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Roma, Teatro India: “Storia di un oblio” dal 21 al 25 Febbraio 2024

Mar, 20/02/2024 - 08:00

Roma, Teatro India
STORIA DI UN OBLIO

di Laurent Mauvignier
©Les Editions Minuit
traduzione Yasmina Melaouah Ed. Feltrinelli
regia Roberto Andò
con Vincenzo Pirrotta
Un uomo entra in un supermercato all’interno di un grande centro commerciale di una città francese. Ruba una lattina di birra e viene bloccato da quattro addetti alla sicurezza che lo trascinano nel magazzino e lo ammazzano di botte. Questo scarno fatto di cronaca è raccontato da Laurent Mauvignier in un lungo racconto, una sola frase che ricostruisce la mezz’ora in cui è insensatamente raccolta la tragica fine di un uomo. Teso quasi allo spasimo nel resoconto minuzioso di una morte assurda, il flusso di parole raduna impercettibilmente tutti i temi cari a Mauvignier. E torna così il suo sguardo purissimo su un universo di “umili” che la scrittura rigorosissima accoglie senza una briciola di retorica, senza un’ombra di furbizia. Raro, oggi, nel trionfo dei format narrativi nei quali la realtà diventa un reality, uno stile così impeccabilmente morale, una prosa così pudica e vera. “Quel che io chiamo oblio” è il titolo originale di questo monologo, scritto in un’unica frase, senza un vero inizio, senza una vera fine, senza punteggiatura ma con una prosa perfetta che in un crescendo emozionante risveglia in noi sentimenti di pietà e indignazione. Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Ambra Jovinelli: “Arlecchino?” dal 21 Febbraio al 03 Marzo 2024

Mar, 20/02/2024 - 08:00

Roma, Teatro Ambra Jovinelli
ARLECCHINO?
scritto e diretto da Marco Baliani
con Andrea Pennacchi
e con Marco Artusi, Federica Girardello, Miguel Gobbo Diaz, Margherita Mannino, Valerio Mazzucato, Anna Tringali
musiche eseguite dal vivo da Giorgio Gobbo, Riccardo Nicolin
scene e costumi Carlo Sala
luci Luca Barbati
aiuto regista Maria Celeste Carbone
Produzione Gli Ipocriti Melina Balsamo in coproduzione con TSV– teatro nazional
“In ogni epoca bisogna lottare per strappare la tradizione al conformismo che cerca di sopraffarla”
Walter Benjamin
L’Arlecchino che Andrea Pennacchi porta in scena farà forse sussultare i tanti Arlecchini che nel tempo hanno fatto grande questa maschera della commedia dell’arte. Lui cerca in tutti i modi di essere all’altezza del ruolo, ma non ne azzecca una, é goffo, sovrappeso, del tutto improbabile, ma è in buona compagnia: gli altri attori, che, come lui, sono stati assoldati, con misere paghe, dall’imprenditore Pantalone, sono, al pari di Arlecchino, debordanti, fuori orario, catastroficamente inadeguati. Eppure tutti questi sbandamenti, queste uscite di scena e fughe dal copione, che sono anche uscite nella contemporaneità dell’oggi, queste assurde prestazioni, queste cadute di stile e cadute al suolo di corpi sciamannati, tutte queste parole affastellate, tutto questo turbinio di azioni e gesti, stanno proprio rifacendo il miracolo della grande commedia goldoniana, in una forma non prevista, una commedia dirompente, straniante, che ricostruisce la tradizione dopo averla intelligentemente tradita. Ed ecco allora che la storia, nonostante tutto, anzi proprio grazie a questo tutto invadente, si dipana nella sua narrazione e ne esce un Arlecchino mai visto che riunisce stilemi diversi, frammenti di cabaret, burlesque, avanspettacolo, commedia, dramma, un gran calderone ultra postmoderno che inanella via via pezzi di memoria della storia del teatro. Per riuscire a creare un simile guazzabuglio di intenzioni, per riuscire a renderlo eccezionalmente vivo, occorrevano attori capaci di seguirmi in un simile delirio. Ed eccoli qui, una compagnia di compagni e complici, Marco Artusi, Federica Girardello, Miguel Gobbo Diaz, Margherita Mannino, Valerio Mazzucato, e Anna Tringali, capaci di interpretare contemporaneamente più ruoli, di passare dalle proteste borbottanti degli attori sottopagati, alle vorticose azioni dei personaggi della commedia che pur devono rappresentare. In questo incessante salto mortale di identità è il loro talento a tenere insieme ciò che di continuo sembra sfuggire alla presa. Appartengono di diritto alla grande tradizione del teatro veneto, grande perché sempre capace di rischiare per rinnovarsi, come accade su queste tavole sceniche imbandite di follia arlecchinesca. Durante le prove immaginavo di avere Carlo Goldoni seduto in terza fila, e dovevo dirgli di fare silenzio tanto si sganasciava dalle risate, con gli occhi stupiti di bambino mai cresciuto di fronte a questa sua opera divenuta così inverosimile da essere ancor più sua. E quando poi le musiche di Giorgio Gobbo accompagnate dalla batteria di Riccardo Nicolin si infilavano come blitz sorprendenti costringendo gli attori a divenire anche danzanti e cantanti il Goldoni là dietro non si teneva più. Infine che dire delle scene fluttuanti di Carlo Sala, una scenografia semovente, mobile, semplice come lo è la creatività quando si dimentica di dover fare bella figura e si lascia andare al gioco infantile, grazie agli stessi attori che si fanno operai macchinisti modificando la scena di continuo come avvenissero improvvise folate di vento, a volte in forma di bufera a volte come zefiro primaverile. Il testo febbrilmente rimaneggiato ogni giorno, a partire dalle intuizioni che sorgevano in me, vedendo all’opera la creatività degli attori, e trascritto con solerzia da Maria Celeste Carobene, è proprio quello che fin dall’inizio avevo immaginato. Le parole che vengono fatte volare sono anch’esse leggere, eppure, eppure, come accade davvero nella vera commedia, arrivano stilettate e spifferi lancinanti che parlano dei nostri giornalieri disastri di paese e di popolo, così che i terremoti scenici ci ricordano il traballare quotidiano delle nostre esistenze. Qui per tutte le informazioni.

 

 

Categorie: Musica corale

Roma, Festival Equilibrio: “Universe: A Dark Crystal Odyssey” di Wayne McGregor

Mar, 20/02/2024 - 00:10

Roma, Auditorium Sala della Musica Ennio Morricone, Sala Petrassi, Festival Equilibrio 2024
“UNIVERSE: A DARK CRYSTAL ODYSSEY”
Coreografia Wayne McGregor
Musica Joel Cadbury
Film Design Ravi Deepres
Drammaturgia Uzma Hameed
Lighting Design Lucy Carter
Costumi e copricapi Philip Delamore e Alex Box
Poesia orale Isaiah Hull
Company Wayne McGregor
Coproduzione The Royal Ballet e Studio Wayne McGregor in associazione con The Jim Henson Company
Roma, 15 febbraio 2024
Immagini potenti che avvolgono lo spettatore e sembrano uscire dalla scatola teatrale quelle usate dal coreografo Wayne McGregor nel suo spettacolo Universe: A Dark Crystal Odyssey, presentato con grande richiamo al Festival Equilibrio curato da Emanuele Masi e del tutto consonante con l’invito di quest’ultimo a “guardare con acume e speranza nell’oscurità di un cielo che è rappresentazione del nostro presente inquieto”. Il pluripremiato coreografo britannico, già noto come autore di produzioni che coinvolgono danza, cinema, arti visive, moda, scienza e tecnologia, riflette questa volta sulla crisi climatica ispirandosi al film fantasy The Dark Crystal di Jim Henson. L’impatto iniziale è oltremodo avvincente. In un’ambiente marino distinto dal rumore dell’acqua e dall’imponente apparizione di un pesce rosso in movimento, i danzatori nel loro riverberante movimento riflesso nelle tute fluo si fondono con la natura liquida circostante, diventandone parte integrante ed esprimendone armonie e disequilibri. Ci si perde per non necessariamente ritrovarsi in quest’Odissea scura fatta di “sfruttamento”, “distruzione” e “apatia”. Il divampare di una gigantesca cartolina, il colore scuro della contaminazione, le lamine taglienti dello stile di movimento destinato ad alcuni passaggi coreografici rispondono a una tensione narrativa di fondo che si nutre del confronto con la musica elettronica di Joel Cadbury e con parole che rimandano alle catastrofi ambientali. Nel suo essere concettuale, la danza di McGregor si qualifica come un’arte che parte da motivi reali per pervenire a vette universali, facendo rinascere in chi la osserva un lume di speranza. Il luccichio delle stelle si riflette negli abiti dei performers, che si abbandonano a momenti a una danza pura intrisa dal rapporto con forme geometriche circolari. Alla base dell’ispirazione di McGregor si può intravedere l’idea della metamorfosi. Quello che inizialmente può apparire come l’immagine di una medusa si trasforma gradualmente ampliandosi ed evolvendo verso l’immagine di un bosco con alberi o di una struttura architettonica, per poi dissolversi davanti agli occhi dello spettatore. Lo stesso vale per la danza e lo spettacolo nel suo complesso, costituito dall’alternarsi e dal dissolversi di diverse scene. Occorre dunque comprendere chi siano davvero gli interpreti, che linguaggio parlino e quale sia il loro ruolo ultimo in questa continua transizione. Il suggerimento verbale riferito all’essenza dell’esistenza umana si relaziona al dialogo visuale tra la solidità di un albero frondoso radicato nella terra e la nobile perfezione del cosmo, rendendo i danzatori in quanto esseri umani dei fari potenti, oltre che degli strumenti di una comunicazione soprannaturale che nel fluido ondeggiare delle forme si propaga come luce nello spazio, raggiungendo l’infinito. Foto Fondazione Musica per Roma/MUSA

 

Categorie: Musica corale

Milano, Teatro alla Scala: “Simon Boccanegra”

Lun, 19/02/2024 - 17:38

Milano, Teatro alla Scala, Stagione Lirica 2023/2024
SIMON BOCCANEGRA”
Melodramma in un prologo e tre atti, Libretto di Francesco Maria Piave e Arrigo Boito
Musica di Giuseppe Verdi
Simon Boccanegra LUCA SALSI
Jacopo Fiesco AIN ANGER
Poalo Albiani ROBERTO DE CANDIA
Pietro ANDREA PELLEGRINI
Amelia (Maria) ELEONORA BURATTO
Gabriele Adorno CHARLES CASTRONOVO
Capitano dei Balestrieri HAIYANG GUO
Ancella di Amelia LAURA LOLITA PEREŠIVANA
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Lorenzo Viotti
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Daniele Abbado
Scene Daniele Abbado e Angelo Linzalata
Costumi Nanà Cecchi
Luci Alessandro Carletti
Movimento coreografici Simona Bucci
Nuovo allestimento
Milano, 17 febbraio 2024
Va nuovamente in scena alla Scala il Verdi maturo di Simon Boccanegra, riproposto l’ultima volta nel 2018 sulle tavole del Piermarini e di cui conserviamo il ricordo storico del leggendario allestimento firmato da Strehler esattamente quarant’anni prima, sotto la bacchetta di Claudio Abbado. Oggi la regia proposta è proprio del figlio, Daniele Abbado, ed è costruita sulla pretesa di una lettura ridotta all’osso che punti all’essenziale e a un’astrazione senza tempo, quasi un’immagine dell’assoluto, quando in realtà rivela una generica scarsità di idee concrete in un cosmo teatrale esageratamente asettico ed insipido. Una cornice anonima che ha il solo pregio di permettere allo spettatore di focalizzarsi interamente sulla musica, avendo poco altro da assimilare da questa proposta di allestimento. Questa impostazione si riflette anche nelle scarne scene disegnate dallo stesso Abbado – supportato da Angelo Linzalata – costituite da ampie superfici spoglie, blocchi di pareti semoventi, fondali neutri, pochi altri elementi di carattere illustrativo (un albero, delle vele, una barca, del mobilio spoglio). All’interno di questi ampi spazi vuoti brancolano smarriti protagonisti e masse, vestiti degli altrettanto confusi costumi di Nanà Cecchi, né di grande impatto e né coerenti tra loro nell’attingere da indefinite epoche diverse. Unico elemento a reggere visivamente un palcoscenico tanto desolato sono le belle luci di Alessandro Carletti, in grado di costruire intorno ai solisti una pregevole intensità drammatica, con suggestivi tagli e potenti proiezioni d’ombra sulle fredde superfici circostanti. Lorenzo Viotti torna a guidare l’Orchestra del Teatro alla Scala forte dei due precedenti successi qui debuttati in ambito comédie/tragédie lirique, che sappiamo padroneggiare alla perfezione dopo il suo Gounod del 2020 e del suo Massenet del 2022, nonché a valle dei suoi numerosi impegni internazionali. Primo approccio a una partitura italiana nel tempio italiano dell’opera dunque, un appuntamento non banale cui il giovane maestro risponde al solito con una lettura di grande profondità, variegata nelle dinamiche e sublime nella ricercatezza dei colori. Unico vizio di forma è forse la tendenza a trascinare inconsciamente la concertazione verso il suo proprio repertorio d’elezione, dandole un sapore più affine ad un romanticismo francese fortemente sbilanciato sul lirismo melodico, che quasi rinuncia alla spinta incandescente di quella pregnanza e di quel turgore tragico tipico verdiano. Nel ruolo del titolo troviamo un Luca Salsi in grande spolvero, una scelta da includere in cartellone a colpo sicuro e che non delude le aspettative. Salvo qualche consueta sporadica forzatura d’emissione nel registro più acuto, il baritono parmigiano presta al Doge una linea vocale corposa e compatta, sempre in bolla sul fiato, impreziosita in questo ruolo da una cura attenta e sentita del fraseggio con sapiente uso di accenti e mezzevoci, senza tuttavia eccedere mai in quell’impeto interpretativo quasi verista che abbiamo ascoltato in altre occasioni passate e che comprometteva quello che è oggettivamente un validissimo materiale vocale. Emerge dunque un Simone nobile, altero ma fortemente umano, ben costruito nella sua evoluzione emotiva e drammaturgica. Eleonora Buratto è un’Amelia di lusso, pregevole per ricchezza d’armonici e delicatezza nella gestione degli assottigliamenti. Il soprano mantovano disegna una linea di canto di piacevole morbidezza, spesso quasi sospesa ma sempre omogenea e sostenuta, senza rinunciare alla corposità di suono nella sezione medio-grave e agli acuti al contempo di costante lucentezza. Estatica la sua cavatina “Come in quest’ora bruna”, come maiuscolo è per gusto e misura ogni suo contributo nei duetti e terzetti. Gabriele Adorno ha la vigorosa voce di Charles Castronovo, più propenso a dare accento alla spinta eroica rispetto all’afflato lirico, pur cantando con varietà d’accenti e un buon ventaglio di colori. Meritati gli entusiastici applausi a scena aperta per la sua “Sento avvampar nell’anima”, di gran trasporto per gestione delle dinamiche e intenzione scenica. Unica eccezione in un cast omogeneamente ben assortito è il Fiesco di Ain Anger che, sebbene sia piacevolmente solido e tonante nella tessitura grave, mostra più di un’incertezza nei passaggi di registro così come nella costruzione del personaggio, non aiutata da un fraseggio approssimativo e da una dizione perfettibile. Sugli scudi invece Roberto de Candia, viscidamente sinistro nell’interpretazione del perfido Paolo Albiani sia dal punto di vista scenico sia nella performance vocale. Buona la prova degli altri ruoli: Andrea Pellegrini (Pietro), Haiyang Guo (Capitano dei balestrieri) e Laura Lolita Perešivana (Ancella di Amelia), come anche l’apporto del Coro istruito da Alberto Malazzi. Al termine gran successo di pubblico per Salsi (aldilà di qualche isolata contestazione dal loggione) ed entusiastici applausi per Buratto, Castronovo e Viotti. Foto Brescia & Amisano

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Vascello:” Top Girls” dal 20 al 25 Febbraio 2024

Lun, 19/02/2024 - 08:00

Roma, Teatro Vascello
TOP GIRLS
traduzione di Maggie Rose
con (in o.a.) Corinna Andreutti, Valentina Banci, Cristina Cattellani, Laura Cleri, Paola De Crescenzo, Martina De Santis, Simona De Sarno, Monica Nappo, Sara Putignano
costumi Daniela Ciancio
scene Barbara Bessi
luci Luca Bronzo
assistente alla regia Elvira Berarducci
regia Monica Nappo
produzione Fondazione Teatro Due, Parma
Quale sia la relazione della donna con il potere e quanto sia possibile avere una posizione di comando senza perdere il proprio femminile sono due domande cruciali di Top Girls. Il testo di Caryl Churchill, una delle più grandi drammaturghe inglesi viventi, è diretto dall’attrice e regista napoletana Monica Nappo che lo interpreta insieme a un cast femminile di grande talento composto da Sara Putignano, Valentina Banci, Cristina Cattellani, Laura Cleri, Martina De Santis, Paola De Crescenzo, Corinna Andreutti, Simona De Sarno. Produzione di Fondazione Teatro Due, Top Girls affronta in modo strutturale e teatrale molti temi diversi, fra cui l’ineludibilità del confronto con il modello maschile nell’esercizio del potere e le sue contraddizioni. La riflessione che Churchill mette in atto attraverso la sua opera risuona in particolare sintonia con lo spirito che guida il lavoro del Teatro Due: problematizzare e non semplificare. La pièce si concentra sul personaggio di Marlene, responsabile di un’agenzia di collocamento londinese, e racconta i compromessi che ha dovuto accettare per raggiungere una carriera costellata di successi; un racconto che l’autrice ottiene con l’utilizzo di tecniche insolite, tra cui una costruzione non lineare, dialoghi incalzanti e un visionario mix di fantasia e realtà.   Celeberrima è la scena della cena di promozione di Marlene che apre il testo; invitate cinque donne, figure iconiche di epoche diverse nella storia, nella letteratura e nell’arte: la scrittrice e esploratrice scozzese del XIX secolo Isabella Bird; Lady Nijo, cortigiana giapponese del XIII secolo e in seguito monaca buddista errante; la papessa Giovanna che nel IX secolo travestita da uomo raggiunse il grado ecclesiastico più alto dell’Impero; Dull Gret, figura centrale di un quadro di Bruegel e la Paziente Griselda, un personaggio delle storie di Boccaccio e Chaucer, la cui obbedienza al marito di fronte a orribili maltrattamenti l’ha resa leggenda. Le scene successive, saltando avanti e indietro nel tempo, smascherano lacerazioni profonde, rivelando che il successo professionale ha danneggiato irreparabilmente la vita personale di Marlene. L’universo di Top Girls è disegnato dai costumi di Daniela Ciancio, dalle scene Barbara Bessi e dalle luci di Luca Bronzo. Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Roma, Museo di Roma: “Ukiyoe. Il mondo fluttuante. Visioni dal Giappone” dal 20 Febbraio al 23 Giugno 2024

Dom, 18/02/2024 - 23:59

Roma, Museo di Roma
Palazzo Braschi

UKIYOE. IL MONDO FLUTTUANTE. VISIONI DAL GIAPPONE
a cura di Rossella Menegazzo
La mostra rappresenta un viaggio affascinante nell’arte giapponese di epoca Edo, attraverso una selezione di 150 capolavori tra il XVII e il XIX secolo tra dipinti, rotoli, ventagli e stampe, e oggetti della tradizione giapponese, come kimono e strumenti musicali. L’esposizione, a cura di Rossella Menegazzo, propone un percorso nell’arte giapponese tra il XVII e il XIX secolo attraverso centocinquanta capolavori provenienti dal Museo d’Arte Orientale E. Chiossone di Genova dal Museo delle Civiltà di Roma, firmati dai maestri del periodo Edo, tra cui Kitagawa Utamaro, Katsushika Hokusai, di cui verrà presentata anche la Grande Onda di Kanagawa, Keisai Eisen e la grande scuola Utagawa con Toyokuni, Toyoharu, Hiroshige, Kuniyoshi, Kunisada. Filo conduttore del percorso espositivo è il filone artistico conosciuto come ukiyoe, parola giapponese che letteralmente significa “immagini del mondo fluttuante”. Affermatosi a partire dalla metà del Seicento, l’ukiyoe porta al centro dell’attenzione il mondo contemporaneo giapponese del tempo legato alla nascita delle città, di nuove classi sociali, gusti e mode, che i maestri contribuiscono a diffondere insieme a nuovi valori estetici, educativi e culturali omogenei in tutto il Paese. La forte influenza esercitata dall’arte giapponese e dall’ukiyoe sulla cultura occidentale di fine Ottocento e inizio Novecento è restituita in mostra attraverso il racconto dell’esperienza unica di due artisti italiani, lo scultore Vincenzo Ragusa e l’incisore Edoardo Chiossone, che furono invitati dal governo giapponese Meiji di fine Ottocento come formatori e specialisti nei primi istituti di grafica e arte. Essi furono figure-chiave nello sviluppo delle prime professioni artistiche di stampo occidentale, insieme ad Antonio Fontanesi per la pittura e Giovanni Vincenzo Cappelletti per l’architettura. La conoscenza profonda del Giappone nei lunghi anni di permanenza permise loro di diventare anche collezionisti, formando due tra i più importanti nuclei di arte orientale in Italia, oggi conservati presso il Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone di Genova e al Museo delle Civiltà di Roma. In mostra la presenza italiana in Giappone di fine Ottocento e l’affascinante aspetto del collezionismo orientale in Italia sono anche testimoniati da alcuni pezzi appartenenti al Museo delle Civiltà di Roma, acquisiti da Luigi Pigorini e appartenuti al primo Console italiano in Giappone Cristoforo Robecchi e al conte Enrico di Borbone, conte di Bardi, gran parte della cui collezione è oggi al Museo d’Arte Orientale di Venezia. Ukiyoe. Il mondo fluttuante. Visioni dal Giappone restituisce un ritratto culturale del Giappone tra Seicento e Ottocento e testimonia lo scambio artistico tra Italia e Giappone, la cui influenza sopravvive ancora oggi attraverso manga, anime e un’estetica che ha trasformato il nostro vivere contemporaneo. Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman: “Storia di una capinera” dal 20 Febbraio al 03 Marzo 2024

Dom, 18/02/2024 - 11:08

Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman
STORIA DI UNA CAPINERA
di Giovanni Verga
Con Enrico Guarnieri
e Nadia De Luca
Regia Guglielmo Ferro
Produzione Progetto Teatrando
La vicenda si concentra su un unico nucleo narrativo: la storia della povera Maria, raccontata attraverso le lettere che essa scrive ad una compagna di convento (Marianna). Il cambiamento interiore di Maria nasce da una sua provvisoria liberazione, dal contatto con la natura, dal suo ritrovarsi con la famiglia nelle terre di Monte Ilice mentre a Catania infuria il contagio del colera. “Il mio pensiero non è imprigionato sotto le oscure volte del coro, ma si stende per le ombre maestose di questi boschi, per tutta l’immensità di questo cielo e di quest’orizzonte…” La storia si snoda tutta sul filo di un progressivo itinerario spirituale: quella esperienza fa sorgere in lei il senso d’una vita più libera e aperta, e l’avvia a concepire una crescente avversione per l’ambiente conventuale dove ha trascorso da educanda gli anni dell’adolescenza. Di qui, scopre l’amore. Il giovane Nino è l’idolo un po’ sfocato che accende nella protagonista la fiamma di una passione inestinguibile. Ma il rapporto è troncato sul nascere dall’intervento dei familiari: Nino sposerà la sorella di Maria (Giuditta), acconciandosi a un matrimonio giudizioso e senza fantasticherie. Maria sarà costretta a rientrare in convento dove si spegnerà dopo lunga e penosa agonia. Storia di una Capinera nasce come spettacolo, con grande successo di pubblico e di critica, poi diventa una pubblicazione editoriale del copione integrale (col supporto della colonna sonora) tratto dal romanzo verghiano. La scansione epistolare e monologante di Maria con l’amica Marianna diventa azione scenica coi personaggi che prendono vita e si muovono all’interno della narrazione, intorno alla protagonista. Maria è la piccola capinera in gabbia. Qui per tutte le informazioni.

 

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Sistina: “Natale in casa Cupiello” con Vincenzo Salemme

Sab, 17/02/2024 - 23:59

Roma, Teatro Sistina
NATALE IN CASA CUPIELLO
di Eduardo De Filippo
Regia di Vincenzo Salemme
con Vincenzo SalemmeAntonio Guerriero, Fernanda Pinto, Franco Pinelli, Teresa Del Vecchio
scene Luigi Ferrigno
costumi Francesca Romana Scudiero
luci Cesare Accetta
musiche Nicola Piovani
Produzione Chi è di scena e Teatro Diana 
Roma, 15 Febbraio 2024
La collaborazione tra Vincenzo Salemme ed Eduardo De Filippo rappresenta un connubio intriso di passione e rispetto per l’eredità artistica e culturale partenopea. Salemme, celebre per il suo carisma e la sua abilità nel coinvolgere il pubblico attraverso la risata e l’emozione, ha radici profonde nel teatro napoletano, che ha permeato la sua crescita artistica sin dall’infanzia. È nell’ombra e nell’insegnamento del grande Eduardo De Filippo che Salemme ha trovato non solo ispirazione, ma anche una guida preziosa per la sua carriera. Il maestro ha lasciato un’impronta indelebile sul talento di Salemme, trasmettendogli non solo le tecniche della recitazione, ma anche un profondo attaccamento e rispetto per la ricca tradizione teatrale partenopea. La straordinaria magia di “Natale in Casa Cupiello” persiste come un capolavoro senza tempo, capace di suscitare emozioni profonde e di rievocare la tradizione natalizia napoletana. Ambientata nella Napoli degli anni ’40, tra i suggestivi vicoli e i pittoreschi cortili, la trama ruota attorno alla famiglia Cupiello mentre si prepara a celebrare il Natale. Attraverso dialoghi brillanti e personaggi indimenticabili, questa commedia rivela il complesso intreccio delle relazioni familiari, permeato da amori, gelosie e segreti, offrendo così una narrazione universale capace di commuovere il cuore di ogni spettatore. La decisione di Vincenzo Salemme di portare in scena “Natale in Casa Cupiello” rappresenta un atto di coraggio e di amore per la tradizione teatrale napoletana. Questo omaggio al passato, incanalato attraverso il celebre lavoro di De Filippo, è una testimonianza della profonda consapevolezza dell’eredità culturale che Salemme ha ereditato. La sua interpretazione non solo riporta in vita un classico amato da molte generazioni, ma funge anche da veicolo per preservare e valorizzare il patrimonio artistico di Napoli, arricchendolo con una moderna prospettiva. La rappresentazione di Salemme crea un ponte tra passato e presente, invitando il pubblico a immergersi in un’atmosfera di nostalgia e di modernità allo stesso tempo. Napoli, con la sua vibrante anima culturale, fornisce lo sfondo ideale per questa interpretazione, trasformando le strade e i vicoli in scenari vividi che raccontano la storia della città. In definitiva, “Natale in Casa Cupiello” non è solo uno spettacolo teatrale, ma un tributo appassionato alla bellezza del passato e alla ricchezza culturale di Napoli, che continua a ispirare e ad emozionare il pubblico di oggi. L’interpretazione di Vincenzo Salemme nel ruolo di Luca Cupiello si distingue per la sua profondità emotiva e la capacità di suscitare un forte senso di empatia nell’audience. La sua chimica con Antonella Cioli nel ruolo di Concetta aggiunge ulteriore spessore allo spettacolo, rendendo tangibili le complesse dinamiche familiari. La brava attrice, ereditando il ruolo precedentemente interpretato da Pupella Maggio, offre una performance toccante e intensa, trasportando gli spettatori nelle profondità dell’animo umano. Il cast nel suo complesso dimostra un alto livello di talento e versatilità, con interpretazioni impeccabili che conferiscono al dramma una vitalità e una risonanza emotiva senza pari. Le scenografie di Luigi Ferrigno catturano con maestria l’atmosfera degli anni ’40, mentre i costumi di Francesca Romana Scudiero contribuiscono a caratterizzare i personaggi in modo efficace. Cesare Accetta, con il suo disegno luci pregevole, sottolinea l’atmosfera e l’emozione di ogni scena, mentre la colonna sonora di Nicola Piovani aggiunge un tocco magico e coinvolgente, arricchendo l’esperienza teatrale complessiva. In definitiva, “Natale in Casa Cupiello” rappresenta un trionfo della tradizione teatrale napoletana, celebrato con passione e maestria da un cast e una troupe di talento. Dopo i convenevoli, Vincenzo Salemme si rivolge direttamente al pubblico presente, con parole cariche di sincerità e rispetto.  In un gesto di sincera gratitudine, egli abbraccia virtualmente le persone in sala come il vero catalizzatore del mondo teatrale, conferendogli un ruolo primario e insostituibile. L’accoglienza calorosa da parte del pubblico dimostra che questo amore è stato elargito con grande passione e sensibilità, ottenendo un riscontro positivo e tangibile. PhotoCredit Teatro Diana Napoli .Qui per tutte le altre date.

Categorie: Musica corale

Amici della Musica di Padova: Martedì 20 febbraio concerto del pianista Fazil Say

Sab, 17/02/2024 - 21:51

Martedì 20 febbraio 2024, alle ore 20.15, all’Auditorium Pollini di Padova, terzo recital pianistico di “Un pianoforte per Padova”, il progetto sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo all’interno del cartellone della 67a stagione degli Amici della Musica di Padova, con un nuovo interprete d’eccezione: Fazil Say. Noto al pubblico da oltre venticinque anni per il suo straordinario talento pianistico e per il suo vastissimo repertorio, Fazil Say è stato definito da “Le Figaro” “un genio”. E’ raro trovare in un pianista una tale miscela di raffinatezza, brillantezza e virtuosismo e il suo talento si esprime anche per la grande capacità improvvisativa e la sua creatività. Fazil Say infatti è anche famoso come per le sue composizioni pianistiche, e il programma del concerto ne darà prova, visto che oltre che includere la celeberrima versione pianistica della Chaconne di J.S. Bach, nell’arrangiamento di F. Busoni, la Sonata op. 31 n. 2 “La tempesta” di Beethoven, una scelta di pagine da Préludes – Premier livre Clair de Lune di C. Debussy, si concluderà con una composizione dello stesso Fay dal titolo À la carte.

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Amanda Forsythe: Heavenly Bach. Arias & Cantatas of J. S. Bach.

Sab, 17/02/2024 - 19:21

Johan Sebastian Bach: Cantata BWV 51 “Jauchzet Gott in allen Landen!”; “Zerfliesse, mein Herze” (“Johannes-Passion” BWV 245); Cantata BWV 202 “Weichet nur, betrübte Schatten”, “Ich folge dir gleichfalls” (“Johannes-Passion” BWV 245). Amanda Forsythe (soprano), Apollo’s fire The Cleveland Baroque Orchestra, Jeannette Sorrell (direttore). Registrazione: nm. 1-5 First Baptist Church, Shaker Heights, Ohio 23-26 aprile 2021; nn. 6 e 16 St. Paul’s Church, Cleveland Heights, Ohio 5-7 marzo 2016; nn. 7-15 St. Paul’s Church, Cleveland Heights, Ohio 9-12 febbraio 2018. 1 CD AVIE AV2547
Il soprano statunitense Amanda Forsythe è nota al pubblico italiano soprattutto per le sue apparizioni al ROF nei primi anni 2000 per poi comparire sempre più raramente sui nostri palcoscenici a seguito di una carriera svolta principalmente in patria o al più nei paesi anglosassoni. Arriva ora questo nuovo CD dedicato a due cantate per soprano di Bach, brani molto celebri e in cui il rischio di una nuova incisione era non poco. Il risultato complessivo però pur senza imprimersi nella storia esecutiva del compositore tedesco risulta nel complesso decisamente godibile. Un buon contributo alla riuscita generale contribuite la prova molto convincente dell’Apollo’s fire, l’orchestra barocca di Cleveland diretta da Jeannette Sorrell che affronta le partiture con rigore filologico, colori nitidi e ben definiti – decisamente apprezzabili le prove degli strumenti solisti – e una ritmica ricca e brillante ma non eccessiva, con un apprezzabile gusto per la cantabilità che evita gli eccessi di un certo gusto alla moda. I brani non sono frutto di un’unica registrazione ma montaggio di diverse sezioni datate tra il 2016 e il 2021.

La cantata BWV 51 è una composizione breve e di incerta destinazione – il testo manca di qualunque riferimento liturgico preciso – composto verosimilmente nel 1730 e caratterizzato da una scrittura brillante e virtuosistica con l’aria introduttiva “Jauchzet Gott in allen Landen!” in cui il soprano è chiamato a un’autentica gara di bravura con la tromba solistica. La Forsythe mostra la sua solidissima formazione da belcantista salendo con facilità al Do acuto previsto nell’aria sopracitata. La voce è poco personale ma comunque piacevole e anche nei passaggi più impervi mostra un’assoluta facilità di canto che gli permette di dominare senza alcune difficoltà tutte le difficoltà. La Forsythe è affiancata per l’occasione dalla tromba solista di Steven Marquardt. Dopo un’aria più distesa come “Höchster, mache deine Güte” la cantata è chiusa da una nuova esplosione virtuosistica nell’”Allelujah” conclusivo anch’esso coronato da una salita al Do acuto.
La seconda cantata è la più ampia e strutturata BWV 202 nota anche come “Cantata nuziale” composta nel 1723 anche se non si conosce esattamente l’occasione della composizione. La cantata è organizzata in tre arie soliste precedute da recitativi e ciascuna con strumento concertante obbligato – nell’ordine continuo, violino e oboe. Rispetto alla cantata precedente il carattere della vocalità è meno virtuosistico e più rivolto a un canto più lirico e disteso. Il brano permette alla Forsythe di mostrare una qualità di canto che va oltre al virtuosismo mostrando sensibilità espressiva e una grande eleganza nel porgere unita a una dolcezza espressiva che riesce ad evitare di risultare manierata. Questo vale sia per “Wenn die Frühlingslüfte streichen” di radioso lirismo in cui la voce duetta con il violino solista sia in “Sich üben im Lieben” con i suoi sentori popolari e i ritmi da danza paesana resi con estrema eleganza dall’accompagnamento leggero e pulsante dell’orchestra. Ritmi festosi e danzanti si ritrovano anche nella conclusiva “Sehet in Zufriedenheit” dove però le forme sono quelle aristocratiche della gavotta.

Il programma – comunque molto corto, poco più di quaranta minuti di musica – è completato da due arie tratte della Passioni. La prima – è posta da elemento di divisione tra le due cantate – è “Zerfliesse, mein Herze “ dalla “Johannes-Passion” BWV 245. Si tratta del brano più solenne del programma, quello più intriso di spiritualità sacra, la Forsythe canta bene anche se la voce manca un po’ di corpo e chi pare più naturalmente portata ai brani più brillanti o di taglio elegiaco. Caratteristiche ritroviamo nell’altro brano scelto “Ich folge dir gleichfalls” posta a chiusura del programma con il suo carattere gioioso.

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro India: “Fratellina” di Spiro Scimone

Ven, 16/02/2024 - 23:59

Roma, Teatro India
FRATELLINA
di Spiro Scimone
tratto da Soli al Mondo, presentazione di Jean-Paul Manganaro
regia Francesco Sframeli
con Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Gianluca Cesale, Giulia Weber
scena Lino Fiorito
costumi Sandra Cardini
disegno luci Gianni Staropoli
In collaborazione con Istituzione Teatro Comunale Cagli
produzione Teatro Metastasio di Prato, Compagnia Scimone Sframeli
Roma, 18 Febbraio 2024
“Noi, adesso, come grazia, vorremmo avere un semplice tocco…vorremmo avere un tocco leggero, come una carezza” (da “Fratellina”)
In un palcoscenico sospeso tra il reale e l’assurdo, due anime erranti, Nic e Nac, si risvegliano in un mondo sconvolto dai colpi drammatici del destino. Dai confini di due grandi letti a castello, osservano con occhi sgomenti la commedia umana che si dipana davanti a loro. Desiderosi di un riscatto, sognano una realtà che risplenda dei veri valori dell’umanità, ormai perduti nell’oblio dei tempi. Ecco che l’incontro con Fratellino e Sorellina, tra risate scomposte e paradossi sferzanti, diviene l’antidoto contro l’ansia e la disperazione che li assediano. In questo teatro della vita, tra le pieghe della commedia e del tragico, trovano la forza di ridere di sé stessi e delle loro fragilità, abbracciando l’ironia come baluardo contro il naufragio dell’anima. E così, tra il denunciare le miserie umane e l’abbracciare la bellezza delle piccole cose dimenticate, Nic e Nac danzano sulla corda tesa della vita, con la speranza di ritrovare la luce che illumini il loro cammino smarrito. La Compagnia Scimone Sframeli è nota per il suo stile di scrittura unico, caratterizzato da dialoghi vivaci e densi di riferimenti e modi espressivi che si sono radicati nell’immaginario collettivo degli spettatori nel corso degli anni. Opere come “Nunzio”, “Bar”, “Pali”, “Giù” e “Amore” hanno accompagnato il pubblico sin dal 1984, offrendo un racconto continuo che richiama le atmosfere di Samuel Beckett e il realismo magico, con un mondo al margine della società, ma mai giudicato con sufficienza da Spiro Scimone e Francesco Sframeli. La loro visione è permeata da una dolcezza infinita, punteggiata da momenti di grottesca autoironia, richiamando persino i toni pasoliniani de “La terra vista dalla luna”. Il loro lavoro, “Fratellina“, presentato al Teatro India Di Roma, non fa eccezione. Il palcoscenico si trasforma in un mondo derelitto, diviso in due parti, ricreato con la consueta semplice grazia da Lino Fiorito. Qui incontriamo Nic e Nac, i protagonisti che decidono di intraprendere un viaggio alla ricerca di un luogo dimenticato, dove le cose perdute possano essere ritrovate. Durante il loro percorso, Nic e Nac si imbattono in Fratellino e Sorellina, anch’essi confinati su due letti a castello. Fratellino, interpretato da Gianluca Cesale, e Sorellina, interpretata da Giulia Weber, fungono da contraltare, manifestando un desiderio costante di esistere attraverso il continuo richiamo reciproco dei loro nomi. Nonostante la loro apparente ritrosia e l’autoisolamento, anche Fratellino e Sorellina si confrontano con sentimenti di inadeguatezza e repulsione verso se stessi, rivelando una profonda umanità. Sono esseri respinti dal mondo esterno, desiderosi di essere accolti e amati, ma costretti a confrontarsi con la propria fragilità e l’impossibilità di realizzare pienamente i loro desideri. L’arrivo improvviso di un vecchio armadio, misteriosamente riapparso e con un uomo intrappolato al suo interno, potrebbe essere il colpo di scena che cambierà per sempre il destino dei protagonisti: Nic, Nac, Fratellino e Sorellina. O forse saranno le semplici carezze che potranno scambiarsi reciprocamente a segnare la svolta nelle loro vite? Qualunque sia la risposta, l’importante è che possano finalmente uscire e guardare di nuovo le stelle, quelle autentiche. Le scene curate da Lino Fiorito  compongono l’ambientazione dello spettacolo, un raro arcipelago di suggestioni minimaliste che si riflette nei dialoghi essenziali tra Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Gianluca Cesale e Giulia Weber. Le performance dei quattro attori , infatti, sono un vero spettacolo per gli occhi e per l’anima, con un gioco serrato e impeccabile nei tempi, arricchito da risposte che possono sembrare superficiali ma che nascondono un’intensità bruciante. Nella messa in scena, le luci curate da Gianni Staropoli assumono un ruolo cruciale nel delineare la realtà dei personaggi, proiettandoli in un’atmosfera diffusa di chiarezza che non lascia spazio per zone oscure, ma in cui le sfumature di ombra sono sempre in agguato. La metafora del sole di cartapesta e della falce di luna sbilenca serve a rafforzare il tema centrale della ricerca di una realtà alternativa, da raddrizzare come la luna stessa. La rappresentazione, pur nella sua apparente semplicità, si muove con maestria nelle atmosfere di Beckett e Kafka, svelando una profondità inesplorata. Nonostante la scarna trama dei dialoghi, è proprio il vuoto e ciò che non viene esplicitamente detto a trasmettere una ricchezza di significati: un accenno fugace alla prigionia del cognato rivela l’esistenza di una forza antagonista, ponendo lo spettatore nell’orbita della distopia. Il disinteresse meticoloso dei personaggi nel confrontarsi con queste forze latenti, tacitamente accettate come inevitabili, trasforma la quarta parete in uno specchio improvviso in cui ci si ritrova a contemplare la propria immagine riflessa solo dopo un istante di riconoscimento. Le tematiche di isolamento, ricerca di realtà alternative e conflitto tra apparenza e realtà hanno affascinato il pubblico, offrendo un’esperienza teatrale che va al di là della superficie per toccare le corde più profonde dell’animo umano. Da non perdere. PhotoCredit Gianni Fiorito. Qui per le altre date.

Categorie: Musica corale

Jordi Savall ed Hespèrion XXI al Teatro Niccolini di Firenze

Ven, 16/02/2024 - 08:26

Firenze, Teatro Niccolini, Stagione Concertistica degli Amici della Musica di Firenze 2024
Hesperion XXI
Chitarra Xavier Díaz-Latorre
Arpa barocca spagnola  Andrew Lawrence-King
Percussioni David Mayoral
Viola da gamba soprano, viola da gamba bassa e direzione Jordi Savall
Folías & Canarios – Dall’Antico al Nuovo Mondo: Diego Ortiz (1510 – 1576): Recercadas sobre Tenores: Folia IV – Passamezzo antico I – Passamezzo Moderno III,Ruggiero IX – Romanesca VII – Passamezzo moderno II.
Le antiche tradizioni basche e catalane: Anonimo (Euskal Herria) / Jordi Savall (1941): Aurtxo Txikia Negarrez; Anonimo (Catalogna) / Jordi Savall, El Testament d’Amèlia, La Filadora; Gaspar Sanz (1640-1710) Jácaras & Canarios (Chitarra), Pedro Guerrero (1520 ca-1600 ca), Moresca; Anonimo Greensleeves to a Ground; Tradizionale di Tixtla / Improvvisazione Guaracha, Antonio Martín y Coll (1650 ca -1734) (& improvvisazione) Diferencias sobre las Folías, Santiago de Murcia (1673-1739) Fandango (arpa & chitarra).
The Lancashire Pipes (The Manchester Gamba Book):A Pointe or Preludium – The Lancashire Pipes – The Pigges of Rumsey – Kate of Bardie – A Toy; Francisco Correa de Arauxo (1584-1654) Glosas sobre “Todo el mundo en general”; Anonimo / Improvvisazione Canarios; Antonio Valente (1520 ca-1601ca) / Improvvisazione Gallarda napolitana – Jarabe loco (jarocho).
Firenze, 12 febbraio 2024
Al Niccolini, il più antico teatro fiorentino, già Teatro del Cocomero, risalente alla metà del XVII secolo, si è tenuto un concerto che per la sua singolarità esprimeva le caratteristiche di un ‘incontro’ di valori e di linguaggi musicali tra Occidente e Oriente, compresi influssi dal mondo culturale popolare di provenienza araba, messicana, caraibica, ecc., che trovarono accoglienza nella penisola iberica. In sostanza sono state eseguite musiche antiche europee di area mediterranea fino al XVIII secolo che, nel loro excursus sonorum, trovano espressione in autori nati e/o attivi in Spagna, Inghilterra ed Italia. Considerando la notorietà del gruppo e del direttore era prevedibile la presenza di cultori e appassionati di questi generi musicali che attendevano di lasciarsi coinvolgere nell’ascolto di opere che, pur sembrando lontane, sono accomunate dal desiderio di reciprocità e contaminazioni. Quattro interpreti specialisti della musica cosiddetta ‘antica’ i quali – per il loro modo di suonare, la varietà, la natura (anche bellezza) dei loro strumenti – restituivano sonorità suggestive con letture quasi ermeneutiche. L’obiettivo del gruppo era quello di offrire un’interpretazione pur rispettosa delle prassi esecutive, moderna e portatrice di ‘maraviglia’. A tenere acceso l’interesse del pubblico è stata la varietas insita nei diversi aspetti dell’esecuzione. Se all’occhio colpiva l’alternanza degli organici oscillanti tra quello completo, come per esempio all’inizio, al solo di chitarra accompagnato dalla percussione, all’orecchio esperto di questi repertori era concesso il ‘godimento’ delle variazioni intorno alla linea del melos. Pertanto se la velocità di Savall nel tirare l’arco e il muovere su e giù la mano sinistra sulla tastiera altro non era che percezione di puro virtuosismo (spesso improvvisativo), la varietà timbrica nel solo di chitarra creava autentico stupore. La varietà era espressa anche attraverso l’individualità dei componenti del gruppo che, accomunati dagli stessi intenti, riuscivano a restituire un mondo ove caleidoscopicamente si potevano scorgere aspetti diversi di una musica dallo sguardo bifronte (Occidente-Oriente). A favorire ciò da un lato occorreva riferirsi ad una valenza linguistica, ma bisognava rimanere legati all’espressività e ai valori provenienti sia dall’antico che dal basso. Quest’ultimo, grazie alla sua accezione polisemica, va inteso sia con riferimento alle terre che si affacciano sul Mediterraneo da cui si sono sviluppate molte popolazioni, che come suono grave (basso) dal quale far ‘nascere’ il cantus. Ecco allora come dal basso della Follia presente in Ortiz o in quello di Greensleeves to a Ground, ‘germinavano’ melodie concepite all’interno della variatio e la differenziazione tra Passamezzo Antico e Passamezzo Moderno evidenziava altresì l’imprescindibile legame tra ‘antico ‘e ‘moderno’. Ogni composizione raccontava molte cose e, mentre il pubblico era conquistato dal modo interpretativo, il ‘viaggio’ tra i suoni presentava connotazioni sempre più sorprendenti. L’elemento coreutico era assai coinvolgente in diversi brani come nel Fandango, con inserimento delle nacchere e alcune dichiarazioni di Casanova sulla danza “più seducente e voluttuosa che si possa immaginare”. Un’attenzione particolare va riservata a Savall, voce autorevole nel campo della musica antica, in veste di direttore e virtuoso della viola da gamba bassa (Pellegrino Zanetti, Venezia 1553) e soprano (Barak Norman, Londra 1690). Nei suoi oltre cinquant’anni di attività musicale ha fondato insieme a Montserrat Figueras alcuni importanti gruppi (Hespèrion XXI, La Capella Reial de Catalunya e Le Concert des Nations) registrando oltre 230 dischi e ricevendo prestigiosi premi. Illustrando le musiche al pubblico ha citato codici, prassi esecutive, tanto che, per il suo modo coinvolgente di esporre, per alcuni aspetti sembrava ricordare Diogene. Pur sotto i riflettori, Savall utilizzava la lanterna per cercare la bellezza insita negli antichi repertori. Nell’Improvvisazione Canarios Savall più che far suonare la viola (soprano) riusciva a farla cantare con una tale ed incredibile espressione da rendere perfettamente la vivacità e l’allegria dei canarini. L’onomatopea, resa ancora più eclatante grazie agli altri interpreti, era così evidente che talvolta bastava il percuotere due semplici legnetti, per ‘vedere con le orecchie’ il fascinoso mondo dell’ornitologia tanto esplorato dai compositori barocchi che preparano alla ricezione del colore e della passione per il canto degli uccelli in Messiaen. A chiudere il programma non poteva mancare il riferimento al nostro paese con le musiche di Antonio Valente, attivo particolarmente a Napoli, in cui il gruppo omaggiava l’Italia e la sua storia musicale e culturale. Se il ritmo invitava alla danza, la luminosità dell’esecuzione ricordava in particolare il sole del sud il quale, anche quando tramonta, è sempre in grado di stupire ed emozionare. Un bellissimo concerto, teatro gremitissimo, e al pubblico sono state offerte altre due ‘perle’ musicali in cui si ribadiva il bisogno del ritorno all’antico.

Categorie: Musica corale

Roma, Sala Umberto: “Buonanotte Mamma” regia di Francesco Tavassi

Gio, 15/02/2024 - 23:59

Roma, Sala Umberto
BUONANOTTE MAMMA
di Marsha Norman
con Marina Confalone, Mariangela D’Abbraccio
Regia di Francesco Tavassi
Scene Alessandro Chiti
Costumi Maria Rosaria Donadio
Musiche Davide Cavuti
Luci Marco Palmieri
Produzione Stefano Francioni produzioni SRL
Roma, 15 Febbraio 2024
Due donne, madre e figlia, si trovano a confrontarsi, a scontrarsi, tra le pareti di un ambiente domestico che pare soffocante. Il testo “Buonanotte mamma” si dispiega come un atto unico, con soli due personaggi in scena: Jessie Cates, una donna quarantenne divorziata e malata, e sua madre vedova, Thelma. Fin dalle prime battute, la figlia annuncia alla madre le sue intenzioni suicidarie: dopo averle augurato la buonanotte, si rinchiuderà nella stanza e si toglierà la vita. Non è un gesto minaccioso né una richiesta di aiuto; è una decisione lucida e irreversibile. Nonostante la disperazione della madre, che cerca in ogni modo di dissuaderla, raccontando i suoi dolori e le sue amarezze, la figlia rimane ferma nella sua determinazione. Man mano che la storia si dipana, i vecchi fantasmi della vita familiare emergono, svelando un’altra realtà, ma la figlia non vacilla. La tragedia si annuncia con fermezza, e tutti si chiedono fino all’ultimo: riuscirà la madre a fermarla? Il testo, firmato da Marsha Norman e pluripremiato (Pulitzer nel 1983), oscilla tra leggerezza e drammaticità, narrando le due determinazioni: quella di una figlia che vede la sua esistenza come un fallimento e sceglie di porre fine alla propria vita, e quella di una madre che lotta disperatamente per impedirlo. Senza alcun dubbio la drammaturgia del testo la regia di Francesco Tavassi sono coinvolgenti. La resa minimalista e scarna del testo, con l’eliminazione delle introduzioni e delle voci fuori campo ed anche le figlio di Jessie , accelera il ritmo e accentua la sensazione di soffocamento delle due protagoniste. Tutto si svolge entro le pareti domestiche di una casa ricca di dettagli: oggetti domestici, arredi, lampade descrivono l’interno di una abitazione borghese . Mobili, soprammobili  ingombrano la scena eccellentemente strutturata da Alessandro Chiti. In questa apparente tranquillità, le parole colpiscono come pugni nello stomaco.  Un grande orologio in movimento scandisce il tempo che resta, il tempo che scorre ed il tempo che verrà. Il tema del testo è estremamente attuale, considerando l’incremento dei suicidi, specialmente tra le persone disoccupate, in precarie condizioni economiche o affette da depressione. La recitazione delle due donne è intensa e convincente. Marina Confalone si distingue nel ruolo della madre, esplorando con maestria ogni sfumatura emotiva attraverso la propria voce. Dal cinismo all’incredulità, dalla determinazione alla rabbia, passando per la paura, la disperazione, la pietà e infine la rassegnazione, l’attrice offre un’interpretazione magistrale che cattura l’attenzione del pubblico. Mariangela D’Abbraccio porta cuore e intelligenza nel personaggio di Jessie. La sua interpretazione, priva di virtuosismi e ostentazioni tecniche, è caratterizzata da generosità, autenticità e coinvolgimento, senza mai cadere nella retorica. Constatiamo che, sebbene talvolta la proiezione della voce in sala possa risultare insufficiente per garantire una piena comprensione dei passaggi, le intenzioni e la mimica delle due attrici riescono nondimeno a suggerire con chiarezza il filo conduttore della narrazione. Applausi sinceri per le due interpreti. La felicità non è sempre evidente, a volte si nasconde dietro veli sottili che richiedono uno sguardo attento. Bisogna saper riconoscere la magia nelle piccole cose, come fa la madre nel testo. È difficile restare indifferenti durante lo spettacolo, quando il teatro ci spinge a riflettere sulla nostra stessa esistenza. Solo con questa consapevolezza condivisa si può tornare ad apprezzare il senso di comunità e di condivisione. Perché in fondo la vita è meravigliosa come diceva “qualcuno”. Assolutamente da vedere. Qui per tutte le altre recite.

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Verona, Teatro Filarmonico: “La rondine” di Puccini in scena dal 18 al 25 febbraio

Gio, 15/02/2024 - 18:26

Fondazione Arena dà il via alle celebrazioni pucciniane con quella che forse fu l’opera più amata dal compositore italiano. La nuova produzione debutta al Teatro Filarmonico domenica 18 febbraio (ore 15.30), con repliche il 21 (ore 19), 23 (Ore 20) e 25 febbraio (Ore 15,30). Magda è Mariangela Sicilia, alla guida di un cast di ventuno giovani artisti internazionali di pregio, tra cui Galeano Salas, Eleonora Bellocci, Matteo Roma, Gëzim Myshketa. I complessi artistici areniani sono diretti da Alvise Casellati, mentre Stefano Vizioli firma lo spettacolo in coproduzione col Teatro Coccia di Novara, con scene di Cristian Taraborrelli, costumi di Angela Buscemi, luci di Vincenzo Raponi e coreografie di Pierluigi Vanelli.  Numerose parti di fianco affidate ad altri  giovani e artisti di talento: Gillen Munguia, Renzo Ran, Carlo Feola, Yao Bohui, Anna Bordignon, Arianna Cimolin, Giuseppe Di Giacinto, Enrico Iviglia, Gianluca Moro, Nicola Pamio, Cecilia Rizzetto, Pierre Todorovitch, Francesco Tuppo. L’Orchestra della Fondazione Arena di Verona e il Coro preparato da Roberto Gabbiani saranno diretti dal maestro Alvise Casellati. Biglietti, abbonamenti e nuovi carnet sono disponibili al link https://www.arena.it/it/teatro-filarmonico, alla Biglietteria dell’Arena e, due ore prima di ogni recita, alla Biglietteria stessa del Teatro in via Mutilati.

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Roma, Teatro Brancaccio: “La Divina Commedia Opera Musical”

Mer, 14/02/2024 - 22:45

Roma, Teatro Brancaccio
LA DIVINA COMMEDIA Opera Musical
Regia di Andrea Ortis
Dante ANTONELLO ANGIOLILLO
Virgilio ANDREA ORTIS
Beatrice MYRIAM SOMMA
Caronte, Ugolino, Cesare, San Bernardo GIPETO
Francesca, Matelda VALENTINA GULLACE
Pier delle Vigne, Arnaut Daniel ANTONIO SORRENTINO
Ulisse, Catone, Guido Guinizzelli LEONARDO DI MIMMO
Pia de’ Tolomei, La Donna SOFIA CASELLI
Voce Narrante GIANCARLO GIANNINI
Musiche Marco Frisina
Prodotto da MIC International Company
Roma,13 Febbraio 2024
Il Teatro Brancaccio di Roma ospita  uno spettacolo assai coinvolgente: “La Divina Commedia Opera Musical”, tratto dal capolavoro di Dante Alighieri e prodotto dalla Mic International Company. La regia è firmata da Andrea Ortis, che porta sul palco un cast preparato ed abbastanza eterogeneo per talento vocale e scenico. La storia ci catapulta nell’animo smarrito di Dante, che, dopo un incontro traumatico con le belve del peccato, si ritrova guidato dal suo mentore, il poeta Virgilio, in un viaggio attraverso Inferno, Purgatorio e Paradiso. Lungo il cammino, Dante affronta le sue paure e le sue incertezze, mentre Virgilio lo incita a essere coraggioso. Nel Inferno, incontriamo Paolo e Francesca, condannati per la loro passione peccaminosa, e Pier Delle Vigne, che ha rinunciato al futuro suicidandosi. Nel Purgatorio, le anime si dedicano alla preghiera e alla penitenza, tra cui spiccano Pia de’ Tolomei e i poeti Guinizzelli e Daniel. Ma il vero obiettivo del viaggio è il Paradiso, dove Dante spera di incontrare Beatrice, l’amore mai confessato. Sarà l’abbraccio con lei a dare finalmente pace al suo tormentato animo. Lo spettacolo si snoda attraverso una serie di ambientazioni sceniche curate da Gabriele Moreschi altamente suggestive, trasportando il pubblico da scenari di tormento e fuoco nella Città di Dite, alle tempeste emotive che avvolgono Francesca, fino a mari impetuosi come quello che inghiotte Ulisse, e foreste pietrificate o laghi ghiacciati che fungono da sfondo per gli incontri di Dante con Pier delle Vigne e Ugolino. Ma le scenografie da sole non bastano. Sulla scena, il dinamismo è alimentato anche dalle coreografie eseguite da un corpo di ballo di discreto livello. Le sofisticate elaborazioni grafiche multimediali e in 3D, integrate con maestria nell’opera, hanno innegabilmente contribuito a elevare il  valore estetico dello spettacolo , conferendo una dimensione suggestiva particolarmente pronunciata nei momenti più impegnativi da portare in scena, come la resa del paradiso tramite la rappresentazione di un cielo stellato. Tuttavia, è opportuno sottolineare che, sebbene costituiscano elementi di notevole impatto, l’eccessivo ricorso a tali risorse può talvolta prevalere sulla narrativa teatrale, trasformando l’esperienza complessiva in una predominante performance visiva. È pertanto auspicabile un miglioramento delle proiezioni attraverso un attento studio dell’illuminazione, al fine di mitigare il fenomeno della “proiezione sul personaggio”. Troppo spesso, ci si è accorti che Dante e Virgilio vengono oscurati dalla luce proiettata, con conseguente appiattimento della resa scenica.  Le coreografie curate da Massimiliano Volpini, predominantemente moderne e contemporanee, mantengono un legame con le radici del balletto classico, sebbene la qualità tecnica non risulti uniforme in tutti i ballerini, manifestando talvolta delle disomogeneità che possono risultare evidenti agli occhi più attenti. L’adattamento della Divina Commedia ha richiesto una raffinata sensibilità nel bilanciare i toni e le atmosfere dei diversi regni ultraterreni. Questo complesso incarico è stato affidato al talento di Monsignor Marco Frisina per il libretto musicale. Nel primo atto, il cui fulcro è l’inferno, fatta eccezione per l’intensa vicenda di Paolo e Francesca, si è assistito a un graduale crescendo musicale caratterizzato da percussioni incisive e penetranti, veicolando il messaggio struggente delle anime dannate e la disperazione di Dante che si aggira tra i vari gironi. Nel passaggio al purgatorio, si è notata una significativa attenuazione dell’intensità, con una transizione fluida resa possibile anche dal racconto di Catone che fungeva da raccordo. Purgatorio e Paradiso, uniti nel secondo atto, sono stati concepiti come una progressione coesa, con un rapido crescendo che spinge verso l’epilogo finale in Paradiso. Tuttavia, è un peccato che, per esigenze di sintesi, le due dimensioni siano state amalgamate, con il monologo di Virgilio e l’arrivo di Beatrice a fungere da connettivo, nonostante la loro distinta natura. Nella messa in scena di Dante, curata da Andrea Ortis, emerge una varietà di linguaggi comunicativi che arricchiscono il percorso del protagonista. Il Dante Viaggiatore, interpretato con maestria dalla voce fuori campo di  Giancarlo Giannini, diventa la materializzazione scenica della voce interiore del poeta, incarnando la sua maturità artistica e spirituale. Giannini offre un’interpretazione magistrale della narrativa, dando vita a un Dante che, nel bel mezzo della sua esistenza, trova nella scrittura una via di fuga creativa dalla profonda depressione. L’interpretazione vocale del personaggio di Dante da parte di Antonello Angiolillo attraversa una trasformazione che va dall’inizio incerto e stentato a una sicurezza progressivamente crescente, tuttavia non del tutto soddisfacente. Nonostante mantenga una presenza costante sul palco, Angiolillo sembra lottare per sostenere le lunghe ore di spettacolo, affrontando una parte ricca di sfide con una certa mancanza di tranquillità e determinazione instabile. La sua voce mostra incertezze, la tecnica vacilla e spesso si nota un calo nel rendimento. D’altra parte, Andrea Ortis nel ruolo di Virgilio e Myriam Somma nel ruolo di Beatrice incarnano i rispettivi personaggi con fervore, anche se talvolta sembrano trattenersi, lasciando il pubblico in attesa di un crescendo vocale e interpretativo che raramente si materializza.  Al contrario, Valentina Gullace e Sofia Caselli  riescono a emozionare e coinvolgere grazie alla loro timbrica e alla profondità della loro interpretazione. I ruoli di Caronte (Gipeto) e Conte Ugolino (Antonio Sorrentino) soffrono di una mancanza di profondità timbrica e vocale, impoverendo spesso la fortezza dei loro personaggi e appiattendoli rispetto alla ricchezza che la scrittura richiede. Lo spettacolo promette molto sopratutto grazie ad  una scrittura corale intensa, ma manca ancora di una direzione compiutamente soddisfacente e l’uso del termine “opera” accanto a “musical” sembra attualmente un’accostamento troppo ambizioso per questo spettacolo. La reazione del pubblico, poco convinto, si manifesta con un applauso tiepido e un rapido abbandono della sala, come se volesse tornare a cercare ispirazione altrove, “a riveder le stelle”. Qui per tutte le date.

Categorie: Musica corale

Deutsche Staatsoper Berlin: “Rusalka”

Mer, 14/02/2024 - 08:23

Deutsche Staatsoper Berlin, season 2023/2024
“RUSALKA“
Lyrical Fairy-tale in three acts, libretto by Jaroslav Kvapil 
Music by Antonin Dvořák
Rusalka CHRISTIANE KARG
The prince PAVEL ČERNOCH
The foreign princess ANNA SAMUIL
Vodník, the water goblin TUOMAS PURSIO/MIKA KARES
Ježibaba ANNA KISSJUDIT
Gamekeeper ADAM KUTNY
Kitchen boy CLARA NADESHDIN
First wood sprite REGINA KONCZ
Second wood sprite REBECKA WALLROTH
Third wood sprite EKATARINA CHAYKA-RUBINSTEIN
Hunter TAEHAN KIM
Staatskapelle Berlin & Staatsopernchor
Conductor Robin Ticciati
Chorus Gerhard Polifka
Director Kornél Mundruczó
Stage, costumes Monika Pormale
Light Felice Ross   
Video Rudolfs Baltins   
Choreography Candas Bas   
Berlin, 11th February 2024
Rusalka by Antonin Dvořák from 1901, the most famous Czech opera, had been staged at the Deutsche Staatsoper Berlin only once in 1968 by Erhard Fischer, conducted by Arthur Apelt with the deserving Ingeborg Wenglor leading the premiere cast until Kornél Mundruczó’s new production on 4th February 2024. Probably knowing that staging fairytale opera is fraught with pitfalls, he transfers the plot from a romantic Bohemian landscape, picturesque lake and medieval castle included, to three floors of an apartment building in Berlin in view of the TV tower. Vodník, the water goblin, is a sort of eternal student in his fifties who lives in a shared flat on the ground floor with the three wood sprites and Rusalka who prefers lying in the bathtub to partying with the others. The witch Ježibaba is a neighbour who is constantly throwing eels around. She visits Rusalka in the bathroom to make her change into a tight black party dress. Like that Rusalka is taken by another neighbour, the Prince, to his posh penthouse where he lives with the Foreign princess who he turns to again as soon as he cannot cope with Rusalka’s muteness any more. She returns to the bath, pulls her hair out to end up in the cellar as an eel with a long black tail. The final duet kills the neighbour and redeems her. Enough. The technically elaborate stage by Monika Pormale is visually most striking. Mundruczó’s attempt to stage a social drama rather than a fairytale leaves the singers alone as characters, and unlike in other productions, the audience feels like they are in a fantastic comedy or a horror film. Conductor Robin Ticciati seems to adore the music and makes the Staatskapelle Berlin play Dvořák’s score vividly with a touch of modernity by evoking moments of both impressionism and verismo. He is inclined to linger a little too long and he sometimes fails to balance the orchestra and the voices so that the singers are drowned, above all Rusalka. Christiane Karg’s light Mozart soprano can hardly manage the dramatic requirements. She throws herself into the title role by acting intensely, including the Salome-like dance during the Polonaise of act 2, which cannot outweigh the lacking corpo in the middle of her register and hard sounding upper notes that tend to an unpleasant vibrato. Pavel Černoch is an idiomatic Prince whose tenor does not sound typically Czech with its baritone-like timbre and amazing legato but he turns out to be perfectly cast for the taxing part of Wagnerian strength in the ardent declaration of love at the end of act 1. Both social characters seem to be weak in Mundruczó’s drama, Rusalka is restlessly pushed around and the Prince comes along as a middle-class person. Tuomas Pursio sings the Vodník from the side instead of Mika Kares who is only able to act because of an incurred bronchitis. Tuomas Pursio sings beautifully with soaring power up top to make a vocal highlight out of the aria in act 2. Also neglected by the director as a character, Mika Kares shows little authority and plays something between a flatmate and a fatherly friend. Anna Kissjudit’s impressivley big contralto struggles with the higher middle register of the witch neighbour Ježibaba. Anna Samuil brings Wagnerian heft to her frantic Foreign princess by sound volume which nearly turns into Sprechgesang for lower notes. Adam Kutny is strong as the Gamekeeper but Clara Nadeshdin’s soprano suffers a little from the low tessitura of the female Kitchen boy. The production is blessed by Regina Koncz, Rebecka Wallroth and Ekaterina Chayka-Rubinstein as a vivid trio of Wood sprites who, along with the Vodník, turn into alien monsters in act 3. This production presents Rusalka as a sequence of exclusively ugly pictures, sad and desperate moments and as a last impression, there is an ugly, eternal curse. Death really seems the best solution for such terrible being. It can be staged differently, which is proved by other productions.Photos by Gianmarco Bresadola

Categorie: Musica corale

Roma, Sala Umberto: “Buonanotte Mamma” dal 15 al 25 Febbraio 2024

Mer, 14/02/2024 - 08:00

Roma, Sala Umberto
BUONANOTTE MAMMA
di Marsha Norman
con Marina Confalone, Mariangela D’Abbraccio
Regia di Francesco Tavassi
Scene Alessandro Chiti
Costumi Maria Rosaria Donadio
Musiche Davide Cavuti
Luci Marco Palmieri
produzione Stefano Francioni produzioni SRL
Premio Pulitzer nel 1983 Buona notte mamma (Night, mother) della autrice americana Marsha Norman fu reso famoso dalla versione cinematografica del 1986 con Anne Bancroft e Sissy Spacek per la regia di Tom Moore e fu portato in scena per la prima volta in Italia dal Piccolo Teatro nel 1984 con protagoniste Lina Volonghi e Giulia Lazzarini per la regia di Carlo Battistoni. La scena rappresenta uno scorcio della casa di Thelma; su una parete, ben visibile un orologio scandirà in tempo reale il conto alla rovescia che conduce, in un alternarsi di emozioni e di suspense, protagoniste e pubblico verso l’epilogo. La vicenda si snoda in una sola serata, durante la quale Jessie Cates annuncia con lucida calma alla mamma Thelma che di lì a poco si suiciderà, per questo inizierà ad organizzarle scrupolosamente il futuro, curando tutto quanto di quotidiano e pratico le servirà in sua assenza dopo l’ultima “buonanotte, mamma”. Thelma tenterà disperatamente e con ogni mezzo di distogliere la figlia dal drammatico intento replicando “colpo su colpo”, agli argomenti della figlia preda di un insopportabile mal di vivere e decisa a compiere quest’ultimo atto in estrema libertà e autodeterminazione. Da questo disperato confronto, emerge l’impietoso racconto della loro esistenza e del loro fallimentare rapporto affettivo, sebbene, a tratti, la disperazione di Thelma e la lucida determinazione di Jessie, nel paradosso della situazione, generino momenti tragicomici rendendo ancora più dolorosa ed emozionante la narrazione. In scena, tenerezza e morte si intrecciano in un surreale quotidiano all’amore tra una madre ed una figlia. In questa edizione, due superbe attrici, Marina Confalone e Mariangela D’Abbraccio, daranno voce, corpo e soprattutto anima a madre e figlia, sostenute da una messa in scena attenta a porle sempre in primissimo piano; così da regalare al pubblico la sensazione di averle sempre sotto controllo per poterne carpire le emozioni in ogni sguardo, in ogni respiro. Qui per tutte le informazioni.

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Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman: “Assassinio nella Cattedrale”

Mar, 13/02/2024 - 23:59

Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman
Stagione 2023 2024
ASSASSINIO NELLA CATTEDRALE
(MURDER IN THE CATHEDRAL)
di Thomas Stearns Eliot
regia Guglielmo Ferro
Con Moni Ovadia, Marianella Bargilli
e con Agostino Zumbo, Alice Ferlito, Viola Lucio, Rosario Minardi, Pietro Barbaro, Giampaolo Romania, Giovanni Arezzo, Plinio Milazzo, Giuseppe Parisi
musiche Massimiliano Pace
scene Salvo Manciagli
costumi Sartoria Pipi
Produzione ABC produzioni in collaborazione con Teatro Quirino di Roma
Roma, 13 Febbraio 2024
“Debbo io, che tengo le chiavi Del cielo e dell’inferno, solo supremo in Inghilterra, Che lego e sciolgo, con il potere del Papa, Abbassarmi a desiderare un potere più meschino? Delegato a lanciar la condanna della dannazione, Condannare i Re, non servire fra i loro servitori, È mio chiaro ufficio.”
(T.S.Eliot, Murder in the cathedral)
Il capolavoro di Eliot del 1935, ispirato dall’assassinio dell’Arcivescovo di Canterbury Thomas Becket nel 1170, ci trasporta nel cuore delle tragedie antiche con una struttura drammatica che promette eventi misteriosi e terribili.
Con un’unica figura centrale, Becket stesso, alle prese con il suo tormento interiore di fronte alla morte imminente, e cori di sacerdoti, tentatori, cavalieri e donne di Canterbury che agiscono come voci della sua coscienza, questa rappresentazione offre un’esperienza teatrale avvincente. L’azione scenica è essenziale, concentrandosi sul crescendo drammatico e lasciando spazio alla contemplazione della sofferenza, al dibattito psicologico e all’evocazione di parole ed immagini potenti. Questo dramma, carico di significati politici, si staglia come una critica sfumata ma potente contro i regimi autoritari del suo tempo, soprattutto nell’era in cui il fascismo guadagnava terreno in Europa centrale. Nato dall’assassinio dell’Arcivescovo Thomas Becket avvenuto nella Cattedrale di Canterbury nel lontano 1170, si trasforma in una metafora poetica che sfida apertamente il regime nazifascista, soprattutto per quanto riguarda il suo rapporto con la Chiesa cattolica. Becket viene ucciso da quattro cavalieri al servizio del re Enrico II d’Inghilterra, ma la diretta responsabilità del sovrano non è mai stata provata, poiché sembra che i quattro abbiano agito per propria iniziativa. Diviso in due parti separate da un interludio, il dramma si svolge in modo quasi rituale, con un coro che richiama i modelli del teatro greco e con un discorso centrale che assume la forma di un’omelia pronunciata dall’arcivescovo poco prima del suo assassinio. Questo allestimento si distingue per il suo straordinario fascino emotivo e creativo, ponendo poca enfasi sulle aggiunte musicali o di costume e quasi ignorando la ricostruzione storica in favore di una ricerca più profonda nei recessi dei nostri timori più oscuri, quelli che da sempre ci accompagnano tra terra e cielo, tra materia e spirito, tra tempo ed eternità. Nel suggestivo scenario di questo spettacolo teatrale, infatti, la scena si presenta essenziale: gli attori, vestiti con abiti d’epoca, sono gli unici a popolare il palcoscenico, trasportandoci immediatamente in un preciso contesto temporale. L’impianto scenico ideato da Salvo Manciagli ci avvolge in un classico intreccio di archi gotici, dove volute e rosoni si intrecciano creando un’atmosfera drammatica e suggestivo. E’ però grazie alla magia delle luci che lo spazio prende vita: esse conferiscono profondità al palco, espandendo o restringendo gli ambienti a seconda delle necessità, e aggiungono un tocco di verticalità ai momenti più intensi e lirici, creando un corridoio privilegiato per i versi recitati, dove le emozioni si esprimono con tutta la loro potenza. Il dramma di Thomas Stearns Eliot vede Moni Ovadia e Marinella Bargilli come protagonisti, sotto la sapiente direzione di Guglielmo Ferro. Moni Ovadia si cala nel ruolo con il canto struggente dell’eroe inglese attraversato dalla fede cristiana. Si tratta del lamento profondo di un uomo diviso tra la rinuncia e l’incarnazione del Cristo, tra il desiderio di potere e la fede incondizionata in Dio. L’interpretazione di Moni Ovadia ha dato nuova luce a un’idea già affascinante: quella di un attore ebreo che si immedesima nel ruolo di un cristiano assassinato. L’eroismo, espresso attraverso questa dualità tra l’uomo comune e l’uomo di chiesa, ha raggiunto vette emozionali, soprattutto durante uno splendido intermezzo in cui un sermone toccante e attuale ha descritto la ricerca eterna e drammatica della pace divina e umana, una ricerca che per molti ancora oggi rimane insoddisfatta. La bravissima Marinella Bargilli, invece, offre una doppia interpretazione: quella di una Corifea e del Quarto Visitatore, ovvero il Demonio. Nel doppio ruolo del coro e della tentazione, infatti, si manifesta un’anima irrazionale, nutrita da sensazioni viscerali e enigmatiche. La scelta del regista di affidare questo complesso ruolo alla straordinaria attrice toscana non è casuale, poiché solo una donna in grado di bilanciare sensibilità e razionalità avrebbe potuto interpretare con successo questa dimensione liminare. Il resto del cast ha brillato sul palcoscenico, con particolare rilievo per le performance di Agostino Zumbo, Giovanni Arezzo e Rosario Minardi nei rispettivi ruoli di tentatori. Il pubblico ha risposto con calorosi applausi, riconoscendo l’impegno e il talento degli attori. Qui per le altre recite.

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Roma, Festival Equilibrio: “Closer/On the Other Side

Mar, 13/02/2024 - 23:38

Roma, Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, Sala Petrassi
“CLOSER / ON THE OTHER SIDE”
Musica Philip Glass
Coreografie Benjamin Millepied
Costumi Camille Assaf
Luci Masha Tsimring
Corpo di Ballo dell’Opera di Roma
Co-realizzazione Teatro dell’Opera di Roma e Fondazione Musica per Roma
Roma,  9 febbraio 2024
Dopo l’anteprima di fine gennaio al Teatro Argentina dedicata all’ultima creazione di Peeping Tom, si è aperta ufficialmente il 9 febbraio presso l’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone la XVIII edizione del Festival Equilibrio, volto nelle intenzioni del Direttore Artistico Emanuele Masi a proporre “una brillante costellazione di forme ed estetiche coreografiche”. Ciò che distingue in particolare la presente edizione è la sinergia con le principali realtà della capitale, tra cui il Teatro di Roma ed Orbita Spellbound. Ad inaugurare il Festival in Sala Petrassi è una serata nata dalla nuova partnership con il Teatro dell’Opera di Roma, il cui Corpo di Ballo si esibisce all’Auditorium per la prima volta. Si tratta di un dittico incentrato su coreografie neoclassiche di Benjamin Millepied ispirate dalla musica di Philip Glass. Millepied, noto al grande pubblico per le coreografie del film Black Swan di D. Aronofsky (2010), possiede un background artistico molto solido. Dopo aver studiato al Conservatorio Nazionale di Lione, ha completato la sua formazione alla Scuola dell’American Ballet di New York ed è stato principal del New York City Ballet. Non stupisce quindi che l’impronta balanchiniana abbia suscitato in lui il desiderio di un pieno confronto con la musica. Dal minimalismo di Philip Glass prende vita nel 2005 il pezzo Closer, un racconto intimo sull’amore di coppia. Va detto che il legame tra Millepied e l’Opera di Roma non è nuovo. Tra il 2014 e il 2016 il coreografo è stato direttore del corpo di ballo dell’Opéra di Parigi, e l’étoile dello stesso teatro Eleonora Abbagnato aveva inserito e danzato proprio tale duetto sulla partitura pianistica di Mad Rush in una delle prime produzioni realizzate dopo aver preso le redini della compagnia romana (Serata Grandi Coreografi, febbraio-marzo 2016). Adesso presentano Closer al pubblico del Festival Equilibrio l’étoile Rebecca Bianchi e il primo ballerino Michele Satriano, animandone con armonia, precisione, purezza di linee e penetrante presenza scenica il gioco di pesi, contrappesi, slanci, tensioni. Il bianco dei costumi e delle scene dona luce alle scultoree pose nello spazio, e la musica dal vivo del pianoforte accompagna voli e cadute dei protagonisti, che dopo aver riposto piena fiducia l’una nell’altro possono infine riposare vicini. Dal dittico presentato all’Auditorium Millepied appare quindi un abile architetto-narratore, capace di costruire sulla ripetitività ipnotica di Philip Glass strutture coreografiche che calamitano l’attenzione dello spettatore. È questo anche il caso di On the Other Side, presentato come “il terzo capitolo della trilogia Gems, una rivisitazione di Diamonds di Balanchine”. Il rapporto con Jewels non è in realtà così evidente, ma è molto apprezzabile il rimodellamento sugli interpreti della compagnia del Teatro dell’Opera di tale lavoro, creato originariamente per la compagnia L.A. Dance Project. Tra il dinamico movimento delle forme dei danzatori in tute ed abiti casual, emergono la danza sfavillante di Alessio Rezza in coppia Federica Maine, il magnetismo di Claudio Cocino in duo con Giacomo Castellana, l’intensità degli assoli di Marta Marigliani, l’amalgamarsi delle energie di Federica Maine, Annalisa Cianci e Sara Loro. L’”universo di luminose galassie” di cui parla il curatore Emanuele Masi si incarna dunque in giovani volti chiamati a infondere negli spettatori sentimenti di “gioia, bellezza e ironia”. Foto Fondazione Musica per Roma/MUSA

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Roma, Museo di Trastevere: “Rino Gaetano” dal 16 Febbraio al 28 Aprile 2024

Mar, 13/02/2024 - 12:24

Roma, Museo di Trastevere
RINO GAETANO
A cura di Alessandro Nicosia e Alessandro Gaetano
Organizzata e realizzata da C.O.R. Creare Organizzare Realizzare, con il patrocinio del Ministero della Cultura e la media partner di Rai, con la collaborazione di Universal Music Publishing Group
A oltre quarant’anni dalla sua morte un omaggio a Rino Gaetano.
La prima mostra dedicata al cantautore vuole raccontare a chi lo ha amato e alle nuove generazioni, la contemporaneità e l’originalità del suo pensiero e della sua proposta musicale. L’esposizione presenta materiali inediti (foto, cimeli artistici, oggetti) che insieme agli strumenti musicali, ai vestiti di scena e alla raccolta dei suoi dischi, illustreranno la personalità e l’attualità di un artista unico e amato dal pubblico prematuramente uscito di scena. Un percorso emozionante e suggestivo che farà rivivere il ricordo di una delle più belle voci della canzone italiana che con ironia e sguardo poetico ha conquistato e continua a conquistare il cuore di tutti. Qui per tutte le informazioni.

 

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