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Musica corale

Roma, Teatro Parioli Costanzo: “Anna dei miracoli”

gbopera - Mer, 24/04/2024 - 23:59

Roma, Teatro Parioli Costanzo
ANNA DEI MIRACOLI 
di William Gibson 
con Mascia Musy, Fabrizio Coniglio, Anna Mallamaci, Laura Nard
adattamento e regia Emanuela Giordano 
Scene e Luci Angelo Linzalata 
Costumi Emanuela Giordano 
Musiche Carmine Iuvone e Tommaso Di Giulio 
Produzione La Pirandelliana
Roma, 24 Aprile 2024
Hellen, una bambina di 12 anni, cresciuta in una tenuta del Sud degli Stati Uniti subito dopo la sconfitta della Confederazione nella Guerra di Secessione, è stata allevata dalla sua famiglia come se la sua condizione di sordità e cecità la rendesse incapace di apprendere, lasciandola agire senza limiti. La sua educazione cambia radicalmente con l’arrivo di Miss Annie, una giovane pedagogista al suo primo incarico, precedentemente cieca, determinata a riformare il comportamento della bambina. Annie affronta numerosi cliché sociali simili a quelli del permissivismo moderno riguardanti i disabili e gli psichiatrici, evidenziando come i comportamenti infantili possano evolvere in azioni più pericolose nell’età adulta. Il dramma  mostra Annie adottare metodi severi con Hellen, spesso confinando insieme in una casetta isolata nella proprietà per concentrarsi sull’educazione della bambina. Il confronto non è solo con Hellen ma anche con una famiglia che la indulgente eccessivamente, credendo di non poter fare altro per lei. Le tecniche educative di Annie, che includono rinforzi positivi e avversivi, sono mirate a rompere il ciclo di comportamenti maleducati e a insegnare a Hellen non solo le abilità quotidiane ma anche a comunicare efficacemente, nonostante la sua disabilità. Attraverso il linguaggio dei segni per sordi-ciechi, Annie lavora per aprire Hellen al mondo esterno, superando la barriera dell’isolamento sensoriale in cui è stata confinata. Il dramma sottolinea l’importanza dell’intelligenza e dell’interazione sociale per Hellen, proponendola come futura membro attivo della società tanto da imparare a valutare il linguaggio come strumento di connessione, piuttosto che come semplice abitudine memorizzata. La narrazione culmina con il riconoscimento da parte di Hellen del valore della comunicazione e del vivere civile, segnando un cambiamento permanente nella sua interazione con gli altri.  Emanuela Giordano, regista e autrice di questo adattamento del dramma pluripremiato degli anni ’60, propone una messa in scena spartana e minimalista, in linea con lo stile originale dell’epoca. La sua regia si concentra su scene domestiche che esplorano discordanze verbali e confronti concettuali intensi riguardanti amore, educazione, sopportazione e comunicazione. Giordano innova la sceneggiatura introducendo il neonato lessico dei segni, strumento cruciale per l’ingresso di Helen nel mondo, enfatizzando una convivenza disciplinata. Questo approccio non solo rende omaggio all’originale, ma aggiunge un nuovo livello di profondità interpretativa al dialogo tra i personaggi. Anna Mallamaci affronta la sfida artistica e civile di interpretare Hellen Keller sul palcoscenico del Teatro Parioli Costanzo, un compito non da poco, considerando che Keller non è un personaggio di fantasia ma una figura storica di grande impatto: scrittrice, attivista e insegnante statunitense, diventata sordo-cieca all’età di 19 mesi. La sua vita è stata oggetto di narrazioni in diversi formati, tra cui il celebre film “The Miracle Worker” del 1962, diretto da Arthur Penn, che testimonia la sua resilienza e il suo spirito indomabile. Sul palco, Mallamaci non è sola; è accompagnata da interpretazioni memorabili di Fabrizio Coniglio e Laura Nardi, nei panni dei genitori di Keller. La loro performance è intensa e carica di emozioni, rivelando la profondità del dolore e del conflitto interiore che i genitori affrontano nel gestire la malattia della figlia, mantenendo sempre viva quella speranza irriducibile. Mascia Musy brilla nel ruolo dell’ostinata insegnante che protegge Helen da ogni forma di dannosa compiacenza esterna, mantenendo un rispetto invidiabile per i ruoli familiari senza mai cercare di sostituire i genitori. La sua interpretazione è meticolosa, competente e profondamente emotiva. Il progetto teatrale “Anna dei Miracoli” non solo è una rievocazione drammatica ma si radica anche nell’impegno sociale, grazie alla direzione di Paola Severini Melograni, giornalista e direttrice dell’Agenzia Angelipress. Con una lunga carriera dedicata alla comunicazione sociale e alle questioni di solidarietà, Melograni infonde nel progetto una profondità che va oltre la semplice rappresentazione teatrale, mirando a sensibilizzare il pubblico e a promuovere un dialogo attivo su temi di disabilità e resilienza umana. Il finale è straordinario, un apice emotivo raggiunto quando Anna getta un secchio d’acqua su Helen, segnando il momento del miracolo. Questa scena intensa muove profondamente il pubblico, che risponde con un coinvolgente applauso e offre un caloroso abbraccio virtuale a tutti gli attori, riconoscendone il merito. Photocredit:MargheritaMirabella Repliche sino al 28 Aprile 2024.

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Milano, Teatro alla Scala: Gala Fracci 2024

gbopera - Mer, 24/04/2024 - 15:51

Milano, Teatro alla Scala, Stagione lirica 2023/24
“GALA FRACCI ” 2024
Coreografie  di Rudolf Nureyev da Marius Petipa E Lev Ivanov, Simone Valastro, August Bournonville, Andrea Crescenzi, Marius Petipa, Maurice Béjart, Manuel Legris, Roland Petit, George Balanchine, Patrick De Bama, Alexei Ratmansky.
Musiche di Pëtr Il’ič Čajkovskij, Ólafur Arnalds, Herman Severin Løvenskjold, Philip Glass, Johann Sebastian Bach, Ludwig Minkus, Gaetano Donizetti, Johann Strauss jr., Ezio Bosso, Léo Delibes
Artisti ospiti:  Marianela Nunez, Vadim Muntagirov, Olga Smirnova, Jacopo Tissi, Roberto Bolle 
Solisti, Corpo di ballo e Orchestra del Teatro alla Scala di Milano
Direttore David Coleman
Milano, 19 aprile 2024
Terza edizione del Gala Fracci in Scala: un’immancabile insieme di estratti del balletto classico che ha il pregio di mostrare tanti ballerini protagonisti in una sera, ma sempre con il rischio che il troppo possa guastare la situazione ed evolvere in uno stordimento da eccessi. La serata è stata talmente lunga e densa di contenuti (e protagonisti) che sarebbe eccessivo percorrerla punto per punto, danzatore per danzatore. Ci limiteremo per questi motivi alle impressioni principali sugli interpreti e sulla selezione dei pezzi portati in scena. Hanno donato della gioia Vittoria Valerio e Claudio Coviello nel passo a due da La Sylphide, sempre attenti ad un’interpretazione appassionata, adattissima per i ruoli romantici (ricordiamo con piacere la loro Giselle, sicuramente un cavallo di battaglia di questi due ballerini). Non sono stati risparmiati gli applausi da parte del pubblico per Marianela Nunes e Vadim Muntagirov ne La bella addormentata. Soprattutto Muntagirov ha avuto grandi applausi a scena aperta durante la sua variazione, ma anche la Nunes non ha sbagliato un passo. Non delude Nicoletta Manni ne La Luna di Béjart, sotto la guida della stessa Luciana Savignano, prima interprete di questo assolo facente parte del balletto Heliogabale del 1976. Ciononostante, ne abbiamo avuto un’impressione di maggior lentezza dei movimenti rispetto all’interpretazione più fluida della Savignano dei tempi (ma non sappiamo se dettata da una direzione d’orchestra che ha deciso per un ritmo forse più lento). Nel Donizetti pas de deux, Alice Mariani si conferma ballerina di grande caratura, che ci auguriamo cresca ulteriormente. Con lei ha danzato Nicola del Freo, che è stato un ottimo protagonista, in splendida forma, guadagnandosi meritatissimi applausi a scena aperta durante la sua variazione. Il pipistrello è stato, poi, una piacevolissima parentesi istrionica, omaggio al genio di Roland Petit, interpretata molto bene da Virna Toppi e da un azzeccatissimo Christian Fagetti, supervisionati da Luigi Bonino, uno dei primi interpreti di questo balletto insieme alla compagna di vita di Petit, Zizi Jeanmaire. Olga Smirnova ritorna, infine, con suo successo alla Scala con un passo a due di Jewels di Balanchine, insieme a Jacopo Tissi. E, nonostante ci fossimo ripromessi di non ripercorrere tutta la serata, l’impressione che ne avrete avuto voi lettori sarà che tale promessa è stata disattesa. Eppure, arrivati a quasi fine serata, abbiamo saltato una fetta abbastanza consistente degli eventi messi in scena: ad esempio, Roberto Bolle che ha portato in scena uno dei suoi pezzi commerciali ormai conosciuti, In your black eyes su musica di Ezio Bosso. Così come non possiamo commentare a dovere la nuova creazione dello scorso anno di Andrea Crescenzi, Luce, su un’affascinante musica di Philip Glass: ci limitiamo a dire che possiede parecchi spunti attraenti (come la “camminata sul posto”), e che apprezziamo nel giovane ballerino scaligero il tentativo di fusione di più modelli contemporanei (forse principalmente Kratz) con l’estetica di Ohad Naharin, fusione però ancora da digerire fino in fondo. Questo per dire che, nonostante tutto questo materiale, la serata si è poi conclusa con il terzo atto di Coppelia, nella coreografia di Alexei Ratmansky andata in scena poco tempo fa. Una scelta che crediamo abbia caricato un po’ troppo la serata, con la sua successione di variazioni dei vari solisti e con il passo a due che ne segue. Lo scorso anno il Gala presentava ben dieci pezzi, quest’anno dodici, compreso il terzo atto di Coppelia. Di certo capiamo la scelta, perché permette di portare in scena tanti ballerini come protagonisti, ma oltre a esserci risultata un’aggiunta eccessiva a fine spettacolo, è forse l’atto “più superfluo” di quel balletto dal punto di vista interpretativo. Ad ogni modo, oltre a menzionare i due protagonisti, Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko, dobbiamo sicuramente citare la bella variazione di Rinaldo Venuti. Vengono riservati a tutti grandi applausi al temine dello spettacolo e attese all’uscita artisti del teatro per i protagonisti principali, tra cui Roberto Bolle.Ph. Teatro alla Scala / Brescia – Amisano

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Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman: “A spasso con Daisy” dal 30 Aprile al 05 Maggio 2024

gbopera - Mar, 23/04/2024 - 20:00

Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman
A SPASSO CON DAISY
di Alfred Uhry
adattamento Mario Scaletta
regia Guglielmo Ferro
Con Milena Vukotic, Salavtore Marino, Maximilian Nisi
Teatro della città,
A.C.A.S.T. Associazione culturale Artigiani Spettacoli Teatrali
Grande trionfo in tutta Italia per lo spettacolo teatrale A spasso con Daisy, già Premio Pulitzer e film da quattro Oscar. A dar vita alla protagonista la bravissima Milena Vukotic in una storia delicata e divertente, capace di raccontare con umorismo un tema complesso come quello del razzismo nell’America del dopoguerra. La storia dell’anziana signora Daisy e del suo autista di colore è da sempre un successo. Scritta da Alfred Uhry, ha vinto il Premio Pulitzer per la Drammaturgia nel 1988. L’anno successivo l’adattamento cinematografico con Morgan Freeman e Jessica Tandy si è aggiudicato quattro Oscar (Miglior film, attrice protagonista, sceneggiatura non originale e trucco) e molti altri premi. Ora “A spasso con Daisy” è uno spettacolo teatrale adattato da Mario Scaletta e messo in scena da Guglielmo Ferro ed elegantemente interpretato da Milena Vukotic, Salvatore Marino e Maximilian Nisi. Daisy, Milena Vukotic, anziana maestra in pensione, è una ricca signora ebrea che vuole apparire povera; una donna dal piglio forte: ironica, diretta, scontrosa, capricciosa, avara. E’ vitale e indipendente nonostante l’età ed è assolutamente maldisposta verso la decisione presa dal figlio Boolie, Maximilian Nisi (nel tentativo di arginare la rischiosa smania d’indipendenza della madre) di assumerle un autista. Daisy non vuole in casa qualcuno che tocchi le sue cose, che la privi del gusto di guidare, che la faccia vedere in giro accompagnata da uno chauffeur come fosse una donna ricca. Per fortuna Hoke, Salvatore Marino, l’autista di colore affezionato e analfabeta, è paziente e capace di sopportare tutte le stranezze della vecchia signora e di rimanere dignitosamente in disparte. Poi, giorno dopo giorno, la diffidenza iniziale lascia il posto a un rapporto fatto di battibecchi e battute pungenti che cela in realtà un affetto profondo. In fondo “A spasso con Daisy” non è che questo: la storia di un’amicizia profonda nata nonostante i pregiudizi e le classi sociali sempre giocando sull’ironia e i toni della commedia. Adattamento leggero e pungente, regia pulita ed efficace, interpretazione magistrale che grazie a trovate semplici ma particolari confezioneranno una commedia leggera piena di ironia di grazia e respiro. Emozionarsi non è stato mai cosi divertente.

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Roma, Maxxi :”Ambienti 1956-2010 Environments by Women Artists II” sino al 20 Ottobre 2024

gbopera - Mar, 23/04/2024 - 18:10

Roma, MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo
AMBIENTI 1956-2010 ENVIRONMENTS BY WOMEN ARTISTS II
gallerie 2, 3, 4, sala Gian Ferrari e piazza del MAXXI
a cura di Andrea Lissoni, Marina Pugliese, Francesco Stocchi
Al confine tra arte, architettura e design, in mostra diciannove opere immersive, che vivono dell’interazione con il pubblico, in organica continuità con gli spazi disegnati da Zaha Hadid. La mostra mette in luce il contributo fondamentale delle donne alla storia di questa espressione artistica e rappresenta il capitolo successivo del progetto espositivo di Inside Other Spaces. Environments by Women Artists 1956–1976, avviato dalla Haus der Kunst di Monaco. Il MAXXI prosegue la ricerca dell’istituzione tedesca e ne amplia la cronologia originaria arrivando fino al 2010, anno del completamento dell’architettura del Museo progettato da Zaha Hadid. Questa nuova ricerca permette di indagare ulteriori aspetti critici della natura dell’arte ambientale facendo emergere temi come il rapporto con lo spazio pubblico, l’introduzione delle nuove tecnologie e il conseguente coinvolgimento attivo degli spettatori. In mostra opere di Micol Assaël, Monica Bonvicini, Judy Chicago, Lygia Clark, Laura Grisi, Zaha Hadid, Aleksandra Kasuba, Kimsooja, Christina Kubisch, Léa Lublin, Nalini Malani, Marta Minujín, Tania Mouraud, Pipilotti Rist, Martha Rosler, Esther Stocker, Nanda Vigo e Tsuruko Yamazaki.

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Roma, Castel Sant’Angelo: “Interno Pompeiano” dal 23 aprile al 16 giugno 2024

gbopera - Mar, 23/04/2024 - 10:25

Roma, Castel Sant’Angelo
INTERNO POMPEIANO
Fotografie di Luigi Spina
Dal 23 aprile 2024 Castel Sant’Angelo ospita la prima grande mostra dedicata al progetto fotografico di Luigi SpinaInterno Pompeiano. La campagna, che ha permesso al fotografo di indagare gli interni di oltre centoventi domus a Pompei, nasce durante la chiusura al pubblico del Parco Archeologico di Pompei, allora diretto dal Prof. Massimo Osanna, per la pandemia. Il corpus di oltre 1450 scatti ha dato vita in primis al progetto editoriale Interno Pompeiano di 5 Continents Editions, un libro di quasi 300 fotografie a colori in grande formato, con saggi, oltre che dello stesso Spina, di Massimo Osanna, Gabriel Zuchtriegel, Carlo Rescigno e Giuseppe Scarpati. Nasce da qui la mostra Interno Pompeiano (fino al 16 giugno 2024), realizzata dalla Direzione Musei statali di Roma – guidata dal Direttore generale Massimo Osanna – in collaborazione con la Direzione generale Musei e il Parco Archeologico di Pompei. Attraverso 60 fotografie a colori di grande formato, stampate su carta fine art, la mostra racconta la condizione unica che ha consentito a Spina di “abitare” Pompei e “vivere” nelle sue case, potendo così seguire il modellarsi della luce naturale nell’arco delle giornate, e cogliere le sfumature nei molteplici ambienti dei suoi scatti. Come evidenzia il Direttore generale Musei Prof. Massimo Osanna, «Pompei è stata raccontata, rappresentata, narrata milioni di volte, eppure continua sempre ad offrire nuove angolazioni e punti di vista: questa mostra, in particolare, è un esempio di come, attraverso l’uso della fotografia, sia possibile ritrarre le domus pompeiane in un modo inedito, creando un’atmosfera di magia e rara suggestione. Si tratta di un’esposizione di grande impatto, che andrà, nei prossimi mesi, a implementare e arricchire l’offerta culturale di un altro sito straordinario, quale Castel Sant’Angelo. Come Direzione generale Musei – conclude Osanna – ci siamo già attivati, inoltre, affinché il Castello diventi tappa inaugurale di un percorso più ampio, che porterà la magia di Pompei, letta attraverso l’obiettivo di Spina, anche in altri luoghi della cultura del nostro Paese». Con una fotocamera Hasselblad H6D-100c con le ottiche, senza l’ausilio di alcuna luce artificiale, immerso in una Pompei deserta e silenziosa, Spina cattura vedute che portano dall’interno alla natura e viceversa: la ricerca del fotografo si sofferma su colonne intonacate, scorci inconsueti e prospettive che includono il paesaggio circostante. Osservando da vicino i mosaici, percorrendo peristili, riscoprendo ogni particolare delle pitture parietali, Spina ha poi selezionato sessanta interni: fotografie dove le domus riemergono in una visione inedita, in un equilibrio ambientale che restituisce da una parte la dimensione della presenza umana, dall’altra la vastità dell’Impero romano, rievocando allo stesso tempo l’antica tragedia di Pompei. Nei suoi scatti le case riprendono vita – come la Casa di Marco Lucrezio su Via Stabiana, quella del Poeta Tragico col celeberrimo mosaico “cave canem”, e la Casa di Orione dal poliedrico mosaico da cui prende il nome e ne narra il mito – nelle loro incomparabili tonalità di rosso sinopsis, giallo tenue, verde delicato e azzurro polveroso; i pavimenti a mosaico, con motivi decorativi e pietre preziose, risaltano accanto ai dipinti murali dai paesaggi paradisiaci e scene di vita quotidiana; gli interni fanno mostra del loro splendore, in un crogiolo dove architettura e pittura diventano simbolo del culto dell’abitare dimore perfette. La mostra ha come obiettivo quello di presentare al pubblico una nuova estetica visiva della città romana e dei suoi monumenti, seguendo la via della luce e del trascorrere del tempo. Il progetto editoriale Interno Pompeiano di 5 Continents Editions, promosso dal Parco Archeologico di Pompei, realizzato in edizione italiana e francese – con saggi di Massimo Osanna, Gabriel Zuchtriegel, Carlo Rescigno, Giuseppe Scarpati e Luigi Spina – vanta diverse co-edizioni internazionali: per il mercato inglese con Thames&Hudson, per quello americano con Getty Museum, per i paesi di lingua tedesca con Elisabeth Sandmann Verlag e per la Spagna con La Fábrica.

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Milano, MTM Teatro Leonardo: “Le Troiane”

gbopera - Mar, 23/04/2024 - 01:01

Milano, MTM – Teatro Leonardo, Stagione 2023/24
LE TROIANE”
da Euripide
Ecuba BENEDETTA MARIGLIANO
Taltibio FRANCESCA BIFFI
Cassandra CINZIA BROGLIATO
Andromaca CAROLA BOSCHETTI
Astianatte ALESSANDRO SIMONINI
Elena ELEONORA IREGNA
Menelao CLAUDIO ORLANDINI
Regia Claudio Orlandini
Scene e costumi Valentina Volpi
Musiche originali Gipo Gurrado
Luci Alessandro Bigatti
Produzione Comteatro
Milano, 16 aprile 2024
Ci sono recensioni negative che non farebbero bene a nessuno, poiché la riuscita dell’opera, nella sua totalità, risulta irrimediabilmente compromessa; e ci sono stroncature che sono originate da difetti molto specifici, che si spera possano venire emendati tramite la critica. La presente è una di queste, giacché “Le Troiane” correntemente in scena al Teatro Leonardo è uno spettacolo che raggiunge risultati tanto alterni nell’arco di settanta minuti da essere quasi disorientante. Ad esempio, troviamo le scene e i costumi di Valentina Volpi interessanti ed efficaci: le tende ai quattro angoli del palco, i mobili rovesciati, la commistione di stili e periodi, aiutano ad uscire da un modello specifico alla ricerca dell’universalità del dramma, così come la palette su toni acromatici – beige, grigio, carne, cipria, seppia ecc – contribuisce alla cancellazione dei corpi e delle coscienze, effetto e causa di ogni guerra. Molto suggestiva anche la cornice luce/suono: il progetto luminoso di Alessandro Bigatti è puntuale, accompagna il testo senza didascalia e ci propone alcuni effetti affascinanti; le musiche originali di Gipo Gurrado sono una vera chicca, tra elettronico e sinfonico, tra il lamento e la techno, enfatizzano la loro natura extradiegetica per divenire una vera colonna sonora, un sostegno fattuale alla riuscita artistica della produzione. I problemi oggettivi cominciano ad emergere in parte con la regia di Claudio Orlandini: la scelta di un testo simile, infatti, impone in primo luogo di ascoltare questo testo, che ci racconta già una ineludibile regia – gesti, posizioni, espressioni. Se il regista vuole – del tutto lecitamente – allontanarsi da essa, farà bene a stornare dal testo quei passi nei quali compaiono tali indicazioni (un esempio: se un personaggio dice di essere steso a terra, rischia di sembrare ridicolo nel restare in piedi; così come se uno allude a un oggetto in scena, l’oggetto deve esserci, magari simbolizzato, ma non si può eludere); l’alternativa a questi accorgimenti è di costruire una regia completamente astratta, del tutto basata sulla forza impressiva di una parola recitata con grande maestria, ossia nella quale la parola sia l’oggetto in tutto e per tutto. Purtroppo, non è il caso di queste “Troiane“, il cui problema maggiore sta in primis in una regia che non si relaziona autorevolmente col testo – ne è la prova il fatto che su nessun materiale (locandine, programmi ecc) compaiano le diciture di traduzione e adattamento, come se questo testo si sia catapultato dal 415 a.C. al 2024 d.C. per magia – e infatti non si riscontra nemmeno una coerenza interna alla regia, che, in un generale clima declamatorio si possa innestare anche una recitazione più naturalista – come nel caso del personaggio di Elena; a questa grave pecca si agiunge, imprevedibilmente, una selezione inefficace del cast, sia sul piano dell’età (difficilmente credibile una Ecuba trentenne, con Cassandra e Andromaca sulla cinquantina), sia su quello più basilare della preparazione – abbiamo due interpreti affette da pesanti sigmatismi, una totalmente priva di dizione. Brilla in questo contesto solo la performance di Cinzia Brogliato, una Cassandra dai ritmi precisissimi, impegnata in una prova fisica decisamente coinvolgente e unica, tra gli interpreti, a dare un peso credibile alla parola. Per il resto, tutto il cast si assesta su un livello medio-basso, con lo stesso Orlandini nei panni di un Menelao molto convenzionale, e una serie di prove piuttosto stereotipate quando non fraintese – come l’Andromaca recitata in fretta e senza una vera gamma di intenzioni di Carola Boschetti, o l’Ecuba gelida e povera di colori di Benedetta Marigliano, o ancora l’Elena di Eleonora Iregna, senza alcuna dizione né consapevolezza del personaggio. Purtroppo la scarsità del lavoro sul testo si percepisce chiaramente anche sulla base dei diversi errori di pronuncia delle parole più auliche o più specifiche (“ínfida” al posto di “infída”, “Átridi” invece di “Atrídi” e via dicendo), e comunica una sensazione di straniamento nei confronti di uno spettacolo pesantemente al di sotto delle aspettative e che avrebbe potuto invece rivelarsi molto migliore.

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Roma, Teatro Vascello: ” Description (of a description)” di Lucinda Childs

gbopera - Mar, 23/04/2024 - 00:21

Roma, Teatro Vascello
DESCRIPTION (OF A DESCRIPTION)
Interprete e coreografa Lucinda Childs
Testo Susan Sontag
Musica, Set e Light Design Hans Peter Kuhn
Direttore tecnico Reinhard Bichsel
Direzione di progetto Marta Dellabona
Direzione di produzione Martina Galbiati
Produttore Franco Laera
SCHRÖDINGER HAD CAT NAMED MILTON
Coreografia Michele Pogliani in collaborazione con i danzatori
Interpreti Agnese Trippa, Nicolò Troiano, Mattia Romano, Michele Pogliani
Special Guest Lucinda Childs
Visual Design Michele Innocente
Sound Design Maurizio Bergmann
Light Design Stefano Pirandello
Costumi e scenografia Tiziana Barbaranelli
Riprese video Daniele Lazzara
Coordinatore di produzione Fabrizio De Angelis
Roma, 7 aprile 2024
Si intitola Description (of a description) il monologo danzato il 7 aprile scorso da Lucinda Childs al Teatro Vascello su testo di Susan Sontag. Una narrazione di stati d’animo, un flusso di coscienza interrotto da poche sostanziali azioni. “… Un uomo… improvvisamente collassò, proprio davanti a me”, “… come colpito da un fulmine”. Un urlo. “Nessuno l’aveva colpito in testa con un’accetta. Non c’era stato alcun colpo di pistola. Io non c’entravo niente con la sua sventura”. “Lo tirai su da sola”. “… e mi presi cura di lui”. In scena una figura eterea, incorniciata dall’argento dei capelli che ci suggeriscono la vastità del suo percorso scenico e di vita. Lucinda Childs è in effetti un’icona della danza, nota per la sua partecipazione ai lavori del Judson Dance Theater ed ancor più per aver espresso uno stile di danza minimalista. La traccia lasciata nella storia dello spettacolo e della danza è segnata da titoli come “Officier dans l’Ordre des Arts et des Lettres” e da un “Leone d’Oro alla Carriera” conferitole alla Biennale di Venezia nel 2017. Tra i lavori più noti il famoso Einstein on the Beach nato nel 1976 dalla collaborazione con Robert Wilson e Philip Glass. Un lavoro lungo cinque ore che non si basava su una storia, ma che allo stesso tempo era in grado di esprimere emozioni attraverso i gesti e di visualizzare in modo chiaro la musica.  Seguì nel 1979 Dance, lavoro creato insieme a Philip Glass e Sol LeWitt e ispirato al concettualismo delle forme geometriche. Una danza in grado di ipnotizzare anche se spogliata dai più virtuosi tecnicismi, una danza in grado allo stesso tempo di provocare emozioni pur nella sua astrazione. In realtà, in ogni movimento è nascosta una intrinseca narrazione. È questo il segreto di una coreografa partita dall’aspirazione di voler fare l’attrice e divenuta successivamente autrice-interprete di lavori quali Carnation nel 1964 in cui utilizza oggetti domestici in una maniera ‘post-dadaista’. Un lungo interrogarsi sulla propria vocazione artistica che rintraccia nella danza concettuale il suo punto d’arrivo. Ecco che adesso di fronte all’avanzare dell’età, il corpo nell’associarsi al concetto della caduta evidenzia la potenza significativa della fragilità ed il ruolo del caso. A ciò si riconnette il secondo pezzo della serata, Schrödinger had a cat named Milton, presentato in prima assoluta dal coreografo e danzatore Michele Pogliani, già interprete della compagnia di Lucinda Childs per lungo tempo. In scena con lui i danzatori di MP3 Dance Project: Agnese Trippa, Nicolò Troiano e Mattia Romano, che si muovono in uno spazio astratto in connessione con video installazioni a cura di Michele Innocente. Il nome del pezzo richiama un “celebre parodosso sulla probabilità della meccanica quantistica del gatto di Schrödinger, secondo cui finché non si apre la scatola è impossibile sapere se il gatto all’interno sia vivo o morto”. In scena a tratti anche Lucinda Childs per una ricerca sui casi della danza e della vita. Foto Matteo Bertelli

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Roma, Teatro Vascello: “Diva” Il primo appuntamento della Trilogia Kabbarett Weimar

gbopera - Lun, 22/04/2024 - 23:59

Roma, Teatro Vascello
TRILOGIA: KABBARETT WEIMAR
di Antonella Ottai
con Chiara Bonome e Bruno Maccalini
Musice dal vivo Pino Cangialosi
DIVA
Roma, 22 Aprile 2024
Tra il 1919 e il 1933, durante la Repubblica di Weimar, la Germania visse un’era di straordinaria espansione culturale, artistica e scientifica, paragonata da Ernst Bloch a una nuova “età di Pericle”. Questo periodo, noto come “cultura di Weimar”, si caratterizzò per una straordinaria diversità e innovazione in campi quali l’arte, la letteratura, l’architettura, il cinema e la musica, nonostante sia stata definita retrospettivamente e criticata per la sua eterogeneità. Il fervore culturale si concretizzò in movimenti come l’espressionismo, il post-espressionismo, la nuova oggettività, e il dadaismo, oltre a fenomeni come il Bauhaus e il cinema di Fritz Lang. Questo dinamismo artistico si sviluppò nonostante le difficoltà economiche causate dai duri termini di riparazione del Trattato di Versailles e un’alta inflazione. Berlino divenne il fulcro di questa rivoluzione culturale, che vide emergere forme d’arte come le caricature politiche e il cabaret decadente, e contributi significativi in musica da parte di Alban Berg e Arnold Schönberg. Parallelamente, la filosofia e le teorie sociologiche e politiche fiorirono, culminando nel lavoro dell’Istituto di Ricerche Sociali della Scuola di Francoforte. Anche il diritto ebbe una fase di profonda riflessione e innovazione, ponendo le basi per una società più inclusiva e organizzata attorno ai principi del sindacalismo. Tuttavia, con l’ascesa al potere di Adolf Hitler nel 1933, molti intellettuali furono costretti all’esilio, e la cultura vibrante della Repubblica di Weimar fu repressa e i suoi libri bruciati, segnando un triste epilogo per uno dei periodi più ricchi della storia tedesca. Il Teatro Vascello ospita “Kabarett Weimar”, una trilogia di spettacoli che riporta in vita l’atmosfera unica dei caffè e dei kabarett dell’epoca, esplorando attraverso canzoni, provocazioni dadaiste, battute e testi famosi, le manifestazioni della modernità e le rivendicazioni femminili del tempo. La serie è iniziata con  “Diva”, un’opera teatrale ideata da Ottai che porta in scena una figura immaginaria, Diva, che sintetizza vari simboli delle donne rivoluzionarie degli anni Venti. Ambientato nel Romanisches Café di Berlino, un noto punto di ritrovo intellettuale, lo spettacolo vede Chiara Bonome nei panni di Diva, che insieme a Karl, il capocameriere interpretato da Bruno Maccallini, narra l’epoca di Weimar, un periodo di transizione tra echi del passato e presagi di un imminente declino. Lo spettacolo è arricchito da una colonna sonora che va dal popolare all’avanguardia e una regia che gioca con le figure storiche della scena, da Bertolt Brecht a Valeska Gert, da Claire Waldoff a Erika Mann. Marlene Dietrich, Claire Waldoff, Anita Berber, figure iconiche e molteplici altre ancora, si fondono nella misteriosa figura di Diva, una presenza scenica che catalizza l’attenzione nel cuore vibrante della Berlino degli anni ’30. Diva è un enigma, una presenza sfuggente di cui nulla si sa delle origini né del passato. Non vi sono tracce della sua vita prima che calpeste le assi del palcoscenico, né indizi su ciò che l’ha spinta a intraprendere tale carriera artistica. La sua esistenza è avvolta nel mistero, ma ciò che risplende con certezza è il suo carisma indiscusso quando prende posto al Romanisches Café, epicentro culturale e punto di ritrovo tra i più celebrati di quel periodo storico. Sul palco, la chimica tra Bruno Maccallini e Chiara Bonome è palpabile, evidenziando una relazione che muta dinamicamente al ritmo delle loro esibizioni. La loro interazione oscilla tra la professionalità di impresario e stella e le schermaglie tipiche di una commedia degli equivoci, talvolta assumendo toni quasi familiari, in un confronto generazionale e culturale con un mondo che si trova sull’orlo di un cambiamento drastico – o, meglio, di una catastrofe. Mentre l’Europa si avvicina alla cupa era del nazionalsocialismo, la morte dell’arte e della bellezza, i due artisti danzano e recitano con una libertà che sembra sfidare i confini del tempo e del luogo. I frequenti cambi d’abito di Bonome sono un tributo alla sua capacità di trasformazione e un gioco di anticipazione per il pubblico, curioso di scoprire la sua prossima incarnazione. Le loro performance sono un tessuto ricco di riferimenti culturali, un tributo agli spiriti liberi e bohémien dell’epoca. In particolare, le figure di Tiger Brown e Jenny dei Pirati, tratte dall’ “Opera da tre soldi” di Bertold Brecht, emergono durante la serata come momenti di intensa rappresentazione teatrale. È lo spirito di Brecht che infonde a ‘Diva’ un significato profondo, una narrazione che, attraverso l’umorismo e la satira sociale, espone senza veli le ingiustizie di un mondo in bilico. Nonostante l’aura di umorismo e il calore avvolgente delle scene, l’ombra opprimente del nazionalsocialismo si insinua prepotentemente, proiettando una luce cruda sulla perdita irreparabile di un luogo amato come il Romanisches Café e di un’intera era artistica. In un’epoca segnata dalla repressione brutale della bellezza e dell’arte, ‘Diva’ si afferma non solo come un’opera di intrattenimento, ma come un potente atto di resistenza culturale e memoria storica. In scena sino al 24 Aprile 2024.

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Roma: “Festa della Resistenza” dal 23 al 25 Aprile 2024

gbopera - Lun, 22/04/2024 - 13:29

DAL 23 AL 25 APRILE TORNA PER IL SECONDO ANNO
A ROMA LA “FESTA DELLA RESISTENZA”
Un programma di circa 80 eventi gratuiti tra storia e memoria, con lezioni, incontri, spettacoli, concerti, proiezioni e mostre per celebrare e promuovere oggi i valori e i principi su cui si fondano la Repubblica e la Costituzione
Dal 23 al 25 aprile sarà ancora Festa della Resistenza. Per il secondo anno consecutivo, Roma Capitale celebra una pagina fondamentale della storia nazionale: la lotta per la liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Tre giorni di eventi, a ingresso libero e gratuito, con circa 80 appuntamenti tra lezioni, incontri, spettacoli, concerti, proiezioni e mostre, per ricordare e condividere i valori della Resistenza italiana nei luoghi della città in cui i partigiani hanno combattuto ottant’anni fa. Valori come democrazia, libertà e uguaglianza che, tra il 1943 e il 1945, hanno animato migliaia di donne e di uomini che hanno combattuto al fianco degli Alleati, preparando il terreno per la nascita della Repubblica e della Costituzione. Una “festa della libertà” che vedrà alternarsi – in vari spazi del V e VII Municipio della città, tra i luoghi simbolo della Resistenza romana – gli interventi di storici, studiosi, giornalisti, artisti che racconteranno al pubblico uno dei momenti più alti della storia d’Italia, tappa fondamentale della storia cittadina, nazionale ed europea. Tra gli ospiti: Corrado Augias, Alessandro Barbero, Lucia Ceci, Davide Conti, Giovanni De Luna, Stefania Ficacci, Mimmo Franzinelli, Umberto Gentiloni, Isabella Insolvibile, Ezio Mauro, Marco Mondini, Michela Ponzani, Riccardo Sansone, Anthony Santilli, Benedetta Tobagi e molti altri. Non mancheranno i contributi degli artisti, tra cui quelli di Ascanio Celestini e Liliana Cavani. La Festa della Resistenza di Roma 2024 è promossa e sostenuta dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale, con il coordinamento del Dipartimento Attività Culturali e con la collaborazione dei Municipi V e VII, dell’Istituzione Biblioteche di Roma, delle Associazioni della Casa della Memoria e della Storia, dell’Archivio Flamigni, dell’Associazione Cittadini del Mondo e delle reti di Associazioni culturali e territoriali Q44 e Ottava Zona – Memoria Est. Media Partner la Repubblica, Rai Radio 1, Rai Cultura. Con la Collaborazione di Rai Teche e Siae. Mobility partner Atac. Il ricco programma di iniziative è stato ideato insieme con gli studiosi Davide Conti e Michela Ponzani e grazie a un confronto con le principali associazioni impegnate quotidianamente a Roma sul terreno della storia della Resistenza e dell’antifascismo. La Festa della Resistenza si svolge in alcuni spazi del V e del VII Municipio: la Piazza Coperta e lo Spazio Pagoda ad Arco di Travertino, la Casa della Cultura e dello Sport “Silvio Di Francia” a Villa De Sanctis, Villa Lazzaroni (nel Teatro e nell’ex Sala Consiglio del Municipio VII) e la Biblioteca Cittadini del Mondo ed è diffusa in tanti altri luoghi dei Municipi coinvolti tra Quadraro, Tor Pignattara, Centocelle, Alessandrino e Pigneto, grazie alle iniziative organizzate dalle reti di Associazioni culturali e territoriali Q44 e Ottava Zona – Memoria Est. L’organizzazione è di Zètema Progetto Cultura. La manifestazione prenderà il via il 23 aprile alle 10, nella Piazza coperta ad Arco di Travertino, con i saluti istituzionali alla presenza dell’assessore alla Cultura di Roma Capitale, Miguel Gotor, e del vicesindaco della Città Metropolitana di Roma Capitale, Pierluigi Sanna, con Francesco Laddaga (presidente Municipio Roma VII), Mauro Caliste (presidente Municipio Roma V), Amedeo Ciaccheri (presidente Municipio Roma VIII), Erica Battaglia (presidente Commissione Cultura, Politiche giovanili e lavoro di Roma Capitale), Riccardo Sbordoni (assessore alla Cultura del Municipio Roma VII) e Maurizio Mattana (delegato alla Memoria del Municipio Roma V). Di seguito, i principali appuntamenti in programma (il calendario completo, suscettibile di variazioni e comprendente anche gli eventi non elencati, comprese le iniziative organizzate dalle reti di Associazioni culturali e territoriali Q44 e Ottava Zona – Memoria Est, è disponibile su: https://culture.roma.it/festadellaresistenza)

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Roma, Parco archeologico del Colosseo, Uccelliere Farnesiane: “Rara Avis” dal 24 Aprile al 21 Luglio 2024

gbopera - Lun, 22/04/2024 - 12:14

Roma, Parco archeologico del Colosseo, Uccelliere Farnesiane
RARA AVIS
Curatela Sofia Gnoli
Promozione ed organizzazione Parco archeologico del Colosseo
La primavera 2024 al Parco archeologico del Colosseo sarà impreziosita da una mostra unica nel suo genere: si intitola RARA AVIS Moda in volo alle Uccelliere Farnesiane e sarà realizzata dal 24 aprile al 21 luglio nelle Uccelliere Farnesiane sul Palatino con la curatela di Sofia Gnoli e l’organizzazione e la promozione del Parco archeologico del Colosseo. Abiti e accessori, esempi unici di haute couture provenienti dagli archivi delle più celebri maison di moda al mondo, saranno esposti nelle Uccelliere Farnesiane, uno dei luoghi più simbolici della Roma rinascimentale e barocca, incastonate negli Orti Farnesiani del Palatino, il primo giardino botanico del mondo, voluto nel XVI secolo dal cardinale Alessandro Farnese. Il percorso della mostra si snoda all’interno dei due padiglioni ed è suddiviso in tre sezioni: Il Mito, Caleidoscopiche Visioni e Le ALI, irreALI, reALI. La alata fantasia della ‘mitica’ Anna Piaggi. “La nuova mostra in programma, ancor più che in altri casi, conferma la volontà del Parco archeologico del Colosseo di vivificare i suoi importanti complessi architettonici con eventi culturali che traggano la loro ispirazione dal genius loci, in dialogo con le energie creative che progressivamente emergono dalla società civile. Una successione di straordinari abiti-uccello e accessori piumati anima, infatti, sul Palatino, le Uccelliere Farnesiane”, spiega Alfonsina Russo, Direttore del Parco archeologico del Colosseo. “Grande attenzione è stata riservata, oltre che alla scelta degli oggetti, anche all’allestimento della mostra, che sarà immersivo con proiezioni di un paesaggio idilliaco, dei suoni e dei rumori della natura per la voliera che ospita la sezione Caleidoscopiche Visioni e la simulazione di tuoni e lampi nell’altra per la sezione Il Mito”. Queste alcune delle meraviglie che sarà possibile ammirare: il maestoso abito cigno bianco, una spuma di tulle completata da candide ali di Maria Grazia Chiuri per Christian Dior (Cruise, 2022); l’abito cigno nero, che riporta alla memoria la Odile di Il Lago dei Cigni di Tchaikovsky, di Alexander McQueen per Givenchy (haute couture autunno-inverno 1997); l’abito-corsetto in organza, interamente ricamato con piume di gallo e di fagiano, della Collezione Firenze 2020 di Dolce&Gabbana Alta Moda; il lungo abito nero, guarnito sul retro da una cascata di caleidoscopiche piume di Thierry Mugler (haute couture autunno-inverno 1997); il micro-abito dorato, in metal mesh ed enormi ali di piume di struzzo disegnato da Donatella Versace appositamente per Katy Perry e dai lei sfoggiato sul tappeto rosso del Gala del MET nel 2018; il look esclusivo realizzato da Alessandro Michele per Gucci con ricami in cristalli 3D e indossato da Florence Welch, al MET Gala del 2019, così come la mise, con bolero pappagallo, della prima sfilata haute couture di Jean-Paul Gaultier (autunno-inverno 1997). Un posto speciale merita inoltre l’abito “Vittoria del colibrì”, progettato appositamente per “Rara Avis” da Tiziano Guardini, realizzato in seta non violenta e dedicato al tema della sostenibilità. Una sezione è poi dedicata agli accessori “aviari” di Anna Piaggi e provenienti dalla sua collezione personale, tra cui una borsa gabbietta con canarini e cappelli di Schiaparelli e Philip Treacy. “Proprio come due Wunderkammer, le stanze delle meraviglie, che tra il Cinquecento e il Seicento ospitavano rarità naturali e artificiali, – aggiunge Sofia Gnoli, curatrice della mostra – le Uccelliere accoglieranno abiti visionari e accessori nati dalle idee di designer internazionali. Vorremmo far vivere ai visitatori un’esperienza di stupore, come se si immergessero in un piccolo cosmo strabiliante, in cui c’è una corrispondenza tra uomo e animale, per guardare più lontano, al rapporto stesso con la natura”. Abiti piumati e accessori uccello fanno parte di un lessico allegorico dai molteplici significati, simbolo di contrastanti allusioni – paura, bellezza, prigione e libertà – che ha incantato nei secoli artisti e scrittori, scultori e fashion designer. Inquietanti o benevoli, comunque metaforici, gli uccelli fanno parte del lessico delle apparenze sin dall’antichità. È il caso di Maat, dea della giustizia dell’Antico Egitto, spesso rappresentata con ali piumate, così come delle Arpie della mitologia greca, mostruose creature con viso da donna e corpo da uccello. Pappagalli, aquile, struzzi e pavoni hanno periodicamente incantato cavalieri e regine, principesse e muse del gusto. Pensiamo all’ultimo quarto del Settecento quando la regina Maria Antonietta, giocosamente soprannominata da suo fratello Joseph “Testa di piume”, furoreggiava con le sue altissime acconciature pullulanti di uccellini imbalsamati e piccole gabbie, create da Léonard, il suo parrucchiere personale. Più tardi, come emerge da certe descrizioni di Proust che, in un passo della Recherche, vede trasfigurare la duchessa di Guermantes in uccello del paradiso, le donne iniziarono a subire vere metamorfosi. Qualcosa di simile sembra accadere con gli abiti e gli accessori in mostra che, attraverso uno stupefacente percorso, fanno dialogare il mondo umano con quello animale. La mostra sarà accompagnata da un catalogo edito da Marsilio Arte dove, accanto al testo di Sofia Gnoli, saranno presenti saggi di Emanuele Coccia, Karen Van Godtsenhoven, Peter McNeil, Natsumi Nonaka e Simona Segre Reinach.

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Venezia, Teatro La Fenice: Nicola Luisotti in concerto

gbopera - Dom, 21/04/2024 - 21:28

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2023-2024
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Nicola Luisotti
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Fabio Massimo Capogrosso: “Confini”*; Gustav Mahler: Sinfonia: n. 1 in re maggiore “Titano”
*Nuova commissione Fondazione Teatro La Fenice
in occasione del 700° anniversario della morte di Marco Polo
Venezia, 19 aprile 2024
Una prima assoluta, Confini di Fabio Massimo Capogrosso – una composizione per orchestra e coro femminile, commissionata dalla Fondazione Teatro La Fenice, nel quadro delle celebrazioni per il 700° anniversario della morte di Marco Polo – e la Sinfonia n. 1 in re maggiore di Gustav Mahler costituivano il programma del recente concerto della Stagione Sinfonica 2023-2024, che vedeva sul podio dell’Orchestra del teatro veneziano Nicola Luisotti, contemporaneamente impegnato, sempre alla Fenice, nelle repliche del Mefistofele di Arrigo Boito.
Capogrosso è uno dei compositori più apprezzati della sua generazione. Giovane ma già affermato, si caratterizza per la scrittura densa e potente, ma nel contempo altamente comunicativa. Proprio l’esigenza di comunicare lo porta a scelte stilistiche variabili a seconda delle esigenze espressive, ricorrendo a linguaggi anche distanti tra loro. In questo eclettismo, passaggi più morbidi e tradizionalmente consonanti si alternano ad episodi dall’atmosfera più aspra e dalle tecniche compositive più avanzate. Cifra distintiva del compositore umbro è la sua capacità di strutturare coerentemente il discorso musicale, al di là della pluralità dei linguaggi, per produrre una musica che, pur nella sua complessità, sia nel contempo immediatamente fruibile, anche grazie a un’espressività – si potrebbe dire – teatrale o cinematografica.
Una suggestiva icasticità si coglieva in Confini – un brano ispirato, come si è detto, alla figura di Marco Polo –, nel quale, secondo le intenzioni del compositore, prevale il tema del viaggio inteso, al di là dell’esperienza reale vissuta dal celebre viaggiatore veneziano, come viaggio nel proprio mondo interiore, nel proprio inconscio, compiuto da Fabio Massimo Capogrosso, uomo ed artista, che all’inizio “guarda il pentagramma vuoto come un oceano da esplorare. Un viaggio che puoi pensare di programmare nei dettagli più accurati, ma che alla fine ti porta sempre a percorrere sentieri sconosciuti”.
Un metallofono ha aperto – misterioso – la composizione. È uno dei diversi strumenti a percussione – tra cui un marchingegno riproducente le sonorità marine –, che hanno contribuito, insieme al resto dell’orchestra e al coro femminile, a connotare il succedersi mutevole dei paesaggi sonori, in un alternarsi di climi ora sereni ora minacciosi. Una musica di indubbia presa sul pubblico, che è stato travolto da tutta la sua ridondante espressività. Almeno a considerare gli scroscianti applausi, che hanno salutato con entusiasmo la suggestiva quanto tecnicamente impeccabile esecuzione di questo pezzo, complice il gesto generoso e passionale del maestro Luisotti, validamente coadiuvato, per il Coro, dal maestro Caiani.
La stessa estroversa, emozionata gestualità ha guidato efficacemente l’Orchestra nella Prima Sinfonia di Mahler. Luisotti è un interprete che – pur nel pieno rispetto della partitura – imprime all’esecuzione la propria cifra distintiva, segno di una spiccata personalità artistica. Così anche la sua lettura della Sinfonia “Titano” – con il determinante contributo dell’orchestra – è risultata particolarmente ricca di sfumature delicate come di decisi contrasti, grazie all’utilizzo di un’amplissima gamma dinamica, agogica e timbrica: una lettura, che ha saputo adeguarsi all’eclettismo stilistico della scrittura mahleriana, tra riferimenti a generi musicali “minori” – dalle fanfare militari, che l’autore udiva da bambino, a danze di sapore popolaresco – ed evocazioni, emozionate ed emozionanti, dei suoni della natura.
Lento e misterioso è risuonato l’inizio del primo movimento, Langsam, schleppend, wie ein Naturlaut – Im Anfang sehr gemächlich (“Lento, strascicato, come un suono della natura” – “All’inizio molto tranquillo”). Sul lungo pedale degli archi – solenne evocazione di un sentimento panico – ben presto si stagliava la cellula tematica della sinfonia, l’intervallo di quarta discendente, presentato dai legni. Successivamente, a remoti squilli di tromba e ripetuti versi del cuculo – una quarta discendente degli strumenti a fiato –, ha risposto un tema esultante, che ricorre nel movimento – tratto dal secondo dei Lieder eines fahrenden Gesellen,“Ging heut’ morgen übers Feld” (“Me ne andavo stamane sui prati”) – prima ai violoncelli e poi ripreso a canone da fagotti, violini, trombe, corni, ecc. Dopodiché è tornata l’atmosfera sospesa dell’inizio.
Pieno di allegria si è aperto il rustico Scherzo, Kräftig bewegt, doch nicht zu schnell (“Vigorosamente mosso ma non troppo presto”), dalle ruvide sonorità: un Ländler, animato dal dialogare di varie sezioni orchestrali, mentre al centro si dipanava la graziosa melodia del Trio, in cui hanno brillato archi, legni ed ottoni.
Indicato originalmente come Marcia funebre, il terzo movimento, Feierlich und gemessen, ohne zu schleppen (“Solenne e misurato, senza strascicare”) – basato sul celebre canone “Bruder Martin” (“Fra’ Martino”: ma qui in modo minore) e scandito dalla lenta pulsazione dei timpani – ha visto primeggiare, in successione, contrabbasso, fagotto, violoncello, basso tuba e tutta l’orchestra, tra gli scanzonati interventi dell’oboe, prima che iniziasse una delle sezioni più anticonformiste di questa sinfonia, con piatti, grancassa, oboi, clarinetti e duo di trombe, che hanno ricreato un’orchestrina klezmer. Successivamente il ritorno del canone di apertura ha introdotto un intermezzo melodico intensamente espressivo, tratto dal quarto dei Lieder eines fahrenden Gesellen, “Die zwei blauen Augen” (“Due occhi azzurri”), cui è seguito, dopo varie elaborazioni dei temi precedenti, il sommesso finale, basato sull’onnipresente intervallo di quarta.
Un’esplosione dell’orchestra – un grido disperato accentuato da un dirompente colpo di piatti–ha segnato l’inizio del movimento conclusivo, Stürmisch bewegt (“Tempestosamente agitato”), che è poi sfociato in un motivo eroico degli ottoni, interrotto da violente esclamazioni dei legni, cui è seguito un disteso cantabile dai tempi piuttosto dilatati e dalle morbide sonorità. Nel prosieguo l’espressività si e fatta sempre più febbrile, fino al culmine di un potente climax orchestrale; dopodiché la tensione si è stemperata con ripetizioni di elementi dei movimenti precedenti, prima dell’apoteosi finale – un’irruzione trionfale, forse espressione dell’anelito mahleriano alla totalità –, dove si combinavano contrappuntisticamente vari temi tra fragorosi interventi degli ottoni: come un fulgido tramonto che nondimeno ha il sapore di un addio. Lunghi  entusiastici applausi alla fine.

 

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Roma, Teatro Vascello:” Poetica” dal 26 al 28 Aprile 2024

gbopera - Dom, 21/04/2024 - 11:25

Roma, Teatro Vascello
POETICA
poesie di Franco Arminio
con Caterina Carpio, Federica Dominoni, Tindaro Granata, Emiliano Masala, Francesca Porrini
testi e regia Tindaro Granata
elaborazione drammaturgica Proxima Res
scene e costumi Margherita Baldoni
disegno luci Stefano Cane
assistente alla regia Federica Dominoni
produzione Proxima Res
Poetica è una mappa “umanografica” dei paesi italiani, un viaggio alla scoperta di luoghi che conservano la memoria della gente che li ha abitati.
Se guardiamo attentamente i paesi delle nostre provincie, vedremo che sono pezzi di vita lasciate lì a invecchiare come l’intonaco di una casa; sono storie di persone, come finestre si aprono e si chiudono al mondo; sono sacrifici e sono gioie, si incrociano come vicoli e strade. Grazie alla potenza evocativa delle parole di Franco Arminio, poeta e paesologo, riusciamo a ritrovare l’anima di un paesaggio che sta lentamente scomparendo. Forse non sta parlando solo di un paese reale, ma di un luogo che è nell’anima di ognuno di noi. Attraverso le poesie di Arminio, tornano a vivere personaggi mitologici e personaggi popolari, figure il cui ricordo affiora ancora oggi nei discorsi di chi è rimasto. La scrittura di Tindaro Granata, vuole essere a servizio della poesia di Franco Arminio, sperimentando un modo originale di far dialogare poesia e drammaturgia teatrale, a volte includendo l’una all’altra, a volte rimanendo separate per unirsi solo attraverso lo spazio vuoto Tindaro ha scritto grazie al confronto continuo, con gli attori e le attrici in scena, della compagnia Proxima Res: Caterina Carpio, Emiliano Masala, Mariangela Granelli e Francesca Porrini. Grazie a loro è stato creato l’adattamento di Poetica e grazie ai loro ricordi sono nate le cinque brevi storie, che raccontano un momento cruciale nella vita di una persona, un abbandono. L’intuizione della scenografa e costumista di Proxima Res, Margherita Baldoni, crea un paese immaginario, onirico e originale, con cinque stendini sui quali si appendono i sogni e si fanno sgocciolare le fatiche di una vita di mille e più emozioni. Le storie e le poesie si muovono tra gli stendini, grazie agli attori e le attrici, come a muovere ogni persona in un quotidiano fare perso nel tempo. Poetica è un tentativo di dialogo con i propri paesi, fisici o interiori. C’è bisogno di poesia.

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2777° Natale di Roma: Tutti gli eventi

gbopera - Dom, 21/04/2024 - 11:14

2777° NATALE DI ROMA
Dal 19/04 al 22/04/2024
Musei in Comune
In occasione del Natale di Roma quattro giorni di eventi, visite guidate e laboratori nei musei civici e nei siti archeologici di Roma Capitale, a cura della Sovrintendenza Capitolina, per festeggiare insieme la città e il suo ricco patrimonio culturale. Previsti appuntamenti accompagnati da interpretariato in Lingua dei segni italiana. Nella giornata di sabato 20 aprile dalle ore 20.00 alle ore 22.00, nella Villa di Massenzio, sul IV miglio della via Appia Antica, si può partecipare all’inaugurazione della nuova illuminazione ideata dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali per valorizzare i resti monumentali presenti nei circa 20 ettari dell’area archeologica e consentire ai visitatori l’accesso dopo il tramonto per eventi speciali. Il nuovo impianto di illuminazione ha interessato l’area del mausoleo dinastico, il sentiero di accesso alla Villa, le torri e i carceres, consentendo ai cittadini di godere del suggestivo spettacolo delle imponenti strutture imperiali anche di notte. Dal 21 aprile, ore 11.00-19.00, nel rinnovato spazio polifunzionale della Sala Santa Rita, in via Montanara, accanto al Teatro di Marcello, è possibile visitare la mostra gratuita La Dea Roma di Pietro Tenerani. Un omaggio alla Città Eterna, con l’esposizione dell’erma della Dea Roma, opera della collezione del Museo di Roma, realizzata dal grande scultore ottocentesco Pietro Tenerani come segno di dedizione per la sua città di adozione, esposta per la prima volta il 21 aprile 1851. Le celebrazioni per il compleanno di Roma sono anche l’occasione per scoprire la storia e i segreti della città attraverso l’osservazione e il racconto di opere, monumenti, testimonianze artistiche e culturali. Di seguito il programma di visite e laboratori a cura della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Qui tutto il programma dettagliato.

 

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Roma, Villa di Massenzio:” La nuova illuminazione del maestoso complesso archeologico della Villa di Massenzio”

gbopera - Dom, 21/04/2024 - 10:59

Roma, Villa di Massenzio
ILLUMINAZIONE ARTISTICA DELLA VILLA DI MASSENZIO
In occasione del 2777° anniversario della fondazione di Roma, è stata inaugurata una nuova installazione di illuminazione artistica presso la Villa di Massenzio lungo l’Appia Antica, uno dei siti archeologici più significativi della capitale.
L’evento ha visto la partecipazione del sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, dell’assessore alla Cultura Miguel Gotor e del Sovrintendente capitolino Claudio Parisi Presicce. L’intervento, realizzato dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali con il sostegno della Lotus Production Srl S.U/Libra attraverso un atto di mecenatismo, ha migliorato non solo l’illuminazione esistente ma ha anche esteso la nuova luce a punti nevralgici del sito come il sentiero di accesso, le torri dei carceres del Circo e il fronte esterno del quadriportico che circonda il mausoleo. Queste migliorie permettono ora visite serali gratuite, ampliando l’accessibilità e l’esperienza del pubblico. La Villa di Massenzio fa parte degli otto musei a ingresso libero della rete Musei in Comune di Roma Capitale, gestiti da Zètema Progetto Cultura. Nel solo 2023, il sito ha accolto oltre 61.000 visitatori, e per l’estate 2024 sono previste aperture serali straordinarie ogni sabato. Queste aperture notturne si estenderanno anche alle domeniche gratuite, la prima del mese, per alleggerire la congestione dei luoghi più frequentati, arricchendo l’offerta culturale con concerti, reading e conferenze. Tali iniziative sono parte di una serie di interventi promossi dalla Sovrintendenza negli ultimi anni per migliorare i servizi, l’accessibilità e la comprensione del sito. Tra i recenti interventi si annovera il restauro conservativo dell’Arco dei Cenci nel 2019, che ha incluso la riqualificazione di spazi interni ed esterni, e l’introduzione di pannelli tattili per non vedenti e ipovedenti nel 2022. Per il 2024 è previsto un significativo progetto di restauro finanziato dal programma PNRR “Caput Mundi – Next Generation EU”, che prevede l’ampliamento delle aree visitabili, inclusa l’area del Pulvinar, accessibile anche a persone con disabilità. L’inclusione nel programma Caput Mundi mira anche a una valorizzazione più ampia della Villa di Massenzio attraverso l’uso di tecnologie digitali all’avanguardia, che offriranno ai visitatori nuove modalità per esplorare e approfondire la conoscenza del sito. Questi progetti rafforzano il legame tra la città eterna e il suo ricco patrimonio archeologico, consolidando la Villa di Massenzio come un fulcro culturale vitale nella vita moderna di Roma. La Villa di Massenzio, un insigne reliquiario dell’antichità, si erge solenne all’avvio del terzo miglio della Via Appia Antica a Roma. Questo vasto complesso architettonico fu commissionato dall’Imperatore Massenzio, riflettendo una sublime congiunzione di architettura e potere imperiale. Il complesso si articola in tre edifici principali: il palazzo, il circo e il mausoleo dinastico. Questi non sono semplici strutture isolate, ma parti di un unico grande disegno architettonico, inteso a celebrare la grandezza e la perpetuità della dinastia di Massenzio. Originariamente, il sito ospitava una villa rustica repubblicana del II secolo a.C., posizionata scenograficamente sul declivio di una collina che guarda verso i Colli Albani, testimoniando una continuità di prestigio e utilità attraverso i secoli. Durante l’era giulio-claudia, il sito fu arricchito con l’aggiunta di due ninfei che si affacciavano sull’antica strada. Successivamente, nel II secolo, la villa subì una trasformazione radicale per mano di Erode Attico, che la inglobò nel suo vasto possedimento denominato Pago Triopio. Il passaggio della proprietà nelle mani imperiali segnò l’inizio di una nuova era per il sito, culminante con la costruzione, all’alba del IV secolo, della villa imperiale, del circo per le corse dei carri e del mausoleo dinastico, quest’ultimo concepito come ultima dimora per Valerio Romolo, figlio prematuramente scomparso di Massenzio. La sconfitta e la morte di Massenzio per mano di Costantino, nella decisiva battaglia del Ponte Milvio (312 d.C.), precipitarono il sito in un precoce oblio, con il circo che forse non fu mai effettivamente utilizzato come luogo di gare. Nei secoli successivi, il fondo entrò a far parte del Patrimonium Appiae, menzionato nei documenti ecclesiastici sin dal tempo di Papa Gregorio I alla fine del VI secolo. Il sito attraversò varie fasi di possesso, dai Conti di Tuscolo ai Cenci e infine ai Mattei, sotto i quali si avviarono i primi scavi nel XVI secolo. Successive campagne di scavo e restauri hanno lentamente riportato alla luce il complesso, con interventi significativi nel corso del XIX e del XX secolo, soprattutto sotto la guida della famiglia Torlonia e del duca Giovanni Torlonia che, suggerito da Antonio Nibby, intraprese una rigorosa campagna di scavi che riportò alla luce il circo nella sua interezza. Oggi, la Villa di Massenzio è parte integrante del sistema dei Musei in Comune di Roma e dal 2012 è inclusa nel progetto “Aperti per voi” del Touring Club Italiano, testimoniando un interesse crescente per questo sito di straordinaria importanza storica e culturale, offrendo un accesso sempre più ampio al pubblico. Questa continua valorizzazione sottolinea l’incessante fascino che il patrimonio antico esercita sulla contemporaneità, fungendo da ponte tra il passato glorioso di Roma e il suo dinamico presente.

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Amy Beach (1867-1944): “Dreaming”

gbopera - Dom, 21/04/2024 - 10:38

Amy Beach (1867-1944):Dreaming  Op. 15 NO. 3; Romance Op. 23; Sonata Op. 34; Invocation Op. 55; Lento espressivo Op. 125. Matteo Amadasi (viola). Katia Spluga (pianoforte). Registrazione 21-22 giugno 2022 presso la Recording Hall Griffa e Figli (Milano). T. Time: 53′ 09″. 1 CD Stradivarius STR 37259
Talento purissimo, Amy Beach è considerata un esempio di femminismo in un mondo come quello della musica, nel quale si pensava che la donna potesse essere una brava virtuosa, ma non una compositrice. Eppure la sua storia personale sembrerebbe contraddire questa immagine di emancipazione femminile, in quanto Amy Beach, nata nel 1867 Amy Marcy Cheney in un villaggio del New Hampshire, decise di firmarsi con il nome e cognome del marito in seguito al matrimonio, avvenuto 1885, con Henry Harris Aubrey Beach, un chirurgo più anziano di lei di ben 24 anni. Questi, convinto che la sua giovane sposa avrebbe dovuto essere dedita alla famiglia, le chiese di non esibirsi più come pianista e di dedicarsi, per quanto riguardava la musica, esclusivamente alla composizione. Amy Beach, che, fin da quando aveva 4 anni aveva manifestato la sua predisposizione per la composizione scrivendo alcuni valzer per pianoforte, iniziò a studiarla da autodidatta traducendo i trattati di Berlioz e di Gevaert e proprio in questo ambito divenne un simbolo di emancipazione femminile. Nonostante nella storia della musica si possano annoverare, infatti, sin dal Rinascimento molte donne che si erano distinte nella composizione, resisteva, alla fine dell’Ottocento, negli ambienti musicali una certa diffidenza verso le loro capacità creative. Oggi appare sorprendente e fuori luogo quanto affermato, in un’intervista rilasciata nel 1892 a un giornalista di Boston, da Antonin Dvořák secondo il quale “Le donne… non hanno il potere creativo”. A contraddire questa tesi, purtroppo rivelatrice di un’assurda mentalità maschilista, proprio in quell’anno, Amy Beach coglieva uno dei suoi successi più clamorosi, come compositrice, con la sua Messa in mi bemolle maggiore che fu la prima composizione scritta da una donna ad essere eseguita dalla Handel e Haydn Society Orchestra. In realtà le doti creative non mancarono mai a Amy Beach che compose circa 300 lavori principalmente per pianoforte, ma anche per complessi da camera, come la Sonata per violino e pianoforte, che, in programma in questo CD in un arrangiamento realizzato da Matteo Amadasi, fu da lei composta nel 1896 ed eseguita in duo con il violinista Franz Kneisel in uno dei rari concerti che diede dopo il suo matrimonio. Nel 1900 si sarebbe esibita, inoltre, come solista nel suo Concerto per pianoforte orchestra nel 1900 con la Boston Symphony Orchestra, ma fu dopo la morte del marito nel mese di giugno del 1910 e della madre qualche mese dopo che Amy Beach, per superare la crisi indotta dalla solitudine nella quale di colpo si era trovata a vivere, ritornò alla sua attività concertistica facendo conoscere la sua produzione in Europa dove si esibì fino al 1914, quando decise di ritornare in America in seguito alla scoppio della Prima Guerra Mondiale. Negli Stati Uniti, oltre a diventare un punto di riferimento per i giovani musicisti, ottenne numerosi riconoscimenti, come la commissione di una composizione, Panama Hymn, in occasione dell’apertura, nel 1915, del canale di Panama e la Laurea Honoris Causa conferitale nel 1928 dall’Università de New Hampshire. Nel 1940, però, fu costretta ad abbandonare la sua attività musicale a causa di problemi cardiaci che la condussero alla morte quattro anni dopo a New York. In questo CD è proposto, in arrangiamenti per viola e pianoforte curati da Matteo Amadasi, alcune sue significative composizioni e in particolar modo Dreaming  Op. 15 NO. 3, Romance Op. 23,Sonata Op. 34, Invocation Op. 55 e Lento espressivo Op. 125 che rivelano le influenze di Skrjabin, Wagner e Debussy in una scrittura raffinata che, a volta, però, appare un po’ magniloquente. Eccellente l’esecuzione da parte del duo formato da Matteo Amadasi (viola) e da Katia Spluga (pianoforte) che si integrano perfettamente senza che l’uno prevalga l’altro, ma lasciando ben definiti i ruoli. Tra i brani più belli per il lirismo, esaltato dalla calda ed espressiva di Amadasi, va senza dubbio segnalato Invocation, nel quale il pianoforte ora accompagna mantenendosi sullo sfondo ora dà vita a brevi sezioni sempre di carattere espressivo eseguite con un bel tocco da Katia Spluga. Si tratta di un bel CD che permette di divulgare una produzione di una compositrice di un certo interesse, purtroppo dimenticata.

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Le cantate di Johann Sebastian Bach: Terza domenica dopo Pasqua (“Jubilate”)

gbopera - Dom, 21/04/2024 - 00:11

“Jubilate” è il nome che  viene dato alla terza domenica dopo la Pasqua, dalla prima parola dell’Introito. Una celebrazione  che, dal punto di vista dottrinale è tra le più esaltanti ed intensa, all’insegna della contrapposizione di due concetti: lo sconforto, l’angoscia nell’attesa della venuta dello Spirito e dall’altra il giubilo e la fiducia nella discesa dello Spirito, che scendendo tra i peccatori rendendo fattiva la presenza di Cristo in terra. Secondo la concezione Giovannea, Cristo è il Paraclito, ossia colui che esercita la funzione di “avvocato” di intercessore  per i peccatori presso il Padre e, allo stesso tempo è Spirito di verità, vincitore del mondo e dei suoi mali. La lettura evangelica di questa domenica è composta dai versetti 16-23 dal cap.16 di Giovanni: “Ancora un poco e non mi vedrete; un po’ ancora e mi vedrete». Dissero allora alcuni dei suoi discepoli tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: Ancora un poco e non mi vedrete, e un po’ ancora e mi vedrete, e questo: Perché vado al Padre?». Dicevano perciò: «Che cos’è mai questo “un poco” di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire». Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «Andate indagando tra voi perché ho detto: Ancora un poco e non mi vedrete e un po’ ancora e mi vedrete? In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia. La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia. In quel giorno non mi domanderete più nulla.” Per questa domenica, sono giunte a noi 3 cantate bachiana. La prima, in ordine di tempo è nr. 12, che già abbiamo trattato lo scorso anno liturgico. La seconda Cantata è “Ihr werdet weinen und heulen” BWV 103 eseguita la prima volta a Lipsia il 22 aprile 1725, dove verrà ripresa il 15 aprile 1731. La partitura si apre con un coro tratto dal passo di Giovanni: “Piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà”. L’intonazione del testo è affidata al Coro, impegnato in una complessa struttura polifonica, in stile di fuga, proposto due volte, con un ampio brano introduttivo con un flauto a becco soprano, poi sostituito nella versione del 1731 da un violino o da un flauto traverso. Al fugato della prima parte si passa repentinamente a un adagio in stile recitativo accompagnato, in un contrastato stile binario, affidato al basso:”Voi sarete afflitti. Ma la vostra afflizione si cambierà in gioia.” Comportamento fra loro similari hanno i 2 recitativi e le 2 arie. I primi si concludono in stile “arioso”, su due parole chiave “Schmerzen” (Dolore) nel recitativo nr.2 (affidato al tenore) e “Freude” (Gioia), nel nr,4 (affidato al contralto), cioè sulla contrapposizione di  di “dolore” e “gioia”. Anche nelle arie, di carattere virtuosistico,  è presente questo aspetto: la prima, nr.3 (cantata dal contralto) “Schmerzen” è sostituito dal verbo “Sterben” (Morire). Entrambe le arie sono bipartite e ricorrono a strumenti concertanti, ancora il flauto nella nr.3, che ha una parte ricca di volute, e la tromba nel nr.5, dalle movenze danzanti.
Nr.1 Coro e Arioso (Basso)
Coro
Piangerete e vi rattristerete,
ma il mondo si rallegrerà.
Basso
Voi sarete afflitti.
ma la vostra afflizione si cambierà in gioia.
Nr.2 – Recitativo (Tenore)
Chi non dovrà abbassarsi
quando l’Amato è innalzato?
La salvezza dell’anima, il soccorso dei malati
non guardano il nostro dolore.
Nr.3 – Aria (Contralto)
Non esiste medicina all’infuori di te,
anche se dovessi cercare in tutta Gàlaad;
chi cura le ferite dei miei peccati,
se qui non c’è alcun balsamo?
Se tu ti nascondi, io devo morire.
Abbi pietà di me, ah, ascoltami!
Tu non vuoi la mia rovina
allora, spera mio cuore ancora.
Nr.4 – Recitativo (Contralto)
Dopo la mia angoscia, tu di nuovo
mi porterai conforto;
voglio essere preparato quando tu arrivi
credo in ciò che tu prometti,
che il mio dolore
sarà tramutato in gioia.
Nr.5 – Aria (Tenore)
Rialzatevi, spiriti attristati
non fatevi del male da soli.
Abbandonate i sentimenti tristi,
prima che scoppi il pianto
il mio Gesù si mostrerà di nuovo,
o gioia, come nessun altra uguale!
Tutto il bene che mi è così arrivato
prendi, prendi mio cuore come un’offerta!
Nr.6  – Corale
Ti ho lasciato per un momento,
mio caro bambino;
ma guarda, guarda la mia felicità
e speranza oltre ogni misura,
vedo su di te la corona della gioia
collocata e onorata;
la tua piccola tristezza verrà trasformata
in gioia per sempre.
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Ihr werdet weinen und heulen” BWV 103

 

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Roma, Teatro Vascello: “Kabbarett Weimar” 22-23-24 aprile 2024

gbopera - Sab, 20/04/2024 - 21:55

Roma, Teatro Vascello
KABBARETT WEIMAR
di Antonella Ottai
con Chiara Bonome e Bruno Maccalini
Musice dal vivo Pino Cangialosi
Al Vascello la trilogia teatrale ispirata alla storica Repubblica che fu punto di riferimento per il pensiero artistico e politico prima dell’avvento del nazismo. Oltre cento anni fa nasceva la Repubblica di Weimar, punto di riferimento per la storia contemporanea: arti, pensiero, politica. Difficile raccontarla, però, sottraendosi al clamore della fine, imposta dal nazismo quattordici anni dopo la sua concitata esistenza. Dal 22 al 24 aprile, va in scena la trilogia di spettacoli Kabarett Weimar che ne evoca il mood tutto speciale, addentrandosi nelle arie dei caffè, nel vivo dei kabarett, per ascoltarne gli umori: da canzoni, provocazioni dada, witz, testi celebri e reportage d’autore erompono le emergenze della modernità. A partire dalle rivendicazioni della Donna. Il progetto è firmato da Bruno Maccallini e Antonella Ottai e e vede la regia di quest’ultimo per i tre spettacoli; le musiche originali sono di Pino Cangialosi.

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Roma, Villa Medici: “Concerto dell’Accademia Opera for Peace”

gbopera - Sab, 20/04/2024 - 16:59

Roma, Villa Medici
CONCERTO ACCADEMIA OPERA FOR PEACE
Roma, 19 Aprile 2024
L’Accademia Opera for Peace ha saputo coniugare arte e dialogo internazionale in una serata che ha visto protagonisti dodici giovani cantanti lirici provenienti dai quattro angoli del mondo.
Il concerto, che ha avuto luogo sotto l’egida della Banca Europea per gli Investimenti, con il sostegno della Fondazione BNP Paribas e la Città di Parigi, ha offerto un palcoscenico di rara intensità per la promozione della pace attraverso il linguaggio universale della musica. Il direttore artistico Kamal Khan ha orchestrato la serata con una passione indiscutibile, assistito al pianoforte dall’attento giapponese Naoki Hayashi. L’evento è stato anche l’epilogo di un percorso di crescita e apprendimento per gli artisti, che hanno avuto l’opportunità di affinare la loro arte partecipando a lezioni di canto, conferenze e masterclass, il tutto sotto la guida di illustri figure del mondo operistico internazionale. Provenienti da nazioni così diverse come Cina, Corea del Sud, Giappone, Ucraina, Russia, Sudafrica, Stati Uniti, Kosovo e Francia, i giovani artisti hanno dimostrato non solo il loro talento ma anche un’energia e un’affinità che hanno trasformato un saggio di fine corso in un momento di vero e proprio incontro culturale. La regia dell’evento ha messo in luce il dinamismo e la freschezza di questi giovani cantanti, che pur avendo ancora molto da esplorare, hanno mostrato una passione e un impegno che promettono di farli crescere nel mondo dell’opera. Il repertorio della serata ha spaziato dalle immortali arie di Puccini, Verdi e Rossini fino a pezzi meno conosciuti ma non meno affascinanti, offrendo così al pubblico una panoramica completa e variata del vasto universo operistico. In tal modo, l’Accademia Opera for Peace non ha solo celebrato la diversità culturale e la bellezza dell’opera, ma ha anche rafforzato il proprio impegno nel promuovere l’arte come strumento di unità e sostegno . Nel prestigioso Gran Salone di Villa Medici, un pubblico eclettico e numeroso ha gremito l’ambiente, portando con sé un’energia contagiosa. La varietà degli spettatori, un mosaico di appassionati d’arte di diverse età e background, ha sottolineato l’universalità e il richiamo trasversale dell’evento ospitato. Con il procedere della serata, l’entusiasmo e la partecipazione del pubblico sono cresciuti visibilmente, culminando in un finale che ha visto un’effusiva richiesta di bis. Nonostante la chiara dimostrazione di affetto e il desiderio del pubblico di prolungare l’esperienza, la richiesta di un ulteriore performance è stata, purtroppo, disattesa, lasciando nell’aria un misto di delusione e di riconoscenza per quanto già condiviso. Photocredit:VillaMedici/AccademiaOperaFor Peace

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Roma, Teatro Parioli Costanzo: “Anna dei miracoli” dal 24 al 28 Aprile 2024

gbopera - Ven, 19/04/2024 - 20:00

Roma, Teatro Parioli Costanzo
ANNA DEI MIRACOLI 
di William Gibson 
con Mascia Musy, Fabrizio Coniglio, Anna Mallamaci, Laura Nard
adattamento e regia Emanuela Giordano 
Scene e Luci Angelo Linzalata 
Costumi Emanuela Giordano 
Musiche Carmine Iuvone e Tommaso Di Giulio 
Produzione La Pirandelliana
“Cosa succede quando in una famiglia arriva il figlio “difettato”, quello che pensavi nascesse solo in casa d’altri? Cosa succede ad un padre ed una madre che si confrontano quotidianamente con l’esistenza di una creatura con cui non possono comunicare? La pietà e la rabbia, la speranza e il senso di sconfitta, ogni sentimento è concesso, ogni reazione è imprevedibile, anche se si tenta in tutti i modi di simulare una normalità che non esiste. E lei, Helen, la figlia, cosa percepisce di quello che ha intorno? In un mondo dove solo il bello è vincente, solo il sano è tollerato, padre e madre non hanno scampo: Helen va allontanata, messa in un istituto, nascosta, dimenticata. Ma in casa arriva Anna, con una vita trascorsa in mezzo ad altre creature “difettate”. Mi sono concentrata su un adattamento essenziale, via i soprammobili, le zie e i cagnolini. Ho immaginato una famiglia difficile come ce ne sono tante e una casa da cui madre e figlia non escono mai, quasi recluse, per vergogna, per mancanza di autonomia. Ho collocato i personaggi in un silenzio domestico che non prevede ancora la TV e Internet. Ho “visto” quel padre imprigionato nel ruolo di capo famiglia, ma capace, a sorpresa, di mettersi in gioco e quella madre che lotta ad oltranza per sua figlia, anche se in modo contraddittorio e confuso. Ho intuito che le tre donne hanno qualcosa in comune, per questo le ho volute, per qualche tratto, simili. La scena è evocazione di spazi che si aprono e si chiudono, isole di luce, sospese in un racconto musicale che ci suggerisce quello che le parole non ci possono dire. Una bellissima esperienza umana”. Emanuela Giordano

 

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“L’eterno presente di un’attrice” – Intervista a Elena Russo Arman

gbopera - Ven, 19/04/2024 - 11:49

Chi è Elena Russo Arman e com’è arrivata al Teatro dell’Elfo?
Penso che ognuno di noi sia in continua evoluzione. Non ho mai amato guardarmi indietro, soprattutto non mi identifico con la mia storia. Potrei dirle che ho iniziato per caso a fare l’attrice, la mia vocazione era legata all’arte, alla scenografia, ma poi Luca Ronconi ha aperto la sua scuola di recitazione al Teatro Stabile di Torino, la mia città, e per gioco ho fatto il provino. Sono stata fortunata a incontrare maestri straordinari che mi hanno subito mostrato un’altezza, un livello molto elevati. Giovanissima ho iniziato a lavorare e mi sono imbattuta in uno spettacolo degli Elfi. Li ho amati subito. Ho sentito che il loro lavoro risuonava in me e ho sentito il desiderio di far parte di quel progetto. Ci siamo riconosciuti e da allora non ci siamo più lasciati. Dopo tanti anni il mio ruolo all’interno della compagnia ovviamente si è evoluto, ma è come una grande famiglia e sono ancora felice di farne parte.
 C’è un’attrice che la ha ispirata, che ammira più delle altre?
Credo che, come d’altronde accade per tutte le altre arti, sia un po’ riduttivo limitarsi al proprio campo. Non penso che sia necessariamente un’attrice a ispirarmi, solo perché io sono un’attrice. Io sono ispirata da tutto (artisti/e, registi/e, musicisti/e, filosofi/e, scrittori/e). L’ispirazione di cui penso di aver bisogno non sta tanto nel cosa fa qualcuno, ma nella visione più ampia con cui qualcuno opera o ha operato. Si impara anche dalle persone più giovani, ad esempio, non solo da chi ci ha preceduto, perché è importante confrontarsi con un nuovo modo di vedere il mondo. L’anno scorso, a Parigi, ho visto una mostra su Sarah Bernhardt: ecco, lei mi ha ispirata enormemente, per l’ampiezza della sua esistenza, per la quantità di ambiti e interessi in cui si è mossa e che, sicuramente, avranno nutrito la sua arte.
Quale produzione/quale ruolo le ha dato maggiore soddisfazione, sia sul piano professionale che su quello umano?
Come ho già detto non amo guardarmi indietro, sono sempre nel presente e, a volte, sono costretta a essere anche nel futuro! E il presente attuale è estremamente felice per me perché quest’anno sono stata coinvolta in due dei progetti tra i più esaltanti della mia carriera. Ho iniziato la stagione con I corpi di Elizabeth di Hella Hickson, diretto da Elio De Capitani e Cristina Crippa, uno spettacolo nel quale interpreto Elisabetta I in una veste transfemminista e moderna [qui la nostra recensione, ndr]. Questo personaggio mi ha dato la possibilità di esplorare e lavorare sulla mia maturità, sia quella attoriale che quella esistenziale, e sono felice che il lavoro andrà ancora avanti. In questi giorni, invece, sono Winnie in Giorni felici di Samuel Beckett con la regia di Francesco Frongia [qui la relativa recensione, ndr]. Dico “sono” perché è un ruolo che ti si incolla addosso tanto è profondo, insinuante e ci parla di qualcosa di molto intimo. Ogni sera recito col corpo costretto all’immobilità e ogni sera, mentre dico quel che dico, ho delle continue epifanie. È uno di quei rari preziosi casi in cui senti che hai un dialogo continuo con chi ha scritto quel che stai dicendo. È un personaggio/non personaggio, da cui mi sento attraversata. Ringrazio molto Francesco che mi ha proposto di farlo insieme.
Da alcuni anni accosta al lavoro di attrice anche quello di regista. Come affronta questi diversi ruoli, e ad oggi quale dei due sente esserle più vicino?
Sono ruoli intercambiabili e molto più vicini di quanto non si immagini. Avere dei miei progetti mi ha dato modo di essere molto libera in alcune scelte stilistiche, artistiche, mi ha dato modo di esplorare nuovi linguaggi e nuovi modi di agire la scena, come nel caso di La mia vita era un fucile carico, il mio spettacolo su Emily Dickinson. In alcuni sono stata anche autrice, ma nella maggior parte dei casi è stata un’occasione preziosa per lavorare con nuove drammaturghe, in particolare Valentina Diana, con cui ho fatto La palestra della felicità, e Magdalena Barile che ha scritto per me Gentleman Anne. Nei miei lavori, inoltre, do sfogo anche al mio primo amore, la scenografia, che per me è sempre totalmente connessa con il progetto. Quando dirigo sono meno interessata al mio ruolo di attrice all’interno dello spettacolo.
L’Elfo è un teatro dalla vocazione dichiaratamente inclusiva e queer. In quanto donna, tuttavia, sente che nella sua carriera ha subito trattamenti diversi o ingiusti rispetto ai suoi colleghi uomini? E più in generale, pensa che la condizione femminile nel teatro italiano sia soggetta a discriminazione o si tratta più di un safe space?
Sono stata fortunata a lavorare con una compagnia che è sempre stata sensibile a tematiche queer e inclusive, e non posso dire di essermi sentita discriminata in quanto donna. Ma devo dire che sono molto grata ad Amleta [associazione di promozione sociale il cui scopo è contrastare la disparità e la violenza di genere nel mondo dello spettacolo, ndr] che, in questi ultimi anni, sta mettendo in luce il fatto che pochissime donne, nel teatro italiano, ricoprano ruoli importanti, di potere, se vogliamo usare questo termine antipatico.
Ultima domanda: potesse realizzare un sogno nel cassetto professionale, quale sarebbe? E personale?
Non ho sogni nel cassetto, non irrealizzabili almeno. Ho dei desideri che spero di riuscire a realizzare. Ma ce n’è uno che probabilmente resterà un sogno, il che non è male però perché è bello vivere di astrazioni qualche volta. Vorrei tanto poter fare uno spettacolo usando solo degli automi progettati da me! Un sogno personale, invece, è più difficile da immaginare. Io sono molto grata alla vita che ho, sento che mi assomiglia, che mi corrisponde e temo che non tutti possano dire lo stesso.
Foto Laila Pozzo

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