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Aggiornato: 1 ora 38 min fa

Roma, Via Giovanni Tagliere : “Il Nuovo Museo Pier Paolo Pasolini”

Ven, 26/07/2024 - 19:33

Roma, Via Giovanni Tagliere, 3
NUOVO MUSEO PIER PAOLO PASOLINI

È stato stipulato oggi, a Roma, al Ministero della Cultura, l’atto con cui il produttore cinematografico e televisivo Pietro Valsecchi ha donato allo Stato l’appartamento in via Giovanni Tagliere n. 3 a Roma, dove, tra il 1951 e il 1954, Pier Paolo Pasolini visse insieme alla madre, negli anni in cui insegnava in una scuola privata a Ciampino e dove iniziò a scrivere il suo primo romanzo “Ragazzi di vita”. Sono intervenuti il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, il Sottosegretario alla Cultura, Gianmarco Mazzi, il Direttore generale Musei, Massimo Osanna, il Capo di Gabinetto, Francesco Gilioli, Pietro Valsecchi e il notaio Vittorio Occorsio. Una volta realizzati i necessari interventi di adeguamento, il Ministero, attraverso la Direzione generale Musei e in sinergia con il donante, che manterrà un importante ruolo di impulso e collaborazione, aprirà lo spazio al pubblico per promuovere la conoscenza della figura di Pasolini e delle sue opere, anche attraverso residenze per artisti e la promozione della creatività di giovani talenti. L’immobile sarà assegnato all’Istituto Pantheon e Castel Sant’Angelo – Direzione Musei nazionali della Città di Roma, sia per pertinenza territoriale, sia per pertinenza tematica, atteso che tale istituto accoglie già le Case Museo Mario PrazBoncompagni Ludovisi e Hendrik Christian Andersen. Nella valorizzazione, sarà coinvolto attivamente il territorio, in particolare il Municipio IV, in cui la casa ricade, e le realtà associative locali che da tempo si battono per il recupero e la promozione dell’area. “Pier Paolo Pasolini è stato un grande intellettuale del Novecento, che ha scavato meglio di altri nelle contraddizioni della società italiana. È stato uno spirito critico del suo tempo. È doveroso celebrare la sua memoria e con questo atto le istituzioni si preparano al meglio per creare, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte nel 2025, una casa museo che diventi un centro di studi, un luogo aperto ai giovani che vogliano approfondire il suo pensiero. Lo scrittore corsaro ci ha lasciato una vasta eredità culturale, all’interno della quale è facile rinvenire questioni tuttora irrisolte nel nostro tempo”, ha dichiarato il Ministro Sangiuliano. “L’acquisizione da parte dello Stato della casa di Pasolini arricchisce il Sistema museale nazionale di un nuovo luogo della cultura, che a buon diritto si inserisce fra le case di artisti e personaggi storici emblematici per il patrimonio culturale della Nazione. La valorizzazione del nuovo Istituto sarà un esperimento interessante, che unirà la consueta attività di tipo museale, volta ad assicurare la pubblica fruizione, a una funzione più innovativa di hub culturale e luogo di sviluppo della creatività, soprattutto dei giovani. Per questo, avvieremo un progetto di tipo corale, che coinvolga attivamente il territorio”, ha affermato il Direttore Osanna.  “La donazione della casa di Pasolini è un atto dovuto allo Stato italiano per l’importanza del nostro patrimonio culturale. Il luogo diventerà un centro di studi e riflessione, aperto a poeti, artisti, cineasti e studiosi di tutto il mondo. La casa, situata a due passi da Rebibbia, è stata il luogo di ispirazione per molte delle opere di Pasolini, incluso il celebre romanzo ‘Ragazzi di Vita’, una delle più importanti opere del poeta e scrittore che riflette la profonda comprensione e rappresentazione della realtà sociale dell’epoca”, ha detto Pietro Valsecchi.

Categorie: Musica corale

Roma, Vittoriano: “Riaprono dopo lunghi anni di chiusura il Sommoportico ed i Propilei”

Gio, 25/07/2024 - 21:25

Roma, Vittoriano
RIAPERTURA DEL SOMMOPORTICO E DEI PROPILEI
Restituire a cittadini e turisti spazi di grande qualità architettonica e artistica, in grado di far comprendere la bellezza e la magnificenza del progetto di Giuseppe Sacconi, vincitore nel 1884 del concorso per il Vittoriano, nonché di offrire una sequenza spettacolare di vedute della città di Roma, dai Fori fino al Colosseo ad est, dal Teatro di Marcello a San Pietro ad ovest. A partire da venerdì 26 luglio 2024, riapriranno al pubblico il Sommoportico e i Propilei del Vittoriano, a Roma.  Questa mattina ha avuto luogo la visita del Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, accompagnato dalla Direttrice del VIVE – Vittoriano e Palazzo Venezia, Edith Gabrielli. Grazie a un mirato intervento di ripristino delle condizioni di sicurezza e di manutenzione dei marmi, il Sommoportico e i suoi Propilei tornano finalmente a essere visitabili, dopo lunghi anni di chiusura. È un’iniziativa di alto significato culturalevolta alla piena valorizzazione del più importante monumento dedicato al primo re d’Italia Vittorio Emanuele II e all’intero Risorgimento, e alla profonda comprensione del progetto di Giuseppe Sacconi che scelse il Rinascimento maturo di Donato Bramante, con il recupero della classicità e dei suoi valori, come linguaggio artistico del nuovo Stato italiano. “Dopo anni di chiusura, questi luoghi tornano accessibili al pubblico, permettendo a cittadini e turisti di riscoprire e apprezzare uno dei monumenti più significativi d’Italia e simbolo dell’identità nazionale. La visita a questo sito consente ai cittadini italiani di ritrovare le ragioni dell’essere popolo e comunità nazionale. Da tempo, il MiC è impegnato nell’opera di cura e valorizzazione di nuovi spazi”, dichiara il Ministro Sangiuliano. Posti quasi alla sommità del Vittoriano, il Sommoportico, lungo oltre settanta metri e ritmato da sedici, monumentali colonne, alte quindici metri, e gli adiacenti Propilei consentono ai visitatori di cogliere l’ambizione del progetto di Sacconi, le sue qualità spaziali come pure il rapporto privilegiato tra l’intero monumento e la città di Roma: chi si affaccia da qui percepisce, quasi tocca con mano la relazione fra l’architettura e il contesto urbano circostante. “La riapertura del Sommoportico e dei Propilei del Vittoriano è un esito delle politiche di valorizzazione dei musei italiani, condotte nel segno della messa in sicurezza e della conservazione, ma al contempo della massima apertura alla pubblica fruizione. L’apertura di questi spazi, che al contempo permette di apprezzare e meglio comprendere il monumento e di godere di splendide vedute su Roma, secondo molteplici angolazioni, rientra fra gli obiettivi del Sistema museale nazionale, coordinato dalla Direzione generale Musei, nell’ottica di un’offerta culturale sempre più ampia e integrata nel tessuto urbano”,dichiara il Direttore generale Musei Massimo Osanna. Questi spazi restituiscono, al contempo, con chiarezza il ruolo del Vittoriano nel dibattito politico di secondo Ottocento e primo Novecento. I Propilei sono intitolati ai due valori guida di Vittorio Emanuele II e dell’intero processo risorgimentale, vale a dire l’Unità della Patria e la Libertà dei Cittadini. Le sedici colonne del Sommoportico richiamano il numero delle regioni nell’Italia del tempo, quando molte zone del nord-est non erano ancora entrate a far parte del territorio nazionale. Ciascuna colonna termina con un capitello ornato al centro da una testa femminile con corona turrita, allegoria dell’Italia. Ancora alle sedici regioni rimandano le personificazioni dell’attico: esse furono eseguite da altrettanti scultori entro il 1910. “L’apertura del Sommoportico e dei Propilei rappresenta un ulteriore e importante risultato di una più ampia, profonda e articolata operazione di recupero critico. Attentamente studiata e progettata, l’operazione ha avuto un momento cardine lo scorso anno con il restauro della zona centrale del Vittoriano, dove si trova il lungo e per certi versi straordinario fregio di Angelo Zanelli che orna l’Altare della Patria. Questa nuova fase mira a valorizzare il progetto dell’architetto Sacconi. Al momento di aggiudicarsi il concorso, nel 1884, Sacconi aveva appena trent’anni e propose alla giovanissima Nazione un linguaggio molto innovativo, che trova le proprie radici nella classicità e ancor più nel recupero del Rinascimento maturo di Donato Bramante nel Cortile del Belvedere. Quella di Sacconi fu un’azione importante, per certi versi decisiva, che proprio nel Sommoportico e nei Propilei si coglie nella sua massima espressione”, afferma la Direttrice Gabrielli. I visitatori possono tornare ad ammirare da vicino le ricche e preziose decorazioni che caratterizzano il Sommoportico: il soffitto e il pavimento in commessi di marmo progettati nel 1907 da Gaetano Koch – l’architetto fra l’altro della Banca d’Italia e di Piazza Esedra, l’odierna Piazza della Repubblica – i 17 lacunari in stucco dorato del marchigiano Giuseppe Tonnini, nove con Trofei d’armi, otto con le Nuove Scienze, e i dipinti sulla parete di fondo – opera di Primo Panciroli, Silvio Galimberti e Carlo La Spina – con le date più significative del Risorgimento: dal 1848 in ricordo dei moti rivoluzionari al 1870 di Roma Capitale.  E ancora si possono osservare le quattro colonne trionfali poste sulle scalinate di accesso, ciascuna sormontata da una Vittoria alata in bronzo dorato, e le decorazioni dei Propilei, ovvero all’esterno i rilievi raffiguranti L’Unità e La Libertà, realizzati tra il 1908 e il 1910 rispettivamente da Enrico Butti ed Emilio Gallori e all’interno le decorazioni in mosaico sulle volte e sulle lunette. In particolare, le lunette, concluse da Giulio Bargellini e Antonio Rizzi nel 1921, attestano, come del resto la decorazione dell’Altare della Patria di Angelo Zanelli, la sensibilità degli artisti attivi nel Vittoriano verso le tendenze dell’arte internazionale, come la Secessione viennese e Gustav Klimt. L’apertura al pubblico del Sommoportico e dei Propilei costituisce il punto d’avvio di un percorso di valorizzazione di questi spazi che proseguirà nei mesi a venire, senza avere ripercussioni sulla fruizione, in linea con la modalità del “cantiere aperto”, ormai caratteristica del VIVE.  La visita è compresa nel biglietto complessivo del VIVE – Vittoriano e Palazzo Venezia, la cui validità è di 7 giorni.

Categorie: Musica corale

Festival d’Aix-en-Provence 2024: “La clemenza di Tito”

Gio, 25/07/2024 - 20:09
Aix-en-Provence, Grand Théâtre de Provence, saison 2024 “LA CLEMENZA DI TITO” Opéra seria en deux actes, livret de Caterino Mazzolà Musique de Wolfgang Amadeus Mozart Tito PENE PATI Vitellia  KARINE DESHAYES Sesto  MARIANNE CREBASSA Annio  LEA DESANDRE Servilia  EMILY POGORELC Publio  NAUHEL DI PIERO Orchestre et Chœur Pygmalion Direction musicale Raphaël Pichon Mise en espace Romain Gilbert Lumière Cécile Giovansill Vissiere Aix-en-Provence, le 21 juillet 2024 Peut-on concevoir le Festival Lyrique d’Aix-en-Provence sans une œuvre de Mozart, compositeur mythique présent avec “Cosi fan tutte” depuis la création de ce festival en 1948 ? C’est chose faite ce soir avec “La Clemenza di Tito” pour une seule représentation et sans mise en scène. Question de budget sans doute. Nous ne regretterons pas les mises en scène, souvent décevantes ou parfois irritantes au plus haut point, d’autant plus que nous est offert ce soir un plateau de rêve accompagné par l’excellent ensemble, Chœur et Orchestre, Pygmalion. Si l’on se réfère à Suétone Tito, assez débauché dans sa jeunesse, deviendra, après la mort de Vespasien son père, un empereur clément – d’où le titre de l’ouvrage – ne disait-il pas: “Diem perdidi” une journée sans bonne action, journée perdue. Tito est ce soir Pene Pati; le choix est judicieux tant le ténor samoan utilise sa voix avec souplesse dans un timbre velouté. Si les forte amènent une plénitude vocale sonore et des aigus projetés dans une homogénéité de voix adaptée au style, les piani sont chantés avec délicatesse dans la noblesse du phrasé. La voix est ample, le vibrato agréable et les vocalises sonnent agiles avec de belles nuances dans un tempo soutenu. Les doutes l’assaillent-il devant toutes ces trahisons ? Son pardono sensible reflètera avec élégance la clémence de cet empereur. Une prise de rôle très réussie. Prise de rôle aussi pour Karine Deshayes.Habituée au rôle de Sesto, elle est maintenant vitellia, cette femme partagée entre amour et jalousie, dont les sentiments explosent dans des colères sonores tout en conservant la profondeur de voix jusque dans les aigus. La pureté de son style et l’intelligence que l’on retrouve dans chacune de ses interprétations donnent un relief particulier à cette Vitellia qui cède à la passion amoureuse dans des attaques franches, timbrées et l’éclat d’aigus sonores. Somptueuse, altière elle devient sensible dans un phrasé délicat accompagnée par le staccato de la clarinette lors de son repentir. Superbe technique, grande musicalité, et magnifique prise de rôle ! Souvent entendue, toujours applaudie, l’an dernier encore pour la création de George Benjamin Picture a day like this dans ce même festival, Marianne Crebassa sera ovationnée tant ce Sesto la révèle dans un jeu, une voix naturelle et des sentiments d’une grande authenticité. Peut-on rêver un Sesto plus expressif ? La somptuosité du timbre qui garde sa couleur dans chaque tessiture et l’investissement qu’elle met dans l’interprétation du personnage sont sidérants. Son Parto, parto accompagné par la clarinette de basset est un modèle du genre. Les respirations, le style, les nuances qui passent du son le plus doux aux aigus colorés dans un vibrato harmonieux et les vocalises agiles laissent le public confondu par tant d’aisance, de naturel et de musicalité. Peut-on tout dire en peu de mots ? Un seul suffit. Superbe ! Autre mezzo-soprano toujours appréciée pour la pureté de son style et le timbre harmonieux de la voix, Lea Desandre qui passe de Cherubino à Annio avec aisance et bonheur dans ces rôles de travestis. Elle est cet Annio amoureux, sensible et fidèle dans l’authenticité d’une voix homogène qui amène les applaudissements et des bravi fournis. La jeune soprano américaine Emily Porgorelc est une Servilia au timbre clair et projeté dont la délicatesse du phrasé est immédiatement remarquée. Quel joli duo avec Annio, chanté dans une même esthétique musicale ! Autre voix remarquée, celle de la Basse Nahuel Di Pierro déjà applaudi dans le rôle d’Achisch du Samson de Jean-Philippe Rameau il y a peu. Avec une voix de basse sonore et bien placée, le chanteur argentin propose ici un Publio énergique et de grande qualité dans une diction projetée et des graves timbrés. Ce plateau remarquable et très équilibré ne suffirait pas à obtenir un tel succès sans l’ensemble Pygmalion dirigé par son fondateur Raphaël Pichon. Sans baguette mais avec beaucoup d’énergie le maestro prend l’orchestre à bras le corps. Faisant résonner les instruments anciens avec netteté, il donne le souffle et les nuances dans des tempi adaptés, vifs pour la légèreté du staccato des violons ou plus lents dans des gestes amples. Soutenant les chanteurs, le chef d’orchestre n’hésite pas à faire sonner les instruments solistes, les cors, les trompettes, les bassons ou les timbales el le pianoforte, allant jusqu’à faire jouer la clarinette de basset en avant-scène pour cet admirable duo avec Sesto qui allie musicalité et virtuosité. Le Chœur est partie prenante de ce succès avec des voix homogènes et des attaques précises. Pas de mise en scène mais une légère mise en espace conçue par Romain Gilbert qui règle avec soin les évolutions des chanteurs mis en lumière pas les éclairages de Cécile Giovansili Vissière. Une soirée longuement applaudie tant le talent de chacun a été présent tout au long de ce concert. Quand le talent tient lieu de mise en scène. Un immense bravo!
Photo© Vincent Beaume
Categorie: Musica corale

Roma, Museo delle Civiltà: “Tessere è umano. Isabella Ducrot…e le collezioni tessili del Museo della Civiltà” dal 01 Agosto 2024 al 16 febbraio 2025

Gio, 25/07/2024 - 08:00

Museo delle Civiltà – Palazzo delle Arti e Tradizioni Popolari
TESSERE È UMANO: Isabella Ducrot… e le collezioni tessili del Museo delle Civiltà
Dal 1 agosto 2024 al 16 febbraio 2025, presso il Palazzo delle Arti e Tradizioni Popolari (Piazza Guglielmo Marconi 8, Roma) il Museo delle Civiltà presenta TESSERE È UMANO. Isabella Ducrot… e le collezioni tessili del Museo delle Civiltà. La mostra racconta i linguaggi e le culture della tessitura in un dialogo senza precedenti fra una selezione di opere tessili dalle collezioni storiche del museo –  alcune raramente o mai esposte prima – e le opere dell’artista Isabella Ducrot (Napoli, 1931), che nel tessuto ritrova la sua ispirazione ed essenza umanista. L’artista è stata invitata dal Museo delle Civiltà a esplorare, insieme alle Curatrici e i Curatori dell’istituzione, il patrimonio di abiti, accessori, stoffe cerimoniali o di uso quotidiano che sono custoditi nelle vetrine e nei depositi. Dall’archeologia preistorica alle arti e tradizioni popolari italiane e ai sistemi di pensiero, simbologie, narrazioni e rituali di culture africane, americane, asiatiche e oceaniane, le collezioni tessili sono tra le più affascinanti e al contempo fragili del Museo delle Civiltà, e per questo sono anche le più raramente esponibili. Lo sguardo dell’artista, che da decenni si confronta con le culture tessili di tutto il mondo, è stato per il museo un’occasione di farsi osservare dall’esterno e scoprire innumerevoli punti di connessione tra il patrimonio che custodisce e la pratica di un’artista per cui il tessuto non è solo un materiale quotidiano ma un millenario strumento di espressione e comunicazione fra le epoche, i territori, le culture. I tessuti in mostra, provenienti da tutte le collezioni del Museo delle Civiltà, raccontano non soltanto la progressiva formazione della sua collezione enciclopedica, ma documentano anche i rapporti istituzionali intrattenuti dal museo con le diverse culture che ne sono l’oggetto di studio. Questa sezione della mostra si configura, dunque, come il possibile diario di un viaggio nello spazio e nel tempo e un’auto-analisi della storia del museo, intrecciati nella struttura, fra trame e orditi, delle sue collezioni tessili. Nel percorso di mostra sono esposti alcuni tessuti estremamente frammentari dalle Collezioni Preistoriche risalenti all’Età del Bronzo e provenienti dagli scavi ottocenteschi del lago di Bienne in Svizzera, insieme a tessuti realizzati in Etiopia e Congo alla fine del XIX e all’inizio del XX secolo dalle Collezioni di Arti e Culture Africane, stoffe delle Collezioni di Arti e Culture Americane, dall’epoca precolombiana al XX secolo, e esempi di tapa polinesiane, particolare tipo di tessuto realizzato con strisce di corteccia d’albero, dalle Collezioni di Arti e Culture Oceaniane, che documentano nel loro insieme materiali, stili e tecniche elaborati nel corso dei millenni dai popoli nativi per rispondere a esigenze sociali, economiche, spirituali. Particolarmente rappresentate in mostra le opere tessili dalle Collezioni di Arti e Culture Asiatiche, dai manufatti himalayani a un sontuoso tessuto cinese in raso di seta con decorazione di draghi databile alla dinastia Qing (1644-1911) e, infine, abiti da lavoro e festivi e indumenti di uso quotidiano provenienti dalle Collezioni di Arti e Tradizioni Popolari, per la maggior parte realizzati tra la fine del XIX e il XX secolo e mostrati per la prima volta nell’Esposizione Internazionale tenutasi a Roma nel 1911. Per Isabella Ducrot il tessuto è un palinsesto in cui si deposita la storia umana con le sue innumerevoli storie personali, la traccia materiale di culture immateriali, un viaggiatore solo “apparentemente muto” da una cultura a un’altra, un tramite in cui si rinuncia all’unicità per far prevalere l’intelligenza e la sensibilità delle comunità di appartenenza, per creare un contatto con gli altri e sperare in quello con il divino. Come gli esploratori e le esploratrici che hanno creato le collezioni tessili del Museo delle Civiltà, anche Ducrot è stata per molti anni in viaggio, creando una collezione che ha ripiegato accuratamente nei cassetti di un armadio e, soprattutto, una molteplicità di opere in cui il tessuto non è mai supporto ma matrice dell’opera stessa. I curatori di questa sezione della mostra – Anna Mattirolo e Andrea Viliani con Vittoria Pavesi – hanno reso possibile per la prima volta la condivisione fra le collezioni tessili storiche di un museo pubblico e la ricerca dell’artista, intendendola come celebrazione di un sapere tessile al contempo astratto e concreto, intimo e condiviso. Ciò che in un tessuto affascina l’artista non è la sua decorazione ma la relazione compositiva fra storia e struttura, il suo essere “manufatto complesso la cui invenzione risale e epoche mitiche della storia umana”, l’essere un documento che dichiara “gusti, regole estetiche, emigrazioni di segni, testimonianze visibili e tattili di una cultura”. Nel corso dei suoi viaggi e della sua ricerca pluriennale l’artista ha acquisito una forte familiarità con i materiali tessili, individuando in ognuno un dettaglio dal valore simbolico. Un tessuto per lei è, quindi, qualcosa di impalpabile ma a suo modo radicale: “quasi niente, difficile da descrivere per mancanza di aggettivi, niente colori, niente decorazioni, niente ricami, solo affermazione della propria essenza, la semplicità ridotta ai minimi termini eppure grandiosa e commovente, come un inno patriottico”. Ducrot ha continuato per anni a collezionare e a lavorare sui tessuti, ricomponendo distinzioni e opposizioni, usandone pezzi per ricomporli in nuove forme e nuove opere, liberando i tessuti che utilizza dagli utilizzi originali per trasformarli in medium artistici. La materia tessile e la tessitura sono diventate nel corso del tempo il centro di un’appassionata dedizione, con interpretazioni e intuizioni rivelatrici di ciò che sta al di là del mero dato materiale. Radunando dalle collezioni tessili del Museo delle Civiltà opere africane, americane, asiatiche, europee e oceaniane – opere preziose e complesse o semplici e umili, antichissime o moderne, integre o ridotte in brandelli – così come affiancando opere di altri autori e altre autrici alle proprie, questa mostra e l’artista ci invitano a un ulteriore viaggio nel tempo e nello spazio. 

 

Categorie: Musica corale

Roma, Scuderie del Qurinale: “Tlapitzalli. Riti e suoni del Messico Antico” dal 29 luglio al 15 settembre 2024

Gio, 25/07/2024 - 01:45

Roma, Scuderie del Quirinale
TLAPITZALLI. RITI E SUONI DEL MESSICO ANTICO
Curata da Frida Montes de Oca Fiol
In occasione del 150° anniversario dei rapporti diplomatici tra Italia e Messico, le Scuderie del Quirinale di Roma ospiteranno una mostra unica nel suo genere: “Tlapitzalli. Riti e suoni del Messico Antico”. Curata da Frida Montes de Oca Fiol, questa esposizione offre una rara opportunità di immergersi nella cultura musicale dell’antico Messico, esplorando strumenti musicali preispanici e i rituali a essi associati. La mostra sarà inaugurata con una preview stampa il 29 luglio alle 11.30 e rimarrà aperta al pubblico fino al 15 settembre 2024. Le Scuderie del Quirinale, già note per ospitare esposizioni di grande rilevanza culturale, si trovano in Via XXIV Maggio 16, nel cuore di Roma, e saranno aperte tutti i giorni dalle 10:00 alle 20:00​. “Tlapitzalli. Riti e suoni del Messico Antico” esplora il ruolo degli strumenti musicali nella società preispanica, rivelando come essi fossero integrati nei rituali religiosi, cerimoniali e nella vita quotidiana. Gli strumenti esposti, molti dei quali rari e straordinari, sono testimoni di una cultura ricca e complessa, dove la musica svolgeva un ruolo fondamentale nella comunicazione con il divino e nel rafforzamento dei legami sociali. Oltre alla mostra, sono previsti eventi collaterali che arricchiranno l’esperienza dei visitatori. Tra questi, un concerto orchestrale che si terrà a Roma e Palermo, dove artisti di entrambi i paesi si esibiranno, creando un ponte culturale attraverso la musica​ . La caffetteria delle Scuderie, per tutta la durata della mostra, allestirà uno spazio speciale sulla terrazza, offrendo ai visitatori un’esperienza unica di ristoro con vista sulla città​ . Questa esposizione non è solo un omaggio alla musica e ai rituali dell’antico Messico, ma anche un simbolo della stretta relazione tra Italia e Messico, un legame che si rafforza attraverso lo scambio culturale e la reciproca valorizzazione delle rispettive tradizioni. La mostra è parte di un programma più ampio di celebrazioni che comprende eventi accademici, donazioni artistiche e pubblicazioni commemorative​ . “Tlapitzalli. Riti e suoni del Messico Antico” rappresenta una straordinaria occasione per scoprire e apprezzare una parte essenziale del patrimonio culturale messicano, evidenziando al contempo l’importanza della collaborazione e dell’amicizia tra le nazioni. La mostra promette di essere un viaggio affascinante attraverso suoni e riti che hanno segnato la storia di una delle civiltà più enigmatiche e affascinanti del mondo precolombiano. Per maggiori informazioni e per acquistare i biglietti, è possibile visitare il sito delle Scuderie del Quirinale​ (Scuderie del Quirinale)​.

Categorie: Musica corale

Roma, Caracalla Festival 2024: “Tosca” (Cast Alternativo)

Mer, 24/07/2024 - 23:59

Roma, Caracalla Festival 2024 
“TOSCA”
Melodramma in tre atti
Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
tratto dal dramma omonimo di Victorien Sardou
Musica di Giacomo Puccini
Tosca SONYA YONCHEVA
Mario Cavaradossi VITTORIO GRIGOLO
Il Barone Scarpia ROBERTO FRONTALI
Angelotti  VLADIMIR SAZDOVSKI
Sagrestano  DOMENICO COLAIANNI
Spoletta  SAVERIO FIORE
Sciarrone DANIELE MASSIMI
Carceriere FABIO TINALLI
Un Pastorello MARCELLO LEONARDI
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera con la partecipazione della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Antonino Fogliani
Maestro del Coro Ciro Visco
Regia  Francesco Micheli
Progetto scenografico Massimiliano e Doriana Fuksas
Costumi Giada Masi
Video Luca Scarzella, Michele Innocente, Matteo Castiglioni
Luci Alessandro Carletti
Drammaturgia Alberto Mattioli
Nuovo allestimento del Teatro dell’Opera di Roma
Roma, 24 luglio 2024
Nella suggestiva cornice delle Terme di Caracalla, uno dei luoghi storici più affascinanti di Roma, è nuovamente andata in scena “Tosca” di Giacomo Puccini. La serata, diretta dall’innovativo regista Francesco Micheli, ha visto protagonista il cast alternativo, il secondo dei tre considerevoli cast selezionati per questa produzione. Micheli, celebre per il suo approccio contemporaneo e la capacità di rivitalizzare le opere classiche, ha creato una messa in scena che rispetta la tradizione pucciniana, pur introducendo elementi freschi e stimolanti. La regia ha esplorato con profondità i temi dell’amore, del potere e della gelosia, mantenendo il pubblico avvinto dall’inizio alla fine. La direzione musicale, affidata al maestro Antonino Fogliani, ha offerto un’interpretazione ricca e precisa della partitura di Puccini, esaltando ogni sfumatura emotiva, dai momenti più drammatici a quelli più delicati, creando un’esperienza sonora di altissimo livello. Maestri dell’innovazione e dell’imprevisto, Massimiliano Fuksas e la moglie Doriana hanno deciso di eliminare i tradizionali simboli e oggetti scenici, optando per una scenografia essenziale ma potentemente evocativa. Per Tosca, definita da Fuksas stesso come “un’opera sul potere spirituale e temporale”, lo spazio scenico si trasforma in una pergamena vivente, su cui si imprimono parole in latino, lingua della Chiesa e della Roma imperiale. Questo alfabeto del potere avvolge l’ambientazione, rendendo omaggio alla città eterna e alla sua storia. Proiezioni di Anna Magnani, icona del cinema italiano e simbolo di romanità, arricchiscono ulteriormente la scena, conferendo un tocco di autenticità e drammaticità. Il minimalismo scenografico è accentuato dall’uso di un unico lungo tavolo per Scarpia, che diventa il fulcro del potere e della corruzione. Questa scelta permette di concentrare l’attenzione sul dramma interiore dei personaggi, esaltandone la profondità psicologica. La scena, interamente bianca, mette in risalto i personaggi e le loro azioni, creando un contrasto visivo che amplifica la tensione narrativa. Solo il coro, vestito di rosso, rompe questa monocromia, simbolizzando il sangue e la violenza che permeano la storia di Tosca. L’innovativa visione scenografica si manifesta anche nell’uso dei frattali come elemento scenografico. I frattali, forme geometriche che si ripetono su scale diverse, simboleggiano l’interconnessione e la ripetitività dei temi di potere e destino presenti nell’opera. Questa scelta conferisce alla struttura visiva una dimensione quasi metafisica, avvolgendo gli spettatori in un’atmosfera di ricordi frammentati e memorie collettive. Le luci di Alessandro Carletti conferiscono alla scena una qualità eterea e onirica, elevando la materialità del palcoscenico a una dimensione quasi spirituale. Coinvolgenti le luci di Luca Scarzella, Michele Innocente e Matteo Castiglioni. (Per maggior dettagli la nostra Recensione della Prima). Vittorio Grigolo incarna il ruolo di Cavaradossi con una performance eccezionalmente energica, caratterizzata da un’emissione sonora vigorosa e acuti svettanti, dimostrando al contempo una raffinata sensibilità nelle frasi più delicate. Tra le arie di Cavaradossi, “E lucevan le stelle” brilla particolarmente grazie alla sua abilità nel dosare colori e accenti con maestria, modulando abilmente dinamiche e respiri. Sebbene “Recondita armonia” sia tecnicamente impeccabile, emerge qualche fragilità nelle note basse, meno potenti rispetto agli acuti. Durante l’intera serata, Grigolo offre una rappresentazione di Cavaradossi virile, trascinante, impetuosa e autenticamente romantica; le Terme di Caracalla risuonano delle sue potenti note acute, come nel celebre sovracuto su “Vittoria! Vittoria!” del secondo atto. Al suo fianco, Sonya Yoncheva ha offerto una performance di rilievo, mostrando un registro centrale pieno e corposo, con acuti svettanti e sicuri. Tuttavia, la sua Tosca, pur tecnicamente impeccabile, ha mostrato talvolta un eccesso di toni drammatici, sfociando in un’interpretazione incline al verismo. Questo approccio ha occasionalmente condotto il suo canto al parlato, compromettendo la fluidità complessiva dell’esecuzione. Il soprano bulgaro ha comunque saputo brillare nei momenti più intensi, con acuti incandescenti, come nel celebre “quella lama gli piantai nel cor“. Nel primo atto, Yoncheva è stata scenicamente convincente nel ruolo della donna gelosa e innamorata, mentre nel secondo atto ha mostrato tutto il suo temperamento teatrale, dimostrando una presenza scenica imponente e una profonda comprensione del personaggio.  Roberto Frontali si impone senza riserve nel ruolo di Scarpia, offrendo una performance fenomenale con una potente voce da “cattivo” e una maestria recitativa di alto livello. La sua interpretazione, collaudata e consistente, spicca per l’adeguatezza e il controllo del mezzo vocale, che risulta omogeneo e robusto. Ogni intervento è cesellato con estrema cura, dal “Te Deum” fino al monologo del secondo atto “Ha più forte sapore”, evitando accuratamente effetti troppo forzatamente drammatici. Nonostante una lunga carriera, la vocalità di Frontali resta intatta e sicura, incarnando un personaggio machista, sbrigativo e spietato, ma mai volgare, ben calato nella lettura registica. Nel complesso, il livello dei comprimari è stato buono. Saverio Fiore ha interpretato Spoletta con precisione e presenza scenica, mentre Daniele Massimi ha dato vita a un convincente Sciarrone. Fabio Tinalli ha ricoperto il ruolo del carceriere con adeguata sobrietà. Particolarmente degne di nota sono state le interpretazioni di Vladimir Zazdovsky, che ha offerto un Angelotti di grande spessore, e di Domenico Colaianni, il cui sagrestano ha brillato per vivacità e carattere. Straordinario come sempre, il coro dell’Opera di Roma, guidato dal suo direttore Ciro Visco, ha offerto una performance impeccabile, dimostrando ancora una volta la sua eccellenza e la sua capacità di emozionare il pubblico con una precisione e una passione ineguagliabili. Il pubblico, composto prevalentemente da turisti, ha accolto con grande entusiasmo lo spettacolo, mostrando particolare apprezzamento per  la qualità straordinaria delle interpretazioni vocali. Photocredit@Fabrizio Sansoni

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Festival d’Aix-en-Provence 2024: Elīna Garanča – Malcolm Martineau

Mer, 24/07/2024 - 18:52
Grand Théâtre de Provence, Aix-en-Provence, saison 2024 Mezzo-soprano Elina Garanca Piano Malcolm Martineau Lieder et chants: Johannes Brahms, Jazeps Medins, Alfreds Kalnins, Jazeps Vitols , Richard Strauss, Sergueï Rachmaninov Aix-en-Provence, le 18 juillet 2024 Après les éclats de la Symphonie fantastique, une soirée dans la douceur, l’élégance et la musicalité d’un récital Elina Garanca. Des poèmes, des chants, des mélodies, des lieder sur des musiques de Brahms, Richard Strauss, Sergueï Rachmaninov et quatre compositeurs lettons, Jazeps Medins, Alfreds Kalnins, Janis Medins, Jazeps Vitols. Le mezzo-soprano suave de la chanteuse lettone et le toucher délicat du pianiste écossais Malcolm Martineau nous ont proposé une soirée de rêve. Rêve éveillé bercé de phrases musicales et de vibrations plus ou moins sonores dans une complicité toute poétique. Dans ce programme de récital, le choix se porte sur 3 compositeurs très différents mais dont le romantisme s’adapte aux poèmes et 4 compositeurs lettons dont les phrases musicales laissent parfois poindre quelques accents de musiques traditionnelles. Le public remplissait la salle et attendait presque silencieusement la venue de la charismatique mezzo-soprano. Le charme opère immédiatement. Superbe robe d’un chic sobre, port altier mais souriante, accompagnée d’un non moins souriant Malcolm Martineau, Elina Garanca nous propose lieder et chants de Johannes Brahms, composés sur des poèmes allemands. On ne présente plus Elina Garanca tant elle est connue et reconnue pour ses interprétations sensibles dans une technique et une musicalité sans failles. Nous en avons la preuve encore ce soir où le public est tenu en haleine sur ces poèmes où la tristesse, la douleur même sont chantées avec retenue. Mais la souffrance n’habite-t-elle pas les poètes, ces grands romantiques mis ici en musique dans des phrases musicales qui demandent une expressivité contrôlée, des respirations suspendues et des attaques sans dureté ? Elina Garanca se prête à toutes les intentions d’un Johannes Brahms qui s’adresse à un enfant ou confie les secrets d’un amour chuchoté. La nostalgie de l’enfance l’habite et cherche le repos dans les souvenirs. Souvenirs d’un amour perdu sous les doigts d’un pianiste attentif qui laisse courir quelques arabesques mais laisse la chanteuse dérouler une ligne de chant expressive dans des graves dramatiques ou plus tendres pour une sorte de prière. Le timbre de sa voix se teinte de tristesse sur les notes perlées d’un piano au rallentando musical. N’y-a-t-il plus d’espoir dans cet éclatant aigu ? L’éternel amour a chassé la nostalgie et la force du pianiste soutient maintenant un aigu coloré. Intensité des sentiments, intensité de la voix dans un vibrato contrôlé. La lune d’argent fait place aux étoiles pour une rêverie lettone. N’entend-on pas résonner les cordes de la Kokle ? Ce récit en forme de berceuse est chanté comme une douce évidence dans un timbre aux résonnances profondes. La tristesse du pianiste laisse sonner les gouttes de pluie dans les respirations de la chanteuse qui rythme les pleurs. Ô douleur! La rêverie romantique s’est éteinte dans un forte dramatique et le nocturne laisse les deux artistes chanter leur tristesse. Les souvenirs sont douloureux dans cette voix profonde, des souvenirs qui reviennent intériorisés dans un timbre prenant. Complainte dans un chant naturel sur une mélodie jouée au piano. Douleur encore dans un forte marqué, douleur même des souvenirs heureux, douleur toujours dans cette voix si expressive. Venant après l’entracte, les poèmes sur une musique de Richard Strauss sont moins douloureux mais tout aussi délicats. On aime la transposition pour voix de mezzo dans l’interprétation d’Elina Garanca pour ces sept chants extraits de cicles de lieder, où les notes sont posées avec délicatesse, accompagnés dans une grande intelligence musicale par le piano qui reprend les sonorités de la voix. Les tempi changent un peu, amour, bonheur fugace commencent le Winternacht avec un pianiste virtuose mais au récit délicat. Après les douces vibrations du Schön sind…dans un vibrato qui tarde à venir, Wie solten…ce récit expressif, expose son amour dans l’éclat des aigus ronds et projetés de la superbe mezzo. Comme pour une berceuse, Malcolm Martineau pose les notes et accompagne un parlando délicat aux aigus maîtrisés pour une fin nostalgique aux notes arpégées. Le charme, les contrastes de nuances, Heimiche Aufforderung laisse entendre un medium coloré sur le contrechant d’un piano qui s’éteint lentement. Befreit est un modèle de douceur. La douleur intérieure est rendue par un grand soutien du souffle dans un joli vibrato qui laisse résonner les graves. Longue tenue sur le souffle soutenue par les vibrations du piano qui s’estompent. Superbe ! L’allemand, le letton ont fait vibrer des accents de sensibilités différentes mais le russe de Rachmaninov sonne avec profondeur dans la chaleur du timbre de la mezzo-soprano pour des sentiments qui s’expriment avec plus de vigueur. Sur un poème de Tolstoï, et après un aigu éclatant, le pianiste se lance dans une sorte de cadence et cette langue, ô combien romantique, laisse exprimer la tendresse dans un “je t’aime” d’une expressivité délicate où la force est contenue. Le poème de Heinrich Heine se prête à une rêverie plus joyeuse alors que sur le poème Autre guitare de Victor Hugo, les aigus sont pris avec une grande douceur. Ne sent-on pas une pointe d’humour ? Les romances de Rachmaninov se terminent avec le glorieux retour du printemps dans des contrastes de nuances et l’éclat de deux artistes inspirés par un poème de Fiodor Tiouttchev. Trois bis ont répondu à l’ovation d’un public plus qu’enthousiaste; Une chanson nostalgique aux légères vocalises de Sergueï Rachmaninov, suivie par la sensuelle Habanera de la Carmen de Georges Bizet et Nana, une chanson nostalgie et tendre de Manuel de Falla aux vocalises andalouses qui sont merveille dans cette voix colorée. A la douceur de ces phrases musicales, s’oppose l’ovation du public. Photo © Vincent Beaume.
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Roma, Parco Archeologico del Colosseo: “La riapertura della Casa di Livia”

Mer, 24/07/2024 - 00:28

Roma, Parco Archeologico del Colosseo
RIAPRE LA CASA DI LIVIA
Dopo importanti interventi di restauro, la Casa di Livia riapre al pubblico, offrendo un’esperienza immersiva tra affreschi straordinari e storie mitologiche, riportando alla luce la magnificenza della residenza augustea
Roma, 22 Luglio 2024
Dopo accurati interventi di restauro, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali è orgoglioso di annunciare la riapertura della Casa di Livia, uno dei gioielli archeologici più preziosi del Palatino. Questa straordinaria domus privata del I secolo a.C., scoperta durante gli scavi ottocenteschi, torna a splendere nella sua antica magnificenza, offrendo ai visitatori un’imperdibile immersione nella storia e nell’arte della Roma imperiale. La Casa di Livia, attribuita alla moglie di Augusto in seguito al ritrovamento di una tubatura di piombo recante il nome “Iulia Augusta“, è parte del complesso augusteo e viene considerata come l’appartamento privato dell’imperatrice. L’edificio si sviluppa intorno a un atrio quadrangolare, dal quale si accede a quattro stanze decorate con splendidi mosaici e affreschi risalenti al 30 a.C. Al centro, il tablino, affiancato simmetricamente da due alae, funge da sala di ricevimento, mentre sulla destra dell’atrio si trova il triclinium, destinato ai banchetti. La visita è arricchita da un sofisticato intervento multimediale: in un’atmosfera semioscura, gli ambienti si illuminano a rotazione per agevolare la comprensione degli spazi. Una voce narrante, accompagnata da proiezioni, guida i visitatori attraverso le storie mitologiche rappresentate e i dettagli pittorici degli affreschi, rivelando il programma iconografico voluto da Augusto e offrendo le chiavi per apprezzare la straordinaria bellezza delle decorazioni. Il tablino, noto anche come “Sala di Polifemo“, deve il suo nome all’affresco che raffigura il ciclope Polifemo che insegue la ninfa Galatea. Sulla parete destra, Io è rappresentata mentre viene sorvegliata da Argo, il gigante dai cento occhi, con Mercurio che arriva per liberarla. La decorazione dell’ala destra è caratterizzata da un portico con festoni vegetali e simboli del culto di Dioniso, sovrastato da un raro fregio paesaggistico monocromo su fondo giallo, raffigurante scene di vita e rituali egiziani. Nell’ala sinistra, figure fantastiche come grifi e vittorie alate si affiancano ad eleganti candelabri, creando un ricco scenario decorativo. Il triclinium si distingue per la straordinaria decorazione pittorica su fondo rosso cinabro, noto come rosso pompeiano, con edicole che svelano paesaggi sacri e campestri, realizzati con notevoli effetti di profondità spaziale. La Casa di Livia, uno dei rari esempi di abitazioni repubblicane conservate sul Palatino, fu oggetto di scavi a partire dal 1869. L’identificazione con la residenza di Livia risale agli scavi condotti da Pietro Rosa su incarico di Napoleone III, in seguito al ritrovamento della conduttura di piombo recante il nome di Iulia Augusta. Studi successivi hanno dimostrato che le parti più antiche dell’abitazione risalgono al 75-50 a.C., suggerendo che l’edificio fosse una dépendance riservata a Livia nella casa di Augusto, un complesso di dimore preesistenti. L’accesso alla domus avveniva tramite un corridoio inclinato, con mosaici pavimentali originali, che conduceva a un cortile rettangolare. Il tablino, situato tra due stanze affacciate sul cortile, fungeva da passaggio tra le diverse aree della casa, ornato da affreschi di secondo stile risalenti al 30 a.C. Le pareti antiche, in opera reticolata, risalenti al 75-50 a.C., mostrano una tripartizione decorativa con colonne corinzie dipinte e scene mitologiche. La stanza a sud del cortile, probabilmente il triclinio, presenta pitture con paesaggi e simboli di culto, come il simulacro aniconico di Diana. L’attribuzione della Casa di Livia è basata su indizi circostanziali, come la vicinanza alla Casa di Augusto e la conduttura di piombo. Tuttavia, non si tratta della casa dove Livia visse con il primo marito Tiberio Nerone, ma probabilmente di un appartamento riservato a lei all’interno della residenza di Augusto, modificato significativamente dopo il ritorno dalla Sicilia nel 36 a.C. per adattarlo alle esigenze dell’imperatrice. La riapertura della Casa di Livia rappresenta un’occasione unica per riscoprire la magnificenza della Roma antica e immergersi nella vita quotidiana dell’epoca augustea.

 

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Marianna Suriano: Nuova Prima ballerina del Teatro dell’Opera di Roma

Mar, 23/07/2024 - 22:56

TALENTO, LAVORO, INTERPRETAZIONE: INTERVISTA A MARIANNA SURIANO, NUOVA PRIMA BALLERINA DEL TEATRO DELL’OPERA DI ROMA
Roma, 23 Luglio 2024
Il 27 giugno scorso, al termine dell’ottava recita de Il lago dei cigni nella versione di Benjamin Pech, il Sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma Francesco Giambrone e la Direttrice del corpo di ballo Eleonora Abbagnato hanno conferito la nomina di “Prima Ballerina” a Marianna Suriano, da tempo riconosciuta come uno dei più espressivi talenti della compagnia capitolina, ammirata sia nei ruoli lirici sia in performance dal linguaggio neoclassico o contemporaneo. Nata e cresciuta a Milano, è arrivata nella compagnia romana nel novembre 2012, dopo essersi formata in Scala. Nei giorni scorsi è stata applaudita calorosamente nel ruolo di Odette/Odile al Gran Teatre del Liceu di Barcellona e con grande freschezza e generosità si è raccontata dalla sua stanza d’albergo tramite videochiamata.
-Marianna, è un grande piacere per noi intervistarti in questa occasione speciale. Come ti senti adesso, sei riuscita a realizzare il traguardo raggiunto? Come lo stai vivendo?
“È una grande gioia, un sogno che si realizza e stento a rendermene ancora conto. Ho sempre lavorato con grande senso di responsabilità verso chi mi affidava i ruoli, verso gli stessi colleghi della compagnia e verso il pubblico. La nomina rappresenta il coronamento di questo impegno. Non la vivo come una pressione, in quanto fa già parte della mia personalità il desiderio di fare bene, crescere e migliorarmi sempre. È semplicemente una sensazione di felicità”.
-Vieni dalla grande scuola dell’Accademia del Teatro alla Scala. Quanto ha contribuito questo al tuo successo?
“Ho iniziato a studiare danza in una scuola privata fin dai 4 anni. Ero una bambina molto vivace, ma quando iniziava la lezione sapevo di dovermi concentrare. Quando poi sono approdata all’Accademia della Scala a 11 anni ho capito il senso della disciplina e la durezza di un lavoro in cui non viene regalato nulla. Bisogna lavorare anche col dolore e non fermarsi mai, perché il corpo possa rispondere come argilla a questo lavoro di perfezionamento”.
-Il tuo impatto iniziale con Roma come è stato? Come sei arrivata qui?
“Sono arrivata a Roma per un puro caso. Feci una prova con l’ex direttore del corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma Micha van Hoecke, che mi affidò il ruolo di Regina della Driadi in Don Chisciotte. Roma mi piacque molto e capii che la compagnia mi avrebbe dato possibilità di crescere. Da allora mi sono sempre trovata bene qui”.
-Parlando di ruoli, quali sono i tuoi preferiti?
“La mia indole e la mia fisicità mi portano verso il classico puro, il mondo del tutù e di Degas. Il classico è una sfida. In scena non si può in alcun modo ingannare. Tra i primi ruoli che sento miei è la Fata dei Lillà ne La bella addormentata. Ho danzato inizialmente nel 2014 la versione di Paul Chalmer e poi due volte la versione di Jean-Guillame Bart, e a settembre affronterò di nuovo il balletto in una nuova veste…”.
-Hai trovato differenze di interpretazione ed esecuzione con altri ruoli classici? Qual è stata ad esempio la tua esperienza con il ruolo di Myrtha in Giselle?
Giselle è un capolavoro del balletto con i suoi voli ed i personaggi delle Villi. Avendo studiato il ruolo di Myrtha nei minimi dettagli con Patricia Ruanne ho provato davvero l’emozione di confrontarmi con la storia della danza. A dispetto della sua antica tradizione, la narrazione messa in scena parla di emozioni umane molto attuali. Devo dire che anche ripetendo lo stesso ruolo a distanza di tempo, l’interpretazione può differire di molto”.
-Ed Il lago dei cigni invece?
“Il Lago dei Cigni è il mio balletto del cuore. Lo vidi per la prima volta a 13 anni alla Scala e rimasi davvero affascinata. Realizzai il sogno di interpretarlo nel 2019. Fu il mio primo ruolo da prima ballerina protagonista. Se in precedenza ero più incline a interpretare il Cigno bianco con la sua innocenza, adesso ho trovato più interessante lavorare sulle sfumature del Cigno nero, sulla sua sensualità. In fondo, siamo tutti luci e ombra”.
-Come differenzi il doppio ruolo di Odette/Odile?
“Nella prima entrata Odette è un cigno che si sta trasformando in donna. Nell’incontro col Principe vive un amore ideale, sebbene impossibile. È una figura che indosso benissimo grazie all’eleganza dei port de bras. Struggente è poi per me il pas de deux grazie alla delicatezza con cui il Principe si accosta a Odette per paura di farle del male. Del Cigno nero mi piace sottolineare la malizia attraverso l’importanza di uno sguardo vispo e seducente, oltre che con dei movimenti più scattosi e duri”.
-Ti abbiamo ammirata di recente in Bolero. Trovi che i linguaggi più moderni mettano altrettanto in luce il tuo talento dei balletti classici?
“Nel linguaggio neoclassico di Bolero mi sono sentita molto a mio agio per l’esplorazione della mia femminilità, così come quando ho avuto l’opportunità di danzare in Herman Schmerman di Forsythe ho sentito che il lavoro estremo sull’allungamento avrebbe migliorato la mia tecnica anche nel classico puro, modificando la mia stessa fisicità. In generale, l’importante è trovare la libertà dentro il movimento, arrivando all’estremo delle linee. E spero che in futuro avrò modo di continuare ad esplorare diverse tecniche e diversi stili”.
-Dove trovi la tua ispirazione?
“Sicuramente mi piace riguardare le grandi ballerine del passato e del presente. Nel caso de Il lago dei cigni, ad esempio, studio la perfezione delle linee e in particolare il movimento delle braccia di danzatrici come Svetlana Zakharova e Ul’jana Lopatkina per il Cigno bianco, o l’intensità di Polina Semionova ne il Cigno nero. Inoltre, mi ispiro alla natura, al volo dei gabbiani. Infine, porto in scena me stessa, Marianna, con i miei pregi e i miei difetti, con le mie esperienze d’amore, le mie gioie e le mie insicurezze. Sono una ragazza semplice, mi piace emozionarmi per poi fare emozionare il pubblico”. Foto Fabrizio Sansoni e Yasuko Kageyama – Opera di Roma

 

 

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101° Arena di Verona Opera Festival 2024: “La Bohème”

Mar, 23/07/2024 - 08:25

101° Arena di Verona Opera Festival 2024
“LA BOHÈME”
Opera in quattro quadri su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Musica di Giacomo Puccini
Mimì JULIANA GRIGORYAN
Musetta ELEONORA BELLOCCI
Rodolfo VITTORIO GRIGOLO
Marcello LUCA MICHELETTI
Schaunard JAN ANTEM
Colline ALEXANDER VINOGRADOV
Benoit NICOLO’ CERIANI
Alcindoro SALVATORE SALVAGGIO                                                                        Parpignol RICCARDO RADOS                                                                              Sergente dei doganieri NICOLÒ RIGANO                                                                Un doganiere CARLO BOMBIERI                                                                            Orchestra, Coro e Ballo della Fondazione Arena di Verona
Direttore Daniel Oren
Maestro del coro Roberto Gabbiani                                                                    Coro di voci bianche A.Li.Ve diretto da Paolo Facincani
Regia Alfonso Signorini                                                                                     Scene Guillermo Nova                                                                                          Coordinamento costumi Silvia Bonetti
Luci Paolo Panizza                                                                                              Coordinatore del Ballo Gaetano Petrosino                                                            Nuova produzione
Verona, 19 luglio 2024                                                                                        Mancante in Arena da più di dieci anni, il capolavoro pucciniano ritorna proposto da Fondazione Arena in un nuovo allestimento affidato alla regìa di Alfonso Signorini continuando così una sfida già iniziata lo scorso anno con il Rigoletto firmato da Antonio Albanese; una sfida che non sempre si può dire vinta. Vi è stato un tempo in cui gli spettacoli areniani erano affidati a registi esperti (Zeffirelli, Lavia, Squarzina, Montaldo, Patroni Griffi ed altri) mentre oggi assistiamo sempre di più alle sperimentazioni teatrali di chiunque decida una mattina di alzarsi e di firmare uno spettacolo. La regìa di un’opera lirica è ben altro e in effetti quanto visto è di ben poco conforto alle aspettative create, sebbene il giornalista/presentatore avesse già allestito l’opera a Torre del Lago qualche anno fa. L’idea di Signorini, come riportato nelle note di regìa, è quella di togliere Mimì dalla visione onirica e romantica di un’epoca “che si nutriva di figurine di carta e di fiori profumati”; una Mimì intraprendente, quasi inopportuna, che dall’alto spia i quattro amici attendendo che lascino solo Rodolfo per presentarsi a lui con il pretesto del lume. Non la solita Mimì ingenua e sprovveduta, quindi, ma una donna volitiva, che non teme di autoinvitarsi ed aggregarsi all’allegra compagnia dei quattro amici squattrinati. Di fatto, però, è questa la sola componente innovativa dello spettacolo poiché tutto il resto scivola in una sorta di limbo dove è difficile orientarsi in un concetto scenico di trasparenza teso a gettare lo sguardo dello spettatore oltre la semplice sequela dei quadri, rivelando quanto accadrà dopo. Tutto il resto denota poche idee non bene coordinate (o forse non supportate da un numero adeguato di prove) con la comparsa, nel secondo quadro, di elfi, babbi natale e befane intente a spazzare la strada. Anche i due danzatori ai lati del palcoscenico che creano una coreografia continua durante tutto il terzo quadro non si sa bene dove vogliono andare a parare. Tali impressioni sono poi sostenute dallo stesso impianto scenografico che come struttura di base prende a prestito il praticabile creato per Aida di Poda (in cartellone allo stesso festival) e sul quale gli elementi inseriti da Guillermo Nova cercano di ricreare l’atmosfera parigina descritta dal romanzo di Murger, unitamente ai costumi scelti e coordinati da Silvia Bonetti, comunque rispettosi dell’ambientazione storica originale di metà Ottocento. Il resto lo fanno le luci di Paolo Panizza che intervengono sempre in modo discreto e pertinente sulle azioni del palcoscenico adattandovisi lungo lo svolgimento dello spettacolo. Non del tutto compatto, e qui veniamo alla parte musicale, il cast vocale a cominciare dal Rodolfo di Vittorio Grigolo, del tutto avulso dall’interazione scenica con gli altri personaggi, quasi estraneo alla vicenda stessa. Gli eccessi scenici e vocali e l’autocompiacimento a cui ci sta abituando con urla, singulti e scatti fulminei (di dubbio gusto verista) a scapito di un timbro pure appropriato al ruolo, ne compromettono tanto il temperamento quanto la visione stessa del poeta innamorato: Rodolfo non è Turiddu e a farne le spese sono spesso la tenuta vocale e, talvolta, la stessa intonazione. Al suo fianco Juliana Grigoryan dipinge una Mimì civetta quanto basta ma senza osare troppo, forse timorosa di eccedere: la voce è bella ma l’interpretazione non risulta particolarmente coinvolgente soprattutto nei distesi cantabili di Mi chiamano Mimì e Donde lieta uscì condizionando sia pur minimamente una bella prestazione. Luca Micheletti è un Marcello convincente sul piano scenico (non dimentichiamo che viene comunque dal teatro) quanto su quello vocale, reso quasi aristocratico da una morbida vocalità che riesce sempre a piegare nei diversi stati d’animo senza mai cadere nel rischio di gonfiare il suo personaggio. Il quartetto di amici bohèmiens era completato dallo spensierato Schaunard di Jan Antem, corretto e preciso, musicalmente puntuale e di garbata presenza scenica, e il filosofo Colline di Alexander Vinogradov che nel quarto atto riesce solo parzialmente a dare quel tono oscillante tra il grave e l’ironico in Vecchia zimarra. Molto bene Musetta, qui interpretata da Eleonora Bellocci con gusto e vivacità appropriati al ruolo ma sempre attenta a non cadere nel tranello di un’interpretazione “caricata”; e questo lo si è udito soprattutto nel quarto quadro. Di corretto apporto, infine, le voci di Nicolò Ceriani (Benoit), Salvatore Salvaggio (Alcindoro), Riccardo Rados (Parpignol), Nicolò Rigano (Sergente dei Doganieri) e Carlo Bombieri (Doganiere). Dal podio, Daniel Oren sembra aver perduto lo smalto e la pregnanza sanguigna che ne avevano sempre contraddistinto il piglio interpretativo; la sua direzione è blanda, a tratti persino stanca con tempi allentati ed esposti al rischio di pericolose scollature con il palcoscenico, come ad esempio nel finale del secondo quadro; ne consegue una prestazione corretta dell’orchestra, certo non memorabile. Analogamente si può dire del coro diretto da Roberto Gabbiani che al Quartiere Latino non è sempre ineccepibile negli insiemi; decisamente positivo invece il coro di voci bianche A.Li.Ve diretto da Paolo Facincani. Arena quasi da tutto esaurito, nonostante l’inizio dello spettacolo sia slittato di un’ora a causa della perturbazione atmosferica che gravava su Verona; come da tradizione le immortali pagine pucciniane sono state accolte da vibranti applausi. Per concludere, un allestimento per nulla disprezzabile ma nemmeno epocale. Unica replica sabato 27 luglio. Foto Ennevi per Fondazione Arena

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Lugano, XXVIII° Ticino Musica Festival 2024: “Rita” di Gaetano Donizetti

Lun, 22/07/2024 - 18:22

Lugano, Aula Magna del Conservatorio, XXVIII Ticino Musica Festival 2024
RITA”
Opera buffa in un atto unico, con drammaturgia e testi di Daniele Piscopo, tratti da “Rita ou le mari battu” di Gustave Vaëz
Musica di Gaetano Donizetti
Rita FLORIANA CICIO
Beppe DYLAN LEZAMA
Gasparo NICOLA COSIMO NAPOLI
Bortolo MASSIMILIANO ZAMPETTI
Ensemble strumentale Ticino Musica
Direttore Stefano Nigro
Regia Daniele Piscopo
Scene Matilde Folli
Costumi Giulia Bonuccelli
Luci Erez Abramovich
Nuova produzione del Festival Ticino Musica
Lugano, 18 luglio 2024
Negli ultimi anni “Rita” di Donizetti sta incontrando un singolare revival, dovuto principalmente alla brevità dell’opera, ai soli tre personaggi e alla vis comica che la caratterizza; tuttavia alcuni aspetti dell’operina fanno sorgere non piccole perplessità: in primis la sua natura di opéra comique, che prevede un numero più o meno pari di numeri cantati e scene recitate; poi, il fatto che sia originariamente in francese (il sottotitolo è “Le mari battu”) impone, a chi non ricorra ad artisti d’oltralpe, una traduzione del testo; infine, ma forse è il punto più scottante, il contenuto dell’opera: essa infatti tratta di una donna che, poiché maltrattata dal primo marito, ora malmena il secondo – e questa è la fonte della maggior parte dei suoi siparietti comici; siamo sicuri che nel 2024, in Italia, un’opera del genere non necessiti di essere stravolta, se non vuol incorrere nel rischio di essere fraintesa (non dimentichiamo che una delle sue arie più famose contiene nel ritornello i versi “si può picchiar la moglie/ ma non si de’ accoppar!”)? Certo questi aspetti non sono stati trascurati dall’Opera Studio “Silvio Varvisio” del Ticino Musica Festival, che quest’anno ha scelto di lavorare su questo titolo decidendo non solo di ritradurne il libretto, ma anche di riconcepirlo drammaturgicamente, convertendo la violenza sottesa all’opera originale in un invito ad abbandonare le botte e l’aggressività per amarsi con pazienza e devozione. Posto che la musica di Donizetti rimane intatta – e i nuovi testi approntati dal regista Daniele Piscopo suonano tutto sommato bene con essa – la questione che solleva la riproposizione dell’operina è di quelle che infiammano le testate e i siti internet da ormai anni: quanto il politically correct e la cosiddetta woke culture hanno il diritto di entrare nell’arte di duecento anni fa? Si può soprassedere sulla natura démi mondaine di Violetta per non offenderne la dignità di donna? Può Otello astenersi dal picchiare e ammazzare Desdemona, per non fornire un esempio di femminicidio? Tosca che gode nell’uccidere Scarpia, prima, e nel riportare lo stesso omicidio, poi, e Manon che riesce a calmare il proprio malessere solo con i beni materiali, sono forse cattivi modelli di ragazze? Non pretendiamo di avere risposte, per carità, ma sta di fatto che quanto abbiamo visto a Lugano non corrisponde alla “Rita” per la quale Donizetti scrisse le musiche, sebbene lo spettacolo cui assistiamo sia assai godibile, fresco, coloratissimo e pieno di momenti divertenti (nello stile pop cui Daniele Piscopo ci ha abituato, ormai). Forse l’unica cosa che non ci convince è l’inserimento di un personaggio unicamente recitato (denominato Bortolo, e ben interpretato da Massimiliano Zampetti) che “guidi” lo spettatore proprio alla rilettura del tema dell’opera, in maniera a tratti didascalica e a tratti stucchevole. La ragione, tuttavia, è chiara: il pubblico delle diverse repliche nel Canton Ticino è un pubblico che non accetterebbe, probabilmente, di sentire che un personaggio si diverte ad infliggere bastonate alle proprie mogli (tuttavia, accetta che questa funesta consuetudine sia chiamata “alla russa”… evidentemente le questioni di genere son più sentite del razzismo dai perbenisti ticinesi). A parte questo aspetto, lo spettacolo è senz’altro gustoso, sia scenicamente, come abbiamo detto, ma anche vocalmente: ritroviamo nei panni della protagonista Floriana Cicio, che ascoltammo con piacere quattro anni fa a Modena, e ora ritroviamo vocalmente matura, consapevole del suo bel mezzo sonoro ed esteso (bei centri e acuti sicuri) e di una tecnica che le consente di affrontare con grande facilità il ruolo. Accanto a lei ben figura anche Nicola Cosimo Napoli nel ruolo di Gasparo, baritono lirico dall’emissione naturale e buona la linea di canto; appare più debole invece, il tenore Dylan Lezama nel ruolo del  remissivo Beppe: la voce mostra limiti di volume, per quanto graziosa nel colore un po’ in affanno nel reggere il canto; limiti compensati dall’esilarante prova scenica, da vero caratterista d’altri tempi, peraltro una parte sostenuta in una lingua non sua (Lezama è messicano). Sul piano scenico tutti e tre gli interpreti sfoggiano una naturalezza e una propensione non indifferenti, e sanno muoversi nei tempi giusti e con intenzioni chiarissime – ulteriore merito del regista. La recitazione è forse un filo forzata nel caso di Napoli, ma sia Lezama che Cicio, invece, dimostrano bella aderenza al personaggio. Sul podio dell’Ensemble del Festival quest’anno troviamo Stefano Nigro, dal gesto energico e tutto teso alla coesione tra palco e orchestra; e bravi anche gli altri partecipanti all’opera studio, che performeranno nelle altre date, e che qui, invece, si sono spesi come servi di scena e figuranti. Insomma, polemiche e dietrologie a parte, anche quest’estate il Cantone è toccato da una bella e fresca produzione operistica, che avrà modo di essere replicata in spazi molto diversi tra loro, tra i quali il LAC, prestigioso teatro cittadino, il 23 luglio e il Teatro Paravento di Locarno il 29 luglio. Foto Dave Wong e Andrey Klimontov

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Teatro Ristori di Verona: la nuova stagione artistica 2024/25

Lun, 22/07/2024 - 17:15

Più di cinquanta appuntamenti caratterizzeranno la nuova Stagione Artistica del Teatro Ristori di Verona tra arti, generi musicali e format diversificati. Tra questi, tradizionali serate a teatro, appuntamenti a tema, ed eventi off in location d’eccezione. Un delicato mosaico tra innovazione e classicità. Le “anime” che scandiranno il cartellone artistico 2024/2025 vedranno sotto i riflettori il grande Jazz, che aprirà e chiuderà con nomi di rilievo internazionale (come Hiromi o Ray Gelato, per la prima volta a Verona), la danza e le serate d’autore. Discipline, anche quest’ultime, che porteranno nel teatro-gioiello di modernità della città scaligera artisti di grande richiamo, come la compagnia Machine du Cirque dal Québec o la tedesca Familie Flöz famosa per i linguaggi non-convenzionali. Tornerà Ristori Baroque Festival: la terza edizione della rassegna celebrerà la musica tra il XVII e XVIII secolo come linguaggio universale con compositori ispirati dall’arte retorica per costruire un discorso musicale in grado di commuovere il pubblico. In programma Le Quattro Stagioni, brano più che mai evocativo del succedersi del tempo; e ancora la follia, le passioni umane, acqua in musica. Le suggestioni barocche vedranno anche numerosi appuntamenti “off”, diffusi per la città e in ambientazioni insolite. Prosegue, con l’ormai tradizionale attenzione, il filone Educational con appuntamenti dedicati alle famiglie e alle più piccole generazioni.
A dicembre il Ristori si trasformerà ancora una volta in culla della cultura e della convivialità: per il terzo anno consecutivo tornano le attese Cene-spettacolo grazie allo speciale format che coniuga eccellenze artistiche e gastronomiche. Le festività natalizie saranno omaggiate con i Neri Per Caso, veri fenomeni del canto a cappella; il tradizionale Gospel del coro californiano JP & the Soul Voices e con i Black Blues Brothers, spettacolari acrobati-equilibristi africani. Torna, infine, il concerto di Capodanno, per festeggiare a teatro l’arrivo del 2025. Nel pomeriggio del primo giorno del nuovo anno I Virtuosi Italiani accompagneranno il pubblico nell’incantevole e frizzante atmosfera di Vienna.
In allegato il programma dettagliato. informazioni su abbonamenti e biglietti sul sito www.teatroristori.org

 

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Napoli, Stazione Chiaia – Monte di Dio: “Un viaggio nel mito e nell’arte”

Lun, 22/07/2024 - 00:53

La Stazione Chiaia-Monte di Dio: Un Viaggio nel Mito e nell’Arte
Un’opera di architettura e arte contemporanea che fonde simbolismo mitologico e funzionalità urbana. Scopriamo il progetto di Uberto Siola e Peter Greenaway, una delle gemme nascoste delle “Stazioni dell’Arte” di Napoli
Napoli, 16 Luglio 2024
La stazione Chiaia-Monte di Dio rappresenta una delle gemme nascoste della metropolitana di Napoli, un’opera architettonica e artistica che fonde mitologia, arte contemporanea e funzionalità urbana in un contesto unico. Il progetto, ideato dall’architetto napoletano Uberto Siola, è arricchito dagli interventi artistici di Peter Greenaway, regista e artista britannico di fama mondiale, noto per la sua capacità di creare opere visive di grande impatto. La stazione si sviluppa su tre livelli distinti, ciascuno con una funzione specifica e una rappresentazione mitologica unica. Il primo livello ospita l’ingresso principale su Piazza Santa Maria degli Angeli, un punto di accesso che introduce immediatamente i viaggiatori a un viaggio simbolico nelle viscere della terra. Il secondo livello ha un ingresso su Via Chiaia, mentre il terzo livello, quello della banchina, conclude il percorso con un omaggio al regno di Ade. Il viaggio mitologico inizia con la figura di Giove, rappresentato da una scultura di metallo dipinta di azzurro con ventiquattro braccia protese verso il cielo. Questa immagine simbolica non solo evoca la protezione divina per i viaggiatori, ma anche il flusso del tempo e la connessione tra cielo e terra. La scultura di Giove introduce i passeggeri a un mondo dove il mito e la realtà si intrecciano. Proseguendo il percorso, i viaggiatori incontrano una scala elicoidale bianca, una delle caratteristiche architettoniche più distintive della stazione. La scala è situata all’interno di una struttura cilindrica sormontata da una lanterna vetrata, che convoglia la luce naturale all’interno della stazione, creando un effetto visivo straordinario. Questa area simboleggia il regno di Nettuno, il dio del mare, come suggerisce il verso di Ovidio “Est in aqua dulci non invidiosa voluptas” inciso lungo il parapetto della scala. La scelta di Greenaway di utilizzare questo verso non è casuale. L’acqua rappresenta la vita, la purezza e il piacere non invidioso, un elemento che collega la mitologia all’esperienza quotidiana dei viaggiatori. La scala elicoidale, con il suo andamento fluido e continuo, rappresenta il movimento perpetuo dell’acqua, un tema caro alla mitologia e all’arte classica. Il viaggio continua verso il livello successivo, caratterizzato da una matrice quadrata di colore verde, che simboleggia il regno di Cerere, la dea della fertilità e dell’agricoltura. Questa sezione è pensata come una grande galleria temporanea, dove sculture e opere d’arte possono essere esposte, creando un ambiente che celebra la natura e la rinascita. Il passaggio successivo conduce a un’area ottagonale dedicata a Proserpina, figlia di Cerere. Questa area è caratterizzata da un colore giallo ocra e sei melograni, simboli di abbondanza e fertilità. L’ottagono, con la sua geometria equilibrata e armoniosa, rappresenta l’intersezione tra il mondo terreno e quello sotterraneo, una metafora del ciclo vitale della natura. Il viaggio mitologico culmina con l’arrivo alla banchina, dove si trova un omaggio ad Ade, il re degli inferi. La cupola sovrastante le passerelle è decorata con centinaia di occhi, una rappresentazione inquietante e affascinante del dio che tutto vede. Questa immagine evoca la vigilanza e il controllo, ma anche il mistero e l’ignoto del mondo sotterraneo. Peter Greenaway, regista e scrittore britannico, è una figura centrale nel panorama cinematografico contemporaneo. Conosciuto per film come “Il ventre dell’architetto”, “Lo zoo di Venere” e “I misteri del giardino di Compton House”, Greenaway è celebre per il suo approccio visivo all’arte cinematografica. Ogni inquadratura dei suoi film è studiata meticolosamente, trasformandosi in un’opera d’arte a sé stante. Greenaway ha portato la sua sensibilità artistica anche nella progettazione della stazione Chiaia-Monte di Dio, utilizzando il disegno e la pittura per creare un ambiente che stimoli la percezione visiva e intellettuale dei viaggiatori. Le sue installazioni nella stazione sono caratterizzate da un forte simbolismo cromatico e geometrico, che riflette l’interesse dell’artista per la pittura e la composizione visiva.
La stazione Chiaia-Monte di Dio è solo una delle numerose “Stazioni dell’Arte” di Napoli, un progetto ambizioso nato nel 1995 e volto a trasformare le stazioni della metropolitana in musei diffusi di arte contemporanea. Ogni stazione è caratterizzata da installazioni artistiche site-specific, che contribuiscono a creare un’esperienza unica per i viaggiatori. Tra le stazioni più iconiche di Napoli, la stazione Toledo, progettata dall’architetto spagnolo Óscar Tusquets, è considerata una delle più belle al mondo. La stazione è dominata dal “Crater de Luz”, un grande cono che attraversa tutti i livelli della stazione, collegando il piano della strada con la hall 40 metri più in basso. Il tema del mare è evidente nei mosaici azzurri che decorano le pareti e i pilastri, creando un effetto visivo che ricorda le profondità oceaniche. Un’altra stazione degna di nota è quella di Università, progettata dal designer anglo-egiziano Karim Rashid. Questa stazione è un omaggio alla nuova era digitale, con spazi vivaci e luminosi decorati con parole coniate negli ultimi cinquant’anni. Rashid ha utilizzato una varietà di materiali e colori per creare un ambiente che riflette l’innovazione e la comunicazione simultanea della Terza Rivoluzione Tecnologica. La stazione Garibaldi, progettata dall’architetto francese Dominique Perrault, è nota per il suo spettacolare incrocio di scale mobili sospese. Le opere dell’artista Michelangelo Pistoletto, famose per i quadri specchianti, adornano la stazione, rappresentando i viaggiatori in attesa della metropolitana. Queste opere riflettono l’interazione tra il passato e il presente, creando un dialogo continuo tra arte e realtà quotidiana. La stazione Chiaia-Monte di Dio non è solo un punto di transito, ma un vero e proprio viaggio nel mito, un’esperienza sensoriale e intellettuale che unisce architettura, arte e mitologia. L’intervento di Peter Greenaway aggiunge un ulteriore livello di profondità, trasformando la stazione in un’opera d’arte totale. Questo progetto, insieme alle altre Stazioni dell’Arte di Napoli, rappresenta un esempio eccezionale di come l’arte pubblica possa arricchire e trasformare l’ambiente urbano, offrendo ai cittadini e ai visitatori un’esperienza unica e indimenticabile.

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Pompei, Civita Giuliana: “Il sacello della Villa Suburbana: Una nuova Scoperta nell’abito della legalità archeologica”

Dom, 21/07/2024 - 08:00

Pompei, Civita Giuliana
IL SACELLO DELLA VILLA SUBURBANA DI CIVITA GIULIANA: UNA NUOVA SCOPERTA NELL’AMBITO DELLA LEGALITÀ ARCHEOLOGICA
Civita Giuliana, 18 Luglio 2024
Nell’affascinante contesto di Civita Giuliana, situata a nord dell’antica Pompei, gli scavi archeologici hanno rivelato nuovi e sorprendenti dettagli su una sontuosa residenza nota come Villa Imperiali, identificata già nei primi anni del Novecento. Grazie a una serie di campagne di scavo avviate dal Parco Archeologico di Pompei a partire dal 2017, e intensificate nel 2019 con un protocollo d’intesa con la Procura della Repubblica di Torre Annunziata, è stato possibile interrompere il saccheggio sistematico della villa, restituendo al mondo importanti reperti e informazioni di valore inestimabile. Le indagini condotte nel biennio 2023-24 si sono concentrate sull’area lungo l’attuale via di Civita Giuliana, investigando per la prima volta una zona interposta tra i due settori già noti della villa: il quartiere residenziale a nord e il quartiere servile a sud. Questi scavi sono stati fondamentali per verificare l’attendibilità delle informazioni raccolte dalle indagini giudiziarie precedenti, che avevano indicato la presenza di ulteriori strutture e reperti. Tra le scoperte più significative vi è il rinvenimento di un sacello, un ambiente sacro dedicato al culto religioso, situato in una posizione strategica tra il quartiere di servizio, con stalle e stanze per gli schiavi, e il complesso residenziale. Questo sacello, con la sua volta a incannucciata e la pianta rettangolare, rappresenta un raro esempio di architettura religiosa annessa a una villa suburbana pompeiana. Nonostante l’assenza di affreschi raffiguranti le fatiche di Ercole, menzionati nelle indagini, la struttura corrisponde a quanto ipotizzato dagli inquirenti. La scoperta del sacello ha permesso di portare alla luce pavimentazioni e strutture appartenenti al piano superiore del quartiere servile, nascoste sotto la moderna via Civita Giuliana. La rimozione della strada, iniziata nell’agosto 2023, ha rivelato queste antiche vestigia a una profondità compresa tra i 40 e i 50 centimetri dall’attuale livello stradale. Il sacello presenta un tetto spiovente e una fronte esterna completamente intonacata e dipinta di bianco, con un grande portale (2,65 x 2,75 m) sormontato da un timpano a rilievo. Una rampa con tracce di ruote davanti alla porta suggerisce l’uso di un carro cerimoniale durante i rituali. L’interno dell’ambiente è decorato con affreschi in IV stile, con dodici pannelli a drappo giallo su sfondo rosso, e un podio murario probabilmente destinato a una statua, evidenziando l’importanza cultuale del luogo. Il direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, ha espresso un misto di sconcerto e speranza di fronte alla scoperta: “Lo scavo del sacello ci mostra la spregiudicatezza con cui gli scavatori clandestini hanno operato, spogliando quasi tutte le pareti e l’interno della stanza. Tuttavia, è incoraggiante vedere che lo Stato, insieme alla Procura e ai Carabinieri, sta recuperando un complesso di grande importanza. Questo scavo rappresenta una tutela attiva e un atto di giustizia dopo anni di saccheggiamento.Le indagini a Civita Giuliana non si limitano alla scoperta del sacello. Tra i ritrovamenti più straordinari vi sono: Una stalla con resti di equidi bardati e il primo calco intero di un cavallo, un carro cerimoniale a quattro ruote, decorato con bronzo e argento, interpretato come pilentum, un veicolo cerimoniale unico nel suo genere in Italia. Diverse stanze degli schiavi, che offrono un raro spaccato della vita quotidiana degli schiavi, grazie a calchi di letti e altri oggetti deperibili. Una stanza con attrezzi da carpentiere, contenente un letto e vari strumenti di lavoro, che fornisce ulteriori dettagli sulla vita lavorativa nella villa. Sul versante residenziale, gli scavi hanno rivelato ambienti eleganti con affacci panoramici sul golfo e scheletri di fuggiaschi nei pressi di un criptoportico, di cui è stato possibile eseguire i calchi. Queste scoperte, documentate con tecnologie avanzate e metodologie all’avanguardia, arricchiscono la nostra comprensione della vita quotidiana nell’antica Pompei, offrendo un quadro sempre più completo della complessa organizzazione sociale ed economica di questa straordinaria villa. La loro esposizione presso l’Antiquarium di Boscoreale rende questi reperti accessibili al grande pubblico, contribuendo alla diffusione della conoscenza e alla valorizzazione del patrimonio archeologico. Le attività di indagine a Civita Giuliana continuano a rappresentare un esempio di legalità e tutela, con l’obiettivo di proseguire gli scavi e progettare un sistema di accessibilità e fruizione che integri questo sito nella rete della Grande Pompei, in collaborazione con l’Università Federico II e il Master ReParch. Un esempio virtuoso di collaborazione tra istituzioni, che promette di svelare ancora molti segreti del passato. Photocredit@ParcoArcheologicodiPompei

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Le cantate di Johann Sebastian Bach: Ottava domenica dopo la Trinità

Dom, 21/07/2024 - 00:22

Wo Gott derr Herr nicht bei uns hält BWV 178 è la seconda delle 3 cantate bachiane dedicate all’ottava domenica dopo la Trinità. eseguita per la prima volta a Lipsia il 30 luglio 1724. Si tratta anche per questa domenica di una cantata su corale e il lied preso in considerazione è di Justus Jonas (1493-1555) del 1524 ispirato al Salmo 24. Delle 8 strofe di 7 versi ciascuno di cui consta, le ultime vengono realizzate da Bach ricorrendo ad un’unica soluzione, sicchè il corale conclusivo risulta duplicato e formato di 14 versi. Il testo originale è mantenuto integro anche nel brano iniziale, così come nel Nr.4, un corale per tenore accompagnato da 2 oboi d’amore, mentre i nr.3 e 6, invece, evitano le citazione di versetti e sono formate su versi liberi d’invenzione. La realizzazione musicale è tra le più stupefacenti sin del brano iniziale, che si compone di 3 elementi essenziali, un ritornello puramente strumentale, un’armonizzazione semplice del corale su “cantus firmus” affidato ai soprani e raddoppiato da un corno e una elaborazione polifonica del Corale, mantenendo il “cantus firmus” a valori larghi e affidando le altre voci a una condotta imitativa. Gli episodi vocali e strumentali risultano perfettamente alternati e secondo una scansione degli spazi, calcolati in ogni particolare.
Ognuno dei 7i versetti del Corale può contare su una realizzazione musicale che è sempre di6 battute e alternando, come sei detto, stile semplice a stile polifonico,  ma l’8 è atipico, adotta uno stile misto. Di fronte a questa perfetta articolazione delle forme poetico-musicale, stanno le 2 le coppie di recitativo- arie, numeri 2,3 e 5, 6, separate dal già citato nr.4,  una elaborazione del Corale affidata al tenore e a 2 oboi d’amore in imitazione. I  recitativi sono intesi come “tropi” al Corale e alternano il testo di Jonas,  realizzato con le melodie originali a versi di libera invenzione, nello stile del recitativo secco. Nel secondo di questi recitativi il corale compare nella tipica armonizzazione a quattro parti. Splendide le due arie tripartite che si avvolgono in una accompagnamento di soli archi, nella Nr.3, cantata dal basso, violini all’unisono. Nella linea di canto delle 2 arie emerge la necessità di fare dei suoni un equivalente pittorico delle parole
Nr.1 – Coro
Se Dio il Signore non è con noi
quando infuria la rabbia dei nemici,
se non sostiene la nostra causa
lassù nel cielo,
se non è il custode d’Israele
che impedisce l’inganno del nemico,
allora tutto è perduto per noi
Nr.2 – Corale e recitativo (Contralto)
Se Dio il Signore non è con noi
quando infuria la rabbia dei nemici,
se non sostiene la nostra causa
lassù nel cielo,
se non è il custode d’Israele
che impedisce l’inganno del nemico,
allora tutto è perduto per noi
Nr.3 – Aria (Basso)
Come le onde tempestose del mare
spezzano un vascello con violenza,
così la collera dei nemici infuria
e priva l’anima della sua parte migliore.
Così cercano di espandere il regno di Satana
e di affondare la piccola barca di Cristo.
Nr.4 – Corale (Tenore)
Ci perseguitano come eretici,
hanno sete del nostro sangue;
dicono persino di essere cristiani
e di temere Dio.
Ah Dio, il tuo nome prezioso
è la copertura dei loro crimini,
ma un giorno ti dovrai svegliare.
Nr.5 – Corale e recitativo (Basso, Tenore, Soprano)
Spalancano le loro fauci
come leoni con terribili ruggiti;
digrignano i loro denti assassini
e vogliono divorarci
Eppure
Lode e gloria a Dio in eterno
l’eroe di Giuda ci protegge ancora,
Non prevarranno
Si disperderanno come schiuma,
mentre i suoi fedeli durano come alberi verdi.
Spezzerà i loro tranelli
e distruggerà le loro false dottrine.
Dio abbatterà i falsi profeti
col fuoco della sua ira
e annienterà le loro eresie.
Non avranno scampo da Dio.
Nr.6 – Aria (Tenore)
Taci, taci, ragione vacillante!
Non dire: i giusti sono perduti,
la croce li ha fatti solo rinascere.
Poiché per coloro che sperano in Gesù
la porta della grazia è sempre aperta;
e quando la croce e il dolore li schiacciano,
trovano nuova vita e conforto.
Nr.7 – Corale
I nemici sono tutti nella tua mano
insieme ai loro pensieri;
le loro minacce ti sono conosciute, Signore,
aiutaci solo a non esitare.
La ragione è opposta alla fede
e non ha fiducia nel futuro,
finché tu stesso non la consolerai.
Il cielo e la terra
tu hai creato, Signore Dio;
fà che la tua luce risplenda per noi,
e che il nostro cuore sia infiammato
dall’amore autentico della tua fede,
costante sino alla fine.
Lascia pure che il mondo si lamenti.

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Wo Gott derr Herr nicht bei uns hält” BWV 178
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Pompei, Parco Archeologico: “Insula dei Casti Amanti: le nuove scoperte”

Sab, 20/07/2024 - 23:59

Pompei, Parco Archeologico
POMPEI, INSULA DEI CASTI AMANTI: UNA SCOPERTA ECCEZIONALE
Civita Giuliana, 18 Luglio 2024
Recenti scavi nell’Insula dei Casti Amanti di Pompei hanno rivelato straordinari disegni realizzati da bambini prima dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. Questi ritrovamenti offrono uno sguardo inedito sull’infanzia nell’antica Roma, mettendo in luce l’esposizione precoce alla violenza, rappresentata da scene di gladiatori e cacciatori disegnate con carboncino sulle mura di un cortile di servizio nella casa del Cenacolo colonnato su via dell’Abbondanza. Pubblicati sull’E-Journal degli Scavi di Pompei, questi disegni confermano che l’esposizione a forme estreme di violenza non è un fenomeno esclusivo dei nostri tempi. Gli autori del testo evidenziano come i bambini pompeiani, di età compresa tra i 5 e i 7 anni, fossero abituati a scene di sangue reale nelle arene, un aspetto che poteva avere ricadute significative sul loro sviluppo psico-mentale. Nell’insula, un progetto di restauro e scavo ha portato alla luce non solo questi disegni, ma anche nuovi dipinti mitologici e i resti di due vittime dell’eruzione. Queste scoperte, rese accessibili grazie a un innovativo sistema di passerelle sospese, permettono ai visitatori di osservare dall’alto l’intera insula, comprese le architetture delle case romane e le attività di cantiere in corso. Oltre ai disegni dei bambini, per il cui studio il Parco Archeologico di Pompei ha avviato una collaborazione con il Dipartimento di Neuropsichiatria Infantile dell’Università Federico II di Napoli, sono stati documentati i resti di una donna e un uomo, trovati morti nei lapilli del Vesuvio davanti al portone chiuso della Casa dei Pittori al Lavoro. All’interno della casa è stato scoperto un piccolo cubicolo allestito come studiolo, in prossimità del tablinum. Tra le scene mitologiche, spicca un quadro singolare con la rappresentazione di un bambino incappucciato, probabilmente un figlio deceduto dei proprietari. Dal 28 maggio 2024, il cantiere è aperto al pubblico tutti i giorni dalle 10:30 alle 18:00, offrendo un percorso interamente accessibile, che fa parte dell’itinerario “Pompei per Tutti”. Questo permette una visione globale dell’insula e delle sue strutture, migliorando l’accessibilità e la fruizione in sicurezza. Il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, ha sottolineato l’importanza di queste scoperte, dichiarando: “Pompei continua a rivelare meraviglie straordinarie, confermandosi un vero e proprio scrigno di tesori. Per questo motivo abbiamo rifinanziato gli scavi, garantendo un assetto stabile e organico a questo sito che ogni giorno attira decine di migliaia di visitatori.” Il Direttore Generale dei Musei, Massimo Osanna, ha aggiunto: “Con l’itinerario di visita ‘Pompei per tutti’ e le nuove campagne di scavo, abbiamo inaugurato un approccio inclusivo e coinvolgente alla valorizzazione del sito. L’apertura di oggi rappresenta un traguardo significativo, offrendo accessibilità e inclusione totale a tutti i visitatori.Tra gli ambienti portati alla luce, nella Casa dei Pittori al Lavoro è emerso uno dalle raffinate pareti affrescate in IV stile, con figure mitologiche che incorniciano divinità come Afrodite, Apollo, Dioniso e un’altra figura femminile. Le scene includono Perseo e Andromeda e la purificazione di un eroe, mentre un quadretto più piccolo raffigura un bambino incappucciato con un cane, creando un gioco prospettico con il giardino. Gli scavi hanno inoltre rivelato gli scheletri di due vittime, un uomo e una donna, trovati nella fauces della casa. Nella casa del II Cenacolo colonnato, sono stati scoperti disegni a carboncino raffiguranti scene gladiatorie, bestiarii e una testa di rapace, realizzati da bambini su un ponteggio. L’Insula dei Casti Amanti, situata nel cuore di Pompei lungo Via dell’Abbondanza, ha visto un progetto complesso di scavo e restauro, con l’obiettivo di garantire la sicurezza e la conservazione delle strutture. Un’equipe di professionisti ha condotto indagini conoscitive, sviluppando un nuovo sistema di copertura per liberare l’insula da elementi interferenti e garantire una fruizione ottimale. Il primo lotto dei lavori, finanziato dal Grande Progetto Pompei, ha incluso la messa in sicurezza dei fronti di scavo e la realizzazione di una copertura reticolare spaziale in acciaio, con passerelle sospese per i visitatori. Il secondo lotto, attualmente in corso, si concentra sul restauro delle strutture e degli apparati decorativi, con un’attenzione particolare all’accessibilità. Questo progetto, con un sistema di copertura adattato al tessuto edilizio dell’insula e lucernari in vetro con cellule fotovoltaiche, garantisce l’autonomia energetica del complesso. L’accessibilità è migliorata da un camminamento sospeso collegato all’itinerario “Pompei per tutti”. Le nuove scoperte a Pompei, frutto di un approccio interdisciplinare e di una rigorosa tutela archeologica, offrono una visione sempre più dettagliata della vita quotidiana nell’antica Roma. Questo progetto rappresenta un esempio virtuoso di collaborazione tra istituzioni, promettendo di svelare ancora molti segreti del passato e di rendere Pompei sempre più accessibile e fruibile per il pubblico di tutto il mondo. Photocredit@ParcoArcheologicodiPompei

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Civita Giuliana, Parco Archeologico di Pompei: ” Ritrovati gli attrezzi di un carpentiere nella villa “

Sab, 20/07/2024 - 22:11

Civita Giuliana, Parco Archeologico di Pompei
GLI ATTREZZI DI UN CARPENTIERE NELLA VILLA DI CIVITA GIULIANA
Proseguono gli scavi con il supporto della Procura, grazie ai finanziamenti della Legge di Bilancio
Civita Giuliana, 18 Luglio 2024
La più recente scoperta nella villa di Civita Giuliana, situata nel quartiere servile, rivela un ambiente straordinariamente conservato, similmente agli altri due già scoperti nel medesimo settore. Qui, nel 2017, grazie a una collaborazione tra il Parco Archeologico di Pompei e la Procura della Repubblica di Torre Annunziata, furono bloccate le attività dei tombaroli. Gli scavi hanno permesso la realizzazione di calchi di mobili e altri oggetti deperibili come legno, tessuti e corde. Questa tecnica, sviluppata sistematicamente dal 1863, permette di ricreare forme originali riempiendo i vuoti lasciati dalla decomposizione di materiali organici travolti dalla corrente piroclastica dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Recentemente, un’altra stanza ha arricchito la nostra comprensione della vita degli schiavi romani, scarsamente documentata nelle fonti letterarie. Questo ambiente contiene un letto, attrezzi da lavoro e quello che sembra essere il telaio smontato di un altro letto. Sono stati rinvenuti ceste, una lunga corda, pezzi di legno e una sega che ricorda molto da vicino le seghe tradizionali ancora in uso fino a poco tempo fa. Persino un pezzo della corda, che teneva la sega sotto tensione, è stato individuato come impronta nel sottosuolo. Nonostante il finanziamento attuale volga al termine, il Parco Archeologico di Pompei e la Procura della Repubblica di Torre Annunziata intendono proseguire gli scavi. Questo sarà possibile grazie ai fondi stanziati nella Legge di Bilancio, come ha confermato il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, durante un recente sopralluogo a Pompei. Le indagini a Civita Giuliana continuano a essere di interesse sia scientifico sia giuridico. “La continua scoperta di dettagli sulla vita quotidiana degli antichi romani grazie agli scavi nella villa di Civita Giuliana rafforza la nostra determinazione nel finanziare queste attività. I nuovi ambienti recentemente rinvenuti offrono preziose testimonianze del passato di una grande civiltà e celebrano la professionalità della ricerca archeologica che è tornata più attiva che mai a Pompei. Ringrazio la Procura di Torre Annunziata per la collaborazione che ha permesso di preservare la Villa di Civita Giuliana dalle attività criminali dei trafficanti d’arte“, ha dichiarato il Ministro della Cultura. Massimo Osanna, Direttore generale dei Musei del MiC, ha sottolineato come la decisione di investire nuovamente nelle campagne di scavo si stia rivelando vincente. La collaborazione pluriennale con la Procura continua a produrre risultati significativi, non solo nella lotta alla criminalità, ma anche nell’arricchimento delle nostre conoscenze. Ricordiamo il rinvenimento straordinario del carro della sposa nel 2019, sempre in questa area. “Questa è una virtuosa sinergia tra il Ministero della Cultura, il Parco e la Procura di Torre Annunziata – ha dichiarato Gabriel Zuchtriegel, direttore del Parco Archeologico di Pompei – un’operazione di grande valore scientifico e culturale. Intendiamo sviluppare questo luogo eccezionale, rendendolo accessibile a tutti, come parte della rete della Grande Pompei, che include la città antica, le ville e i poli museali di Boscoreale, Oplonti e Stabia. Lo stanziamento previsto nel Bilancio dello Stato ci aiuterà a continuare questa affascinante impresa archeologica“. Nunzio Fragliasso, Procuratore della Repubblica di Torre Annunziata, ha aggiunto: “Questo ritrovamento eccezionale a Civita Giuliana è frutto della collaborazione tra la Procura e il Parco Archeologico di Pompei, in attuazione del protocollo che unisce le ricerche archeologiche con le attività investigative. Questo approccio si è dimostrato uno strumento formidabile per contrastare le attività clandestine di scavo e restituire alla collettività reperti di eccezionale valore storico e culturale. È fondamentale che gli scavi continuino, poiché recenti acquisizioni investigative suggeriscono la presenza di ulteriori importanti reperti non ancora depredati dai tombaroli“. Photocredit@parcoarcheologicodipompei

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Roma, Accademia Nazionale di Danza: ” Alter- Azioni. Indagini fra i modi della creazione contemporanea”

Sab, 20/07/2024 - 17:02

Roma, Accademia Nazionale di Danza, Proposta Artistica della Scuola di Coreografia 2024
“ALTER-AZIONI. INDAGINE FRA I MODI DELLA CREAZIONE CONTEMPORANEA”
So Looks
Coreografia Merce Cunningham
Arrangiamento e Ricostruzione Patricia Lent coadiuvata da Dino Verga con il supporto di Luca Russo e Stefania Brugnolini
Musica Paolo Demitry e Federico Di Maio
Interpreti I Biennio Compositivo
Prima esecuzione 30 dicembre 1979 – Merce Cunningham Studio, New York City
In Essere
Coreografia II Biennio Compositivo (dagli elaborati coreografici del modulo Coreografia: Progetto Individuale condotto da Alessandra Sini)
Musica II Biennio Compositivo
Interpreti II Biennio Compositivo
Synthesis
Coreografia Giselda Ranieri
Musica Francesco De Rubeis
Interpreti I Triennio Tecnico-Compositivo
Referente AND Francesca La Cava
Assistente AND Alessandro Certini
Tera – 1012
Concept e coreografia Simona Bertozzi
Assistente alla creazione Lucia Guarino
Musica Marco Ariano; Brian Eno & amp; Rich Holland
Interpreti II Triennio Tecnico-Compositivo
Referente e Assistente AND Ketty Russo
The Nothing Garden
Coreografia Fabrizio Favale
Assistente Daniele Bianco
Musica Colin Stetson e Brighde Chaimbeul; M83
Interpreti III Triennio Tecnico-Compositivo
Referente AND Alessandra Sini
Assistente AND Alessandra Di Segni
Roma, 12 luglio 2024
Un’indagine scientifica sulla corporeità e i suoi processi di movimento nella relazione con la dimensione spaziale è stata condotta nella serata dell’Accademia Nazionale di Danza dedicata alla Proposta Artistica della Scuola di Coreografia. Il rapporto con l’eredità novecentesca si mantiene sempre vivo, come dimostra la prima coreografia, 50 Looks, costruita da Merce Cunningham nel 1979 a partire da una tavolozza di movimenti composta da 50 posizioni fisse. Come chiarisce il programma di sala, nel creare il loro alternarsi è stata utilizzata la metodologia della chance operation, seguendo la quale alcune posizioni sono state eseguite più volte, altre una sola, e altre ancora non sono state del tutto utilizzate. Nella seconda coreografia, In Essere, realizzata dagli studenti del II Biennio Compositivo guidati da Alessandra Sini, si passa ad esplorare la “natura mutevole” e dunque “in essere” dello spazio attraverso la gestualità volumetrica dei corpi, il contatto con il pavimento, le pose, la composizione dei danzatori in gruppi e l’uso coreografico suggestivo delle luci. Il terzo pezzo, Synthesis, vuole essere un invito a staccarsi dall’analisi della logica compositiva, per osservare come attraverso “il gusto per l’ironico e l’assurdo” si riesca comunque a configurare una coreografia “ritmica”, “dinamica” e in cui non manca la corretta “concatenazione cinetica”. Gruppi di danzatori avanzano e indietreggiano compatti in diagonale, mentre singoli elementi si staccano per dar vita alla loro breve performance individuale. Si tratta infatti di un processo di “SynThesis”, ovvero della “ri-fusione, assimilazione e mescolamento di elementi vari – e variamente umani – che danno origine a un nuovo magma, gruppo, corpo sociale”. Nel quarto pezzo, Tera-1012, emerge infine uno dei nomi più conosciuti della scena coreografica attuale, quale Simona Bertozzi che nella sua coreografia si ispira al “numero di batteri che vivono sulla superficie della pelle umana”. La pelle è il confine corporeo con l’ambiente, con la luce, con l’acqua, e secondo la coreografa ispiratasi al tema della trasformazione proposto dall’Accademia Nazionale di Danza è anche un luogo di abitazione, di presenze vitali, di infiniti sconfinamenti. Il centro della coreografia è il concetto della relazione con l’altro da sé, che deve essere guidato dalla chiave dell’empatia. Nome molto noto anche quello di Fabrizio Favale, che firma l’ultimo pezzo della serata intitolato The Nothing Garden. Già dal titolo si percepisce qui l’importanza della dimensione scenica, realizzata attraverso l’uso teatrale di imponenti gonne lunghe nere e ramoscelli che paiono rimandare all’atmosfera ultraterrena di una Giselle in versione dark. L’effetto di straniamento è garantito dall’irruzione in scena di ferri da stiro e stendini. L’intento è quello di disegnare “un singolare paesaggio sospeso, evanescente, punteggiato qua e là da figure scure”, in sostanza “un giardino del nulla”. Alle architetture astratte del corpo si unisce il dialogo con gli oggetti scenici, che nel loro pur distante metaforismo ricordano la necessità di aprirsi alla comunicazione con il pubblico. Foto Federico Loreti

Categorie: Musica corale

Rachmaninoff &; Tchaikovsky Romances. Piotr Beczala – Helmut Deutsch

Sab, 20/07/2024 - 16:30

Sergej Vasil’evič Rachmaninov. “Oni otvechali”, “Siren’”, “Zdes’ horosho” (12 romanze opera 21 ISR 53), “O, net, molyu, ne uhodi!”, “Utro”, “V molchan’ji nochi tajnoj…”, “Ne poj, krasavitsa…”, “Uzh ty, niva moja…”, “Davno l’, moj drug…” (6 romanze op. 4 ISR 50), “Ja zhdu tebya…”, “Ne ver’ mne, drug!..”, “Vesennije vody” (12 romanze op. 14 ISR52); Pëtr Il’ič Čajkovskij. “Den’ li tsarit” (7 romanze op. 47 TH 103), “Nam zvyozdy krotkije sijali” (12 romanze op. 60 TH106), “Uzh gasli v komnatakh ogni…”, “Serenada: O ditya, pod okoshkom tvoim” (6 romanze op. 63 TH107), “Otchego?..”, “Net, tol’ko tot, kto znal” (6 romanze op. 6 TH93), “Tak shto zhe?” (6 romanze op. 16 TH95), “Na son gryadushchij” (6 romanze op. 27 TH98), “Zachem?” (6 romanze op. 28 TH99), “To bylo ranneju vesnoj”, “Sred’ shumnogo bala” (6 romanze op. 38 TH101), “My sideli s toboj…”, “Noch’”, “V etu lunnuju noch’”, “Zakatilos’ solntse…”, “Sred’ mrachnykh dnej”, “Snova, kak prezhde, odin” (6 romanze op. 73 TH109), “Zabyt’ tak skoro” (TH94); Sergej Vasil’evič Rachmaninov. “Son” (6 romanze op. 8 ISR 51). Piotr Beczala (tenore), Helmut Deutsch (pianoforte). Registrazione: Markus-Sittikus-Hall, Salzburg, 9-12 marzo 2021. 1 CD Pentatone PTC5186 866
l repertorio cameristico russo è inferiore per quantità e qualità media solo a quello tedesco risultando forse meno cospicuo ma con vette qualitative superiori a quello francese. Discograficamente non sono però molti i tenori che si sono cimentati in questo repertorio per tradizione appannaggio al maschile di voci più gravi. Si ascolta quindi con molto interesse questo nuovo prodotto che vede al centro una delle voci tenorili più apprezzate del repertorio internazionale Piotr Beczala. Il tenore polacco si è sempre cimentato nel repertorio operistico russo – si pensi al suo Lenskij di caratura autenticamente storica – e questa matrice teatrale risulta evidente all’ascolto. Rispetto ad altri interpreti quella di Beczala è un’interpretazione più estroversa, che punta molta sulla qualità del materiale vocale sacrificando un po’ lo scavo più analitico del rapporto tra musica e poesia. Bisogna per altro riconoscere che i titoli russi concedano al riguardo molto più di quanta faccia la liederistica tedesca dove questa concentrazione espressiva risulta molto più pregnante.

Questo è vero soprattutto per la prima parte del programma dedicata a Sergej Vasil’evič Rachmaninov di cui sono eseguite integralmente le sei canzoni op. 4 ISR 50 su testi di vari poeti tra cui l’immancabile Puskhin e di quel raffinato parnassiano che fu Afanasij Fet la cui presenza non stupisce nelle scelte di Rachmaninov che accompagna “V molchan’ji nochi tajnoj…” con sonorità di gusto decadente. E se in “Ne poj, krasavitsa” il ricordo dell’”Evgenji Onegin” è imprescindibile – Čajkovskij resterà sempre un riferimento imprescindibile per Rachmaninov – particolarmente interessante ci è parsa “Uzh ty, niva moja” su testo di Alekseij Tolstoj in cui gli echi sono quelli di Musorgskij e del gruppo dei cinque sia nei richiami popolari del canto sia nell’accompagnamento pianistico sia con effetti non convenzionali evoca i suoni di una Russia antica e mistica.
Il programma è completato da brani tratti da altre composizioni in cui ritroviamo caratteri analoghi a quelli già indicati. Penso a “Siren’” su testo della Beketova in cui il decadentismo di Rachmaninov si colora di tocchi quasi impressionisti e sul versante opposto “Vesennije vody” molto prossima al taglio vocale ed espressivo di “Iolanta”.  Beczala che di Vaudémont è interprete di assoluto riferimento non può che esaltare un brano come questo ma in generale la teatralità della scrittura di Rachmaninov si presta a un canto schietto e sincero affidato a una vocalità piena e ricca di armonici.

La scrittura cameristica di Pëtr Il’ič Čajkovskij è più essenziale e concentrata. Il modello della liederistica tedesca e in lui più presente e maggiore la volontà di distanziare queste composizioni dai coevi lavori teatrali. Anche di Čajkovskij è proposto un ciclo completo si tratta delle “Sei romanze” op. 73 TH 109 composte nel 1893 per Nikolaij Figner, già destinatario dell’Hermann della “Pikovaja dama”. I testi sono tutti di Daniil Maximovich Rathaus, nato nel 1963 a Kharkiv in Ucraina e oggi quasi sconosciuto ma molto apprezzato dai compositori russi – lavoro anche con Rachmaninov negli anni successivi. Pur nella brevità del ciclo emergono tutte le possibilità espressive della lirica cajkoskiana che pur mantenendo sempre un sentore di patetico sentimentalismo si muove tra brani estremamente drammatici a più leggere aperture. Beczala non avrà forse l’analiticità di altri interpreti né la capacità di scavo nell’intimità più profonda di certi brani che rende ancora insuperato – e forse insuperabile – Hvorostovsky ma canta sempre magnificamente – ascoltare il controllo sul fiato in “Snova, kak prezhde, odin” e non manca di autentica sensibilità espressiva come si apprezza in “Net, tol’ko tot, kto znal” su testo di Lev Mey (tratta dalle “Sei romanze op 6 TH93”) uno dei brani più noti e amati del repertorio cameristico di Čajkovskij.

I nomi dei poeti indicati possono dire molto poco al pubblico attuale – specie occidentale – ma la scelta di personalità di secondo piano, legate al suo mondo di frequentazioni, è una costante delle scelte di Čajkovskij in questo repertorio dove latitano palesemente i grandi nomi della poesia russa che ci si aspetterebbe di incontrare ma la musica nobilita ed eleva a vette sublimi anche composizioni di autori più ordinari.
Ad accompagnare il tutto il tocco preciso ed elegante di Helmut Deutsch espressivamente perfettamente in linea con il taglio dato da Beczala a questi brani.

Categorie: Musica corale

Napoli, Monastero di Santa Chiara: ” Artemisia Gentileschi. Un grande ritorno a Napoli dopo 400 anni”

Sab, 20/07/2024 - 11:29

Napoli, Monastero di Santa Chiara
ARTEMISIA GENTILESCHI.
UN GRANDE RITORNO A NAPOLI DOPO 400 ANNI
curatela scientifica Costantino d’Orazio
Catalogo è edito da Moebius
Napoli, 18 Luglio 2024
Per la prima volta, dopo circa 400 anni, la Maddalena – capolavoro a firma di Artemisia Gentileschi – torna visibile a Napoli, città in cui fu dipinta tra il 1630 e il 1635, per un’esposizione unica all’interno dei meravigliosi spazi del Complesso Monumentale di Santa Chiara. Conservata gelosamente per secoli in collezioni private, negli ultimi cento anni la Maddalena si trovava nella prestigiosa collezione Sursock, a Beirut, dove fu gravemente danneggiata nella nota esplosione del 4 agosto 2020. Sapientemente restaurata grazie all’intervento di Arthemisia, l’opera è tornata oggi agli antichi splendori, mostrando tutti i caratteri di stile e di narrazione visiva propri del lungo periodo trascorso da Artemisia a Napoli dove visse dal 1630 fino alla morte nel 1654. La datazione al 1630-1635 coincide con l’arrivo a Napoli di Artemisia, periodo durante il quale nei suoi dipinti abbondano i toni del giallo e del blu. La santa è raffigurata in un momento di dialogo con il divino, i suoi occhi non sono “pieni di lacrime” (Hall): assistiamo a una diversa risposta emotiva, non dovuta a una plateale “visione angelica in cielo” ma a un travaglio interiore che la porta coscientemente al gesto di rinuncia alla vanità, rappresentata dalla collana di perle. Il gesto, altro tema peculiare dell’arte barocca, è potente, ma allo stesso tempo cortese: la collana viene delicatamente staccata dalla mano destra portata verso il petto, non è strappata in preda a una artificiosa folgorazione, e dunque assistiamo all’attimo in cui questo simbolo sta già delicatamente abbandonando il collo della donna. Accanto alla Maddalena sono il vaso degli unguenti sul tavolo alle sue spalle, i gioielli e quello che sembra uno specchio in una cesta, dettaglio iconografico già presente nella Maddalena di Artemisia a Palazzo Pitti (1617-1620). La figura è vista da un punto leggermente ribassato, seduta, ed emerge con veemenza dallo sfondo scuro. Artemisia fa appello a un registro caro all’arte barocca, enunciato da Rudolf Wittkower nel 1958: il sottile dramma dato da questa torsione verso la sua sinistra, l’espressione che rivela uno stato di trance dovuto al dialogo interiore con il Divino, che non sconvolge ma conforta la santa. La luce, dalla forte valenza spirituale, investe l’imponente figura accentuando l’effetto di movimento del panneggio. Gli inconfondibili toni di giallo oro cupo e blu oltremarino su cui spicca il candore della camicia sono enfatizzati dalla potenza del chiaroscuro, che non preclude alle parti in luce uno splendore netto. La santa, il cui sguardo estatico trasmette la gratificazione per il passaggio a una nuova vita sorretta dalla fede, sembra dialogare mentalmente con il divino, mentre alle sue spalle i gioielli e il vaso degli unguenti sono posti a sottolineare l’abbandono della precedente esistenza. Col patrocinio della Regione Campania e del Comune di Napoli, l’esposizione è realizzata grazie alla collaborazione tra la Provincia Napoletana del Ss. Cuore di Gesù dell’Ordine dei Frati Minori, il FEC (Fondo Edifici di Culto), Agape e Arthemisia. La curatela scientifica è di Costantino d’Orazio e il catalogo è edito da Moebius. Con la Maddalena di Artemisia Gentileschi prende il via un progetto di grande respiro che vedrà arricchire i meravigliosi spazi di uno dei più celebri edifici napoletani con capolavori della storia dell’arte e mostre inedite. Ad aprile 2025, nell’anno del Giubileo e dell’ottocentesimo anniversario della creazione del Cantico delle Creature, verrà inaugurata, per la prima volta, una grande mostra dedicata a Santa Chiara e a San Francesco. Dopo aver vissuto circa dieci anni a Roma, nel 1630 Artemisia si trasferisce a Napoli – città dalla straordinaria vivacità artistica – grazie ai rapporti che matura con Fernando Afán de Rivera, Duca di Alcalá e Viceré di Napoli, che nel 1629 ha acquistato tre dipinti della pittrice. Il suo stile, così vicino a quello di Caravaggio, affascina i collezionisti napoletani. Da Napoli, dove arriva con il fratello Francesco e la figlia Prudenzia, Artemisia intrattiene una fitta corrispondenza con Cassiano dal Pozzo, celebre erudito e suo appassionato committente, con il Duca di Modena Francesco I d’Este e con Ferdinando II de’ Medici, che ottengono suoi quadri, mentre Galileo Galilei e il nobile messinese don Antonio Ruffo diventano suoi consiglieri e mediatori. Se si esclude la parentesi inglese, quando nel 1638-39 si reca a Londra per lavorare con suo padre Orazio alla corte di re Carlo I – forse partecipa alla decorazione del Casino delle Delizie della regina Henrietta – Artemisia non si sposterà mai da Napoli, dove produrrà una grande quantità di tele con l’aiuto del fratello Francesco, che ha sostituito il marito Pierantonio nella gestione della bottega. Perse le tracce di Pierantonio, Artemisia riuscirà a maritare sua figlia Prudenzia nel 1636, sostenuta dai numerosi clienti che acquistano i suoi dipinti. Diventata la pittrice più celebre d’Europa, si circonda di allievi e collaboratori, dipingendo anche le uniche opere pubbliche della sua carriera per la Cattedrale di Pozzuoli. Muore intorno al 1653, in una data ancora non confermata: la sua tomba nella Chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini è andata perduta negli anni ’50 del Novecento, quando l’edificio è stato abbattuto per fare spazio ad un moderno condominio. Costruito tra il 1310 e il 1340 per volontà di re Roberto d’Angiò e sua moglie Sancia di Maiorca, il Complesso Monumentale di Santa Chiara comprende un monastero, una basilica e un convento. Questo imponente complesso fu destinato ad accogliere le Clarisse e un convento adiacente per i Francescani, riflettendo la devozione dei sovrani angioini a San Francesco e Santa Chiara. La chiesa, inizialmente intitolata Ostia Santa, divenne presto nota come Santa Chiara a causa dell’alta presenza di Clarisse. Progettata in stile gotico dall’architetto Gagliardo Primario, la chiesa subì trasformazioni barocche nel XVIII secolo, poi restaurata in stile gotico dopo l’incendio del 1943. Non perdete l’opportunità di essere testimoni di questo straordinario ritorno. La Maddalena vi aspetta, pronta a raccontarvi la sua storia di bellezza, fede e redenzione. Napoli, ancora una volta, si conferma palcoscenico di ineguagliabile splendore artistico. Photocredit@Arthemisia

Categorie: Musica corale

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