fruizione di queste meraviglie storiche attraverso nuove tecnologie e narrazioni contemporanee. Questo connubio di storia e innovazione offre al pubblico un’esperienza immersiva, che va oltre la semplice esposizione delle opere, ma si configura come un dialogo aperto con il passato. Grazie alle attività di conservazione e restauro portate avanti dall’Accademia Nazionale dei Lincei e dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, la mostra è riuscita a far emergere nuove prospettive sulla decorazione seicentesca della villa, mettendo in luce l’influenza che lo stile di Raffaello ebbe sulla Roma barocca. I lavori di restauro hanno rivelato dettagli pittorici di straordinaria bellezza, dai cromatismi delicati ai motivi decorativi che adornano la volta e le lunette. Per la prima volta, sei dipinti che si ispirano agli affreschi dell’Urbinate e dei suoi collaboratori sono esposti nella Loggia di Amore e Psiche, due dei quali sono rielaborazioni dei pennacchi dipinti da Giulio Romano, giunti dalle collezioni del Museo e Real Bosco di Capodimonte e attualmente custoditi presso la Camera dei Deputati. Il percorso espositivo include anche opere paradigmatiche del classicismo seicentesco, come le Galatee di Pietro da Cortona e Andrea Sacchi, che accolgono i visitatori nella Loggia di Galatea, dialogando idealmente con l’affresco di Raffaello. La presenza di una copia seicentesca della Galatea, proveniente dall’École française de Rome, aggiunge un ulteriore tassello alla narrazione espositiva, rappresentando la continuità del mito e del linguaggio raffaellesco nei secoli. La mostra diventa così un’occasione per riflettere su come i temi e i modelli raffaelleschi siano stati assimilati e reinterpretati dagli artisti del Seicento, generando un repertorio iconografico che si è arricchito di nuovi significati e suggestioni. L’influenza di Raffaello non si esaurisce nella celebrazione del suo genio, ma si espande nel tempo, diventando patrimonio condiviso e fonte di continua ispirazione. Brigitte Marin, direttrice dell’École française de Rome, sottolinea come questa iniziativa non solo valorizzi le collezioni dell’École, ma testimoni anche l’importanza del legame storico fra l’istituzione francese e il patrimonio artistico italiano. Uno dei quadri esposti, una Galatea seicentesca, ha infatti un valore personale per la Marin, essendo parte del suo ufficio sin dal suo arrivo a Roma nel 2019. Il dipinto, donato all’École nel 1913, rappresenta un frammento di memoria che collega storie personali e istituzionali, oggi riportato alla luce grazie ad un meticoloso lavoro di restauro. La mostra diventa quindi anche un viaggio nelle memorie individuali, che si intrecciano con quelle collettive, creando un tessuto narrativo ricco di significati. L’impegno dell’École française de Rome nel campo della ricerca storica e archeologica, che coinvolge giovani studiosi e personalità del mondo accademico, si riflette in questa mostra, che invita il pubblico a intraprendere un viaggio di bellezza e scoperta attraverso gli affreschi della Villa Farnesina. Ancora una volta, la villa si conferma come luogo di ricerca e valorizzazione culturale, capace di restituire al presente la vitalità del passato. Questa mostra non è solo una celebrazione del Seicento romano, ma un’occasione per ripensare la storia dell’arte come un continuo dialogo, in cui ogni epoca lascia una traccia per la successiva. Il percorso di riscoperta della Villa Farnesina proseguirà anche dopo la conclusione di questa mostra, con nuovi progetti di restauro e valorizzazione, che mirano a riportare alla luce ulteriori tesori nascosti. “Il Seicento a Villa Farnesina” rappresenta un invito a guardare oltre la superficie, a scoprire i legami sottili che uniscono epoche diverse e a lasciarsi ispirare dalla bellezza che ci circonda. La villa, con la sua storia complessa e affascinante, continua a raccontarci storie di artisti, mecenati e studiosi, offrendo un rifugio di meraviglia nel cuore di Roma.

Categorie: Musica corale

Napoli, Teatro Bellini: “Tragudia – Il canto di Edipo”

gbopera - Sab, 16/11/2024 - 12:36

Napoli, Teatro Bellini, Stagione 2024/25
“TRAGÙDIA – IL CANTO DI EDIPO”
Spettacolo di Alessandro Serra
Liberamente ispirato alle opere di Sofocle e ai racconti del mito
Traduzione in lingua grecanica Salvino Nucera
Con: ALESSANDRO BURZOTTA, SALVATORE DRAGO, FRANCESCA GABUCCI, SARA GIANNELLI, JARED MCNEILL, CHIARA MICHELINI, FELICE MONTERVINO
Regia, Scene, Luci, Suoni, Costumi Alessandro Serra
Voci e Canti Bruno de Franceschi
Collaborazione ai Movimenti di Scena Chiara Michelini
Collaborazione al Suono Gup Alcaro
Collaborazione alle Luci Stefano Bardelli
Collaborazione ai Costumi Serena Trevisi Marceddu
Direzione Tecnica e Tecnica del Suono Giorgia Mascia
Direzione di Scena Luca Berettoni
Costruzione Scene Daniele Lepori, Serena Trevisi Marceddu, Loic Francois Hamelin
Produzione Sardegna Teatro, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Fondazione Teatro Due Parma
In collaborazione con Compagnia Teatropersona, I Teatri di Reggio Emilia
Napoli, 13 novembre 2024
Quando Edipo arriva a capire – afferma Pasolini intervistato, nel 1968, da Jon Halliday –, non gli serve più. E non gli serve più capire proprio perché, quando è costretto a fare i conti con la realtà, quando comprende che non è possibile modificare la realtà, preferisce «uscir fuori» da essa; preferisce, cioè, collocare e costringere se stesso in una degradante condizione autopunitiva, quella della cecità. Gli occhi, quando non sanno cercare e osservare la verità, servono a poco. Forse, se Edipo avesse vissuto razionalisticamente, se avesse «affrontato» la realtà (e se l’avesse studiata analiticamente, come un poeta o come un «intellettuale», per dirla ancora con Pasolini), avrebbe anche potuto modificarla. Però, in quel caso, sarebbe stato «accecato» da altri. È una tragedia dal carattere irreversibilmente «pessimistico», perché destinata a un’eterna irresolutezza o a risoluzioni fatalmente drammatiche. Tragùdia – Il canto di Edipo, di Alessandro Serra, è tutto ciò che resta d’un teatro sottratto a se stesso e fatto a pezzi. Il corpo d’un teatro dal carattere «neoavanguardistico»; martire stupendo di una «rivoluzionaria» operazione di squartamento dell’elemento di potere per eccellenza, il linguaggio – parafrasando il filosofo Gilles Deleuze che, in Sovrapposizioni, scrive di «teatro esperimento» in riferimento proprio al «non-teatro» di Carmelo Bene, artefice di un atipico teatro neoavanguardista, anche se quest’etichetta è puramente convenzionale. È, dunque, un teatro d’ispirazione beniana; un teatro linguisticamente «crudele» – determinato, soltanto contenutisticamente, dai testi tragici di Sofocle. Non è un teatro borghese, proprio perché non è una culla consolatoria entro cui poter dormire «beatamente», e non ha pretese moralistiche. È un irrazionalistico momento di «crisi collettiva», i cui sintomi risiedono nella potenza sonora d’un linguaggio antico e «nuovo», morto e vivo, tragicamente brillante e robusto: il grecanico (nella traduzione di Salvino Nucera); una lingua che, ancora oggi, sopravvive in angoli remoti di ciò che fu la Magna Grecia, nel profondo Meridione d’Italia. Un linguaggio stupendamente folclorico, a cui viene consegnata una nuova dignità, sia pure soltanto in termini teatrali. Ma, proprio per questo motivo, la rappresentazione appare come mitizzata, perché gonfia di una vaga sacralità; un linguaggio che, dunque, travalica il senso logico o psicologico delle frasi, e che consente allo spettatore di trovare un senso non nella struttura sintattica del testo, ma nella potenza comunicativa ed espressiva del suono, sia pure apparentemente inafferrabile. Un teatro non costituito da dialoghi canonici o da consuete conversazioni, ma fatto di «monologhi a due, tre o a più voci»: sonorità pure, dal carattere poeticamente popolare, organizzate entro una cornice espressiva ed espressionistica più ampia, entro un affresco collettivo, corale; un affresco non costituito da personaggi, ma da figure, la cui funzione è vigorosamente drammatica. Nel coro, risiede la coscienza del re di Tebe: gli attori agiscono attraverso canti (scritti da Bruno de Franceschi) potentemente vigorosi, immersi in un’atmosfera arcaica e ancestrale. Il tono disperato e primitivo dei canti affligge moralisticamente l’incestuoso e parricida Edipo, costretto a scendere a patti con le sue tremende colpe: figlio-sposo di sua madre, fratello-padre dei suoi figli. Ottimi, dunque, gli attori – avvolti in costumi austeri e severi: Alessandro Burzotta, Salvatore Drago, Francesca Gabucci, Sara Giannelli, Chiara Michelini, Felice Montervino. Soltanto Edipo, interpretato da Jared McNeill, appare come il testimone (anzi, come il primo testimone) della nevrotica «disperazione» dell’uomo «contemporaneo» (un riferimento, qui, alle teorie psicoanalitiche freudiane è pressoché scontato, ma fatalmente inevitabile). Ed è per questo motivo che soltanto Edipo, proprio perché già «uomo moderno», può e riesce a staccare se stesso dall’affresco corale, agendo e cantando sotto il segno d’una angoscia realisticamente umana, tra brusche variazioni di tono e momenti di commovente introspezione. Un teatro, dunque, assimilabile alla poetica teatrale del drammaturgo francese Antonin Artaud, il papà del cosiddetto «Teatro della crudeltà», la cui «invivibilità» non è dettata da princìpi sadomasochistici, ma dalla «crudele» operazione di «esemplificazione», a cui il registascenografocostumista, Alessandro Serra, sottopone il contenuto originario della tragedia, inserito in una struttura scenica estremamente stilizzata e nitidamente illuminata (costruita da Daniele Lepori, Serena Trevisi Marceddu e Loic Francois Hamelin). Un rigore matematico e schematicamente geometrico determina le danze e i movimenti dei cantanti-attori: atti teatrali che vanno a comporre un complesso sistema di segni linguistici, inquadrati entro un’astratta struttura sintattica: la potenza comunicativa viene affidata a gesti netti, taglienti e tragicamente asciutti; viene, dunque, affidata a una «scrittura-di-scena»: locuzione «sottratta» alla poetica teatrale di Carmelo Bene – svuotata, qui, però, della sua funzione originaria: in questo caso, la scrittura scenica non determina il linguaggio orale, ma quello gestuale. Linguaggio sostenuto da suoni violenti e drammatici, ideati dal regista medesimo. Un pubblico, attento e commosso, accoglie entusiasticamente questa gemma drammatica del teatro contemporaneo. Foto Alessandro Serra

Categorie: Musica corale

Milano, Teatro alla Scala: “Trittico Balanchine / Robbins”

gbopera - Ven, 15/11/2024 - 22:15

Milano, Teatro alla Scala, Stagione 2023/ 24
“TRITTICO BALANCHINE/ ROBBINS”
“THEME AND VARIATIONS”
Coreografie George Balanchine
Musica Pëtr Il’ič Čajkovskij
Coppia principale NICOLETTA MANNI, TIMOFEJ ANDRIJASHENKO
Quattro soliste GAIA ANDREANÒ, CATERINA BIANCHI, CAMILLA CERULLI, LINDA GIUBELLI
Quattro solisti DOMENICO DI CRISTO, EDWARD COOPER, RINALDO VENUTI, ALESSANDRO PAOLONI
Scene e costumi Luisa Spinatelli
Luci Andrea Giretti
“DANCES AT A GATHERING”
Coreografie Jerome Robbins
Musica Fryderyk Chopin
Pink AGNESE DI CLEMENTE
Mauve VITTORIA VALERIO
Apricot CAMILLA CERULLI
Green MARTINA ARDUINO
Blue GIORDANA GRANATA
Brown SAÏD RAMOS PONCE
Purple MARCO AGOSTINO
Green Boy NAVRIN TURNBULL
Brick DOMENICO DI CRISTO
Blue Boy GIOACCHINO STARACE
Pianoforte Leonardo Pierdomenico
Costumi Joe Eula
Luci Jennifer Tipton, riprese da Perry Silvey
“THE CONCERT”
Coreografia Jerome Robbins
Musica Fryderyk Chopin orchestrazione Clare Grundman
The Ballerina CATERINA BIANCHI
The Husband MARCO AGOSTINO
The Wife MARTA GERANI
Shy Boy ALESSANDRO PAOLONI
The Angry Lady ANTONELLA ALBANO
First Man EMANUELE CAZZATO
Second Man MASSIMO DALLA MORA
2 Matinée Ladies REBECCA LUCA, MARTINA MARIN
Usher ANDREA RISSO
Pianoforte Leonardo Pierdomenico
Scene Saul Steinberg
Costumi Irene Sharaff
Luci Jennifer Tipton
Corpo di ballo e Orchestra del Teatro alla Scala di Milano
Direttore Fayçal Karoui
Milano, 13 novembre 2024
Al teatro alla Scala è in cartellone una serata dedicata a due coreografi importanti del Novecento: uno è l’arcinoto George Balanchine, l’altro Jerome Robbins. Gli spettacoli portati in scena sono tre: quello di Balanchine fu rappresentato solo una volta vent’anni fa circa, mentre Robbins è un debutto assoluto sulle scene scaligere nonostante le coreografie risalgano agli anni 50 e 60. Ma procediamo con ordine.Theme and variations di Balanchine è danzato sulla Suite 3 op. 55 di Čajkovskij. Questa coreografia è del 1947, e, nonostante l’amore e la stima che nutriamo per Balanchine, ci ha lasciati abbastanza freddi, non sappiamo se per l’allestimento o se per la coreografia in sé, omaggio dello stile russo a cui Balanchine era legato dalle sue origini (e che ha ulteriormente omaggiato ad esempio in Jewels, vent’anni dopo). Ma puntando tutto sullo stile, forse è stato danzato in maniera troppo algida, maggiori legato avrebbero giovato. Ad ogni modo tutto il corpo di ballo ha danzato in maniera tecnicamente solida, e rileviamo soprattutto Timofej Andrijashenko nella sua variazione. Notiamo anche il primo violino nel suo momento da protagonista nell’undicesima variazione (con una musica già di per sé incantevole). Segue Robbins con Dances at a gathering. Per circa un’ora di spettacolo dieci danzatrici e danzatori si avvicendano sul palco con i loro avvenimenti, manifestando una varietà di sentimenti dai più eterei e quasi melanconici a quelli più spiritosi… e anche se non sappiamo quali siano questi avvenimenti, essi ci hanno incantato. Al suo debutto, nel 1969, Clive Barnes, sulle pagine del New York Times, saluta questa coreografia “una delle serate più significative nel teatro americano dai tempi di O’Neill”, e definendola “onesta come il respiro, aggraziata come il canto di un’allodola e, in un modo molto speciale, più una cosa da vivere che semplicemente un altro balletto da vedere”, suggerendo che si tratta della “visione di un ballerino di Chopin, ma allo stesso modo potrei dire che è la visione di un americano dell’Europa”. Ci ritroviamo anche nella considerazione per cui questa coreografia è una miscela, anzi fusione di elementi di danza classica e popolare. Balanchine paragonò questo spettacolo ai popcorn. Infatti, questa coreografia era stata concepita come più breve, ma Balachine disse a Robbins: “fanne di più, fallo come popcorn”; e ci sembra che paragone più azzeccato non potesse essere fatto. Proprio come i popcorn, i pezzi danzati di questa coreografia, scaldati al fuoco della musica di Chopin, esplodono ciascuno assumendo una propria forma sempre diversa: a un’occhiata veloce d’insieme ci possono sembrare tutti uguali, ma con attenzione ci accorgiamo che sono uno diverso dall’altro: più piccoli, più grandi, più chiusi, più aperti, e ognuno ha una forma diversa dall’altro, con un proprio carattere. E sempre come i popcorn possono provocare forse indigestione, ma se piacciono danno sicuramente piacere! I danzatori sono stati tutti eccellenti tecnicamente, ma notiamo per l’animo soprattutto Agnese Di Clemente, Vittoria Valerio, Navrin Turnbull e Domenico Di Cristo; il giovanissimo Saïd Ramos Ponce è molto promettente, ma ancora un po’ acerbo nei sentimenti. La serata è terminata con The concert, sempre di Robbins, anch’essa alla prima rappresentazione assoluta qui in Scala. Risalente al 1956, quindi tredici anni prima di Dances, è decisamente figlia del suo tempo, ma una figlia ancora in ottima forma. Il pianista è sulla scena, ed è lui il protagonista iniziale, alla maniera di John Cage e del suo celebre 4’33” del 1952: si prepara, pulisce il piano, per i primi minuti fa di tutto tranne che suonare. Poi inizia il concerto, che si trasforma pian piano in una parodia di alcune coreografie che solitamente vengono portate in scena. La risposta del pubblico c’è, si ride, anche grazie al corpo di ballo che spesso ha avuto buoni tempi comici. In un crescendo lo spettacolo si conclude con un improbabile balletto pseudo-romantico che ha per protagoniste delle farfalle, a cui il pianista verso la fine dà la caccia con un enorme retino! Deve essere tutto ciò ad aver fatto scrivere a John Martin, sempre sul New York Times, che questo spettacolo era “una specie di revisione da incubo in cui una serie di personaggi mantiene le stesse relazioni attraverso una sequenza infinita di situazioni diverse. C’è una parodia esilarante del pubblico, e una ancora più ridicola di un ensemble di balletto in conflitto con un ruvido individualismo, che potrebbe essere la sezione migliore. Una lunga serie di vuoti di memoria [dei ballerini ndr] […] un’idea molto divertente, ma potrebbe essere più efficace in uno spettacolo di Broadway”. Noi la pensiamo diversamente, e crediamo che si possa fare in maniera seria una ridicola “revisione da incubo” di alcuni tipi di balletti senza dover per forza confinare i generi in luoghi autorizzati alla messa in scena. Speriamo quindi che questo debutto di Robbins alla Scala abbia un seguito nel repertorio della compagnia.Prossime repliche: 16, 17 e 20 Novembre. Foto Brescia & Amisano

Categorie: Musica corale

Franco Fagioli: “Anime immortali”

gbopera - Ven, 15/11/2024 - 08:43

Wolfgang Amadeus Mozart: “Se l’augellin sen fugge” (“La finta giardiniera” K. 196); “Ah se a morir mi chiama” (“Lucio Silla” K 135), “E giunge a questo segno…Va pure ad altri in braccio” (“La finta giardiniera” K 196); “Lungi le cure ingrate” (“Davidde penitente”) K. 469; “Parto, parto, ma tu, ben mio”, “Deh per questo istante solo” (“La clemenza di Tito” K. 621); “Exsultate, jubilate”, “Fulget amica dies”, “Virginum corona”, “Alleluja”, (“Exsultate, jubilate” K. 165). Kammerorchester Basel, Daniel Bard (direttore), Franco Fagioli (controtenore). Registrazione: Don Bosco, Paul Sacher Saal, Basilea. 3 e 9 ottobre 2020. 1 CD Pentatone PTC 5187 044
I ruoli scritti da Mozart per castrato sono ancora affidati principalmente a mezzosoprani – o soprani – en travesti, mentre più raro è l’uso di falsettisti nel repertorio del salisburghese. Quasi una sfida a questa tradizione arriva dal nuovo CD di Franco Fagioli. Il controtenore argentino si cimenta in questo repertorio offrendo una prestazione assai interessante nonostante il contenuto sia fin troppo ridotto durando la registrazione appena quarantasette minuti e lasciando ampi vuoti in un possibile catalogo dei ruoli mozartiani per castrato. La voce di Fagioli si distingue per l’ampiezza dell’estensione – fino al Do acuto come Venanzio Rauzzini uno dei destinatari dei brani proposti – e per la robustezza del mezzo dotato di una compattezza e omogeneità non così scontate per questa tipologia di voci.
Accompagnato con il giusto rigore filologico dalla Kammerorchester Basel diretta da Daniel Bard Fagioli offre una carrellata – in ordine sostanzialmente cronologico almeno per i brani operistici – della produzione mozartiana per questo tipo di vocalità
Posta in apertura Se l’augellin sen fugge” da “La finta semplice – unica piccola anticipazione cronologica rispetto alle arie successive – colpisce per la leggerezza dell’esecuzione di cui è colto perfettamente il carattere galante. Con la successiva Ah se a morir mi chiama” Fagioli può far valere due delle migliori frecce al suo arco ovvero la facilità della tessitura acuta e la propensione per un canto patetico entrambe centrali nell’aria di Cecilio scritta per Rauzzini. Allo stesso cantante era dedicato il mottetto Exsultate, jubilate”di poco successivo all’opera – posto in chiusura di programma, dove Fagioli può dar fuoco alle polveri del virtuosismo svettando facilissimo sull’alta tessitura e sciorinando con facilità i rapidi passaggi di coloratura dove però resta un sentore di costruito che da un tono quasi aggressivo all’”Alleluja” conclusivo.

Una seconda aria anche da La finta giardiniera”, dopo un recitativo ben eseguito – la dizione è nel complesso corretta anche se manca un po’ di nitidezza – segue l’aria di furore “Va pure ad altri in braccio in cui Fagioli grazie alla pienezza del timbro riesce a risultare autenticamente intenso e drammatico e non solo superficialmente frenetico come spesso queste voci risultano in questo tipo di brani.
Di rarissimo ascolto Lungi le cure ingrate” da “Davidde penitente rientra tra quei brani lirici particolarmente adatti alla voce di Fagioli e rappresenta l’unica incursione oratoriale del programma offrendo anche un estratto da un titolo molto poco frequentato.

Il breve programma si chiude con le due arie di Sesto da “La clemenza di Tito” che possono rappresentare una sorta di cartina tornasole di tutta l’operazione. Vocalmente la prestazione è buona. La compattezza della linea di canto e il colore vocale innegabilmente bello non distinguono troppo questa voce da quella di un mezzosoprano. La tessitura è retta con sicurezza ammirevole e le difficoltà risolte con abilità e una buona naturalezza. Sul piano espressivo Fagioli punta a un taglio passionale e diretto che sicuramente colpisce al primo ascolto ma che a un’analisi più attenta mostra anche una certa superficialità. In brani come questi è possibile – e sarebbe auspicabile tanto più in un prodotto discografico – un approccio più curato e raffinato, un gioco di accenti e di colori più vario e sensibile che qui non troviamo sostituito da un’impetuosità che lambisce appena la ricchezza emotiva del ruolo.
L’orchestra come già detto suona con rigore e buona presenza sonora ma forse solo nell’aria de “La finta giardiniera” riesce a emergere con una certa autonomia dal semplice accompagnamento e nella fin troppo eccessiva stringatezza del programma non è stato concesso all’orchestra nessuno spazio per un momento puramente strumentale.

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Roma, Eur: “Arte in Nuvola” dal 22 al 24 Novembre 2024

gbopera - Ven, 15/11/2024 - 08:00

Roma, Eur
ROMA ARTE IN NUVOLA
Dal 22 al 24 novembre 2024, Roma ospiterà la quarta edizione di “Roma Arte in Nuvola”, la grande fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea, ideata e diretta da Alessandro Nicosia con la direzione artistica di Adriana Polveroni e promossa da Eur SpA. Questo evento rappresenta un’importante piattaforma per il dialogo artistico e culturale, un appuntamento imperdibile per gli appassionati d’arte nella suggestiva cornice della Nuvola di Fuksas. Dopo il successo dell’edizione precedente, che ha visto la partecipazione di oltre 35.000 visitatori e riscontri positivi dalla critica e dal pubblico, l’edizione del 2024 promette di superare le aspettative. Con 140 gallerie partecipanti, sia italiane che internazionali, la fiera non solo facilita l’incontro e il confronto tra artisti e pubblico, ma mira anche a espandere i propri orizzonti includendo le correnti artistiche più influenti ed emergenti​. Una delle principali novità di questa edizione è l’aumento del numero di gallerie presenti e la maggiore partecipazione di espositori internazionali, con un focus sulle nuove tendenze artistiche. Particolare attenzione sarà rivolta agli artisti provenienti dal Centro e Sud Italia, con città rappresentate come Napoli, Catania, Pescara e Nuoro​ . Il paese ospite di quest’anno sarà il Portogallo, che presenterà una selezione di opere dalla Collezione Statale d’arte Contemporanea, curata da Sandra Vieira Jürgens, in collaborazione con il Ministero della Cultura e l’Ambasciata del Portogallo in Italia​ . Roma Arte in Nuvola non è solo una fiera, ma un vero e proprio festival culturale con un programma ricco di eventi collaterali. Tra i progetti speciali, spicca l’omaggio a Pietro Consagra, pioniere dell’arte astratta, con una ricostruzione del suo studio romano e l’esposizione di sculture interattive come i Matacubi. Inoltre, ci sarà una mostra dedicata al duo Vedovamazzei e una retrospettiva sul pittore siciliano Piero Guccione, in occasione del settantesimo anniversario del suo arrivo a Roma​ . Le collaborazioni con istituzioni pubbliche e museali saranno fondamentali per arricchire il programma della fiera. Partecipano il Ministero della Cultura, il MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo, l’Istituto Centrale per la Grafica e il Museo delle Civiltà, tra gli altri. Queste collaborazioni permetteranno di realizzare progetti speciali e spazi di conoscenza per il grande pubblico​ . L’edizione 2024 si caratterizza per la sua capacità di rappresentare tutte le discipline artistiche, dalla pittura alla scultura, dalle installazioni alle performance, dalla video arte alla digital art e alla street art. La fiera è suddivisa in tre sezioni principali: Main Section, New Entries e Solo Show. Queste sezioni permettono di dare spazio sia agli artisti affermati che a quelli emergenti, offrendo una panoramica completa del panorama artistico contemporaneo​. Roma Arte in Nuvola 2024 si prepara a essere un evento imperdibile per collezionisti, curatori, artisti e appassionati d’arte. Con un programma ricco di novità, progetti speciali e collaborazioni prestigiose, la fiera consolida il suo ruolo di rilievo nel panorama artistico internazionale, offrendo un’esperienza culturale unica e di alto profilo​ .

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Maggio Fiorentino: dal 19 novembre “La traviata”, di Giuseppe Verdi.

gbopera - Mer, 13/11/2024 - 23:23

Martedì 19 novembre 2024 alle ore 20 la prima delle sei recite del nuovo allestimento del capolavoro verdiano in cartellone. Sul podio della Sala Grande il maestro Renato Palumbo; la regia è di Stefania Grazioli. In scena, nelle parti principali, Carolina Lopez Moreno e Julia Muzychenko (recite del 21, 26/11 e 1/12) come Violetta, Giovanni Sala e Matheus Pompeu (recite del 21, 26/11 e 1/12) interpretano Alfredo Germont Lodovico Filippo Ravizza e Min Kim (recite del 21, 26/11 e 1/12) sono Giorgio Germont. Negli altri ruoli troviamo Oronzo d’Urso Yurii Strakhov, artisti dell’Accademia del Maggio, sono rispettivamente Gastone e il Il barone Douphol; Gonzalo Godoy Sepúlveda e Huigang Liu interpretano Il marchese d’Obigny e Il dottor Grenvil e Alessandro Lanzi è Giuseppe. Completano il cast vocale due artisti del Coro del Maggio: Lisandro Guinis e Nicolò Ayroldi sono rispettivamente Un commissionario e Un servo. Le scene sono di Roberta Lazzeri, i costumi di Veronica Pattuelli e le luci di Valerio Tiberi. I movimenti coreografici sono di Elena Barsotti. Le scene sono di Roberta Lazzeri, i costumi di Veronica Pattuelli e le luci di Valerio Tiberi. I movimenti coreografici sono di Elena Barsotti.
La recita del 26 novembre 2024 sarà trasmessa in diretta su Rai Radio 3

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Roma, Teatro Ambra Jovinelli: “Venere Nemica”

gbopera - Mer, 13/11/2024 - 23:10

Roma, Teatro Ambra Jovinelli
VENERE NEMICA
con Drusilla Foer
scritto da Drusilla Foer e Giancarlo Marinelli
Regia Dimitri Milopulos
con la partecipazione di Elena Talenti
Produzione artistica di Franco Godi per Best Sound
Produzione esecutiva e distribuzione Savà Produzioni Creative
Roma, 13 Novembre 2024
Drusilla Foer, con la sua inconfondibile cifra artistica, porta in scena “Venere Nemica”, una produzione che rappresenta un manifesto di ironia sofisticata e sensibilità profonda, reinterpretando il mito di Amore e Psiche tratto dalla favola di Apuleio. La dea della bellezza e dell’amore è qui rappresentata come una figura immortale, esiliata dall’Olimpo e immersa nel lusso e nelle imperfezioni del vivere quotidiano a Parigi, lontano dalla perfezione soffocante della sua natura divina e dalle eccentricità dei suoi simili. La Venere di Foer, caratterizzata da un atteggiamento ironico e tagliente, osserva con invidia sottile la condizione mortale degli uomini, una fragilità che conferisce loro un’urgenza esistenziale, donando profondità e autenticità alle emozioni. Attraverso confessioni leggere e riflessioni più intime, la dea si abbandona a momenti di comicità acuta: “Immaginate la mia gioia. Una dea, condannata a vivere nell’eterna umidità del mare, scoprire l’esistenza della messa in piega!”. Accanto alla sua enigmatica e inseparabile cameriera, bellissima e taciturna, Venere ripercorre, quasi per gioco, il passato che la lega al figlio Amore e alla nuora Psiche. In un’epoca in cui gli uomini hanno cessato di credere agli dei per consacrarsi agli eroi, riemerge il dramma della dea tradita e ferita, che riversa tutta la sua collera sulla straordinaria Psiche, la mortale che osò incarnare la bellezza divina, guadagnandosi il titolo di “Venere in terra”. La vendetta di Venere, implacabile e feroce, rivela un paradosso intriso di dolcezza e commozione. Nel corso del suo percorso, Venere giunge a scoprire una verità che nemmeno la sua natura divina le aveva rivelato: l’amore incondizionato per quel figlio che torna a lei, ferito nell’anima e nel corpo, in cerca di un conforto che solo una madre, pur nella sua imperfezione, può offrire. Questa reinterpretazione del mito non si limita a una narrazione classica, ma declina i grandi temi della tragedia antica in chiave contemporanea: la competizione tra suocera e nuora, la paura della bellezza che svanisce, la possessività materna e l’eterna tensione tra uomini e divinità. Drusilla Foer offre una performance magnetica, tratteggiando una Venere incredibilmente umana, vulnerabile e, al contempo, divina. La sua ironia raffinata si fonde con una capacità straordinaria di evocare dolore, rimpianto e amore, rendendo il personaggio complesso e coinvolgente. La sua voce, calda e avvolgente, alterna toni pungenti e momenti di intimità, creando un legame profondo e indissolubile con il pubblico. Accanto a lei, Elena Talenti, nel ruolo della misteriosa cameriera, offre una presenza scenica misurata e incisiva, che funge da contrappunto silenzioso ma potente alla vitalità di Venere. L’alchimia tra le due figure arricchisce la rappresentazione, trasformandola in un dialogo sottile e carico di significati. La pièce, impreziosita da un repertorio musicale sofisticato e, a tratti, spietato, si avvicina alla dimensione del musical senza mai perdere la sua essenza teatrale. Le musiche, intense e ben calibrate, si integrano perfettamente con il testo, amplificando le emozioni e trasportando il pubblico in una dimensione sospesa tra mito e contemporaneità. Ogni brano musicale è stato scelto con cura per risuonare con le emozioni evocate in scena, creando una continuità espressiva tra la parola e la sonorità che accompagna lo sviluppo narrativo. L’allestimento scenico è stato concepito con un minimalismo che esalta l’espressività degli interpreti e valorizza l’azione scenica attraverso elementi simbolici. L’essenzialità delle scenografie, arricchita da giochi di luci magistralmente orchestrati, sottolinea i passaggi drammatici e i cambiamenti di tono, modulando le atmosfere in maniera estremamente raffinata. Il disegno luci, infatti, non si limita ad accompagnare l’azione ma diviene parte integrante del racconto, giocando con ombre e contrasti per evidenziare la dualità di Venere tra divino e umano. I costumi, curati fin nei minimi dettagli, rappresentano un ulteriore elemento narrativo che definisce i personaggi e le loro evoluzioni. Venere indossa abiti che oscillano tra la sontuosità propria di una divinità e la praticità imposta dalla vita terrena, riflettendo visivamente il suo conflitto interiore. La scelta dei materiali e dei colori non è casuale: ogni tessuto, ogni nuance contribuisce a creare un’immagine simbolica che arricchisce la lettura psicologica del personaggio.  La regia, firmata da Dimitri Milopulos lavora su un sottile equilibrio tra comicità e tragedia, evitando di cadere nella caricatura o nella superficialità. La direzione si concentra sulla valorizzazione delle sfumature emotive, creando un crescendo che conduce lo spettatore attraverso un viaggio fatto di risate, momenti di riflessione e intensi passaggi emotivi. La capacità della regia di alternare toni leggeri a profondi momenti di introspezione fa sì che “Venere Nemica” risulti non solo uno spettacolo di intrattenimento, ma un’esperienza di grande intensità artistica. Drusilla Foer emerge come una delle voci più significative del panorama teatrale contemporaneo, capace di dare corpo e anima a un personaggio che, pur radicato nella mitologia, risuona profondamente con le problematiche e le sfide della nostra epoca. La rappresentazione di Venere come una figura imperfetta, capace di amare e soffrire, rende lo spettacolo un potente riflesso delle dinamiche umane, in cui la ricerca di un senso, di un amore, di una redenzione diventa il filo conduttore di un’esperienza scenica che, per intensità e bellezza, rimane impressa nella memoria dello spettatore.

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Roma, Teatro Olimpico: “Raffaella! Omaggio alla Carrà”

gbopera - Mer, 13/11/2024 - 19:15

Roma, Teatro Olimpico
“RAFFAELLA! OMAGGIO ALLA CARRA’”

Un’icona della cultura pop, simbolo di libertà
Con Beatrice Baldaccini
Direzione artistica Claudia Campolongo
Regia Gabriele Colferai
Coreografie Angelo Di Figlia
Band Miki Cappai, Domenico Vena, Omar Ceriotti, Fabio Marchiori, Claudia Campolongo
Corpo di ballo Ilaria Gattafoni, Silvia Gattafoni, Lorenzo Longobardi, Nicholas Jay, Gioele Marcante
Coro Linnverso
Produzione Teatro Verdi di Montecatini
Direttore di produzione Giulia Flosi
Roma, 12 Novembre 2024
“Raffaella! – Omaggio alla Carrà” è un’esplosione di energia e nostalgia che, il 12 novembre 2024, ha riempito il Teatro Olimpico di Roma. La direzione artistica di Claudia Campolongo, la regia di Gabriele Colferai e le coreografie di Angelo Di Figlia hanno orchestrato una performance straordinaria, capace di rendere giustizia alla figura iconica di Raffaella Carrà, una delle più grandi showgirl della televisione italiana. La leggendaria artista pop ha saputo unire diverse generazioni, e la prova è stata un teatro trasformato in un tripudio di emozioni condivise da bambini, ragazzi, adulti e persone di ogni età. Lo spettacolo prende vita attraverso la storia di un giovane fan appassionato, interpretato da Gabriele Colferai, che racconta alla madre (interpretata da Claudia Campolongo) cosa rappresenti per lui la Carrà. Questo filo narrativo permette di rivivere i suoi successi più celebri, da “Fatalità” a “Tanti auguri”, “Ballo ballo”, “Pedro”, “A far l’amore comincia tu”, la travolgente “Rumore”, cantata all’unisono dal pubblico. Ma non solo. L’esibizione omaggia la showgirl anche grazie ai costumi di scena. Ogni abito è simbolo della sua grande personalità: all’elegante vestito rosso lucido, emblema della sua raffinatezza, ai sensuali body, alle spiritose maniche voluminose con volant, agli abiti corti e pantaloni a zampa, fino ai celebri top che lasciano scoperto l’ombelico. Negli anni ’70, mostrare l’ombelico in televisione fu un vero e proprio scandalo, ma anche un atto rivoluzionario che trasformò un semplice capo d’abbigliamento in un potente vessillo di emancipazione femminile.  La carriera straordinaria della Carrà viene ripercorsa attraverso il ricordo dei suoi programmi storici come “Pronto Raffaella”, “Canzonissima”, “A raccontare comincia tu”, in cui faceva visita ai personaggi noti della TV, del cinema e della vita pubblica, intervistando nelle loro case in un clima di serenità e amicizia.  Il pubblico è, così, immerso in un viaggio musicale e visivo straordinario, dove Beatrice Baldaccini, nel ruolo della mitica Raffaella Carrà, incanta con la sua voce straordinaria e la capacità di reinterpretare le movenze iconiche della star: dalla gestualità raffinata al celebre casqué, accompagnato dal suo distintivo caschetto biondo. La cura dei dettagli rende l’illusione perfetta, regalando la sensazione di trovarsi davvero in uno degli indimenticabili show della Carrà. Le luci, potenti come quelle degli spettacoli televisivi, arricchiscono la messa in scena e avvolgono la sala in un’atmosfera sfavillante, evocando i fasti dei grandi varietà in cui la star brillava, accompagnata da un energico corpo di ballo. L’esperienza interattiva coinvolge gli spettatori, che rispondono a domande sulla vita e la carriera della Carrà e si divertono a ballare il celebre “Tuca Tuca” sul palco. Non manca il riferimento alla canzone di Tiziano Ferro, grande amico dell’artista, con la sua “E Raffaella è mia”.  Lo spettacolo si conclude con un trascinante ballo collettivo: tutti sono in piedi, e la sala si riempie di gioia e spensieratezza. Si torna a casa con il cuore leggero e l’anima colma della contagiosa vitalità che ha sempre caratterizzato Raffaella Carrà, portando con sé il suo lascito più prezioso: la gioia di vivere e la libertà di essere sé stessi. Lo spettacolo proseguirà il suo tour in Italia con tappe imperdibili a Torino, Firenze, Avellino… Non perdete l’occasione di assistere: ne vale davvero la pena!

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Roma, Teatro Vascello: “La Scortecata” dal 19 Novembre al 01 dicembre 2024

gbopera - Mer, 13/11/2024 - 15:42

Roma, Teatro Vascello
LA SCORTECATA
liberamente tratto da Lo cunto de li cunti
di Giambattista Basile 
testo e regia Emma Dante 
con Salvatore D’Onofrio, Carmine Maringola
elementi scenici e costumi Emma Dante 
luci Cristian Zucaro
assistente di produzione Daniela Gusmano
assistente alla regia Manuel Capraro 
produzione Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale, e Carnezzeria.
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma
Oh, Valentine, un favore,” disse Maximilien “il vostro dito mignolo, che io possa baciarlo attraverso queste assi!” Valentine salì su una panchina, e passò, non il mignolo attraverso l’apertura, ma tutta la mano al di sopra del recinto. Maximilien mandò un grido, e, arrampicandosi con un balzo sullo steccato, afferrò quella mano adorata, e vi impresse le labbra ardenti; ma subito la piccola mano sgusciò dalle sue, e il giovane sentì fuggire Valentine, spaventata forse per quella sensazione a lei sconosciuta. Il conte di Montecristo Alexandre Dumas
Lo cunto de li cunti overo lo trattenimiento de peccerille, noto anche col titolo di Pentamerone (cinque giornate), è una raccolta di cinquanta fiabe raccontate in cinque giornate. Prendendo spunto dalle fiabe popolari, Giambattista Basile crea un mondo affascinante e sofisticato partendo dal basso. Il dialetto napoletano dei suoi personaggi, nutrito di espressioni gergali, proverbi e invettive popolari, produce modi e forme espressamente teatrali tra lazzi della commedia dell’arte e dialoghi shakespeariani. Come una partitura metrica, la lingua di Basile cerca la verità senza rinunciare ai ghirigori barocchi della scrittura. La scortecata è lo trattenimiento decemo de la iornata primma e narra la storia di un re che s’innamora della voce di una vecchia, la quale vive in una catapecchia insieme alla sorella più vecchia di lei. Il re, gabbato dal dito che la vecchia gli mostra dal buco della serratura, la invita a dormire con lui. Ma dopo l’amplesso, accorgendosi di essere stato ingannato, la butta giù dalla finestra. La vecchia non muore ma resta appesa a un albero. Da lì passa una fata che le fa un incantesimo e diventata una bellissima giovane, il re se la prende per moglie. In una scena vuota, due uomini, a cui sono affidati i ruoli femminili come nella tradizione del teatro settecentesco, drammatizzano la fiaba incarnando le due vecchie e il re. Basteranno due seggiulelle per fare il vascio, una porta per fare entra ed esci dalla catapecchia e un castello in miniatura per evocare il sogno. Le due vecchie, sole e brutte, si sopportano a fatica ma non possono vivere l’una senza l’altra. Per far passare il tempo nella loro miseria vita inscenano la favola con umorismo e volgarità, e quando alla fine non arriva il fatidico: “e vissero felici e contenti…” la più giovane, novantenne, chiede alla sorella di scorticarla per far uscire dalla pelle vecchia la pelle nuova.  La morale: il maledetto vizio delle femmine di apparire belle le riduce a tali eccessi che, per indorare la cornice della fronte, guastano il quadro della faccia; per sbiancare le pellecchie della carne rovinano le ossa dei denti e per dare luce alle membra coprono dombre la vista. Ma, se merita biasimo una fanciulla che troppo vana si dà a queste civetterie, quanto è più degna di castigo una vecchia che, volendo competere con le figliole, si causa lallucco della gente e la rovina di sé stessa. Qui per tutte le informazioni.

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Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman: “Trappola per topi” dal 19 novembre al 01 dicembre 2024

gbopera - Mer, 13/11/2024 - 15:32

Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman
La Pirandelliana

presenta
TRAPPOLA PER TOPI
di Agatha Christie
traduzione e adattamento Edoardo Erba
con Ettore Bassi, Claudia CampagnolaDario MerliniStefano AnnoniMaria Lauria, Marco Casazza, Matteo PalazzoRaffaella Anzalone
scene Luigi Ferrigno
costumi Francesca Marsella
musiche Paolo Silvestri
luci Antonio Molinaro
regia Giorgio Gallione
Il 25 novembre 1952 all’Ambassadors Theatre di Londra andava in scena per la prima volta “Trappola per topi” di Agatha Christie. Da allora, per 70 anni ininterrottamente, il sipario si è alzato su questa commedia “gialla” senza tempo e di straordinaria efficacia scenica. Ed ora tocca a noi… Non è consueto per me, spesso regista drammaturgo in proprio, misurarmi con un classico della letteratura teatrale. Certo da interpretare, ma da servire e rispettare. Ma non ho avuto dubbi ad accettare. Perché “Trappola per topi” ha un plot ferreo ed incalzante, è impregnata di suspense ed ironia, ed è abitata da personaggi che non sono mai solo silhouette o stereotipi di genere, ma creature bizzarre ed ambigue il giusto per stimolare e permettere una messa in scena non polverosa o di cliché. In fondo è questo che cerco nel mio lavoro: un mix di rigore ed eccentricità. D’altronde, dice il poeta, il dovere di tramandare non deve censurare il piacere di interpretare. Altra considerazione: nonostante l’ambientazione d’epoca e tipicamente British, il racconto e la trama possono essere vissuti come contemporanei, senza obbligatoriamente appoggiarsi sul già visto, un po’ calligrafico o di maniera, fatto spesso di boiserie, kilt, pipe e tè. Stereotipi della Gran Bretagna non lontani dalla semplicistica visione dell’Italia pizza e mandolino. Credo che i personaggi di Trappola nascano ovviamente nella loro epoca, ma siano vivi e rappresentabili oggi, perché i conflitti, le ferite esistenziali, i segreti che ognuno di loro esplicita o nasconde sono quelli dell’uomo contemporaneo, dell’io diviso, della pazzia inconsapevole. E credo riusciremo a dimostrarlo grazie alla potenza senza tempo di Agatha Christie, ma anche e soprattutto con il talento e l’adesione di una compagnia di artisti che gioca seriamente con un’opera “chiusa” e precisa come una filigrana, che però lascia spazio all’invenzione e alla sorpresa, una promessa di imprevedibilità e insieme di esattezza. E poi c’è la neve, la tormenta, l’incubo dell’isolamento e della bivalenza, il sospetto e la consapevolezza che il confine tra vittima e carnefice può essere superato in qualsiasi momento. Ingredienti succosi ed intriganti che spero intrappoleranno il pubblico. Giorgio Gallione Qui per tutte le informazioni.

 

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Roma, Sala Umberto: “Azzurro” dal 15 al 17 novembre 2024

gbopera - Mer, 13/11/2024 - 15:12
Roma, Sala Umberto
AZZURRO
di Paola Ponti
tratto dal libro “Azzurro, stralci di vita” di  CURZIO MALTESE
con Sergio Colicchio (il pianista)
musiche Nicola Piovani
luci Danilo Facco
costumi Arabella Bettazzi
coordinamento artistico  Norma Martelli
voci registrate Federico Baudino,  Irene Colicchio, Carmen Giardina
elaborazione suoni Lorenzo Gardena
direttore di produzione Rosi Tranfaglia
produzione Viola Produzioni – Centro di produzione teatrale
Regia di Carmen Giardina
Un grande giornalista guarda indietro alla sua vita e ne ripercorre le tappe. Curzio Maltese ci conduce in una cavalcata attraverso gli ultimi sessant’anni del nostro Paese, un racconto in cui si ride e ci si emoziona. E’ il racconto di una vita incredibile, travagliata e gioiosa, quella che scorre sul palcoscenico. L’Italia del boom, un Paese ancora ingenuo, rivolto al futuro, dove “persino i poveri potevano essere felici”, il sabato alla Rinascente dove lavora la mamma commessa, il profumo di Mariangela Melato, i foulard di Carla Fracci, le vetrine di Giorgio Armani. La fine dell’innocenza, il 12 dicembre 1969, con la bomba che scoppia a piazza Fontana. La lotta di classe al parco Lambro, il liceo negli anni di piombo, e le risate degli anni ’70, con Beppe Viola, Dario Fo, i comici del Derby: “ridevamo come pazzi e poi con un pensoso e penoso senso di colpa passavamo alle cose serie, la politica, il giornalismo, la cultura ufficiale. Pensa che scemi.” Dopo gli esordi nel giornalismo sportivo, arriva a Repubblica, dove inizia a scrivere di politica quando scoppia l’inchiesta Mani Pulite, seguita dalla discesa in campo di Berlusconi. Ma in Azzurro è l’uomo Maltese a parlare, ed è emozionante il racconto di un’infanzia senza padre, della scomparsa della sorella Cinzia, del grande amore per la moglie e il figlio, della gioia di poter seguire da vicino il lavoro di artisti geniali come Roman Polanski, Renzo Piano, Paolo Conte, Ken Loach e tanti altri. Una ricerca della bellezza che non poteva mai prescindere dall’allegria, che diventa salvifica nei momenti più difficili. Azzurro è un racconto talmente coinvolgente da far pensare fin dalla prima lettura a un naturale approdo al palcoscenico. Il cinema era una delle grandi passioni di Curzio Maltese, così mentre cercavo una chiave per la messa in scena, ho pensato a una scenografia che attraverso pochi elementi rappresentasse l’idea di una sala cinematografica: uno schermo, due poltroncine e un’insegna al neon che riprende il titolo del libro, Azzurro. Questo spazio ideale viene abitato dal protagonista in molti modi, permettendogli di attraversare diverse dimensioni: il ricordo, l’evocazione, il ritrovarsi spettatore della propria vita che scorre come su uno schermo, ma anche momenti di allegria che sfociano in canzoni, quasi come in un  musical. Antonio Catania mette il suo talento al servizio di questo impegnativo compito e insieme al suo partner in scena, il pianista Sergio Colicchio, ci trasporta nel viaggio della vita di Curzio Maltese e di un’Italia in cui non possiamo che ritrovarci. Credo che nessun attore meglio di Antonio Catania avrebbe potuto interpretare meglio Curzio Maltese, un uomo innamorato della vita anche nei momenti più difficili, la sua recitazione non è mai enfatica o retorica, ma sempre capace di ironia e umanità. Allo stesso modo la scrittura di Maltese e l’adattamento teatrale di Paola Ponti si sposano alla perfezione con la musica del grande amico Nicola Piovani. Una presenza capace di creare un contrappunto perfetto al viaggio di una vita, nei suoi aspetti divertenti come in quelli più toccanti, in cui tutti possiamo ritrovarci. Carmen Giardina
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Roma, Teatro Ambra Jovinelli: “Venere Nemica” dal 13 al 24 novembre 2024

gbopera - Mer, 13/11/2024 - 14:57

Roma, Teatro Ambra Jovinelli
VENERE NEMICA
con Drusilla Foer
scritto da Drusilla Foer e Giancarlo Marinelli
Regia Dimitri Milopulos
con la partecipazione di Elena Talenti
Produzione artistica di Franco Godi per Best Sound
Produzione esecutiva e distribuzione Savà Produzioni Creative
Venere, Dea della bellezza e dell’amore esiste ancora. Creatura immortale, l’antica Dea vive oggi lontano dall’Olimpo e dai suoi parenti, immaturi, vendicativi, capricciosi, prigionieri come la Dea stessa nell’eterna bolla di tempo che è l’immortalità. Ha trovato casa a Parigi, fra gli uomini, di cui teneramente invidia la mortalità, che li costringe all’urgenza di vivere emozioni, esperienze sentimenti. Venere può permettersi di essere imperfetta tra gli umani. Si sa: in tempi duri per tutti – in particolare per gli Dei in deficit crescente di fede e consenso – potersi permettere finalmente di vivere nell’imperfezione dell’umano esistere, godendo delle debolezze umane come la moda e il lusso, non è cosa da poco per la nostra Immortale Eroina. “Immaginate la mia gioia. Una dea, condannata a vivere nell’eterna umidità del mare, scoprire l’esistenza della messa in piega!”. Grazie al rapporto con la sua misteriosa e inseparabile cameriera, bellissima, Venere, quasi per gioco, nel momento in cui gli uomini non credono più agli dei ma agli eroi, ripiomba nel passato: nella storia di Amore, il figlio ingrato e disobbediente, e Psiche, sulla quale Venere- da suocera nemica- riversa tutto il suo rancore di Dea frustrata e di Madre tradita. “Contro la straordinaria mortale, creduta Venere in terra”, la vendetta sarà inesorabile e terribile. Ma nel paradosso feroce e dolcissimo della vita che non risparmia nessuno, nemmeno gli Dei, Venere insieme all’odio scoprirà anche l’amore (… Io che sono sempre stata la mia sola priorità); un amore infinito e incondizionato per quel figlio ferito che, in fuga dall’amata, torna da sua madre per curare le ferite del corpo e dell’anima. Ispirato alla favola di Apuleio “Amore e Psiche”, Venere Nemica rilegge il Mito in modo divertente e commovente a un tempo, in bilico tra tragedia e commedia, declinando i grandi temi del Classico nella contemporaneità: la competizione suocera/nuora, la bellezza che sfiorisce, la possessività materna nei confronti dei figli, il conflitto secolare fra uomini e Dei. “Se c’è una cosa che un Dio detesta è non essere creduto”. Ma dinnanzi a Venere, a questa Venere – lieve, ironica, tagliente, spietata – e al suo incredibile colpo di teatro, come si fa a resistere? Come si fa a non credere? Venere Nemica è una pièce teatrale supportata dalla musica con un repertorio inaspettato, intenso crudele, a tratti musical, interpretato da Drusilla Foer e Elena Talenti Durata: 70 minuti, senza intervallo

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Roma, AlbumArte: “WHEN IN ROME. Al di là della periferia della pelle” dal 18 novembre 2024 al 04 Gennaio 2025

gbopera - Mer, 13/11/2024 - 14:48

Roma, AlbumArte
WHEN IN ROMA. AL DI LA’ DELLA PERIFERIA DELLA PELLE
a cura di Adriana Polveroni
Lunedì 18 novembre 2024,
alle ore 18.30, AlbumArte, centro di produzione artistica indipendente di Roma, inaugura la mostra WHEN IN ROME. Al di là della periferia della pelle, a cura di Adriana Polveroni, con le opere inedite e site specific di Verdiana Bove, Guglielmo Maggini, Pietro Moretti, Caterina Sammartino, Adelisa Selimbašic, in programma fino al 4 gennaio 2025. La mostra è la prima tappa del progetto itinerante When in Rome, curato da Adriana Polveroni, prodotto da AlbumArte, con la direzione di Cristina Cobianchi e finanziato dalla Regione Lazio nell’ambito dell’avviso pubblico Lazio Contemporaneo 2022. Il progetto sarà realizzato in sette città italiane in collaborazione con Adiacenze Bologna e Accademia di Belle Arti di Venezia, Accademia di Belle Arti di Frosinone, RUFA – Rome University of Fine Arts, Casa degli Artisti Milano, Mucho Mas! Torino, Toast Project Space Firenze, Quartiere Intelligente – Zona Rosa Napoli, CONDOTTO48 Roma. Presentato in anteprima all’Accademia di Belle Arti di Venezia il 10 giugno 2024, When in Rome prevede oltre la mostra a Roma dal 18 novembre 2024 al 4 gennaio 2025, una serie di dibattiti e confronti con il pubblico a Casa degli Artisti di Milano, Quartiere Intelligente – Zona Rosa a Napoli, Toast Project Space a Firenze, Mucho Mas! a Torino, per concludersi a Bologna, con la seconda tappa della mostra presso Adiacenze, spazio per la ricerca e sperimentazione delle arti visive contemporanee, dal 9 al 23 gennaio 2025. When in Rome, titolo abbreviato da When in Rome do as Romans do, vuole fare il verso a quell’attitudine degli stranieri che, arrivati a Roma, imparano a “fare alla romana” sedotti dal fascino della città e dalle sue abitudini ed è un omaggio anche a un celebre concerto dei Genesis del 2007. Al centro del progetto, i risultati dell’indagine condotta da Cristina Cobianchi e Adriana Polveroni sui giovani talenti under 35 che operano a Roma, soprattutto in spazi di lavoro fondati e gestiti anche con curatori altrettanto giovani in zone periferiche, in fabbriche dismesse, ex officine o vecchie autorimesse, laboratori artigianali in disuso, e che stanno modificando il tessuto e il fermento artistico della Capitale con la loro ricerca aperta sul presente e sul dialogo a più voci. La mostra di Verdiana Bove, Guglielmo Maggini, Pietro Moretti, Caterina Sammartino e Adelisa Selimbašic si declina secondo la loro comune riflessione Al di là della periferia della pelle e presenta opere inedite e site-specific che indagano il tema della marginalità, intesa come “confine che separa”, esattamente come la pelle che delimita il corpo dall’esterno e che, al contempo, costituisce il primo contatto con l’ambiente circostante, la prima possibilità di conoscenza. Anche oggi, nel momento in cui il corpo ha subito una radicale trasformazione, posto al centro di varie tensioni sociali e culturali, la pelle è ciò che delimita, e quindi definisce, primariamente il corpo. Ogni artista coinvolto nel progetto ha la sua originale interpretazione dell’idea della “pelle” e della spinta ad andare “al di là della periferia della pelle”. Al di là, quindi, dei confini dati. Non necessariamente per superarli in una sorta di tensione titanica, ma forse per esplorarli nella loro marginalità, nel loro essere periferia di un grande corpo decentrato quale è la stessa profonda articolazione, l’inesauribile alfabeto delle pratiche artistiche. “Al di là della periferia della pelle” indica la necessità di porsi nel proprio tempo, nella contingenza del proprio essere nel mondo, avviando un confronto a più voci. Applicando questo concetto a Roma, spesso additata come una Grande Madre alternativamente santa e dannata, la città è vista come un grande organismo, non privo di confini, il luogo prediletto per osservare, indagare, con inedite possibilità di lavoro e inediti percorsi interpretativi.

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Roma, Palazzo delle Esposizioni : “Francesco Clemente. Anima Nobile” dal 23 novembre 2024 al 30 marzo 2025

gbopera - Mer, 13/11/2024 - 12:45

Roma, Palazzo delle Esposizioni
ANIMA NOMADE: Francesco Clemente
a cura di Bartolomeo Pietromarchi
promossa da Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e Azienda Speciale Palaexpo
prodotta e organizzata da Azienda Speciale Palaexpo
Dal 23 novembre 2024 al 30 marzo 2025 Palazzo Esposizioni Roma presenta la mostra personale di Francesco Clemente intitolata ANIMA NOMADE. A cura di Bartolomeo Pietromarchi, l’esposizione è promossa da Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e Azienda Speciale Palaexpo, prodotta e organizzata da Azienda Speciale Palaexpo. Una grande mostra personale di Francesco Clemente mai realizzata in Italia, concepita come un’installazione unica che si snoda in tutte le sale del piano nobile di Palazzo Esposizioni, con una serie di opere ambientali per restituire l’importanza di uno dei grandi artisti italiani riconosciuti a livello mondiale. Il percorso di mostra si concentra sull’idea di immersione nella tradizione indiana e orientale, che da sempre è per Clemente fonte di ispirazione per lo sviluppo di una materia densa di riferimenti iconografici e per la sensibilità privata e diaristica delle sue opere. Napoletano di nascita ma nomade per vocazione, fortemente influenzato dalla letteratura e dalla poesia, Clemente è un poeta a pieno titolo, con un vasto lessico di immagini simboliche e metaforiche. Le sue opere si delineano in un paesaggio estetico totalizzante, denso di riferimenti metafisici, misticismo e natura del sé, spesso intrecciati a riferimenti erotici, sempre con un approccio lirico ed emotivo espresso dal senso unico del colore. A partire dalle straordinarie Tents realizzate nel 2013 e mai più esposte da allora, la mostra presenta anche una serie di grandi wall drawing, creati per l’esposizione romana intorno all’idea di anima nomade dell’artista e delle sue influenze orientali, per approfondire le fonti filosofiche e spirituali che hanno formato l’arte di Clemente lungo il corso di tutta la sua produzione.

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Rai5: “Gaspare Spontini. Celeste Amore” il docufilm il 14 novembre 2024

gbopera - Mer, 13/11/2024 - 12:33

“GASPARE SPONTINI. CELESTE AMORE”
film dal 14/11 su Rai5 e RaiPlay
Debutta su Rai 5, giovedì 14 novembre ore 22:48, e poi su Rai Play, il docufilm “Gaspare Spontini. Celeste amore”, con Lodo Guenzi e Simona Ripari, una produzione Subwaylab dedicata al grande compositore e filantropo di Maiolati Spontini (1774-1851) di cui si celebreranno i 250 anni dalla nascita. È la storia del musicista vista con gli occhi della moglie Celeste Erard, immaginariamente catapultata nei giorni nostri a raccontare ad una ragazzina della generazione Z l’affascinante vita di Spontini, intrecciata con i grandi del suo tempo. Il soggetto è di Marco Cercaci e Marco Spagnoli, la sceneggiatura di Claudio Centioni, la regia di Andrea Antolini, Alessandro Tarabelli, Diego Morresi. Il lungometraggio è realizzato da Subwaylab, casa di produzione indipendente marchigiana, con il sostegno di Regione Marche-assessorato alla Cultura e di Marche Film Commission – Fondazione Marche Cultura, in collaborazione con Comune di Maiolati Spontini, Comune di Jesi, Fondazione Pergolesi Spontini. Alla fiction si alternano le testimonianze dei nostri giorni. Partecipano i musicisti marchigiani Dardust, Raphael Gualazzi, Ruben Camillas, Paolo Marzocchi e Giancarlo Aquilanti, il compositore e direttore artistico della Fondazione Pergolesi Spontini Cristian Carrara, Lucia Chiatti direttore generale della Fondazione Pergolesi Spontini, il musicologo Federico Agostinelli, il critico musicale Guido Barbieri, Gabriella Cinti nipote del Podestà di Maiolati, Tiziano Consoli sindaco di Maiolati Spontini dal 2019 al 2022. Quella di Spontini fu una vita intrecciata a grandi nomi: Napoleone e Giuseppina Bonaparte, Ferdinando IV Re delle due Sicilie, Federico Guglielmo III Re di Prussia, Costanza Mozart, Richard Wagner fino ad arrivare a Papa Pio IX. Una vita piena di successi ma non priva di invidie e gelosie, che partendo dalla provincia italiana conquista l’Europa. Nel 1851 Gaspare Spontini tornò in Italia. Dopo un’eclatante carriera, il musicista sentì di tornare alle origini, e nella sua città natale crea strutture per aiutare i più poveri e bisognosi; il film mostra così anche il profondo lato filantropico dell’artista e come tra i suoi concittadini il suo nome sia ancora vivo e riecheggi nei vicoli. La vita del compositore è occasione per raccontare un territorio, quello marchigiano, apparentemente al di fuori delle rotte culturali dei grandi centri ma in cui fioriscono ancora oggi proposte vitali e di avanguardia. Regione d’Europa con la più alta percentuale di teatri, le Marche sono state fucina di veri e propri giganti dell’Opera che fra il ‘700 e l’800 hanno emozionato e continuano a strabiliare i teatri di tutto il mondo: Spontini, Rossini, Pergolesi, Vaccaj, Crescentini. Con il coinvolgimento di storici e artisti, il docufilm cerca di mettere in luce le cause di quel fermento, scoprendo infine la vivacità della scena musicale di questa poliedrica e sorprendente regione.

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Milano, TAM: ” Les Miserables – The Arena Musical Spectacular” dal 14 al 24 Novembre 2024

gbopera - Mer, 13/11/2024 - 12:27

“LES MISÉRABLES – THE ARENA MUSICAL SPECTACULAR” PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA al TAM dal 14 al 24/11
TAM ospita l’evento teatrale dell’anno: “LES MISÉRABLES THE ARENA MUSICAL SPECTACULAR”, il fenomeno planetario che arriva per la prima volta in Italia! LES MISÉRABLES THE ARENA MUSICAL SPECTACULAR” è una straordinaria rappresentazione che porta sul palco la celebre opera di Victor Hugo, un racconto avvincente fatto di sogni, amori, passione, sacrificio e redenzione. Una storia senza tempo della sopravvivenza dello spirito umano. Lo show ha una colonna sonora composta da brani indimenticabili tra cui “I Dreamed a Dream“, “On My Own“, “Bring Him Home“, “One Day More”. Il musical LES MISÉRABLES è di fatto il musical più longevo al mondo ed è stato rappresentato in 53 paesi e 439 città in tutto il mondo. Il World Tour inizierà quando il musical entrerà nel suo 39° anno e proseguirà durante le celebrazioni del 40° anniversario del musical nel 2025. LES MISÉRABLES THE ARENA MUSICAL SPECTACULAR è una rappresentazione del musical in forma di concerto con una spettacolare produzione composta da elementi scenici, design video integrato, costumi originali e una grande orchestra. La compagnia inglese è composta da 110 fra attori, musicisti e crew. Lo show prende origine da “Les Misérables The Staged Concert”, straordinario successo andato in scena per oltre 200 repliche, un vero record nel West End. Per info e biglietti: qui

 

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Como, Teatro Sociale: ” Andrea Chénier ” il 15 ed il 17 novembre 2024

gbopera - Mer, 13/11/2024 - 12:22

“ANDREA CHÉNIER” di Umberto Giordano al Teatro Sociale di Como il 15 e il 17/11.
Il secondo titolo della Stagione d’Opera 2024/25 del Teatro Sociale di Como è Andrea Chénier” di Umberto Giordano, in scena venerdì 15 novembre alle ore 20.00 e domenica 17 novembre alle ore 15.30. “Andrea Chénier” è, insieme a “Fedora”, la più famosa opera di Giordano. L’opera, in quattro quadri, debuttò alla Scala a Milano nel marzo del 1896 riscuotendo un grandissimo successo, grazie all’autore del libretto, Luigi Illica, che aveva saputo trasformare in una tragedia ardente la biografia del poeta francese André Chénier, vittima della Rivoluzione francese, e a Giordano che scrisse una musica ricca di straordinari brani. Nel dramma, Chénier è un idealista, impreparato ad affrontare le trame del terrore giacobino e innamorato di Maddalena, un’aristocratica in fuga dai rivoluzionari; i due, vittime di Gérard, resteranno uniti fino alla morte. Questa produzione, che vede impegnati i Teatri di OperaLombardia, insieme al Teatro Verdi di Pisa, Teatro del Giglio di Lucca e Teatro Sociale di Rovigo, affida la regia ad Andrea Cigni, di cui il pubblico di Como e del circuito di OperaLombardia ha potuto già vedere “La fanciulla del West” nella stagione 2021/22. Alla direzione dell’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano tornerà il M° Francesco Pasqualetti, direttore poliedrico ed eclettico, il cui repertorio spazia da Mozart a Nino Rota, passando per gli autori meno eseguiti del Novecento storico italiano, già altre volte visto sul podio comasco. L’opera presenterà un cast d’eccezione. Tra i ruoli principali, Angelo Villari debutta nel ruolo del titolo, il baritono Angelo Veccia, già protagonista nelle scorse stagioni in “Don Carlo”, “La Gioconda”, in “Otello” al Festival Como Città della Musica, torna a Como e sarà Carlo Gérard, mentre Maria Teresa Leva interpreterà il ruolo di Maddalena di Coigny. Per info e biglietti, qui.

 

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Milano, Teatro Menotti: “I poemetti” riletti da Valter Malosti dal 19 al 24 novembre 2024

gbopera - Mer, 13/11/2024 - 12:17

“I POEMETTI” di Shakespeare riletti da Valter Malosti al Teatro Menotti di Milano, dal 19 al 24/11
Dopo aver vinto nel 2009 il Premio dell’Associazione Nazionale Critici di Teatro (ANCT) per lo spettacolo Shakespeare. Venere e Adone e aver diretto nel 2012 Lo stupro di Lucrezia (Premio Ubu 2013 come nuova attrice under 30 ad Alice Spisa), il direttore di ERT / Teatro Nazionale Valter Malosti ha visto pubblicare nel 2022 le sue due traduzioni dei Poemetti di William Shakespeare nella prestigiosa collezione bianca di poesia di Einaudi. I Poemetti vengono presentati  di nuovo sul palco in forma di concerto al Teatro Menotti dal 19 al 24 novembre. Malosti sarà in scena accanto al compositore e musicista Gup Alcaro (Premio Ubu 2023 per il miglior disegno del suono in Lazarus) che firma ed esegue dal vivo il progetto sonoro. Una versione in cui il regista e interprete amplifica l’alta densità musicale dei due spettacoli, trasfigurando la scena in un paesaggio acustico di grande suggestione, interamente creato dalla potenza della voce e del suono e pervaso dalla ricerca sulla lingua, sul ritmo, e la musica dell’originale shakespeariano. E anche se nella versione italiana della musica shakespeariana si perde una percentuale altissima, il materiale che resta è da considerarsi un dono inestimabile. Per il grande poeta inglese Ted Hughes, autore del visionario saggio Shakespeare and The Goddess of Complete Being, i Poemetti sono la base in cui individuare idealmente tutta la strategia poetica e i fondamenti metafisici dell’intera opera shakespeariana. Durata: 120′ più intervallo. Per info e biglietti: qui

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