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Aggiornato: 1 ora 33 min fa

Maria Callas: “Il mio dramma d’artista e di donna”

Mar, 16/09/2025 - 09:33

Ricordando Maria Callas  a 48 anni dalla morte.
Da “Oggi” – 16 gennaio 1958.
La più triste serata della mia carriera artistica fu preceduta da lietissimi auspici: e questo vaga per tutti i “superstiziosi” ( ce ne sono tanti, nell’ambiente del teatro) che sogliono sempre scorgere presagi fausti o infausti in ogni piccola cosa. E tutta via anche se fossi stata avvezza da tempo a dar retta ai cosiddetti “avvertimenti della sorte”, e ne avessi scorti, questa volta, di sfavorevoli, mai e poi mai avrei potuto prevedere l’ondata di violenza e di crudeltà che mi è stata rovesciata addosso, dopo dopo quella recita del 2 gennaio, così dolorosamente troncata. Sono stata letteralmente linciata. i giornali non soltanto di Roma in Italia, ma d’Europa è di America – tranne eccezioni, che per essere stati così rare mi hanno ancora più commosso –  hanno messo da parte, per due, tre, giorni, gli avvenimenti di politica internazionale  e hanno dedicato le loro prime pagine al mio povero nome. Era il momento buono per trascinarlo nel fango. Era l’occasione favorevole per farmi pagare caro il successo di tanti anni. Ah, dunque questa donna era riuscita ad affermarsi tanto fortemente nel mondo della musica col solo aiuto della sua voce ? Ebbene, che cosa c’era, che cosa poteva esserci di più divertenti, dello schiacciarla e calpestarla ben bene, proprio nel momento in cui di voce non ne aveva più, per potersi far sentire e difendere; per cosa che cosa poteva esserci di più spiritoso del darle il colpo di grazia,  come si fa con un essere, nocivo ormai ferito a morte?
Un’amara esperienza
Non ce l’ho con i giornalisti, i quali fanno come meglio sanno un mestiere che spesso esige durezza; e comunque ora scrivo per un giornale che mi è stato messo generosamente a disposizione. Non ce l’ho nemmeno con quel gruppo di persone che, per un paio di giorni, ha sostato davanti all’ingresso del mio albergo romano, fischiando non una una artista che aveva cantato male (piuttosto avrei preferito non cantare) ma una donna ammalata: chiedendo a gran voce la facoltà di indicarle la via di guarigione al suon di offese. No; ce l’ho soprattutto con me stessa, perché mi sono amareggiata e infinitamente di tutto ciò. Perché non ho imparato che i più preferiscono all’arte l’artificio e alla sincerità la furberia. Ce l’ho con me stessa, perché mi sono sempre ostinata – e mi ostinerò, con l’aiuto di Dio – a considerare il teatro musicale non solo come un “mestiere” ma come un’arte degna del più alto rispetto, e come la ragione della mia vita. Ce l’ho con me stessa, ma ormai è troppo tardi per cambiare il mio carattere. Continuerò ad essere l’identica Callas di prima: con una amara esperienza in più, s’intende.
Tutto, dunque, era incominciato bene, addirittura splendidamente. Ero giunta Roma la sera di Santo Stefano, e l’indomani, a mezzogiorno, ero andata in teatro avevo iniziato le prove. Ero felice di tornare, dopo qualche tempo, a cantare a Roma. Questo voglio affermarlo ben chiaramente, sarà perché fra le tante assurdità che si sono scritte nei giorni scorsi, ho letto anche quelle a seconda in cui io avrei considerato il presentarmi all’opera romana come una “diminuzione” . Ma come? Io all’Opera ho cantato fin da lontano 1950, guidata spesso da quel grande musicista e grande amico mio che è Tullio Serafin., ho cantato, da allora e negli anni successivi, Norma (in due edizioni), Parsifal, Turandot, Puritani, Tristano e Isotta, Lucia, Traviata, Medea, Trovatore, Aida, per almeno una sessantina di spettacoli complessivamente., e molte fra le mie serate al Teatro Romano restano, nel il mio ricordo, per le più belle soddisfazioni della mia carriera artistica. Come avrei potuto, dunque, considerare la Norma annunziata per il 2 gennaio se non come una lieta occasione per ripresentarmi a un pubblico che mi aveva dato tanta gioia? Continuammo le prove per tutto il giorno  28 ero abbastanza contenta di me., anche se, nella tarda serata, avvertii un lieve dolore di gola. Nel frattempo Fedora Barbieri, che doveva sostenere la parte di Adalgisa, si era messa a letto con l’influenza, ed era stata sostituita da Miriam Pirazzini. Conveniva essere prudenti: passai gran parte di Domenica 29 Dicembre  nella mia camera d’albergo a riposare. Il giorno dopo stavo bene: la sera ci fu l’antiprova generale, che cantai nelle mie migliori condizioni di voce. Tutti i presagi volgevano al meglio.
L’ultimo dell’anno, prova generale. Cantai la parte a piena voce, tanto che il maestro Santini mi suggerì bonariamente di non impegnarmi a quel modo; ma non gli diedi retta: prima di tutto perché non ho mai accettato di fare la prova generale se non con lo stesso impegno che metto nella recita; e  poi perché amo troppo Norma, sento troppo il suo dramma, per non incominciare a “viverlo”, con ogni mia risorsa vocale tutte le volte che l’opera viene eseguita atto per atto, decima fondo. La prova generale finì tra le soddisfazioni di tutti. Andai nel mio camerino, un camerino gelido e mi struccai. Giravano correnti d’aria, s da molte fessure. Improvvisamente senti un brivido, avverti i sintomi di un principio di raucedine. Erano le 8:30 di sera, corsi all’Auditorium della Televisione, dove avevo l’impegno di cantare “Casta Diva”, per una trasmissione in collegamento con tutta l’Europa. E poi, no, cari amici, non andai a ballare tutta la notte, come molti giornali hanno scritto: mi limitai a stappare una bottiglia in compagnia di mio marito e di pochi amici, in onore dell’anno nuovo: la stessa cosa, credo che in quel momento stava facendo la maggioranza dei comuni mortali. All’una di notte ero a letto; dormii tranquillamente fino alle 11 del mattino. Mi destai, aprii la bocca: ma non un suono, non una parola riuscii d emetterne. Ero completamente afona, muta. La mia voce se ne era andata. e la Norma era l’indomani sera, e il Teatro esauritissimo: la gente si preparava a venire a “sentire la Callas”. Mi sentii invadere dal terrore. (Continua)

 

Categorie: Musica corale

Canto lirico, Specializzazione di 3° livello: iscrizioni a. a. 2025/27 entro il 5 ottobre 2025

Lun, 15/09/2025 - 21:39

La Fondazione Accademia di Musica e la Fondazione Luciano Pavarotti sono liete di annunciare l’apertura delle iscrizioni al biennio accademico 2025/27 del Corso biennale di Specializzazione di 3° livello  del sistema universitario in canto lirico, rivolto a cantanti già in possesso della Laurea Magistrale (o vecchio ordinamento o titolo equipollente) che vede confermati tra i docenti tre acclamatissimi cantanti, ospiti dei più prestigiosi enti lirici mondiali: il tenore Marcelo Álvarez e la soprano Fiorenza Cedolins – che hanno iniziato la loro carriera grazie a Luciano Pavarotti – e il baritono Ambrogio MaestriLaura Cosso, oltreché docente delle materie sceniche, è il capo dipartimento per la Fondazione Accademia di Musica ETS, e Marcelo Álvarez il responsabile per la Fondazione Luciano Pavarotti.
L’opportunità formativa è una realtà unica nel panorama musicale italiano, rivolta ai giovani cantanti lirici desiderosi di affinare talento e competenze in un processo di maturazione verso una carriera professionale in ambito operistico o verso l’insegnamento.
Il titolo finale equipollente ai diplomi delle Scuole di specializzazione in Beni musicali di cui al D.M. 31/01/2006 è riconosciuto dal Ministero ai fini dei pubblici concorsi per l’insegnamento nelle istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica con 3 Punti.
Un approccio didattico innovativo trova fondamento nella sinergia tra tutti i docenti di canto e di repertorio, di recitazione e di teatro, creando un percorso finalizzato alla formazione del cantante-attore, cui si aggiungono alcune materie fondamentali per gestire la propria attività professionale. Docenti di canto ospiti dei più prestigiosi enti lirici mondiali, garantiscono una pluralità di tendenze interpretative ed estetiche con docenti di fama internazionale, pur muovendosi all’interno di un alveo unitario, ispirato all’eredità artistica di Luciano Pavarotti.
Le lezioni del corso si terranno a Torino presso la sede della Fondazione Accademia di Musica con incontri mensili ed è prevista una fase di tirocinio, nel periodo estivo, che si svolgerà a Modena, all’interno della Casa Museo Luciano Pavarotti, proprio nella stessa sala in cui il Maestro faceva audizioni e dava lezioni agli studenti più meritevoli. L’esperienza “immersiva” nel mondo di Luciano Pavarotti sarà catalizzante e fonte di ispirazione.
Per iscriversi al biennio accademico 2025/27 è necessario inviare la propria domanda utilizzando il form sul sito www.accademiadimusica.it entro il 5/10/2025. La Fondazione Accademia di Musica riserva agli studenti ammessi al biennio delle borse di studio, per promuovere sempre più equità nell’accesso all’istruzione musicale post universitaria e dare maggiori opportunità di specializzazione a giovani di talento provenienti da tutto il mondo. Qui per ulteriori informazioni.

Categorie: Musica corale

Parma e Busseto, 25° Festival Verdi: “Verdi e Shakespeare” dal 20 settembre al 19 ottobre 2025

Lun, 15/09/2025 - 19:23

Festival Verdi compie 25 anni e il suo enfant terrible, Verdi Off, 10. Un doppio anniversario importante che il Teatro Regio di Parma ha festeggiato a febbraio a Roma al Ministero della Cultura con la conferenza di presentazione del programma che si svolgerà dal 20 settembre al 19 ottobre 2025 a Parma e Busseto, nelle terre natali del Maestro, intorno al 10 ottobre, giorno del suo compleanno.
Il Festival Verdi prosegue la sua crescita nel solco che gli è proprio della grande accuratezza filologica e scientifica al dettato originale verdiano delle opere che produce, grazie alla stretta collaborazione con l’Istituto Nazionale di Studi Verdiani. Contestualmente Verdi Off, sfida e stimola a guardare all’opera e ai valori verdiani, col coraggio di osare sguardi nuovi con rispetto e leggerezza, senza tradirlo, ma per farlo conoscere e amare ancora di più.
È il legame tra Giuseppe Verdi (1813 – 1901) e William Shakespeare (1564 – 1616) il fil rouge del Festival Verdi 2025. Due artisti lontani nel tempo, ma accomunati dalla capacità di rendere l’arte specchio del presente portando sulla scena le passioni, i conflitti e le fragilità di un’umanità autentica che ancora parla al nostro tempo.
Nuovi allestimenti affidati a grandi maestri della regia e a giovani team creativi under 35, concerti, spettacoli e incontri pensati per far vivere a pubblici diversi l’emozione della musica del Maestro nelle sue terre.
Fulcro del Festival sono le nuove produzioni di Otello (26 settembre, 5, 11, 19 ottobre, direttore Roberto Abbado, regia Federico Tiezzi, al debutto al Teatro Regio) e Macbeth, presentato nella versione del 1847 (27 settembre, 4, 9, 17 ottobre), direttore Francesco Lanzillotta, regia Manuel Renga, (al debutto nel titolo), realizzate nei laboratori del Teatro Regio, e il riallestimento di Falstaff (3, 12, 16 ottobre, direttore Michele Spotti, regia Jacopo Spirei).
Completano il programma i concerti della Messa da Requiem (18 ottobre) e del Gala Verdiano (10 ottobre), diretti da Robert Treviño e Paolo Carignani, insieme a Fuoco di Gioia (14 ottobre), gala lirico benefico con la partecipazione di alcuni dei più celebri interpreti verdiani organizzato dal Gruppo Appassionati Verdiani – Club dei 27, e al concerto di Michele Gamba con il Quartetto Luigi Magnani (2 ottobre).
La programmazione artistica si fonda sulla presenza di interpreti riconosciuti a livello internazionale e sulla valorizzazione dei giovani. Così, grandi interpreti di fama internazionale dialogano con artisti di nuova generazione: Fabio Sartori, Ariunbaatar Ganbaatar, Mariangela Sicilia, Vito Priante, Misha Kiria, Roberta Mantegna, Marta Torbidoni, Michele Pertusi, insieme ai giovani talenti provenienti dall’Accademia Verdiana, diretta da Francesco Izzo: Melissa D’Ottavi, Francesco Congiu, Alessia Panza.
Al Festival si rinnova e rinsalda la stabile collaborazione del Teatro Regio con La Toscanini e il Coro del Teatro Regio di Parma preparato da Martino Faggiani. Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Roma, Museo Ostiense: “Emozioni Parallele”

Lun, 15/09/2025 - 15:00

Roma, Parco Archeologico di Ostia Antica
Museo Ostiense
“EMOZIONI PARALLELE”
Roma, 15 settembre 2025
Entrare nel Museo Ostiense significa già varcare una soglia sospesa: non è soltanto l’accesso a un contenitore di reperti, ma a un luogo che restituisce, attraverso frammenti, la vita quotidiana di un’intera comunità. È in questo contesto che prende forma Emozioni Parallele, la mostra che intreccia le testimonianze dell’Ostia antica con le opere contemporanee di Pierluigi Casagrande. Non un confronto forzato, né un esperimento effimero, ma un invito a sostare tra due mondi, lasciando che siano le emozioni a fare da filo conduttore. Casagrande lavora con un materiale che non appartiene alla tradizione dell’arte: tubi di cartone industriali, corpi anonimi destinati al consumo, alla funzione, allo scarto. Eppure, proprio in questa scelta minima si compie un atto di rivelazione. La materia più povera diventa superficie di pittura, luogo di scrittura visiva, spazio che accoglie la tensione del gesto creativo. È un ribaltamento che non chiede stupore ma attenzione: ricordarci che l’arte può germogliare in ogni piega del quotidiano, che la bellezza non risiede nel pregio dei materiali ma nello sguardo che li trasforma. All’interno del museo, queste opere non cercano protagonismo. Non si impongono, non gridano, ma abitano lo spazio con discrezione. Accanto alle statue, ai rilievi, alle pitture che narrano il porto cosmopolita di Roma, si dispongono senza arroganza, creando una trama silenziosa di rimandi. È come se ogni elemento, antico o contemporaneo, attendesse l’altro per completarsi. Non c’è gerarchia, solo dialogo. Non c’è scontro, solo una vicinanza che genera risonanze inattese. Il visitatore è chiamato a muoversi in questa trama senza la protezione di percorsi obbligati. Non conta conoscere il nome dell’autore, né il secolo in cui un’opera è nata. Conta il passo che si compie davanti a ciascun oggetto, il tempo che si decide di dedicargli, l’attenzione che gli si concede. Una statua funeraria di duemila anni fa e una pittura recente su cartone diventano allora due volti di una stessa esperienza: entrambi chiedono di essere guardati senza pregiudizi, entrambi offrono un frammento di verità che non si lascia tradurre in concetti ma si manifesta come emozione. È questo il punto in cui la mostra si fa davvero necessaria. Perché ricorda che l’arte non appartiene alle cronologie, ma all’umanità che la produce e la osserva. Le emozioni non hanno epoca, sono la parte più resistente e universale di noi. Non importa se la materia è marmo imperiale o cartone industriale: ciò che resta, ciò che vibra, è la capacità di suscitare risonanza interiore. Il Museo Ostiense, nel suo riallestimento del 2024, ha già restituito con forza questa idea di pluralità: Ostia come crocevia di culture, città portuale dove convivevano religioni, lingue, forme dell’abitare diverse. In questo paesaggio stratificato, il contemporaneo non appare un’intrusione ma un prolungamento naturale. Le opere di Casagrande proseguono la vocazione di un luogo che da sempre accoglie, unisce, mette in relazione. La mostra diventa così un’esperienza civile, oltre che estetica. Non soltanto perché invita a guardare l’antico con occhi nuovi, ma perché insegna a vivere il museo non come sacrario, ma come spazio di libertà. Libertà di interpretare, di emozionarsi, di creare connessioni personali. In questo senso, Emozioni Parallele non è solo esposizione di opere, ma esercizio di sensibilità. Ci ricorda che il valore dell’arte non si misura con categorie rigide, ma con la capacità di toccare chi la incontra. E allora il messaggio diventa chiaro: ciò che davvero unisce passato e presente non è la materia, non è lo stile, ma la fragilità di un’emozione condivisa. Guardare un reperto archeologico o una tela contemporanea è un gesto che ci restituisce a noi stessi, ci ricorda che siamo parte di un flusso più grande, di un tempo che non smette di intrecciarsi. In fondo, questa mostra insegna a rallentare. A non cercare risposte immediate, a non ridurre le opere a illustrazione di concetti. Ci invita a restare, ad ascoltare, ad accettare che ciò che vediamo non sia sempre traducibile in parole. È in questo silenzio che l’arte mostra la sua forza: non come conoscenza acquisita, ma come esperienza vissuta. Chi esce da Emozioni Parallele non porta con sé un elenco di dati, ma la sensazione di aver attraversato un paesaggio emotivo. Un paesaggio fatto di materiali umili e di marmi solenni, di volti scolpiti e superfici dipinte, di storie lontane e visioni contemporanee. Tutto scorre insieme, parallelo, senza fondersi ma senza smettere di parlarsi. E forse è proprio questa la lezione più semplice e più profonda: che l’arte, in ogni sua forma, non è mai lontana. È qui, nel nostro sguardo, nella nostra disponibilità a sentire. È un ponte fragile ma resistente, capace di unire tempi e persone, capace di trasformare persino il cartone in memoria, persino il marmo in emozione presente.

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Camille Saint-Saëns (1835 – 1921): “L’Ancêtre” (1906)

Dom, 14/09/2025 - 19:46

Dramme lyrique in tre atti su libretto di Lucien Augé de Lassus. Jennifer Holloway (Nunciata), Gaëlle Arquez (Vanina), Hélène Carpentier (Margarita), Julien Henric (Tébaldo), Michael Arivony (Raphaël), Matthieu Lécroart (Bursica), Yui Yoshino (Une Femme). The Philharmonic Chorus of Tokyo, Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo, Kazuki Yamada (direttore). Registrazione: Montecarlo, Auditorium Ranieri III 1-6 ottobre 2024. 2 CD Palazzetto Bru Zane
L’Ancêtre” composta da Camille Saint-Saëns nel 1905 – andata in scena a Montecarlo l’anno successivo – rientra in quel genere naturalistico divenuto di moda dopo “Carmen” e ha molti punti di contatto con “La navarrese” di Massenet. Come per quest’ultimo il naturalismo quasi verista di queste vicende – nel caso in questione un cupo dramma di vendette nella Corsica napoleonica – rappresenta un passaggio quasi sperimentale e non riesce a toccare le corde più profonde del compositore. Ne esce un’opera ibrida sospesa tra passato e presento, tra ricordi di Berlioz e suggestioni di Debussy e in cui il carattere brutalmente locale scivola in un bozzettismo venato di lirismo.
Saint-Saëns è – come sempre – sublime orchestratore e proprio la scrittura orchestrale rappresenta l’elemento più compiuto della partitura. Anche a causa della brevità dell’opera – circa un’ora e quaranta per tre atti – i caratteri dei personaggi sono poco più che sbozzati anche se la contrapposizione tra le tre parti femminili e nel complesso centrata.
La presente registrazione nasce nella stessa Montecarlo che aveva dato i natali all’opera. L’ Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo – che per la fondazione Bru Zane ha già registrato “Dejanire” – non è forse una compagine di primissimo livello ma ha con questo tipo di musica un’invidiabile intesa e suona con precisione e professionalità. Forse una maggior forza vitale sarebbe stata possibile con altro direttore, Kazuki Yamada non dirige male. É preciso, corretto, attento a tutti i dettagli ma la personalità è limitata e non brilla di fantasia. Una prova di alta routine ma qualche cosa manca. Il Philharmonic Chorus of Tokyo si fa apprezzare per la precisione della dizione francese e la sua prestazione risulta nel complesso pienamente funzionale.
Valida la compagnia di canto, La matriarca Nunciata, che con il suo odio implacabile trascinerà la vicenda verso l’inevitabile tragedia, è affrontata con temperamento al calor bianco da Jennifer Holloway. Americana di nascita ma frequentatrice abituale dei palcoscenici francesi ha la chiarezza di dizione e la forza d’accento richiesti dalla parte. La croce è robusta, ampia e particolarmente sonora e solo sugli estremi acuti mostra qualche durezza. La parte però concede qualcosa al riguardo e il temperamento compensa.
Le due giovani sono affidate a Gaëlle Arquez (Vanina) e Hélène Carpentier. La prima è un mezzosoprano dalla voce morbida e carezzevole e dalla linea di canto elegantemente rifinita. La parte è caratterizzata da un canto dolente e patetico cui l’Arquez da il giusto rilevo. Margarita ha invece il timbro luminoso e il canto spumeggiante della Carpentier sicura nel passaggi d’agilità e di bell’abbandono lirico nel duetto con Tébaldo, una delle pagine musicalmente più riuscite dell’opera.
Nei panni di quest’ultimo troviamo Julien Henric, tenore lirico pieno dalla voce bella e squillante. Il personaggio vive una sorta di doppia natura tra l’amoroso e l’eroico non sempre perfettamente fusa. Henric esalta soprattutto la prima con un canto morbido ed elegantissimo. Michael Arivony è un segno della dimensione ormai autenticamente globale dell’opera lirica. Il baritono malgascio non è però solo una curiosità. La parte del monaco Raphaël è tra le principali dell’opera – la scrittura ricorda quella del Grand Pretre de Dagon in “Samson et Dalila” rivista in chiave più lirica – e viene affrontata non solo con una voce davvero bella ma con una linea di canto raffinata ed elegante, nella più pura tradizione del baritono nobile francese. Matthieu Lécroart presta una voce solida e un accento autorevole al porcaro Bursica. Come sempre ricchissimo il libretto di accompagnamento – in inglese e francese – e molto buona la qualità di registrazione.

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Le Cantate di Johann Sebastian Bach: tredicesima Domenica dopo la Trinità

Dom, 14/09/2025 - 08:33

Composta per la tredicesima domenica dopo la Trinità, che cadde il 26 agosto 1725, la Cantata BWV 164,”Ihr, die ihr euch von Christo nennet” (Voi che invocate il nome di Cristo)  completa il trittico delle 3 cantate dedicate a questa Domenica. Basata su un testo tratto dall’Evengelishces Andachts-Opffer di Salomo Franck, pubblicato a Weimer nel 1715. 
La melodia delicata in 9/8 dell’aria del Tenore (Nr.1) che apre la cantata è accompagnata solo dagli archi, ma la scrittura a quattro e talvolta a cinque parti è opulenta. Si crea un’atmosfera delicatamente pastorale, di dignità contenuta, sostenuta dall’irrequietezza delle semicrome quasi continue, nove per battuta. Tuttavia, è un’apertura affascinante, rafforzata dall’aria deliziosamente delicata e bella che segue il  recitativo del Basso (Nr.2). Una pagina con un semplice arrangiamento per basso continuo, due flauti e voce di contralto.  Il recitativo del tenore (Nr.3) è seguito da un potente duetto (Nr.4) per soprano e basso che cantano in stretta imitazione,  introdotto da un fascinoso accompagnamento orchestrale. “Ihr, die ihr euch von Christo nennet” si conclude con una schietta armonizzazione di un corale di Elisabeth Kreuziger per coro e orchestra completa colla parte.
Nr.1 – Aria (Tenore)
Voi che invocate il nome di Cristo,
dov’è la compassione da cui
dovrebbero riconoscervi come cristiani?
E’ molto lontana, ahimè, da voi.
I vostri cuori dovrebbero essere pieni d’amore,
invece sono più duri di una pietra.
Nr.2 – Recitativo (Basso)
Abbiamo ascoltato dunque ciò l’Amore stesso dice:
chi accoglie il suo prossimo con misericordia
nel giorno del giudizio
riceverà misericordia.
Eppure non ce ne preoccupiamo!
Dobbiamo ascoltare il lamento del prossimo!
Bussa al nostro cuore, ma esso non si apre!
Vediamo le sue mani contorcersi,
i suoi occhi pieni di lacrime;
eppure il nostro cuore non riesce ad amare.
Il sacerdote ed il levita
che passano dall’altra parte
sono il vero ritratto dei cristiani senza amore;
agiscono senza curarsi della sofferenza altrui,
non versando né olio né vino
sulle ferite del prossimo.
Nr.3 – Aria (Contralto)
Solo attraverso l’amore e la misericordia
diventeremo l’immagine di Dio.
Cuori come quello del samaritano
soffrono per le sofferenze degli altri
e sono ricchi di compassione.
Nr.5 – Recitativo (Tenore)
Ah, fondi con un raggio del tuo amore
il mio cuore di freddo acciaio,
così da poter praticare ogni giorno,
mio Salvatore, il vero amore cristiano;
e la sofferenza del mio prossimo,
chiunque egli sia,
amico o nemico, cristiano o pagano,
tocchi sempre il mio cuore come fosse la mia!
Il mio cuore sia colmo di amore e tenerezza,
e allora la tua immagine si rivelerà in me.
Nr.6 – Aria/Duetto (Soprano, Basso)
Alle mani che non si chiudono,
sempre spalancato sarà il Paradiso.
Agli occhi che piangono di compassione
è rivolta la misericordia del Salvatore.
Ai cuori tesi verso l’amore
Dio donerà il suo stesso cuore.
Nr.7 – Corale
Mortificaci con la tua bontà,
risvegliaci con la tua grazia!
Spogliaci dell’uomo vecchio
così che il nuovo possa vivere
già qui su questa terra, 
avendo la sua mente, i suoi desideri
e i suoi pensieri rivolti a te.
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Ihr, die ihr euch von Christo nennet” BWV 164
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Treviso, Teatro Mario Del Monaco: l’Orchestra Barocca di Venezia apre la Stagione Concertistica 25/26 il 16 settembre

Sab, 13/09/2025 - 20:05

Si alza il sipario sulla stagione concertistica 25/26 del Teatro Mario Del Monaco di Treviso con la direzione artistica del maestro Stefano Canazza: martedì 16 settembre alle ore 20 il palcoscenico trevigiano accoglierà il primo e atteso evento speciale fuori abbonamento, il concerto Una festa barocca in collaborazione con la Fondazione Antiqua Vox. Protagonista l’Orchestra Barocca di Venezia, tra i principali ensemble internazionali su strumenti originali, con la direzione musicale di Andrea Marcon e la partecipazione straordinaria del mezzosoprano di origine ceca Magdalena Kožená. Un appuntamento di forte richiamo per gli amanti della musica barocca, che dà il via a una stagione dinamica e varia, capace di spaziare dal repertorio sinfonico a quello cameristico, dal recital al concerto solistico, passando per la musica nuova così come quella da film, senza dimenticare il Jazz e il Gospel.
Il programma del concerto del 16 settembre si apre con la solenne Ouverture di Francesco Maria Veracini, caratterizzata da uno slancio teatrale e una intensità drammatica tipici della grande tradizione italiana, introducendo un percorso che si sviluppa tra virtuosismo e invenzione. Seguono tre concerti di Antonio Vivaldi che esprimono la varietà inesauribile della sua inventiva: la leggerezza luminosa del flautino, la forza dialogica dei due violoncelli, l’agile confronto dei due violini. La celebre Follia, elaborata da Geminiani sul modello di Corelli, rinnova il tema arcaico in un caleidoscopio di variazioni che incarnano lo spirito più libero e sorprendente del Barocco. E con Georg Friedrich Händel trionfa l’arte della sintesi: il Concerto grosso op. 6 n. 1 intreccia eleganza ed energia, mentre le arie tratte da Ariodante, accompagnate dalla voce di Magdalena Kožená, uniscono profondità drammatica e quella vitalità luminosa che caratterizza un’epoca in cui la musica era davvero una festa dell’anima.
Ad anticipare il concerto, alle 19, nel foyer del teatro si terrà un incontro di approfondimento al programma a cura della giornalista Marina Grasso.
I biglietti per il concerto sono in vendita presso la biglietteria del Teatro Mario Del Monaco e online sul sito. In foto: Orchestra Barocca di Venezia

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Trento, Trento Musicantica 2025: “Giubilar cantando”, al via la 39esima Stagione

Sab, 13/09/2025 - 18:18

Con un concerto di canti sacri al sorgere del sole, venerdì 12 settembre ha preso il via la 39esima stagione concertistica di Trento Musicantica, festival internazionale che, come da attesa tradizione, torna ogni autunno a portare l’emozione della musica antica al Castello del Buonconsiglio e in altri luoghi storici del capoluogo trentino. Organizzato dal Centro Servizi Culturali Santa Chiara e dal Centro di eccellenza Laurence K. J. Feininger, impegnato da anni nello studio e nella diffusione della musica antica, il Festival è in programma fino al 5 dicembre e presenta un cartellone di ampio respiro artistico, con otto appuntamenti tra nuovi progetti, momenti di approfondimento e capitoli da riscoprire.
Intitolato Giubilar cantando, il Festival volge in particolare l’attenzione a tre ricorrenze che cadono nel 2025: il Giubileo della Speranza, il cinquecentenario della nascita di Giovanni Pierluigi detto ‘il Palestrina’, tra i maggiori compositori del Rinascimento europeo, e il terzo centenario dalla morte di Alessandro Scarlatti, tra i più importanti autori di scuola napoletana e tra i maggiori compositori italiani tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento. Progetto e cura artistica del Festival: Danilo Curti, Roberto Gianotti, Marco Gozzi.
La maggior parte degli appuntamenti, grazie ad una collaborazione attiva fin dalla nascita del Festival, ha sede al Castello del Buonconsiglio; oltre al Castello, il Festival toccherà altri due luoghi di grande interesse storico artistico di Trento: la Badia di San Lorenzo e la Chiesa di San Francesco Saverio.
Dopo l’alba musicale al Castello del Buonconsiglio di Trento con canti sacri al sorgere del sole affidati al Gruppo vocale Laurence Feininger diretto da Roberto Gianotti, il secondo concerto, martedì 16 settembre alle 20.30 nella Chiesa di San Francesco Saverio, vede protagonista la Cappella Musicale di Santa Maria dell’Anima diretta da Flavio Colusso, presente anche nella veste di regista e compositore con una particolare predilezione per la musica sacra. Dedicato a Giovanni Pierluigi da Palestrina, il concerto è inserito nelle celebrazioni volute dal Comitato nazionale per il quinto centenario della nascita di Palestrina; sul leggio un lavoro di rara esecuzione, la Missa Petra Sancta, proposta in una forma teatralizzata che ne sottolinea i significati simbolici e spirituali e con la suggestiva narrazione di un testo di Paolo Sequi (1938-2021). Il programma del concerto è inoltre arricchito dalla prima esecuzione di Historie di Petraloysio, ‘Esercizio spirituale concertato’ a sette voci composto da Flavio Colusso. Qui per il programma di Trento Musicantica 2025. Ingresso libero. Non è prevista la prenotazione. Per informazioni contattare il numero verde 800013952.

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Murano, Museo del Vetro: “Vero Casanova” dal 13 settembre 2025 al 18 gennaio 2026

Ven, 12/09/2025 - 18:07

L’11 settembre 2025 è stata inaugurata al Museo del Vetro di Murano (VE) “Vero Casanova”, una mostra promossa dal Consorzio Promovetro Murano in collaborazione con Fondazione Musei Civici di Venezia, aperta al pubblico dal 13 settembre 2025 al 18 gennaio 2026.
Curata dall’architetto Matteo Silverio, l’esposizione rende omaggio a Giacomo Casanova, figura emblematica e complessa del Settecento veneziano, attraverso un percorso immersivo che si sviluppa attorno a undici opere e installazioni in vetro realizzate da alcuni dei più importanti maestri muranesi. Le creazioni interpretano aspetti diversi della sua personalità – contraddittoria, brillante, inquieta – in dialogo costante con lo spirito dell’Illuminismo e con l’immaginario della Venezia del tempo.
La mostra non segue un ordine cronologico, ma si articola in temi-chiave come Magia, Alchimia, Illusione, Gioco, Teatro, Viaggio, Inganno, Piacere, Fuga e Memoria, invitando il visitatore a riscoprire Casanova non solo come libertino, ma come uomo di ingegno, simbolo di desiderio e di libertà.
“Vero Casanova” è realizzata con il contributo di Regione del Veneto e Camera di Commercio Venezia e Rovigo, in collaborazione con il Comune di Venezia e Fondazione MUVE, e con il supporto di CoReVe e CEI – Compagnia Energetica Italiana. L’iniziativa è parte integrante del programma di The Venice Glass Week 2025, il festival internazionale dedicato all’arte vetraria che quest’anno si terrà a Venezia, Murano e Mestre dal 13 al 21 settembre 2025.
La mostra si inserisce, inoltre, nelle attività di valorizzazione del marchio Vetro Artistico® Murano, istituito dalla Regione del Veneto e gestito dal Consorzio Promovetro Murano: l’unico certificato ufficiale che tutela e garantisce l’autenticità del vetro prodotto sull’isola. Qui per ulteriori informazioni.
In foto: l’opera di Nicola Moretti – Vero Casanova 2025 – Teatro. Foto Zetagroup

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Roma, Vaccheria: “From Pop to Eternity”

Gio, 11/09/2025 - 23:30

Roma, Vaccheria – Casa della Pop Art
“FROM POP TO ETERNITY”

A cura di Gianfranco Rosini
Promosso dal Municipio IX Roma EUR con il supporto di Roma Capitale
in collaborazione con Zètema Progetto Cultura
Organizzazione IconArs
Ambientazioni artistiche Kif Italia (Francesco Mazzei e Giuliano Gasparotti)
Catalogo RG – Collezione Rosini Gutman
Roma, 11 settembre 2025
Alla Vaccheria, nel cuore dell’EUR, prosegue la vocazione di questo spazio espositivo che negli ultimi anni si è trasformato nella vera e propria “Casa della Pop Art”. Dopo Andy Warhol, il Futurismo e le sperimentazioni virtuali, dopo il grande percorso collettivo del 2024, il testimone passa ora a Mark Kostabi, artista statunitense di origini estoni che da decenni ha scelto Roma come sua seconda casa. La mostra From Pop to Eternity, aperta fino al 29 marzo 2026, rappresenta la prima grande antologica italiana a lui dedicata, con oltre cento opere tra dipinti, sculture, grafiche e memorabilia, articolate in un percorso ampio e scenograficamente curato. Il progetto è ideato e promosso dal Municipio IX Roma EUR con il supporto di Roma Capitale, e realizzato in collaborazione con Zètema Progetto Cultura, affidandosi all’organizzazione di IconArs. La curatela di Gianfranco Rosini si accompagna alle ambientazioni artistiche ideate da Francesco Mazzei e Giuliano Gasparotti per Kif Italia, in un allestimento che trasforma la Vaccheria in un luogo capace di coniugare l’anima agricola e razionalista dell’edificio con la vitalità colorata della Pop Art. Il catalogo è edito da RG – Collezione Rosini Gutman, ulteriore testimonianza di un legame che negli anni ha saputo costruire una narrazione coerente sulla storia di questo linguaggio artistico. Kostabi non è nuovo a Roma, ma questa esposizione segna una tappa decisiva del suo rapporto con la città. L’artista stesso sottolinea come From Pop to Eternity rappresenti la sua mostra ideale: per l’ampiezza del corpus presentato, per la qualità del dialogo con curatori e istituzioni, e soprattutto perché si svolge nella capitale che lo ha accolto e in cui ha scelto di vivere. La sua poetica, che adotta figure umane prive di volto come simbolo di universalità e di superamento delle barriere razziali e nazionali, trova in Roma un contesto perfetto: città stratificata e cosmopolita, abituata a parlare linguaggi molteplici. Il percorso espositivo prende avvio con i disegni degli anni Ottanta, opere che già contengono le “Idee Primarie” del suo linguaggio, come Ascent to Street Level o St Peter’s Mistake. Sono fogli che mostrano la volontà di creare un’iconografia essenziale e immediata, pronta a dialogare con il mondo della comunicazione e con l’industria culturale. Seguono le tele e i lavori degli anni Novanta, periodo cruciale per la Pop Art postmoderna, con opere come The Studio System o The Rhythm of Inspiration. Quest’ultima è al centro di un’installazione immersiva, accompagnata da un video omaggio che riproduce l’atmosfera del Kostabi World, lo studio newyorkese aperto dall’artista nel 1988, diventato in breve un luogo di produzione, esposizione e incontro tra musica e arti visive. La sezione centrale della mostra, la più ampia, raccoglie i lavori maturi di Kostabi, testimoni di una carriera che ha saputo rinnovarsi costantemente. Tele come Gaming the Course of History, A Space for Reason e Romance in Motion testimoniano la capacità di affrontare i temi della contemporaneità con ironia e lucidità: la mercificazione dell’arte, il ruolo dell’individuo nell’epoca globale, la relazione tra economia e creatività. Accanto alle tele, alcune sculture e grafiche ampliano lo spettro della ricerca, mentre una sezione di memorabilia completa il racconto, offrendo al visitatore uno sguardo sul fenomeno culturale complessivo generato dalla Pop Art. Non mancano i lavori più recenti, realizzati nel 2025, come Market Sanctification, Between Worlds e The Pulse of Industry, opere che mostrano un artista ancora pienamente attivo, capace di confrontarsi con il presente senza nostalgia. A testimoniare la sua attitudine al dialogo, tre opere a quattro mani: Facing the Truth con il fratello Paul Kostabi, Who’s Your Daddy con Enzo Cucchi, e The Rhythms of Resilience con Tony Esposito. Quest’ultima rimanda a una delle passioni più forti dell’artista: la musica. Il legame tra arti visive e musica è sottolineato già in apertura dalla performance inaugurale PoP PartY, in cui Kostabi si è esibito al pianoforte accanto a Tony Esposito, Greesi Desiree Langovits e Sasa Flauto. È la prosecuzione di un percorso avviato con il curatore Rosini nei primi anni Duemila con il progetto New Alliance, che univa cataloghi e cd, mostre e concerti, e che continua a trovare nuove forme di espressione. Kostabi non è dunque solo pittore, ma figura poliedrica, capace di muoversi tra discipline diverse con naturalezza. A corredo della mostra, la Vaccheria ospita anche la seconda edizione del Pop Art Fest, tre giorni di incontri, proiezioni e musica dedicati alla cultura pop in senso ampio. Un’iniziativa che rafforza il carattere di evento partecipativo e comunitario, capace di avvicinare pubblici diversi e di confermare la funzione della Vaccheria come polo culturale attivo e inclusivo. Le proiezioni di film cult, le lectio magistralis e le esibizioni musicali sono tasselli di un mosaico che restituisce la Pop Art nella sua natura originaria: fenomeno collettivo, ibrido, sempre aperto al dialogo con altre arti. Camminare tra le sale della Vaccheria significa attraversare quarant’anni di lavoro di Kostabi, ma anche comprendere come la Pop Art continui a essere un linguaggio vitale, non confinato al passato. La scelta del Municipio IX e di Roma Capitale di investire su questa traiettoria conferma la volontà di fare di questo spazio un punto di riferimento stabile per l’arte contemporanea. Se Warhol ha aperto la strada e se i grandi collettivi hanno raccontato la forza di un movimento, ora è la volta di Kostabi, ponte tra la New York degli anni Ottanta e la Roma contemporanea. La mostra non si limita a celebrare un artista, ma invita a riflettere sul senso stesso della Pop Art oggi: linguaggio globale, capace di affrontare con ironia i temi del nostro presente e di mantenere intatta la capacità di comunicare al grande pubblico. From Pop to Eternity è fedele al titolo che porta: un percorso che dal pop conduce all’eternità dell’arte ed alla sua capacità di resistere al tempo.

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Il 102° Arena di Verona Opera Festival chiude: ecco i risultati

Gio, 11/09/2025 - 19:46

Il 102° Arena di Verona Opera Festival chiude, dopo tre mesi e 52 serate di spettacolo dal vivo, registrando il miglior incasso della storia areniana per un totale di 35 milioni 619 mila euro, 2 milioni in più dello scorso anno. Gli spettatori dell’estate 2025 sono stati 404.715, dei quali il 61% stranieri (nel 2024 si era raggiunta quota 57%). Crescono dunque le presenze dall’estero, con provenienze da 130 Paesi diversi, tra cui, per la prima volta, Ghana e Zimbabwe. La Germania resta sul podio con un +4% rispetto all’anno scorso, registrando 82 mila presenze, in aumento gli spettatori da Regno Unito (+2%), Stati Uniti, Francia e Corea. Il pubblico italiano, ben 146 mila spettatori, è giunto a Verona da tutte e 110 le province dello Stivale, nessuna esclusa.
Numerosi i sold-out registrati durante la Stagione 2025. Ben 18 serate da tutto esaurito, tra cui le prime 9 date del Festival e le ultime 4 recite di settembre. A Verona, durante l’estate, si concentra il 22 per cento degli spettatori annuali della lirica in Italia. A ribadirlo l’ultimo rapporto SIAE: l’Arena Opera Festival occupa quasi tutta la top ten delle classifiche nazionali delle 10 opere che primeggiano per spesa al botteghino e spettatori. Numeri che attestano il valore culturale, artistico, economico e sociale del più grande palcoscenico d’opera all’aperto, simbolo nel mondo del Canto lirico in Italia, patrimonio dell’umanità.
STUDIO NOMISMA. Dopo più di vent’anni dall’ultima indagine, l’Arena e la sua 102a stagione sono stati oggetto di studio per la società Nomisma che, durante tutta l’estate, ha misurato l’impatto economico, sociale e turistico a livello locale, regionale e nazionale dell’Opera Festival. I risultati verranno presentati il prossimo 10 novembre, a Milano, alla UniCredit Tower Hall. E saranno oggetto di un approfondimento a Verona durante l’autunno.
IL PROSSIMO FESTIVAL. Già in vendita opere, concerti e gala dell’estate 2026. Il programma del 103° Arena di Verona Opera Festival sarà inaugurato il prossimo 12 giugno con il nuovo allestimento de La Traviata. E proseguirà fino al 12 settembre 2026, tre mesi esatti di grande spettacolo con due allestimenti di Aida, Nabucco, La Bohème, Turandot, Roberto Bolle and Friends, Carmina Burana e Viva Vivaldi. Tutte le date sono già in vendita su www.arena.it, sui canali social Facebook e Instagram dell’Arena di Verona e alle biglietterie di via Roma e via Dietro Anfiteatro a Verona. Qui per ulteriori informazioni. Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona

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Firenze, Maggio Musicale Fiorentino: “Les pêcheurs de perles” dal 16 al 23 settembre 2025

Gio, 11/09/2025 - 18:18

Si riaccendono le luci al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino per il primo appuntamento lirico della stagione, dopo la pausa estiva: in programma, martedì 16 settembre alle ore 20Les pêcheurs de perles di Georges Bizet, proposta nell’allestimento della Staatsoper Unter den Linden di Berlino. Altre tre le recite previste in cartellone: il 19 settembre alle ore 20, il 21 settembre alle ore 15:30 e il 23 settembre alle ore 20.
Sul podio della Sala Grande del Teatro, alla guida dell’Orchestra e del Coro del Maggio, il maestro Jérémie Rhorer; l’allestimento, ripreso in quest’occasione da Derek Gimpel, è firmato da Wim Winders, la cui regia di un’opera è portata in scena per la prima volta in assoluto in Italia.
Le scene sono di David Regehr; i costumi di Montserrat Casanova; le luci, riprese da Oscar Frosio, sono di Olaf Freese. La drammaturgia è curata da Detlef Giese. Il maestro del Coro del Maggio è Lorenzo Fratini.
Il cast vocale è formato da Hasmik Torosyan nella parte di Léila; Javier Camarena interpreta Nadir; la parte di Zurga è interpretata da Lucas Meachem e Huigang Liu veste i panni di Nourabad. Qui per ulteriori informazioni. Manifesto © Gianluigi Toccafondo

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Roma, OperaCamion: “Tosca” dal 14 al 28 settembre 2025

Gio, 11/09/2025 - 15:38

OperaCamion torna nelle piazze di Roma
TOSCA
di Giacomo Puccini
Dal 14 al 28 settembre 2025, sette tappe nei municipi della Capitale per portare la magia dell’opera lirica a cielo aperto
OperaCamion torna a invadere le piazze di Roma con la sua energia contagiosa e il suo palcoscenico itinerante: dopo il grande successo de Il barbiere di Siviglia che lo scorso maggio e giugno ha coinvolto oltre 10.000 spettatori — di cui il 30% alla loro prima esperienza con l’opera dal vivo — sarà Tosca di Giacomo Puccini a regalare nuova meraviglia dal 14 al 28 settembre 2025 in sette municipi della Capitale. «OperaCamion riqualifica gli spazi urbani della città che spesso noi vediamo dalla macchina, camminando, e non ci rendiamo nemmeno conto che possono essere abitati. La piazza diventa un’agorà nuova di incontro tra le persone che si riuniscono dietro alla musica» spiega la regista Manu Lalli, per la seconda volta alla guida di questo progetto visionario del Teatro dell’Opera di Roma, che trasforma un TIR in un vero e proprio palcoscenico su ruote. Le musiche saranno eseguite dal vivo dall’Orchestra della Fondazione capitolina diretta da Carlo Donadio. Dopo la prima tappa domenica 14 settembre a Piazza Sirio sul lungomare di Ostia, il viaggio proseguirà fino al 28 settembre attraversando i quartieri di Cinquina-Bufalotta, Massimina, Parco Gino Strada (ex Veratti), Villaggio Prenestino e Palmarola-Selva Candida, con due serate speciali a Castel Sant’Angelo, luogo simbolo dell’opera pucciniana. «OperaCamion non è solo un evento, è una proposta di accesso. È il tentativo di abbattere le barriere che spesso circondano il mondo della cultura ed è una delle iniziative che abbraccia nel modo più significativo l’idea che per noi Roma è tutta Roma», dichiara l’Assessore alla Cultura di Roma Capitale Massimiliano Smeriglio, sottolineando come «quel mezzo di trasporto diventi simbolo di un’operazione culturale che genera movimento, connessione e cambiamento. Un punto d’accesso al cuore, alle vocazioni inespresse delle persone, soprattutto quelle con meno opportunità». «Con le otto recite di questa seconda produzione, OperaCamion nel 2025 raggiungerà per la prima volta tutti i quindici municipi di Roma – aggiunge Francesco Giambrone, Sovrintendente del Teatro dell’Opera di Roma – un obiettivo ambizioso ma coerente con questo progetto che abbraccia e unisce l’intero territorio cittadino, rinnovando il nostro impegno a rendere l’opera accessibile e partecipata. Abbiamo voluto includere anche la partecipazione speciale dei nove cori del territorio di Roma Capitale, che saranno protagonisti di questa avventura assieme alla nostra Orchestra, ai cantanti, alla Scuola di Canto Corale e a tutto lo staff». La scelta di Tosca assume un significato particolare: è l’opera “romana” per eccellenza, ambientata tra Sant’Andrea della Valle, Palazzo Farnese e Castel Sant’Angelo, e proprio nel 2025 il Teatro dell’Opera celebrerà il culmine del 125° anniversario della sua prima rappresentazione al Teatro Costanzi, avvenuta il 14 gennaio 1900, con una serata speciale il 1° novembre. Per OperaCamion, regia, costumi e luci sono firmati da Manu Lalli, le scene da Daniele Leone, mentre l’adattamento orchestrale è a cura di Vito Lo Re. Sul podio salirà Carlo Donadio a dirigere l’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma. Accanto ai giovani cantanti — tra cui alcuni del progetto “Fabbrica” Young Artist Program — parteciperanno anche la Scuola di Canto Corale dell’Opera di Roma e nove cori selezionati nei territori dei municipi coinvolti, in collaborazione con la Cappella Vestiniana della Basilica di San Vitale al Quirinale. L’opera sarà proposta in una versione ridotta ma completa. OperaCamion nasce con l’obiettivo di portare l’opera fuori dai luoghi tradizionali, trasformando spazi urbani e periferici in teatri accessibili e inclusivi. L’iniziativa fa parte di una più ampia strategia culturale del Teatro dell’Opera di Roma per valorizzare il territorio, promuovere la partecipazione e generare occasioni di socialità e rigenerazione, fondendo la lirica con lo spirito della strada e l’energia dei quartieri. Gli spettatori, grandi e piccoli, portano le sedie da casa e si ritrovano in piazza, diventando parte di un rito collettivo, dove la cultura si fa accessibile, conviviale e popolare. Qui per tutte le date.

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Roma, Basement Roma: “BAAB – Basement Art Assembly Biennial”

Mer, 10/09/2025 - 21:00

Roma, Basement Roma in Viale Mazzini 128
BAAB – Basement Art Assembly Biennial
Curatori Ilaria Marotta e Andrea Baccin
Roma, 10 settembre 2025
Roma è da sempre città di strati, sovrapposizioni, giaciture che parlano più del tempo che dell’architettura. Nulla si cancella, tutto si deposita. È perciò inevitabile che una nuova biennale d’arte nasca non in un palazzo celebrativo, ma in un seminterrato: BAAB – Basement Art Assembly Biennial. La scelta non è ornamentale, bensì strutturale. In un luogo tradizionalmente destinato a ciò che non deve apparire – caldaie, archivi, botti di vino – si colloca oggi un esperimento che assume proprio la marginalità come principio operativo. L’intuizione dei curatori, Ilaria Marotta e Andrea Baccin, non è priva di precedenti: gli spazi sotterranei hanno spesso offerto rifugio alle avanguardie, quando non trovavano spazio nei circuiti ufficiali. A Roma stessa, già negli anni Sessanta, molte esperienze radicali nascevano in luoghi dismessi, teatrini, sotterranei. La novità di BAAB consiste nell’istituzionalizzare questa condizione liminare, trasformando il seminterrato in paradigma critico. Non un incidente di percorso, ma una scelta deliberata. La struttura della biennale è mobile, volutamente instabile. Non un allestimento definito, ma un organismo che si arricchisce progressivamente: opere e azioni vengono aggiunte nel corso delle settimane, come accadeva un tempo nelle grandi officine artistiche, dove i cantieri rimanevano aperti e in continua trasformazione. Il visitatore non trova dunque un quadro statico, ma un processo, una stratificazione in corso. Gli artisti convocati appartengono a generazioni e aree diverse, e il criterio sembra essere quello di comporre una comunità temporanea più che una rassegna di eccellenze individuali. Jeremy Deller, Mark Leckey, Carsten Höller offrono la misura di un’esperienza consolidata; Claudia Comte e Michele Rizzo portano l’accento su materia e corporeità; Hannah Black e Puppies Puppies introducono un tono critico, talora ironico, nei confronti del presente. La varietà non è casuale: l’obiettivo è che le opere convivano, si contraddicano, dialoghino, componendo un’assemblea piuttosto che un museo ideale. Questo impianto trova un parallelo nelle pratiche comunitarie dell’antichità. Nelle assemblee cittadine greche, il valore non stava nella coerenza dei discorsi, ma nella loro compresenza, nella possibilità di ascoltare voci diverse nello stesso spazio. Così BAAB: più che rappresentare, mette in presenza. In un’epoca che tende a isolare e frammentare, il seminterrato si offre come luogo di contatto. La sezione sonora Sonorama, curata da Ruggero Pietromarchi, conferma questa impostazione. Il suono non accompagna, ma costituisce parte integrante della mostra: occupa lo spazio con la sua fisicità, diventa strumento di connessione. La vibrazione sonora è per sua natura collettiva, non si possiede individualmente, si condivide. L’effetto è di trasformare la mostra in esperienza immersiva, non nel senso abusato del termine, ma come percezione realmente plurale. BAAB si dirama anche oltre Basement Roma, in cinema, teatri, manifesti pubblici. Non si chiude dunque nel seminterrato, ma da esso parte per disseminarsi nella città. Anche qui il parallelo con la storia romana è evidente: il sottosuolo non è mai stato un luogo chiuso, ma un punto di partenza. Dalle catacombe il cristianesimo è risalito in superficie, dai sotterranei medievali si è costruita la città barocca. Il seminterrato è sempre stato soglia. Il progetto assume così una valenza politica, anche senza proclamarlo. Rifiutare la monumentalità per privilegiare il provvisorio significa sottrarsi alla logica della spettacolarizzazione che domina oggi il sistema dell’arte. Non c’è la retorica delle grandi esposizioni universali, ma la paziente costruzione di un laboratorio. È una scelta che può apparire minoritaria, ma che in realtà risponde a un’esigenza concreta: restituire all’arte la sua dimensione di processo, non di prodotto. La cena collettiva che conclude simbolicamente la biennale non è un dettaglio folclorico. È piuttosto il segno di una comunità che non si limita a riunirsi attorno alle opere, ma si riconosce anche in un gesto quotidiano come il cucinare insieme. Qui l’arte torna a confondersi con la vita, non per annullarsi, ma per affermare che la sua funzione non è separare, bensì connettere. Il seminterrato di BAAB si configura così come un dispositivo critico. Mostra che la marginalità può farsi istituzione, che lo spazio destinato all’invisibile può diventare laboratorio di possibilità. In una città come Roma, che tende a guardarsi come museo a cielo aperto, l’esperienza è tanto più significativa: dimostra che il futuro non nasce dalle facciate illuminate, ma dalle pieghe, dagli interstizi, dai luoghi apparentemente secondari. Non è privo di rischi. Un modello tanto fluido e processuale può facilmente disperdersi, perdere compattezza. Ma il rischio fa parte del progetto stesso: senza rischio non c’è sperimentazione. BAAB non offre dunque certezze, ma apre domande. E in questo si colloca nella migliore tradizione romana, che non consiste nell’offrire risposte definitive, ma nel tenere insieme contraddizioni, stratificazioni, frammenti. Il valore di BAAB non sta solo nelle opere, ma nella sua stessa configurazione: una biennale che rifiuta la monumentalità, che sceglie il sottosuolo, che si presenta come processo. È un gesto che invita a ripensare non tanto cosa sia l’arte oggi, ma dove essa possa accadere. E Roma, con la sua lunga storia di spazi sotterranei, sembra il luogo più adatto a ospitare questo esperimento. BAAB non è una rivoluzione, né pretende di esserlo. È piuttosto un’operazione di scavo: toglie terra, fa emergere ciò che è nascosto, lascia che l’arte si mostri nella sua fragilità. In un panorama dominato dall’effimero scintillante, questa fragilità è forse la sua forza. E il seminterrato, ancora una volta, si rivela non come luogo marginale, ma come soglia da cui ripartire.

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Oper Frankfurt: “Peter Grimes”

Mer, 10/09/2025 - 19:34
Oper Frankfurt, Stagione 2025/26 “PETER GRIMES”
Opera in un prologo e tre atti su libretto di Montagu Slater, dal poema “The Borough” di George Crabbe
Musica di Benjamin Britten
Peter Grimes ALLAN CLAYTON John, a boy JAKOB FRITSCHI Ellen Orford MAGDALENA HINTERDOBLER
Captain Balstrode NICHOLAS BROWNLEE
Auntie KATHARINA MAGIERA
First Niece ANNA NECKHAMES
Second Niece JULIA STUART
Bob Boles AJ GLUECKERT Swallow THOMAS FAULKNER Mrs. Sedley JUDITA NAGYOVÁ Rev. Adams MICHAEL MCCOWN Ned Keene JARRETT PORTNER Hobson MORGAN-ANDREW KING 
A Lawyer RAMTIN PHILIPPE JACQ Chor, Extrachor und Statisterie der Oper Frankfurt Frankfurt Opern- und Museumsorchester Direttore Thomas Guggeis  Maestro del Coro Àlvaro Corral Matute Regia Keith Warner Drammaturgia Norbert Abels Scene Ashley Martin-Davis  Costumi Jon Morrell Luci Olaf Winter Direttore della ripresa scenica Axel Weidauer Allestimento della stagione 2017/18 Frankfurt, 6 settembre 2025 I teatri tedeschi non hanno una vera e propria serata inaugurale, ma iniziano le stagioni con alcune riprese dei titoli di repertorio. L’Oper Frankfurt ripropone in questi giorni il pregevole allestimento di Peter Grimes ideato nel 2017 da Keith Warner, regista inglese conosciuto soprattutto per le sue produzioni wagneriane rappresentate anche a Bayreuth. Un’ottima regia, basata su scene composte da pochi e scarni elementi, con il coro spesso collocato immobile sullo sfondo nello stile della tragedia greca, giochi di luce molto ben calcolati ed efficaci e uno stile di recitazione sobrio e composto. Una messinscena che segue fedelmente le situazioni drammaturgiche e le atmosfere del testo di Montagu Slater musicato da Britten e che anche dopo otto anni dalle prime recite si dimostra ancora perfettamente valida. L’atmosfera del villaggio di pescatori è chiaramente definita nella sua austerità e diffidenza verso tutto ciò che sembra estraneo o nuovo, i costumi contribuiscono a inquadrare gli eventi in una realtà molto chiara e precisa. La musica del capolavoro di Britten, con i suoi accenti di drammaticità straziante ed esasperata, ha trovato una perfetta realizzazione sotto la direzione di Thomas Guggeis. Il giovane Generalmusikdirektor del teatro di Frankfurt ha realizzato una direzione di grande intensità espressiva, scrupolosa nel rendere tutte le finezze della scrittura orchestrale, coadiuvato dalla splendida prestazione dell’Opern- und Museumsorchester che come sempre ha suonato da complesso di alta classe per compattezza e qualità di suono. L’interpretazione di Guggeis era assolutamente esemplare per capacità evocativa, bellezza di tinte e sottolineatura del tessuto armonico. Splendida la luminosità che il trentaduenne talento bavarese è riuscito a conferire alla melodia intonata dai flauti e dai violini nel primo Interludio, così come il raffinato gioco di luci e ombre nell’ introduzione al primo atto, la perfetta sottolineatura dell’atmosfera angosciosa nel prologo del terzo con la citazione quasi letterale dal Wozzeck di Alban Berg magnificamente evidenziata e il tono di intensa drammaticità conferito dalla bacchetta alla scena della tempesta. Di ottimo livello complessivo era anche la prestazione della compagnia di canto. Il tenore inglese Allan Clayton è considerato il miglior interprete odierno del ruolo di Peter Grimes, da lui cantato nei maggiori teatri del mondo. Il suo fraseggio intenso, perfetto nel rendere la rabbia, la disperazione e l’angoscia del protagonista, rendeva alla perfezione tutti gli aspetti del ruolo e culminava in una scena della pazzia che appariva davvero toccante nella sua tragicità carica di strazio e senso di vergogna. Il trentanovenne soprano bavarese Magdalena Hinterdobler, che all’Oper Frankfurt io avevo già ascoltato come eccellente Eva nei Meistersinger, ha reso molto bene il carattere materno e protettivo di Ellen, la maestra vedova che è l’unica a difendere Grimes nel villaggio, con un fraseggio ricco di calore e umanità. Nicholas Brownlee, basso-baritono statunitense che si sta rapidamente affermando come artista emergente a livello internazionale, ha raffigurato efficacemente il personaggio del  Capitano Balstrode, mettendo in mostra una voce solida e di bel colore, impeccabilmente gestita a livello tecnico. Assai ben riuscita era anche la caratterizzazione del personaggio di Auntie, la padrona dell’osteria, da parte del mezzosoprano Katharina Magiera, come quelle di tutti gli altri interpreti dei ruoli di fianco. Teatro gremito e successo vivissimo per uno spettacolo di livello davvero pregevole. Foto Barbara Aumueller
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Pompei, Parco Archeologico: “La panca dell’attesa: nuovi scavi alla Villa dei Misteri di Pompei”

Mer, 10/09/2025 - 15:41

Pompei, Parco Archeologico
LA PANCA DELL’ATTESA: NUOVI SCAVI ALLA VILLA DEI MISTERI DI POMPEI
Tra graffiti di clientes e braccianti e la magnificenza degli affreschi dionisiaci, gli scavi restituiscono l’immagine concreta di una società sospesa tra privilegio e quotidianità
Pompei, 10 settembre 2025
Ad attendere, duemila anni fa, non erano turisti in fila per entrare in una domus, ma uomini e donne che cercavano protezione, lavoro o favori da un patronus. La recente scoperta presso la Villa dei Misteri di Pompei – una panca in cocciopesto collocata di fronte al portone d’ingresso – restituisce un’immagine sorprendentemente quotidiana della vita antica, quella di un’attesa spesso lunga e incerta, segnata da graffiti tracciati da chi, per ingannare il tempo, lasciava sul muro il segno effimero della propria esistenza. L’eco di questa scena ci giunge oggi come un riflesso straniante: le file moderne dei visitatori che sostano davanti alle domus più celebri di Pompei – specialmente nelle giornate di ingresso gratuito – sembrano rievocare, in un curioso cortocircuito temporale, l’affollarsi di clientes e braccianti davanti ai portoni dei grandi complessi residenziali. Solo che allora non vi era desiderio d’arte, bensì il bisogno di stabilire o rinsaldare rapporti di dipendenza e di scambio politico. Nell’ordinamento romano, la salutatio costituiva un momento fondamentale della vita pubblica. Il mattino era scandito dall’arrivo dei clientes presso la domus del patronus, dove attendevano – talvolta invano – di essere ricevuti. Essi offrivano sostegno politico, voti e manovalanza, in cambio di protezione, piccoli prestiti, intercessioni giudiziarie. La panca recentemente rinvenuta alla Villa dei Misteri si configura come testimonianza materiale di questa ritualità sociale. Non un arredo funzionale al comfort, ma un dispositivo simbolico, una sorta di palcoscenico urbano che rendeva visibile il prestigio del padrone di casa: più numerosi erano i seduti in attesa, più elevato appariva il rango del dominus. Il direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, ha sottolineato come i graffiti incisi sulle superfici murarie costituiscano il contrappunto spontaneo alla magnificenza degli affreschi interni: segni minimi, tracciati con carbone o strumenti appuntiti, che restituiscono la voce di chi non varcava la soglia delle sale decorate a fondo rosso e nero. Si leggono date prive di anno, nomi forse incompleti, tracce che, pur nella loro modestia, riempiono di vita lo spazio dell’attesa. In questo contrasto si riflette l’antinomia della società romana: da una parte l’élite che commissionava ambienti sontuosi con vista sul golfo, dall’altra l’anonimato di chi ne rimaneva escluso, confinato sulla soglia. Il rinvenimento si colloca all’interno di un ampio programma di scavo e tutela, avviato dopo l’abbattimento di edifici abusivi che incombevano sulla villa. L’intervento, frutto della sinergia tra il Parco Archeologico e la Procura della Repubblica di Torre Annunziata, non solo ha permesso di recuperare aree compromesse da decenni di incuria e violazioni, ma ha reso nuovamente leggibile l’assetto monumentale originario del complesso. Il Procuratore Nunzio Fragliasso ha sottolineato come la demolizione delle strutture illegali – persino un ristorante costruito in spregio ai vincoli – abbia restituito dignità e respiro al sito, garantendone una migliore fruizione. Dal punto di vista archeologico, le indagini hanno aperto nuove prospettive di studio. È emerso il monumentale ingresso sulla Via Superior, lastricata in pietra lavica, con arco e paracarri in muratura. Alcuni ambienti interni, decorati in terzo stile pompeiano, hanno rivelato raffinate pitture a fondo nero e giallo, arricchite da motivi ornamentali di grande pregio. L’area servile, in gran parte ancora sepolta, comincia a delinearsi con maggiore chiarezza, suggerendo scenari di ricerca futuri sulla vita quotidiana della manodopera domestica. Un elemento di particolare rilievo è la cisterna rettangolare voltata, collegata a un sistema di raccolta e regimentazione delle acque. Tale infrastruttura testimonia l’attenzione degli antichi per la gestione idrica, indispensabile non solo per le esigenze agricole, ma anche per l’autosufficienza di una villa di tali dimensioni. Lo scavo, inoltre, ha documentato con grande nitidezza la stratigrafia dell’eruzione del 79 d.C.: i livelli di pomici da caduta e i flussi piroclastici, perfettamente conservati, sigillavano gli ambienti al momento della catastrofe. Al di sotto di questi depositi è affiorato un paleosuolo agricolo sistemato “a conchette”, tecnica che rivela l’ingegnosità con cui il paesaggio agrario romano era modellato per ottimizzare la resa. Tali dati arricchiscono la conoscenza di un complesso che, fin dalle campagne di scavo condotte da Amedeo Maiuri all’inizio del Novecento, si è imposto come uno dei simboli di Pompei e, più in generale, del Mediterraneo antico. La celebrità degli affreschi dionisiaci, universalmente noti, rischiava di oscurare la complessità stratigrafica e sociale della villa. Oggi, grazie a queste nuove indagini, si riporta in primo piano l’articolazione fra spazi di rappresentanza e spazi di servizio, fra splendore aristocratico e umile quotidianità. Non meno significativo è l’aspetto di “archeologia circolare” che caratterizza il progetto. Lo scavo non è concepito come mera esplorazione del passato, ma come strumento per tutelare il presente, documentando scavi clandestini e impedendo ulteriori devastazioni. L’attivazione di un ufficio fundraising per il prosieguo delle ricerche segna inoltre un passo verso una gestione sostenibile, che coinvolga partner privati e sponsor nel finanziamento delle operazioni. In questo intreccio di tutela, ricerca e valorizzazione, la panca in cocciopesto assume un valore emblematico. Essa non è soltanto un manufatto edilizio, ma una soglia della memoria: luogo di attesa e di scrittura, di frustrazione e speranza. Simbolo della distanza tra chi abitava le sale affrescate e chi restava fuori, ma anche, oggi, metafora di un patrimonio che non appartiene più a pochi, bensì a una comunità globale di visitatori. Se l’antico patronus riceveva solo i suoi clientes, il moderno Parco Archeologico accoglie milioni di persone ogni anno. La differenza è radicale, eppure il gesto dell’attendere conserva intatta la sua forza simbolica. Allora come oggi, ci si siede in fila davanti a un portone, mossi da desideri diversi: allora un prestito, un lavoro, una protezione; oggi la possibilità di ammirare affreschi che, per paradosso, i clientes dell’epoca forse non videro mai. L’archeologia, riportando alla luce quella panca, ci consegna il paradosso e insieme la continuità: l’attesa come condizione universale, sospesa fra il tempo che scorre e il tempo che ritorna.

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Torino: MiTo, Settembre Musica 2025: Antonio Pappano e la London Symphony Orchestra

Mar, 09/09/2025 - 15:36

Auditorium Giovanni Agnelli del Lingotto di Torino
London Symphony Orchestra
Direttore Antonio Pappano
Pianoforte Seong-Jin Cho
Gioachino Rossini: Ouverture da “Semiramide”; Fryderyk Chopin: Concerto n.2 in fa min. per pianoforte e orchestra op.21; Dmitrij Šostakovič: Sinfonia n.9 in Mi bemolle Mag. Op.70; Victor de Sabata: “Juventus”, poema sinfonico per orchestra.
Torino, 5 settembre 2025.
Seconda serata del MITO torinese, sul palco la prestigiosa London Symphony Orchestra che guidata da Antonio Pappano è in tour nelle nostre contrade. La compagine londinese ha tali forze da permettersi di proporre 3 programmi differenti in 3 serate consecutive, rispettivamente a Milano e Torino per MITO e a Stresa per il Festival sul Lago Maggiore. In questa edizione di MITO, la London rappresenta l’unica apertura extra-moenia per le orchestre, tutte le altre formazioni proposte sono più che nazionali, strettamente cittadine, milanesi o torinesi. L’occasione si presenta quindi assai ghiotta, l’assenza da Torino della formazione londinese data, se la memoria non falla, dagli anni 90 del ‘900 quando con Claudio Abbado, sempre al Lingotto, per i primi Lingottomusica, si esibì nella quasi mitica creazione del Lontano di Ligeti. Pappano, dopo gli anni romani alla testa dell’Orchestra di Santa Cecilia, da lui portata agli attuali livelli strepitosi di qualità, è rientrato a Londra. Qui, a Torino, in passato, si è visto pochissimo, rappresentava quindi un forte richiamo e, tra gli appassionati, la curiosità e l’attesa erano vive. Le doti e il virtuosismo di Seong-Jim Cho, il pianista della serata, già vincitore dello Chopin di Varsavia del 2015, si erano già fatte apprezzare in Ravel e Schumann con l’orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, per cui l’attesa era per una verifica di riconferma. Che fosse un concerto eccezionale, forse il più spettacolarmente appetibile di MITO 2025, veniva confermato dall’esaurimento rapido di tutti i posti disponibili. Gran sala e gran pienone. Si conferma così che, solo col prestigio e la notorietà dei protagonisti, i botteghini esultano.
L’avvio, con la rossiniana Ouverture di Semiramide, evidenzia l’approccio pragmatico e scevro da esaltazioni latine di Pappano, che avrà pure un cognome peninsulare, ma che ha conservato, anche dopo la Roma di Santa Cecilia, l’allure british. L’orchestra ben compatta negli archi, brillante nei legni, sconta solo qualche leggera incertezza nell’intonazione degli ottoni. L’interpretazione premia più i temi della regina svagata e pasticciona, che non le rapinose strappate riferite al sulfureo e diabolico Assur, vero protagonista dell’opera. Gli inglesi non si smentiscono mai, anche a dispetto di Rossini mantengono affezione e devozione alla regina e alla monarchia. Il concerto n.2 di Chopin richiede all’orchestra di non invadere il terreno di gioco e di non disturbare il solista. Pappano, dopo le battute d’avvio, che la vedono protagonista, mantiene la sua armata ben allineata e coperta; non fa mancare il giusto sostegno, quando necessario, per rinforzare la quadratura armonica e ritmica e per garantire l’atmosfera cordiale che anima l’opera. I movimenti estremi, con tempi più serrati e obbligati, trovano un perfetto accordo tra la capricciosa tastiera e la compagine schierata alle sue spalle. Il larghetto centrale, risolto come una grande patetica ed appassionata romanza d’opera, richiede gran destrezza orchestrale per raccordarsi ai rubati e ai cambi di intensità a cui dà sfogo la tastiera di Cho. Con timbro calibratissimo, per cautissimi attacchi del tasto e sfioramenti del pedale, si materializzano frasi da antologia. La prestazione maiuscola del pianista, molto apprezzata dal pubblico e quindi a lungo applaudita, si è replicata nello Chopin del Valzer op.64.2 in do#minore, offerto come encore.
Inevitabile l’omaggio a Šostakovič, qui con la Sinfonia n.9, la più corta tra le 15 che conta il catalogo dell’autore. Pappano e l’orchestra trovano qui il loro terreno di sfogo e di battaglia. La massa orchestrale si dispiega sicura e sonora in tutta la sua magnificenza. Stupendi gli archi che seguono le parsimoniose indicazioni del podio che, con gesti calibrati e risoluti, impone con chiarezza le linee da seguire e la loro gerarchia. Una buona dose di libertà espressiva è lasciata ai legni che, con solisti di rango, mettono in evidenza bellezza di suono e profonda espressività. Anche il più minuto degli interventi risulta perfettamente calibrato e appassionante. Confrontata all’oggi, quantomai penoso ed incerto, la sinfonia sconcerta. La sequenza che dall’Allegro iniziale, attraverso i cinque movimenti, approda finalmente al festoso Allegretto finale è immagine di un’interpretazione positiva della Storia, quanto mai anacronistica rispetto alla cruda realtà in cui si vive. Šostakovič mantiene, in gran parte della sua opera, questa visione che ne ha anche promosso diffusione e successo. Sorge qualche dubbio che anche in futuro si possa ancora comprendere e condividere questa impostazione. Juventus poema sinfonico per orchestra di Victor de Sabata, il già grande direttore d’orchestra, antagonista e stimato collega di Toscanini. Triestino, mitteleuropeo, di nascita, dirigeva Verdi e Puccini ma adorava Wagner e Richard Strauss. Sulle tracce, ben identificabili e udibili, di quest’ultimo si pone anche il poema sinfonico Juventus. L’inizio alla Heldenleben , vero inno al vitalismo giovanile, è palestra per una scrittura acrobatica dalle mille voci orchestrali, come solo a un grande direttore d’orchestra, dominatore ed animatore di imponenti masse foniche, poteva riuscire. Il racconto, dopo due potenti colpi di mazza sui timpani, si ripiega in zone più meditative e, forse, affettuose, per poi concludersi, con un breve ripescaggio dell’abbrivio iniziale, con una chiusa serena e cordiale. Il pezzo, praticato da pochissimi direttori, fa parte, da tempo, del repertorio di Pappano che ne dà un’interpretazione strumentalmente folgorante, carica di molta innocente vigoria non scevra da una certa ingenuità. Il pezzo, del 2019, cerca di agganciarsi, seppur in ritardo, al filone del tardo romanticismo mitteleuropeo, quando ormai la musica stava già tastando percorsi ben più impervi e avanzati. L’orchestra e Pappano risultano portentosi e il pubblico apprezza tanto da costringerli ad esibirsi, fuori programma, in una Danza Ungherese di Brahms, anch’essa di tale magnificenza sonora da suscitare ineluttabilmente l’entusiasmo generale.

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A Cortona una serie di iniziative intorno alla mostra Cantare il Medioevo

Mar, 09/09/2025 - 11:48

La conferenza Cantare il Medioevo. La lauda a Cortona tra devozione e identità civica: itinerari e approfondimenti tenuta da Francesco Zimei e Giulia Spina del 3 settembre scorso, presso il Centro Convegni S. Agostino a Cortona, ha costituito un interessante approfondimento della mostra Cantare il Medioevo. È stata un’occasione per avvicinarsi alla spiritualità e alla devozione medievale attraverso il genere della lauda, il valore delle fonti e dell’iconografia. Naturalmente non potevano mancare puntualizzazioni e approfondimenti intorno al Laudario di Cortona (cod. 91) e al Cantico delle Creature, di cui quest’anno ricorre l’VIII Centenario.
La mostra, curata da Zimei, ha visto la promozione e collaborazione di diverse istituzioni: Accademia Etrusca, Comune di Cortona, Centro studi Frate Elia da Cortona, Diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro e il sostegno del progetto europeo ERC Advanced ‘Laudae’.
Zimei, guida autorevole, ha accompagnato i visitatori in un’autentica immersione nello spirito di un Medioevo che in una città come Cortona fa percepire in itinere il proprio respiro. La mostra – ben documentata e illustrata mediante pannelli – include capolavori come la Croce dipinta del XIII secolo, proveniente dalla chiesa di San Francesco e la tavola delle Storie di Santa Margherita, custodita al Museo Diocesano di Cortona. I quattro codici – custoditi rispettivamente a Cortona (Biblioteca del Comune e dell’Accademia Etrusca, segnature: 91 e 462), Arezzo (Biblioteca Città di Arezzo, ms.180) e Milano (Biblioteca Trivulziana, ms. 535) – rappresentano il fulcro dell’esposizione. Sostando vicino al cod. 91, constatando il tipo di scrittura su pergamena e la presenza del testo unitamente alla musica (solo nelle prime 47 cc.), oltre a ribadire che «È l’unico laudario del XIII secolo con notazione musicale che è sopravvissuto nel tempo, il più antico in assoluto» (Gozzi) – si ha modo di constatarne l’essenzialità e la povertà, destinato alla compagnia di laudesi a Cortona chiamata «Fraternitas beate et semper virginis Marie et beati Francisci» (Zimei), fino ad immaginare il reiterato invito a cantare: «Venite a laudare per amore e cantare l’amorosa e vergene Maria» (c.1r). Il codice, come ricorda Gozzi, pur presentando diversi problemi relativi alla notazione musicale, continua a destare l’attenzione della musicologia e degli interpreti. Inoltre, considerando che detiene ancora il primato di poesia in volgare messa in musica, si immagina il Laudario, anche metaforicamente, una fonte di luce che si rinnova. Come accade al sole che sorge ogni giorno dopo l’oscurità, così la stessa luce che scaturisce dalla religiosità popolare – pur sfrangiata dai riflettori della modernità – continua ad invitare a ‘cantare’ e, in una concezione più profonda e devozionale, benché nec videre potest (S. Paolo, I Tim. 6, 16), non si può non distogliere lo sguardo dalla luce di Dio. A latere della mostra il Convegno Internazionale di Studi Le origini della lauda/le laude delle origini. Alle radici del canto spirituale in volgare italiano (4-6 settembre) promosso dall’Università di Trento in collaborazione con l’Accademia Etrusca e finanziato da un progetto europeo, oltre al concerto dell’Ensemble Micrologus alla chiesa di San Francesco (5 settembre) Giullari di Dio. Alle origini della lauda italiana nell’ottavo centenario del Cantico di frate Sole. Non per ultimo il volume Cantare il Medioevo. La lauda a Cortona tra devozione e identità civica a cura di Francesco Zimei e Simone Allegria che, oltre ad esprimere l’humus della mostra, mette al centro la lauda nei suoi diversi aspetti in cui, sia la vita religiosa che civile di Cortona, pur accomunate dall’umana caducità, ambiscono a nutrirsi del soffio divino.
Il volume, corredato da immagini, è un lavoro redatto da studiosi che desiderano far percepire un Medioevo nel modo filologico e, come si evince dai saggi, sono affrontate tematiche significative:
Francesco Zimei: Cosa dobbiamo alla lauda. Il caso – simbolo di Cortona
Lorenzo Tanzini:  Le origini del comune di Cortona
Marco Gozzi: Il più antico laudario con notazione musicale
Patrizia Rocchini: La scoperta del Laudario cortonese
Matteo Leonardi: Tra Cortona e Assisi: il Laudario cortonese e lo spirito di Francesco
Lucia Marchi: Cantare le laude anche senza la musica. Uno sguardo sui diversi assetti dei laudari cortonesi
Andrea Barlucchi: Il territorio e l’economia cortonese fra Due e Trecento
Franco Franceschi: Aspetti della società cortonese nello statuto del 1325
Pierluigi Licciardello: La religiosità delle confraternite cortonesi secondo gli statuti due-trecenteschi
Daniel Bornstein: La diocesi di Cortona nel suo primo secolo di vita
Simone Allegria: Le lettere di indulgenza per il canto delle laude di Ranieri Ubertini, primo vescovo di Cortona (1325-1348)
Claudio Ubaldo Cortoni:«Ergo poenitentia est charitas». Confraternite laicali e pratiche penitenziali
Il ricco apparato iconografico è costituito da foto della città e dell’eremo Le Celle ove Francesco si ritirò in preghiera, o particolari come la facciata della chiesa di San Francesco e della Cattedrale di Santa Maria Assunta, la Fortezza del Grifalco, Porta Montanina, la bottega medievale cortonese detta “bancone” in pietra o il Palazzo Comunale (XII secolo) ed ancora il caratteristico Vicolo Iannelli con le sue strutture abitative del XIV secolo. Inoltre la ricchezza delle imagines include affreschi come la Processione di Bianchi che flagellandosi intonano una lauda, documenti, carte tratte dai Laudari, et alia. Quasi a far percepire la sensazione di ‘abitare’ biblioteche, archivi e musei è riservata una parte a unità codicologiche relative ai laudari, opere descritte nella conferenza, un’ampia bibliografia, arrivando alla fine della pubblicazione di fronte all’effigie del Cristo crocifisso (Croce dipinta) in cui, per tutta una serie di elementi iconografici, oltre a richiamare la Passio Christi, indica l’unione perfetta tra divinità e umanità. Si consiglia la visita della mostra, aperta fino al 5 ottobre, congiuntamente alla lettura del volume. Il successo dell’ambizioso progetto se da un lato rende meno buio il Medioevo, allo stesso modo esprime una città che racconta molto anche in termini di bellezza. Cortona, già risalendo al celebre lampadario etrusco, continua a nutrirsi di quella ‘luce’ antica che, percepita ancora oggi tra i suoi vicoli al calar di “fratello sole”, diventa autentica poesia cantata.

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Venezia, Teatro La Fenice: La “Quarta” di Mahler secondo Danuele Rustioni

Mar, 09/09/2025 - 07:27

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2024-2025
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Daniele Rustioni
Soprano Rosa Feola
Gustav Mahler: Sinfonia n. 4 in sol maggiore per soprano e orchestra
Venezia, 5 settembre 2025
Composta tra il 1899 e il 1901, la Sinfonia n. 4 in sol maggiore è l’ultima della trilogia delle Wunderhorn-Symphonien – così definite perché si trovano inseriti al loro interno alcuni Lieder del ciclo Des Knaben Wunderhorn (Il corno magico del fanciullo) – e al tempo stesso tempo conclude la prima fase della produzione sinfonica del compositore boemo: la sua “Tetralogia”, come ironicamente egli la definì, a suggerire che le sue prime quattro Sinfonie sono condizionate da Wagner, in particolare – a parte l’influenza sul piano musicale – dalla concezione wagneriana, che assegna all’artista, pur isolato e destinato alla sconfitta, una missione redentrice della società. Fondamentale, per comprendere il sinfonismo di Mahler, è l’analisi di Adorno, che vi coglie un procedimento ricorrente: quello dell’irruzione, una sorta di tumulto improvviso, che scompagina gli equilibri classici della forma-sonata, a simboleggiare l’opposizione all’idea hegeliana di un “corso del mondo” ordinato. L’irruzione contribuisce a formare una nuova morfologia musicale, per cui le categorie formali si definiscono in funzione del significato che esprimono all’interno della composizione: il linguaggio si frantuma e le parti non concordano più con il tutto. La musica incorpora, stilizzandoli, i materiali più disparati, cosicché il retaggio dell’arte e della tradizione popolare convive con suoni attinti dal mondo esterno: quel caos sonoro – definito dall’autore stesso come schauerlich (orribile, orrendo) –, cui nondimeno egli sente il bisogno di ispirarsi, filtrandolo – al pari degli altri elementi concomitanti – attraverso la lente della propria interiorità. Il mondo interiore che viene alla luce nelle tre Wunderhorn-Symphonien è quello fantastico, ingenuamente popolaresco e nostalgicamente infantile della raccolta Alte deutsche Lieder: Des Knaben Wunderhorn, l’antologia di poesie e antiche canzoni popolari tedesche, raccolte e rivisitate dai due poeti romantici Achim von Armin e Clemens Brentano – pubblicate ai primi dell’Ottocento –, di cui Mahler intonò 24 testi poetici, tra cui il Lied per soprano Das himmlische Leben (La vita celestiale), scritto nel 1892, che inizialmente doveva far parte della Terza Sinfonia, ma fu poi inserito nell’ultimo movimento di un nuovo lavoro sinfonico – il quarto appunto –, iniziato nell’estate del 1899 e terminato in quella successiva.
Affascinante – venendo al concerto feniceo – l’interpretazione della Quarta Sinfonia offerta da Daniele Rustioni che, aldilà della competenza tecnica, si è confermato un interprete dotato di sensibilità e spessore culturale. In base all’approfondita lettura proposta dal direttore milanese, la Sinfonia in sol maggiore – generalmente ritenuta più accessibile al grande pubblico, in quanto può apparire meno complessa rispetto alle altre e con una drammaticità contemperata da un certa grazia settecentesca – si è rivelata un lavoro di grande impatto emotivo che rappresenta, al pari degli altri titoli del catalogo sinfonico dell’autore, un percorso graduale dalle tenebre alla luce, dal disagio esistenziale al suo superamento, pur senza trionfalismi o certezze incrollabili. Se il secondo movimento era proposto come un movimento sinistro, una Danza macabra – secondo la definizione l’autore stesso – pervasa da un senso di angoscia, a rappresentare la Vita Terrena, il quarto ci ha schiuso le gioie della Vita Celestiale. Il movimento iniziale – aperto da un impertinente tintinnare di campanelli: quasi un avvertimento a non prendere troppo sul serio il settecentesco ‘profumo, il senso di innocenza, che sarebbero stati diffusamente ostentati – ha assunto nello Sviluppo un carattere spettrale, determinato dalle sonorità stridenti dei legni e, al culmine di un climax, dall’intervento della tromba, che preannunciava la marcia funebre della Quinta. Un clima inquietante, che – come abbiamo accennato – si è colto anche il secondo movimento, dove il violino solista, accordato un tono sopra per rendere la sua ‘voce’ più aspra, ha efficacemente evocato la morte con il suo sinistro inciso: “Freund Hein spielt auf” (Sta suonando l’amico Hein), aveva annotato Mahler a margine di una prima stesura della partitura, riferendosi al mitico menestrello che, al suono del suo violino, conduce i bambini nell’Aldilà. Il terzo movimento – un Adagio, tra i più ispirati dell’intera produzione mahleriana – ha fatto ridere e piangere, secondo le intenzioni dell’autore, essendo costituito da un seguito di variazioni su due temi: il primo, estatico e appena sussurrato, esposto dagli archi, ad evocare il Paradiso; il secondo carico di dolore, intonato dall’oboe, ad esprimere la drammatica condizione umana (tra le variazioni di quest’ultimo compare anche una citazione dai Kindertotenlieder). Verso la fine, nell’ambito di un improvviso fortissimo di tutta l’orchestra, i corni e le trombe hanno preannunciato lietamente il tema della ‘musica celeste’ del movimento successivo, prima che l’Adagio si concludesse con una coda di rarefatta leggerezza strumentale. Impareggiabile, nell’ultimo movimento, Rosa Feola, che ha cantato, puntando più all’introiezione che all’esternazione, le gioie – peraltro alquanto prosaiche – della Vita Celestiale: la freschezza vocale con cui ha espresso l’innocenza del mondo infantile sarebbe probabilmente piaciuta all’autore, che pensava inizialmente ad una voce bianca. Fascinosa l’esecuzione di questa sorta di Rondò, in cui ognuna delle quattro strofe del Lied si concludeva con un verso finale intonato a mo’ di ritornello, mentre la musica – a parte la strofa iniziale, dove assumeva un carattere contemplativo, estatico – appariva abbastanza dissacrante: lo attestavano gli intrecci dei fiati, l’armonia, gli impertinenti campanelli dell’inizio della Sinfonia, che tintinnavano di nuovo, a sancire l’ambiguità del lieto fine. Quell’ambiguità che ha consentito a Mahler di apparire ‘moderno’, nonché il cantore della crisi di un’epoca. Applausi interminabili a fine serata al direttore, alla cantante e all’Orchestra, dimostratasi ancora una volta in gran forma.

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65° Concorso Pianistico Internazionale Ferruccio Busoni: Yifan Wu è il vincitore

Dom, 07/09/2025 - 22:32

Alle 13:00 di domenica 7 settembre, la giuria internazionale presieduta da Sir David Pountney ha conferito il Primo Premio del 65° Concorso Pianistico Internazionale Ferruccio Busoni a Yifan Wu, che vince anche il Premio speciale del Pubblico.
Circondati dalla serrata formazione dell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, Wu ha eseguito il Concerto n. 3 op. 37 di Beethoven, Nebieridze la Rapsodia su un tema di Paganini op. 43 di Rachmaninov e Fountos il Concerto n. 1 op. 1 di Rachmaninov.
La vittoria al Concorso Busoni va ben oltre il premio di 30.000 euro offerto dalla Città di Bolzano, concretizzando la prima fase di vita di un’importante carriera pianistica. La Fondazione offre infatti al vincitore la possibilità di essere seguito per due anni da un management artistico che garantirà concerti e promozione alla figura del nuovo premiato.
Il concorso assegna anche un premio monetario ai concorrenti classificatisi dal secondo al sesto posto. Il Secondo Premio (10.000 euro offerti dalla Fondazione Cassa di Risparmio) va a Sandro Nebieridze, il Terzo Premio (5.000 euro offerti dall’Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Bolzano) va a Christos Fountos. Zhonghua Wei si aggiudica il Quarto Premio (4.000 euro offerti da Volksbank), mentre è l’italiano Elia Cecino a vincere il Quinto Premio (3.000 euro offerti da Rotary Club Bolzano Bozen). Infine, il Sesto Premio (2.500 euro offerti da Fiera Bolzano) è stato assegnato a Zeyu Shen.
La Finalissima è stata trasmessa in diretta televisiva su RAI 5 e Radio RAI Südtirol, dal canale Medici.tv e dalla piattaforma Amadeus.tv in Cina, che ha permesso a più di 300.000 spettatori di seguire ogni fase del Concorso. Qui per ulteriori informazioni. Foto Lucia Rose Buffa

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