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Roma, Teatro Ambra Jovinelli: “Magnifica presenza” di Ferzan Ozpetek dal 07 al 18 Febbraio 2024

Lun, 05/02/2024 - 23:59

Roma, Teatro Ambra Jovinelli
MAGNIFICA PRESENZA – UNO SPETTACOLO DI FERZAN OZPETEK
con  Serra Yilmaz, Tosca D’Aquino, Federico Cesari 
e con Toni Fornari, Luciano Scarpa, Tina Agrippino, Sara Bosi, Fabio Zarrella
produzione Nuovo Teatro diretta da Marco Balsamo in coproduzione con Fondazione Teatro della Toscana
Dopo il successo di MINE VAGANTI, Ferzan Ozpetek torna in Teatro con un nuovo adattamento scenico di uno dei suoi successi cinematografici. Dal 7 al 18 febbraio l’Ambra Jovinelli accoglie un grande evento: Ferzan Ozpetek torna a teatro con il nuovo adattamento scenico di uno dei suoi successi cinematografici, Magnifica presenza. Il regista, tra i più amati del nostro cinema, prosegue così il percorso inaugurato con Mine vaganti, e fa rivivere in teatro uno dei suoi film cult portando con sé in questa avventura una compagnia di attori esplosivi: Serra Yilmaz, Tosca D’aquino, Federico Cesari, Toni Fornari, Luciano Scarpa, Tina Agrippino, Sara Bosi, Fabio Zarrella saranno i grandi protagonisti di questa commedia tra illusione e realtà, sogno e verità, amore e cinismo, cinema, teatro e incanto. Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Luigi Cherubini (1760-1842): “Les Abencérages” (1813)

Lun, 05/02/2024 - 22:00

Opera in tre atti su libretto di Victor-Joseph-Étienne de Jouy. Anaïs Constans (Noraïme), Edgaras Montvidas (Almanzor), Thomas Dolié (Alémar), Artavazd Sargsyan (Gonzalve, le Troubadour), Philippe-Nicolas Martin (Kaled), Tomislav Lavoie (Alamir), Douglas Williams (Abdérame), Lóránt Najbauer (Octaïr, le Héraut d’armes), Ágnes Pintér (Égilone). Purcell Choir, Orfeo Orchestra, György Vashegyi (direttore). Registrazione: Béla Bartók National Concert Hall, Müpa Budapest, 7-9 marzo 2022. 3 CD Fondazione Palazzetto Bru-Zane BZ1050.
Cherubini oltre “Medea” questo sembra essere uno degli obiettivi della nuova incisione del Palazzetto Bru Zane che propone per la prima volta in edizione critica “Les Abencérages” noto quasi solo per la ripresa fiorentina del 1957 in lingua italiana e lontanissima da qualunque forma di approfondimento critico. Composta nel 1813 l’opera rappresenta uno dei momenti più significativi della carriera parigina del compositore italiano, uno dei suoi maggiori successi e un lavoro emblematico della sua produzione forse non ispiratissima ma capace di cogliere alla perfezione lo spirito di quel momento di transizione e di traghettare la tradizione lirica francese verso i climi del nascente romanticismo.
Commissionata direttamente dalla corte e rappresentata la prima volta in presenza delle loro maestà imperiali Napoleone e Maria Luigia l’opera rappresenta insieme alla “Vestale” di Spontini – con cui condivide il librettista Victor-Joseph-Étienne de Jouy – uno snodo fondamentale nel passaggio tra la tragedie lyrique tardo settecentesca e il nuovo genere del grand’opéra. Tratta da un romanzo storico di Jean-Pierre Claris de Florian e ambientata alla corte di Granada alla metà del XV secolo l’opera si caratterizza per una cura della costruzione ambientale e per un’attenzione alla verosimiglianza storica in cui ormai già vediamo il gusto che si affermerà nei decenni a venire. Per quanto lo schema sia ancora in tre atti l’equilibrio tra parti cantate e ballabili, l’importanza del coro e dell’orchestra nella costruzione ambientale – quasi tutto il primo atto è così caratterizzato mentre l’azione prenderà di fatto via solo nel finale di questi per svilupparsi nel successivo, mostrano illuminanti aperture verso i tempi nuovi.
La musica di Cherubini – tutt’altro che spregevole e non inferiore a quella più nota di “Medée” – mostra la stessa natura. Le forme acquisite dalla tradizione sono ancora perfettamente leggibili ma si caricano di un’intensità nuova in cui già si ascoltano i semi dell’ormai prossima fioritura romantica e non è forse un caso che tra i più convinti ammiratori di quest’opera si annoverino Hector Berlioz e Felix Mendelssohn. Una musica cui manca forse il colpo d’ala del genio ma in cui si apprezzano un mestiere sommo e un intuito non comune e l’ascolto riserva autentica piacevolezza e non solo stimoli intellettuali.

L’esecuzione proposta – registrata a Budapest nel 2022 – è quasi integrale mancando solo alcuni numeri dei ballabili successivamente aggiunti da Cherubini su pressione dei primi ballerini dell’Opéra – ed è affidata a un complesso di assoluti specialisti come L’Orchestra Orfeo e il Purcell Choir sotto la guida di György Vashegyi. Abbiamo già apprezzato i complessi magiari in altri titoli del repertorio classico e barocco francese e in questo caso il risultato esecutivo non potrebbe essere migliore. Vashegyi coglie perfettamente il carattere ibrido della partitura sospesa tra tradizione e innovazione, evidenziandone il rigore classico delle forme ma accendendolo con i nuovi fuochi della sensibilità romantica senza dimenticare quell’edonismo espressivo che appare delle scene di genere e che sarà così tipico del gusto aulico francese. Ritmi quindi sostenuti e grande ricchezza di colori orchestrale ma sembra all’interno di una visione rigorosa e nitida. L’orchestra suona assai bene e veramente encomiabile la prova dell’impegnatissimo caro.
La compagnia di canto si trova a scontrarsi con la particolare vocalità prevista per questo repertorio. Scritte per due divi conclamati come Alexandrine Branchu e Louis Nourrit la parti principali si caratterizzano per uno stile vocale aulico e magniloquente che puntava a trasportare nel canto i modi della recitazione classica francese. Una vocalità in cui l’aspetto declamatorio e retorico prevaleva su quello melodico – tipico invece dell’opera italiana – dando a questi lavori un carattere autenticamente francese. Il problema oggi è riproporre questo tipo di canto e allo stesso tempo renderlo godibile per un pubblico ormai lontanissimo da quella sensibilità. Obiettivi entrambi troppo ambiziosi per questa produzione che si affida a ottime voci ma incapaci di cogliere quella particolare essenza.
Anaïs Constans coglie di Noraïme soprattutto il tratto lirico e patetico. La voce è bella e luminosa, ricca di armonici e sicura in acuto, l’accento pulito e pertinente ma manca un po’ di magniloquenza. L’interprete gioca però bene le sue carte puntando a una lettura personale e nel complesso funzionale del personaggio.
Soffre un po’ di più Edgaras Montvidas nella parte dell’amato Almanzor. Il tenore lituano è uno specialista di questo repertorio che conosce molto bene e affronta con successo da diversi anni ma in questo caso manca un po’ di peso specifico. La voce è innegabilmente bella, molto musicale e curata, il fraseggio elegante e tornito, gli acuti nitidi e squillanti così che i momenti più lirici come i duetti con Noraïme risultano assai suggestivi. Almanzor è però spesso chiamato a un canto aulico, eroico, tragico come nella perorazione difensiva di fronte alle accuse di Alémar che richiederebbe un’altra pasta vocale anche se la cura dell’accento compensano in parte i limiti di peso specifico.
Il malvagio Alémar è cantato con voce un po’ chiara – da baritono lirico in un ruolo che sembra volere una voce più scura e drammatica – ma con dizione esemplare e forza d’accenti da Thomas Dolié. Artavazd Sargsyan domina con sicurezza la tessitura acuta e il canto nobile e araldico di Gonzalve e perfettamente funzionali le numerose parti di fianco.

Categorie: Musica corale

Roma, Palazzo Merulana: “Antonio Donghi. La magia del silenzio.” dal 09 Febbraio al 26 Maggio 2024

Lun, 05/02/2024 - 21:25

Roma, Palazzo Merulana
ANTONIO DONGHI. LA MAGIA DEL SILENZIO
Dal 09/02/2024 al 26/05/2024
Palazzo Merulana, sede della Fondazione Elena e Claudio Cerasi e gestito e valorizzato da CoopCulture, è lieto di presentare “Antonio Donghi. La magia del silenzio”, a cura di Fabio Benzi.La mostra è prodotta da CoopCulture. Main sponsor UniCredit, che ha anche contribuito con 16 importanti prestiti delle opere di Donghi, provenienti dalla straordinaria collezione esposta a Palazzo De Carolis. La mostra è realizzata anche con il contributo  della Regione Lazio L.R. 24/2019, Piano Annuale 2023 per attività e ammodernamento – Musei e il patrocinio gratuito di Roma Capitale. Antonio Donghi fu uno dei maggiori interpreti del realismo magico in Italia; il suo immaginario astrattivo e al tempo stesso realista ha impressionato, dopo un silenzio critico di molti decenni, gli studiosi e il pubblico a partire dagli anni ottanta del secolo scorso, al punto che le sue opere sono ormai incluse nella maggior parte delle rassegne internazionali sugli anni venti e trenta, fino a comparire sulle copertine dei relativi cataloghi come immagine iconica di quel contesto.La sua ricerca appartata e silenziosa aveva, nella sua epoca, attirato l’interesse di critici importanti, ma la sua altezza si è rivelata appieno con la sua riscoperta relativamente recente.Questo progetto vuole aggiungere alla sua rivisitazione non solo uno studio, ancora mancante, sulle sue fonti culturali estremamente eclettiche, ma anche il ruolo importante che alcune collezioni pubbliche romane hanno svolto, attraverso la raccolta delle sue opere, per la conoscenza e diffusione della sua arte.In questo senso la mostra intende presentare i nuclei più significativi formati dalla Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma, della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, della Banca d’Italia, della collezione UniCredit (già della Banca di Roma) e della Fondazione Elena e Claudio Cerasi, che nel loro insieme rappresentano l’intero percorso dell’artista, toccandone tutti i temi principali: paesaggi, nature morte, ritratti, figure in interni ed esterni, personaggi del circo e dell’avanspettacolo. Solo tre dipinti particolarmente iconici (PollarolaRitratto di Lauro De BosisAnnunciata), legati in diverso modo alla collezione Elena e Claudio Cerasi, si sono inseriti nella mostra al di fuori del nucleo delle collezioni pubbliche.Sono raccolte in mostra oltre trenta opere prevalentemente acquistate direttamente alle maggiori mostre del tempo (Biennali di Venezia, Quadriennali di Roma, ecc.), o altrimenti reperite sul mercato rendendole di pubblica fruizione. La mostra si pone come approfondimento di uno dei principali nuclei pittorici rappresentati nella Fondazione Elena e Claudio Cerasi, che possiede ed espone in permanenza tre fondamentali capolavori donghiani: Lavandaie (1922-23), primo vertice in assoluto del maestro; Gita in barca (1934); Piccoli saltimbanchi (1938). Sulla trama delle opere di Donghi in queste collezioni è possibile ricostruire interamente il suo percorso artistico, attraverso una serie di autentici capolavori. Rimeditare il ruolo, il metodo, le aspirazioni di questo artista chiuso e difficile, ma al tempo stesso creatore di opere uniche e impressionanti per il loro clima sospeso, per la densità di interrogativi che pone allo spettatore pur nell’apparentemente nuda realtà in cui sono presentati gli anonimi protagonisti dei quadri, appare oggi un doveroso passo in avanti per la sua conoscenza. Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro dell’ Opera: “Gianni Schicchi e L’heure espagnole” dal 07 al 16 febbraio 2024

Lun, 05/02/2024 - 20:00

Roma, Teatro dell’Opera
Teatro Costanzi
GIANNI SCHICCHI e L’HEURE ESPAGNOLE
Immergetevi nella splendida architettura del Teatro dell’Opera di Roma per un concerto che risveglierà la vostra comprensione dell’opera.
Seconda parte del progetto triennale “Trittico ricomposto”
In collaborazione con il Festival Puccini di Torre del Lago per celebrare il centenario della morte del compositore.
Direttore Michele Mariotti
Regia e scene Ersan Mondtag
Costume Design Johanna Stenzel
Light Designer Sascha Zauner
Video Luis August Krawen
Drammaturgia Till Briegleb
Gianni Schicchi
Musica di Giacomo Puccini
Opera in un atto
Libretto di Giovacchino Forzano ispirato a un episodio della Commedia di Dante Alighieri
Prima mondiale: Metropolitan di New York, 14 dicembre 1918
Prima rappresentazione al Teatro Costanzi: 11 gennaio 1919 (prima italiana)
L’heure espagnole
Musica di Maurice Ravel
Comédie Musicale in un atto
Libretto di Franc‐Nohain dopo la commedia omonima
Prima mondiale: Opéra‐Comique Parigi, 19 maggio 1911
Prima rappresentazione al Teatro Costanzi: 20 febbraio 1940
Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Amici della Musica di Padova: Fleur Barron & Julius Drake in concerto

Lun, 05/02/2024 - 19:50

Debutto padovano per la mezzosoprano britannica Fleur Barron, accompagnata al piano da Julius Drake, nel concerto di martedì 6 febbraio, alle ore 20.15 all’Auditorium Pollini, nell’ambito della 67a stagione concertistica degli Amici della Musica di Padova.
Il programma del concerto offre due parti molto diverse: la prima affianca la Grecia immaginaria di P. Louys e Debussy ad una altrettanto immaginaria evocazione dell’Oriente di T. Klingsor e Ravel (1903), così come appartengono al mondo francese le liriche scritte da Respighi nel 1909 e nel 1912. La seconda parte ci presenta invece la re-invenzione del canto popolare nella voce di Brahms (Deutsche Volkslieder) e di Dvořák e delle sue Zigeunermelodien del 1890.
Per info: www.amicimusicapadova.org – info@amicimusicapadova.org Tel. 049 8756763

Categorie: Musica corale

Il ritorno di Enrico Dindo con l’orchestra RAI. Sul podio Andris Poga. In programma brani di Weinberg, Boulanger e Stravinskij

Lun, 05/02/2024 - 15:34

Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, di Torino, Stagione Sinfonica 2023-24.
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Andris Poga
Violoncello Enrico Dindo
Lili Boulanger:”D’un matin de printemps”;  Mieczysław Weinberg: Concerto in do minore per violoncello e orchestra, op43; Lilli Boulanger “D’un soir triste”; Igor Stravnskij: “L’oiseau de feu”, Suite dal balletto op.20 (Vers,1919)
Torino, 3 febbraio 2024
Ad eccezione dell’Uccello di fuoco di Stravinskij, ultimo brano del programma, il concerto presenta musiche di autori sostanzialmente da noi sconosciuti e mai eseguite in Auditorio RAI. Lili Boulanger, sorella minore della più nota Nadia, maestra di noti musicisti, apre ambedue le parti del concerto con pezzi dai titoli suggestivi, D’un matin de printemps e D’un soir triste, ma dal contenuto quanto mai realisticamente solido e compatto. Sono brani orchestrali, datati 1917-1918, che la musicista venticinquenne, da sempre ammalata e a pochi mesi dalla morte, costruisce con una sorprendente e meravigliosa orchestrazione per una compagine gigantesca, ricca anche di strumenti dal raro utilizzo: il clarinetto-basso giganteggia tra le file dei legni. Si coglie, nel primo brano, più che il suono imitato di una Primavera, alla Vivaldi, il rimpianto per trascorsi tempi goduti che non torneranno; allo stesso modo la Sera triste è immagine concreta delle paure per ciò che intuitivamente avverrà. La triste biografia della Boulanger ne condiziona inevitabilmente l’ascolto e crediamo anche la commossa interpretazione di Andris Poga, l’eccellente direttore lituano della serata. Del tutto biografico è poi il Concerto per Violoncello op.43 di Mieczysław Weinberg che traduce nel suono dello strumento solista le traversie subite e sofferte. Vi si rispecchiano le tristi vicende di una famiglia di ebrei russi rifugiata in Polonia. Il compositore poi, dopo l’invasione tedesca della Polonia, rientrato in Russia per evitare la furia nazista, viene lo stesso perseguitato, sia come transfuga che come ebreo, fino a che la morte di Stalin lo scampa fortunosamente dalle purghe in corso. Il Concerto per violoncello mostra una musica molto lineare, né grottesca né acida né irridente com’è quella, espressa in circostanze analoghe, dall’amico Šostakovič. Vi abbondano, fin dall’inizio, con l’intonazione di un bel cantabile del violoncello, i temi popolareggianti; ciò avrebbe dovuto escludergli qualsiasi accusa di “formalismo occidentale” che, al contrario, non gli fu risparmiata. Si evidenzia poi un’assoluta ingenuità nella concezione formale e nell’orchestrazione, che si limita ad episodici interventi di accompagnamento del solista. Di positivo c’è che l’opera offre un ulteriore titolo alla non certo abbondante letteratura dei concerti per violoncello, rivelandosi pure una buona palestra per mostrare la maestria del solista. Enrico Dindo illustra brillantemente al meglio la sua parte con un suono plastico e potente, arricchito da agilità da giocoliere e sensibilità appassionata, doti che si evidenziano lungo tutta l’opera e che trovano poi, nella lunga cadenza solistica al termine dell’Allegro, l’opportunità di imporsi prepotentemente. “Dalla Memoria” di Carlo Boccadoro è il bis offerto, più un omaggio al compositore amico che l’autocelebrazione del proprio virtuosismo. Stravinskij con la sua suite, versione 1919, dell’Uccello di fuoco ha chiuso molto felicemente la serata. La partitura è straordinaria, l’orchestrazione iperbolica e la potenza espressiva inchioda alla poltrona. L’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, in un repertorio che la esalta, è completamente a suo agio e risplende. Andris Poga, con gesto discreto e atteggiamenti inappuntabilmente sobri, pur mantenendo l’opera agganciata alla tradizione russa di Čaikovskij, le assicura il decisivo slancio verso le mutevolezze ritmiche di Petruška e le rivoluzionarie irregolarità timbriche e armoniche del Sacre. L’auditorio ne viene conquistato e gli applausi scrosciano. Poga fa alzare, per i ringraziamenti, gli strumentisti che l’han giocata da solisti, a cominciare da Alessandro Milani, violino di spalla della serata.

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro India: “Boston Marriage” dal 06 all’11 Febbraio 2024

Lun, 05/02/2024 - 08:00

Roma, Teatro India
BOSTON MARRIAGE
di David Mamet
traduzione Masolino D’Amico
regia Giorgio Sangati
con Maria Paiato, Mariangela Granelli, Ludovica D’Auria
scene Alberto Nonnato
luci Cesare Agoni
costumi Gianluca Sbicca
musiche Giovanni Frison
assistente alla regia Michele Tonicello
produzione Centro Teatrale Bresciano, Teatro Biondo di Palermo
in accordo con Arcadia & Ricono Ltd
Stati Uniti, fine Ottocento, un salotto, due dame e una cameriera. Tutto farebbe pensare a una trama convenzionale, un incontro tra amiche un po’ affettate, ma alla forma non corrisponde la sostanza: nella conversazione dal vocabolario ricercato fioccano volgarità e veniamo a sapere che le due dame sono state un tempo una coppia molto affiatata. L’espressione “Boston Marriage” era in uso nel New England a cavallo tra il XIX e il XX secolo per alludere a una convivenza tra donne economicamente indipendenti da uomini. Viene subito in mente il romanzo The Bostonians di Henry James (1886), nel quale l’autore affronta senza censure il tema dell’omosessualità e dipinge l’affresco di una società in bilico tra valori antiquati e spinte progressiste, con particolare attenzione alla condizione femminile. Dopo la separazione, Anna, la protagonista e padrona di casa, ha trovato un uomo ricco che la mantiene e vorrebbe ora approfittare della protezione di lui per riprendere con sé Claire, appena arrivata in visita. Ma Claire non è lì per quello; è tornata per ben altri motivi e la riconquista si rivelerà molto più complicata del previsto, con colpi di scena rocamboleschi che coinvolgeranno anche la giovane cameriera, ritmando l’opera e donandole una facciata esilarante, quasi di farsa. Voce tra le più rappresentative della scena americana – già premio Pulitzer del 1984 e più volte nominato agli Oscar per le sceneggiature cinematografiche di alcuni indimenticabili film – David Mamet ci consegna un piccolo capolavoro teatrale che strizza l’occhio agli esperimenti brillanti di Tennessee Williams, ma, soprattutto, all’Importanza di essere Franco di Oscar Wilde. Prendendosi una vacanza dalla gravità e concedendosi il lusso del gioco, Mamet eleva a protagonista assoluto, insieme alle interpreti, il linguaggio e, di contro, il non-detto, l’allusione, la stravaganza, il paradosso. Mamet si diverte a parodiare la prosa ampollosa dell’epoca, ma dietro l’apparente assurdità si nasconde l’intento ambizioso di rovesciare la realtà attraverso uno scherzo, che mira a creare anche un po’ di raffinatissimo scandalo. Qui sta il senso anche “politico” di un testo che divertiva e stupiva insieme il pubblico americano del 1999. Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Amici della Musica di Firenze: Concerto della Klezmerata Fiorentina

Lun, 05/02/2024 - 00:47

Figline e Incisa Valdarno, Teatro Comunale Garibaldi,
Klezmerata Fiorentina
Clarinetto Riccardo Crocilla
Contrabbasso Riccardo Donati
Fisarmonica Francesco Furla
Violino Igor Polesitsky
Musica tradizionale proveniente dal Nord-Est Europeo:Al principio (creazione del mondo); Ot Azoi! Git azoi! (così sia, così bene!); Benvenuto alla sposa (suite); Kosher-tanz (suite); La suite della steppa: Danza dei mietitori; Antico canto dei chumak (i portatori del sale); La danza del vento del Sud; Canto dei consuoceri; Lamento; 7:40: treno della vita; Epilogo: La domanda e la risposta.
Figline Valdarno, 2 febbraio 2024
Il concerto della Klezmerata Fiorentina – formata da quattro straordinari musicisti dell’Orchestra del Maggio Fiorentino, presente nel panorama internazionale dal 2005 dopo la presenza al Festival a Lugano “Martha Argerich Project” dedicato ai vari aspetti della musica ebraica -, un altro importante appuntamento degli Amici della Musica di Firenze, è stato realizzato nel Ridotto del Teatro Comunale Garibaldi di Figline e Incisa Valdarno (città metropolitana di Firenze). L’organico strumentale, unitamente alla proposta della grande musica tradizionale proveniente dal Nord-Est Europeo incuriosiva. Già dal primo brano (Al principio) emergevano le significative doti di versatilità e capacità improvvisative del quartetto.
Agli Amici della Musica di Firenze va il plauso dell’inserimento del concerto nella programmazione, avvicinandosi così alle eterogenee sensibilità del pubblico, mentre al quartetto il merito di diffondere questi repertori tenendo alta l’attenzione dei presenti. Anche se le peculiarità della musica sono rintracciabili in forme e stilemi come: Skochne, Freilachs, Gas-Nign, Bulgar, in sostanza costituiscono vere e proprie ‘storie musicali’ in cui, attraverso il dialogo volto alla concordia dei quattro musicisti, ne scaturisce una narrazione che guarda a prassi esecutive affascinanti e ai valori senza tempo. Per l’ideatore del gruppo (Igor Polesitsky) il rapporto simbiotico con questa musica risale alla sua infanzia quando con il violino imitava i canti popolari Yiddish intonati dalla nonna e imparava la tecnica klezmer da Abram Shtern. Invece per gli altri musicisti probabilmente l’approccio a questa musica è arrivato grazie alla frequentazione con i capolavori musicali del Novecento che attingono al recupero del passato, dalla musica popolare e dai risultati delle ricerche in ambito etnomusicologico a cura dello studioso ebreo Moshe Beregovsky a Kyiv di cui alcuni esempi, tratti dalla raccolta Yiddish Ucraino, erano in programma. Vedere e sentire questo gruppo è stato come assistere ad una ‘germinazione’ continua di stupore partendo da antiche e suggestive melodie in cui ogni musicista, estemporaneamente e seguendo stilemi strutturati che appartengono alla memoria, riusciva a proporre una propria e profonda elaborazione (nata esclusivamente dal melos, spesso in un autentico alternatim tra il violino e il clarinetto), da rintracciare nel patrimonio musicale ed umano della tradizione. Il termine Klezmer (dall’ebraico kley zemer) con i suoi plurisignificati musicali ascrivibili ad un genere della tradizione ebraica dal carattere rituale-celebrativo, attingendo alla riflessione del violinista, si può sintetizzare come «Musica da camera libera per quartetto Klezmer». Per diversi aspetti ciò rimanda al concetto ‘autosignificante’ poiché: «la musica […] non è mai sola» (Berio). Curioso anche il nome del gruppo, ispirato alla Camerata fiorentina, che evidenzia un modo di ‘suonar cantando’ (bastava osservare le particolari risorse timbriche messe in atto per comprendere il lavoro di ricerca del suono volto allo stupore) per il linguaggio gestuale e il modo di relazionarsi, ognuno autentico interprete di un teatro che guarda all’umana vita in cui ciascuno, pur di concorrere all’armonia, è chiamato a saper far bene la propria parte. Per esprimere ciò era necessario attingere all’inconscio della percezione ricreando, attraverso una raffinata grammatica e sensibilità artistica (stilemi arcaici comprendenti melopee, scale ed armonie; suonare ‘ad libitum’ ma anche, soprattutto nelle danze, saper stare dentro ritmi ben strutturati, accompagnamenti basati su reiterati moduli, ecc.) immagini sonore e di vita che ricordano una sorta di ‘crocevia di popoli e di culture’. I contenuti erano esplicitati nel titolo: «Parlando della vita-Antiche musiche tradizionali yiddish dell’Ucraina per quartetto klezmer» e lo stesso programma sembrava quasi il passare in rassegna le ‘stagioni della vita’ in cui, se per l’alternanza dei cambiamenti improvvisi dalla tristezza all’esuberanza ricordava certi repertori strumentali slavi, come in alcune musiche di Dvořák, dall’altro portava, anche attraverso la metafora, alla riflessione dei grandi temi della vita. Il Benvenuto alla sposa era caratterizzato dal solo della fisarmonica, così trainante da invitare a suonare con molta naturalezza gli altri musicisti, mentre particolarmente commovente risultava il Lamento del violino, ricordo dedicato alla ‘Giornata della Memoria’; 7:40: treno della vita, con il suono onomatopeico in accelerazione del contrabbasso, ricordava l’importanza dell’essere sempre pronti perché, una volta che il treno è partito ed effettua il suo percorso, porta all’ Epilogo ora inteso non solo come conclusione e atto finale ma anche momento ove far convergere l’emozione nei presenti. La serata si è conclusa con grande successo e agli applausi del pubblico i musicisti hanno risposto con altri brani tratti dal repertorio bulgar (Sud Ucraina e Moldavia), musica popolare coreutica poi presente nelle raccolte americane dall’inizio del XX secolo. Ripensando alla coinvolgente introduzione dei brani da parte di Polesitsky, alla caleidoscopica esecuzione e all’incontro con i musicisti a fine concerto, posso affermare che l’evento è riuscito ad esprimere l’umano in cui le vibrazioni della coscienza si contrappuntavano con quelle della musica: connubio sottile ed ideale per continuare a credere ancora nei valori della bellezza, gli unici capaci di allontanare gli ‘errori’ di un’umanità sempre sul crinale dell’assurdo.

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Ciak: “Sherlock Holmes e la valle della paura”

Dom, 04/02/2024 - 18:19

Roma, Teatro Ciak
Via Cassia,692
SHERLOCK HOLMES: LA VALLE DELLA PAURA
di Sir Arthur Conan Doyle
Adattamento teatrale Michele Montemagno
Con Paolo Romano, Guido Targetti, Linda Manganelli, Mauro Santopietro, Enrico Ottaviano, Marco Manchi, Francesco Mancarelli, Andrea Ruggeri
Scene Fabiana Di Marco
Musiche Alessandro Molinari
Costumi Valentina Bazzucchi
Disegno Luci Marco Catalucci
Coreografie Giovanna Gallo
Regia Anna Masullo
Ubik Produzioni e Teatro Stabile del Giallo
Roma,04 Febbraio 2024
Al Teatro Ciak di Roma, celebre palcoscenico specializzato nella rappresentazione di spettacoli a tema giallo e poliziesco, è attualmente in scena “La Valle della Paura”. Questo spettacolo, ispirato al quarto e ultimo romanzo di Sir Arthur Conan Doyle con protagonista il leggendario Sherlock Holmes, offre al pubblico un viaggio avvincente attraverso la Londra vittoriana e oltre, approdando nell’America dei pionieri e dei gangster. La trama si sviluppa con il susseguirsi di amori travagliati, riunioni di logge massoniche e misteriosi omicidi inesplicabili, mantenendo al fianco del celebre investigatore di Baker Street l’inseparabile Dottor Watson. Il caso si trasforma in un affascinante intreccio che oltrepassa i confini del tempo, con la minacciosa presenza di un’organizzazione criminale di dimensioni internazionali, incarnata dal temibile “Napoleone del crimine”, il Professor Moriarty. Un aspetto poco noto è che il romanzo di Doyle attinge alla vera storia dei “Molly Maguires”, una società segreta attiva negli Stati Uniti, nello Stato della Pennsylvania, tra la fine della guerra di secessione e gli anni 1876-1878. Questa misteriosa organizzazione fu coinvolta in una serie di attentati, omicidi e sabotaggi contro le forze dell’ordine e i proprietari delle miniere, fino a quando una serie di arresti e condanne pose fine alla sua esistenza. “La Valle della Paura” offre dunque al pubblico una fusione affascinante tra la finzione letteraria e la storia criminale del XIX secolo. La sfida di portare in scena Sherlock Holmes si presenta come un’impresa titanica e ardita, soprattutto considerando la decisione di seguire pedissequamente il testo originale senza apportare adattamenti drammaturgici significativi. Nella rappresentazione scenica, spesso si riscontra la difficoltà nel delineare chiaramente i flash back, risultando comprensibili solamente per coloro che hanno letto il libro o hanno familiarità con le numerose trasposizioni cinematografiche. Inoltre, i tempi e il ritmo della performance tendono a disperdersi soprattutto nella prima parte dello spettacolo. Un elemento cruciale che incide notevolmente sulla riuscita complessivo della rappresentazione è la parola del testo, strettamente legata all’interpretazione degli attori. Quest’ultima, tuttavia, non sempre risulta incisiva per tutti i personaggi, e gli attori professionisti impiegati non sono sempre all’altezza dei ruoli loro assegnati. La sfida di trasmettere con successo l’essenza e la complessità dei personaggi holmesiani attraverso l’interpretazione attoriale rappresenta forse il punto più incerto e critico e che richiederebbe  un’attenzione particolare. Le scenografie di Fabiana Di Marco si distinguono per la loro funzionalità, con gabbie di sfondo dotate di scale a due piani che consentono una trasformazione suggestiva degli spazi scenici, passando da un castello all’appartamento di Baker Street di Holmes fino al quartier generale della massoneria. Nonostante la presenza di pochi elementi in scena, questi forniscono chiare indicazioni visive per identificare i diversi luoghi della narrazione. L’utilizzo di teli bianchi che mettono in evidenza le quinte e si spostano durante i cambi di scena potrebbe essere considerato eccessivo e forse ridondante. Le luci di Marco Catalucci, sebbene avrebbero il compito di evidenziare luoghi e personaggi, talvolta non svolgono questa funzione in modo ottimale. La loro genericità e le colorazioni improbabili non sempre supportano la comprensione della scena. Si apprezza di più quando la luce incide in maniera incisiva sui protagonisti o si muove in sintonia con il dialogo, come nella scena dell’interrogatorio. Le proiezioni, pur essendo belle e coinvolgenti, risultano poco utilizzate e sfruttate. Un maggior impiego di questo elemento avrebbe potuto arricchire ulteriormente l’esperienza visiva dello spettatore, contribuendo a enfatizzare determinati momenti chiave e di passaggio temporale della trama. Le citazioni alle pellicole di Guy Ritchie emergono in diverse scene, come ad esempio negli affascinanti duelli o nelle ricostruzioni delle indagini di Holmes, caratterizzate da movimenti simili a quelli di una moviola cinematografica. Se nel contesto filmico di Ritchie queste scelte hanno un senso complessivo che conquista lo spettatore, nella rappresentazione teatrale possono generare perplessità. La difficoltà nell’esecuzione di passi coreografici ispirati a tali film è evidente, e spesso la loro realizzazione non si allinea al ritmo dello spettacolo. Questo potrebbe risultare disorientante per il pubblico, poiché la coerenza con il flusso narrativo risulta compromessa. Le musiche di Alessandro Molinari, sebbene di indubbia bellezza, talvolta rischiano di essere troppo presenti sotto i dialoghi dei protagonisti. Un equilibrio più attento potrebbe permettere di sfruttare appieno la potenza emotiva della colonna sonora senza compromettere la chiarezza delle conversazioni. Paolo Romano, nel ruolo di Sherlock Holmes, presenta una performance funzionale, consegnando il personaggio con apparente naturalezza e senza particolari slanci di forza. La sua interpretazione risulta affidabile e ritmata, sebbene talvolta possa apparire leggermente assuefatto al ruolo, dando l’impressione di recitarsi addosso. Guido Targetti, nel ruolo del Dottor Watson, si distingue per evidenti e sfacciate differenze d’età con il personaggio di tradizione, risultando pertanto alquanto fuori ruolo. La recitazione appare stentata e manierata, con momenti di assieme che sembrano affannati ed approssimativi. Al contrario, Linda Manganelli, nel ruolo della signora Ivy Douglas, offre un’interpretazione più convincente, mentre Mauro Santopietro si distingue con talento nel ruolo di John Douglas. Gli interpreti dei ruoli del poliziotto (Enrico Ottaviano) e del maggiordomo (Andrea Ruggieri) sembrano cadere in stereotipi stucchevoli, seguendo un’ispirazione più macchiettistica italiana che britannica. Lo spettacolo si caratterizza come un’esperienza interattiva che coinvolge il pubblico dal primo all’ultimo atto. Durante la rappresentazione, gli spettatori vengono chiamati a segnare su un foglietto il nome dell’assassino, divenendo così veri e propri investigatori della trama. La tradizione vuole che alla conclusione dello spettacolo venga premiato chi indovina l’identità del colpevole, ricevendo una bottiglia di vino. L’atmosfera leggera e divertente favorisce l’interesse di un pubblico soprattutto giovane, che trascorre una serata di intrattenimento piacevole e spensierato. Qui per le atre date.

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Vascello:” Pinocchio di Collodi” dal 06 all’ 11 Febbraio 2024

Dom, 04/02/2024 - 08:00

Roma, Teatro Vascello
PINOCCHIO di Collodi
Adattamento e regia Maria Grazia Cipriani
Scene e costumi Graziano Gregori
Attori   Giandomenico Cupaiuolo, Elsa Bossi, Giacomo Pecchia, Giacomo Vezzani, Nicolò Belliti, Carlo Gambaro, Ian Gualdani, Filippo Beltrami
Suoni  Hubert Westkemper
Luci Angelo Linzalata
Foto di scena Filippo Brancoli Pantera
produzione compagnia Teatro Del Carretto
Geppetto, misteriosamente custodendo nel suo corpo una scelta da adolescente, sogna di fabbricarsi un burattino meraviglioso e di girare con costui il mondo: viaggio da clown, da circo, avventuroso e illusionistico. Pinocchio fa suo il sogno di Geppetto. Per realizzare quel sogno, egli dovrà toccare il fondo della sua sventura, fino a quando, trasformato in somaro, sarà Stella della danza nel circo del Paese dei Balocchi e rischierà di diventare una pelle di tamburo per la banda. Pinocchio è già riconosciuto come fratello dalle marionette del Teatro di Mangiafuoco: il suo ingresso trionfale nel mondo di quelle Maschere immortali sembra un battesimo ufficiale. Qui egli raggiunge il luogo che spiega e motiva la sua nascita. Da quel progetto accarezzato dal genitore (ridotto a puro fantasma nel ventre della balena) passando attraverso il Carrozzone di Mangiafuoco (Suoni festosi di grancassa…il giubilo del Gran Teatro, attori che sembrano marionette e marionette che sembrano attori…e la scena, straziante satira parodica della commedia popolare e del melodramma, in cui Pinocchio chiede a Mangiafuoco la grazia per “Arlecchino”) o presso la casa della fata, creatura dominata dal terrore di essere abbandonata, perduta, e costretta a sua volta a rischiare di perdere, abbandonare (ma anche quello della fata sembra essere un mondo teatrale con quei dottori e quei becchini grotteschi e surreali, con quel suo apparire e scomparire, resistendo sempre, di morte in vita, quella emblematica “massa” di capelli turchini) a quella ribalta che è il circo dove Pinocchio-somaro è costretto ad esibirsi. L’approdo è in un finale con il palcoscenico ormai vuoto quando, uscito dal sogno “di legno”, Pinocchio vede il suo simulacro abbandonato come un costume di scena. Avventura onirica, notturna, di una notte definitiva, dove il giorno è solo recitato da sarcastici lampi temporaleschi e il destino del grande burattino si rivela, letteralmente, teatrale. Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Le cantate di Johann Sebastian Bach: Domenica di Sessagesima

Dom, 04/02/2024 - 01:42

La Domenica di Sessagesima (in latino: Sexagesima) è celebrata nel Tempo di Settuagesima dalla Chiesa cattolica di Rito tridentino e di Rito ambrosiano antico all’ottava Domenica prima di Pasqua, ossia la seconda prima di Quaresima, rispettivamente denominata Dominica Exsurge dalla prima parola dell’Intróitus.
Per questa festività Bach ha composto tre Cantate, la seconda delle quali è Leichtgesinnte Flattergeister BWV181 eseguita per la prima volta a Lipsia il 13 febbraio 1724. Si tratta di una partitura che inaugura un nuovo corso nell’ambito della produzione delle cantate bachiane, quello di collocare a chiusura un ampio coro su testo libero, anzichè il classico Corale. Questo stile lo ritroveremo ad esempio nelle Cantate 134,173 e 184. Il finale di questa partitura forse non è originale, secondo alcuni studiosi, una parodia di un’opera precedente andata perduta. La Cantata si apre con una brillante del basso con gli strumenti staccati  in 4 sezioni di lunghezza uniforme. L’altra aria, affidata al tenore, che nel continuo reca l’indicazione “piano e staccato per tutto” c’è giunta incompleta e quindi è stata ricostruita. L’ultimo brano, come si è detto è un ampio Coro in una forma con “da capo”, una sezione iniziale e finale, nello stile di fuga, con l’organico strumentale arricchito da una tromba. La sezione centrale vede le voci femminili, in forma di duetto con il solo sostegno del Continuo.
Nr.1 – Aria (Basso)
Le menti superficiali e sbadate
si privano da sole della potenza della Parola.
Satana con le sue creature
cerca di impedire
che essa produca frutto.
Nr.2 – Recitativo (Contralto)
O condizione sventurata delle anime perverse
che restano lungo la strada; (1)
possono testimoniare l’astuzia di Satana
quando porta via la Parola dai cuori,
che accecati nel loro giudizio
non capiscono né riconoscono più il male.
Cuori di pietra
che resistono con tale rancore
da perdere la loro stessa salvezza
ed infine andare incontro al loro destino.
L’ultima parola di Cristo ha una potenza tale
da sgretolare le rocce stesse;
la mano dell’angelo ha spostato la pietra tombale,
sì, il bastone di Mosè
può far sgorgare acqua dalla roccia.
Saresti tu, cuore, ancora più duro?
Nr.3 – Aria (Tenore)
L’infinito numero delle spine dolorose
l’ansia del piacere di incrementare i suoi tesori,
alimentano il fuoco dei tormenti infernali
per l’eternità.
Nr.4 – Recitativo (Soprano)
Per questo motivo la nostra forza è soffocata,
il prezioso seme viene sprecato
per coloro che non sono ben predisposti
al tempo opportuno
a rendere i loro cuori un terreno fertile,
potendo gustare la dolcezza
con cui questa Parola si rivela:
il potere di questa vita e di quella futura.
Nr.5 – Coro
Concedici, Altissimo, in ogni momento
la tua santa Parola, conforto del nostro cuore.
Per mezzo della tua mano potente
tu solo puoi preparare un buon terreno fertile
nei nostri cuori.
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S:Bach: Cantata “Leichtgesinnte Flattergeister” BWV 181

 

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman:” Otello” dal 06 all’ 11 Febbraio 2024

Sab, 03/02/2024 - 23:59

Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman
OTELLO
da William Shakespeare
con 
Valentina AccaFlaminia CuzzoliFrancesca FarcomeniFederica FracassiFederica FrescoIlaria GenatiempoViola MariettiCristiana Tramparulo
scene Marta Crisolini Malatesta
costumi Graziella Pepe
luci Simone De Angelis
musiche Giacomo Vezzani
traduzione e drammaturgia di Letizia Russo
regia di Andrea Baracco
Teatro stabile dell’Umbria con il contributo speciale della Fondazione Brunello e Federica Cucinelli
Con Otello, Shakespeare ha consegnato alla letteratura occidentale uno dei suoi personaggi più archetipici: Iago. E, attraverso di lui, una riflessione spietata, eppure carica di pietas, sulle debolezze umane e sull’imprevedibile capacità che abbiamo di generare il male e di accoglierlo come insospettabile parte di noi stessi. La potenza del triangolo Otello-Iago-Desdemona sta nella corsa verso la distruzione di sé e degli altri, in un gioco che trasforma l’immaginazione in realtà̀ e la realtà in immaginazione. Io non sono ciò che sono, dichiara Iago nella prima scena del primo atto. Questa definizione che dà di sé non cessa di essere vera se applicata anche agli altri protagonisti della tragedia. Cosa siamo, noi esseri umani, se non materia instabile, che le circostanze possono spingere alle scelte più estreme, alle scoperte interiori più inattese, e ai gesti più feroci? La tragedia del Moro di Venezia affonda le proprie radici nella linea d’ombra su cui ognuno di noi cammina come un funambolo in cerca di equilibrio, nella speranza, ma senza la certezza, di non cadere mai. Qui in tutte le informazioni.

 

Categorie: Musica corale

Opéra de Lyon:”Barbe-Bleu”

Sab, 03/02/2024 - 16:44

Opéra national de Lyon, saison 2023/2024
BARBE-BLEUE
Opéra bouffe en 3 actes, livret de Henri Meilhac et Ludovic Halévy, adapté par Agathe Mélinand
Musique de Jacques Offenbach
Barbe-Bleue FLORIAN LACONI
Prince Saphir JÉRÉMY DUFFAU
Fleurette JENNIFER COURCIER
Boulotte HÉLOÏSE MAS
Popolani GUILLAUME ANDRIEUX
Comte Oscar THIBAULT DE DAMAS
Roi Bobeche CHRISTOPHE MORTAGNE
Reine Clémentine JULIE PASTURAUD
Alvarez DOMINIQUE BENEFORTI
Les 5 femmes de Barbe-Bleue SHARONA APPLEBAUM, MARIE-EVE GOUIN, ALEXANDRA GUÉRINOT, SABINE HWANG, PASCALE OBRECHT
Orchestre et Chœurs de l’Opéra de Lyon
Direction musicale James Hendry
Chef des chœurs Benedict Kearns
Mise en scène et costumes Laurent Pelly
Adaptation des dialogues Agathe Mélinand
Décors Chantal Thomas
Lumières Joël Adam
Lyon, le 1er février 2024
L’Opéra de Lyon reprend la production de Laurent Pelly créée in loco en juin 2019, formidable spectacle que l’Opéra de Marseille avait aussi eu la chance d’accueillir pour la période de fêtes de fin d’année 2019. L’action sur scène fait d’ailleurs aujourd’hui un curieux clin d’œil à l’actualité française et ses manifestations d’agriculteurs, protestations et blocages routiers qui s’étendent également au-delà des frontières de l’Hexagone. Apres l’Ouverture de l’opéra bouffe, pendant laquelle la Une d’un quotidien est projetée, évoquant la disparition mystérieuse de plusieurs femmes, le rideau se lève en effet sur une ferme où rien ne manque : tracteur garé dans le hangar avec son stock de foin entreposé pour l’hiver, un tas de purin sur le côté, et un chœur de paysans plus vrais que nature. A l’acte II au palais du Roi Bobèche, les courtisans s’inclinent devant le souverain, celui-ci – l’hilarant et vociférant Christophe Mortagne – en rajoutant dans la méchanceté en plaquant la tête de l’un d’entre eux contre le sol. Après l’entracte, placé entre les deux tableaux de l’acte II, on passe dans les souterrains inquiétants du château de Barbe-Bleue, et l’alchimiste Popolani qui prépare son vrai-faux poison entre table d’opération à gauche et paillasse de chimiste à droite. Les cinq anciennes femmes de Barbe-Bleue déjà assassinées – mais ressuscitées par la “petite machine électrique à musique” de Popolani dans l’opéra bouffe d’Offenbach ! – résident dans un boudoir rose derrière des portes de funérarium. Puis retour à la cour du roi pour le tableau final, la vengeance des femmes envers Barbe-Bleue et la fin heureuse où Boulotte s’unit à Barbe-Bleue, pour le meilleur cette fois… on l’espère ! Déjà titulaire du rôle-titre à Marseille, à la place de Yann Beuron lors de la création lyonnaise, Florian Laconi apparaît en scène comme un effrayant Barbe-Bleue tout de noir vêtu, manteau de cuir, boucle d’oreille et barbe légèrement bleutée. Vocalement, le ténor développe un certain panache, médium solide, aigus claironnés et tenus, tandis que le vibrato reste sous contrôle. Le chant est aussi dynamique, surtout lorsque le chef accélère nettement le tempo, en commençant alors à tendre vers un sillabato rossinien (« Je suis Barbe-Bleue, ô gué ! Jamais veuf ne fut plus gai »). Héloïse Mas en Boulotte connaît un démarrage vocal plus laborieux, ne parvenant pas à bien attraper le rythme sur ses premières interventions. La mise en place se fait ensuite et on retrouve la voix riche et profonde de la mezzo, ainsi que certains de ses aigus puissamment projetés. Son jeu de paysanne brute de décoffrage est d’un naturel confondant, comme lorsqu’elle embrasse le roi à pleine bouche, assez loin donc du protocole lié au baisemain royal. Au sein du couple Fleurette – Saphir, c’est le ténor Jérémy Duffau qui domine vocalement, style élégant et belle articulation du texte, tandis que Jennifer Courcier fait entendre un instrument d’une ampleur lyrique un peu moindre. Guillaume Andrieux est un inquiétant Popolani en scène, rares cheveux sur le crâne et lunettes à verre épais, baryton bien-disant et drôle. Un peu moins sonore, l’autre baryton Thibault de Damas possède également une voix sûre et joliment timbrée, tandis que la mezzo Julie Pasturaud maintient une agréable ligne vocale, frémissante de tristesse lorsqu’elle évoque son déprimant mariage avec le Roi Bobèche. Le chef James Hendry produit lui aussi un spectacle dans le spectacle, pratiquant une gestique particulièrement démonstrative, en sautillant, levant régulièrement les mains au ciel, dodelinant de la tête… Il impulse en tout cas une folle énergie à l’orchestre, voire du ressort à cette belle partition, sans oublier non plus de varier les nuances de rythme et d’amplitude sonore. Après le passage au pupitre du jeune Michele Spotti (26 ans à la fin 2019 pour la création du spectacle), le public lyonnais est décidemment gâté avec cette autre direction musicale. Un grand coup de chapeau est enfin à tirer aux chœurs de l’Opéra de Lyon, toujours aussi bien préparés par Benedict Kearns, impeccables vocalement et très drôles en scène dans la réalisation de Laurent Pelly, décidemment passé maître pour mettre en scène ce répertoire, depuis de nombreuses années. Photos Bertrand Stofleth

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Sala Umberto: “Hotel Paradiso” dal 06 all’ 11 Febbraio 2024

Sab, 03/02/2024 - 08:00

Roma, Teatro Sala Umberto
HOTEL PARADISO
un’opera di Familie Flöz
Regia Michael Vogel
di Sebastian Kautz, Anna Kistel, Thomas Rascher, Frederik Rohn, Hajo Schüler, Michael Vogel, Nicolas Witte
con Marina Rodriguez Llorente, Frederik Rohn, Nicolas Witte, Sebastian Kautz
maschere Thomas Raschern, Hajo Schüler
Scenografia Michael Ottopal
costumi Eliseu R. Weide
musica Dirk Schröder
disegno luci Reinhard Hubert
produzione Familie Flöz, Theaterhaus Stuttgart, Theater Duisburg
La scorciatoia per il paradiso passa per l’inferno
Strane cose accadono nel tranquillo HOTEL PARADISO, un piccolo albergo di montagna gestito con pugno di ferro dalla anziana capo-famiglia. Ci sono quattro stelle che orgogliosamente troneggiano sull‘entrata e una fonte che promette la guarigione di malattie fisiche e psichiche. Ma si intravedono nubi all‘orizzonte. Il figlio sogna il vero amore mentre combatte una dura battaglia con la sorella per mantenere il controllo sulla gestione dell‘albergo. La donna del piano ha un problema di cleptomania e il cuoco ha una passione, quella di macellare, non solo animali…Quando il primo cadavere affiora, tutto l‘albergo scivola in un vortice di strani avvenimenti. Fra le alte vette delle Alpi si aprono abissi da cui è impossibile fuggire. La chiusura dell’albergo sembra a questo punto solo una questione di tempo. Si sa, un cadavere non porta mai bene…Familie Flöz in versione noir! Un giallo sulle Alpi pieno di umorismo, sentimenti travolgenti e un tocco di melanconia. Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Torino, Teatro Regio:”Don Pasquale” (cast alternativo)

Ven, 02/02/2024 - 09:33

Torino, Teatro Regio, Stagione d’Opera 2023-24.
“DON PASQUALE”
Dramma buffo in tre atti. Libretto di Giovanni Ruffini e Gaetano Donizetti.
Musica di Gaetano Donizetti
Don Pasquale LUCIO GALLO
Norina FRANCESCA PIA VITALE
Ernesto MATTEO FALCIER
Dottor Malatesta VINCENZO NIZZARDO
Un Notaro FRANCO RIZZO
Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino
Direttore d’orchestra Alessandro De Marchi
Maestro del Coro Ulisse Trabacchin
Regia Ugo Gregoretti ripresa della regia Riccardino Massa
Scene e Costumi Eugenio Guglielminetti
Movimenti Mimici Anna Maria Bruzzese
Luci Vladi Spigarolo
Allestimento Teatro Regio Torino.
Torino, 28 gennaio 2024
Lo spettacolo di Gregoretti, creato nel febbraio del 1988, fortunatamente conservato nei magazzini di Settimo Torinese, si affaccia per la quinta volta in una stagione del Teatro Regio e ottiene ancora successo e apprezzamento dal pubblico. Non si mostra datato, seppur l’idea originaria sia comunque non corretto trattandosi di uno svolgimento domestico, da salotto, viene impropriamente trasferito all’aperto, in strade e piazze di Roma, sulla riva di un canale sormontato da un ponte e navigato da un’elegante zattera a remi, come fosse una gondola, a Venezia. La scena in bianco-nero, di Eugenio Guglielminetti, ispirata al Piranesi. Sempre di Guglielminetti i variegati e colorati costumi. Le luci di Vladi Spigarolo illuminano e rendono ben omogeneo e distinto quanto si vede; i Movimenti Mimici a cura di Anna Maria Bruzzese paiono, a tutti gli effetti, armonici e ben distribuiti; altrettanto ben eseguita la ripresa registica di Riccardino Massa che non fa rimpiangere la forzata assenza di Ugo Gregoretti. Sul palco Lucio Gallo è un punto di forza indiscutibile. Gli anni di pratica di palcoscenico ne hanno fatto un attore smaliziato e carismatico. I suoi recitativi sono sempre precisi e coinvolgenti. Conosce trucchi e astuzie per rendere il sillabato impressionante e divertente. Il canto ha buona fermezza e regge in modo convincente anche il fraseggio disteso. Si sente e si vede che Falstaff è nelle sue corde, la lettura della lista delle spese di Norina fa il paro con quella di Falstaff alla Giarrettiera. Così come al Falstaff, post bagno nel Tamigi, riporta l’abbandono quasi immediato del piagnucolio patetico conseguente allo schiaffo di Norina. Nessun patetismo, e qui ci si mette anche De Marchi, non c’è tempo per piangersi addosso, il ricupero dell’innata arroganza condita da una buona dose di protervia è, con Lucio Gallo, immediato. Pare dirsi: se con Norina non è andata, un’altra occasione, meno impegnativa e soprattutto meno dispendiosa, si ripresenterà di certo al più presto. Degno contraltare Don Pasquale è l’elettrizzante Norina di Francesca Pia Vitale che gioca al meglio il suo ruolo con la figura e col canto. Adeguato il timbro di soprano brillante ma non querulo. Si destreggia bene sia con le agilità in zona acuta che con il fraseggio disteso, esibisce infatti centri rotondi e ben sostenuti che possono far prevedere imminenti ruoli di eroine del belcanto. La cavatina d’entrata risulta frizzante e gustosa. Nei duetti e nei concertati è sempre sonoramente presente e svettante. Sul palco si muove ed agisce con la sicurezza di una protagonista, le è di aiuto una bella figura, adattissima al ruolo. Matteo Falcier, è un Ernesto accorato e amoroso al punto giusto. Sicuramente non ha l’esperienza di palcoscenico di Gallo ma non per questo è meno efficace: il bel timbro e la buona tecnica sono apprezzati dal pubblico. La parte, che lo costringe a cantare nella zona di passaggio e in acuto, è sicuramente una delle palestre più ardue da affrontare per il tenore. Sovente canta è sollecitato in acuto più Norina (“Tornami a dir che m’ami”), e Falcier ne esce ottimamente grazie a una emissione controllata che coniuga lirismo alla grazia. I si bemolle acuti di cui è disseminato la sua scrittura suonano facili e naturali, per cui non si vede la necessità di introdurre un forzato RE sovracuto, peraltro fuori ordinanza seppur di tradizione, al termine della cabaletta del secondo atto. Vincenzo Nizzardo è un Dottor Malatesta robusto e sonoro. Il timbro e il piglio non propriamente raffinati ne fanno più un simpatico compagnone di bevute che un furbastro tessitore di intrighi matrimoniali. Nella sua aria “Bella siccome un angelo …” pare un po’ un rozzo Dulcamara che, in luogo della magica pozione, debba piazzare e sistemare una sorella. È un approccio che, per volontà o per necessità, porta al bando di finezze e sfumature. Le vesti del Notaio, a cui la parte riserva poche battute, pur essenziali alla vicenda, sono state eccellentemente indossate da un efficace . Al Coro la partitura riserva due parentesi di grande vivacità, l’interpretazione del Coro del Teatro Regio di Torino, che ha come nuova guida il giovane Maestro Ulisse Trabacchin, è stata efficace e brillante. La Regia ha poi affidato al coro gran parte del tramestio e della voluta confusione in scena e ha trasformato così i coristi in smaliziate comparse. Fondamentale per il successo dello spettacolo è stata la straordinaria Orchestra del Teatro Regio di Torino, sotto la folgorante direzione di Alessandro De Marchi. La buca non solo ha accompagnato l’azione ma ne è stato sempre il fulcro e il propulsore. Scattante, attenta, nervosa e coinvolgente. De Marchi, già leader della prestigiosa Accademia Montis Regalis e del Festival di Musica Antica di Innsbruck, non sale sovente sul podio del Regio ma, ogni volta che ciò avviene, ci offre esecuzioni memorabili. Incanta il gran senso del teatro di cui traboccano le sue recite, qui vale citare un esempio concreto della serata: il finale del duetto dello scilinguagnolo tra Malatesta e Pasquale è normalmente un successo, con un assoluto tempismo musicale e teatrale, De Marchi ne ha imposto una breve ripresa delle ultime battute, a guisa di bis, la platea ha reagito sommergendo il teatro con una valanga di applausi e di sonore approvazioni. Lo spettacolo pomeridiano, di domenica, è per tradizione, da sempre, l’occasione per l’opera dei frequentatori provenienti in pullman da fuori città, da cui è scontato un reale tutto esaurito che, per l’occasione, è stato pure sigillato con un grande entusiasmo e conseguente felice e pieno successo. Foto Andrea Macchia

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Le cantate di Johann Sebastian Bach: Festa della Presentazione del Signore (Candelora)

Ven, 02/02/2024 - 01:20

Per il 2 febbraio del 1725, festa della presentazione del Signore (Festa della Purificazione di Maria, per la Chiesa Luterana), o anche più semplicemente conosciuta come “Candelora”, fu predisposta la Cantata nr.125, Mit Fried und Freud ich fahr dahin. Si tratta di una delle numerosa Cantate bachiane su Corale, nel caso specifico il Lied prescelto è quello che Lutero ricavò nel 1524 dal Cantico di Simeone. L’anonimo autore del testo della Cantata ne ha 3 stanze, la seconda delle quali, confluita nel nr.3 della partitura,  reca la non infrequente farcitura di versi di libera invenzione. Il concetto di affrontare un cammino nella pace e nella gioia, annunciato nella prima strofa del Lied, è esposto da un ampio ritmo cullante di 12/8 e una costante applicazione di figure di terzine che sostengono il dialogo fra legni, flauto traverso, oboe e archi, avviato da un’introduzione poi ripresa dopo la proposta dell’ultimo versetto. Sul piano vocale, il primo coro, si presenta come un Mottetto su “cantus firmus”. La melodia è affidata ai soprani rinforzato da un corno, un po’ tra lo stile concertante eil raddoppio con la parte di strumenti e voci. Pagina superba, particolarmente ispirata, l’aria tripartita (nr.2) affidata al contralto con flauto traverso e oboe d’amore concertanti, che proseguono per terze parallele, in ritmi puntati e con un profluvio di abbellimenti. Il nr.3 è un recitativo con Corale, intonato dal basso, con parti obbligate degli archi che propongono una figura “ostinata”, solenne e gioiosa che vuole illustrare la meraviglia perchè lo spirito non potrà essere annullato dalla morte. Un brillante duetto, in forma tripartita, tra tenore e basso, con 2 parti di violino, avvia alla conclusione della partitura, siglata da un breve recitativo del contralto e dal consueto Corale semplice.
Nr.1 Corale
In pace e con gioia me ne vado
secondo la volontà di Dio;
il mio cuore e la mia mente sono appagati,
calmi e sereni;
come Dio mi ha promesso,
la morte è diventata il mio sonno.
Nr.2 – Aria (Contralto)
Anche se perdo la vista
lo sguardo è rivolto a te, mio Salvatore.
Anche se lo scheletro del corpo è in pezzi,
il mio cuore e la mia speranza persistono.
Nella morte il mio Gesù veglia su di me
e mi preserva da qualunque male.
Nr.3 – Recitativo e Corale (Basso)
Che miracolo, quando un cuore
di fronte alla tomba che odia la carne
e di fronte al dolore dell’agonia non retrocede!
E’ l’opera di Cristo, vero Figlio di Dio,
Salvatore fedele,
che persino sul letto di morte
delizia lo spirito con dolcezze celesti,
che tu, Signore, mi hai mostrato, affinché
nella pienezza dei tempi un braccio pieno
di fede accogliesse la salvezza del Signore;
e mi hai fatto conoscere
il Dio onnipotente, creatore di tutte le cose,
che è la vita e la salvezza,
il conforto e la ricompensa degli uomini,
colui che li salva dalla perdizione
nell’agonia e nella morte.
Nr.4 – Aria/ Duetto (Tenore e Basso)
Una luce misteriosa invade la terra intera.
Risuona con potenza da luogo a luogo
la promessa tanto desiderata:
chiunque crede sarà salvato.
Nr.5 – Recitativo (Contralto)
O inesauribile tesoro di bontà
aperto per noi uomini: il mondo
che aveva meritato collera e sventura
troverà un trono di grazia
con le insegne della vittoria,
e ogni anima credente
sarà invitata nel suo Regno di misericordia.
Nr.6 – Corale
Questa è la salvezza e la luce beata
delle genti pagane,
per illuminare coloro che non ti conoscono
e dargli nutrimento.
Egli è gloria, onore, gioia
e delizia del tuo popolo Israele

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Mit Fried und Freud ich fahr dahin” BWV 125
Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Ciak: “Sherlock Holmes e la valle della paura” dal 03 al 25 Febbraio 2024

Gio, 01/02/2024 - 20:00
Roma, Teatro Ciak
Via Cassia,692
SHERLOCK HOLMES: LA VALLE DELLA PAURA
di Sir Arthur Conan Doyle
Adattamento teatrale Michele Montemagno
Con Paolo Romano, Guido Targetti, Linda Manganelli, Mauro Santopietro, Enrico Ottaviano, Marco Manchi, Francesco Mancarelli, Andrea Ruggeri
Scene Fabiana Di Marco
Musiche Alessandro Molinari
Costumi Valentina Bazzucchi
Disegno Luci Marco Catalucci
Coreografie Giovanna Gallo
Regia Anna Masullo
Ubik Produzioni e Teatro Stabile del Giallo
Divertimento e suspense con l’aggiunta dell’arte della deduzione. Indagini mozzafiato, colpi di scena e un epilogo davvero sorprendente: in un vertiginoso e inimitabile intreccio di generi è in arrivo al Teatro Ciak di Roma una delle più famose peripezie del mitico e incontrastato principe dei detective, SHERLOCK HOLMES – La valle della paura di Sir Arthur Conan Doyle. Una nuova avventura firmata Stabile del Giallo, in scena da sabato 3 a domenica 25 febbraio, che vedrà sul palco veri e propri veterani del genere noir: Paolo Romano e Guido Targetti, rispettivamente nei panni di Sherlock e Watson e ancora Linda Manganelli, Mauro Santopietro, Enrico Ottaviano, Marco Blanchi, Francesco Maccarinelli e Andrea Ruggieri. L’ adattamento teatrale è di Michele Montemagno, la regia è di Anna Masullo. La valle della paura è il quarto e ultimo romanzo di Sir Arthur Conan Doyle con protagonista Sherlock Holmes. Un viaggio attraverso la Londra vittoriana che approderà poi nell’America dei pionieri e dei gangster e vedrà l’evolversi di amori travagliati, riunioni di logge massoniche, e in cui il pubblico si troverà ad essere spettatore di omicidi inesplicabili. Come sempre al fianco dell’investigatore di Baker Street non mancherà l’inseparabile collaboratore Dottor Watson. Un caso che travalica i confini del tempo, dove incombe la presenza minacciosa di un’organizzazione criminale di dimensioni internazionali, il cui spettro è incarnato dal “Napoleone del crimine”, Professor Moriarty. Pochi sanno che questo romanzo di Doyle è basato sulla vera storia dei “Molly Maguires”, società segreta attiva negli Stati Uniti nello Stato della Pennsylvania tra la fine della guerra di secessione e gli anni 1876−1878, quando una serie di arresti e condanne pose fine all’esistenza dell’organizzazione. Il gruppo si rese colpevole di una serie di attentati, omicidi e sabotaggi compiuti ai danni delle forze dell’ordine e dei proprietari delle miniere. Qui per tutte le date.
Categorie: Musica corale

Dresden Semperoper: “Tristan und Isolde”

Gio, 01/02/2024 - 19:35

Dresden. Semperoper,  Season 2023/2024
“TRISTAN UND ISOLDE”
Opera in three acts. Libretto and music by Richard Wagner
Tristan KLAUS FLORIAN VOGT
Isolde CAMILLA NYLUND
Marke, King of Cornwall GEORG ZEPPENFELD
Kurwenal MARTIN GANTNER
Brangäne TANJA ARIANE BAUMGARTNER
Melot SEBASTIAN WARTIG
Ein Hirt ATTILIO GLASER
Ein Steuermann LAWSON ANDERSON
Ein junger Seemann ATTILIO GLASER
Sächsiche Staatskapelle Dresden
Sächsiche Staatsopern Chor Dresden
Conductor Christian Thielemann
Chorus master André Kellinghaus
Staging and Set Design Marco Arturo Marelli
Costume Design Dagmar Niefind-Marelli
Lightdesign Friedewalt Degen
Stage music Alexander Bülow
Co-production with the Opéra de Montpellier
Dresden, 28th January 2024.
The third of four performances of Richard Wagner’s Tristan and Isolde was received in triumph at Dresden’s Semperoper on Sunday 28th January. The production which was first presented almost 30 years ago, remains fresh and ageless and the singers and musicians under the calm mastery of the outgoing musical director Christian Thielemann gave individual and ensemble displays of excellence. The aesthetic and drammaturgical impact of Marco Arturo Marelli’s brilliantly simple and powerful set design cannot be overestimated. The encircling ring of tall panels were used to effect to delimit the world of Tristan and Isolde from an unlimited background space, imaginatively suggesting a ship, a walled garden, and a castle across the three acts. But it was the large, raised and tilted diamond shaped platform converging towards the conductor the stunning focus. The front point which converged towards the conductor created a strong visual and musical connection, and worked as a galvanizing effect on audience attention. The almost vertical position of the platform in Act lll evoked a steep castle, and cleverly allowed the dying Tristan a close up effect in his death throws and from its highest tip an ecstatic Isolde to soar back into eternity. The appearance in Act ll of sheer curtains dropping from the flies which envelope the platform, isolating Tristan and Isolde and creating an intimate and dreamlike world of their own was a delicate and simply perfect visualization of the couple’s psychological and emotional state. The eloquent staging was enhanced throughout by the skillful and dynamic lighting of Friedwalt Deger, as deeply atmospheric in creating the external and internal worlds as he was in highlighting and illuminating the characters’ emotions; the whole sense of the opera. Dagmar Niefind-Marelli costumes elegantly and discreetly underlined the social status of each role and blended chromatically with the lighting design to feature the individual temperaments. In addition to being beautiful and striking in their own right, the costumes appeared as convincing and up to date as they must have been thirty years ago. Apart from the necessary action moments, mainly in Act l and Act lll, and the exits and entrances, there was little stage direction to speak of. The lack of physical reaction produced some unnecessarily stilted moments, the most conspicuous being the lovers’ tryst at the beginning of the second act. Held at a Covid distance, their backs pinned to the wall, Wagner’s stage direction that they embrace passionately was totally ignored. The long ecstatic, passionate duet where they can finally and explicitly express their physical contact looked straight-jacketed and sounded at odds with the tumbling text and the tumultuous orchestration. But these moments were quickly re-absorbed as the audience’s attention was focused elsewhere; and that was at the outstanding vocal and orchestral performances. The audience was treated to splendid cast of world class standing. Klaus Florian Vogt in his debut in the title role was a perfect match to Camilla Nylund’s Isolde. Vogt’s lighter, brighter tenor than is usual in this role could rely on clear diction, a natural sense of phrasing and stamina to convincingly portray restrainment in the first act, youthful passion and enthusiasm in the second and delirium and anguish in the third. The love duet was a superb reciprocal musical interplay of supple and expressive singing with both singers leaning heavily on their innate lyrical quality to express their rapture. Nyland gave generously and her full, round vocality never faltered, in fact it went from strength to strength. Over the course of the three acts she persuasively conveyed the different phases of her love with adroit musicality and artful vocality passing from her first youthful impatience to the calm moving power of her apotheosis at the end of act lll. But the really stunning performance of the evening came from Georg Zeppenfeld as King Marke. Every aspect of his performance was magnetic, beginning with the allure of his rich vibrant vocal colour, gravitas and poise. But equally riveting was the deployment of his perfect diction and articulation, the clarity of his text, the beauty of his phrasing and the meaningful self-awareness of his delivery to maintain interest and elicit empathy. He exuded sorrow, pain, hurt, betrayal, and disappointment, simultaneously with nobility, authority and humanity. The remaining cast members were a delight. Sebastian Wartig was an incisive and significant vocal and stage presence as Melot, Martin Gantner a robust and earthy companion to Tristan as Kurnewal, Tanja Ariane Baumgartner, substituting an indisposed Christa Mayer, an enchanting Brangäne, and Lawson Anderson a fine steersman. But absolutely captivating was the luxury casting of Attilio Glaser in the double role as a shepherd and a seaman. He sang the soaring, unaccompanied folk melodies with tenderness and melancholy leaving behind a wake of wistfulness and longing. A beautifully musical performance. But even with these superb portrayals, at the heart of the performance was a peerless Thielemann the distinguished Wagnerian. His gestures were circumspect and contained but nevertheless alert and consequential; his manner was essential, concentrated and unflamboyant without foresaking depth and emotion ; a synthesis of his own Tristan and Isolde experience. From the opening notes his execution flowed seamlessly allowing the salient musical features to emerge without ever resorting to emphasis. He didn’t wallow in the opening Tristan accord but neither did he rush. He did however keep the tempo moving until the end. There was no hint of self-indulgence. The ensemble rapport conductor, singer, orchestra exuded confidence, ease and trust. Thielemann kept perfect control of the proceedings, only unleashing the orchestra when their combined force didn’t risk coming into direct competition with the voices. For it’s part, the orchestra played impeccably both technically and musically, totally engaged until the end. Such a visual and aural pleasure to see the sweep of a line of the double bass bows perfectly synchronized and be drawn into their deep vibrant resonance, to cite just one instant out of plethora of significant orchestral moments. The wind and brass solos were remarkable for their understated presence in the context of the orchestral weft. Thielemann tirelessly held the threads together and ensured that at no moment was a performer overpowered; the harp was as audible as the trombones and horns, and Tristan and Isolde could be permitted a murmur. But the bottom line was, that the performance stood as more than the sum of its parts. Thielemann aided by first class performers and collaborators had accomplished a powerful and deeply moving experience, enthusiastically acknowledged at the numerous curtain calls. Photo Ludwig Olah

 

Categorie: Musica corale

Malta, XII° Valletta Baroque Festival: “Le triomphe de l’Amour”, con il baritono André Morsch e il pianoforte di Charlene Farrugia

Gio, 01/02/2024 - 17:35

Valletta (Malta), Teatru Manoel, XII Valletta Baroque Festival
LE TRIOMPHE DE L’AMOUR – FRENCH LOVE SONGS FROM LULLY TO LAMBERT
Baritono André Morsch
Pianoforte Charlene Farrugia
Jean-Baptiste Lully (1632 – 1687): “Air pour la Jeunesse” da Le triomphe de l’amour (Piano solo); “Belle Hermione” da Cadmus et Hermione; Jean-Philippe Rameau (1683 – 1764):Rivaux de mes exploits” da Les indes Galantes; “La villageoise” da Suite in e minor (Piano solo); “Nature, amour” da Castor et Pollux; Claude Debussy (1862 – 1918): La demoiselle élue; L.62 Prélude (Piano solo); Trois ballades de François Villon: Fausse beauté qui tant me coûte cher, Dame du ciel, régente terrienne, Quoy qu’on tient belles langagières; Francis Poulenc (1899 – 1963): Mélancholie, FP 105 (Piano solo); Chansons gaillardes: “La Maîtresse volage” – Rondement; “Chanson à boire” – Adagio; “Madrigal” – Très décidé; “Invocation aux Parques” – Grave; “Couplets bachiques” – Très animé; “L’Offrande” – Modéré; ‘La Belle Jeunesse” – Très animé; “Sérénade” – Modéré; Michel Lambert (1610 – 1696): Vos mépris chaque jour; Ma bergère est tendre et fidèle
Valletta (Malta), 27 gennaio 2024
L’ultimo evento cui abbiamo avuto il piacere di assistere al Valletta Baroque Festival è stato un tributo alla tradizione francese, da Michel Lambert, ancora legato agli stilemi manieristi, fino a Poulenc. L’incantevole cornice del Teatro Manoel – tra i più antichi ancora in attività – ha ospitato questo breve excursus nei secoli per pianoforte e voce, dal magniloquente titolo “Le triomphe de l’Amour”, quando in realtà ben poco di “trionfale” vi si è potuto riscontrare; beninteso: il repertorio proposto è certamente di grande interesse, anche le pagine non seicentesche, che sono state scelte tra quelle apertamente “all’antica”, e il talento degli esecutori è indiscutibile; tuttavia la stimmung che trapela da questo repertorio è di un’agrodolce malinconico sentimentalismo, che, a parte una manciata di pezzi, omogenizza tutto in maniera troppo monocorde. Peccato, perché, come già detto, gli interpreti sono di grande valore: Charlene Farrugia al pianoforte raccoglie una sfida importante, e cioè quella di prediligere uno strumento per nulla barocco in un festival come questo; le sue interpretazioni di Lully e Rameau, tuttavia, non ci fanno sentire troppo la mancanza del cembalo, giacché la Farrugia presta grande attenzione alle dinamiche e a una resa rispettosa; su Debussy, soprattutto, percepiamo che l’interprete tenga a lasciare il segno, grazie a una particolare sensibilità musicale orientata in tale direzione, oltre che a una totale coesione con la linea vocale; su Poulenc, invece, emerge meno, c’è come un maggiore disagio che sembra frenarne l’estro, e affidare al canto preponderanza. André Morsch, baritono di gran classe e specializzato in canto da camera e liederistica, sfodera un mezzo vocale senz’altro dai colori caldi e luminosi, e che domina con buona padronanza tecnica; la linea vocale mostra un bell’uso del registro centrale a differenza di quello acuto affrontato con maggior accortezza anche  ricorrendo a piacevoli portamenti. È indiscutibile, anche per lui, una maggior dimestichezza col repertorio barocco: Lully, Rameau e Lambert sono i suoi migliori momenti, sebbene si mostri divertito su Poulenc – e giustamente prudente con Debussy, ove si lascia più guidare dallo strumento; il naturale fascino scenico dell’interprete tedesco suggella infine il suo personale successo. Il concerto ha raccolto numerosi consensi, sebbene abbia trattato un repertorio inusuale e abbia avuto luogo di sabato pomeriggio: senza dubbio gli applausi sono stati meritati, anche se avremmo preferito forse qualche pezzo più diversificato (magari l’introduzione di una seconda voce ogni tanto?) e maggiormente orientato ad indagare il ricchissimo patrimonio operistico d’oltralpe, che avrebbe, forse, avuto anche maggiore presa sul pubblico, oltre che valorizzato le possibilità interpretative sia del pianoforte che del baritono. 

Categorie: Musica corale

Torino, Teatro Regio: “Don Pasquale”

Gio, 01/02/2024 - 15:46

Torino, Teatro Regio, stagione d’opera e balletto 2023/24
“DON PASQUALE”
Dramma buffo in tre atti su libretto di Giovanni Ruffini e Gaetano Donizetti
Musica di Gaetano Donizetti
Don Pasquale NICOLA ALAIMO
Norina MARIA GRAZIA SCHIAVO
Ernesto ANTONINO SIRAGUSA
Dottor Malatesta SIMONE DEL SAVIO
Un notaro MARCO SPORTELLI
Orchestra e coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Alessandro De Marchi
Maestro del coro  Ulisse Trabacchin
Regia Ugo Gregoretti
Ripresa di regia  Riccardino Massa
Scene e costumi Eugenio Guglielminetti
Luci Vladi Spigarolo
Torino, Teatro Regio, 27 gennaio 2027
Trentasei anni e non sentirli, questa potrebbe essere la sintesi della ripresa del “Don Pasquale” donizettiano allestito da Ugo Gregoretti nel 1988 e ora riproposto da Riccardino Massi e che mantiene tutta la sua irresistibile freschezza. Gregoretti all’epoca ribaltava in modo radicale l’impostazione dell’opera. Pur rispettandone le coordinate ambientali e temporali la rovesciava come un guanto. Opera di interni borghesi e di spazi chiusi “Don Pasquale” diventava per Gregoretti opera en plain air il cui spazio scenico diventava il vicolo di fronte alla casa di Don Pasquale, spazio ideale in cui le vicende dei personaggi si fondevano con l’interminabile andirivieni della vita romana del tempo. A sfilare è tutta la composita umanità della Roma papalina dei primi decenni dell’Ottocento tra ecclesiastici e finti mendicanti, artisti in cerca di fortuna, ladri e gandtouristi che sembrano far da contraltare alle vicende private dei personaggi. Assistere a questo spettacolo e come perdersi in quei vicoli di una Roma ormai scomparsa in cui si perdeva il giovane Albert de Morcerf nelle coeve pagine del “Conte di Montecristo”. Si può forse obbiettare che questa esuberanza vitalistica può risultare anche eccessiva e innegabilmente ci sono punti in cui un maggior raccoglimento sui personaggi sarebbe stato gradito ma – anche grazie all’ottima ripesa – lo spettacolo non ha perso nulla della sua energia ed entusiasma il pubblico presente esaltando le doti di una compagnia di autentici cantanti-attori. Mattatore assoluto è Nicola Alaimo nei panni del protagonista. Perfettamente a suo agio nel personaggio il baritono siciliano non solo fornisce una prova vocalmente sontuosa ma si dimostra soprattutto incontenibile animale da palcoscenico. Sul piano vocale si resta colpiti dall’ampiezza della cavata e della robustezza del mezzo che gli permette di sfoggiare acuti impressionanti per volume e tenuta eseguiti senza alcun sentore di sforzo. I sillabati sono rapidissimi, precisi, senza alcune sbavatura nella miglior tradizione dei grandi buffi italiani. Sul piano scenico è d’irresistibile personalità, recita benissimo e interagisce con il pubblico facendolo partecipe della vicenda. Diverte e si diverte regalando a tutti un pomeriggio di autentica gioia musicale.
Simone del Savio (Malatesta) è la perfetta spalla di Alaimo. Vocalmente molto efficacie, forse solo un po’ troppo scuro timbricamente portando quasi – considerando anche il carattere prettamente baritonale della voce di Alaimo – a un rovesciamento timbrico tra i due ruoli si fa apprezzare per un’interpretazione attenta e puntale, capace di valorizzare al meglio il valore espressivo della parola. Perfettamente inserito nel gioco scenico con Alaimo – e lo stesso De Marchi – contribuisce in modo essenziale al duetto del III atto bissato a furor di popolo.
Antonino Siragusa (Ernesto) non in perfette forma fisica gioca un po’ sulla difensiva sfruttando esperienza e musicalità. Nel primo atto è alquanto prudente ma con il prosieguo la voce si scalda e si fa più sicura, l’aria del II atto è cesellata con gusto ed eleganza anche nel registro acuto affrontato con una certa preoccupazione. Il III atto si è distinto per gusto ed eleganza.
Maria Grazia Schiavo è una Norina dalla vocalità ricca e corposa. Bel timbro, emissione solida, voce ricca di armonici che soprattutto nei momenti più lirici emerge con dovizia. Scenicamente molto ben centrata fraseggia con gusto tratteggiando un personaggio simpatico e comunicativo, persin bonario in certi accenti verso Don Pasquale. Qualche saltuario indurimento sugli estremi acuti non pregiudica la riuscita complessiva della prova. Il tutto è guidato con mano sicura e impeccabile gusto da Alessandro De Marchi. Il direttore piemontese viene da lunga militanza barocca e ha la capacità – anche con un’orchestra moderna – di ottenere un suono stilisticamente informato. I ritmi sono brillanti ma mai forzati, il suono leggero, arioso, sembra respirare con i cantanti; gli interventi solisti sono cesellati con cura. Il risultato è una lettura leggera e vivace, in cui la melonconia è alleggerita da un sorriso e l’ironia si addolcisce di una delicata umanità. De Marchi insiste – anche nell’interessante intervista sul programma di sala – sull’andamento danzate di molti momenti della partitura che qui è reso in modo magistrale con un uso sapiente dei rubati e una naturale predilezione per l’abbandono melodico.
Oltre a dirigere De Marchi partecipa al gioco scenico creando spassosissime scenette con Alaimo e Del Savio. Sala purtroppo non gremita ma successo autenticamente trionfale per tutti gli interpreti.  Foto Andrea Macchia

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