Roma, Castel Sant’Angelo
Lungotevere Castello, 50
00186 Roma
NICOLA GENCO. ANGELI.
UN PROGETTO PER CASTEL SANT’ANGELO
Angeli. Un progetto per Castel Sant’Angelo è un allestimento site specific, che nasce nell’ambito di un accordo tra la Regione Puglia e la Direzione Musei statali della città di Roma entro cui si colloca la collaborazione tra i Poli Biblio – museali della Puglia e il Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo. Un modo di valorizzare i contenitori culturali attraverso il tema che connota fortemente questi due luoghi, quello dell’Angelo. Da una parte l’Arcangelo Michele che sovrasta Castel Sant’Angelo dopo la sua salvifica apparizione alla fine del VI secolo d.C., in dialogo con gli angeli berniniani collocati sul ponte romano, dall’altra la basilica di Monte Sant’Angelo, meta di pellegrinaggio a partire dall’alto medioevo dove apparve, anche qui, San Michele Arcangelo. Attraverso sette installazioni di Angeli, in rete metallica o in ceramica, e di Gazze in ceramica su tralicci, Genco ricerca nelle sue opere la sintonia con il luogo, con la sua sacralità insieme laica e religiosa che è propria di uno dei monumenti più antichi di Roma. La mostra sarà inaugurata il 5 giugno alle ore 17.30 a Castel Sant’Angelo alla presenza della direttrice dei musei statali della città di Roma Mariastella Margozzi, della consigliera delegata alla Cultura della Regione Puglia Grazia di Bari, del sindaco di Monte Sant’Angelo Pierpaolo D’Arienzo e dell’artista Nicola Genco; sarà visitabile fino al 1° ottobre. Nel corso della serata l’attrice Giusy Frallonardo leggerà alcune poesie di autori pugliesi. Qui per tutte le informazioni.
Roma, Terme di Caracalla
Via delle Terme di Carcalla, 52
Dal 27 Maggio 2023 al 05 Novembre 2023
LETIZA BATTAGLIA. SENZA FINE.
ORARI: da martedì a domenica dalle 9.00 alle 19.15 (la biglietteria chiude un’ora prima). Lunedì chiuso
Curatori: Paolo Falcone
Ente Promotore: Soprintendenza Speciale di Roma
Costo del Biglietto: La mostra è inclusa nel biglietto di ingresso al sito
Telefono per informazioni: +39 06 39967700
E-mail ed Info: ss-abap-rm@beniculturali.it
Sito Ufficiale: http://soprintendenzaspecialeroma.it
Nel trentesimo anniversario degli attentati mafiosi a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro, le Terme di Caracalla accolgono una mostra omaggio alla fotografa siciliana, paladina dei diritti civili. Una selezione di 92 fotografie di grande formato riassume cinquant’anni del lavoro fotografico (1971-2020) di Battaglia con immagini iconiche, meno conosciute o inedite. Senza percorsi prefissati, la mostra si lascia scoprire attraverso la visita al monumento: a un focus narrativo all’interno della monumentale natatio, le Terme di Caracalla aggiungono con questa esposizione due nuovi ambienti dove sono esposti altri nuclei fotografici. Promossa dalla Soprintendenza Speciale di Roma diretta da Daniela Porro, organizzata da Electa in collaborazione con l’Archivio Letizia Battaglia e la Fondazione Falcone per le Arti, la mostra è curata da Paolo Falcone. Qui per tutte le informazioni.
Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2022-2023
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Robert Trevino
Ludwig van Beethoven:Sinfonia n. 6 in fa maggiore op. 68 “Pastorale” ; Richard Strauss: “Also sprach Zarathustra” op. 30
Venezia, 28 maggio 2023
È tornato sul podio dell’Orchestra del Teatro la Fenice Robert Trevino, uno dei più coinvolgenti direttori americani contemporanei, per dirigere un programma costituito da due titoli universalmente famosi: la Sesta Sinfonia di Beethoven e il poema sinfonico Also sprach Zarathustra di Richard Strauss. Due partiture dai caratteri diversi, ma accomunate dal loro riferirsi a un programma extramusicale – seppur interpretato con libertà –, in cui il rapporto Uomo-Natura gioca un ruolo fondamentale.
Per quanto riguarda il Beethoven sinfonico, il contrasto tra la Quinta e la Sesta sinfonia è nettissimo, nonostante questi due lavori siano stati composti contemporaneamente ed eseguiti entrambi per la prima volta nel corso di una memorabile serata, nel dicembre 1808. La Sesta sinfonia reca il sottotitolo “Pastorale”, ad indicare che i cinque movimenti che la compongono evocano ricordi della campagna. Ma l’autore stesso mette in guardia dall’enfatizzare, in questa partitura, la componente descrittiva, rivendicando le ragioni “assolute” della musica-cassa di risonanza del cuore – sul frontespizio della partitura si legge non a caso: “Sinfonia Pastorale, più espressione di sentimenti che pittura”. La sinfonia occupa un posto speciale nell’ambito del sinfonismo del Maestro di Bonn: è l’unica ad avere delle indicazioni programmatiche per ogni sua parte; si articola in cinque movimenti – per la presenza di un Temporale –; rivela prevalentemente un carattere contemplativo, ben diverso dallo stile prevalente nelle altre sinfonie.
Grande equilibrio e fascino sonoro hanno caratterizzato la lettura di Trevino, che ha guidato l’orchestra con sicuro gesto direttoriale lungo la straordinaria partitura beethoveniana (dirigendo a memoria come ha fatto, peraltro, anche affrontando il poema sinfonico straussiano). Perfettamente assecondato da una compagine “di solisti”, ha saputo sedurre il pubblico mettendo in valore aspetti innovativi di questa sinfonia – come il trattamento quasi privo di sviluppo dei materiali musicali, nonché l’ ampio uso dei pedali e dell’iterazione – ad esprimere la pura contemplazione della Natura nella sua apollinea imperturbabilità o nel suo riposto animarsi (si pensi allo scorrere del ruscello) o nello sconvolgimento causato – fugacemente – dal temporale. Notevole il risultato ottenuto dell’orchestra negli interventi solistici come nel tessere le fasce sonore su cui si fonda la voluta, diffusa staticità di questa partitura (analogia dell’idillio campestre), cui guarderanno i compositori del Novecento.
Quanto a Strauss, Cosi parlò Zarathustra – composto tra il 4 febbraio e il 24 agosto 1896 – in un certo senso, riassume in sé le esperienze dei maggiori poemi sinfonici precedenti, segnalandosi nel contempo per la lunga durata e le forti implicazioni ideologiche. Esso rispecchia musicalmente un’opera filosofico-letteraria particolarmente impegnativa come l’omonimo saggio di Nietzsche, che rievoca le principali tappe della civiltà umana fino all’affermazione del Superuomo. Il sottotitolo – Liberamente da Friedrich Nietzsche – per grande orchestra – si riferisce alle cospicue dimensioni dell’organico (comprendente la novità assoluta dell’organo) e al fatto che non si tratta dell’illustrazione di un’opera letteraria, bensì di una libera trasposizione musicale ad essa ispirata. In altre parole il poema sinfonico non denota alcuna volontà di emulazione, né di divulgazione del pensiero del profeta, essendo la libera traduzione in musica di una serie di assonanze poetiche e spirituali colte nel saggio nietzschiano, che Strauss rivisita con una partecipazione forse talora venata di scetticismo, ad evocare i miti della società borghese di fine Ottocento con il suo ambizioso sogno di potenza.
Analogamente a quanto precedentemente affermato, il maestro texano ha dimostrato di saper dominare in ogni suo aspetto anche questa pur monumentale costruzione sonora, articolata in vari episodi, che si susseguono senza interruzione e di cui ognuno corrisponde – come indica la relativa didascalia – a un determinato paragrafo o capitolo del saggio nietzschiano. Nel saluto aurorale di Zarathustra al sole nascente – il maestoso incipit – sul tremolo dei contrabbassi, il rullare della grancassa e il pedale del controfagotto e dell’organo, le trombe hanno intonato, quasi con primordiale stupore, il plastico motivo della Natura, per prodursi poi trionfalmente – dopo qualche incertezza tra modo maggiore e minore – nell’accordo maggiore, alla fine di una sequenza – che termina forse con l’evocazione del Superuomo – costellata da una serie di riferimenti: dalla Creazione di Haydn all’Oro del Reno wagneriano, al Mahler della Terza Sinfonia. Il successivo episodio, Degli abitanti del mondo che sta dietro (coloro che vedono nel mondo l’immagine della divinità), è stato introdotto dal tremolo angoscioso di contrabbassi e violoncelli: una pagina, in cui le sonorità dell’organo potrebbero alludere all’inconsapevolezza dell’uomo primitivo ancora legato alla religione, come conferma la citazione del Credo gregoriano da parte dei corni, qui come altrove ineccepibili. Dopo un episodio di transizione (Del grande anelito), gli archi hanno brillato, al massimo della tensione, nell’animato Delle gioie e delle passioni – dove i tromboni hanno esposto con autorevolezza il tema del Taedium Vitae – e nel Canto dei sepolcri, che elabora lo stesso materiale musicale in una prospettiva lirica, ma dolorosamente dissonante. In Della scienza l’orchestra si è segnalata nella fuga originata dal tema del Superuomo, metafora del raziocinio, intonata con grande lentezza nelle regioni gravi; una fuga ripresa dal successivo Il convalescente, dove si sono imposti di nuovo gli ottoni.
Il primo violino ha sfoggiato tutta la sua maestria nel Canto di danza, che consiste essenzialmente in un valzer viennese, presago di quelli del Rosenkavalier, all’interno di una pagina definita con perfetta eleganza e grande sapienza costruttiva.Nel conclusivo Canto del viandante notturno i clangori in cui era sfociata la sezione precedente si sono smorzati, traducendosi in una timbrica rarefatta e sublimata, dove si sono stemperate tutte le tensioni della partitura che, peraltro, si chiude con una soluzione politonale ardita, a simboleggiare il contrasto fra l’Uomo e la Natura. Tematica, a dir poco, tragicamente attuale! Successo travolgente con numerose chiamate.
Deutsche Staatsoper Berlin, season 2022/2023
“DER FLIEGENDE HOLLÄNDER”(The Flying Dutchman)
Romantic Opera in three acts
Libretto and music by Richard Wagner
The Dutchman GERALD FINLEY
Daland, a Norwegian sea captain JAN MARTINÍK
Senta, his daughter VIDA MIKNEVICIUTE
Erik, a huntsman STANISLAS DE BARBEYRAC
Mary, Senta’s nurse MARINA PRUDENSKAYA
Daland’s steersman MAGNUS DIETRICH
Staatsopernchor
Staatskapelle Berlin
Conductor Matthias Pintscher
Chorus Martin Wright
Production Philipp Stölzl
Stage Philipp Stölzl, Conrad Moritz Reinhardt
Costumes Ursula Kudrna
Light Hermann Münzer
Berlin, 21st May 2023
Philipp Stölzl’s production of The Flying Dutchman by Richard Wagner has been on show at the Deutsche Staatsoper Berlin for ten years, originally a take-over from the Theater Basel and later reprised at the Gran Teatre del Liceu in Barcelona. It has undoubtedly proved successful, which I wanted to assure myself of in a repertoire performance recently. The idea of neurotic dreams of a young woman is not new. The East-German opera director Harry Kupfer used it for his Bayreuth production as early as in 1978. Stölz’s Senta appears as a young girl who is obsessively reading in the weighty tome about the Flying Dutchman in Daland’s mansion designed by Stölzl himself and Conrad Moritz Reinhardt. There is a huge painting of a stormy sea on the back wall which opens up for the scenes of the ships and crews which turn into a kind of Pirates-of-the-Caribbean show when the Dutchman’s sailors appear like zombies (costumes by Ursula Kudrna). The second act starts with the housemaids doing some cleaning rather than spinning, supervised by the governess Mary. The young girl is hiding with the book under a big table with a down-to-bottom cloth on it to re-appear as the mature Senta who sings the ballad of the Flying Dutchman, the musical linchpin of the opera. After the dispute with Erik who shows up as a book-keeper with sleeve guards rather than a hunter, Daland does not enter with the Dutchman but Senta’s fiancé, an elderly man with a hat and walking stick. The painting opens again to show the same room, a stage on stage where we see the Dutchman with the young Senta. What seems to be a great effect at first does not make the duet work very well between Senta and the Dutchman who sing separately on the two levels of the scene. The third act starts with the wedding party. Senta and her husband got drunk and have fallen asleep. The guests are trying to wake them up instead of the traditional Norwegian sailor chorus versus the Dutchman’s crew. Senta awakens to kill her husband with a bottle, beat Erik with it, and finally cut her throat with a broken piece of it. The painting has opened up for the last time to show young Senta and the Dutchman on the deck of his ship with a dungeon that houses the former unfaithful wives, undead like the Dutchman himself. The scene does not support the idea of the Dutchman’s redemption at all which Wagner’s drama explains in the leitmotif. Just by listening to the music, everybody can normally imagine what is happening on stage. But the musical performance has also left me with mixed feelings, not only due to the somewhat phlegmatic conducting by Matthias Pintscher, at least at the beginning when the Staatskapelle Berlin needed time to get going. Gerald Finley as Dutchman simply transforms the assets of singing Mozart and Italian roles to Wagner’s vocal requirements to come out on top of the singers. Vida Mikneviciute has starred in parts by Wagner and Strauss with her distinctive timbre and beautiful vibrato. She delivers Senta’s ballad well-balanced between lyrical and enthusiastic moments. What a great start which unfortunately turns into some disappointment about the climactic notes which she falls short of at the end of the second act and in the finale. I hope it is due to an indisposition rather than a serious vocal shortcoming. Frau Mary is luxuriously cast by Marina Prudenskaya but largely ignored by the production. The part of Senta’s father Daland suffers from the little striking bass of Jan Martiník. Stanislas de Barbeyrac is vocally struggling, which quite coincides with the character of Erik. Daland’s ö is sung by Magnus Dietrich who stands out with a fine tenor and an impeccable diction. The Staatsopernchor led by Martin Wright proves first-rate in the demanding chorus scenes. Photo Jakob Tillmann
Roma, Villa Albani Torlonia
Via Salaria, 92, 00198 Roma RM
Fondazione Torlonia
TORNA A VILLA ALBANI TORLONIA LA TESTA DELLA SCULTURA DELL’IDROFORA
Roma 31 maggio 2023.
Villa Albani Torlonia a Roma è una sublime testimonianza di unità di ragione e natura: con i suoi busti, bassorilievi, statue, vasi, colonne e capitelli disposti, secondo un preciso progetto d’arredo, nei raffinati interni e negli otto ettari di parco, preserva intatto il sogno di classicismo del cardinale Alessandro Albani (1692-1779) promotore, con il “Cenacolo di Villa Albani” (tra cui i talenti di Giovanni Battista Nolli, Giovanni Battista Piranesi e Johann Joachim Winckelmann) del movimento neoclassico, grazie alla Famiglia Torlonia che acquista la Villa nel 1866, ampliando la collezione e il giardino, restaurando la più importante dimora cardinalizia del Settecento. Una costante e scrupolosa attività di conservazione che ha ottenuto molti importanti risultati: ed è in questo ambito che la Fondazione Torlonia accoglie con gratitudine l’annuncio del ritrovamento e la restituzione da parte dell’Arma dei Carabinieri – Reparto Operativo Sezione Archeologia del Comando Tutela Patrimonio Culturale, di una testa sottratta negli anni Settanta dal corpo della scultura dell’Idrofora, parte delle collezioni di Villa Albani Toronia. Nel febbraio 2015, il Reparto Operativo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale era stato informato dalla Fondazione, che uno studioso tedesco aveva riconosciuto in una pubblicazione d’arte, una testa in marmo, parte di una collezione privata di Zurigo, che sembrava corrispondere a quella asportata dalla statua nel parco di Villa Albani Torlonia. A seguito di un expertise della Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma del Ministero della Cultura, che ha accertato la corrispondenza, l’opera è stata restituita e rimpatriata ad aprile 2022 quando è stata riconsegnata alla Fondazione Torlonia. Alessandro Poma Murialdo, Presidente Fondazione Torlonia «È con soddisfazione e riconoscenza che la Fondazione Torlonia saluta questo importante ritrovamento, da parte del Reparto Operativo- Sezione Archeologia del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale. La conservazione del patrimonio è infatti il fondamento che orienta tutta la nostra attività. Il ritorno della testa dell’Idrofora acquisisce dunque un valore simbolico rispetto a questo impegno, che trova riscontro anche nei restauri che presentiamo oggi». Qui per tutte le informazioni.
Giovedì 1 giugno
Ore 10.00
“I MASNADIERI”
Musica Giuseppe Verdi
Direttore Nicola Luisotti
Regia Gabriele Lavia
Interpreti:Aquiles Machado, Lucrecia Garcia, Giacomo Prestia, Artur Rucinski
Napoli, 2012
Ore 17.37
Un palco all’opera
Un concerto dal sapore mitteleuropeo. Musica di Dvorak, Strauss e Weber per la bacchetta del Maestro Manfred Honeck. Alessandro Carbonare, straordinario primo clarinetto dell’orchestra, sarà il solista nel concerto per clarinetto e orchestra di Weber
Ore 21.15 replica Domenica 4 giugno
Ore 18.12
“IL TROVATORE”
Musica Giuseppe Verdi
Direttore Riccardo Muti
Regia Hugo de Ana
Interpreti: Salvatore Licitra, Barbara Frittoli, Violeta Urmana, Leo Nucci…
Milano, 2000
Venerdì 2 giugno
Ore 10.00
“SIMON BOCCANEGRA”
Musica Giuseppe Verdi
Direttore Stefano Ranzani
Regia Sylvano Bussotti
Intepreti: Ambrogio Maestri,Myrtò Papatanasiu, Saimir Pirgu, John Relyea, Gianfranco Montresor
Ore 17.07I
Iconcerti della Cappella Paolina
Andrea Rebaudengo (pianoforte) e i Cameristi dell’OSN Rai Alberto Barletta (flauto), Francesco Pomarico (oboe), Enrico Maria – Baroni (clarinetto soprano) e Salvatore Passalacqua (corno di bassetto e clarinetto basso) eseguono brani di Mikhail Glinka e Darius Milhaud. – 2021
Sabato 3 giugno
Ore 07.51/ 19.09
Georges Bizet: Les pêcheurs de perles
Direttore Ryan McAdams
Interpreti: Paolo Fanale, Simone Piazzola,Rosa Feola…
Ore 10.10
“DON GIOVANNI”
Musica Wolfgang Amadeus Mozart
Direttore Francesco Molinari Pradelli
Regia Giacomo Vaccari
Interpreti: Mario Petri,Teresa Stich-Randall, Heinz Borst, Luigi Alva, Leyla Gencer, Sesto Bruscantini, Graziella Sciutti, Renato Cesari.
RAI, 1960
Domenica 4 giugno /Sabato 10 giugno
Ore 00.42
“IL CONSOLE”
Musica e regia Gian Carlo Menotti
Direttore Richard Hickox
Interpreti: Susan Bullock, Louis Otey, Jacalyn Bower-Kreitzer, Charles Austin, Victoria Livengood, Herbert Eckhoff, Giovanna Manci, Robin Blitch, Malin Fritz.
Spoleto, 1988
Ore 10.00 /9.30
“FEDORA”
Musica Umberto Giordano
Direttore Bruno Bartoletti
Regia Mario Lanfranchi
Interpreti: Renata Heredia Capnist, Mafalda Micheluzzi, Davide Poleri, Mario Borriello, Sergio Mazzola, Valiano Natali, Glauco Scarlini
RAI, 1956
Ore 11.50 replica Sabato 10 giugno
Ore 11.30
“UN BALLO IN MASCHERA”
Musica Giuseppe Verdi
Direttore Nino Sanzogno
Regia Franco Enriquez
Interpreti: Rolando Panerai, Nicola Filacuridi, Marcella Pobbe, Lucia Danieli, Adriana Martino, Fernando Valentini, Silvio Majonica, Vito Tatozzi, Athos Cesarini, Walter Artioli.
RAI, 1956
Lunedì 5 giugno
Ore 10.00
“CARMINA BURANA”
Musica Carl Orff
Direttore Jordi Bernacer
Coreografia Shen Wei
Interpreti: Angela Nisi, Valdis Jansons, Ilham Nazarov
Shen Wey Dance Arts
Napoli, 2013
Ore 11.10
“WERTHER”
Musica Jules Massenet
Direttore Alfredo Simonetto
Regia Daniele D’Anza
Interpreti: Juan Oncina, Leyla Gencer, Enzo Sordello, Marcello Cortis, Nestore Catalani, Walter Artioli, Sandra Ballinari, Elsa Alberti.
RAI, 1955
Ore 17.19
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
Direttore Tomáš Netopil
Violino Boris Belkin
J.Brahms, Concerto in re magg. per violino e orchestra, C.M Von Weber: “Oberon”, Ouverture; A. Dvorak:” L’arcolaio d’oro”
Ore 18.43
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
Direttore Juraj Valcuha
Sinfonia in fa diesis minore Hob I n. 45 Sinfonia degli addii di J. Haydn.
Martedì 6 maggio
Ore 10.00
“AIDA”
Musica Giuseppe Verdi
Direttore Nicola Luisotti
Regia Franco Dragone
Interpreti: Lucrecia García, Jorge De Leòn, Ekaterina Semenchuk, Marco Vratogna, Ferruccio Furlanetto
Napoli, 2013
Ore 18.04
Orchestra Roma Ensamble
Direttore Luigi Di Iori
Violoncello Luigi Piovano
Per “Oltre la Serratura festival”, nella chiesa di S. Maria del Priorato – Villa Magistrale dell’Ordine di Malta a Roma – a sostegno del Campo Estivo internazionale per ragazzi disabili MaltaCamp Roma’22, Concerto in re magg. per violoncello e orchestra di Haydn.
Roma, 2023
Ore 18.33
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
Direttore Juraj Valcuha
Solisti: Dominik Worting, Markus Werba
“Das Lied von der Erde” (Il canto della terra) di G. Mahler.
Mercoledì 7 giugno
Ore 10.00
“LA RONDINE”
Musica Giacomo Puccini
Direttore Vincenzo Bellezza
Regia Enrico Colosimo
Interpreti: Rosanna Carteri, Ornella Rovero, Giuseppe Gismondo, Giuseppe Valdegno, Gino Sinimberghi, Mario Frosini, Anna di Stasio
Napoli, 1958
Ore 18.42
Orchestra Sinfonica Nazionale Rai
Direttore Juraj Valcuha
Concerto per orchestra di Witold Lutoslawski.
Torino, 2014
Giovedì 8 giugno
Ore 10.00
“LA FANCIULLA DEL WEST”
Musica Giacomo Puccini
Direttore Juraj Valcuha
Regia Hugo de Ana
Interpreti: Emily Magee, Roberto Aronica, Claudio Sgura, Bruno Lazzaretti, John Paul Huckle, Gianfranco Montresor, Paolo Orecchia, Antonello Ceron…
Napoli, 2017
Venerdì 9 giugno
Ore 10.00
“CARMEN”
Musica Georges Bizet
Direttore Zubin Mehta
Regia Daniele Finzi Pasca
Interpreti: Maria José Montiel, Brian Jugde, Eleonora Buratto, Aris Argiris…
Napoli, 2015
Domenica 11 giugno
Ore 10.00
“LA BOHEME”
Musica Giacomo Puccini
Direttore Bruno Bartoletti
Regia Franco Zeffirelli
Interpreti Cristina Gallardo-Domas, Marcelo Alvarez, Hei-Kyung Hong, Roberto Servile, Natale de Carolis, Giovanni Battista Parodi, Angelo Romero…
Milano, 2003
Ore 11.55
“FRANCESCA DA RIMINI”
Musica Riccardo Zandonai
Direttore Arturo Basile
Regia Mario Lanfranchi
Interpreti: Marcella Pobbe, Giuseppe Campora, Fernandino Lidonni, Sergio Tedesco, Nicoletta Panni, Myriam Funari, Renata Mattioli, Nicoletta Zanini, Alberta Valentini…
RAI, 1958
Ore 18.20
“L’ITALIANA IN ALGERI”
Musica Gioachino Rossini
Direttore Bruno Campanella
Regia Joan Font
Interpreti: Marianna Pizzolato, Boyd Owen, Pietro Spagnoli, Omar Montanari…
Firenze, 2016
Vittoriano, Sala Zanardelli
Dal 01 Giugno 2023 al 01 Ottobre 2023
BRONZO&ORO
Roma, Papa Innocenzo III:
racconto immersivo di un capolavoro
Il VIVE – Vittoriano e Palazzo Venezia, diretto da Edith Gabrielli, apre dal 1 giugno al 1 ottobre 2023 “BRONZO & ORO. Roma, Papa Innocenzo III: racconto immersivo di un capolavoro”. La mostra, al Vittoriano nella Sala Zanardelli, è centrata sulla Lunetta della Nicchia dei Palli: uno straordinario manufatto di oreficeria medievale in bronzo dorato e la più importante opera d’arte connessa alla figura di Papa Innocenzo III (1198-1216). La lunetta fu realizzata da maestranze di Limoges che al tempo risiedevano a Roma: in origine essa era destinata con ogni probabilità alla basilica costantiniana di San Pietro in Vaticano. Sopravvissuta alla demolizione della basilica medievale, che portò all’edificazione della San Pietro che conosciamo oggi, la lunetta è giunta nelle collezioni del VIVE – Vittoriano e Palazzo Venezia, dove si trova ancora oggi. Intorno a questo capolavoro la mostra “Bronzo & Oro” ricostruisce e narra la figura di Innocenzo III, un papa capace di condizionare l’intero Medioevo, come dimostrano, da soli, il rapporto con San Francesco e il contributo alla decorazione della basilica di San Pietro. Proprio per meglio comprendere l’assetto della basilica, l’antica San Pietro è rievocata nel percorso attraverso la realtà immersiva. La mostra è a cura di Alessandro Tomei, già professore ordinario di Storia dell’arte medievale all’Università di Chieti ed eminente studioso della pittura centro italiana del Duecento e Trecento, della miniatura e delle arti suntuarie. Qui per tutte le informazioni.
Wolfgang Amadeus Mozart: “A Berenice – Sol nascente” KV 70, “Alcandro, lo confesso – Non so d’onde viene” KV 294, “Bella mia fiamma – Resta, oh cara” KV 528, “Vorrei spiegarvi, oh Dio!” KV 418, “Chi sà, chi sà, qual sia” KV 582, “Misera, dove son!” KV 369, “Voi avete un cor fedele” KV 217, “Ah, lo previdi” KV 272, “Vado ma dove? oh Dei!” KV 583, “Ah se in ciel, benigne stelle” KV 538. Lisette Oropesa (soprano), Il Pomo d’oro, Antonello Manacorda (direttore). Registrazione: Himmelfahrtskirche, Munich-Sendling, agosto 2020. 1 CD Pentatone PTC5186 885
Lisette Oropesa si è fatta apprezzare come uno dei soprani di coloratura più interessanti della sua generazione. La cantante statunitense di origini cubane si è affermata sulle scene internazionali grazie a una funambolica facilità di canto unita a un timbro assai piacevole che ne hanno fatto interprete d’elezione per i ruoli più leggeri del repertorio belcantistico. Il repertorio mozartiano ha svolto un ruolo non secondario nella carriera della Oropesa a cominciare dal debutto al Metropolitan nel 2007 come Susanna e proprio al compositore di Salisburgo è dedicato il primo recital discografico della cantante.
Il programma proposto esclude brani tratti da opere liriche e si concentra sulle arie da concerto. In realtà sono presenti due tipologie di brani solo in parte assimilabili dall’uso come testi di brani tratti da celebri opere del repertorio settecentesco: le arie da concerto propriamente dette di norma di più ampie proporzioni, maggiormente strutturate al loro interno e in se concluse come brani autonomi e le arie da baule destinate a essere inserite in opere altrui in base al gusto dei cantanti e che non richiedono quell’autosufficienza delle prime essendo destinate al contesto teatrale.
I brani scelti coprono tutta la produzione artistica mozartiana dagli anni giovanili alla piena maturità e facilmente si riconosce un filo conduttore che attraversa tutta questa produzione. Una profonda teatralità, una capacità di far emergere il gioco degli affetti, una sincerità espressiva che travalica la natura spesso occasionale dei brani per trovare una propria autentica ispirazione.
La Oropesa è accompagnata per l’occasione da un complesso di ben noto valore come Il Pomo d’oro sotto la direzione di Antonello Manacorda. Quella fornita è una prova di altissima qualità. Direttore e orchestra eccellono per la qualità timbrica e coloristica, per la varietà ritmica e dinamica dell’accompagnamento, per una forte vitalità teatrale sempre collocata in una lettura estremamente nitida e rigorosa che predilige sonorità asciutte e nervose in questo sposandosi alla perfezione con il canto della Oropesa.
La scelta dei brani si apprezza per l’originalità andando ad escludere pagine note per concentrarsi su altre di più rara esecuzione. Il più celebre tra quelli proposti è “Vorrei spiegarvi, o Dio” sicuramente una delle arie da concerto più note ed eseguite di Mozart e in cui la Oropesa si fa apprezzare per un taglio interpretativo decisamente personale che rinuncia alla ricerca di purezze sonore iperuranie per darne una lettura più concreta, palpitante e teatrale e non scordiamoci che il brano viene tratto da dramma giocoso “Il curioso indiscreto” e non da un’astratta opera seria.
Il primo brano è anche il primo composto da Mozart, la grande scena “A Berenice…Sol nascente” in cui un’aria originariamente prevista per il “Vologeso” di Sarti viene riadattata a scopo celebrativo per l’arcivescovo di Salisburgo Sigismund von Schrattenbach. Il brano presenta un lungo recitativo forse ancora un po’ scolastico ma già capace di rendere la solennità del contesto che l’ottima dizione della Oropesa rende al meglio cui segui un’aria caratterizzata da lunghi fiati e da rapidi passaggi di colorature, tutti elementi che esaltano alla perfezione il luminoso virtuosismo della cantante.
Il versante espressivo permette di distinguere due tipi di arie, quelle tratte o che comunque rimandano all’ambito espressivo dell’opera seria e quelle di carattere più borghese legate al genere emergente del dramma giocoso.
Le prime accompagnano la riflessione mozartiana sul genere e si affiancano alle varie tappe tramite cui Mozart e acquisito e rinnovato l’opera seria. I testi sono tratti da libretti al tempo molto noti – diversi di Metastasio – e in esse sentiamo già l’impostazione vocale ed espressiva delle eroine tragiche quali Elettra o Vitellia. I recitativi sono più sviluppati – anche più che nei paralleli operistiche avendo qui la forma di accompagnati dall’orchestrazione assai ricca – e il canto punta decisamente al virtuosismo. La luminosa sericità timbrica e la naturalezza nei passaggi più impervi fanno brillare la luminosa “Ah se in ciel, benigne stelle” mentre in brani espressivamente più intensi come “Misera, dove son!” o “Ah, lo previdi” si nota un canto assai espressivo e un ammirevole uso di una coloratura mai fine a se stessa ma sempre calata nel taglio espressivo del brano. In alcuni punti le qualità tecniche non nascondono un corpo vocale forse un poco leggero per questi brani che richiederebbero una vocalità più da drammatico d’agilità che da lirico di coloratura.
I brani che utilizzano testi tratti da drammi giocosi rivedono Mozart alle prese con l’amico Da Ponte – le due arie per “Il burbero di buon cuore” di Martín y Soler) oppure testi di Goldoni. L’ambiente espressivo è assai prossimo a quella della trilogia e infatti non risulta difficile immaginarsi Susanna o Zerlina alle prese con questi brani. Rispetto ai brani seri il taglio e meno virtuosistico e più giocato sul dato espressivo. La Oropesa sfrutta qui la piacevolezza del timbro, l’ottima dizione, il gioco dei colori e degli accenti tratteggiando momenti perfettamente compiuti da ogni punto di vista. In questi brani la Oropesa mostra anche un settore grave ricco e sonoro non così scontato per questa tipologia vocale.
Un debutto discografico quindi ottimamente riuscito e che offre anche un ascolto decisamente corposo in termini di durata – oltre ottanta minuti di musica – per il diletto degli ascoltatori.
Torino, Teatro Regio, Sala Piccolo Regio G. Puccini, Opera in Famiglia 2023
“BASTIANO E BASTIANA”
Opera comica in un atto K.50. Libretto di Friederich Wilhelm Weiskern, Johann H.F.Mueller e Johann Andreas Schachtner. Edizione in lingua italiana.
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Bastiana AMÉLIE HOIS*
Bastiano FRANCESCO LUCII*
Colas ROCCO LIA*
Orchestra del Teatro Regio di Torino
Direttore Riccardo Bisatti*
Regia Paolo Vettori* e Chiara Osella
Scene Claudia Boasso
Costumi Laura Viglione
Luci Gianni Bertoli
*Artisti del Regio Ensemble
Nuovo allestimento del Teatro Regio Torino.
Torino, 28 maggio 2023
Bastiano e Bastiana è il titolo mozartiano che, con il Barbiere di Siviglia per i piccoli e l’Arca di Noè di Britten, fa parte di quel gruppetto di spettacoli che la struttura stabile del Teatro, con l’intervento dei validissimi membri del Regio Ensemble, ha allestito, per bambini e famiglie, nella sala riaperta del Piccolo Regio. Mozart, quando questo titolo si diede per la prima volta, il primo ottobre del 1768, di anni ne contava solo dodici. La creazione ufficiale venne registrata nel viennese Gartentheater, ma parrebbe si fosse in realtà tenuta nel giardino della casa di Messmer, lo stregone che ridava vita con le calamite, si veda Despina nel Così fan tutte. Nel leggere l’età dell’autore ci fa stupire che un bambino abbia prodotto 50 minuti di musica per orchestra con voci e soprattutto che gli si desse fiducia per metterla in scena. La storiella raccontata non è proprio per infanti: Bastiana, gelosa, spasima per Bastiano che se la spassa con una fantomatica contessa; Colas, l’Alfonso ante litteram, un po’ ci prova, ma al diniego della fanciulla le consiglia di fare la coquette indifferente; Bastiano ci casca e si chiude quindi il tutto con un velo bianco e i confetti. 16 numeri musicali e parecchi minuti di recitativo secco. All’ascolto si sente bene che da qui è partito tutto il teatro mozartiano e non solo i Singspiel. Bastiana è la sicura protagonista e progenitrice delle Blondchen e delle tre dame del Flauto, ha pure segnato la rotta per Susanna, Zerlina e Despina. Amélie Hois, figurino di ceramica di Meissen, ha vivacità giovanile e voce che con sicurezza saltella squisita fin sulle vette del pentagramma. Come interprete è appropriata ed avvincente, suscita un’irresistibile simpatia, la sua recitazione italiana è più che accettabile. Mozart con Bastiana esprima il meglio di quei primi tentativi di creare personaggi vitali. Più defilato e meno definito il Bastiano, il ragazzotto è avaro di sfoghi lirici e sentimentali; forse un anticipo di Pedrillo, non certamente di Tamino che di cuore è più tenero. Francesco Lucii, non certo un esponente, almeno nella parte, del tenorismo costi quel che costi, con grazia calibrata e con voce giusta ci ha dato un ritratto appropriato del ragazzetto spensierato. La contessa la lascia, al momento, di sicuro non farà altrettanto con le altre occasioni che gli si presentassero. Colas il marpione approfittatore, con la divertente aria di magia alla Mary Poppins, Diggi, daggi, schurry, murry, si rivela malizioso come Despina, quella che con la calamita esorcizza gli intossicati. Con lui si avvia l’ancora acerba serie di baritoni che da Figaro a Leporello trionferà in seguito nell’opera mozartiana, porta pure nel suo bagaglio alcune scivolate nel sillabato tenorile di Monostratos. Colas rappresenta un carico non indifferente per le spalle e per la gola di Rocco Lia, che sia parlando che cantando, impavido, con successo, lo porta felicemente a destino. Dopo uno stupefacente Adés, sempre qui al Piccolo Regio, Riccardo Bisatti era atteso con apprensione e speranza alla prova Mozart. Già dalle 80 battute dell’Intrada si è capito che il braccio era quello giusto. I validissimi strumentisti dell’Orchestra del Teatro Regio hanno trovato sotto la bacchetta del giovane novarese la vivacità e l’acidulo che ben si addice all’opera, alla giovinezza dell’autore e degli esecutori. Non cesseremo mai di lodare, quando ben confezionati, gli adattamenti ritmici italiani dei libretti in altra lingua. Il tedesco accentua una scansione con lo staccato pure quando l’autore non lo riporta sulla carta, l’italiano, viceversa, con le sue vocali rotonde privilegia il legato. Bisatti, con un’attentissima concertazione coi cantanti, ci restituisce la scansione sillabica anche con l’italiano e l’effetto che ne trae è stupefacente. Probabilmente, ma è una supposizione senza avvalli ufficiali, questa ministagione al Piccolo Regio, nata forse per crearsi punteggio per i fondi del FUS, non ha usufruito di budget da favola. L’equipe domestica che ha curato l’allestimento ha dovuto forzatamente sopperire alle scarse risorse materiali con quelle, dimostratesi abbondanti, di intelligenza e fantasia. Le scene e i bozzetti di Claudia Boasso, i costumi di Laura Viglione e le luci di Gianni Bertoli hanno ben servito la fantasia e la sagacia della coppia registica formata da Paolo Vettori e Chiara Osella. Questi si sono inventati un Mozart, il bravo ed onnipresente mimo Marco Caudera, che si balocca con un teatrino di fantasia i cui personaggi di cartone si trasformano in gigantografie per metamorfizzarsi poi nei cantanti attori in carne, ossa e voce, protagonisti del racconto. Altre gigantografie, silenziose ed immobili, rimandano all’ipotetica Contessa amante di Bastiano, al malandrino Conte da jus primae noctis e ai due albanesi del Così fan tutte, il futuro della scena mozartiana c’è tutto. L’ambiente è il nudo piccolo palco del teatro con sei maxi-quinte grigie e una sagoma di alberone. La sala della domenica pomeriggio è stracolma di bambini e genitori. Dopo un piccolo confuso rumoreggiare iniziale, silenzio e attenzione prendono il sopravvento. Lo scatenamento finale poi ha sancito il rumoroso successo della recita e il caloroso ringraziamento agli esecutori.
Per questo terzo giorno della Festa di Pentecose, Bach ha composto 2 cantate. Seguendo la cronologia, è ” Erwünschtes Freudenlicht”BWV184 eseguita per la prima volta a Lipsia, il 30 maggio 1724. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a una parodia di una cantata profana di auguri realizzata a Kothen. La presenza di un flauto concertante caratterizza l’ampio recitativo iniziale affidato alla voce di tenore (“Attesa luce di gioia”). Strumento che ritroviamo nella bellissima melodia danzante dell’aria-duetto tripartita tra soprano e contralto (“Benedetti cristiani, gregge beato”).Un altro lungo recitativo (“Gioite dunque, anime prescelte!”), questa volta con il solo Continuo e aria tripartita del tenore (“Felicità e beatitudine sono pronte”) con violino e continuo, piacevole ma un po’ impersonale nel disegno melodico, portano al Corale (“Signore, spero sempre”) e al Coro di chiusura (“Buon pastore, nostra speranza”) in un’ambientazione corale semplice, ma adorabile e nella quale ritorna la bella presenza melodica del flauto.
Nr.1 Recitativo (Tenore)
Attesa luce di gioia
venuta con la nuova alleanza
per mezzo di Gesù nostro pastore!
Noi che andavamo vagando nella valle della morte
ora percepiamo chiaramente
che Dio ci ha inviato il tanto atteso pastore
che sazia le nostre anime
e attraverso la sua Parola e il suo Spirito
giuda i nostri passi sul giusto cammino.
Noi, suo popolo prescelto, conosciamo la sua forza;
solo la sua mano ci dà nutrimento
e rinforza i nostri cuori.
Egli ci ama, noi suo gregge,
a cui assicura conforto e protezione
e che allontana dalle vanità mondane
affinchè si volga a lui
e si affidi sempre alla sua grazia.
O Pastore, che doni te stesso per il tuo gregge
e lo ami fino alla morte ed alla tomba!
Il suo braccio respinge i nemici,
la sua premura nutre spiritualmente il suo gregge,
sì, quando camminiamo nella valle oscura
il suo sostegno ci aiuta e ci conforta.
Allora lo seguiremo con gioia sino alla morte.
Su! Affrettiamoci, per essere trasfigurati con lui.
Nr.3 – Aria-Duetto (soprano. contralto)
Benedetti cristiani, gregge beato,
venite, unitevi a Gesù con gratitudine!
Disprezzate le seducenti tentazioni del mondo,
così la vostra gioia sarà piena!
Nr.4 – Recitativo (Tenore)
Gioite dunque, anime prescelte!
La vostra gioia si fonda sul cuore di Gesù.
Nessun uomo può descrivere un tale sollievo.
Questa gioia discende perfino a coloro
che giacciono nei lacci del peccato
che il campione di Giuda ha ormai spezzato.
Un Davide è con noi,
le braccia di un eroe ci liberano dal nemico.
Quando Dio protegge il suo gregge con potenza,
quando con ira colpisce i suoi nemici,
quando non si sottrae all’amara morte della croce
per la sua salvezza,
nessun male potrà colpire questo gregge
che vivrà felice in Dio.
Qui dimora su scelti pascoli
nell’attesa della perfetta gioia celeste.
Nr. 5 – Aria (Tenore)
Felicità e beatitudine sono pronte
per incoronare il gregge benedetto.
Gesù spalanca l’età dell’oro
a coloro che lo accolgono.
Nr.6 Corale
Signore, spero sempre che
non abbandonerai alla sofferenza
i veri servi che comprendono la tua Parola
con il cuore e con la fede;
che donerai loro la tua benedizione
e non li lascerai perire.
O Signore, ti prego che tu mi conceda
di morire felice e sereno.
Nr.6 – Coro
Buon pastore, nostra speranza,
lasciaci la tua santa Parola!
Risplenda il tuo volto,
resta il nostro rifugio ed il nostro Dio
che con le sue onnipotenti mani
ci guida sul cammino verso la vita!
Traduzione Emanuele Antonacci
Roma, Museo dell’Ara Pacis
“LEX. GIUSTIZIA E DIRITTO DALL’ETRURIA A ROMA”
A cura di Vincenzo Lemmo
Lungotevere in Augusta (angolo via Tomacelli) – 00100 Roma (RM) Tel.060608
Email: info.arapacis@comune.roma.it
Una mostra che introduce gli aspetti più significativi del concetto di Giustizia a Roma attraverso più di 80 opere: un racconto costruito con il contributo di pezzi dalle collezioni dei Musei civici di Roma Capitale, di musei e istituzioni nazionali e di opere da collezioni private. L’esperienza e la produzione giuridica di Roma antica costituiscono una imprescindibile eredità per lo studio del diritto e per lo sviluppo delle istituzioni giuridiche moderne. La mostra propone alcune riflessioni sul concetto di Giustizia e sull’ordinamento giuridico nella Roma antica, attraverso personaggi, luoghi, testi di legge. La ed è ideata ed organizzata dal Centro Europeo per il Turismo Cultura e Spettacolo con il supporto organizzativo di Zètema Progetto Cultura. La mostra e il catalogo, edito da Gangemi Editore, sono a cura dell’archeologo Vincenzo Lemmo. Il percorso muove da alcune premesse a carattere storico e sociale sul concetto di Giustizia, sul ruolo del Diritto nella società etrusco-italica e nel tessuto della Roma monarchica, per poi sottolineare l’importante passaggio da una tradizione orale ai vincoli dei dispositivi fissati dalla scrittura. Al di là di una contestualizzazione cronologica di alcuni fenomeni e istituti, la mostra vuole offrire al visitatore una sintetica panoramica degli elementi fondanti il diritto romano, la sua pervasività nella vita quotidiana di un civis, e le più importanti istituzioni giuridiche. Il percorso si snoda attraverso più di 80 opere provenienti dalle collezioni dei Musei civici di Roma Capitale, da musei e istituzioni nazionali e da collezioni private, suddiviso in 11 sezioni tematiche. Qui per tutte le informazioni.
Roma, Musei Capitolini
Piazza del Campidoglio, 1
00186 Roma
“IL FRAMMENTO RITROVATO. LA MANO DEL COLOSSO DI COSTANTINO DEI MUSEI CAPITOLINI E IL DITO DI BRONZO DEL LOUVRE”
Da oggi il pubblico potrà ammirare la mano del colosso bronzeo di Costantino dei Musei Capitolini ricomposta con il frammento del dito in bronzo, coincidente con le due falangi superiori di un indice, proveniente dal Museo del Louvre, grazie alla generosa disponibilità del suo Presidente-Direttore Jean-Luc Martinez. E’ esposta nell’Esedra del Marco Aurelio insieme agli altri bronzi, già in Laterano, donati al Popolo Romano da papa Sisto IV nel 1471. È di grande significato che questa straordinaria ricomposizione della mano con il suo frammento, frutto di una proficua collaborazione tra Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e il Museo del Louvre, avvenga in occasione dei 550 anni della donazione sistina, vero e proprio atto di fondazione delle collezioni capitoline, ma anche a quasi 500 anni dalla loro separazione. Il frammento in bronzo arrivò a Parigi nel 1860 insieme a buona parte della collezione del marchese Giampietro Campana, uno dei protagonisti del panorama collezionistico romano degli anni centrali dell’Ottocento. In anni recenti è stato possibile riconoscere la pertinenza del frammento a una delle sculture più iconiche dell’antichità romana, il colosso in bronzo di Costantino, di cui restano ai Musei Capitolini la testa, la mano sinistra, con lacune in corrispondenza del dito indice, del medio, dell’anulare e del palmo, e una sfera un tempo sorretta dalla mano. La conferma dell’eccezionale scoperta è venuta nel maggio del 2018 grazie a una prova effettuata a Roma con un modello 3D del frammento parigino, operazione coordinata da Françoise Gaultier e da Claudio Parisi Presicce. Al successo dell’operazione sono seguiti la realizzazione di un calco in vetroresina della porzione di dito così ricomposta e la presentazione della mano originale, completata con le falangi mancanti, in occasione delle due grandi mostre dedicate alla collezione Campana: Un rêve d’Italie. La collection du marquis Campana, al Museo del Louvre, e A Dream of Italy. The Marquis Campana Collection, all’Ermitage di San Pietroburgo. La prima descrizione dei frammenti del colosso bronzeo di Costantino risale alla metà del XII secolo, quando questi si trovavano ancora in Laterano. La maestosità dei resti, in cui per lungo tempo si è voluto riconoscere il colosso del Sole eretto un tempo accanto all’anfiteatro flavio, denominato Colosseo per assimilazione con esso, e la preziosità del materiale sono menzionati in numerose cronache e descrizioni medioevali e quattrocentesche. La mano con il globo (integra) e la testa, ciascuna collocata su un capitello, sono riconoscibili in un disegno attribuito a Feliciano Felice del 1465, in cui campeggia, al centro, la statua equestre del Marco Aurelio, anche questa, fino al 1538, in Laterano. Con il trasferimento in Campidoglio nel 1471, la testa colossale trova la sua sistemazione sotto i portici del Palazzo dei Conservatori. L’ultima attestazione dell’integrità della mano è documentata da fonti databili entro la fine degli anni Trenta del Cinquecento. Testimonianze grafiche, di poco successive, mostrano la mano colossale separata dalla sfera e con l’indice già privo delle due falangi superiori. Il frammento oggi al Louvre, dunque, potrebbe essere entrato nel circuito del mercato antiquario romano già in questa fase molto precoce. Nulla si sa del frammento fino alla sua ricomparsa, nella prima metà dell’Ottocento nella collezione del Marchese Campana. Ulteriori ricerche potranno chiarire le vicende del frammento in questo ampio lasso di tempo. Qui per tutte le informazioni.
Dal 01 giugno 2023 al 03 settembre 2023
Scuderie del Quirinale Via XXIV Maggio 16 – 00187 ROMA
E-mail:info@scuderiequirinale.it
call center+39 02-92897722
“L’ITALIA E’ UN DESIDERIO. FOTOGRAFIE, PAESAGGI E VISIONI 1842 – 2022. LE COLLEZIONI DI ALINARI E MUFOCO.”
“Non c’è mai un paesaggio che non contenga in sé una quantità di altri paesaggi. L’insieme di ciò che noi abbiamo percepito come tale è soltanto un riflesso di qualcosa che è in noi. Siamo noi che creiamo il paesaggio” Andrea Zanzotto, Luoghi e paesaggi
La fotografia, come altre forme artistiche, riflette sui cambiamenti politici e culturali della società. In quest’occasione, rivolgiamo l’attenzione al paesaggio italiano la cui indagine permette oggi di studiare e analizzare trasformazioni e cambiamenti all’interno del nostro Paese. Il paesaggio diventa, quindi, metafora del cambiamento sociale, artistico e culturale in Italia da metà Ottocento fino ai giorni nostri. La mostra L’Italia è un desiderio presenta un’ampia selezione di immagini, provenienti dagli archivi e dalle collezioni della Fondazione Alinari per la Fotografia e del Mufoco – Museo di Fotografia Contemporanea, coprendo un arco di tempo estremamente ampio: dagli albori della fotografia paesaggistica al contemporaneo. Grazie a una successione cronologica di tecniche, linguaggi e visioni, la mostra consente di ripercorrere l’evoluzione delle modalità̀ di rappresentazione del Bel Paese, apprezzandone la bellezza che lo ha proposto a lungo come un modello e misurandone anche le sue contraddizioni. Nelle sale delle Scuderie del Quirinale sono in mostra oltre 600 opere originali caratterizzate da una grande ricchezza di tecniche, materiali, formati e di modalità di presentazione. Il percorso espositivo inizia con le fotografie degli Archivi Alinari e continua con le opere della collezione del Museo di Fotografia Contemporanea. La mostra è arricchita da una serie di scintille, momenti di dialogo diretto e inaspettato tra le due collezioni, accostamenti di opere tra loro distanti nel tempo, ma assimilabili secondo registri più diversi, che spaziano dal punto di ripresa alla tecnica, dal linguaggio al luogo rappresentato, dai temi affrontati alle infinite possibili suggestioni, rimandi e associazioni. Le scintille esposte suggeriscono alcune delle questioni più attuali nel dibattito contemporaneo sul funzionamento, la fruizione, la produzione della fotografia e, più in generale, dell’immagine. Il percorso all’interno della mostra si trasforma così in un vero e proprio viaggio in Italia: dalle vedute fotografiche quasi pittoriche dei Fratelli Alinari alle “inquadrature naturali” dal nord al sud d’Italia di Luigi Ghirri, dai ritratti delle fabbriche milanesi di Gabriele Basilico ai primi negativi retroilluminati, fino alle ultime ricerche dove la fotografia si apre sempre più ad altri media. Alla fine della mostra rimane un’idea ampia di paesaggio, che introduce dimensioni immateriali e astratte – psicologiche, poetiche, politiche – che lasciano spazio all’interpretazione del pubblico. Il progetto non vuole ricostruire una storia della fotografia italiana bensì coinvolgere il visitatore – attraverso le immagini delle due collezioni – in un’esperienza di viaggio unica e preziosa. Qui per tutte le informazioni.
Napoli, Teatro Bellini, Stagione 2022/23
“SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE”
Da Luigi Pirandello
Drammaturgia e Assistente Regia Micol Jalla
Madre SARA BERTELÀ
Padre VALERIO BINASCO
Figlio GIOVANNI DRAGO
Figliastra GIORDANA FAGGIANO
Direttore-Capocomico JURIJ FERRINI
Con la partecipazione degli allievi della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino: ALESSANDRO AMBROSI, FRANCESCO BOTTIN, CECILIA BRAMATI, ILARIA CAMPANI, MARIA TERESA CASTELLO, HANA DANERI, ALICE FAZZI, MATTEO FEDERICI, IACOPO FERRO, SAMUELE FINOCCHIARO, CHRISTIAN GAGLIONE, SARA GEDEONE, FRANCESCO HALUPCA, MARTINA MONTINI, GRETA PETRONILLO, DIEGO PLEUTERI, EMMA FRANCESCA SAVOLDI, ANDREA TARTAGLIA, NICOLÒ TOMASSINI, MARIA TRENTA
Regia Valerio Binasco
Aiuto Regia Giulia Odetto
Scene Guido Fiorato
Costumi Alessio Rosati
Luci Alessandro Verazzi
Musiche Paolo Spaccamonti
Suono Filippo Conti
Coproduzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale / Teatro Nazionale di Genova / Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
Napoli, 24 maggio 2023
Ciascuno di noi si crede «uno», ma non è vero: è «tanti», invece – afferma uno dei Sei personaggi in cerca d’autore… secondo tutte le «possibilità d’essere» che sono in «noi»: la «fluidità», in senso tanto vago del termine, è un concetto eterno; e, senza andare troppo lontano, potremmo ritrovarlo in Pirandello e scoprire che ciò che definiamo come «fluidità» (e che potremmo e dovremmo anche non definire, dal momento che la «fluidità» dev’essere indefinibile, di per sé) risiede proprio in quel «noi pirandelliano» – e che, tutto sommato, quel «noi» rappresenta un tentativo, sia pure tanto vago e imperfetto (come vaghe ed imperfette sono, dopotutto, le «possibilità dell’essere»), di farla finita – almeno a teatro – con l’idealistica, settaria e narcisistica perfezione dell’ «Io».«Non appartenere». Come non appartiene, manco a sé stesso, il gruppo famigliare che, nella finzione scenica, facendo irruzione in un teatro, interrompe le prove d’una commedia – domandando al capocomico d’occuparsi di loro, e d’essere, in fondo, «il loro autore». E non perché questa famiglia sia composta da attori… no, al contrario, è fatta da «personaggi», da «pupi», da perfette maschere d’un dramma novecentesco o d’una tragedia antica, con tutti i vari tòpoi letterari e narrativi. La frantumazione dell’istituzione della famiglia è ciò che emerge con estrema chiarezza in questa esemplificazione o rilettura critica del testo pirandelliano effettuata da Micol Jalla al Bellini; tema che s’affianca a domande eterne: a cosa serve il teatro, oggi? È necessaria una emancipazione del teatro da un’eterna mania dell’autore d’osservare e concepire il teatro come realistica «replica» – sia pure estremamente poetica e illusoria – della realtà? Un atteggiamento razionalistico dello spettatore – parafrasando Adorno – che osserva criticamente o con estrema «diffidenza» tutto ciò che non è «verosimile» o «realistico», impedisce all’autore d’emancipare la sua produzione dalla «fissazione» per una «verosimiglianza» a tutti i costi? Questa esemplificazione critica del teatro pirandelliano pone, dunque, delle domande, la cui risoluzione viene affidata ad una potente struttura di «contrasti», anche figurativi oltre che testuali o linguistici: il contrasto tra i due gruppi famigliari: uno, fatto da «parenti» acquisiti o amici (il Capocomico e i suoi attori), strutturalmente sano e non asfissiante; l’altro, invece, fatto da Padre, Madre, Figli e Figliastri – sconvolto dal tabù dell’incesto e ritratto come contenitore di frustrazioni e depravazioni; il contrasto «contraddittorio», se vogliamo, tra un carattere fortemente «fluido» della natura dell’essere umano, formata da varie «possibilità d’essere», da gradazioni e contrasti, appunto, e la fissità o cristallizzazione emotiva in cui sono costretti i «Personaggi vivi»: maschere eterne ed allegoriche personificazioni d’invariabili sentimenti. Un ultimo contrasto avviene tra l’ «invenzione scenica» degli attori che, nella finzione della scena, talvolta assumono una funzione creativa «tradendo» il testo (attraverso un’intromissione di fittizie modificazioni o variazioni), e la «fissazione» per la filologia dei Personaggi vivi, che non seguono il testo, ma SONO il testo: Personaggi vivi che assurgono a «tutori del testo e dell’ordine», per dirla con Carmelo Bene.Una rappresentazione che procede per via d’analisi, dunque: il taglio documentaristico, fortemente evidente, consente al dramma d’essere osservato come un documentario sui prodromi della rappresentazione: le prove di teatro – che si svolgono, appunto, su d’un palcoscenico d’un teatro di prosa, progettato da Guido Fiorato e nitidamente illuminato da Alessandro Verazzi, con un arredo estremamente modesto che, nella finzione del «giuoco delle parti», viene osservato ed adoperato, all’occorrenza, come il mobilio d’una pensione o come il salottino piccolo-borghese della Famiglia.La regia di Valerio Binasco, coadiuvato da Giulia Odetto, procede – anch’essa – «analiticamente», perché determinata da una idea «superiore», quella dell’ordine, parafrasando Roland Barthes: l’idea della formalizzazione, anche figurativa, e d’una severa organizzazione del «caos» (che s’attuano attraverso un’armoniosa e geometricamente simmetrica disposizione dei corpi sulla scena), governa il fine supremo del dramma: «illudere» – anche, e soprattutto, attraverso l’illusoria «verosimiglianza» dell’errore nella sua finzione: attraverso, dunque, la «replica», sia pure fittizia, d’imprevisti ed errori che i prodromi della rappresentazione (le prove teatrali, cioè) solitamente prevedono. La ricerca della verosimiglianza, da parte degli attori e dei Personaggi, avviene attraverso un linguaggio potentemente nervoso, fortemente «veristico» – che mima o «replica», attraverso la verosimiglianza del finto errore e la creazione d’una finta improvvisazione, tutta la brutalità della vita: paroline bofonchiate, strascicate… risate isteriche, grosse e nevrotiche: una pasoliniana «disperata vitalità», che procede in modo estremamente variegato, tra espressionistiche variazioni d’intonazione, collettivi momenti d’estremo smarrimento e le conseguenze d’una nevrotica ricerca, da parte dei Personaggi, d’una perfezione espressiva ed espositiva; ricerca che accade sopra le atmosfere sonore di Filippo Conti, e sopra le musiche composte da Paolo Spaccamonti. Ottimi, dunque, tutti gli attori – avvolti negli appropriati costumi di Alessio Rosati; costumi dal carattere novecentesco per la Famiglia, e dal carattere contemporaneo per il Capocomico e i suoi attori: Sara Bertelà (Madre), Valerio Binasco (Padre), Giovanni Drago (Figlio), Giordana Faggiano (Figliastra), Jurij Ferrini (Direttore-Capocomico); allievi della Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino: Alessandro Ambrosi, Francesco Bottin, Cecilia Bramati, Ilaria Campani, Maria Teresa Castello, Hana Daneri, Alice Fazzi, Matteo Federici, Iacopo Ferro, Samuele Finocchiaro, Christian Gaglione, Sara Gedeone, Francesco Halupca, Martina Montini, Greta Petronillo, Diego Pleuteri, Emma Francesca Savoldi, Andrea Tartaglia, Nicolò Tomassini, Maria Trenta. Successo di pubblico che ha accolto con entusiasmo questa riscrittura critica del dramma pirandelliano. Foto Luigi De Palma
Abbiamo già accennato che nel mondo luterano la Pentecoste veniva solennizzata come per la Pasqua e Natale, per tre giorni consecutivi. Si è anche fatto cenno che tutte le letture dei giorni legati alla Pentecoste sono fondate sugli Atti degli Apostoli e sul Vangelo di Giovanni, come se tra i due libri si fosse creato una sorta di parallelismo, va tenuto presente che il tema fondamentale di queste giornate, la discesa dello Spirito Santo è sviluppato soprattutto in questi testi. Per il Lunedì, o secondo giorno di Pentecoste, Bach ha composto 3 cantate, nell’ordine cronologico la prima è Erhöhtes Fleisch und Blut BWV 173 eseguita a Lipsia, tra il 1724 (29 maggio) e 1727 (2 giugno). Il periodo frenetico di queste giornate di festa, porta Bach a riutilizzare dei lavori precedenti e appunto per questa occasione, il compositore utilizza una serenata in onore del principe Leopoldo di Anhalt-Zerbst. Il primo movimento è un solenne recitativo per tenore solista, archi e continuo. Segue un’aria bipartita, sempre per il tenore, ricca di eleganti sfumature per due flauti e archi. L’Aria del Contralto, presenta una caretteristica espressiva molto diverso, quasi aspra. Nucleo centrale della partitura è il duetto Soprano-Basso. Spicca la dolcezza degli archi che, nella prima strofa è sostituita da eterei flauti senza bassi con gli archi assumono una funzione di linea di basso nella seconda strofa. Il seguente duetto-recitativo-arioso esprime la devozione a un Dio benevolo. Il coro finale, che sostituisce il classico Corale, ha un motivo danzante, con le voci che spiccano in un ritornello ondeggiante sopra l’orchestra.
Nr.1 – Recitativo (Tenore)
Carne e sangue consacrati,
che Dio stesso ha assunto,
a cui già qui sulla terra
è assicurata la benedizione celeste
di divenire figlio dell’Altissimo,
carne e sangue consacrati!
Nr.2 – Aria (Tenore)
Uno spirito santificato
vede e sente la bontà di Dio.
Prega, canta, accorda gli archi
per proclamare la fede in Dio!
Nr.3 – Aria (Contralto)
Dio vuole, o figli dell’uomo,
fare grandi cose per voi.
Bocca e cuore, occhi ed orecchie
non possono riposare per tanta felicità
e tanta santa gioia.
Nr.4 – Aria-Duetto (Basso, Soprano)
Basso:
Dio ha tanto amato il mondo
la sua misericordia
aiuta noi poveri-
da darci il suo Figlio,
per godere dei doni della sua grazia
che fluiscono come abbondanti ruscelli.
Soprano:
La sua nuova alleanza di grazia
è efficace
ed è operante
nel cuore e nella bocca dell’uomo,
tanto che il suo Spirito, per la sua gloria,
insegna loro ad invocarlo con fede.
Entrambi
Ora compiamo il nostro dovere
portando offerte,
cantando con gratitudine,
poiché la sua luce rinnovata
discende sui suoi figli
e mostra loro la sua potenza.
Nr.5 – Recitativo (Soprano, Tenoare)
O infinito, che chiamiamo Padre,
vogliamo portarti in offerta i nostri cuori;
fuori dai nostri petti, che ardono di devozione,
il fuoco dei nostri sospiri salga sino in cielo.
Nr.6 – Coro
Altissimo, tocca la nostra anima,
affinché i doni dello Spirito Santo
siano operanti in noi.
Come il tuo Figlio ci ha insegnato a pregare,
la nostra voce oltrepassi le nuvole
e richiami la tua attenzione.
Traduzione Emanuele Antonacci
Teatro dell’Opera di Roma Stagione di Opere e Balletti 2022/2023
“DA UNA CASA DI MORTI”
Opera in tre atti libretto di Leos Janàcek da Memorie da una casa di morti di Fedor Dostoevskij.
Musica di Leos Janàcek
Alexandr Petrovic Gorjancicov MARK S. DOSS
Aljeja giovane tartaro PASCAL CHARBONNEU
Filka Morozov, in prigione sotto il nome di Luka Kuzmic STEFAN MARGITA
Il grande Prigioniero ERIC CAVES
Il piccolo Prigioniero Nikita, Cekunov, Il Cuoco LUKAS ZEMAN
Il Direttore della Prigione CLIVE BAYLEY
Skuratov JULIAN HUBBARD
Kedril MARCELLO NARDIS
Un prigioniero fabbro, interprete di don Giovanni e del Bramino ALES JENIS
Un giovane Prigioniero PAWEL ZAK
Una Prostituta CAROLYNE SPROULE
Sapkin MICHAEL S. SCOTT
Siskov LEIGH MELROSE
Cerevin CHRISTOPHER LEMMINGS
Il vecchio Prigioniero COLIN JUDSON
Il Prigioniero ubriaco EDUARDO NIAVE*
Prima Guardia MICHAEL ALFONSI
Voce dalle Steppe LUCA BATTAGELLO
Terza guardia ANTONIO TASCHINI
*dal progetto Fabbrica Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Coro e Orchestra del Teatro dell’Opera
Direttore Dmitri Matvienko
Maestro del coro Ciro Visco
Regia Krzysztof Warlikowski
Scene e costumi Malgorzata Szczesniak
Video Denise Gueguin
Luci Felice Ross
Drammaturgo Christian Longchamp
Movimenti coreografici Claude Bardouil
Maestro dei combattimenti Renzo Musumeci Greco
Nuovo allestimento del teatro dell’Opera di Roma in coproduzione con Royal Opera House Convent Garden Londra, Theatre de la Monnaie Bruxelles, Opéra National de Lyon
Roma, 25 maggio 2023
Mai eseguita al Teatro dell’Opera di Roma questa interessantissima partitura di Janacek è stata affidata, possiamo dire a buon dritto finalmente, alle cure musicali del maestro Dmitri Matvienko, del direttore del Coro maestro Ciro Visco ed all’allestimento registico di Krzystof Warliakowsky. Questi ambienta la cupa vicenda in un moderno carcere senza alcuna contestualizzazione ideologica, non un lager, un gulag, Guantanamo, come se il dolore, la violenza e la morte corporale e spirituale non avessero tempo e luogo. Anche le luci non permettono di definire le ore del giorno o la stagione in corso e tutto sembra congelato in un algido eterno presente dal buio del quale emergono i racconti dei vari prigionieri come se la memoria della vicenda di Alexandr Gorjancicov e degli altri personaggi affiorasse da una sorta di sfera ideale archetipica dell’umanità. Curatissimi sono parsi la recitazione e la cura dei movimenti scenici. Unico punto debole di questo allestimento purtroppo forse problema di non facile soluzione era la estraneità della lingua che non permette appigli di sorta per chi non la conosca. Il testo più simile ad una sceneggiatura cinematografica che non ad un libretto d’opera al quale siamo abituati scorre per forza di cose assai velocemente sui soprattitoli rendendo spesso complicato tenere dietro alla vicenda o viceversa riuscire a non perdere il ritmo del testo. La struttura ritmica del libretto e della musica così strettamente legate fra loro crediamo che renderebbero davvero arduo mettere in atto qualunque tentativo di trasposizione in italiano anche se probabilmente garantirebbe una maggior diffusione di una opera davvero preziosa del repertorio novecentesco. Chissà che non possa esser un progetto per un futuro lavoro sul testo.Il ricco, complesso e variegato linguaggio dell’orchestra viene dominato dal maestro Matvienko con equilibrio, ricchezza timbrica e sensibilità e più di un’occasione di sarebbe voluto poter chiudere gli occhi ed abbandonarsi al mistero del solo ascolto. Stesso discorso vale per gli interventi del coro preparato dal maestro Visco il quale oltre a superare brillantemente le non poche difficoltà tecniche, ha saputo trovare una tinta sonora che ben si amalgamava con quella dell’orchestra nell’evocare e ridestare le emozioni del profondo.Tutti assolutamente bravi sia sotto il profilo scenico che vocale i numerosissimi artisti che hanno impersonato i personaggi dell’opera, non ce ne vogliano ma è impossibile ricordarli tutti nello spazio di un articolo. Assai apprezzabile il programma di sala per la ricchezza e la qualità delle fonti presentate. Alla fine lunghi applausi per tutti da un teatro purtroppo non completamente pieno. Forse una proposta artistica di tale valore e rarità avrebbe meritato una promozione più incisiva e probabilmente diversa da quella messa in atto per il repertorio tradizionale Foto Fabrizio Sansoni
Auditorium RAI “Arturo Toscanini” di Torino.Stagione Sinfonica 2022-23.
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Kirill Petrenko
Alban Berg: Drei Orchesterstücke op.6; Jean Sibelius: “Lemminkäinen” Suite op.22
Torino 24/25 maggio 2023
Kirill Petrenko si è guadagnato una posizione eminente tra i direttori di riferimento dei nostri anni. Sempre a capo di teatri e orchestre prestigiose, passando da Vienna a Magonza, da Monaco a Berlino è finalmente approdato sul prestigioso podio dei Berliner Philharmoniker. Le stagioni sinfoniche della RAI lo hanno ospitano, con una certa regolarità, a partire da quel maggio del 2001 in cui sconosciuto rimpiazzò, nella direzione del Rosenkavalier, Giuseppe Sinopoli, da poco deceduto. Allora il successo fu inatteso e clamoroso, con altrettanto calore fu poi accolto nei passaggi successivi con Wagner, Čaikovskij, Richard Strauss e Mozart. In questa tre giorni del maggio 2023, venerdì 26 ci sarà la terza data a Brescia, per festeggiarne la designazione a capitale della cultura, il cartellone elenca due pezzi di non frequente esecuzione e quindi poco conosciuti dal pubblico. Il sempre problematico Alban Berg dei tre pezzi per orchestra op 6 e l’enigmatico Sibelius della suite Lemminkäinen con le sue gelide lande desolate. Forse, oltre alla pioggia, sono stati questi titoli difficili e desueti a tener lontani dall’Auditorio molti tra gli abbonati e gli abituali frequentatori dei concerti RAI. La serata di mercoledì fu particolarmente disertata, forse non più di un terzo delle poltrone vantavano un occupante; giovedì è andata parzialmente meglio, le presenze sfioravano il cinquanta per cento della capienza. Il maestro Petrenko, dei pezzi in locandina, ci ha dato interpretazioni folgoranti che hanno entusiasticamente esaltato i ben noti pregi della splendida OSN RAI, mostratasi, ancora una volta, ai vertici delle compagini sinfoniche in attività. Ambedue le serate sono state aperte dal maestro Ernesto Schiavi, direttore artistico dell’Orchestra, con un commosso omaggio alla Romagna e alle sue popolazioni alluvionate. Il sollecitato e doveroso minuto di silenzio e di meditazione ha coinvolto così tutto il pubblico. Lo stesso Schiavi, in solido col maestro Petrenko e l’Orchestra, ha poi illustrato i punti emblematici del brano di Berg, iniziativa che, vista le difficoltà dell’opera, si è rilevata quanto mai opportuna. Un nodo ha stretto la gola di Petrenko nel ricordare che il pezzo di Berg è del 1914, inizio della “grande carneficina”. Inevitabile, sempre secondo PetrenKo, l’accostamento a quanto sta ora ancora accadendo entro i confini d’Europa. Schönberg non perdonava ai tre pezzi per orchestra op.6 dell’allievo la troppa vicinanza alla musica di Mahler. Berg, per non ferire l’irascibile maestro, tale consonanza non la vantava ma, con convinzione, la praticava. Erano ormai trascorsi dieci anni dalla sesta sinfonia di Mahler (1903), a cui i tre pezzi si riportano sovente, e si era inesorabilmente passati dall’autocommiserazione individuale di Gustav al terrore generale per l’approssimarsi del conflitto. Il colpo di martello che chiude il terzo e ultimo movimento, Marcia, non fa pensare, come nel modello, ad una possibile battuta di humor nero, ma certifica la definitiva catastrofe collettiva. Berg, mostrando sempre la sua natura compassionevole, immerge il flusso dei tre movimenti dell’opera in un’atmosfera di sgomento e paura condivisa. Non è osservatore isolato che annota e descrive, ma sofferente compartecipe del disastro. Solo in un secondo tempo, quando il massacro sarà ormai compiuto e ci saranno ovunque solo macerie materiali e morali, tenterà, adottando la tecnica dodecafonica, di partecipare alla ricostruzione. Nella demiurgica visione di Schönberg, la nuova tecnica dei dodici suoni avrebbe dovuto trasformare radicalmente il linguaggio musicale, rifondando una cultura artistica rigenerata. Quanto fosse avventata questa previsione è ormai inesorabilmente chiaro. Anche Petrenko, come Berg, si riferisce, con la sua interpretazione, al mondo delle sinfonie di Mahler. Smussa gli spigoli di una tonalità incerta che rifiuta un centro di gravità rassicurante. Unisce e confonde le varie linee orizzontali valorizzando, per quanto possibile, le “cavate” orchestrali e gli sprazzi di celata cantabilità. Il risultato, meno contundente dell’abituale, è sicura testimonianza della compassione che autore e interprete sottendono all’opera. Non si scorgono né eroismo né redenzione finale, l’umanità è inesorabilmente soccombente. C’è poco da festeggiare alla fine, rimane da ammirare con gratitudine l’eccellenza della proposta esecutiva. Irritano, in questi casi, gli applausi frettolosamente lanciati sull’ultimo accordo quando invece ci si mostrerebbe, ben più consapevoli e grati agli esecutori, mantenendo il silenzio per alcuni secondi. Con la sua lunga Suite Lemminkäinen, Sibelius, negli ultimi anni dell’Ottocento, ci delizia con abbondante splendore timbrico e coloristico. Gli icastici temi cantabili si mostrano sempre melodicamente piacevoli ma le loro ripetute riprese, pur galleggianti su un sottofondo orchestrale ammaliante, possono portarci allo sfinimento. l’OSN RAI e Petrenko suscitano dal vento che accompagna e avvolge la seconda sezione della suite e dalla brezza che timidamente increspa le acque su cui scivola il canto del cigno di Tuonela, un fascino e una bellezza sonora non più dimenticabili. Il Corno Inglese, di Teresa Vicentini, che a tale canto dà anima, completa magnificamente l’ammaliante quadro. Colpisce dell’orchestra la continua mobilità dinamica: onde sonore dominate e curate allo spasimo dall’instancabile sensibilità del braccio sinistro del direttore. Petrenko crea un’intima amalgama tra le sezioni orchestrali che concordemente costruiscono l’affascinante paesaggio sonoro. Gli archi paiono un’unica sezione tanto son compenetrati tra di loro e gli strumentini vi si uniscono con assoluta naturalezza. Impegno principale degli ottoni e delle percussioni pare essere quello di dare un suono ben timbrato pur rimanendo rispettosamente “occultati” nel corpo orchestrale. Le individualità soffrono a vantaggio di una strepitosa resa del “tutti”. Non si ricorda di aver mai udito un suono di tal fascino da parte dell’OSN RAI. Il successo convinto si trasformerebbe in trionfo se le fila del pubblico fossero folte a dovere, come la circostanza avrebbe meritato. Gli orchestrali, nel corso dei ripetuti applausi finali, plaudenti si uniscono al pubblico nel congratularsi e ringraziare un Petrenko assai commosso.
Riccardo Zandonai (Rovereto, 28 maggio 1883 – Pesaro, 5 giugno 1944) – A 140 anni dalla nascita del compositore.
L’ultimo nostro incontro avvenne a Palermo nel 1937. Erano in scena al teatro Massimo I cavalieri di Ekebù e della poderosa partitura e del vivo successo e ne avevo coronato la prima rappresentazione io aveva parlato alla radio con grande entusiasmo che lo stesso Zandonai – temperamento un po’ rude e di poche parole, ma franco e generoso, da vero figlio della sua terra – al mio apparire, tra un atto e l’altro, nel camerino riservatogli sul palcoscenico dimenticando ogni ritegno (vi era una grande folla di gente intorno a lui) mi buttò le braccia al collo con un impeto che mi parve quasi selvaggio….
Ci eravamo visti regolarmente negli anni movimentatissimi del dopoguerra tra il 1926 e il 1932, quand’ègli, ormai celebre e ricercatissimo da impresari da teatri, sbalzava da Milano a Roma, da Roma a Parigi, da Parigi a Londra a Berlino, al Vienna, a Budapest. Una mattina di luglio. Egli attendeva alla stazione di Rovereto. Gli oleandri del Viale intitolato al nome del grande filosofo Rosmini, erano tutti in fiore. Un trionfo di colori e di profumi. Ma quante gloriose in quelle contrade!…Su queste strade era transitata la lugubre carretta che portava alla morte Cesare Battisti, e lassù presso Castel Dante, erano sepolti Damiano Chiesa e di Fabio Filzi. “Lo so -furono le prime parole di Zandonai – in questa mia città si respira ancora aria d’amore per i grandi che vi sono vissuti e che vi hanno sofferto. È un atmosfera, vedi, di cui non posso far senza. Ecco perché al mio Borgo Sacco, di là del fiume faccio spesso ritorno.”
Giunti in piazza Rosmini mi prese sottobraccio ed entrammo in un palazzo, al pian terreno del quale era allora la sede di un Circolo di cultura. “Qui in quest’angolo faremo uno spuntino e qualche “ciacola” e berremmo un bicchiere di vino di queste terre, che so che non ti dispiace. Fra un paio d’ore debbo partire per Milano e fra tre giorni devo essere a Londra. Credo che la Scala faremo una ripresa dei “Cavalieri di Ekebù” e al Covent Garden Garden stiamo trattando per la “Francesca”.
– Le tue due opere che più amo
“Anche tu! Io mi preferisco di più in “Conchita” e in “Melenis”. È destino. S’amano più delle altre quelle nostre creature che hanno meno fortuna.”
Scusa la mia sincerità, ma ne Conchita né Melenis hanno pagine che possono pareggiare quella di quelle dei Cavalieri e della Francesca.... Zandonai beveva sorsi il suo vino, in silenzio non una parola, non un gesto punto ad un tratto posò il bicchiere: “Sì, forse hai ragione– e mi pianta gli occhi negli occhi – Ma vedi, tu devi pensare al lavoro da me compiuto sinora, così come ad una scala, dai gradini ripidi, aspri a salirsi, difficili e faticosi. Stammi a sentire…”Conchita”, nota dominante proprio del melodramma verista: l’amore, però, non cerebrale non come può esserlo quello cantato da Debussy, ma tutto fuoco, ardore, fremito, gelosia, crudeltà… “Melenis”, già altra atmosfera, contrastante fra il classicismo dei canoni tradizionali ed una aspirazione quasi violenta verso una libertà elaborativa più spiccata, nuovissima… “Francesca”, l’altro lirismo dannunziano, nell’influenza formidabile della tragedia greca e della tradizione dantesca… “I cavalieri di Ekebù” sogno e leggenda, miti e saghe, atmosfera nordica e, conseguentemente, lirismo più severo nel canto, approfondimento contrappuntistico e più ampio sviluppo polifonico nell’orchestrale…Giudica il quadro nel suo insieme. Mi pare così di essere giunto agli estremi gradini di quella scala. Raggiungerò la cima?…Iddio me lo conceda..Xe tardi, andémo!”…
Lasciandoci, in quel giorno di una lontana estate roveretana, più che mai mi auguravo che al suo genio fosse riservato il compito di creare un melodramma che avrebbe potuto attingere il suo soffio di vita dalla magica storia delle terre trentine. Lo colse purtroppo la morte, prima che giungesse a tanto. (Estratto da “Riccardo Zandonai: una vita per il teatro musicale, di Gino Cucchetti, 1964)
Bologna, Teatro Auditorium Manzoni, Bologna Festival 2023
Orchestre des Champs-Elysées
Direttore Philippe Herreweghe
Violoncello Andreas Brantelid
Franz Joseph Haydn: Concerto n.1 in do maggiore per violoncello e orchestra Hob.VIIb:1; Ludwig van Beethoven: Sinfonia n.3 in mi bemolle maggiore op.55 “Eroica”
Bologna, 26 maggio 2023
Nell’arco della sua non breve permanenza in questo mondo, Haydn, a cavallo fra due epoche, è riuscito a vivere le vite di due musicisti: il primo era maestro di cappella, dipendente di corte con stipendio e livrea; il secondo un genio creativo autonomo, quotato sul mercato, in un certo senso proto-romantico (pur sempre sereno e lieto). Il concerto per violoncello e orchestra n.1 in do maggiore è stato scritto dal primo dei due. E prova che l’orchestra di corte dei Principi Eszterházy doveva esser composta di ottimi professionisti, scrivere per i quali stimolava Haydn a sperimentare. Per esempio, nel primo movimento, sospeso fra la struttura a ritornello e la forma sonata. E dopo questa prima parte dedicata al più classico dei compositori classici, la seconda spetta al più turbolento dei romantici. La terza sinfonia, l’Eroica, come spiega Giovanni Bietti nel podcast confezionato per l’occasione dal Bologna Festival, appartiene a quella stagione creativa in cui Beethoven mette a punto uno stile più drammatico, aggrovigliato di tensioni, energico e, per certi versi, marziale: lo stile eroico, appunto.Che l’interpretazione di uno fra i massimi esponenti del partito delle esecuzioni stoicamente informate, già degno titolare di un seggio nel Mito, Philippe Herreweghe, alla guida della sua orchestra (ne è sia direttore artistico sia direttore principale), l’Orchestre des Champs-Élysées, specializzata nell’impiego di strumenti d’epoca, originali o ricostruiti, si conquisti l’entusiasmo generale è quasi scontato. Scintillano frequenti i sorrisi che si scambiano orchestrali e direttore durante l’esecuzione, incrociandosi con la spontanea esuberanza espressiva del solista, Andreas Brantelid, che ottiene dal suo strumento il più ampio ventaglio timbrico e cromatico: perché, secondo i trattatisti antichi, lo strumento musicale deve prestarsi alla massima varietà espressiva, come la voce umana, che ora canta, ora piange, ora grida, ora ride. Un’energia positiva si addensa in sala, ricordandoci che solo nella nostra lingua suonare e giocare non sono la stessa parola. Brantelid concede un solo encore, ma bellissimo, nel suo lirismo: Bach, Sarabanda dalla prima suite.Le esecuzioni aggiornate alla prassi esecutiva antica non hanno trovato troppa difficoltà ad imporsi su quelle di gusto romantico-moderno per quel che riguarda il repertorio settecentesco; in quello più tardo, per quanto ormai da tempo non siano più una novità, si ritrovano a dover quantomeno convivere. Ma anche qui Herreweghe ha convinto sprigionando un impeto insospettato e instancabile. Grandissima cura viene dedicata a differenziare espressivamente ognuno dei famosi accordi che aprono la sinfonia beethoveniana, squarci sonori il cui gesto estremo, diciamo pure eversivo, è comparabile, per novità e violenza, ai tagli sulla tela dipinta. Attaccati con straordinaria, maniacale, esattezza. Questi attacchi, il gesto con cui li ottiene, la volontà insaziata di spremere la partitura fino ad estrarne il massimo delle potenzialità espressive: tre tratti che divide, certo, con altri esecutori storicamente informati; ma, più curiosamente, anche con un musicista stravagante e assoluto, e di tutt’altro universo, come Stokowski. Bologna Festival devolve parte dei propri ricavi di questa serata in favore dei concittadini colpiti dall’alluvione.La rassegna continua: il prossimo appuntamento giovedì 8 giugno con le ultime tre grandi sinfonie di Mozart dirette da Marc Minkowski con i suoi Musiciens du Louvre.
Sette settimane dividono la festa della Pasqua da quella della Pentecoste. Il sette volte sett magico, era stato assunto dagli ebrei per fissare la data della celebrazione della festa della mietitura, della raccolta delle Spighe giunte a maturazione, solennizzata con sacrifici di animali ma soprattutto con l’offerta della nuova farina, ricavata dal nuovo frumento e cotta anche sotto forma di pane lievitato. La festa celebrava anche la proclamazione della legge da parte di Mosè sul Sinai era avvenuta come narra l’Esodo a distanza di 50 giorni dalla fuoriuscita degli ebrei dall’Egitto. In tal senso la festa era anche finalizzata alla celebrazione dell’Alleanza di Dio con il suo popolo, del legame perpetuo che teneva unito jahvè con gli israeliti.
La festa ebraica venne assunta per analogia anche della tradizione Cristiana che Le diede il nome greco di Pentecoste che significa cinquantesimo giorno dopo la Pasqua. Gli antichi significati di questa celebrazione di alleanza vennero adottati dal cristianesimo e dotati di valori assoluti: i doni della terra divengono i doni dello Spirito Santo che discende sulla terra per coronare l’opera di Gesù e il concetto di alleanza sta a indicare la nuova unità spirituale dei popoli sotto il segno del Salvatore. Il racconto di quanto avvenne in quei giorni, il cinquantesimo della Pasqua è contenuto negli Atti degli apostoli ma le cantate di Bach, come quasi sempre avviene preferiscono trarre suggerimento dal Passo evangelico che per quel giorno è ancora estratto da Giovanni (cap. 14 vers.23-31) dove si riferiscono i colloqui avvenuti tra Gesù e i suoi discepoli dopo quella che doveva essere l’ultima a cena: Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi; se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto adesso, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate. Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il principe del mondo; egli non ha nessun potere su di me, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato. Alzatevi, andiamo via di qui».
Nella cristianità la festa di Pentecoste è seconda soltanto a quelle della Pasqua è quest’ultima è legata anche da una connessione temporale. Nei primi secoli il battesimo, che veniva spmministrato ai catecumeni solo nell’ottava della Pasqua, quando si deponevano le vesti bianche, domenica “in Albis”, venne poi somministato fino a Pentecoste. Nel mondo luterano la Pentecoste veniva solennizzata come per la Pasqua e Natale, per tre giorni consecutivi. Per le tre feste della Pentecoste, Bach scrisse un numero considerevole di Cantate, molte delle quali si avvalevano di materiale musicale preesistente, fatto certamente spiegabile se si considera l’impegno che tre feste consecutive comportavano.
Seguendo l’ordine cronologico incontriamo la Cantata “Erschallet, ihr Lieder, erklinget, ihr Saiten! BWV 172 eseguita per la prima volta a Weimar nel 1714 per poi essere ripresa a Lipsia nel 1724 e nel 1731.”Squillate, canti, suonate, corde! O tempi felici!”…l’incipit della Cantata trova una mirabile espressione in musica nelle straordinarie sonorità di trombe e timpani del Coro iniziale che aprono la Cantata. Questo clima trionfale lo ritroviamo nella successiva aria del Basso, a lode della Trinità (“Santissima Trinità, grande Dio di gloria”…) preceduta da un recitativo-arioso. Il resto della partitura si piega ad espressioni più intime a partire da una delicata aria tripartita affidata al tenore (“O Paradiso dell’anima”) e ancor più nells squisita e delicata semplicità dell’aria-duetto tra Anima (Soprano) e Spirito Santo (Controlto) sostenuta da una strumentazione minimale (Oboe e violoncello obbligato). Preceduto da un Corale (“Un raggio di sole mi giunge da Dio”) ritorna l’atmosfera gioiosa e solenne del Coro iniziale.
Nr.1 – Coro
Squillate, canti, suonate, corde!
O tempi felici!
Dio prepara le nostre anime
ad essere il suo tempio.
Nr.2 – Recitativo (Basso)
Chi mi ama, osserverà la mia parola
e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui
e prenderemo dimora presso di lui.
Nr.3 – Aria (Basso)
Santissima Trinità,
grande Dio di gloria,
vieni, in questo tempo di grazia,
discendi in noi,
vieni nel tabernacolo dei nostri cuori,
sebbene siano piccoli e insignificanti,
vieni e lasciati adorare,
vieni ed entra in noi!
Nr.4 – Aria (Tenore)
O paradiso dell’anima,
in cui aleggia lo Spirito di Dio
che soffiò alla creazione,
lo Spirito che non finirà mai;
si, su, preparati,
il Consolatore si avvicina.
Nr.5 – Aria- Duetto (Soprano, Contralto)
Soprano (Anima)
Vieni, non farmi aspettare ancora,
vieni, dolce vento del cielo,
soffia nel giardino del mio cuore!
Contralto (Spirito Santo)
Ti darò vita, bambino mio.
Soprano
Carissimo amore, tanto dolce,
pienezza di ogni delizia,
morirei, se privato di te.
Contralto
Ricevi da me il bacio della grazia.
Soprano
Benvenuto nella fede,
amore supremo, vieni ed entra!
Tu mi hai preso il cuore.
Contralto
Io sono tuo e tu sei mio!
Corale
Un raggio di gioia mi giunge da Dio,
quando i tuoi occhi preziosi
si volgono a me con amicizia.
O Signore Gesù, mio bene supremo,
la tua parola, il tuo spirito, il tuo corpo ed il tuo
sangue
mi rinnovano interiormente.
Accoglimi
come un amico
nelle tue braccia, riscaldami con la tua grazia:
sono stato invitato dalla tua parola.
Nr.7 – Coro
Squillate, canti, suonate, corde!
O tempi felici!
Dio prepara le nostre anime ad essere il suo tempio.
Traduzione Emanuele Antonacci