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Musica corale

Roma: “Nuovi appuntamenti didattici con il tenore Massimo Iannone”

gbopera - Dom, 09/06/2024 - 15:37

NUOVI APPUNTAMENTI DIDATTICI CON IL TENORE MASSIMO IANNONE
Di ritorno da un lungo ciclo  di masterclasses tenutosi in Cina nella scorsa primavera che hanno riscosso vivo successo tanto da fargli conferire il prestigioso titolo di Professore Onorario dall’Università di Hanan, il tenore Massimo Iannone si appresta a proseguire la sua attività didattica. Massimo Iannone, avviato agli studi musicali fin da ragazzo ha intrapreso lo studio del pianoforte e poi del canto presso il conservatorio San Pietro a Maiella di Napoli, apprendendo per tre anni le basi della tecnica vocale e dell’interpretazione del repertorio con Ettore Campogalliani e perfezionandosi successivamente con Alfredo Kraus. Dopo una iniziale carriera da solista è stato per trenta anni tenore presso il coro dell’Accademia di Santa Cecilia, esperienza di vita che gli ha permesso di collaborare e avvicinare molti dei più grandi musicisti di questi ultimi decenni ampliando notevolmente l’orizzonte  della propria formazione. Giornalista regolarmente iscritto all’albo, da sempre ha affiancato all’attività di esecutore, un impegno costante nella diffusione della cultura musicale operistica italiana riconosciuta recentemente Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO, nella didattica, testimoniate dalle numerosissime masterclasses tenute con successo  in tutto il mondo e  dall’essere stato fra l’altro membro della Consulta della Cultura del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, vocal coach per il festival pucciniano di Torre del Lago e dall’aver rappresentato nel 2017 il belcanto italiano presso l’Istituto di Cultura dell’Ambasciata Italiana a Londra con una masterclass incentrata sulla Giovane Scuola. I prossimi impegni infatti vedranno Massimo Iannone impegnato  a  Monaco di Baviera il 21 e 22 giugno 2014 organizzato da Opera Co-Pro presso la prestigiosa sede della  Steinway & Sons di Monaco, a Barcellona il 27 e 28 giugno 2014 presso lo studio del maestro Josep Buforn con una serie i lezioni incentrate sul tema  “Verdi e la sua eredità in Giacomo Puccini” ed infine a Spoleto dal 24 al 28 luglio presso la Menotti Arts Academy al termine dei quali sono sempre previsti concerti finali.
https://youtube.com/@massimoiannonevocalcoach?si=jqWPqRCoIxt1B5x_
https://www.facebook.com/max.iannone1

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Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano: “COLLÒCULI / INTRO-SPECTIO” dal 12 giugno al 08 settembre 2024

gbopera - Dom, 09/06/2024 - 08:00

Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano
COLLÒCULI / INTRO-SPECTIO
opere di Annalaura di Luggo
curata da Gabriele Perretta
dal 12 giugno al 08 settembre 2024
Dal 12 giugno all’8 settembre 2024 il Museo Nazionale Romano – Terme di Diocleziano ospita la mostra COLLÒCULI / INTRO-SPECTIO con opere dell’artista Annalaura di Luggo. Collòculi è una gigantesca interpretazione scultorea dell’occhio umano, realizzata in alluminio riciclato al cui interno è posta un’iride interattiva. L’installazione assume espressione di vitalità grazie alla tecnologia: la “pupilla” di Collòculi, infatti, trasmette contenuti multimediali interattivi “real time”, attraverso un sistema di telecamere “gesture recognition” che permette al fruitore di diventare parte integrante dell’azione. In mostra anche una selezione di opere dal ciclo Intro-Spectio realizzate attraverso un duplice processo di stampa e foratura su Dibond e Plexiglas. Questi lavori di Annalaura di Luggo si propongono in una suggestiva tridimensionalità, con fori sulla superficie fotografica che appaiono come un “grembo di luce”: qui si annidano iridi di uomini e animali, fotografati dalla stessa artista con uno speciale obiettivo. Con il supporto del Ministero della Cultura, la mostra è curata da Gabriele Perretta mentre il catalogo di Silvana Editoriale contiene testi di Demetrio Paparoni. L’evento, che vede il coordinamento di Marcello Palminteri, è organizzato con il supporto dello Jus Museum di Napoli, della Fondazione Banco Napoli, di Luca de Magistris Private Fideuram e della Lead Broker & Consulting.

 

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Roma, Palazzo Merulana: “Saverio Ungheri. Visioni Metapsichiche” dal 12 giugno al 25 agosto 2024

gbopera - Dom, 09/06/2024 - 08:00

Roma, Palazzo Merulana
SAVERIO UNGHERI. VISIONI METAPSICHICHE
a cura di Andrea Romoli Barberini
Da mercoledì 12 giugno a domenica 25 agosto 2024
Palazzo Merulana, sede della Fondazione Elena e Claudio Cerasi, gestito e valorizzato da Coopculture, è lieto di presentare  “Saverio Ungheri. Visioni Metapsichiche”, a cura di Andrea Romoli Barberini. Il progetto, promosso e organizzato dal prof. Andrea Romoli Barberini, docente di Storia dell’arte presso l’Accademia di belle arti di Napoli, dalla Dott.ssa Andreina Ciufo Guidotti, storica dell’arte e autrice della nuova monografia sull’artista, e dal Dott. Andrea Ungheri, figlio dell’artista, ideatore della mostra e Presidente dell’Associazione Culturale “Amici del Polmone Pulsante”, si incentra sulla figura di Saverio Ungheri, artista calabrese, attivo sulla scena capitolina del secondo Novecento, dal 1950 fino alla scomparsa, nel 2013 a Roma. Saverio Ungheri si forma e inserisce in un tessuto culturale connotato, nell’arte, dalle ricerche d’avanguardia che avevano trovato nuovo slancio e vigore dalla fine del Secondo conflitto mondiale. Il fascino dell’arte astratta, quasi una rivelazione per gli artisti più giovani, che potevano così tentare un allineamento con le più avanzate esperienze d’oltreconfine, si stava progressivamente imponendo, suscitando anche la conversione di molti pittori figurativi e la nascita di gruppi come Forma e Origine. Pur rimanendo ai margini di tali esperienze, osservandole da un angolo privilegiato, Ungheri se ne lascia talvolta contaminare, ma attraverso un filtro fortemente selettivo, per farsi portatore di una cifra pittorica e scultorea di grande originalità nell’ambito di quello stesso panorama. La sua produzione principalmente pittorica si affianca alla ricerca nel campo scultoreo, che diverrà cifra connotativa del suo contributo al movimento Astralista e a quello dell’Arte Bionika. Il progetto prevede un allestimento concepito secondo una scansione cronologica e tematica, che metta in risalto i diversi periodi e gli apporti più significativi e originali della ricerca artistica del Maestro. Le sezioni della mostra sono così contraddistinte: Formazione e opere giovanili, Pitture di impronta sironiana, Astralismo, Eden/Finestre, Arte Bionika, Artigianal Art (Art-Art). Saverio Ungheri (Rizziconi/RC, 1926 – Roma, 2013) si diploma prima al Liceo Classico di Cittanova (RC), poi al liceo artistico di Roma, dove si trasferisce negli anni ’50 e dove concentrerà tutta la sua produzione artistica, frequentando per due anni il corso di scenografia all’Accademia di Belle Arti, entrando in contatto con Sante Monachesi e lavorando come disegnatore tecnico e insegnante d’arte in diverse scuole. Si sposa nel 1951 con Teresa Nasso, sua musa ispiratrice e giudice inflessibile delle sue opere. Collabora con l’Accademia di Belle Arti di Roma e comincia a produrre numerosi dipinti, affreschi e decorazioni per diverse committenze. La sua attività espositiva si avvia con i primi anni Cinquanta per protrarsi fino al 2000 con mostre presso spazi pubblici e gallerie private. Il nome di Ungheri è legato a vari movimenti artistici e alla stesura dei rispettivi manifesti: il sopracitato movimento Astralista (Astralismo), da lui cofondato insieme a Sante Monachesi, Claudio Del Sole, Sandro Trotti e Grazioso David, formalizzato con il “Manifesto Astralista” del 14 settembre 1959, cui ne seguiranno altri due; il movimento “Art-Art” (Artigianal Art) il cui manifesto viene pubblicato da “Paese Sera” nel 1968; il “Progetto D’Arte Metapsichica”, la cui visione è esplicitata nel volumetto “Pantenergheia” scritto dallo stesso Ungheri nel 1970 e pubblicato dalla Casa editrice “La parola” nel 1977. Parallelamente al periodo astralista fonda, nel 1961, a coronamento di una ricerca individuale, l’“Arte Bionika”, termine ispirato alla perpetuazione dell’attimo di vita (dal greco Bios), rappresentata attraverso le sue caratteristiche ed uniche Sculture Pulsanti.

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Le Cantate di Johann Sebastian Bach: seconda domenica dopo la Trinità

gbopera - Dom, 09/06/2024 - 00:51

Dopo la Cantata BWV 76 che abbiamo analizzato lo scorso anno, la seconda partitura dedicata alla seconda domenica dopo la Trinità è la BWV 2, “Ach Gott, vom Himmel sieh darein” eseguita la prima volta a Lipsia il 18 giugno del 1724. Alla base della composizione troviamo un inno di Martin Lutero ispirato al Salmo 12 che ritroviamo nel Coro d’apertura concepito in stile “antico” in tempo “a cappella con strumenti”, fra cui 4 tromboni raddoppianti le parti vocali. Questo tipo di condotta “arcaica” con il “cantus firmus” al contralto, lo troviamo solo in un’altra cantata la BWV 96 e contrasta nettamente con il trattamento rilevato ad altri brani introduttivi di altre cantate contemporanee ed è particolarmente sottolineato da una figura di “ostinato” nelle vesti  di una successione cromatica discendente nell’ambito che però come è caratteristica dello stile bachiano, presenta continuamente la proposta del suo contrario, una figura cromatica ascendente, in una sorta di accostamento di figure musicali di struttura uguale ma dal significato differente, quello che nella retorica viene definito come “paronomasia”.  Il Corale emerge anche nei due recitativi presenti nella Cantata (Nr.2 e 4) nei due episodi  “adagio”  in stile arioso, così come nell’aria tripartita cantata dal contralto (Nr 3) che vede la presenza di un violino obbligato. Una pagina che contrasta con la severità inizialmente  espressa nella pagina iniziale. Il violino sembra quasi voler sottolineare le parole “Rottengeisten” (spiriti settari) e il “Ketzerei” (eresia). Nell’altra aria tripartita (Nr.5) cantata dal tenore si apprezza l’abilità contrappuntistica e la bella invenzione melodica, anche frutto dallo studio appreso da Bach nella  trascrizione dei concerti italiani, coniugati con l’eredità contrappuntistica tedesca. Il corale finale, mostra una maggiore morbidezza rispetto l’austero coro iniziale.
Nr.1 – Coro
O Dio, guarda giù dal cielo
e abbi pietà di noi!
Quanto pochi sono i tuoi fedeli
tra di noi, poveri e abbandonati;
nessuno crede più alla verità
della tua Parola e la fede
è quasi scomparsa tra gli uomini.
Nr.2 – Recitativo (Tenore)
Ci insegnano vane e false astuzie
che contraddicono Dio e la sua verità;
ed i pensieri concepiti dalle loro menti
-miseria che dolorosamente affligge la Chiesa-
prendono il posto della Bibbia.
Scelgono ora una cosa , ora l’altra,
guidati dalla loro sciocca ragione;
sono come sepolcri
in apparenza puliti all’esterno
ma che contengono solo puzza e muffa
e non rivelano che sporcizia.
Nr.3 – Aria (Contralto)
O Dio, estirpa le dottrine
che distorcono la tua Parola!
Respingi le eresie
e tutti gli spiriti settari;
poichè essi parlano senza timore
sfidando colui che deve essere loro sovrano!
Nr.4 – Recitativo (Basso)
I poveri sono smarriti,
i loro sospiri, i loro lamenti angosciati
provocati dal dolore e dai tormenti
con cui i nemici affliggono le anime giuste
raggiungono l’orecchio pietoso dell’Altissimo.
Per questo Dio dice: devo essere il loro soccorso!
Ho ascoltato i loro lamenti,
ora sorge l’aiuto,
il sole splendente della pura verità
che con rinnovata potenza
crea consolazione e vita,
rinfranca e rallegra.
Avrò pietà della loro sofferenza,
la mia Parola di vita sarà la forza dei deboli.
Nr.5 – Aria (Tenore)
L’argento si purifica per mezzo del fuoco,
la Parola si verifica per mezzo della croce.
Perciò il cristiano deve sempre
portare con pazienza la sua croce e il suo dolore.
Nr.6 – Corale
O Dio, conserva pura la tua Parola
in mezzo a questa generazione malvagia;
facci restare obbedienti a te
senza essere macchiati.
La moltitudine dei senza-Dio ci circonda,
quanti dissoluti
sono esaltati dal tuo popolo.
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Ach Gott, vom Himmel sieh darein” BWV 2

 

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Roma, Accademia Filarmonica Romana: “La nuova stagione tra riconferme e giovani talenti”

gbopera - Sab, 08/06/2024 - 14:22

Roma, Accademia Filarmonica Romana
Presentazione della nuova stagione 2024-2025
Una stagione gazzella. È così che si fa definire il cartellone delle proposte dell’Accademia Filarmonica Romana che dal prossimo autunno rinnova collaborazioni e iniziative autoctone negli ambiti della musica classica, della musica contemporanea, ma anche della danza e dell’educazione musicale rivolta a giovani o piccolissimi. «Non apparteniamo al mondo degli elefanti — ha detto il presidente della Fondazione di via Flaminia Paolo Baratta — ma a quello delle gazzelle sì!». L’animale agile e poco appariscente dovrebbe corrispondere all’idea di una proposta che, anche quest’anno, conferma artisti di sicura presa sul pubblico — tornano i MomixMiguel Angel ZottoDavid Parsons — e contemporaneamente osa invitando giovani talenti a salire sui tre palchi ospiti, che sono quelli dei teatri Argentina e Olimpico e della Sala Casella. La stagione è curata dal nuovo direttore Domenico Turi, compositore e pianista classe 1986, già assistente dell’istituzione da una decina d’anni, ispirato dall’idea che «la musica è una cosa seria, non seriosa. Noi vogliamo recuperare la gioia e la leggerezza». In ordine di tempo si parte il 19 settembre con i Dialoghi d’autunno, concerti introdotti dal musicologo Valerio Sebastiani, all’interno della sezione «Progetti filarmonici» dove avrà grande spazio il pianoforte. Si tratta di serate dedicate ai compositori dal Novecento a oggi, da Olivier Messiaen (cui è dedicata la proposta del 23 gennaio) a Goffredo Petrassi. Spazio anche a giovani contemporanei come Jacopo Petrucci (27 febbraio). Il sipario vero e proprio si alza il 7 novembre sul ballet pour enfants di Claude Debussy La boîte à joujoux nella versione per pianoforte, voce recitante e danzatori con la Compagnia Du’K’to, coreografia di Carlo Massari (Teatro Argentina). Proseguendo con «Lezioni di musica», ciclo in quattro appuntamenti condotto da Giovanni Bietti (dal 20 ottobre, Sala Casella), si torna all’Argentina con la pianista ucraina Anna Fedorova il 28 novembre con un recital tra Ravel Musorgskij. I già direttori della Filarmonica Andrea Lucchesini ed Enrico Dindo suonano insieme Schumann, Beethoven e Chopin a dicembre, mentre arriva dalla Russia il violinista Ilya Gringolts (19 dicembre, Argentina). Concerto de’ Cavalieri è il nome della formazione guidata da Marcello Di Lisa che accosta la musica del Settecento a quella di Arvo Pärt (gennaio), mentre il Trio di Parma, già applaudito lo scorso anno, torna con un programma dedicato a Brahms, stesso compositore protagonista della proposta del Quartetto Noûs (entrambi a febbraio). Curioso il debutto di Adélaïde Ferrière, che suona le percussioni adattando la musica barocca alla marimba o interpretando con inventiva il Novecento (13 marzo, Argentina). Giovane anche il pianista Filippo Gorini, di scena il 27 marzo. E mentre la proposta musicale prosegue fino a maggio chiudendo con la novità proposta dall’Ensemble l’Astrée e Francesco D’Orazio dedicata anche al centenario di Berio, la danza riconferma nomi conosciuti nella sala del Teatro Olimpico. Tra questi: TangoHistorias de Astor di Zotto (ottobre), la modern dance di David Parsons (novembre), gli inossidabili Momix (aprile) e la proposta per tutte le età Slava’s Snowshow del clown Slava Polunin a marzo.

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Madrid, Teatro Real: “La Bayadère”

gbopera - Sab, 08/06/2024 - 09:20

Madrid, Teatro Real, Temporada 2023-2024
“LA BAYADÈRE”
Balletto in due atti e sei quadri nella versione di Patrice Bart
Musica di Ludwig Minkus con adattamenti di Maria Babanina
Solor JINHAO ZHANG
Nikiya LAURETTA SUMMERSCALES
Gamzatti MARIA BARANOVA
Idolo d’oro SHALE WAGMAN
Gran Bramino NORBERT GRAF
Raja Dugmanta KRZYSZTOF ZAWADZKI
Nutrice ANNA BEKE
Primo spirito MARGARITA GRECHANAIA
Secondo spirito MARGARITA FERNANDES
Terzo spirito ELVINA IBRAIMOVA
Orquesta Titular del Teatro Real de Madrid
Corpo di ballo del Nationaltheater di Monaco
Direttore Kevin Rhodes
Coreografia Patrice Bart (ispirata a Marius Petipa)
Scene e costumi Tomio Mohri
Realizzazione del disegno scenico Kumiko Sakurai
Luci Maurizio Montobbio
Drammaturgia Wolfgang Oberender
Produzione del Nationaltheater di Monaco (1998)
Madrid, 2 giugno 2024
Nel 2008 il Teatro Real di Madrid ospitò La Bayadère nell’allestimento del Nationaltheater di Monaco, che risaliva a dieci anni prima. Ha ventisei anni, dunque, la versione di Patrice Bart (1945), che deve moltissimo all’originale di Marius Petipa. Per non cadere nel solito luogo comune di rilevare che “tanti anni di una produzione inevitabilmente si sentono”, che “lo spettacolo è bello ma un po’ datato”, che “il brillio e la sontuosità di scene e costumi appartengono forse a gusti di altri decenni”, e altre banalità del genere, converrà concentrarsi sugli aspetti che davvero importano. Prima di tutto, la musica di Minkus. Pochi balletti classici hanno subito tante interpolazioni e rimaneggiamenti come La Bayadère, sulla cui partitura intervennero Cesare Pugni, Ricardo Drigo e lo stesso Minkus, in varie occasioni; spesso, il risultato di queste revisioni è consistito nell’accentuare gli orientalismi, gli esotismi più o meno circensi, ma sempre alquanto discutibili, insomma gli “effetti” musicali più oleografici. A Madrid, per fortuna, non solo è giunta la versione ricostruita dalla musicologa russa Maria Babanina (che l’aveva preparata appunto per Monaco circa trent’anni fa), ma c’è anche un direttore esperto ed equilibrato come Kevin Rhodes. Grazie a lui, le sonorità e i volumi dell’Orquesta Titular del Teatro Real sono sempre perfettamente controllati, al servizio tanto della coreografia quanto della drammaturgia (nessuna concessione a facili orientalismi; piuttosto, qualche dose massiccia di martellanti percussioni). La bayadère di Rhodes insiste sui colori scuri e sulle sonorità degli ottoni, senza trascurare però le trame interne di una partitura tutt’altro che semplice (non solo fanfare e marcette, secondo certo cliché della vulgata esecutiva). Al termine della recita, infatti, il pubblico di Madrid tributa una calorosa acclamazione al direttore d’orchestra, oltre che ai tersicorei. Il versante coreografico, di livello molto apprezzabile, è meno entusiasmante di quello musicale, sia in termini generali sia per la qualità dei solisti. Prima di tutto, alcuni personaggi minori (ma importanti per lo sviluppo narrativo), come il Gran Bramino, il Maragià e la Nutrice, sono ingessati in uno stile pantomimico di cent’anni fa, al punto da risultare quasi comici; qui, il lavoro del coreografo avrebbe urgente bisogno di essere svecchiato. Quanto ai protagonisti, la prova migliore è senza dubbio quella di Maria Baranova (la crudele Gamzatti), che sostituisce un’altra interprete indisposta; pur con qualche piccolissimo cedimento dei piedi, dovuto alla stanchezza delle recite accumulate, questa artista dimostra una notevole professionalità, dando il massimo di sé nei fouettés e nei momenti più travolgenti. Corretta e precisa Laurretta Summerscales nella parte principale della baiadera Nikiya. Ugualmente diligente, ma un po’ distaccato dal personaggio, il Solor di Jinhao Zhang. Entusiasmano il pubblico le acrobazie di Shale Wagman (L’idolo d’oro) e i numeri virtuosistici delle apparizioni dei tre spiriti: Margarita Grechanaia, Margarita Fernandes ed Elvina Ibraimova. Il corpo di ballo di Monaco si presenta perfettamente preparato e disimpegna molto bene le scene corali. Impeccabile il celebre corteo di spiriti che apre il II atto: uno dei momenti più emblematici della storia del balletto romantico, che solo l’estetica di Petipa esprime nelle modalità più convincenti ed emozionanti.   Foto Javier del Real © Teatro Real de Madrid

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Roma: “Fondo Andrea Camilleri: Uno spazio aperto al pubblico”

gbopera - Sab, 08/06/2024 - 08:00

Roma, Via Filippo Corridoni, 21
FONDO ANDREA CAMILLERI: UNO SPAZIO APERTO AL PUBBLICO
Il Centro Culturale Andrea Camilleri, ideato dallo stesso scrittore e dallo studio SDB architettura dell’architetto Simone Di Benedetto, è situato a Roma nel quartiere Della Vittoria, luogo di lunga residenza di Camilleri.
Questo spazio, realizzato nel 2018, mira a preservare e promuovere l’eredità culturale di Camilleri, fungendo da hub identitario per esplorare le sue opere e il suo impatto come scrittore, autore teatrale, regista e intellettuale. Ospitato in un ex bar degli anni ’90, il centro accoglie l’archivio e la biblioteca dello scrittore in un ambiente intimo e accogliente, progettato per riflettere la fusione linguistica e stilistica che caratterizza l’opera di Camilleri. Andrea Camilleri, nato il 6 settembre 1925 a Porto Empedocle, ha lasciato un’impronta indelebile nella letteratura italiana, distinguendosi come scrittore, sceneggiatore, regista e drammaturgo. La sua risonanza culturale si intensificò significativamente dalla fine degli anni ’90, con l’adattamento televisivo delle sue opere nella serie “Il commissario Montalbano”, che riscosse un vasto successo su Rai 1, contribuendo a immortalare il suo nome tra i grandi della narrativa contemporanea. La carriera accademica di Camilleri iniziò precocemente ma fu contrassegnata da eventi storici tumultuosi. Dopo un breve periodo nel Collegio Vescovile Pio X, proseguì gli studi al Liceo Classico Empedocle di Agrigento, dove, a causa degli incessanti bombardamenti durante la Seconda Guerra Mondiale e l’imminente sbarco alleato in Sicilia, ottenne il diploma nel 1943 senza sostenere gli esami finali. Gli eventi bellici portarono le autorità scolastiche a chiudere le istituzioni educative, considerando valido il secondo scrutinio trimestrale come sufficienza per il conseguimento della maturità. Il suo interesse per il teatro lo vide assumere il ruolo di regista teatrale già nel 1942. Successivamente, si iscrisse alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Palermo, anche se non completò il percorso di studi. Durante questi anni, Camilleri aderì al Partito Comunista Italiano e iniziò a pubblicare poesie e racconti, emergendo come finalista nel Premio Saint Vincent. La sua produzione letteraria iniziale, incentrata su poesie e racconti per riviste e quotidiani come “L’Italia socialista” e “L’Ora di Palermo”, lo consolidò come una voce critica e influente. Le sue prime opere, che univano l’italiano al siciliano, mostrarono una predilezione per un linguaggio ricco e composito, segno distintivo che permeava molte delle sue narrazioni. Tale peculiarità linguistica trovò ampia risonanza e le sue pubblicazioni raggiunsero tirature medie di circa 60.000 copie per edizione. Dopo un periodo di fervente attività poetica, durante il quale importanti figure come Giuseppe Ungaretti e Salvatore Quasimodo promossero le sue poesie nelle loro antologie, Camilleri decise di dedicarsi maggiormente alla narrativa e al teatro, spostando così il fulcro della sua produzione creativa. Con oltre 100 opere all’attivo e traduzioni in 120 lingue, Camilleri ha venduto più di 10 milioni di copie. I suoi riconoscimenti includono il Premio Letterario Chianti e il Premio Vittorio De Sica per la cultura. Nel 2003, ricevette anche la medaglia di Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana, a testimonianza del suo contributo all’arte e alla cultura italiana. Per salvaguardare l’enorme patrimonio documentale e intellettuale di Camilleri, la sua famiglia ha istituito l’Associazione Fondo Andrea Camilleri a Roma, con l’obiettivo di conservare e promuovere la sua eredità. Il Fondo, avviato nel 2021, si occupa del recupero, dell’ordinamento dell’archivio, della digitalizzazione, e dell’organizzazione di servizi per la fruizione pubblica e la realizzazione di iniziative culturali. Queste attività, mirate a preservare e valorizzare il patrimonio culturale, sono pianificate con un approccio a medio e lungo termine, seguendo metodologie e prassi consolidate nel campo della conservazione culturale. Il Fondo Andrea Camilleri si propone, quindi, non solo come custode della memoria storico-letteraria dell’autore, ma anche come polo dinamico di ricerca e divulgazione, inteso a promuovere l’accesso e l’approfondimento delle sue opere e a sostenere iniziative culturali che ne perpetuino lo studio e la valutazione, nel segno di un patrimonio condiviso e fruibile dalla collettività. L’archivio di Andrea Camilleri offre una panoramica esauriente che copre un arco temporale ricco di svolte significative in vari settori, esplorando in particolare le radici e gli sviluppi meno noti della sua carriera artistica e professionale. Questo periodo è contrassegnato da una crescita straordinaria nella notorietà e popolarità dell’autore, fenomeni che hanno delineato il profilo pubblico dello scrittore dalla fine degli anni novanta del ventesimo secolo. Documenti manoscritti, articoli, e materiale iconografico, come fotografie e manifesti teatrali, sono solo alcune delle risorse attraverso le quali l’archivio facilita l’accesso alla trama umana e intellettuale di Camilleri, immerso nei mondi della letteratura, del teatro, della televisione e della radio. L’approccio espositivo dell’archivio è definito da una metodologia filologica e scientifica, basata sui documenti conservati. La sua ricca attività artistica, sviluppata in un contesto storico e culturale profondamente radicato nel Novecento, fornisce una testimonianza vivida dell’epoca. Il lavoro iniziale di catalogazione e riordino, iniziato nel 2021, ha rivelato l’organizzazione originale data dall’autore ai principali nuclei documentali, sia durante la produzione sia in una fase di maggiore celebrità, quando Camilleri ha iniziato a riesaminare le proprie carte per recuperare dati su eventi e incontri chiave della sua carriera passata. L’archivio, estendendosi per circa 35 metri lineari, conserva una varietà di documenti che riflettono l’eclettico percorso professionale di Camilleri, dalle opere pubblicate e inedite, alle regie teatrali, fino al suo lavoro in RAI come regista e produttore. Elementi multimediali, come fotografie e registrazioni, arricchiscono ulteriormente la collezione, che è stata dichiarata di rilevante interesse storico dalla Soprintendenza Archivistica e Bibliografica del Lazio. Parallelamente, la biblioteca privata di Camilleri riflette un’evoluzione continua, dai primi taccuini conservati dal 1940, che illustrano gli interessi che hanno influenzato la sua traiettoria artistica. La biblioteca, curata personalmente da Camilleri, comprende una vasta gamma di generi, dalla poesia alla narrativa mondiale, dimostrando un’intensa interconnessione con i materiali dell’archivio. Con la crescente attenzione verso la sua opera nei primi anni 2000, la biblioteca si è arricchita di una sezione dedicata alle opere saggistiche e pubblicazioni su di lui. Attualmente, il fondo Andrea Camilleri è impegnato nella catalogazione di questo prezioso patrimonio, che presto includerà tutte le traduzioni delle sue opere in trentanove lingue, così come le pubblicazioni relative alla sua vasta attività artistica.

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Roma, Teatro Argentina: “Accabadora” dal romanzo di Michela Murgia solo il 12 e 13 giugno 2024

gbopera - Sab, 08/06/2024 - 08:00

Roma, Teatro Argentina
ACCABADORA
dal romanzo di Michela Murgia edito da Giulio Einaudi Editore
drammaturgia Carlotta Corradi
regia Veronica Cruciani
con Anna Della Rosa
Accabadora, uno dei più bei romanzi di Michela Murgia nonché uno dei libri più letti in Italia negli ultimi anni (Einaudi 2009; vincitore Premio Campiello 2010), è lo spettacolo di Veronica Cruciani interpretato da Anna Della Rosa. Il testo teatrale è scritto da Carlotta Corradi su richiesta della regista che da subito ha pensato di farne un monologo partendo dal punto di vista di Maria, la figlia di Bonaria Urrai l’accabadora di Soreni. Michela Murgia racconta una storia ambientata in un paesino immaginario della Sardegna, dove Maria, all’età di sei anni, viene data a fill’e anima a Bonaria Urrai, una sarta che vive sola e che all’occasione fa l’accabadora. La parola, di tradizione sarda, prende la radice dallo spagnolo acabar che significa finire, uccidere; Bonaria Urrai aiuta le persone in fin di vita a morire. Maria cresce nell’ammirazione di questa nuova madre, più colta e più attenta della precedente, fino al giorno in cui scopre la sua vera natura. È allora che fugge nel continente per cambiare vita e dimenticare il passato, ma pochi anni dopo torna sul letto di morte della Tzia. È a questo punto della storia che comincia il testo teatrale. Maria è ormai una donna, o vorrebbe esserlo. Ma la permanenza sul letto di morte della Tzia mette in dubbio tutte le sue certezze. La drammaturgia di Carlotta Corradi parte proprio dal ritorno di Maria sul letto di morte di Tzia Bonaria. C’è un tempo di separazione tra le due donne che pesa in questo incontro. La verità, la rabbia che la ragazza ancora prova per il tradimento subito dalla Tzia viene a galla prepotentemente, nonostante gli sforzi che Maria compie per galleggiare tra i migliori ricordi dell’infanzia accanto alla lunga gonna nera della Tzia.

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Roma, VIVE: Il Connubio tra Politica e Arte nel Risorgimento: Giuseppe Mazzini e Silvestro Lega in mostra

gbopera - Ven, 07/06/2024 - 18:51

Roma, VIVE. Vittoriano e Palazzo Venezia
L’ULTIMO RITRATTO: MAZZINI E LEGA, STORIE PARALLELE DI RISORGIMENTO
a cura di Edith Gabrielli
consulenza storica di Giuseppe Monsagrati
patrocinata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, è promossa e organizzata dal MiC e dal Vive
in collaborazione con la Direzione generale musei del MiC
guidata da Massimo Osanna, e d’intesa con l’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, diretto da Alessandro Campi
Roma, 07 giugno 2024
La storia italiana del Risorgimento è segnata da figure eminenti che hanno contribuito in modo significativo alla formazione di un’identità nazionale unitaria. Tra queste, spiccano due nomi che, sebbene appartenenti a mondi diversi, condivisero ideali e tratti comuni: Giuseppe Mazzini e Silvestro Lega. La loro affinità ideologica e il rispetto reciproco trovano una rappresentazione simbolica e commovente nel dipinto di Lega, “Gli ultimi momenti di Giuseppe Mazzini”. Giuseppe Mazzini, nato a Genova nel 1805, fu uno dei principali teorici e attivisti del Risorgimento italiano. La sua vita fu dedicata alla lotta per un’Italia unita e repubblicana. Fondatore della Giovine Italia, Mazzini promosse instancabilmente i valori di libertà, uguaglianza e fraternità attraverso i suoi scritti e la sua azione politica, spesso pagando con l’esilio e la persecuzione. Silvestro Lega, nato nel 1826 a Modigliana, fu uno dei principali esponenti del movimento dei Macchiaioli, che rivoluzionò la pittura italiana con un approccio realistico e innovativo. La sua partecipazione ai moti rivoluzionari del 1848 evidenzia il suo profondo impegno politico. Le sue opere, che spesso ritraevano scene di vita quotidiana, erano intrise di un realismo che rispecchiava i valori e le lotte del popolo italiano. Entrambi vissero vite segnate dal sacrificio e dalla dedizione alla causa nazionale. Mazzini trascorse gran parte della sua vita in esilio, lottando contro le avversità per i suoi ideali. Lega, pur essendo un artista riconosciuto, attraversò momenti di difficoltà economica e personale, senza mai rinunciare ai suoi principi e alla sua arte. L’opera “Gli ultimi momenti di Giuseppe Mazzini” di Silvestro Lega rappresenta un incontro simbolico tra i due uomini. Il dipinto cattura con sensibilità e maestria il momento finale del patriota, esprimendo non solo la sua fragilità umana ma anche la grandezza del suo spirito. Quest’opera cattura il Padre della Patria nelle sue ultime ore di vita, ritraendolo con una fragile ma composta umanità che sottolinea il potere della pittura nel preservare e trasmettere la memoria storica. Originariamente conservato presso il Museum of Art della Rhode Island School of Design di Providence (USA), il dipinto è ora esposto al Vittoriano grazie alla determinazione del Ministero della Cultura e agli sforzi diplomatici degli Uffici di diretta collaborazione del Ministro Gennaro Sangiuliano. Questo trasferimento temporaneo rappresenta un evento significativo poiché il Vittoriano è il simbolo per eccellenza del Risorgimento, della Repubblica e dell’identità storica, artistica e culturale italiana. Tra le molteplici testimonianze storiche e i preziosi documenti esposti al Vittoriano, spicca un angolo di profonda intimità e commozione. Accanto al celebre dipinto “Gli ultimi momenti di Giuseppe Mazzini” di Silvestro Lega, si trova una coperta semplice ma carica di significato, che avvolse Mazzini nei suoi ultimi momenti di vita e che appartenne a Carlo Cattaneo.  La delicatezza con cui è esposta riflette rispetto e reverenza per Mazzini e Cattaneo, evidenziando il loro lato più umano. La combinazione del dipinto e della coperta crea un momento di profonda riflessione per i visitatori, un ricordo tangibile del legame tra due grandi uomini e del loro contributo alla causa dell’unità italiana. Questo angolo della mostra, oltre ai numerosi cimeli e documenti storici, si distingue così per la sua capacità di evocare una connessione emotiva con il passato, offrendo uno sguardo personale e toccante su Mazzini e il suo retaggio. La bellissima mostra, curata da Edith Gabrielli con la consulenza storica di Giuseppe Monsagrati, è patrocinata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Promossa e organizzata dal Ministero della Cultura e dal VIVE, in collaborazione con la Direzione Generale Musei del MiC guidata da Massimo Osanna, l’esposizione si avvale anche del supporto dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, diretto da Alessandro Campi. L’allestimento elegante e ben curato ha saputo creare un’atmosfera di intimità e riflessione, fondendo cimeli storici senza ostentare ideologie ma piuttosto esaltando i valori umani e patriottici che Mazzini e Lega rappresentavano. Documenti storici, grandi quadri, sculture, cimeli personali, installazioni multimediali e proiezioni accattivanti riempiono le due grandi zone della Sala Zanardelli. Ogni elemento è curato con grandissima attenzione storica e una scelta cromatica ed estetica eccellente, creando un’armoniosa fusione tra spazio e opere esposte. La Sala Zanardelli diventa così un luogo dove la memoria storica si intreccia con l’emozione, offrendo ai visitatori un’esperienza empatica e riflessiva, che va oltre la semplice osservazione, invitando a una profonda connessione con la nostra storia. La stanza immersiva poi, uno degli elementi più apprezzati della mostra, permette ai visitatori (anche non italiani) di immergersi completamente nel contesto storico e emotivo del Risorgimento, rendendo tangibile l’atmosfera di un’epoca cruciale per la formazione dell’identità italiana. Il personale, sempre disponibile e attento, risponde con competenza e partecipazione a ogni esigenza, garantendo un’esperienza arricchente e personalizzata. Ogni membro dello staff è preparato per fornire informazioni dettagliate, guidare i visitatori attraverso il percorso espositivo e rispondere a domande specifiche, contribuendo a creare un ambiente accogliente e istruttivo. Un ulteriore elemento di pregio della mostra è il catalogo di Electa, che rappresenta un autentico gioiello editoriale. Presentato in un elegante cofanetto, il catalogo comprende due testi di straordinario interesse, che offrono un approfondimento significativo sui temi trattati. Questi volumi non solo documentano le opere esposte, ma forniscono anche un contesto storico e critico che arricchisce la comprensione del visitatore. Contributi di storici, critici d’arte e specialisti del Risorgimento italiano offrono una prospettiva multidisciplinare, permettendo di cogliere appieno la complessità e la rilevanza degli eventi e delle figure rappresentate. Da non perdere. Fino al 08 Settembre. Photocredit@davideoliviero

Categorie: Musica corale

Firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino: “Tosca”

gbopera - Ven, 07/06/2024 - 15:59

Firenze, Teatro del Maggio Musicale FiorentinoLXXXVI Festival del Maggio Musicale Fiorentino
TOSCA”
Melodramma in tre atti su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, dal dramma “La Tosca” di Victorien Sardou.
Musica di Giacomo Puccini
Floria Tosca VANESSA GOIKOETXEA
Mario Cavaradossi PIERO PRETTI
Il barone Scarpia ALEXEY MARKOV
Cesare Angelotti GABRIELE SAGONA
Il sagrestano MATTEO TORCASO
Spoletta ORONZO D’URSO
Sciarrone DARIO GIORGELÉ
Un carceriere CESARE FILIBERTO TENUTA
Un pastorello SPARTACO SCAFFEI
Orchestra e coro del Maggio Musicale Fiorentino
Coro di voci bianche dell’Accademia del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Daniele Gatti
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Maestro del coro di voci bianche Sara Matteucci
Regia Massimo Popolizio
Scene Margherita Palli
Costumi Silvia Aymonino
Luci Pasquale Mari
Nuovo allestimento del Maggio Musicale Fiorentino
Firenze, 3 giugno 2024
È “Tosca” l’ultima opera dell’86° Festival del Maggio, che ha dedicato la quasi totalità della proposta operistica della stagione al genio pucciniano. Il nuovo allestimento è un’ulteriore riproposizione in epoca fascista, probabilmente subito prima della seconda guerra mondiale. Un’ambientazione evidente dalle marmoree costruzioni della Roma dell’E.U.R. di Margherita Palli, che introducono una vicenda dallo sfondo periferico, come lascia alludere la popolare messa in scena degli eventi in chiesa, con un “Te Deum” tutt’altro che monumentale, anzi improvvisato al meglio all’operosità di una qualunque parrocchia di quartiere. D’obbligo, quindi, la semplicità dei costumi delle masse ideati da Silvia Aymonino, con originali reminiscenze dal film “Il conformista” di Bertolucci. Maggiore dettaglio scenico si evidenzia a Palazzo Farnese, dove Scarpia si rivela così macabro da sfoggiare un vero e proprio reliquiario, per poi tornare all’essenzialità delle forme sulla sommità di Castel Sant’Angelo. La scenografia risulta, però, piuttosto controversa se rapportata alle altrettanto discutibili scelte di Massimo Popolizio, che congegna una regia “cinematografica”. Lo si vede dall’insistere su azioni simultanee con diversi accadimenti, anche incompatibili, entro uno stesso spazio non opportunamente delimitato. È come se il regista immaginasse una cinepresa che inquadra ora questo o l’altro particolare dell’azione, ma dalla platea il colpo d’occhio d’insieme è inevitabile e rischia di generare alcune incongruenze. Eclatante, in tal senso, l’inserto dei bambini che giocano tranquillamente a campana nell’area carceraria di Castel Sant’Angelo, il ritardo nell’uscita di Angelotti (non dalla cappella!) rispetto all’arrivo del sagrestano o gli scambi confidenziali dei due amanti, collocati a troppa distanza per non essere uditi dall’antagonista. Spesso il libretto fa da freno alla regia, che si concentra sul dettaglio dell’azione e sull’approfondimento dei singoli, più che sugli scambi interpersonali. Così, Tosca brilla di un magnetismo consapevole e indiscusso, risultando sensuale in chiesa al limite dell’irrispettoso, mentre a Cavaradossi spetta la pacatezza del fidanzato di lunga data, che “sa come prenderla”, e che non dà troppo peso agli attacchi di gelosia, né conta sulla finale illusione salvifica. Dubbie anche le luci di Pasquale Mari, la cui trovata d’annunciare Scarpia ingigantendone l’ombra sulla calda parete di fondo viene stemperata quando lo stesso accade al rientro di Tosca. Sorprendente, invece, la personale lettura di Daniele Gatti, che guida l’abile orchestra giocando su un’intenzionale flessibilità dell’agogica: tempi scorrevoli, per la continuità dell’azione, resi con descrittiva purezza di suono, e dilatazioni ritmiche ad hoc. Si nota come tali rallentamenti non siano perlopiù imputabili a dubbio gusto, ma valorizzabili nell’ottica di enfatizzare i numerosi “ritardi” di cui Puccini intride la partitura e che concorrono a sollevare quel retrogusto di musica sacra che la pervade. Questa impostazione non trascura un’analitica attenzione al particolare, come nell’esecuzione dell’intreccio di quarte e quinte che evocano le suggestioni dei suoni d’organo sulla “Recondita armonia” o nella singolare restituzione in diminuendo della scansione delle campane nel mattutino, in cui si riscontra giusto un po’ di timidezza nel marcare il Mi grave del “Campanone”. Non mancano le attenuazioni dinamiche di sfondo alla sottile tela drammaturgica, né i risvegli di sonorità degni di un “Te Deum” d’effetto, che può ancora una volta contare sul rilevante contributo del coro di Lorenzo Fratini e sulle voci bianche di Sara Matteucci. A questo proposito, un plauso va a Spartaco Scaffei per il breve, ma corretto, apporto come pastorello, visto che difficilmente si riesce a sentire tali strofe cantate con sicurezza. In linea col regista, la Tosca di Vanessa Goikoetxea ha scenicamente tutta la carica attrattiva della celebre protagonista, spiccatamente logorata dalla gelosia o vaneggiante nelle proprie prefigurazioni ed è supportata da uno strumento vocale particolarmente duttile su piano e smorzamenti, capace di fraseggiare con accurata volubilità. Pur distinguendosi nel piglio dell’afflato d’amore, il soprano non supera altrettanto agilmente la trappola delle frequenti puntature a piena orchestra, su cui i suoni passano con buon volume, ma a costo di aspre forzature timbriche e con intonazione sporadicamente calante. Al suo fianco, Piero Pretti si dimostra un tenore più lirico-leggero che lirico, poiché il timbro s’impone con maggiore luminosità nello squillo degli acuti, lasciando più nell’ombra la proiezione delle numerose frasi di centro, caratterizzate da un’emissione meno compatta. La voce impiega del tempo per giungere a regime, causando qualche difficoltà iniziale nel passaggio, ma converge verso un Mario disilluso e sicuro di sé, a cui si auspica di poter evolvere con un maggiore scavo di fraseggio e dinamico. Nell’iconico ruolo di Scarpia, Alexey Markov presenta qualche disomogeneità nell’appoggio delle vocali e incappa in alcune incertezze di dizione. La difficile resa psicologica del personaggio conta più sulla presenza di accenti marcati e severi o di frasi dissimulate a gran velocità, che sulla melliflua resa di mezze voci o impeti di particolare prevaricazione, ma nel complesso il suo è un carattere monocromaticamente di ferro, volto unicamente a bramare la cosa perseguita per saziarsene. A capo dei  ruoli “secondari”, Gabriele Sagona si aggira con fare circospetto negli interventi del primo atto, ben figurando la fosca preoccupazione dell’esule, mentre Matteo Torcaso è un sagrestano tanto partecipativo quanto intimorito. Chiudono il cerchio le battute di Oronzo D’Urso (concitato Spoletta), Dario Giogelé (torvo Sciarrone) e Cesare Filiberto Tenuta (sbigottito carceriere). La serata si chiude col convinto l’applauso del teatro del Maggio, ancora una volta al completo. Foto Michele Monastra

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Roma, Teatro dell’Opera di Roma: “Otello” Cast Alternativo

gbopera - Mer, 05/06/2024 - 23:59

Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2023/2024
“OTELLO”
Dramma lirico in quattro atti
libretto di Arrigo Boito dalla tragedia di William Shakespeare
Musica di Giuseppe Verdi
Otello MARCO BERTI
Desdemona VITTORIA YEO
Jago VLADIMIR STOYANOV
Emilia IRENE SAVIGNANO*
Roderigo FRANCESCO PITTARI
Lodovico ALESSIO CACCIAMANI
Montano ALESSIO VERNA
Cassio PIOTR BUSZEWSKI
Un Araldo LEO PAUL CHIAROT
*diplomata progetto “Fabrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Con la partecipazione del Coro di Voci Bianche del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Daniel Oren
Maestro del Coro Ciro Visco
Regia Allex Aguilera
Scene Bruno de Lavénere
Costumi Francoise Raybaud Pace
Luci Laurent Castaingt
Video Etienne Guiol Arnaud Pottier
Allestimento dell’Opera di Montecarlo e dell’Opera Nazionale di Tbilisi
Roma, 05 giugno 2024
Rimandiamo alla recensione del 4 giugno per una disamina approfondita della regia di Alex Aguilera e delle scenografie di Bruno de Lavénere. In questa recensione , ci concentreremo sulla direzione artistica complessiva della serata e sulle performance vocali, che hanno rappresentato il fulcro emotivo dell’evento. L’orchestra ha risposto con maestria ai comandi del Maestro Daniel Oren, dimostrando una profonda sintonia. La sua lettura affascinante della complessa partitura ha catturato l’attenzione del pubblico, che ha seguito l’esecuzione in silenzio per poi esplodere in un liberatorio applauso alla fine di ogni atto. Oren non ha proposto un’interpretazione rivoluzionaria o innovativa, ma ha offerto uno sguardo alla tradizione, abbagliando il pubblico con un suono orchestrale splendido e una cura del dettaglio non fine a sé stesso. Tuttavia, l’amore di Oren per i tagli si è manifestato con una brusca cesura all’interno del concertato che chiude il terzo atto  e che ha privato forse inutilmente il pubblico di uno splendido passaggio musicale. Marco Berti ha saputo condurre una performance che è andata via via crescendo in intensità e sicurezza nel corso della serata. Se l’iniziale “Esultate” palesava qualche esitazione, il tenore ha dimostrato una lodevole tenacia, ritrovando presto una robusta sicurezza vocale già dal duetto con Jago. La sua interpretazione di “Dio, mi potevi scagliar” è stata eseguita con una precisione e una forza che hanno raggiunto il culmine nella scena finale, generando un forte impatto emotivo. Il tenore comasco ha saputo rappresentare con finezza il progressivo affermarsi della febbrile ossessione del protagonista, evitando una rappresentazione eccessivamente violenta e mettendo invece in risalto la vulnerabilità che lo rende preda dell’insidioso antagonista. Con questa esibizione, Berti ha dimostrato non solo quindi una notevole padronanza tecnica, ma anche una profonda comprensione del complesso sviluppo psicologico del personaggio. Vittoria Yeo, con la sua voce lirica splendida e cristallina, è stata un’autentica Desdemona, soprattutto nel terzo e quarto atto. Il suo canto, intriso di dolore e chiarezza, è stato ulteriormente arricchito da un fraseggio intenso e partecipativo, rendendo la sua interpretazione profondamente emotiva e coinvolgente. La sua esecuzione ha catturato perfettamente l’essenza del personaggio, confermandola come un’interprete ideale per questo ruolo complesso e sfaccettato. Vladimir Stoyanov, baritono bulgaro di comprovata solidità, ha offerto una performance caratterizzata da un’emissione morbida e una dizione nitida e ben curata, supportata da una musicalità innata. Tuttavia, a volte mancava una varietà di accenti indispensabile per delineare appieno la perversione morale di Jago, il che ha attenuato la percezione della sua malignità. Nonostante ciò, la sua interpretazione rimane comunque di altissimo livello, confermando la sua padronanza assoluta del ruolo. Eccellente la performance del tenore Piotr Buszewski nel ruolo di Cassio, così come quella del tenore Francesco Pittari nei panni di Roderigo. Di buon livello anche le interpretazioni del basso Alessio Cacciamani (Lodovico), del baritono Alessio Verna (Montano) e del mezzosoprano Irene Savignano (Emilia). Non è una novità, ma merita comunque menzione l’eccellente prestazione del Coro del Teatro dell’Opera di Roma, sapientemente preparato da Ciro Visco. Un successo pieno e meritato, con numerosi applausi rivolti all’intero cast. Recite sino al 12 Giugno 2024.

 

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Roma, Santa Agnese in Agone a Piazza Navona: Concerto del soprano Laura di Marzo e della chitarrista Anna Cara

gbopera - Mer, 05/06/2024 - 19:25

Sagrestia borrominiana della chiesa di Santa Agnese in Agone a Piazza Navona, Roma, Capriccio Italiano Festival  2024.
THE BEAUTY OF THE ITALIAN VOICE”
Soprano Laura di Marzo
Chitarra classica Anna Cara
Musiche di M.Giuliani, G.Paisiello. W.A.Mozart
Roma, 23 maggio 2024
Ore 17:45 appuntamento con la musica; sfilacciati rivoli di nuvole offuscano il cielo colorato di viola di una Roma imprudente…turisti incuriositi seguono il suono dorato di note che invitano al concerto di musica lirica del soprano Laura Di Marzo accompagnata dalla chitarra classica della collega Anna Cara. Nella prestigiosa location della Sagrestia borrominiana di Sant’Agnese in Agone di Piazza Navona a Roma si è svolto, giovedì 23 maggio, il concerto dal titolo “The beauty of the italian voice”. Il programma ha incluso musiche di Mauro Giuliani (1781-1829), Giovanni Paisiello (1740-1816) e Wolfgang Amadeus Mozart (1756- 1791). In questo luogo di grande prestigio, generoso spazio in bellezza che il mondo ci invidia, i concerti sono ormai una realtà musicale romana e, la Sagrestia, oltre ad essere uno dei più preziosi gioielli del barocco, accogliente e nascosta, dalle piccole dimensioni , vanta un’acustica eccezionale che permette di ascoltare la musica in maniera molto travolgente. Sapiente la cantante Di Marzo, di comprovata e rinomata bravura ,intona i brani con decisa e raffinata eleganza; il suo percorso artistico è di altissimo livello, sviluppato nel tempo da una ricerca continua e meticolosa dell’uso della voce che si amplia in un repertorio che sa incantare. Invece non di frequente si ascolta la chitarra come accompagnamento di brani lirici e quando ciò accade si rimane stupiti della completezza melodico- armonica di questo strumento che richiede un ascolto adeguato: la ricchezza e la raffinatezza timbrica della Maestra Anna Cara cattura l’attenzione dell’ascoltatore che ne segue lo spartito. Si comincia con le “Sei ariette” di Mauro Giuliani e le note vocali a profusione scendono come fossero fatte d’acqua, alternate ai suoni esterni del mondo, in contrapposizione alle azioni ripetitive dell’esistenza umana, seguite dal tocco brioso della chitarrista. Le artiste poi continuano con Paisiello e a seguire intonano Mozart con “Porgi amor, qualche ristoro, al mio duolo,a’ miei sospir” vibrante di alta passione. Le note si susseguono e si elevano fino alla volta della Sagrestia: un sol è il colore di azzurro del manto immacolato della Madonna Un la è il rosso dei risvolti delle vesti dei pellegrini… Un mi è il tripudio del color oro delle cornici delle volute …
L’arpeggio della chitarra e la voce della soprano coinvolgono le anime degli astanti facendole vibrare ed estasiare : qualcosa di speciale si è insinuato tra gli spettatori e lo si evince dal lungo applauso ricevuto. E’ un concerto soave ma con la prorompente forza della bellezza:di questo si tratta. E io vedo materializzare le note del canto in segni che volano e si infrangono sulle pareti affrescate del pittore Allegrini , risalente al 1660. Lo spazio è rettangolare compatto con pareti angolari concave e convesse, richiamo di un tipico Barocco noto come “sagrestia d’estate” che propone un impianto planimetrico destinato a funzioni private tipico delle antiche ecclesie protocristiane. Non è ancora sera ed esco in allegria con gli amici che mi hanno accompagnato al concerto con l’anima piena di bellezza: il suono e lo spazio. Dostoevskij implorava :”la Bellezza salverà il mondo” ma il mondo quando si accorgerà di dover cercare bellezza per il convivere delle genti in pace? Sì anche la Musica è promotrice di Pace: benvenuti artisti del Bello, proponete, proponete che è giunta l’ora di stare insieme tutti con il proprio credo. Che sia la musica, che sia l’architettura che sia il sentimento dell’Amore per il Prossimo!!!

 

 

 

 

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86ºFestival del Maggio: venerdì 7 giugno 2024, Daniele Gatti dirige musiche di Goffredo Petrassi e Dmitrij Šostakovič.

gbopera - Mer, 05/06/2024 - 19:16

Il direttore principale Daniele Gatti , sale sul podio della Sala Mehta alla guida dell’Orchestra e del Coro del Maggio, venerdì 7 giugno alle ore 20, per un concerto sinfonico corale con un programma caratterizzato da una marcata impronta sacra. In apertura del concerto del 7 giugno, una composizione di Goffredo Petrassi, il Salmo IX , un ampio lavoro per coro, orchestra d’archi, ottoni, percussioni e due pianoforti nella quale Petrassi riunisce abilmente la lezione dei grandi polifonisti del passato con le innovazioni musicali del suo tempo. La scrittura del Salmo fu iniziata nell’ottobre 1934 e terminata due anni dopo.  Il maestro del Coro del Maggio è Lorenzo Fratini. Chiude il concerto una composizione di Dmitrij Šostakovič; in quest’occasione la Sinfonia n. 5 in re minore op. 47 una delle composizioni più emblematiche e sofferte che il compositore pietroburghese compose fra l’aprile del 1937 e il luglio dello stesso anno; un periodo buio nel quale le repressioni di Stalin erano forti, anche su quella che era la vita artistica, culturale e musicale del paese. Šostakovič stesso fu aspramente criticato per lo stile della sua Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk e dunque l’essenza della sua Quinta Sinfonia è legata a doppio filo a quelle che sono le sue emozioni di quegli anni così complessi: una pagina musicale in cui la catastrofe è travestita da trionfo, e dove il più urlato dissenso si scambia per consenso alle orecchie incapaci di ascoltare. Prima del concerto è proposta al pubblico la presentazione del programma: la guida si tiene nel Foyer della Sala Zubin Mehta 45 minuti circa prima dell’inizio del concerto.

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Entratien avec le soprano Patrizia Ciofi

gbopera - Mer, 05/06/2024 - 09:12
Entre deux représentations de l’opéra de Mozart “Le Nozze di Figaro”, donné à l’Opéra de Marseille, Patrizia Ciofi, toujours très attendue par le public, répond avec beaucoup de gentillesse à quelques questions pour les lecteurs du magazine Gbopera. Vous avez commencé très tôt à chanter. Y-a-t-il eu un facteur déterminant ? Mon père était un musicien autodidacte qui jouait de plusieurs instruments et chez nous la musique était omniprésente. Je chantais avec mes copains en m’accompagnant à la guitare, des chansons à la mode, et chanter me procurait de grandes joies. Puis les choses sont devenues un peu plus sérieuses et j’ai commencé à étudier le chant au conservatoire de Sienne mais, après quatre années d’étude, j’ai éprouvé quelques difficultés vocales. C’est alors que j’ai rencontré madame Anastasia Tomaszewska, j’avais 21 ans. Avec elle j’ai appris la technique du chant et comment utiliser la voix pour donner de l’émotion et exprimer les sentiments contenus dans la musique. Cette rencontre a été déterminante, de là est venue ma passion pour l’opéra. Finalement la carrière d’un chanteur est faite de rencontres et d’opportunités car ensuite j’ai eu la chance de rencontrer Claudio Desderi, un grand baryton des années ’80 qui organisait des stages de chant à Fiesole et avait formé un orchestre de jeunes musiciens et un ensemble de chanteurs, jeunes aussi, avec lesquels il montait des spectacles ; en 1990 lorsque je suis arrivée, “Don Juan” était au programme et Donna Anna a été mon premier grand rôle. Une belle opportunité pour la débutante que j’étais à cette époque. Claudio Desderi ayant pris la direction du Théâtre Verdi de Pise avait gardé un petit groupe de chanteurs. J’ai ainsi eu la chance d’interpréter des rôles très importants, Violetta (La Traviata), Gilda (Rigoletto), Adina (L’Elisir d’amore), nous sommes même partis en tournée. Cela a été une immense formation et des occasions de rencontres avec des agents à la recherche de jeunes chanteurs. Vous parlez souvent du plaisir de chanter et d’être sur scène ; interpréter ces personnages différents fait-il partie de ce plaisir ? “La musique est l’expression de l’âme, sur scène je me sens chez moi !”. Un chanteur d’opéra est aussi un comédien, chaque rôle est l’incarnation d’un personnage avec ses caractéristiques et ses humeurs, mais aussi ses côtés sombres et ses égarements avec des moments de folie aussi ; c’est vraiment passionnant, vous rajoutez la musique et un orchestre porteur… Les compositeurs ont écrit pour des personnages si divers qu’un chanteur ne connait jamais l’ennui. Et, si les mises en scènes étaient autrefois immuables, la nouvelle génération de metteurs en scène amène souvent des surprises bonnes…ou mauvaises, c’est selon. Ainsi la “Lucia di Lammermoor”, dans la mise en scène d’Andrei Serban présentée à l’Opéra Bastille en 2013, proposait une Lucia différente et entrer dans ce personnage a été une expérience nouvelle bien qu’éprouvante par moments. La technique vocale reste sensiblement la même, mais l’expression, le jeu peuvent parfois changer quelques accents ou quelques appuis. C’est toujours un immense travail.

Il y a des rôles aux incarnations plus mystiques, est-ce porteur ? Chaque rôle est porteur si l’on s’y investit, c’est toujours le cas pour moi. Pour une soprano il y a bien sûr certains rôles incontournables comme Violetta (La Traviata), Gilda (Rigoletto), Lucia (Lucia di Lammermoor) et bien d’autres encore dans le répertoire pour ma voix, mais il y a des personnages qui touchent au mystique dans certains opéras “Giovanna d’Arco”, “Dialogues des Carmélites”… où le sujet religieux est porteur d’une autre dimension qui vous emmène vers des émotions différentes et puissantes, qui transcendent même, et dont on sort difficilement. Y-a-t-il eu des moments forts dans votre carrière ? Chanter pour la réouverture de La Fenice à Venise sous la direction de Lorin Maazel par exemple. Des moments forts dans une carrière il y en a souvent. Il y a les rôles bien sûr, puis certains lieux ou événements. La réouverture de La Fenice après l’incendie qui a complètement détruit le théâtre et qui a été vécu comme un véritable drame en est un. Personne n’imaginait alors que ce théâtre mythique où de très nombreux opéras ont été créés pourrait renaître de ses cendres et être reconstruit à l’identique. Il y a là quelque chose d’un peu miraculeux alors, y chanter pour un premier concert sous la baguette du maestro Riccardo Muti en décembre 2003 puis pour l’ouverture officielle de la saison lyrique dans le rôle de Violetta avec Lorin Maazel à la direction l’année suivante a amené un grand poids émotionnel. Les lieux, les chefs d’orchestre aussi ; une autre Traviata à Orange, un lieu magique et impressionnant, avec Myung-whun Chung à la baguette, une direction qui touche au spirituel, est aussi un souvenir très fort. Souvent, et c’est un fait, les fortes émotions sont liées aux chefs d’orchestre. “Le Nozze di Figaro” chanté à Florence avec le maestro Zubin Mehta par exemple et je me souviens avec émotion de la direction de Seiji Ozawa, de son style, de sa personnalité. Mais il y a aussi certains rôles et créations, ou des remplacements au pied-levé qui ont marqué ma carrière. Remplacer Natalie Dessay au dernier moment dans le rôle de Lucie, version française de “Lucia di Lammermoor” avec Roberto Alagna…passionnant ! Vous dites aimer la sincérité chez les chanteurs, avez-vous parfois des difficultés avec certains partenaires ? Oui, j’aime la sincérité en toutes choses et chez les chanteurs particulièrement. D’ailleurs le public le remarque, y est sensible et c’est pourquoi un chanteur est plus ovationné qu’un autre. Chanter avec un partenaire sincère, qui ne triche pas, au-delà du plaisir éprouvé, est d’un grand confort. Il ne me semble pas avoir eu des difficultés particulières avec mes partenaires et si cela est arrivé, je ne m’en souviens pas… Dit-elle avec un sourire.

Vous avez aussi abordé l’opéra contemporain, parlez-nous de ces nouvelles expériences. Je suis d’un naturel assez curieux et j’aime expérimenter des voies nouvelles. Evidemment chanter dans son répertoire est confortable, la technique acquise le permet, le bel canto aussi avec ses aigus où je me sens bien, mais il y a parfois des propositions assez tentantes dans le contemporain. Trois opéras différents me viennent à l’esprit. En 2019, une commande du Deutsche Oper de Berlin “Heart Chamber” de la compositrice israélienne Chaya Czernowin, une expérience magnifique et difficile pour l’utilisation de la voix, mais aussi très intense dans la mise en scène de Claus Guth. Philip Glass avec “Akhnaten” dont la musique répétitive est basée sur les sons. Une œuvre fascinante qui a donné lieu à une captation, à Nice, à cause du confinement en 2021. Ou encore cette autre création jouée au Théâtre d’Avignon en 2023 “Three lunar seas” de Joséphine Stephenson dans des vocalités différentes. Tous ces univers inhabituels, ces interprétations nouvelles changent évidemment du répertoire classique. Je pense qu’un opéra baroque entre-temps permet de replacer la voix, une sorte de nettoyage en fait, pour retrouver son timbre et sa vocalité. Et pourquoi pas un opéra composé pour ma voix ? Vous est-il arrivé de vous sentir déstabilisée par une nouvelle mise en scène ? Déstabilisée ? Je ne pense pas, remise en question des idées sur le rôle peut-être, mais entrer dans le personnage avec une autre vision, dans une autre approche et sortir de sa zone de confort, sûrement.  Est-il difficile d’entrer dans un personnage, difficile d’en sortir ? Être soi-même tout en étant une autre ? Il est évident qu’habiter un personnage pendant plusieurs semaines…mais il faut chanter tout en gardant sa personnalité, rester soi-même dans une interprétation autre, transformer les tensions en tensions positives. Il y a bien sûr des rôles qui vous marquent, suivant les mises en scène aussi, sortir de la folie (Ophélie, Lucia) par exemple, là il est important de se retrouver. Y-a-t-il des salles, des publics qui vous mettent plus à l’aise, des publics plus chaleureux ? Bien sûr il y a des lieux où l’on se sent mieux que d’autres, où chanter paraît plus facile et ce n’est pas uniquement dû à l’acoustique. Est-ce une question d’ondes ? Je pense aussi au rapport avec le public. Cela se ressent immédiatement, des ondes d’amour se dégagent, c’est assez magique. Le stress vient avec l’âge, c’est assez étrange, l’on penserait plutôt le contraire, mais on arrive à le gérer. L’échange avec le public, l’amour, le partage sont des choses importantes, primordiales.

Comment abordez-vous cette Comtesse après avoir été Susanna si souvent ? Je ne vous cacherai pas que c’était un peu étrange au début, puis l’on s’y fait et je me sens maintenant tout à fait Comtesse, les sentiments ont changé, Rosina a muri, elle pardonne à ce Comte volage qui lui aussi a vieilli… Dit-elle avec un sourire.  Vous avez souvent dit que vous aimeriez arrêter de chanter en étant Cio-Cio San la jolie Madama Butterfly, y pensez-vous encore ? Oui, je l’ai souvent dit. Un concert sera donné en juillet à Gordes en l’honneur de Raymond Duffaut qui a tant œuvré pour l’opéra et le chant, au Théâtre d’Avignon, aux Chorégies d’Orange…et il m’a demandé d’être cette Cio-Cio San, pour un court moment, dit-elle avec amusement. Est-ce un adieu ? Avec un petit rire : un adieu au rôle certainement. Il y a des mots définitifs que l’on ne prononce pas, la scène fait partie de moi depuis toujours mais j’enseigne maintenant à l’Ecole musicale de Fiesole où tout a commencé pour moi. Tout un symbole ! Je dois dire que j’éprouve aussi un immense plaisir à partager cet amour du chant, de la musique et du théâtre avec ces jeunes gens motivés et passionnés. La musique voyez-vous vous procure des plaisir infinis. Vous avez dit : la beauté sauvera le monde, y croyez-vous toujours ? Il faut y croire ! Il y a tant de beauté de par le monde. L’on ne se sent pas l’âme belliqueuse en contemplant un beau paysage. Merci madame Ciofi pour ce moment de partage musical et amical. Au plaisir de vous applaudir très bientôt.
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Venezia, Teatro La Fenice: la “Nona” di Beethoven secondo Daniele Rustioni

gbopera - Mar, 04/06/2024 - 20:29

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2023-2024
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Daniele Rustioni
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Soprano Ana Maria Labin
Mezzosoprano Veronica Simeoni
Tenore Francesco Demuro
Basso Adolfo Corrado
Ludwig van Beethoven: Sinfonia n. 9 in re minore per soli, coro e orchestra op. 125
Venezia, 31 maggio 2024
La Nona Sinfonia di Beethoven ebbe una lunga gestazione, tra l’altro, motivata dal problema della scelta del testo letterario, da inserire in una partitura tradizionalmente solo strumentale. Diversi furono i passaggi che portarono alla composizione di questo capolavoro: si parte da un Lied,“Gegenliebe” (1794), contenente una melodia, riutilizzata vari anni dopo (1808) nella Fantasia op. 80 e quindi – trasformata – nell’ultimo movimento della Nona, mentre l’idea di mettere in musica alcune strofe dell’ode di Schiller è testimoniata da vari appunti e abbozzi, del periodo compreso tra il 1798 e il 1815. Solo nel dicembre 1822 la Philharmonic Society di Londra commissionò a Beethoven la stesura della Nona Sinfonia con l’intervento del Coro e delle Voci, ad intonare i celebri versi di Schiller. Dedicata a Federico Guglielmo III di Prussia, essa venne presentata – contravvenendo agli impegni con Londra – a Vienna il 7 maggio 1824 nella sala del Theater am Kärntnertor. Il successo fu caloroso tra applausi, che – ahimè – il compositore non poteva sentire, e sventolare di fazzoletti bianchi. “Evviva, filosofia e musica!” scriveva Beethoven, intorno al 1820, in uno dei Konversationshefte (quaderni di conversazione). Beethoven aveva letto parecchi testi di Kant. La frase conclusiva della Critica della ragion pratica, così trascritta da Beethoven in uno di questi Quaderni – “La legge morale in noi ed il cielo stellato sopra di noi!” – ha un chiaro significato: la sfera morale trascende la finitezza dell’uomo rispetto al Cielo attraverso l’imperativo categorico. Peraltro, con Kant – Critica del Giudizio – Beethoven condivideva verosimilmente anche la convinzione che solo la musica è in grado di esprimere il sublime. E nella Nona questo si coglie in pagine “sublimi” come il terzo movimento, dove la Gioia – intesa nel finaleome slancio vitale, impegno ottimistico alla fratellanza tra tutti gli uomini, certi che in Cielo abita un Padre benigno – assume i tratti di un’intima, fiduciosa meditazione.
È quanto si è ascoltato, in particolare, nell’interpretazione di Daniele Rustioni, tra i più importanti direttori d’orchestra della sua generazione, tanto nel repertorio operistico che in quello sinfonico, riconosciuto Best Conductor agli International Opera Awards 2022. Anche in questa come in ogni parte della Sinfonia il maestro ha trovato la giusta dimensione espressiva, scevra da enfatizzazioni “preromantiche” e, invece, attenta a cogliere la complessa temperie culturale, che si rispecchia in questa partitura, incredibilmente innovativa. In essa Beethoven supera lo schema della forma sonata, fondata sui tradizionali due temi contrapposti, moltiplicando il materiale tematico, pur in una solidissima unità strutturale, assicurata dalle due matrici comuni da cui questo deriva: l’arpeggio degli accordi di re minore e di si bemolle. Siamo di fronte al Beethoven degli ultimi quartetti e delle ultime sonate per pianoforte, in cui ogni singola nota, ogni sequenza vive di vita propria.
Nel primo movimento – in cui Massimo Mila ha individuato fino a cinque gruppi tematici – a partire dall’incipit, costituito dalla celebre quinta vuota, evocante un’atmosfera primordiale, il maestro ha guidato con gesto autorevole l’orchestra, a misura che la musica prendeva forma, fino al primo tema seguito da un episodio contrappuntistico, ottenendo dalle varie sezioni prestazioni di alto livello, confermatesi – dopo la ripresa – nella vasta quanto irrituale coda, che altera la tradizionale struttura tripartita della forma sonata e riprende tutte le idee musicali che compaiono nel movimento.
Scattante, ma anche morbida l’orchestra nel successivo Molto vivace (uno Scherzo, inaspettatamente collocato da Beethoven al secondo posto tra i movimenti), in cui ha dominato il timpano in funzione solistica con la sua vigorosa pulsazione, oltre – in particolare nel più pacato Trio – ai legni e ai corni dialoganti con gli archi; il tutto reso con equilibrio, nell’intento di dare il giusto risalto alle varie parti dell’orchestra.
Intensamente espressivo il terzo movimento – in cui si alternano due temi pacati e lirici, il secondo dei quali sottoposto a variazioni – immerso in un’atmosfera di misteriosa attesa e caratterizzato da cantabilità e senso delle sfumature, rotondità di suono ed elegante espressivo fraseggio, fino alla fanfara conclusiva delle trombe, a presagire l’apoteosi del finale.
Il clou è stato, come sempre, l’esaltante movimento conclusivo, diviso in numerose sezioni con alternanza di tempi e caratteri diversi, aperto da un aspro accordo dissonante. Impeccabili per coesione e fraseggio i violoncelli e i contrabbassi nel recitativo, che apre l’introduzione orchestrale, a cui si alternano brevi citazioni dai movimenti precedenti della sinfonia, prima dell’esposizione del tema della Gioia, che Beethoven sottopone a un procedimento di accumulazione, affidandolo prima ai soli violoncelli e poi via via a gruppi sempre più nutriti di strumenti.
Piuttosto metallica – passando al quartetto vocale – la voce del basso Adolfo Corrado che, dopo il ritorno della dissonanza d’apertura, si è destreggiato nel difficile recitativo, preludendo all’intervento degli altri solisti vocali – il soprano Ana Maria Labin , il mezzosoprano Veronica Simeoni e il tenore Francesco Demuro –, che hanno dimostrato una ragguardevole professionalità. I quattro “soli” hanno intonato assieme al Coro – magistralmente istruito da Alfonso Caiani e capace di impeccabile dizione e intonazione – le strofe tratte dall’Ode di Schiller, inserite in quattro episodi musicali: il primo, in cui le voci riprendono ed elaborano il tema della Gioia; il secondo, che lo trasforma in una sorta di marcia alla turca; il terzo che propone il nuovo tema della fratellanza universale; il quarto, che combina contrappuntisticamente il tema della Gioia con quello della fratellanza, dando origine a una grande architettura sonora. Quindi – dopo l’ultima ripetizione del tema della Gioia, da parte del coro e dell’orchestra in fortissimo, seguita da una quantità di episodi secondari – la trionfale conclusione.
Pubblico osannante con calorosi tributi ai direttori (Rustioni e Caiani), al Coro, alle Voci e all’Orchestra.

 

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Roma, Teatro dell’Opera: Grande ritorno dell'”Otello” di Verdi

gbopera - Mar, 04/06/2024 - 10:34

Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2023/2024
“OTELLO”
Dramma lirico in quattro atti
libretto di Arrigo Boito dalla tragedia di William Shakespeare
Musica di Giuseppe Verdi
Otello GREGORY KUNDE
Desdemona ROBERTA MANTEGNA
Jago IGOR GOLOVATENKO
Emilia IRENE SAVIGNANO*
Roderigo FRANCESCO PITTARI
Lodovico ALESSIO CACCIAMANI
Montano ALESSIO VERNA
Cassio PIOTR BUSZEWSKI
Un Araldo LEO PAUL CHIAROT
*diplomata progetto “Fabrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Con la partecipazione del Coro di Voci Bianche del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Daniel Oren
Maestro del Coro Ciro Visco
Regia Allex Aguilera
Scene Bruno de Lavénere
Costumi Francoise Raybaud Pace
Luci Laurent Castaingt
Video Etienne Guiol e Arnaud Pottier
Allestimento dell’Opera di Montecarlo e dell’Opera Nazionale di Tbilisi
Roma, 01 giugno 2024
Assente dal palcoscenico del Teatro dell’Opera di Roma dal 2008, torna l’Otello di Verdi in un allestimento affidato alla direzione del maestro Daniel Oren ed alla regia di Allex Aguilera, titolo che nella storia del teatro ha avuto una presenza non rara ma discontinua, basti pensare che nessuno dei tre maggiori interpreti storici del periodo dopo Del Monaco, Cossutta, Vickers e Domingo l’ha eseguito nel teatro della capitale. Il regista e lo scenografo Bruno de Lavénere ambientano la vicenda in uno spazio architettonico fisso per tutti e quattro gli atti che ricorda il bellissimo Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia, immerso in una continua notte grigia e buia e che insieme ai costumi colloca l’opera in un ipotetico rinascimento se non fosse per una scala a chiocciola che conduce ad un praticabile con una ringhiera di metallo che attraversa il palcoscenico e che confonde un po’ la collocazione temporale. Poche idee interpretative sono apparse ma fortunatamente nessun elemento che disturbi lo svolgersi di una vicenda che funziona bene di per sé, ovviamente raccontata alla luce degli emendamenti in voga oggi, con un Moro di Venezia bianco, con i capelli lunghi e lisci e completamente spogliata da qualsiasi elemento che possa ricordare anche solo per un istante i simboli della cattolica Repubblica Serenissima. Dunque niente leoni di San Marco, vessilli, croci. Perfino Desdemona dirà la sua Ave Maria quasi fosse in forma di concerto, ferma in piedi fissando il nulla senza segnarsi né prima né dopo e senza un crocifisso, un’icona o un piccolo santino fra le mani davanti al quale raccogliere i suoi pensieri e confidare la sua premonizione della morte. Tra qualche anno probabilmente più che le note di regia, nei programmi di sala diventerà necessario mettere un saggio di qualche illustre antropologo alla moda che illustri il significato di certi brani musicali. Si starà a vedere. Per il momento però godiamoci il presente che sul versante musicale ha rivelato in maniera eccellente i tanti bei momenti di questa meravigliosa partitura. Il maestro Daniel Oren beniamino del pubblico romano e dell’Opera in particolare ha narrato la vicenda con la consueta sicurezza, chiarezza di concertazione, ricchezza nella timbrica e nella dinamica e soprattutto con un sapiente uso delle pause nell’accompagnare le voci e nel creare il giusto clima di attesa dei tanti arcinoti momenti dell’opera. Il coro in autentico stato di grazia, diretto dal maestro Ciro Visco ha offerto una prova davvero macroscopica. Musicalmente inappuntabile negli attacchi e nella conclusione delle frasi sempre pulite e in sincronia, ha sfoggiato sonorità morbide e rotonde anche negli acuti più estremi e in tutto l’arco della ricca dinamica sonora, compresi i non pochi momenti di “fortissimo” così come nei “pianissimo” e riuscendo a illustrare musicalmente il balenio delle faville del “Fuoco di gioia”. Nel ruolo eponimo il tenore Gregory Kunde ha dato una grande prova in un ruolo che mostra di dominare ancora bene a dispetto della onerosità della parte e della sua età, non ce ne voglia ma crediamo che possa andarne orgoglioso, non più giovanissima. Il suo è un Otello più in linea con uno stile interpretativo basato sulla parola e soprattutto sulla ricchezza del fraseggio musicale che non sulle pur espressive esuberanze della tradizione, di grande fascino, eleganza e profondità. La voce pur soffrendo di qualche assottigliamento nel registro medio grave, in alto squilla ancora magnificamente senza durezze o forzature, libera da qualsivoglia traccia di velatura senile e pronta ad essere piegata efficacemente alle tante sfumature cercate dall’interprete. Al suo fianco abbiamo apprezzato la orgogliosa compostezza della Desdemona cantata da Roberta Mantegna che nella purezza di una linea di canto elegante, solida e priva di sforzo ha trovato una cifra musicale espressiva intensa e convincente. La concentrazione nelle pause del testo dell’ “Ave Maria” in sintonia con il direttore, sembrava veramente lasciar spazio a quei pensieri del personaggio che possono scaturire mentre si mormora una preghiera prima di addormentarsi. Jago era impersonato dal baritono Igor Golovatenko con un giusto equilibrio tra le molte sfaccettature che la parte richiede, senza mai cadere nella facile trappola di una caratterizzazione di genere e soprattutto cantato con voce sicura, ampia e una perfetta dizione. Cassio è stato interpretato con bella voce e la necessaria eleganza scenica da Piotr Buszewski. Tutti infine molto bravi musicalmente e sul piano espressivo gli interpreti dei ruoli minori fra i quali vogliamo ricordare il Montano di Alessio Verna e l’Emilia di Irene Savignano. Alla fine lunghi ed affettuosi applausi per tutti. Photocredit@FabrizioSansoni . Recite sino al 12 giugno 2024.      

 

   

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Asti Lirica 2024

gbopera - Lun, 03/06/2024 - 22:42

Nel ricco quadro delle proposte estive dell’Amministrazione comunale torna «Asti Lirica». La rassegna, alla sua seconda edizione, si articola in 5 appuntamenti fra giugno e settembre che avranno luogo in diversi spazi della città più un momento di apertura e di chiusura.Si inizia il 9 giugno (ore 17,30) al Teatro Alfieri con il concerto dei finalisti del XXXII Premio Koliqi. Organizzato dal Rotary club San Babila di Milano, il premio è rivolto a giovani cantanti lirici e direttori d’orchestra. La commissione giudicatrice è presieduta da Massimo Marnati ed è composta dal baritono Roberto De Candia, dal musicista e didatta Loris Peverada, da Markus Laska dell’agenzia «Melos», nonché da Cristina Ferrari, sovrintendente e direttore artistico del Teatro Municipale di Piacenza, Andrea Sanguineti, General Musik Direktor dell’Aalto Theater di Essen, Giovanni Di Stefano, presidente e direttore artistico dell’Opera Giocosa di Savona; Renato Bonajuto, regista e direttore artistico di «Asti Lirica», Matteo Beltrami, direttore d’orchestra, e Alberto Bazzano, critico musicale della rivista «L’opera». Durante la finale, l’Opera Synphony Orchestra, guidata da chi ha primeggiato nella categoria dei direttori d’orchestra, accompagnerà i cantanti selezionati nell’esecuzione del migliore repertorio dell’opera italiana.
Il 12 giugno (ore 21,30), nel cortile del Palazzo del Michelerio, è la volta di un celebre titolo del teatro musicale «giocoso»: Il barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini. Oltre a due eccellenze del territorio: Enrico Iviglia nei panni del Conte d’Almaviva e Stefano Marchisio in quelli di Bartolo, la locandina annovera Diego Savini (Figaro), Barbara Massaro (Rosina), Zhang Yduo (Basilio) e Claudia Ceraulo (Berta). L’Orchestra delle Terre Verdiane e il Coro dell’Opera di Parma saranno diretti da Sirio Scacchetti, mentre la regia è affidata ad uno dei nomi più prestigiosi della scena italiana: Davide Garattini Raimondi.
Il 2024 è l’anno di Giacomo Puccini. Ricorrono, infatti, i cent’anni dalla sua scomparsa. Per questo motivo «Asti Lirica», dopo il gran successo della Tosca dello scorso gennaio (sold out al Teatro Alfieri), onora la memoria del sommo maestro toscano con un “Gran concerto pucciniano“. Nel corso del «Galà», il 27 giugno al Palazzo del Michelerio, il tenore Diego Cavazzin, il soprano Martina Gresia ed il soprano Ksenia Bomarsi si produrranno nelle pagine più note del repertorio pucciniano.
A seguire, il 3 luglio, un tuffo nel Barocco e nella musica con un doppio concerto in un’unica sera in uno degli spazi culturali più suggestivi della città. Nella splendida cornice della chiesa di San Pietro in Consalve (meglio nota come il complesso del Battistero) il soprano Chiara Pontoriero e il controtenore Gustavo Argandoña saranno protagonisti di un concerto dal titolo «Tra sospiri e furori d’amore» (ore 21,00). Accompagnati dall’Orchestra Les Arches du Roi, diretta dal primo violino Michele Alziati, eseguiranno musiche di Claudio Monteverdi, John Bennet e Georg Friedrich Händel. Ingresso libero. A seguire (ore 22,15), la stessa sera, sempre al Battistero, «Armonie celesti». Il coro polifonico Ensemble Vocale Novharmony, composto da giovani musicisti, sarà impegnato sul versante del repertorio sacra. Il programma ad ampio raggio prevede pagine di Adriano Banchieri, Josquin Des Prez, Giovanni Pierluigi da Pastrina, Loyset Compère, Gregorio Allegri, Johann Kuhnau, Bruno Bettinelli, Maurice Duruflé, Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini, Ola Gjeilo e Robert Schumann. Ingresso libero.
Il 4 luglio (ore 21,00) il Teatro Alfieri ospiterà i Carmina burana, cantata scenica di Carl Orff, composta fra il 1935 e il 1936 ed ispirata ad una raccolta di canti medievali goliardici reperita in un codice del XIII secolo. Lo spettacolo, prodotto dal Teatro dell’Opera Giocosa di Savona, avrà quali interpreti il soprano Irene Celle, il baritono Michele Patti, il tenore Raffaele Feo e il Coro Philarmonia, guidati dalla bacchetta di Giovanni Di Stefano. L’esecuzione dei Carmina burana sarà preceduta dal Requiem SC76 per coro, viola solista e organo di Giacomo Puccini in memoria di Giorgio Faletti nel giorno del decimo anniversario della scomparsa dell’illustre astigiano.
Il 7 luglio (ore 21,00) sarà la volta di un grande classico dell’operetta, La vedova allegra di Franz Lehár. Ad eseguirla al Teatro Alfieri sarà il soprano Renata Campanella che vestirà i panni di Anna Glavari. Sul podio, Stefano Giaroli guiderà l’Orchestra Sinfonica delle Terre Vediane e il Coro dell’Opera di Parma. La produzione è di Teatro Musica Novecento.
«Asti Lirica» si chiude il 17 settembre con un incontro fra parole e musica al Teatro Alfieri ad ingresso libero. Grande protagonista sarà Fabio Armiliato, uno dei più acclamati tenori al mondo. Già nel 2002, proprio al Teatro Alfieri di Asti, ricevette il prestigioso Premio Aureliano Pertile. A quarant’anni dal suo debutto, avvenuto a Genova nel Simon Boccanegra di Verdi, Armiliato presenterà il libro autobiografico «Una vita in canto (l’alchimia della voce)», ricco riflessioni sulla vita e sulla musica. Il tenore, in uno speciale momento pensato per il Teatro, eseguirà alcune arie d’opera accompagnato anche dai suoi allievi, e racconterà aneddoti e retroscena della vita di un cantante lirico.
Biglietti 12 euro (ridotto 10 euro per abbonati stagione teatrale, possessori Kor Card e tessera plus Biblioteca Astense, allievi Istituto Verdi, under 25 e over 65). Biglietti disponibili alla cassa del Teatro Alfieri, aperta martedì e giovedì con orario 10-17, e nei giorni di rappresentazione anche dalle 19 alle 21. Per informazioni: tel. 0141.399057/399040

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Daniel Harding e Frank Peter Zimmermann per l’ultimo concerto della stagione dell’orchestra RAI dei più importanti violinisti della sua

gbopera - Lun, 03/06/2024 - 20:15

Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, di Torino, Stagione Sinfonica 2023-24.
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Daniel Harding
Violino Frank Peter Zimmermann
Ottorino Respighi: Concerto gregoriano per violino e orchestra P.135 Gustav Mahler: Sinfonia n.1 in RE Maggiore “Titano”
Torino, 31 maggio 2024
Per il concerto di fine stagione nell’Auditorium RAI si cimentano due musicisti quanto mai noti ed apprezzati. Daniel Harding, fresco di nomina alla direzione musicale dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, lasciata, al massimo della forma, da Sir Antonio Pappano e Frank Peter Zimmermann che, col suo Stradivari “Lady Inchiquin” 1711, è una punta di forza del violinismo dei nostri tempi. I due artisti, che da tempo, si esibiscono e fanno tournées in comune, presentano, in apertura di serata, il raro Concerto Gregoriano del 1921 di Ottorino Respighi. Nel 1919 Respighi aveva sposato la musicista e sua allieva, Elsa Olivieri Sangiacomo, studiosa di musica medioevale e di gregoriano. Da questo sodalizio affettivo-culturale nesce l’impegno di Respighi nell’ ispirarsi e rielaborare antiche melodie modali gregoriane. L’operazione che poteva unirlo, nel ritorno alle origini auspicato da Verdi, ai progressi compiuti da altri coevi musicisti europei e da Stravinskij, ebbe per lui l’effetto opposto di isolarlo in un angolo molto poco praticato. Anche il Concerto Gregoriano, partito malamente nel 1923 con uno stentato successo “di stima”, si è visto relegare a sole sporadiche rivitalizzazioni. A Torino era assente da ben un quarto di secolo. Zimmermann, che sognava di eseguirlo fin da quando aveva cinque anni, così nell’intervista con l’ottima Susanna Franchi della RAI, l’ha suonato, per la prima volta, tre mesi fa a Varsavia per poi portarlo qui a Torino. L’impegno richiesto al violinista è massimo anche se non ostentato. È un virtuosismo che non vuole essere invadente. Sempre molto discreto, seppur il carico di note da eseguire sia infinito ed impressionanti le difficoltà da affrontare. Respighi era lui stesso un violinista di gran vaglia e conosceva tutti i segreti della pratica dell’archetto. Come nel caso dei 29 concerti di Viotti, a cui forse Respighi si ispira, è carente l’afflato lirico e mancano le lunghe melodie che ben dispongono il pubblico e soprattutto fanno ricordare l’opera. Tre tempi che attingono alle melopee di modalità gregoriana che si variano poi lungo il percorso del concerto. Mancano quindi i temi contrastanti tipici del classicismo tedesco, è quindi assente la drammatizzazione che vivacizza il racconto. Qui è tutto piano e sussurrato. Il secondo tempo, Andante espressivo e sostenuto, viene costruito sulla melodia gregoriana del Victimae Paschali Laudes e il finale Allegro Energico su un trionfale Alleluja. Mentre per tutta l’opera l’orchestrazione è raffinatamente leggera, non per nulla Respighi poteva anche vantare la scuola di Rimskij-Korsakov, nel finale convivono sprazzi del rutilante trionfalismo del Trittico Romano con oasi prettamente cameristiche. Non si può non evidenziare la ripetuta accoppiata, per molti aspetti inedita, timpano-violino solista, qui magnificamente sostenuta dallo Stradivari di Zimmermann e dalle mazzette di Biagio Zoli. Harding ha bene interpretato la sua parte dando all’insieme quadratura discreta e sicura di percorso. Successo caloroso e due fuori programma del violinista. Erlkönig (Re degli Elfi) è forse il Lied più emblematico e struggente del giovane Schubert, se non dell’intero repertorio liederistico, l’anonima trascrizione per violino solo, iperbolica per difficoltà, ne ha annientato il fascino. È sicuramente un testo non adatto al virtuosismo autoreferenziale che lo fa suonare blasfemo. Secondo fuori-programma: la Sarabanda dalla Prima partita per violino solo di Giovanni Sebastiano Bach. Zimmermann, con un’esecuzione accuratissima e filologica, ha brillantemente introdotto, nei “da capo”, la giusta dose di variati abbellimenti. Ripetuti gli applausi che testimoniano l’entusiasmo dei molti convenuti.
L’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, in una disposizione spaziane non consueta, nella Sinfonia n.1 “Titano” di Mahler, ha ripreso la centralità che risultava un poco offuscata in Respighi. Harding, conduttore preparatissimo, sicuro ed affidabile di masse orchestrali, da Mahler non si fa emozionare e, forse, neppure emoziona. Nell’immensa sinfonia vaga per campi e per lieder del Viaggiatore Errante, osserva passerotti e paesaggi con lo stesso spirito con cui si suole guardare alle fotografie scattate da parenti e amici in ricordo di vacanze estive e invernali. L’inglese autocontrollo, che l’ha promosso e patentato pilota di Jet commerciali, lo sostiene in questa traslucida oggettivazione del marasma Mahleriano. L’Orchestra Sinfonica Nazionale RAI lo segue splendidamente con una delle prestazioni più smaglianti della stagione. Dai fastosi contrabbassi, agli ottoni, ai legni, agli archi e alle percussioni, se si potesse, si dovrebbero nominare e lodare tutti singolarmente e in solido, ringraziandoli per le tante ore di bellezza offerteci. Harding viene inevitabilmente inneggiato dal numeroso pubblico che, finalmente, colma l’Auditorium RAI. I ringraziamenti reciproci e gli omaggi vicendevoli tra podio, leggii e pubblico perdurano, siglano così l’indubbio successo pieno della serata.

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Bologna, Comunale Nouveau: “Don Giovanni”

gbopera - Lun, 03/06/2024 - 17:45

Bologna, Comunale Nouveau, Stagione dOpera 2024
“DON GIOVANNI”
Dramma giocoso in due atti su libretto di Lorenzo da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Don Giovanni VINCENZO NIZZARDO
Il Commendatore ABRAMO ROSALEN
Donna Anna VALENTINA VARRIALE
Don Ottavio ANIBAL MANCINI
Donna Elvira ALESSIA MEREPEZA
Leporello FRANCESCO LEONE
Masetto NICOLÒ DONINI
Zerlina LETIZIA BERTOLDI
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Martijn Dendievel
Maestro del Coro Gea Garatti Ansini
Regia e scene Alessandro Talevi
Costumi Stefania Scaraggi
Luci Teresa Nagel
Video Marco Grassivaro
Maestro al Fortepiano Anna Dang Anh Nga Bosacchi
Nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna
Bologna, 31 maggio 2024
Trilogia parte due dopo le Nozze colme d’idee dello scorso anno: per Dendievel-Talevi è la volta del Don Giovanni. La sfida del regista è doppiamente audace: alte le aspettative e sue le scene, le stesse delle Nozze, un intrico di moduli variamente componibili con gran numero di porte e finestre. Alessandro Talevi lascia qualche perplessità come regista al tavolino: quando, per esempio, inventa un portale spazio-temporale grazie al quale Don Giovanni può sedurre donne di tutte le epoche, e mettere così nei pasticci Stefania Scaraggi coi costumi. Ma esalta come regista sul palcoscenico (là dove forse un regista dovrebbe stare): quando, per esempio, il padrone decide di vestire i panni del servo e scopre che puzzano. Ecco, quel minuscolo gesto rivela un uomo che sa fare del teatro. E rivela invece il sempre più raro sano e saggio professionismo l’accortezza di far scendere il gelo fra i contadinelli festanti all’arrivo di Don Giovanni, giustificando così il suo dire: “Seguitate a stare allegramente, seguitate a suonar, o buona gente”. In generale, forse, il lavoro della regia dovrebbe concentrarsi su queste questioni capillari, più che su quelle capitali della struttura drammatica, dell’architettura fondamentale di un’opera. Per quanto ardito, si può tentare un parallelismo in questo senso con la direzione di Martijn Dendievel: fresca e vibrante, dal piglio teatrale vigoroso, in generale più attenta al dettaglio che al panorama. Il che non è affatto un male, se un fraseggio eccentrico illumina angoli negletti. E poi è un piacere seguire il suo gesto loquace e puntuale: come molti giovani direttori, Dendievel dirige moltissimo e, come pochi giovani direttori, si sente. Protagonista  è Vincenzo Nizzardo, un Don Giovanni dal bel timbro luminoso e morbido, schietto ed elegante, che fa molto bene anche sulla scena pur senza essere un incantatore. Il suo Leporello, Francesco Leone, è un simpatico Charlot, ma tutt’altro che muto: la voce è più scura di quella del padrone ma sempre brillante di gioventù, qualità graditissima per ruoli come questi. Il Commendatore, nello spettacolo una sorta di Francesco Giuseppe beone e basettone, è invece granitico e sonoro nella voce di Abramo Rosalem. La Donna Anna di Valentina Varriale sembrava un po’ affilata ad inizio recita, ma ha guadagnato man mano rotondità e morbidezza fino ad un Non mi dir dal magnifico legato. Da subito piena, voluminosa e voluttuosa, generosa di armonici è invece apparsa la voce di Alessia Merepeza, Donna Elvira. Il raffinato e femmineo Don Ottavio è l’immancabile sconfitto di ogni Don Giovanni, nonostante il bel timbro e l’eleganza sfumata della voce di Anibal Mancini fugge “imbarazzata” alle lunghe fioriture della sua seconda aria. La coppia popolana:  Letizia Bertoldi è la vispa Zerlina, brillante e sagace, come il suo solido Masetto, Nicolò Donini, col quale ha una bella complicità scenica. Resta ora il Così fan tutte, a chiudere questa trilogia che resterà senz’altro fra gli esiti migliori dell’”era Nouveau”.

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Roma, VIVE: “L’ultimo ritratto: Mazzini e Lega, storie parallele del Risorgimento” sino al 08 settembre 2024

gbopera - Dom, 02/06/2024 - 11:39

Roma, VIVE. Vittoriano e Palazzo Venezia
L’ULTIMO RITRATTO: MAZZINI E LEGA, STORIE PARALLELE DI RISORGIMENTO
a cura di Edith Gabrielli
consulenza storica di Giuseppe Monsagrati
patrocinata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, è promossa e organizzata dal MiC e dal Vive
in collaborazione con la Direzione generale musei del MiC
guidata da Massimo Osanna, e d’intesa con l’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, diretto da Alessandro Campi
Al Vittoriano una mostra dedicata a Mazzini e all’opera di Silvestro Lega
“L’ultimo ritratto: Mazzini e Lega, storie parallele del Risorgimento” che resterà aperta fino al prossimo 8 settembre a Roma, presso la Sala Zanardelli del Vittoriano. Al centro del progetto espositivo ‘Gli ultimi momenti di Giuseppe Mazzini’ di Silvestro Lega, un dipinto di straordinaria intensità, oltre che di assoluto rilievo artistico, in cui il padre della Patria viene ritratto qualche ora prima della morte in tutta la sua fragile e composta umanità, ribadendo il ruolo centrale della pittura nel processo di trasmissione della memoria storica.  Ad oggi conservata nel Museum of Art, Rhode Island School of Design di Providence (Usa), grazie alla volontà del ministero della Cultura e all’impegno diplomatico degli Uffici di diretta collaborazione del ministro Sangiuliano, l’opera – una delle icone del nostro Risorgimento – viene esposta al Vittoriano, simbolo per eccellenza del Risorgimento, della Repubblica e dell’identità storica, artistica e culturale italiana. L’esposizione, a cura di Edith Gabrielli, direttrice del Vive – Vittoriano e Palazzo Venezia, con la consulenza storica di Giuseppe Monsagrati, patrocinata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, è promossa e organizzata dal MiC e dal Vive, in collaborazione con la Direzione generale musei del MiC, guidata da Massimo Osanna, e d’intesa con l’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, diretto da Alessandro Campi. “Il Vittoriano, la Casa del Risorgimento italiano – dichiara il ministro Sangiuliano – è il luogo naturale per ospitare la mostra dedicata a Giuseppe Mazzini, che di quel processo storico fondativo della Nazione è colui che meglio ha incarnato i valori e personificato le gesta. La dimensione del suo impegno e la sua statura politica hanno travalicato i confini della storia italiana per farne un esponente di peso del pensiero occidentale, come dimostra il fatto che ‘Gli ultimi momenti di Giuseppe Mazzini di Silvestro Lega’, simbolo iconico di questa mostra, provenga dal Museum of Art, Rhode Island School of Design di Providence dove è custodito negli Stati Uniti. Il Ministero della Cultura si è adoperato per ottenerne il prestito e, insieme a oltre sessanta opere, sarà esposto a beneficio del pubblico che potrà così riavvicinarsi a questa grande figura della nostra Patria”. Il ministro poi, a proposito del dipinto di Lega, ha auspicato che “un giorno si riesca ad acquisirlo”. Silvestro Lega, fervente mazziniano e seguace degli ideali repubblicani, concepì l’opera il 12 marzo del 1872 a Pisa, nella casa di Pellegrino Rosselli e di sua moglie Janeth Nathan, direttamente al cospetto del corpo di Giuseppe Mazzini – morto lì due giorni prima sotto lo pseudonimo di George Brown – restituendone un’immagine del tutto inedita e lontana da quella ufficiale di eroe severo e imperturbabile che Mazzini stesso aveva contribuito a creare. Il capolavoro di Lega dimostra la capacità della pittura, strumento interpretativo e critico di eccellenza, di competere con altre forme di conservazione della memoria pubblica dei grandi del Risorgimento, in primis con la litografia e la fotografia. “Il Vittoriano, sede dell’Altare della Patria, rappresenta il più importante monumento che lo Stato italiano ha dedicato al Risorgimento e dunque anche a Giuseppe Mazzini. L’eredità dei valori mazziniani – afferma Edith Gabrielli – la si rintraccia in molte parti del complesso, quali i gruppi scultorei in bronzo raffiguranti ‘Il Pensiero e L’Azione’. È inoltre sempre qui, nel Vittoriano, che si trovano il Museo centrale del Risorgimento e l’Istituto per la storia del Risorgimento italiano: l’uno e l’altro custodiscono reliquie e documenti mazziniani di grande importanza. Questa mostra – ha sottolinea Gabrielli – mette a fuoco il ruolo centrale delle arti figurative nella creazione e nella memoria della coscienza nazionale, un ruolo che Mazzini stesso definì nei suoi scritti. In quest’ottica si capisce perché il pensatore genovese volle personalmente definire la propria immagine pubblica, un’immagine che poi Silvestro Lega avrebbe scardinato in un suo dipinto“. La mostra, organizzata su due piani, è suddivisa in quattro sezioni e si completa con una sala immersiva che, attraverso la tecnologia digitale, consente al visitatore di sperimentare con un linguaggio nuovo quanto già osservato nelle sezioni analogiche. Dedicato alla figura di Giuseppe Mazzini, il percorso espositivo del primo piano si apre con un’importante e recente acquisizione da parte dell’Istituto Vive: il Busto di Giuseppe Mazzini eseguito dallo scultore pavese Giovanni Spertini nel 1878, lo stesso anno in cui, alla morte di Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, lo Stato concepì l’idea di realizzare un monumento in sua memoria, il Vittoriano appunto. Qui per gli approfondimenti ed informazioni.

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