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Musica corale

Bayreuther Festspiele 2023: “Siegfried”

gbopera - Mar, 01/08/2023 - 17:25

Bayreuther Festspiele 2023, Festspielhaus Bayreuth, 2023.
SIEGFRIED”
Seconda giornata in tre atti
Libretto e musica di Richard Wagner
Siegfried ANDREAS SCHAGER
Mime ARNOLD BEZUYEN
Il Viandante TOMASZ KONIECZNY
Alberich OLAF SIGURDARSON
Fafner TOBIAS KEHRER
Erda OKKA VON DER DAMERAU
Brünnhilde DANIELA KÕHLER
Voce dell’uccello della foresta ALEXANDRA STEINER
Orchestra del  Bayreuther Festspiele.
Direttore Pietari Inkinen
Regia Valentin Schwarz
Scene Andrea Cozzi
Costumi Andy Besuch
Drammaturgia Konrad Kuhn
Luci Reinhard Traub
Bayreuth, 29 luglio 2023.
Nonostante le continue incoerenze, incongruenze e concessioni a gag gag e allusioni di questo  Ring di Schwarz, in questa seconda giornata, il Siegfried, c’è molto che accende l’immaginazione e rende la trama riconoscibile; la relatività al presente, ci informano le note di programma, essendo la premessa fondamentale del regista. A questo proposito, il secondo atto ci è parso il più riuscito Ma partiamo dal primo atto che ripropone la casa che era di  Hunding nel primo atto di  Die Walküre. Qui troviamo Mime, il padre adottivo di Siegfried che organizza una festa di compleanno per il figliastro, con tanto di palloncini e trucchi magici. Difficile collegare una festa di compleanno per bambini con un ragazzo, decisamente cresciuto e che si presenta pure  ubriaco. Qui è prevista l’apparizione della spada, sia come tema musima anche fisicamente. La vediamo in una versione giocattolo in plastica e poi come una vera e propria estratta dall’interno di una stampella. Andreas Schafer (Siegfried) e Arnold Bezuyen (Mime), si lanciano con grande convinzione nella resa dei rispettivi ruoli. In particolare Arnold Bezuyen spicca per il fraseggio sempre ben evidenziato, con un’articolazione tagliente. La sua voce  si piega ad arte per evidenziare  tutte le implicazioni del testo, diventando piagnucolosa, o carica di lusinghe o indignazione. Dal canto suo,  Andreas Schager ha dato a Siegfried la piena ed estroversa energia che ben si addice al ruolo. Tomasz Konieczny è un un  Viandante estroverso e appassionato, nella scena con Mime sarebbe stato più interessante un approccio più sottile, meno estroverso. Il secondo atto è ambientato in un loft di lusso dove il gigante Fafner, un magnate (forse chiamato “Drago” per il suo staff) è costretto a letto. È posizionato con le spalle al pubblico, un espediente intelligente per aumentare la sensazione di inavvicinabilità, evidenziata nel testo e nella musica. Tobias Kehrer gli presta una voce adeguatamente cavernosa, solida, chiara nel fraseggio. Al suo capezzale c’è una figura silenziosa e che scopriamo (dalle note del regista) essere Hagen, che come il ragazzo rapito in Das Rheingold dovrebbe personificare l’anello. Rapito nuovamente dai giganti, è un silenzioso testimone dell’atmosfera malsana che lo circonda, creando così un profilo psicologico per  quello che sarà Hagen nel  Götterdämmerung. Altro autentico dominatore della scena è Olafur Sigurdarson vocalmente dinamico ed espressivo trasmette le sfumature della rabbia interiore e del risentimento, della determinazione e dell’ambizione. Lui e Arnold Bezuyen formano una formidabile coppia nei panni dei fratelli litigiosi. L’uccello dei boschi è cantato da Alexandra Steiner qui trasformata in una inserviente della casa di Fafner e come tale diventa il confidente di Siegfried, anche nella  sua ricerca e del risveglio  di “altro”. La Steiner mette in luce una vocalità piena e ricca, lontana dalla tradizionale visione “leggera” di questo personaggio. Nell’Atto terzo, dopo un duro confronto prima tra un disperato Wotan e una ferma e autorevole Erda, cantato eloquentemente interpretata da Okka von der Damerau, segue l’altrettanto duro  scontro tra Wotan e Siegfried,  incontriamo la vocalità morbida e generosa della Brunnhilde di Daniela Köhler, che bene si amalgama con quella del  Siegfried risoluto ed esuberante di Andreas Shager. Qui sicuramente la serata tocca il climax emotivo più alto…..ma solo dopo che lui le avrà tolto le bende post-lifting. Non privo di passaggi che esprimono tenerezza, desiderio e meraviglia, forse si poteva dare più spazio a una tensione drammatica più serrata per guidare la scena verso la sua tanto agognata conclusione.L’orchestra sotto la guida di Pietari Inkinen ancora una volta ha dato prova di altissima precisione e professionalità mettendo in luce caratteri, colori e sfumature. Dopo ogni atto grandi applausi per il cast, l’orchestra e il direttore.
English version
Notwithstanding the continuing inconsistencies, incongruities and concessions to sight gags and innuendos in Schwarz’s production of the Ring, on the third evening of the cycle in Siegfried there is much that fires the imagination and makes the storyline relatable; relatability to the present, we are informed in the programme notes, being the basic premise of the director. In this respect, the second act is probably the most successful. The first act, set in Hunding’s repurposed house from Act 1 of Die Walküre, presents us with Mime, Siegfried’s foster father organizing a birthday party for him with balloons and magic tricks. Difficult to connect a children’s birthday party with an overgrown lad who arrives drunk. Finally, in this the third part of the saga, the much musically referenced sword appears, first as a toy plastic version and later a real one extracted from inside a crutch. Andreas Schafer, Siegfried, and Arnold Bezuyen, Mime, throw themselves into their respective role playing with determination. Arnold Bezuyen’s every word is pronounced with razor sharp articulation, his voice moulded artfully to reflect the full implications of the text, characterizing his vocal colour accordingly; whining pitifully, blustering, cajoling or indignant. Tomasz Konieczny matches him with an impassioned Wanderer, although it would have been a welcome contrast if a more intimate and less projected delivery had been adopted during the enigma scene with Mime. Andreas Schager’s high spirited Siegfried gave full vent to his unrestrained energy and extroverted Helden tenor. Act 2 is set in a luxury loft where the Giant Fafner, a magnate (perhaps a dragon to his staff) is bedridden. He is strikingly positioned with his back to the audience, a clever device to heighten the sensation of unapproachability, highlighted in the text and music. Tobias Kehrer’s cavernous and steadfast vocal portrayal, perfectly clear and balanced adds gravitas to the intimidating effect. Devotedly at his bed-side is a non singing figure we discover in the programme notes to be Hagen, who as the kidnapped boy in Das Rheingold is meant to personify the ring. Rekidnapped by the giants, he is a silent witness to the poisoned atmosphere surrounding him providing us with a psychological profile for his future behavior in Götterdämmerung. A vocally dynamic and expressive Olafur Sigurdarson conveys the nuances of Alberich’s inner rage and resentment, determination and ambition. He and Arnold Bezuyen form a formidable duo as the squabbling brothers. The woodbird sung by Alexandra Steiner is personified as an auxiliary carer of the Giant/dragon/aged magnate and as such becomes Siegfried’s confidant. In his search for “the other,” she is subjected to his awakening and unwarranted attentions. His awkward attempts and rebuttals are very effectively aligned with the solo oboe’s intentionally clumsy playing, originally meant to ape Siegfried’s unsuccessful attempts to play the flute. Beautifully executed although Steiner’s voice is much fuller and richer than the sound usually chosen for his role. Again, a customary lighter, purer quality would have provided a welcome contrast to the unremitting full-blown flow. It follows then, that Mime’s real intentions are not revealed by a woodbird but are self-betrayed while in a drunken state, having liberally helped himself to the drinks cabinet. In Act 3, after a strong confrontation first between a desperate Wotan and a firm and authoritative Erda, sung eloquently by Okka von der Damerau, followed by the clash between Wotan and Siegfried, it is left to the smooth, generous and effortless singing of Daniela Köhler’s Brunnhilde, and Andreas Shager’s steadfast and exuberant Siegfried to bring the evening to its emotional climax…..but only after he has removed her post face-lift bandages. Not devoid of passages expressing tenderness, longing and wonderment, there was room for a tighter dramatic tension to help drive the scene to its much yearned crowning conclusion. The orchestra under the guidance of the conductor Pietari Inkinen performed to their usual high standards conveying the underlying characters and colours with awareness and precision. After each act unreserved cheering for the cast, orchestra and conductor.

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Roma, Caracalla festival 2023: La traviata

gbopera - Mar, 01/08/2023 - 11:24

Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2022/202
Terme di Caracalla
“LA TRAVIATA”
Opera in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave,
da La Dame aux camelias di Alexandre Dumas figlio.
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valéry FANCESCA DOTTO
Flora Bervoix  EKATERINA BUACHIDZE*
Annina  MIRIAM SULEIMAN*
Alfredo Germont GIOVANNI SALA
Giorgio Germont  CHRISTOFER MALTMAN
Gastone, Visconte di Létorières NICOLA STRANIERO*
Il Barone Douphol ARTURO ESPINOSA**
Il marchese D’Obigny MATTIA ROSSI*
Il Dottor Grenvil VIKTOR SCHEVCHENKO
Un commissario FABIO TINALLI
Un domestico DANIELE MASSMI
Giuseppe MICHAEL ALFONSI
** diplomato progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro
dell’Opera di Roma
*dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra,Coro e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Paolo Arrivabeni
Maestro del Coro Ciro Visco
Regia Lorenzo Mariani
Scene  Alessandro Camera
Costumi Silvia Aymonino
Movimenti Coreografici e collaboratore alla regia Luciano Cannito
Luci Christian Rivero
Video a cura di Fabio Iaquone e Luca Attili
Allestimento del teatro dell’Opera di Roma
Roma, 28 luglio 2023
Per la stagione operistica estiva delle Terme di Caracalla è stata scelta la ripresa dell’allestimento de La traviata di Verdi concepito da Lorenzo Mariani per la stagione del 2018 e affidato questa volta alla direzione del maestro Paolo Arrivabeni. Le perplessità avute in occasione della precedente realizzazione sono nella sostanza state tutte confermate. L’idea del regista è infatti quella di ambientare la vicenda negli anni della dolce vita romana con ampie citazioni cinematografiche ovviamente tratte dal film Fellini. Violetta diviene una diva cinematografica che deve ricevere un premio assediata da paparazzi, la sua casa nel primo atto diviene via Veneto con tanto di pizzardone metropolitano che fischia ad inizio d’atto stile Alberto Sordi e vespa d’ordinanza à la Gregory Peck. Il secondo atto anziché in campagna si svolge in una imprecisata località marina che sembrerebbe suggerire i luoghi più in voga in quegli anni immortalati dal cinema coevo o forse, chissà, la spiaggia di Capocotta teatro di festini e del triste e mai chiarito delitto Montesi che tanto turbò l’opinione pubblica dell’Italia del dopoguerra. La festa a casa di Flora si svolge all’insegna del più spinto cattivo gusto con la padrona di casa in tenuta sado-maso e tutti che si abbandonano a gesti di esplicita quanto inutile volgarità. L’epilogo infine si svolge tra le rovine della scenografia del primo atto, tra i paparazzi schierati a guisa di avvoltoi e con Violetta che riesce a stare molto in piedi e anche a salire per un attimo su una vespa per sognare di lasciare Parigi insieme al suo Alfredo nonostante l’imminenza della morte, probabilmente grazie all’endovenosa praticatagli dal dottore senza laccio emostatico, vero virtuosismo di tecnica sanitaria. Infine l’esclamazione “è spenta” del dottore cade fuori tempo, con Violetta ancora ostinatamente in piedi e dunque non ancora trapassata. Come si direbbe con linguaggio odierno non è politically correct affrettare la morte di una giovane per giunta poi così sventurata. Passando dal faceto al serio, se proprio non si riesce a resistere alla tentazione di trovare una collocazione temporale per forza diversa da quella prevista o di sovrapporre perfidamente alla trama altre vicende inventante di sana pianta e con un grado di compatibilità che va spesso ben oltre il plausibile, questa volta il parallelismo tra il mondo in cui si svolge la storia di Violetta ed Alfredo e gli anni ed il clima della dolce vita poteva anche presentare dei motivi di interesse anche in considerazione del tipo di pubblico e del contesto al quale è destinato l’allestimento. Quello che convince poco di questo spettacolo è la sostanziale scarsa capacità di emozionare, mantenendo il filo della narrazione sempre molto in superficie, diluendo la tensione drammatica con azioni inutili, citazioni, passeggiate per la scena e trovate varie. Il tutto sembra assomigliare più ad un musical o ad un brutto spettacolo di intrattenimento televisivo ed appare lontano anni luce da ciò che dovrebbe trasmettere uno dei capisaldi della letteratura e della musica ottocentesca. Difficile cogliere l’intimo strazio contenuto nelle terribili parole che Violetta pronuncia nel duetto con Germont padre, mentre la si vede aggiustare gli asciugamani sui lettini da mare o chiudere l’ombrellone. Nel concertato che conclude il secondo atto per un istante si ha quasi l’impressione di doverla cercare tra le masse che affollano la scena. E anche la psichedelica scarica di flash dei paparazzi del finale sulla salma di Violetta, ruba la scena alla sintetica capacità espressiva della musica, togliendo alla protagonista ogni grandezza e possibilità di redenzione nella morte, forse in questo volendo costituire un ulteriore rimando alla assoluta mancanza di speranza espressa ne La Dolce Vita di Fellini. Certo La Traviata è un’opera che forse meno di altre si presta ad essere allestita in un grande teatro all’aperto oppure può darsi che questa sia stata una scelta voluta visto il tipo di pubblico che in gran parte frequenta Caracalla e al quale è giustamente destinata la produzione. Però viene anche il lecito dubbio che una platea con una rispettabilissima poca familiarità verso il mondo di Dumas, di Verdi e via dicendo, con buona probabilità ignori anche la cinematografia di Federico Fellini Forse la ripresa di tutto questo poteva essere evitata.  Il maestro Paolo Arrivabeni ha diretto l’orchestra con scarsa fantasia, in modo metronomico e sbrigativo con più attenzione al controllo della situazione che alle ragioni della musica. Va detto tuttavia che è difficile apprezzare appieno la tavolozza timbrica ed i colori probabilmente voluti in una situazione all’aperto e di amplificazione del suono ma l’impressione che si è ricevuta è stata questa. Ottima viceversa la prova del coro diretto dal maestro Ciro Visco per omogeneità timbrica e precisione musicale.  E veniamo agli interpreti vocali di questa finalmente fresca serata romana. Protagonista è stata Francesca Dotto, collaudata Violetta dalla voce gradevole sia pure con un registro acuto aspro e dalle agilità un po’ arruffate. Si avverte in lei una grande serietà nella preparazione del ruolo che purtroppo grazie anche al tipo di regia imposto non le consente un adeguato scavo nella profonda ed articolata complessità del personaggio. Misurata e assai prudente nei primi due atti finalmente trova una sua verità teatrale nel terzo dove canta un integrale ed espressivo Addio del passato unico momento di sincera emozione della serata.  Alfredo era impersonato dal tenore Giovanni Sala, che ha reso la parte con gradevole, giovanile e spigliata presenza scenica e una linea di canto garbata ed elegante sostenuta da una voce omogenea e sicura. Germont padre è stato il baritono Christopher Maltman, credibile anche se monolitico scenicamente e dalla dizione chiara ma dall’intonazione assai spesso precaria ed imprecisa. Molto convincente è apparsa l’Annina di Mariam Suleiman del progetto Fabbrica. Tutti su un piano di generica mediocre correttezza gli interpreti degli altri ruoli, dei quali comunque talvolta era difficile cogliere come già rilevato nel precedente allestimento i non pochi interventi individuali nell’insieme dell’impianto registico. Alla fine lo spettacolo è stato accolto con favore dal pubblico che ha applaudito con entusiasmo a conferma probabilmente del fatto che a dispetto dei nostri gusti ed opinioni personali, la scelta si è rivelata vincente se non sul piano artistico certamente su quello manageriale.  qui per tutte le informazioni. 

 

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Asti, Teatro “Vittorio Alfieri”: “Stabat Mater”

gbopera - Mar, 01/08/2023 - 00:56

Asti, Teatro “Vittorio Alfieri”. Asti Lirica Prima stagione.
“STABAT MATER”
Musica di Giovanni Battista Pergolesi
Soprano Ksenia Bomarsi
Mezzosoprano Sofia Janelidze
Voxsonus Ensemble
Direttrice Manuela Ranno
Regia Renato Bonajuto
Figuranti: Ilia Romano, Christian Rando, Michela Castellani, Federica Bastioni.
Allestimento del Teatro dell’Opera Giocosa di Savona.
Asti, 26 luglio 2023
Si è avviata in Asti, grazie a questa prima edizione del Festival Asti Lirica, un’integrazione delle ormai tradizionali manifestazioni eno-gastronomiche, teatrali e folcloristiche cittadine con una ministagione di rappresentazioni liriche. Come consuetudine, in ambito subalpino, si tratta di un’offerta economicamente prudente e sostenibile a cui concorre, in modo determinante, l’amministrazione civica. Con il supporto del musicologo Alberto Bazzano, nel rispetto delle compatibilità economiche, sono state programmate due serate barocche col Pimpinone di Telemann e lo Stabat Mater di Pergolesi, una recita di La voix humaine di Poulenc, malauguratamente annullata per cause contingenti, e un conclusivo concerto vocale del baritono Ambrogio Maestri e del soprano Eleonora Boaretto.Le recite, pochi personaggi in locandina e attrezzaggi minimi di palcoscenico, sono tutte accomunate da una durata inferiore all’ora, mirano comunque a mantenere un livello musicale ed artistico di tutta eccellenza. Il 26 di luglio si è dato lo Stabat Mater, sfolgorante capolavoro sacro di un Pergolesi ventiquattrenne che nel 1734, presunta data di composizione, causa una grave malattia polmonare, è prossimo a morire. La cantica viene, con la dovuta sensibilità e delicatezza, rappresentata in forma semi-scenica. Il Regista Renato Bonajuto ha coordinato dei figuranti che hanno intercalato i numeri musicali con “quadri viventi”: dodici fermo immagine illustranti la Via Dolorosa, la Passione, la Crocifissione e il Compianto sul Cristo Morto. L’allestimento del quadro, che si svolge nel fondo palco rabbuiato, non turba né rallenta il discorso musicale che risulta continuo ed incalzante. È azzardato, come pur si è detto, accostare le immagini viste, a scena illuminata, ai chiaroscuri dei quadri di Caravaggio; si tratta piuttosto di buoni richiami alle scene popolareggianti che si ammirano nelle cappelle dei Sacri Monti, voluti da Carlo Borromeo, e diffusi su numerosi pendii collinari piemontesi e lombardi. L’allestimento non è originario del teatro astigiano ma viene ripreso da recite del Teatro Giocoso di Savona. La musica di Pergolesi è, pur nell’apparente semplicità, sublime. Il melodizzare è quello tipico della scuola di Napoli, allora con Venezia, capitale non solo musicale della penisola. Le forme coniugano il rigore melodico dell’opera napoletana con la maestria ornamentale e contrappuntistica del Nord Europa. Lo stesso Bach ne farà, qualche anno dopo, una parodia musicando il salmo 51 (BWV 1083). Lo Stabat di Pergolesi, su testo duecentesco di Jacopone da Todi, è per 2 voci femminili, soprano e contralto con accompagnamento di archi e basso continuo. La struttura, costituita da 12 numeri musicali, è suddivisa in 5 arie, 3 per il contralto e 2 per il soprano, e 7 duetti. La dinamica complessiva è su andamenti moderati, fa eccezione l’Allegro del Duetto n.8 Fac ut ardeat cor meum, una travolgente e rigorosa doppia fuga che, al centro della composizione, le conferisce una vitale dinamicità. Il languore è comunque la cifra dominante dell’opera e neppure l’Amen conclusivo, mosso come da tradizione, ne turba la sostanziale serenità. Il dramma della Passione si è ormai consumato, è l’ora di consolare la madre con un massimo di tenerezza, la stessa che lei ha riversato sul corpo esanime del figlio, adagiato sul suo grembo. Possiamo solo immaginare quanto ci sia di autobiografico nell’opera di un autore che la tisi man mano consuma, annientandone il vigore. L’esecuzione si è avvalsa della sensibile e avvertita direzione della trapanese Manuela Ranno, alla guida dei 6 archi e della tastiera del Voxsonus Ensemble. Non è stato un mero sottofondo alle voci ma un essenziale supporto al dialogo con esse. L’Ensemble, con perentorietà e sicurezza, ha sostenuto tempi e dinamiche del pezzo, determinandone poi con colori netti e sfumature il dolente clima complessivo. Le due voci si son mostrate, fin dal duetto iniziale Stabat mater dolorosa, appropriate e convincenti. Le cantanti erano collocate agli estremi opposti del palco, sopra barocchi piedistalli dorati; agghindate e aureolate di pesanti veli e panneggi, come madonne dei pasos pellegrinanti della Semana Santa sivigliana e si mostravano sprezzantemente indifferenti al gran caldo stagionale in cui erano immerse. Ksenia Bomarsi è un soprano russo, genovese d’adozione che ha lo Stabat di Pergolesi in repertorio da più tempo, ne esibisce quindi un’ottima padronanza tecnica e un’accurata sensibilità. Un limite lo si può trovare nel timbro di soprano di coloratura tendente a una emissione “fissa” in acuto. La voce di Sofia Janelidze , mezzosoprano georgiano, ha un caldo colore brunito, privo di spigoli e rudezze, adattissimo allo spirito della parte. Il volume non è tonante e qualche abbellimento viene trascurato. Si tratta complessivamente di un’esecuzione più che apprezzabile e che fa giustizia della moderna tendenza a sostituire le voci femminili con sopranisti e contraltisti maschi che inesorabilmente la cedono all’avvenenza e naturalezza di quelle femminili. Ancora ai tempi di Pergolesi, le donne in chiesa dovevano tacere, ma ora che in chiesa non si canta più, in teatro dovrebbe vigere il solo favore del pubblico. Quest’ultimo convenuto, non in massa ma assai abbondante, nel Teatro Alfieri di Asti, ha mostrato, applaudendo a lungo tutti i protagonisti della scena e della fossa, un buon apprezzamento dello spettacolo e della nuova iniziativa dell’amministrazione civica. In avvio di serata, Alberto Bazzano, noto musicologo astigiano, aveva con erudizione illustrato l’opera di Pergolesi e Paride Candelaresi, assessore alla Cultura della città, gli scopi e le prospettive del festival. Foto Giulio Morra

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Agosto 2023: Le opere e i balletti su RAI 5

gbopera - Lun, 31/07/2023 - 22:18

Desideriamo ancora segnalare alcuni appuntamenti di RAI 5 nonostante una programmazione che poggia costantemente su repliche e con pochi appuntamenti degni di nota per gli appassionati. Cerchiamo di essere precisi con gli orari anche se sembrano costantemente variare. Ovviamente non ne siamo responsabili. 
Martedì 01 agosto
Ore 10.00
“IL CONSOLE”
Musica e regia Gian Carlo Menotti
Direttore Richard Hickox
Interpreti: Susan Bullock, Louis Otey, Jacalyn Bower-Kreitzer, Charles Austin,  Victoria Livengood, Herbert Eckhoff, GioOvanna Manci, Robin Blitch, Malin Fritz.
Spoleto, 1988
Ore 12.00
“SEBASTIAN”
Musica Gain Carlo Menotti
Con il Balletto di Toscana
Coreografia Robert North
Interpreti Luciana Savignano e Benito Marcelino
Mercoledì 2 agosto
“LA NOTTE”
Spettacolo di   Bertrand Sauvat e Einar Schleef
Musica Wolfgang Amadeus Mozart
Direttore Alkis Baltas
Interpreti: Pamela Hinchman, Christine Ferraro, Luigi Petroni, Filippo Piccolo, Roberto Frontali, David Barrell.
Spoleto, 1987
Ore 11.39
“DANCERS”
Dal Teatro Nuovo di Spoleto, in occasione del XX Festival dei Due Mondi, la Compagnia di balletto contemporaneo diretta da Dennis Wayne esegue Lovers su musiche di Shostakovich, Song of Wayfarer su musiche di Mahler, The Entertainers su musiche di Al Kooper-Otis, Ramifications su musiche di Ligeti-Purcell.
Spoleto,1977
Giovedì 3 agosto
Ore 09.59
Maratona di Danza
Dal Teatro Romano di Spoleto, in occasione del XX Festival dei Due Mondi, una maratona di danza in cui a pezzi di repertorio di tradizione si alternano creazioni appartenenti alla corrente della danza moderna. Impegnati giovani solisti italiani con la partecipazione straordinaria di Carla Fracci e Paolo Bortoluzzi.
Spoleto,1977
Ore 11.48
“Cantates”
Dal Teatro Romano di Spoleto, in occasione del 30° Festival dei Due Mondi, il Ballet Eddy Toussaint de Montreal esegue Cantates su musiche di J.S. Bach, con la coreografia di E. Toussaint
Spoleto, 2023
Ore 12.12
“Un simple moment”
Dal Teatro Romano di Spoleto, in occasione del XXX Festival dei Due Mondi, Anik Bissonnette e Louis Robitaille eseguono una coreografia di Eddy Toussaint dal titolo “Un simple moment” su musiche di Tomaso Albin
Spoleto, 1986
Ore 21.15
Into the Hairy
La più rivoluzionaria coreografa del nostro tempo, Sharon Eyal, ex icona della Batsheva Dance Company, presenta la sua nuova creazione, co-ideata con Gai Behar, in collaborazione con il musicista rivelazione londinese Koreless.
Spoleto, 2023
Venerdì 4 agosto
Ore 10.02 
Les Ballets Trockadero de Monte Carlo
Dal Teatro Nuovo di Spoleto l’irresistibile e sofisticata compagnia “en travesti” Les Ballets Trockadero de Monte Carlo. In programma Il Lago dei cigni di Cajkovskij, Acque di Primavera di Rachmaninov, Pas de quatre di Pugni, Morte del Cigno di Saint-Saëns, e Sì Virginia di Chopin.
Ore 11.31
“Cantadagio” – “Don Chisciotte”
Dal Teatro Nuovo di Spoleto, in occasione del XXI Festival dei Due Mondi, Cantadagio di Mahler eseguito da Estela Erman e Georges Piletta e il pas de deux del Don Chisciotte di Petipa-Minkus con Vladimir Vassiliev e Ekaterina Maximova. Sul podio il M° Jean Doussard.
Spoleto, 1978
Sabato 5 agosto
ore 10.40
“LA BOHEME”
Musica Giacomo Puccini
Direttore Nino Sanzogno
Regia Franco Enriquez
Interpreti: Agostino Lazzari, Rolando Panerai, Elena Rizzieri, Graziella Sciutti…
RAI, 1954
Ore 12.20
“ANDREA CHENIER”
Musica Umberto Giordano
Direttore Bruno Bartoletti
Regia Vacalv Kaslik
Interpreti: Franco Corelli, Celestina Casapietra, Piero Cappuccilli…
Domenica 6 agosto / Sabato 12 agosto
Ore 10.00 / 10.50
“IL PIPISTRELLO”
Musica Johann Strauss jr.
Direttore Gianluigi Gelmetti
Regia Gianfranco De Bosio
Interpreti: Lajos Kozma, Fiorella Pediconi, Angelo Romero, Elena Zilio, Oslavio Di Credico, Giuseppe La Macchia, Carmen Lavani…
Bologna, 1979
Lunedì 7 agosto
Ore 10.00
“DON GIOVANNI”
Musica Wolfgang Amadeus Mozart
Direttore James Conlon
Regia Giorgio Ferrara
Interpreti: Dimitris Tiliakos, Andrea Concetti, Anna Lucia Cesaroni, Brian Michael Moore, Davinia Rodriguez, Arianna Vendittelli, Daniel Giulianin, Antonio Di Matteo
Spoleto, 2017
Martedì 8 agosto
Ore 10.00
“IL VASCELLO FANTASMA”

Musica Richard Wagner
Direttore Christan Badea
Regia Franz Marijnen
Interpreti: Wolfgang Lenz, Dieter Brencke, Magdalena Cononovici, Robert Schunk, Silvana Mazzieri, Francesco Memeo
Spoleto, 1982
Mercoledì 9 agosto
Ore 10.00
“DER ROSENKAVALIER”
Musica Richard Strauss
Direttore Richard Hickox
Regia Keith Warner
Interpreti: Anne Bolstad, Kurt Link, Palema Helen Stephen, Laura Claycomb, Jonathan Green, Adria Firestone…
Spoleto, 2000
Giovedì 10 agosto
Ore 10.00
“LA VEDOVA ALLEGRA”
Musica Franz Lehar
Direttore Baldo Podic
Regia Alfredo Arias
Interpreti: Louis Manika, Melanie Holliday, Mikael Melbye, Eva Csapo’, Igor Filipovic, Andrea Martin, Dietmar Cordan, Andrea Snarski
Venerdì 11 agosto
Ore 10.00
“GUERRA E PACE”
Musica Sergej Prokof’ev,
Direttore Richard Hickox
Regia Gian Carlo Menotti
Interpreti:Ekaterina Morozova, Justin Lavender, Roderick Williams, Oleg Balachov…
Spoleto, 1999
Ore 21.15
“EDUARDO E CRISTINA”
Musica Gioachino Rossini
Direttore Jader Bignamini
Regia Stefano Poda
Interpreti: Enea Scala, Anastasia Bartoli, Daniela Barcellona, Grigory Shkarupa, Matteo Roma.
Pesaro, 2023
Sabato 12 agosto
Ore 22.45
“PETER GRIMES”
Musica Benjamin Britten
Direttore Robin Ticciati
Regia Richard Jones
Interpreti: John Graham-Hall, Susan Gritton, Felicity Palmer,Ida Falk Winland, Simona Mihai, George Von Bergen…
Milano, 2012

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100° Arena di Verona Opera Festival 2023:”Nabucco”

gbopera - Lun, 31/07/2023 - 16:35

100° Arena di Verona Opera Festival 2023
NABUCCO
Dramma lirico in quattro parti su libretto di Temistocle Solera
Musica di Giuseppe Verdi
Nabucco AMARTUVSHIN ENKHBAT
Ismaele 
MATTEO MEZZARO
Zaccaria ALEXANDER VINOGRADOV
Abigaille
 ANNA PIROZZI
Fenena JOSÈ MARIA LO MONACO
Il Gran Sacerdote di Belo GIANFRANCO MONTRESOR
Abdallo RICCARDO RADOS
Anna ELENA BORIN
Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona
Direttore Alvise Casellati
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Regia Gianfranco De Bosio
Scene Rinaldo Olivieri
Verona, 28 luglio 2023
Quando il giovane Verdi fu messo sbrigativamente alla porta da Bartolomeo Merelli, non prima che quest’ultimo gli avesse cacciato in mano l’ingombrante libretto del Solera, aveva ben poca intenzione di mettere in musica Nabucco. Eppure quel soggetto lo intrigava, come del resto lo intrigava la Bibbia della cui lettura si dilettava spesso; in particolare la sofferenza del popolo d’Israele deportato in Babilonia lo ispirava così come da subito individuò in Zaccaria il fulcro intero della vicenda. Proprio la centralità di quest’ultimo, a cui è affidato il ruolo di difensore degli afflitti e garante di un futuro di libertà, fu il primo dei pensieri di Verdi che si preoccupò di forgiarne l’essenza ieratica e solenne. Sono ben note le discussioni col Solera, il quale non voleva saperne di mettere mano ai versi già scritti (e che Verdi giudicava prolissi), concluse con la reclusione forzata in una stanza chiusa a chiave dalla quale il librettista sarebbe uscito solo dopo aver scritto nuovamente la scena della Profezia come voleva il maestro. Ed è proprio questa atmosfera ieratica la base su cui poggia l’allestimento di Gianfranco De Bosio, risalente al 1991, una delle ultime regìe areniane strettamente aderenti alle didascalie e alla fedeltà storica delle vicende narrate. Uno di quegli allestimenti macchinosi, con lunghi cambi di scena che spesso fanno perdere la continuità dell’azione, forse vecchio per alcuni ma pur sempre godibile e bello da vedere. Una regìa pura ed essenziale che lascia lo spettatore concentrarsi sulla musica e sui versi, senza distrarlo con inutili orpelli o esagerazioni visive; in questo ben coadiuvato dalle scene di Rinaldo Olivieri con una sorta di Torre di Babele centrale a confermare lo sfondo biblico da cui muove l’intera vicenda. Proposto come sesto titolo nel cartellone del 100° Opera Festival, Nabucco aveva la voce di Amartushvin Enkhbat, baritono ormai stabile a Verona, che ha confermato le doti già espresse negli anni precedenti: musicalità, precisione, fraseggio cesellato, espressività e pieno dominio dello strumento che piega alla parola scenica a cui va ad aggiungersi una dizione chiara e limpida. Accanto a lui non ha di certo sfigurato Anna Pirozzi, Abigaille, che ha scolpito il personaggio della perfida schiava che attenta al potere ma che trova nella redenzione finale il proprio punto di arrivo. Il soprano napoletano ha saputo gestire con singolare bravura tutte le asperità del ruolo, uno dei primi importanti scritti da Verdi, risolvendo bene le ampie escursioni dal registro grave a quello acuto con grande personalità musicale ed attoriale. Il vocalmente complesso ruolo di Zaccaria è affrontato dignitosamente da Alexander Vinogradov. Certo, non è un “vocione”, il fraseggio un po’ incolore ma, nel complesso, riesce a destreggiarsi con l’ampia scrittura del ruolo. Nei panni di Ismaele Matteo Mezzaro ha risolto con dignità la sua parte, peraltro nemmeno gratificata da una pagina di ampio respiro musicale ma relegata quasi in secondo piano, schiacciata tra le figure di Abigaille e Fenena. Quest’ultima ha invece trovato in Josè Maria Lo Monaco un’interprete di bella espressività e fraseggio piegato al senso drammaturgico: di particolare intensità in “Oh, dischiuso è il firmamento” dell’ultimo atto. Il resto del cast era completato, senza ombre né bagliori particolari, da Gianfranco Montresor (il Gran Sacerdote di Belo), Riccardo Rados (Abdallo) ed Elena Borin (Anna). Sul podio dell’orchestra della Fondazione Arena Alvise Casellati, subentrante a Daniel Oren, ha imposto tempi particolarmente serrati soprattutto nel primo atto rischiando in più di un’occasione di perdere l’assieme; più che una lettura attenta dell’opera la sua quadratura musicale si è sostanzialmente allineata ad un semplice battere il tempo, peraltro non sempre con gestualità chiara, soprattutto nelle strette passanti dalla scansione quaternaria a quella binaria. Ma in questo, ancora una volta, le maestranze artistiche veronesi hanno saputo assolvere al loro compito con solido mestiere, soprattutto il coro (vero protagonista della partitura verdiana) ben preparato da Roberto Gabbiani, che ha rischiato di dover cantare il celebre Va’ pensiero per ben tre volte, fortemente sollecitato da un pubblico numeroso e coinvolto emotivamente. Repliche il 3 e il 17 agosto. Foto Ennevi per Fondazione Arena

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Napoli, Teatro di San Carlo: “Balanchine/Petipa”

gbopera - Dom, 30/07/2023 - 19:06

Teatro di San Carlo, stagione di balletto 2022-2023
“SERENADE”
Coreografia Geprge Balanchine ripresa da Sandra Jennings
Musica Piotr Ilič Čaikovskj 
Valz ANNA CHIARA AMIRANTE
Uomo  DANILO NOTARO
Uomo Elegia STANISLAO CAPISSI
Donna Russa CLAUDIA D’ANTONIO
Costumi Karinska
Luci Jean Rosenthal
“RAYMONDA – ATTO TERZO”
Coreografia Marius Petipa, Rudolph Nureyev ripresa da Clotilde Vayer
Musica Aleksandr Glazunov
Raymonda ANNA CHIARA AMIRANTE
Jean De Brienne ALESSANDRO STAIANO
Henriette IRENE DE ROSA
Clémance GIORGIA PASINI
Costumi Giusi Giustino
Direttore Jonathan Darlington
Direttore del Balletto Clotilde Vayer
Orchestra, Étoiles, Solisti e Corpo di Ballo del Teatro di San Carlo
Napoli, 28 luglio 2023

Quando il Teatro più bello del mondo sposa dei capolavori e la cura dei particolari riesce a trasformare i corpi in forme straordinarie, allora si può dire che si verifica un successo indiscutibile. E questo è successo col dittico Balanchine/PetipaLa Direttrice del Corpo di ballo Clotilde Vayer porta a Napoli Sandra Jennings per la ripresa di uno dei capolavori del coreografo russo naturalizzato americano George Balanchine Serenade, su musica della Serenata in Do maggiore per archi (1880) di Piotr Ilič Čaikovskj, non certo pensata per il balletto ab origine ma felicemente incastonata, o meglio fonte di ispirazione per una delle costruzioni architettoniche più straordinarie nell’ambito del balletto. Al di là dei significati nascosti e della possibilità di narrare un storia in scena senza la necessità di una trama prestabilita (un uomo e una donna in scena sono già in sé una storia a detta dello stesso Balanchine), la straordinaria conoscenza  della musica da parte del coreografo gli ha sempre permesso di disegnare nello spazio ciò che la scrittura musicale realizza sulla carta attraverso il suono, omaggiando peraltro diverse pietre miliari del balletto antecedente attraverso citazioni sparse.
Senza voler scomodare Aristotele, che nella sostanza (unione di materia e forma) ci fa capire che la forma è quella che fa concepire le differenze degli esseri, quale sintesi di determinazioni avente un valore differente dalle singole determinazioni che la compongono (ovvero quello che Socrate chiamava fine), possiamo facilmente dire che il Corpo di ballo del Teatro di San Carlo, nell’affrontare questa difficile ma bellissima prova – nella quale sembrava emotivamente molto a proprio agio – abbia offerto al pubblico un elegante e riuscito esempio di sostanza attraverso la forma pensata da Balanchine, poiché la materia di cui è composto è stata finemente lavorata. Precisione, sicurezza e libertà dei movimenti nello spazio, introiezione di ogni gesto, poesia.
La seconda parte dello spettacolo è stata predisposta a ritroso, dal punto di vista storico, ma chiaramente in accordo con la progressione di spettacolarità che suole chiudere una serata di balletto con la grandiosità dell’allestimento di un titolo del grande repertorio ottocentesco. Raymonda (atto III) di Marius Petipa – Rudolph Nureyev, ripresa da Clotilde Vayer su musica di Alekandr Glazunov (1898) è, col suo terzo atto di danza pura in una struttura narrativa di scarso valore drammaturgico, un momento di passaggio importante fra Ottocento e Novecento. Arrivato “a sezioni” in Occidente, è stato Nureyev, con la versione finale creata per l’Opéra di Parigi all’inizio della sua direzione, a svecchiare il titolo e a farne un gioiello rinato dalle proprie ceneri.
In questo caso, l’ampliamento dei numeri musicali e dell’organico, rispetto alla messa in scena precedente al Teatro Politeama (in vero molto poco idoneo a ospitare il grande repertorio), con l’aggiunta della Czarda ungherese e del Galop finale ha contribuito a conferire al quadro l’imponenza che gli appartiene per natura e che, in fondo, il pubblico si aspetta di vedere.
Ottima prestazione in entrambi i titoli per la compagnia partenopea, dalle Étoiles al Corpo di ballo. Nessun tradimento da parte di Anna Chiara Amirante, Danilo Notaro e Alessandro Staiano (tutti figli della scuola di Anna Razzi), né da parte dei solisti o degli insiemi. In particolare Amirante ha il pregio di scivolare fluida come un balsamo sulle tavole del palcoscenico, sia nel lirismo lunare di Serenade sia nel particolarissimo solo del Pas classique hongrois di Raymonda, in cui le note del pianoforte (affidate alla mano di Aniello Mallardo Chianese) disegnano un isolamento ideale della protagonista, che si staglia al di sopra di tutti gli altri in una distanza sottolineata dal famoso schiaffo sonoro voluto da Nureyev (aborrito dalla tradizione russa dei Teatri Imperiali) e che Vayer ha mantenuto solo nella seconda parte dell’assolo come variatio che omaggia entrambe le visioni del gesto di potenza regale.
Questa volta, per l’organico sancarliano, si è percepita la gioia di danzare qualcosa di straordinario, una gioia che non promanava dai soliti sorrisi stereotipati, ma dalle vibrazioni del corpo. 
Il Maestro Jonatan Darlingon, legato alla danza da affetti di famiglia grazie alla moglie e al figlio, ha magistralmente diretto l’Orchestra del Teatro di San Carlo.
Grandi applausi del pubblico in un teatro pieno anche in un fine settimana torrido di luglio e note divertenti da parte dei non addetti ai lavori: al momento del saluto con omaggio floreale al danzatore solista Marco Spizza per la sua ultima recita pre-pensionamento, due signori seduti esattamente davanti alla sottoscritta si interrogavano su chi fosse a ricevere l’omaggio floreale dall’étoile Staiano. Uno di loro ha subito esclamato: «È sicuramente il coreografo!» [Petipa], ribadendo poi, subito dopo, di sapere anche che i danzatori mandati sul palco in abiti civili (!) alla fine dello spettacolo fossero «ballerini di riserva» quando invece si trattava dei solisti del primo quadro, declassati a riserve nell’immaginario di chi vorrebbe sapere ma non sa… Sic. In questi casi sarebbe bello pubblicare qualche nota sui canali Social del Teatro, in occasione di carriere al termine e simili, così da preparare il pubblico. Ma è stato molto divertente, ve lo assicuriamo. (foto Luciano Romano)

 

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Da “Raymonda” a “Serenade”: la nascita del balletto concertante

gbopera - Dom, 30/07/2023 - 18:16

Raymonda di Marius Petipa, del 1898, e Serenade di George Balanchine, del 1934, vanno in scena in luoghi ed epoche diverse eppure sono due creazioni incredibilmente legate fra loro. Benché la prima appartenga al genere del balletto narrativo, contiene momenti di pura danza come il Grand Pas Classique Hongrois che semina le premesse per la successiva opera di Balanchine, Serenade, considerata tra i primi esempi di balletto astratto dellʼautore russo trapiantato negli Stati Uniti.
Il ballet à grand spectacle di Marius Petipa, sulla partitura composta da Aleksandr Glazunov con il libretto scritto da Lidia Pashkova – ma revisionato dallo stesso coreografo – debuttò a San Pietroburgo il 19 gennaio del 1898. Raymonda è lʼultimo grande successo di Petipa: il balletto seguente, Lo specchio magico, non riscuoterà consenso né di critica né di pubblico, delineando lʼinizio di unʼinevitabile trasformazione estetica, che segnerà gli ultimi anni di carriera del coreografo marsigliese che per oltre cinquanta anni aveva dominato la scena del balletto dei teatri imperiali in Russia. La storia di Raymonda, che attende di convolare a nozze con Jean de Brienne, impegnato nella guerra di crociata, fin dal primo momento fu apprezzata per la meravigliosa e ricca partitura musicale che sostiene le bellissime coreografie di Petipa, mentre una certa debolezza fu riscontrata proprio nella drammaturgia. Il principe Aleksandr Karl Nikolaj von Lieven, celebre ballettomane russo, disse che il balletto aveva tutto, tranne un senso. Nel 1900 a Mosca Raymonda fu presentata al Bolʼšoj con le coreografie di Aleksandr Gorskij.
Nella prima epoca sovietica il balletto fu coreografato nel 1922 da Fedor Lopukhov per il “GATOB” (abbreviazione per “Gosudarstvenny Akademichesky Teatre Opery i Baleta”), come allora era stato ribattezzato il Teatro Mariinskij. Venne poi riprodotto in Occidente, a Londra nel 1935 da Nicolas Zverev per il Balletto Lituano, e dai Ballets Russes de Monte-Carlo nel 1946 negli Stati Uniti. A più riprese Raymonda è stata presentata da Rudolf Nureev che, dalla sua prima versione del 1964 per il Royal Ballet al Festival di Spoleto a quella creata per lʼOpéra di Parigi del 1983 come neodirettore della compagnia, ebbe modo di approfondire la psicologia della protagonista evidenziando il suo disagio emotivo tra lʼamore per il fidanzato Jean de Brienne e lʼattrazione per il cavaliere saraceno Abderrahman. Nel 1976 Raymonda è stata allestita al Teatro di San Carlo di Napoli nella versione di Loris Gai con la regia di Beppe Menegatti. Gli interpreti principali furono Carla Fracci, Burton Taylor e un seducente Bruce Marks nella parte di Abderrahman.
Il Mariinskij negli ultimi anni ripropone Raymonda nella revisione di Konstantin Sergeev e con alcuni frammenti coreografici di Fedor Lopukhov, artista e teorico che è stato anche un importante modello per George Balanchine nei primi anni della sua formazione in Russia fino al 1924.
Il balletto in tre atti contiene, in realtà, magnifiche danze in stile ungherese, danze orientali e arabe, saracene e spagnole e molti altri brani in cui Glazunov si ispirò alla musicalità dei balletti di Čajkovskij per i divertissements di pura danza accademica al fine di valorizzare gli straordinari solisti della compagnia di San Pietroburgo. Il Grand Pas Classique Hongrois, che costituisce il III atto presentato dal Balletto del Teatro di San Carlo nella presente suite, è il momento conclusivo del balletto che celebra lʼunione di Raymonda e Jean de Brienne in un trionfo di virtuosistica danza accademica, con port de bras e pose in stile ungherese, che incanta per lʼarmonia della sintesi fra musica e danza. Raymonda, infatti, rappresenta un anello di congiunzione tra la dissoluzione del balletto romantico, incentrato sulla centralità del libretto e su una costruzione solida dei personaggi, e lʼavvento del balletto concertante o sinfonico che dalle prime esperienze di Gorskij e Fokin, avrà in Fedor Lopukhov un importante esponente e teorico. Nei suoi scritti pubblicati nel 1925, The Ballet Master and His Art (Puti baletmeistera), Lopukhov espone una serie di analisi in cui i balletti di Petipa sulle musiche di Čajkovskij (ma anche La figlia del faraone e La bayadère) vengono analizzati come esempi di coreografia modellata sulla forma sonata in musica, per quanto concerne i momenti non pantomimici, cioè i cosiddetti divertissements. Non si tratta solo di unʼalternanza tra tempi lenti e veloci, così come avveniva nelle suites di danze barocche alla base della nascita della forma sonata, né come avviene nella costruzione dei Grand Pas che prevedono unʼentrata, un adagio, un certo numero di variazioni e la coda con lʼapoteosi finale, struttura a forme chiuse riscontrabili in tutti i principali balletti di Petipa quali Don Chisciotte, Paquita, Bella addormentata, Lago dei cigni, Le corsaire, La bayadère e Raymonda, appunto. Si tratta di unʼanalisi specifica e approfondita in cui Lopukhov dimostra che, similmente a quanto avviene nella forma sonata, in cui cʼè unʼesposizione del tema, che viene poi sviluppato e modulato nelle variazioni in senso armonico, tematico, di tessuto, per poi tornare alla ripresa del tema principale, anche nella costruzione coreografica di Petipa si possono riconoscere elementi coreici attraverso lʼutilizzo di movimenti, passi e posizioni che si modulano e variano nellʼesecuzione ritmica, nello sviluppo spaziale, nella ripetizione e nellʼampliamento del numero degli esecutori. Lopukhov espone teoricamente i principi della composizione coreografica classica, su cui cʼè in genere una scarsa riflessione teorica, che è, invece, alla base degli sviluppi della creazione neoclassica nel corso del Novecento e del balletto sinfonico o concertante, di cui George Balanchine sarà il più prolifico esponente in occidente.
Serenade è un balletto creato da George Balanchine nel suo primo approccio col mondo americano, nel 1934, per gli studenti della School of American Ballet, appena fondata con Lincoln Kirstein e Edward M. M. Warburg a New York. La coreografia è creata sulla Serenata in do maggiore per archi, op. 48 di Pëtr Ilʼič Čajkovskij, composta dal musicista russo senza alcuna progettualità coreica nel 1880. Dalla sua prima proposizione il balletto ha ricevuto diverse revisioni ed è oggi diventato un punto cardine del repertorio del New York City Ballet. Nella struttura originaria del musicista russo è composto da quattro movimenti: Sonatina, Valzer, Elegia e Danza russa. È considerato il primo balletto “americano” di Balanchine, senza trama, quindi astratto, ma alcune scelte del coreografo, come quella di invertire il terzo movimento, lʼElegia, ponendolo alla fine, rivelano lʼintenzione di mettere in primo piano un fine evocativo e malinconico. I variegati passaggi richiamano tematiche coreografiche del balletto romantico ma inserite in un contesto a-narrativo in cui Balanchine inizia ad applicare i principi del balletto sinfonico secondo le direttive del suo maestro Lopukhov. Le diciassette ballerine, poste nel quadro iniziale in una originale figura di doppio rombo, sono al chiaro di luna e sono in VI posizione, poi gradualmente, come allʼinizio di una lezione, ruotano le gambe in I posizione ed eseguono un port de bras elementare. Da quel momento iniziano ad attraversare il palcoscenico con movimenti sempre più dinamici e veloci disegnando figure e gruppi che richiamano il modernismo dei Ballets Russes – i “fiori” con le ballerine inclinate con le braccia in III posizione come in Les noces di Bronislava Nijinska o in Apollon musagète dello stesso Balanchine – con linee coreografiche che rievocano diagonali e passaggi di Giselle, ed ancora con posizioni inginocchiate e accovacciate con le braccia incrociate come nel Lago dei cigni. Una ballerina entra in ritardo e raggiunge di corsa la sua posizione, unʼaltra cade e si rialza, tutti avvenimenti episodici accaduti durante le prove che Balanchine dichiarò di aver voluto mantenere nella coreografia definitiva. Una irruzione della casualità in quella che è una forma dʼarte, il balletto, fino ad allora contraddistinta dalla maniacale attenzione per i dettagli. Compare lʼevento imprevisto, il caso che per Merce Cunningham, coreografo contemporaneo e amico di Balanchine, diventerà la base del processo creativo aleatorio rimodellato sulle teorie di John Cage. La studiosa americana Elizabeth Kendall nel suo libro Balanchine & the Lost Muse (Oxford University Press, 2013) ipotizza che la coreografia sia dedicata alla morte improvvisa, a seguito di un incidente su un battello sulla Neva, di una sua amica e collega (compagna di corso fin dagli studi nella Scuola dei Teatri Imperiali di San Pietroburgo conclusi nel 1921), Lidia Ivanova, chiamata Lidochka. Molto cara a Balanchine, la sua morte imprevista sconvolse il giovane coreografo e tutti i membri del gruppo da lui guidato, lo Young Ballet (Molodoi Balet), proprio pochi giorni prima della loro definitiva partenza dalla Russia nel 1924, a seguito degli ulteriori sconvolgimenti politici seguiti alla scomparsa di Lenin.
Serenade è un capolavoro assoluto in cui la danza prende forma in svariate forme visive e in cui, nel finale, si può ritrovare lʼallusione ad un sogno di Balanchine che vide lʼamica morta chiedere aiuto ad Aleksandra Danilova, altra collega e a lungo compagna nellʼattività professionale del coreografo negli Stati Uniti. La ballerina con i capelli sciolti, elemento di sovversione rispetto ai canoni del balletto classico che li vuole legati e stretti alla nuca, rappresenta lʼillusoria aspirazione alla libertà artistica ed esistenziale di cui Lidochka era una genuina e spontanea rappresentante. Nel suo rigoroso atteggiamento riservato e autorevole George Balanchine non ha mai rivelato la genesi delle sue creazioni. Non si può negare che sia accaduto quanto era già avvenuto al suo amico e compatriota Igor Stravinskij che dichiarò che lʼidea per Le sacre du printemps fosse derivata da un sogno fatto durante la stesura della partitura dellʼOiseau de feu. Si tratta di supposizioni, ben documentate da Kendall, che comunque non modificano la magia e la suggestione di Serenade che avvia quella linea stilistica del balletto concertante per cui Balanchine rivendica la possibilità di visualizzare la musica attraverso la danza. Balanchine rifiutò sempre la definizione di balletto astratto, in quanto i corpi dei danzatori astratti non sono affatto ma contengono lʼincorporazione del loro personale vissuto, della loro emotività e della loro formazione artistica. Vale la sua affermazione che sostanzia il grande amore per la musica e per il suo compositore preferito: «In tutto ciò che ho fatto con la musica di Čajkovskij, ho percepito il suo aiuto. Non era una vera e propria conversazione. Ma quando lavoravo e vedevo che ne usciva qualcosa, sentivo che era stato Čajkovskij ad aiutarmi».

Nota bibliografica
Per Petipa e lʼambiente russo del suo tempo ecco i titoli di riferimento più importanti: Nadine Meisner, Marius Petipa. The Emperorʼs Ballet Master, Oxford University Press, 2019; Elena Randi, La grande stagione del balletto russo, Roma, Dino Audino, 2022.
Per Balanchine cominciamo dagli scritti del suo maestro in Russia: Fedor Lopukhov, Writings on Ballet and Music, The University of Winsconsin Press, 2002. Quindi ricordiamo almeno i seguenti testi: George Balanchine e Francis Mason, Balanchineʼs Complete Stories of the Great Ballets, Garden City-New York, Doubleday & Company, 1977; Bernard Taper, Balanchine: A Biography, University of California Press, 1987; Elizabeth Kendall, Balanchine & the Lost Muse, New York and Oxford, Oxford University Press, 2013.
Roberta Albano, laureata al DAMS presso lʼUniversità di Studi di Bologna, è docente di Storia della Danza allʼAccademia Nazionale di Danza di Roma (AND). Dal 2021 è membro del Consiglio Accademico dellʼAND. Socio fondatore di AIRDanza, Associazione Italiana per la Ricerca in Danza, dal 2021 ne è Vicepresidente. Per lʼanno accademico 2022-2023 è docente a contratto di Storia della Danza per il corso di laurea in Spettacolo, Storia e Teoria dellʼUniversità Federico II di Napoli. Con Elisabetta Testa ha scritto Nureyev & Fracci. Le due stelle che hanno illuminato la danza del secondo Novecento, Roma, Gremese, 2020. È autrice della sezione sul Teatro di San Carlo, di La danza in Italia, Roma, Gremese, 1998. Ha svolto attività di critico presso “Il Mattino” di Napoli ed ora collabora con “Campadidanza”. Ha pubblicato anche A passo di danza: scuole teatrali, collegi femminili e licei coreutici nel volume curato da Rossella Del Prete, Saperi, Parole e Mondi: la scuola italiana tra permanenze e mutazioni (sec. XIX-XXI) (Benevento, Kinetès edizioni, 2020). Ha partecipato ai comitati scientifici di vari convegni internazionali tra cui Giselle nostra contemporanea organizzato da AIRDanza nel dicembre 2022 in collaborazione con lʼAccademia Nazionale di Danza e il Teatro dellʼOpera di Roma.

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Johann Simon Mayr (1763–1845): “L’Accademia di musica” (1799)

gbopera - Dom, 30/07/2023 - 16:16

Farsa musicale in un atto su libretto di Gaetano Rossi. Filippo Morace (Guglielmo), César Cortés (Valerio), Eleonora Bellocci (Annetta), Ricardo Seguel (Cecchino), Maria del Mar Humanes (Vespina), Filippo Pina Castiglioni (Momoletto). Passionart Orchestra Krakow, Nicola Pascoli (direttore). Registrazione: Königliches Kurtheater, Bad Wildbad, 20-26 luglio 2019. 1 CD Naxos 8.660511
Uno dei grandi meriti del festival rossiniano di Bad Wildbad è quello di aver ampliato lo sguardo dalla produzione del pesarese a quella degli autori minori subito a lui precedenti o contemporanei dando un contesto al mondo musicale in cui fiorisce il genio rossiniano. La stagione tra Mozart e Rossini a lungo apparsa come una sorta di vuoto comincia sempre più a popolarsi.
Un posto importante in questo scenario è sempre più occupato da Johann Simon Mayr che prima di essere il maestro di Donizetti è stato l’apostolo in Italia delle innovazioni del classicismo viennese. Dotato di alto mestiere se non di autentica ispirazione il compositore bavarese ha avuto un ruolo importante nell’aggiornare l’opera italiana alle novità del mondo austro-tedesco. La sua vasta produzione estesa a tutti i generi trova i migliori risultati nei titoli buffi dove si riscontra una freschezza che spesso manca nei più strutturati ma accademici lavori seri. E’ il caso di L’accademia di musica” andata in scena a Venezia nel 1799 e ispirato a una commedia di Francesco Albergati Capacelli di grande successo in quegli anni. La farsa in un atto – concepita come dittico con “Gli opposti caratteri” di Nasolini – rientra nel genere all’epoca molto in voga delle parodie sul mondo musicale e sui suoi vizi. L’esile vicenda narra della burla ai danni di Guglielmo, anziano con velleità di seduttore, interessato a sposare la serva – Vespina innamorata però di Cecchino – e di impedire le nozze tra il nipote Valeria e la bella veneziana Annetta. Dopo una serie d’intrighi orditi dai giovani e organizzati intorno all’idea di fondare un’accademia di musica in casa di Guglielmo il vecchio è costretto ad arrendersi e ad accettare il doppio matrimonio.
Nel 2019 l’opera è stata ripresa su iniziativa di Lorenzo Regazzo – nella doppia vece di regista e maestro al fortepiano – e approda ora in CD per la collana Naxos dedicata al festival tedesco. La produzione ha sofferto nella sua genesi di non poche difficoltà che hanno costretto Regazzo ad abbandonare il progetto. I collaboratori Davide Strava (regia) e Andrés Jesús Gallucci (fortepiano) hanno condotto in porto il progetto.
Il lavoro di Mayr è stato per l’occasione integrato in alcuni aspetti. Parte dei recitativi risulta riscritta – anche con parti in inglese e tedesco – per rendere più chiaro lo sviluppo al pubblico mentre il carattere musicale ha portato a inserire estratti e citazioni di opere note (da Mozart a Verdi) destinate a essere eseguite nell’immaginaria accademia musicale. Le produzioni del festival mostrano sempre grande impegno ma i limiti economici impongono l’uso di artisti giovani e spesso ancora in fase di formazione e di questo bisogna tener conto in fase di valutazione.
La Passionart Orchestra di Cracovia al debutto al festival si mostra formazione di buon livello e fornisce una brillante prestazione sotto la guida attenta e puntuale di Nicola Pascoli affiancato al fortepiano dal già citato Gallucci.
Unico veterano del cast Filippo Morace mette tutta la sua esperienza nei panni di Guglielmo. Bella voce di basso-baritono perfettamente sfruttata a scopo espressivo mostrando un’ammirevole vis comica pur senza inutili cadute di stile. Morace rappresenta l’elemento di sicurezza cui i giovani cantanti si affiancano. Ottima la coppia dei giovani innamorati. César Cortés (Valerio) è un tenore lirico dalla bella voce chiara e luminosa e con una certa facilità in acuto. Un certo tono “languido” ben si adatta alla natura del personaggio. Eleonora Bellocci vincitrice del premio internazionale belcanto del 2018 affronta Annetta con una voce di soprano lirico decisamente interessante con belle doti nel canto d’agilità e un ottimo registro acuto.
Maria del Mar Humanes con la sua voce chiara e leggera di soprano “soubrette” tratteggia una brillante Vespina e vocalmente appare ben differenziata rispetto alla voce più corposa di Annetta. Il fidanzato Cecchino è Ricardo Seguel giovane basso-baritono dall’interessante materiale vocale, forse ancora da maturare ma già efficace anche sul piano teatrale specie nei divertenti momenti con Vespina.
Momoletto fratello di Annetto chiamato anche a interpretare travestito la parte di Marfisa, vecchia fidanzata di Guglielmo, è Filippo Pina Castiglioni  secondo tenore dalla voce agile anche se un po’ anonima come timbro. Sul piano interpretativo ci sembra fin troppo caricato ma verosimilmente questo rientra nel taglio dello spettacolo e risulta difficilmente valutabile dal semplice ascolto discografico.

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Dall’1 al 6 agosto, al Teatro Romano di Verona ,”Alice in wonderland” del Circus-Theatre Elysium di Kiev

gbopera - Dom, 30/07/2023 - 14:46

Acrobazie, costumi, luci e musiche. Il Paese delle Meraviglie alza il sipario. Alice e il Cappellaio Matto sono pronti a conquistare il palcoscenico del Teatro Romano di Verona con uno straordinario show. Dall’1 al 6 agosto, va in scena Alice in Wonderland tratto dal romanzo fantastico di Lewis Carrol del 1865, rielaborato nell’impianto estetico dal Circus-Theatre Elysium di Kiev. Prosegue il ricco cartellone di spettacoli dal vivo dell’Estate Teatrale Veronese.
Dopo il grande successo dello scorso anno, con tre settimane di tutto esaurito al Teatro Brancaccio di Roma, torna in Italia uno degli spettacoli più eccentrici degli ultimi anniCon un cast di 30 ballerini – acrobati la Compagnia rivendica l’autonomia del linguaggio di scena, esaltandolo con scelte scenotecniche avveniristiche senza tralasciarne, tuttavia, la funzione narrativa del racconto originario.
I personaggi – Alice, interpretata da Olga Sydorenko, il Cappellaio Matto da Denys Sakharov, il Bianconiglio da Alex Sakharov, La Regina di Cuori da Natalia Radchenko – appariranno davanti al pubblico nella loro interpretazione circense, sullo sfondo di impressionanti scene 3D. La musica darà il ritmo. La storia di Alice si arricchirà nella linea dell’amore, la ragazza, infatti, si innamorerà del Principe Azzurro ed entrambi gli eroi dovranno superare ostacoli inimmaginabili.
Un progetto artistico sofisticato ed elegante capace di raccontare l’onirico intrecciando molteplici discipline: la ginnastica acrobatica, la recitazione, la danza e l’arte circense. Produzione Light Can Dance, distribuzione MG Distribuzioni.
Biglietti in venditaal Box Office di via Pallone (Verona), così come online sui siti www.boxofficelive.it e www.boxol.it. Oppure la sera dello spettacolo, direttamente al botteghino del Teatro Romano dalle ore 20.

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Bayreuther Festspiele 2023: “Die Walküre”

gbopera - Dom, 30/07/2023 - 11:09

Bayreuther Festspiele 2023, Festspielhaus Bayreuth.
DIE WALKÜRE”
Prima giornata in tre atti.
Libretto e musica di Richard Wagner
Siegmund KLAUS FLORIAN VOGT
Hunding GEORG ZEPPENFELD
Wotan TOMASZ KONIESCZNY
Sieglinde ELISABETH TEIGE
Brünnhilde CATHERINE FOSTER
Fricka /Schwerleite  CHRISTA MAYER
Gerhilde KELLY GOD
Ortlinde BRIT-TONE MÜLLERTZ
Waltraude CLAIRE BARNETT-JONES
Helmwige. DANIELA KÖHLER
Siegrune STEPHANIE HOUTZEEL
Grimgerde MARIE HENRIETTE RHEINHOLD
Rossweisse SIMONE SCHRÖDER
Orchestra del  Bayreuther Festspiele
Direttore Pietari Inkinen
Regia Valentin Schwarz
Scene Andrea Cozzi
Costumi Andy Besuch
Drammaturgia Konrad Kuhn
Luci Reinhard Traub
Bayreuth, 27 luglio 2023
Con Die Walküre entriamo nel vivo nel ciclo del Ring. Dal mondo degli dei entriamo nel mondo degli umani, con il complesso, difficile interagire tra questi  due mondi. Se la messa in scena di Das Rheingold ha trasformato il mondo mitologico, soprannaturale degli dei, in un Walhalla “cafone” capitanato da uno speculatore, con problemi di affari, una moglie annoiata e con una famiglia allargata e disfunzionale, con Die Walküre si va oltre. Premettendo che il Festspiele desidera offrire una prospettiva “innovativa” e “stimolante” alla saga del Ring, come a tutto il teatro wagneriano, si corre sempre di il rischio che questo percorso possa comportare il sacrificio di parti significative e fondamentali dell’originale.
Questo è quello che sta avvenendo in questo Ring firmato Valentin Schwarz. Un Anello…senza anello, senza oro, senza drago, senza Reno, con qualche vago riferimento alla spada facendo così sparire ogni indicazione originali, didascalie e riferimenti musicali.  Tutto ciò è sostituito da concetti e sovrapposizioni completamente diverse che, ovviamente, si distaccano completamente dalla trama originale, anche se si consultano le note di regia Schwarz, con la sua “allegra” versione dei fatti. Un esempio: all’inizio del secondo atto, una gruppo di persone circondano la bara di Freia che, a quanto pare, si è suicidata dopo il suo rapimento. Un caso di disturbo da stress post-traumatico? Cosa sta succedendo con le mele d’oro che dovrebbero mantenere giovani gli dei? …Una dea si è suicidata perchè è misteriosamente diventata umana? Una cosa è certa, arrivati al termine di questa seconda serata di Ring prevale la sensazione prevalente di distrazione, frustrazione e un costante stato di confusione. Qua e là si possono anche cogliere degli spunti interessanti ma si perdono in un universo estraneo. Una scena particolarmente suggestiva è stata la narrazione visiva dell’infanzia di Sieglinde e Siegmund. Il loro passato individuale a poco a poco diventa presa di coscienza dell’essere fratelli. La scenografia di Andrea Cozzi traduce in una ambientazione che, non a caso somglia alla casa di Wotan. L’atmosfera onirica e nostalgica è stata accresciuta dalla presenza di due bambini (Siegmund e Sieglinde ) che, in abiti scintillanti, vengono osservati da loro stessi, adulti. Questa scena è riuscita a proiettare dinamicamente lo spettatore nella mente, nell’anima del racconto e in un’altra dimensione. Aldilà della resa generale, è stato fondamentale l’apporto delle luci di Richard Traub che hanno evidenziato con discrezione molti dettagli scenici, gli stati d’animo dei personaggi, creando anche, senza eccessi, effetti atmosferici realistici. Resta da vedere quante delle idee generate  portate avanti nelle prossime due serate per illuminare e giustificare la loro “ragion d’essere”. Sul versanete musicale Pietari Inkinen ha guidato l’orchestra in modo impeccabile senza però mai raggiungere una autentica intensità interpretativa, forse anche in ragione del fatto che quello emergeva dal tessuto orchestrale non aveva una corrispondente consapevolezza nell’azione scenica. Sappiamo che Die Walküre è l’opera del Ring che contiene il maggior numero di pagine famose, le pagine di Siegmund e Sieglinde nel primo atto, la tempesta invernale di Siegmund, l’Hojotoho di Brunnhilde, la cavalcata delle valchirie e l’addio di Wotan per citarne solo alcune, dovrebbe essere l’opera che non ha problemi a galvanizzare l’attenzione emotiva e musicale. Qui invece è venuta a mancare la tensione drammatica musicale. Il pathos di in molti momenti strazianti, “War es so schämlich, was ich verbrach”, da Brünnhilde e “Leb wohl, du kühnes, herrliches Kind!” da Wotan, per esempio. In quest’ultimo caso, L’appassionato bacio di Wotan nei confronti di Brünnhilde ha perso il suo origniale significato perchè sulla scena si è visto Wotan che abusa sessualemente di Sieglinde addormentata. Con questa interpretazione scenica si è gettata una lunga ombra su quello che avrebbe dovuto essere uno slancio di amore paterno di Wotan per sua figlia Brünnhilde. Veniamo alla parte vocale. Georg Zeppenfeld  (Hunding)è una presenza vocale imponente. Il suo straordinario e inconfondibile colore vocale ha conferito al suo ruolo una personalità e un carattere distintivi che ha utilizzato con grande effetto nella sua forte interpretazione musicale, ma anche teatrale. Come Sieglinde, Elizabeth Teige ha usato la sua voce morbida, ferma e corposa per dare un’ampia gamma di espressioni al suo personaggio tormentato.  Klaus Florian Vogt (Siegmund) con la sua vocalità chiara, ma nel contempo solida e omogenea ha ben personificato l’eroe anche se l’ambientazione non catturava le violente passioni ed emozioni dei tre personaggi. Si ritorna, purtroppo alla gestione registica dei cantanti tutta incentrata a una dispersione di energia fisica: camminare avanti e indietro, saltare, lanciare, prendere a calci oggetti e quant’altro, sono aspetti che, a nostro parere, sminuiscono anziché rafforzare l’intensità drammatica del testo e della musica. Catherine Foster una  Brünnhilde con i leggins in pelle, ha pienamente dominato con la sua voce, piena, rotonda, instancabile e potente. Accanto a lei ritroviamo il Wotan Tomasz Koniesczny  che qui non si è risparmiato nel cercare di scavare in profondità e trarre ogni sfumatura e caratterizzazione possibile. Anche qui, Christa Mayer, con la sua voce piena, calda ed espressiva ha continuato a dare a Fricka  un’interpretazione forte e decisa. Vocalmente ineccepibilie il gruppo delle Walkirie. È stato particolarmente piacevole sentirne e apprezzarne le singole belle voci che formavano anche un insieme compatto e omogeneo. Alla fine dello spettacolo il pubblico ha saluto con  fragorosi e lunghi applausi tutti gli interpreti, più volte chiamati alla ribalta.
English version 
With Die Walküre we enter into the thick of The Ring Cycle. From the world of the gods we enter into the world of the humans and their subsequent intersection and interaction with the gods. If the staging of Das Rheingold steamrolled the world of the gods, mythology and the supernatural into the tawdry world of a speculator, his business problems, his bored billionaire wife and an extended and disfunctional family, Die Walküre doubles down. While it is clear that the Festspiele wishes to offer an innovative and stimulating perspective to the Ring saga with each new Ring Cycle production there is the risk that this objective can result in sacrificing significant and fundamental parts of the original. That is in fact what appears to have happened to this Ring Cycle directed by Valentin Schwarz. A Ring, with no ring, no gold, no dragon, no Rhine, and only fitful appearances of the sword and which undermines precise original indications in the text, stage directions and musical references. When these are replaced with completely different conceptions and extraneous situations are superimposed , we start to lose the plot, the thrust and the focus, even if Schwarz’s programme notes of his upbeat version of events are consulted. Freia’s coffin and mourners at the beginning of Act 2, for instance, is a case in point. Apparently Freia committed suicide after her abduction. A case of PTSD? So what’s happening with the golden apples that keep the gods youthful? Is this meant to be another nail in their coffin? Can goddesses even suicide? Has she secretly become human? At the conclusion of the first two evenings of the music drama the overriding sensation is one of distraction and frustration, a constant state of confusion. That is not to say that there are no interesting and fascinating ideas but they stand alone and get lost in the extraneous characters and incidental background scenes. It remains to be seen how many of the ideas are overarching and carried through the next two evenings to illuminate and justify their “raison d’etre”. On the whole Pietari Inkinen led the orchestra in a well-balanced and musically flawless evening even though it never quite reached great heights of intensity. Pleasingly, leitmotifs emerged unselfconsciously from the orchestral texture in the pit, alas often without a corresponding awareness in the action on stage. Die Walküre, the most romantic opera of the cycle with its beloved favourite scenes, Siegmund’s Winter Storm, Brunnhilde’s Hojotoho, the Ride of the Valkyries and Wotan’s Farewell to mention just a few, should be the opera that has no problem galvanizing emotional and musical attention. Instead musical dramatic tension was lacking overall. So too was the pathos in many heart wrenching moments, “War es so schämlich, was ich verbrach”, from Brünnhilde and “Leb wohl,du kühnes, herrliches Kind!” from Wotan, for example. In this last instance, as he indulged in a long kiss with Brünnhilde it was particularly difficult to be moved having just assisted at Wotan’s sexual misconduct with his daughter Sieglinde. His explicit behavior with a sleeping Sieglinde cast a long shadow on what should have been an outpouring of paternal love for his daughter Brunnhilde. Some ideas were more successful than others. A particularly suggestive staging was the set of a childhood scene, where Sieglinde and Siegmund remember deep in their individual pasts and slowly become aware that their shared and complimentary memories were those of siblings. The scene was stylishly rendered by the beautifully crafted and spacious set designed by Andrea Cozzi which slid into place silently and unobtrusively. Unsurprisingly it resembled Wotan’s home. The dreamlike and nostalgic atmosphere was heightened by young figures in shimmering skin tight outfits who acted out Siegmund and Sieglinde as children, who unseen, as adults observed their young selves. This scene succeeded in projecting the onlooker dynamically into the mind and soul of the tale and into another dimension. Georg Zeppenfeld is a commanding vocal presence. His remarkable and unmistakable vocal colour gave his role a distinctive personality and character which he used to great effect in his strong musical interpretation. Physically, however his boorishness came across as understated. Elizabeth Teige used her supple, steady and full-bodied voice to lend a wide range of expression to her tormented character. Klaus Florian Vogt’s strong, clear and firm tenor personified the hero. The scene itself seemed to meander without really capturing the violent passions and emotions of the three characters. It wasn’t riveting.So much more wasn’t riveting in other highly dramatic scenes but this was usually due to a dispersion of physical energy; pacing back and forwards, flouncing, throwing and kicking objects. All moves that detract from rather than strengthen the dramatic intensity of the text and music. Catherine Foster dominated with her seamless, full, rounded, untiring and powerful voice as a leather legging clad Brunnhilde. As her foil Tomasz Koniesczny as Wotan gave vocally unsparingly of himself and both evenings dug deep into his reserves to extract every nuance of meaning and characterization possible. Christa Mayer, in her full, warm expressive voice continued to give a strong, unwavering interpretation of Fricka. It was especially pleasing to hear the individual beautiful voices of the Valkyries form a compact and homogeneous group when together. Effective lighting design by Richard Traub in discreetly highlighting underlying points of interest, such as the miniature horse collection or a blade of light for the sword, for subtle illumination of characters according to their momentary status and in inconspicuously creating realistic atmospheric effects. As the curtain went down cheering, stamping and thunderous applause broke out and didn’t diminish over the numerous curtain calls.

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Le Cantate di Johann Sebastian Bach: Ottava Domenica dopo la Trinità

gbopera - Dom, 30/07/2023 - 09:16

Nell’Ottava Domenica dopo la Trinità la lettura evangelica si riaggancia al discorso della Montagna. Il tema trattato in questa circostanza è quello dei “falsi profeti” e dei “veri discepoli”, una contrapposizione che riflette anche altri contrasti che emergono per analogia, come quello della pecora e del lupo. Dice Matteo nel cap.7 vers.15-23:Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li riconoscerete. Non chiunque mi dice: «Signore, Signore», entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. In quel giorno molti mi diranno: «Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?». Ma allora io dichiarerò loro: «Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!».
Stimolato dall’ambientazione “pastorale” che non manca di farsi sentire, quanto meno nella parte  del passo di Matteo, Bach ha realizzato la prima delle tre cantate che sono giunte a noi per questa festività, calandola, almeno parzialmente, nel clima “pastorale” che la “galante” Lipsia dei suoi tempi, prediligeva. La cantata in questione è la nr.136 “Erforsche mich, Gott, und erfahre mein Herz “(Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore) eseguita a Lipsia il 18 luglio 1723. Il brano che più si attiene al clima “Pastorale” è il nr.5, un duetto bipartito in 12/8, per tenore e basso, con 2 violini concertanti all’unisono. Da notare che prima di incontrare un altro duetto occorrerà attendere la XXIVa domenica dopo la Trinità, con la Canta BWV 60, eseguita nel mese di novembre. È assai probabile che questa partitura sia frutto di una parodia di una cantata del medesimo anno, 1723. Il coro d’apertura, nr.1 è stato poi riutilizzato da Bach nel “Gloria” nella Messa BWV234.  Il motivo d’apertura è costruito sul versetto 23 del Salmo 139. Ha una struttura monolitica in forma di “fuga”. Tenendo conto del parallelismo tipico degli emistichi (Nella metrica classica, la prima o la seconda parte di un verso,distinte dalla cesura,: un noto e. oraziano; estens., verso incompiuto o citato a metà – spec. se con particolare valore proverbiale o emblematico) salmistici, Bach ha fuso i due elementi e presenta le due proposizioni contemporaneamente, sempre con grande effetto, con gli interventi dei fiati: Corno, Oboe, Oboe d’amore, quest’ultimo è strumento “obbligato” nella prima aria, tripartita (nr.3) affidata alla voce di contralto, che presenta l’episodio centrale in “presto”.

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Erforsche mich, Gott, und erfahre mein Herz” BWV 136

Nr.1 – Coro
Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore;
provami e conosci i miei pensieri! (Sal 139,23)
Nr.2 – Recitativo (Tenore)
Ah, se le sventura che colpisce la terra
colpisse anche il cuore degli uomini!
Nessuno può aspettarsi dei buoni frutti
dove tale sventura colpisce l’anima stessa,
portando le spine del peccato
e gli aculei dell’iniquità.
Eppure spesso i figli dell’inferno cercano
di presentarsi come angeli della luce;
come se, tra questi esseri corrotti, fosse
possibile raccogliere grappoli dalle spine.
Un lupo può coprirsi con manto d’agnello
ma un giorno si rivelerà
e per voi, ipocriti, sarà un orrore
veramente insopportabile.
Nr.3 – Aria (Contralto)
Verrà il giorno
in cui chi ora è nascosto giudicherà,
di fronte a lui l’ipocrisia vacillerà.
La collera della sua vendetta distruggerà
ciò che ipocrisia e inganno hanno prodotto.
Nr.4 – Recitativo (Basso)
Il cielo stesso non è puro, come può
allora un uomo presentarsi al suo Giudice?
Ma chi è purificato dal sangue di Cristo,
unito a lui nella fede, sà che nessuna severa
sentenza sarà pronunciata contro di lui.
Se è ancora ferito dai suoi peccati
e dalla mancanza di buone opere,
troverà in Cristo
giustizia e forza.
Nr.5 – Aria/Duetto (Tenore, Basso)
Restano su di noi le macchie del peccato
che la caduta di Adamo ci ha provocato.
Ma chi si é rifugiato nelle ferite di Gesù
e nel suo potente getto di sangue,
sarà di nuovo purificato.
Nr.6 – Corale
Il tuo sangue, nobile liquido,
ha una tale forza e potenza
che anche una piccola goccia
può purificare il mondo intero,
perfino dalle fauci del diavolo
può salvarci e renderci liberi.
Traduzione Emanuele Antonacci

 

 

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“Il barbiere di Siviglia” il 3 e 5 agosto al Luglio Musicale Trapanese

gbopera - Ven, 28/07/2023 - 16:27

L’opera buffa “Il Barbiere di Siviglia” di Gioachino Rossini, nella versione Bologna 1816 – Edizione Casa Ricordi, andrà in scena per la 75a stagione lirica del Luglio Musicale Trapanese al Teatro Giuseppe di Stefano, a Trapani, il 3 e il 5 agosto, alle ore 21,00.
Questa produzione de “Il Barbiere di Siviglia” è stata curata con la massima attenzione: ogni dettaglio, dalla scelta degli interpreti alle scenografie, dalle suggestive luci ai raffinati costumi, tutto è frutto di un lavoro di analisi finalizzato alla miglior resa possibile sul palco open air del Teatro “Giuseppe Di Stefano”. La trama vivace e l’umorismo travolgente del libretto di Sterbini saranno valorizzati dalla geniale musica di Rossini.
L’opera, già di per sé una perla della produzione operistica di tutti i tempi, verrà presentata nella versione Bologna 1816 (Edizione Casa Ricordi) che mira a esaltare lo spirito giocoso, la vividezza dei personaggi vividi e la drammaturgia musicale e che prevede delle varianti alla versione di più frequente esecuzione (l’aria “Cessa di più resistere”, ad esempio, viene cantata da Rosina).
Il cast, quasi totalmente formato dai vincitori dell’ultima edizione del Concorso Intenzionale “Giuseppe Di Stefano” prevede: nel ruolo del Conte D’Almaviva il tenore Riccardo Benlodi, come Bartolo Pierpaolo Martella (che debutterà nello stesso ruolo, a settembre, presso il Teatro alla Scala di Milano), Kaneko Sayumi che darà  vita al personaggio di Rosina, Diego Savini che sarà Figaro, Mariano Orozco che vestirà i panni di Basilio, Sara Semilia quelli di Berta e Antonino Arcilesi che interpreterà Fiorello, Francesco La Gattuta sarà Un ufficiale e Alessio Parisi Ambrogio. Paolo Mercurio e Vincenzo Scarlata si uniranno al cast come figuranti, arricchendo la scena con il loro impegno.La direzione sarà affidata al maestro Daniele Agiman, che guiderà l’orchestra e il coro dell’Ente Luglio Musicale Trapanese. La regia, le scene, le luci e i costumi saranno curati da Danilo Coppola che ha voluto rappresentare l’atmosfera vibrante e colorata del XVIII secolo. Il maestro del coro, Fabio Modica, lavorerà in sinergia con il cast e l’orchestra per offrire un’esperienza musicale consona all’ importanza dell’opera.

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Bayreuther Festspiele 2023: “Das Rheingold”

gbopera - Ven, 28/07/2023 - 13:28

Bayreuther Festspiele 2023, Festspielhaus Bayreuth
DAS RHEINGOLD”
Vigilia in quattro scene. Prologo alla Tetralogia Der ring des Nibelungen
Libretto e musica di Richard Wagner
Wotan TOMASZ KONIESCZNY
Donner RAIMUND NOLTE
Froh ATTILIO GLASER
Loge DANIEL KIRCH
Fricka CHRISTA MAYER
Freia HAILEY CLARK
Erda OKKA VON DER DAMERAU
Alberich OLAFUR SIGURDARSON
Mime ARNOLD BEZUYEN
Fasolt JENS-ERIK AASBØ
Fafner TOBIAS KEHRER
Woglinde EVELIN NOVAK
Wellgunde STEPHANIE HOUTZEEL
Flosshilde SIMONE SCHRÖDER
Orchestra del Bayreuther Festspiele
Direttore Pietari Inkinen
Regia Valentin Schwarz
Scene Andrea Cozzi
Costumi Andy Besuch
Drammaturgia Konrad Kuhn
Luci Reinhard Traub
Video Luis August Kraken
Bayreuth, 26 luglio 2023.
Italian & english version
Sembrerebbe che ci sia voluto solo lo spazio di una stagione perché la nuova produzione dell’Anello di Wagner fosse digerita dal pubblico di Bayreuth, a giudicare dall’accoglienza entusiastica alla fine della prima rappresentazione di Das Rheingold al Festival di Bayreuth 2023. La produzione del giovane regista viennese Valentin Schwarz  lo scorso anno era  stata sepolta da fischi e proteste indignate. Ci viene da pensare che l’accoglienza entusiastica dell’attuale ripresa è stata legata al cast e al direttore e all’orchestra. Il pubblico ha chiuso gli occhi davanti al  video di apertura che mostra i  feti gemelli (Wotan e Alberich), o l’anello che è diventato un bambino, o il Reno che è una piscina per bambini, e ancora i giganti che escono da un SUV che rimane sempre  scena e molte altre sovrapposizioni drammaturgiche. Il pubblico ha (almeno momentaneamente) deciso di ignorarle e concentrarsi sugli aspetti musicali della partitura. Bisognerà attendere l’ultimo capitolo del Ring prima che la produzione affronti il definitivo giudizio del pubblico, notoriamente attentissimo, preparato ed esigente. Dunque un pubblico “cieco” ma non “sordo” che ha salutato positivamente il Rheingold musicale. L’unicità  del posizionamento orchestrale più che mai consente un perfetto equilibrio tra orchestra e voci. I cantanti non sono mai sovrastati, allo stesso tempo l’orchestra non deve mai sacrificare peso e profondità. Una perfetta coesione in orchestra con i  leitmotiv portati in naturale rilievo sotto la guida fresca e fluida del giovane direttore finlandese Pietari Inkinen. Il versante maschile del cast vede un  Tomasz Konieczny (Wotan) che inizialmente promette bene, anche grazie a una buona presenza vocale, ma nel corso dell’opera vediamo  un personaggio (la regia non ha certo aiutato), quanto mai smarrito, debole. Un aspetto questo che non dovrebbe essere presente già dal Rheingold.  Di maggior spicco l’Alberich di  Olafur Sigurdarson cantante dalla solida vocalità e interprete espressivo e coinvolgente. Perfettamente nel ruolo Daniel Kirch, un Loge istrionico, vero dominatore della scena. Apprezzabile anche il Mime di Arnold Bezuyen che aspettiamo alla prova successiva, (Siegfried). Prove adeguate ai ruoli anche per  Raimund Nolte (Donner) e Attilio Glaser (Froh) così come ben calati nelle parti Jens-Erik Aasbø e Tobias Kehrer i giganti Fasolt e Fafner. I ruoli femminili ci hanno presentato Christa Mayer che ha espresso tutte le caratteristiche necessarie per incarnare la complicata situazione familiare e il dilemma di Fricka. Una interpretazione, la sua, che metteva in luce alternativamente preoccupazione, indignazione e controllo, attraverso un uso sottile e vario della voce e del linguaggio del corpo. La Freia di Hailey Clark, seppur vocalmente espressiva, sul piano scenico ci è parsa invece alquanto inerte. L’ Erda di Okka von der Damerau, benchè sminuita dalla regia a  governante, ha saputo pienamente emergere sul piano vocale. Le Fanciulle del Reno, Woglinde, Wellgunde e Floßhilde cantate rispettivamente da Evelin Novak, Stephanie Houtzeel e Simone Schröder sono state vocalmente ben amalgamente e timbricamente ben calibrate nell’evocare le scintillanti acque del Reno, che purtroppo non aveno corrispondenza nella deprimente e banale trasposizione scenica. Attendiamo le parti successive della tetralogia per capirne gli sviluppi. Nel frattempo, secondo una recente intervista alla stampa tedesca, il regista ha annunciato che grazie all’atteggiamento costruttivo del Festival ha apportato alcune modifiche  alla produzione per aiutare a chiarire i punti che il pubblico ha trovato confusi….Staremo a vedere!
English version
It would seem that it has only taken the space of a season for last year’s new production of Wagner’s Ring cycle to be digested by the Bayreuth audience, judging by the enthusiastic reception at the end of the first performance of Das Rheingold at this year’s Bayreuth Festival. The young Viennese director Valentin Schwarz’s production was buried in boos and outraged protests last year. The object of this year’s enthusiastic reception was however reserved for the cast, conductor and orchestra. The sensation is, that strong with the foreknowledge of opening videos of twin feotuses(Wotan and Alberich), the ring of the title replaced by a child, the Rhine a paddling pool, the giants who appear from a SUV which never leaves the stage and many more overlaying structures, the audience has decided to ignore them for the time being and concentrate on other aspects of the music drama.  We will have to wait until the last of the four operas before the production team faces the audience, known for being most attentive, prepared and demanding. The many distortions and upheavals in Wagner’s text and stage directions seem to be swallowed by the theatre going public for the time being, in order to concentrate on the vocal and interpretative performances of the cast and musicians. They do not disappoint. The unique orchestral placement allows a perfect balance between orchestra and singers. The singers are never overwhelmed and at the same time the orchestra never has to sacrifice weight and depth. A perfect cohesion in the orchestra with leitmotivs brought into natural relief under the fresh and fluid guidance of the young Finnish conductor Pietari Inkinen. Tomasz Konieczny, whose authority as Wotan is already under fire from the outset, although vocally secure appeared somewhat flummoxed by the proceedings. Olafur Sigurdarson as Alberich was an even-weighted adversary to Wotan, vocally firm, expressive and engaging to match his compelling stage presence. Daniel Kirch, an exhibitionist and histrionic Loge, held the stage from the time moment he entered until the moment he exited. Arnold Bezuyen as Mime, comfortable in his theatrics has yet to come vocally into his own in the following operas. Raimund Nolte as Donner and Attilio Glaser as Froh were well balanced in their respective roles. Jens-Erik Aasbø and Tobias Kehrer as the giants Fasolt and Fafner respectively, were physically and vocally convincing in their roles; solid and unwavering until the final knifing. Christa Mayer expressed all the characteristics necessary to embody Fricka’s complicated family situation and dilemma. She alternately exuded worry, indignation and control through a subtle use of her voice and body language. While Hailey Clark’s Freia, although vocally expressive, when the occasion presented itself, was left physically inert on stage. Okka von der Damerau’s Erda, who appears as a governess in this staging, gave a lusciously sung scene which was a vocal cornerstone in the performance. The Rheinmaidens, Woglinde, Wellgunde and Floßhilde sung respectively by Evelin Novak, Stephanie Houtzeel and Simone Schröder were well calibrated with their beautiful shimmering tone conjuring up the sparkling waters of the Rhine, which unfortunately did not find a correspondence on stage. In fact, the opening scene resulted most depressing and mundane. We await the following parts of the tetralogy to understand how this is meant to develop. In the meantime, according to a recent interview in the German press, Schwarz has announced that thanks to the workshop attitude of the Bayreuther Festapiele there will be some tweaking of last year’s staging of the production to help clarify points that the audience found confusing.

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Roma, Maxxi: “Fuori Tutto” dal 28 Giugno 2023 al 25 gennaio 2024

gbopera - Ven, 28/07/2023 - 11:50

Collezione MAXXI
FUORI TUTTO
28 Giugno 2023- 25 Gennaio 2024
L’accesso alla galleria 1 è gratuito da martedì a giovedì; la galleria 3 chiuderà il 14 gennaio 2024.
galleria 1 + galleria
A cura di Bartolomeo Pietromarchi
Sezione architettura a cura di Pippo Ciorra, Laura Felci, Elena Tinacci
Sezione fotografia a cura di Simona Antonacci

Concepito come un “deposito aperto”, il nuovo allestimento della Collezione mette in mostra la sperimentazione della scena creativa più attuale, tra le acquisizioni più recenti, i grandi maestri e le giovani generazioni. FUORI TUTTO racconta la vitalità e la pluralità della ricerca artistica italiana e internazionale tra pittura, scultura, architettura, fotografia, video, installazione, performance e sperimentazione sonora. Tra gli artisti presenti in mostra Rosa Barba, Elisabetta Di Maggio, MASBEDO, Jannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto, Pedro Reyes, Patrick Tuttofuoco. Tra gli architetti sono stati selezionati progetti di Giorgio Grassi, Matilde Cassani, Francesca Torzo e DEMOGO per dare vita a un dialogo a distanza tra autori di generazioni diverse, accomunati dalla dimensione internazionale delle relative attività progettuali. La mostra diventa anche il luogo per raccontare il processo di lavoro dietro le committenze fotografiche del MAXXI, come il progetto fotografico collettivo Atlante Sapienza, in collaborazione con Sapienza Università di Roma, che vede coinvolti Iwan Baan, Antonio Biasiucci, Silvia Camporesi, Marina Caneve, Carlo Valsecchi sulla Città Universitaria, e La Processione di Valentina Vannicola, una trasposizione fotografica del XXIX canto del Purgatorio di Dante. Qui per tutte le informazioni.

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Estate Teatrale Veronese 2023: Lino Guanciale in “Napoleone. La Morte di Dio”

gbopera - Gio, 27/07/2023 - 18:01

Lino Guanciale torna a Verona con il suo ultimo spettacolo, pronto ad interpretare un figlio che ha perso il padre, forse Napoleone, forse un Dio, forse solo un uomoVenerdì 28 e sabato 29 luglio, al Teatro Romano, alle ore 21.15, va in scena ‘Napoleone. La morte di Dio’, scritto e diretto da Davide Sacco. Sul palcoscenico anche Simona Boo e Amedeo Carlo Capitanelli. Tra attualità e memoria storica, a partire dalle parole di Victor Hugo.
Parigi, 15 dicembre 1840. Sono passati vent’anni dalla morte di Napoleone, ma solo in questa freddissima giornata d’inverno viene concesso alle sue spoglie di tornare in patria e di essere tumulate nella chiesa de Les Invalides. La Francia, per la prima volta, si confronta con la memoria di un imperatore e di un uomo che aveva segnato la storia di una nazione e di un’epoca. Tra la folla accorsa ad assistere al funerale, anche un giovane Victor Hugo. Ne scriverà in un saggio denso e appassionato.
Partendo dalle parole di Hugo, Davide Sacco affronta il tema della morte dei padri. Riscrive e scrive con Victor Hugo ciò che accomuna gli uomini nel momento della perdita, costruisce un percorso polifonico sull’assenza degli eroi, delle divinità, dei padri. Lino Guanciale interpreta il figlio. Un percorso parallelo tra la costruzione del dolore e chi lo prova veramente, tra la messa in scena del soffrire e chi soffre.
Le scene sono di Luigi Sacco, le luci di Andrea Pistoia. Produzione LVF – Teatro Manini di Narni.
Biglietti in vendita al Box Office di via Pallone, così come online sui siti www.boxofficelive.it e www.boxol.it. Oppure la sera dello spettacolo, direttamente al botteghino del Teatro Romano dalle ore 20.

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“Tosca” secondo De Ana al 100° Arena di Verona Opera Festival 2023

gbopera - Mer, 26/07/2023 - 23:40

L’allestimento  curato in ogni aspetto dall’argentino Hugo De Ana, regista scenografo costumista e lighting designer di questa produzione nata per l’Arena nel 2006, felicemente ripresa più volte fino al 2019. Tosca della prima è Aleksandra Kurzak,  per l’occasione accanto al compagno d’arte e di vita, il tenore Roberto Alagna, già beniamino del pubblico areniano e qui nei panni di Mario Cavaradossi. Scarpia, villain di lusso è Luca Salsi. Nei tre personaggi principali si vedranno nelle recite successive: il 5 e il 10 agosto, con la Floria Tosca di Sonya Yoncheva ci saranno Vittorio Grigolo come Mario e Roman Burdenko quale Scarpia. Per l’ultima serata dell’1 settembre, con il già citato Luca Salsi saranno protagonisti Anna Pirozzi e Freddie De Tommaso.
A completare il cast nelle parti di fianco per tutte le recite sono artisti di rilievo e giovani di talento: il fuggiasco Angelotti è Giorgi Manoshvili, il Sagrestano è Giulio Mastrototaro (al debutto in Arena), gli sgherri di Scarpia, Spoletta e Sciarrone, sono affidati a Carlo Bosi e Nicolò Ceriani, il Carceriere a Dario Giorgelè; infine due giovanissime voci bianche si avvicendano nel ruolo del Pastore, il cui stornello si leva sull’alba romana del 3° atto grazie a Erika Zaha (29/7, 5 e 10/8) e Jacopo Lunardi (1/9).
Il maestro Francesco Ivan Ciampa dirige l’Orchestra di Fondazione Arena e il Coro preparato da Roberto Gabbiani, quest’ultimo impegnato in due pagine destramente complesse, come il solenne e spettacolare Te Deum che chiude l’atto I e la cantata polifonica fuori scena nell’atto II. Dopo la prima di sabato 29 luglio, repliche il 5 e 10 agosto e il 1° settembre.

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100° Arena di Verona Opera Festival 2023: Juan Diego Florez in Opera-Arena 100

gbopera - Mer, 26/07/2023 - 09:08

100° Arena di Verona Opera Festival 2023
Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona
Direttore Christopher Franklin
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Tenore Juan Diego Florez
Soprani Marina Monzò, Marianna Mappa
Mezzosoprani Vasilisa Berzhanskaya, Sofia Koberidze
Bassi Michele Pertusi, Gabriele Sagona 
Brani da “La Cenerentola” (Rossini), “Don Pasquale”, “La fille du régiment” (Donizetti), “Roméo et Juliette” (Gounod), “La traviata”, “Luisa Miller” (Verdi), “Manon Lescaut”, “La bohème” (Puccini)
Verona, 23 luglio 2023
Osservando l’Arena meno che semivuota la tentazione di scomodare l’adagio “pochi ma buoni” è davvero forte. In effetti il pubblico, estremamente contingentato, si è distinto per attenzione e disciplina ma anche per calore ed entusiasmo, trascinato inoltre da una nutrita delegazione peruviana con tanto di bandiera esposta. Non ci spieghiamo dunque come una serata attesa da tempo come quella del debutto veronese di Juan Diego Florez (che in realtà aveva già avuto il suo battesimo in Arena tre giorni prima come Duca di Mantova nel Rigoletto) abbia avuto una risposta, in termini di spettatori, così deprimente. Ma tant’è, la serata ha avuto comunque il suo corso con esito più che positivo. Il programma presentato era ovviamente modellato sul repertorio che ha reso celebre il tenore di Lima, a cominciare dal Rossini de La Cenerentola e il Donizetti de La fille du régiment, sui quali brani estratti non vi è assolutamente nulla da eccepire: Florez possiede davvero un gran bel strumento, un legato formidabile, agilità pressoché perfette ed una dizione impeccabile che rende chiare le parole all’ascolto. Per contro, e questo è un dato inconfutabile, la sua non è una voce areniana ed è perciò inadatta agli spazi aperti, soprattutto in presenza di mezze voci e sfumature finissime, apprezzabili solo in teatro. Al di là delle verifiche acustiche resta comunque memorabile l’esecuzione di uno dei brani più attesi, quel Ah! Mes amis… Pour mon âme di Donizetti con i suoi leggendari nove do di petto che Florez sfoggia con sicurezza e spavalderia, ovviamente salutati da un’autentica ovazione. Un maggiore impegno vocale chiamava il nostro nella seconda parte con due momenti di intenso lirismo tratti dal Roméo et Juliette di Gounod; nonostante una richiesta vocale più robusta, gli esiti sono comunque andati ben oltre ogni aspettativa, soprattutto in quella perla di cantabilità che è Ah! Lève-toi, soleil offerta con ampio fraseggio degno di un violoncello. Dove il tenore ha cominciato a sentire (e a far sentire) la forzatura di repertorio è stato nel celebre Quando le sere al placido da Luisa Miller, risolta ancora una volta musicalmente bene anche se il tenore verdiano è ben altra cosa; lo stesso si può dire di Che gelida manina con il suo smagliante do acuto con cui Florez va a nozze ma che non basta a rendere un Rodolfo convincente sul piano emotivo e drammaturgico. Una serata di tale rilevanza non poteva concludersi senza bis, dei quali l’artista è notoriamente prodigo: si è presentato in scena accompagnandosi ottimamente alla chitarra in una terna di canzoni che comprendeva Tu ca nun chiagne, Bésame mucho e Cuccurrucucù paloma donando un momento musicalmente intenso e sonoramente intimo che ha infiammato l’uditorio non ancora appagato. Ecco dunque altri due bis regalati, che hanno confermato quanto detto sopra: Una furtiva lagrima, manifesto del vero ed autentico Florez, abile fraseggiatore, e la chiusura col botto osando nientemeno che Nessun dorma!, una vera e propria forzatura dei propri ambiti vocali con conseguente pericoloso sconfinamento. Un bel finale, certo, ma Florez se ne guardi bene dal cedere alla tentazione di un prossimo debutto nel ruolo di Calaf. Ospiti della serata erano Marina Monzò (acclamata nel bellissimo Je veux vivre eseguito impeccabilmente), Vasilisa Berzhanskaya, ottima in Rossini, specialmente in Nacqui all’affanno e al pianto, e Michele Pertusi (ormai verdiano d’adozione e qui presente come Conte di Walter). Una piccola partecipazione, con ottimo mestiere, anche di Marianna Mappa, Sofia Koberidze e Gabriele Sagona completavano il cast della serata. Alla guida dell’orchestra e del coro della Fondazione Arena vi era l’americano Christopher Franklin che ha accompagnato gli artisti con buon mestiere e sicurezza, ma senza particolare piglio dinamico; sbiadite e senza particolare brillantezza le pagine orchestrali proposte che andavano dalle sinfonie de La Cenerentola e del Don Pasquale al preludio de La traviata e l’intermezzo di Manon Lescaut (questi ultimi frutto di un continuo e costante riciclaggio sinfonico). Analogamente il coro, diretto da Roberto Gabbiani, si è presentato sostanzialmente corretto (anche se talvolta non proprio impeccabile negli interventi) ma su questo grava sicuramente l’esiguità delle prove dedicate che nuociono alla professionalità delle maestranze artistiche areniane alle quali andrebbe resa la giustizia che meritano. Qualche riserva, infine, sull’amplificazione che ha sfalsato i piani sonori senza cercare di allineare i differenti pesi vocali; il risultato, all’orecchio esperto, era quello di un suono falsato e viziato. Anche qui c’è molto da lavorare e provare. Foto Ennevi per Fondazione Arena

Categorie: Musica corale

Festival d’Aix-en-Provence 2023: Suzanna Mälkki & Kirill Gerstein en concert

gbopera - Lun, 24/07/2023 - 17:08
Grand Théâtre de Provence, Aix-en-Provence, saison 2023 London Symphony Orchestra
Direction musicale Suzanna Mälkki Piano Kirill Gerstein Kaija Saariaho: Lumière et Pesanteur; George Benjamin: Concerto pour orchestre; Paul Hindemith: Symphonie “Mathis der Maler”; Sergueï Rachmaninov: Concerto pour piano n°3 en ré mineur, op.30 Aix-en-Provence, le 20 juillet 2023 Programme assez hétéroclite pour ce concert donné au Grand Théâtre de Provence en cette soirée du 20 juillet 2023 avec le London Symphony Orchestra dirigé par Suzanna Mälkki et des musiques allant du tout début du XX° siècle à l’année 2021 ; une évolution musicale de plus d’un siècle. Une œuvre de Kaija Saariaho a été rajoutée en hommage à la compositrice disparue le 2 juin 2023 à Paris : Lumière et Pesanteur (d’après la “huitième station” de La Passion de Simone)Intéressée par la musique spectrale, Kaija Saariaho compose ici une œuvre pour grand orchestre auquel elle ajoute vibraphone, crotales ou glass wind chimes. Cette musique d’atmosphères donne des sons mystérieux ou des phrases musicales qui jouent sur les nuances et les vibrations en utilisant les possibilités de chaque instrument, vibration du tam-tam, large vibrato des violons avec des sons qui viennent de loin. Si l’on n’est pas ici comme dans la musique spectrale avec la décomposition des sons, ceux-ci, joués avec lenteur nous donne un aperçu de certaines de ses autres compositions. Suzanna Mälkki dirige avec élégance et précision cette musique aux ambiances éthérées. Avec le Concerto pour orchestre de George Benjamin, le programme annoncé reprenait son cours. Cette œuvre, créée le 30 août 2021 au Royal Albert Hall de Londres, est composée en hommage au compositeur Olivier Knussen décédé en 2018. Dans ce concerto George Benjamin met en valeur chaque instrument, leur écrivant solos et soli, et cherche à rendre avec réalisme l’énergie et le caractère enjoué de son ami défunt en utilisant des contrastes de rythmes et de sonorités (grondements de timbales, sons de violons sans vibrato) et, s’il emploie la clarinette contrebasse, c’est sans doute avec le tuba qu’il explore avec le plus d’intensité les sons graves. Si nous préférons le George Benjamin compositeur d’opéras, nous lui devons de reconnaître que cette œuvre fait montre d’une grande inventivité dans sa technique de composition avec des sons jamais agressifs même au plus fort des fortissimi passant par des clarinettes et hautbois jouant pavillons relevés, pour arriver aux bruissements pianissimo des violons. Chaque instrument joue ici un rôle particulier dans l’évocation de la personnalité d’Olivier knussen avec les rythmes des trompettes, les pizzicati des violoncelles, les cymbales frappées ou l’expression des violons. Une évocation aux couleurs diverses dirigée avec clarté par le compositeur à la tête d’un orchestre réactif aux solistes d’une grande virtuosité. Remontant un peu dans le temps, le programme nous proposait une œuvre de Paul Hindemith. Cette œuvre, Symphonie “Mathis der Maler”, créée à Berlin le 12 mars 1934 mettant en scène le peintre Matthias Grünewald, à qui l’on doit le retable d’Issenheim consacré à saint Antoine, servira de trame à son opéra du même nom. Paul Hindemith voit dans cette œuvre de la Renaissance comme un écho à l’époque qui est la sienne. Composée en trois parties, cette symphonie de moins de 30 minutes nous donne à voir quelques images inscrites dans cette peinture. Le concert des anges donné à Marie et à l’enfant Jésus est empreint de lumière, de joie avec le son éthéré des flûtes, mais aussi de majesté alors que le compositeur emploie trombones et tuba dans une sorte de choral religieux. Une fresque rythmée et colorée dans une écriture expressive. Inspiré de La mise au tombeau, ce deuxième mouvement, plus lent et aux sons posés, est propice à la méditation avec ce solo de flûte venu du ciel sur des archets aux accents douloureux et aux phrases langoureuses jouées avec retenue. Ambiance tout à fait différente dans le troisième mouvement qui évoque la tentation de saint Antoine et, comme dans le tableau de Jérôme Bosch, les images ici sont terrifiantes. Si le son des violons semble venu des profondeurs l’on peut ressentir les sentiments de peur de saint Antoine dans les accords secs joués forte ou les vibrations des cuivres avec ces trompettes qui semblent appeler à l’aide. Une interprétation imagée pour cette musique expressive qui s’achève sur un choral de cuivres aux accents religieux. Dans une direction large mais précise, Suzanna Mälkki laisse sonner l’orchestre jusque dans les dernières vibrations des sons. La deuxième partie de ce concert était consacrée au concerto N°3 de Sergueï Rachmaninov avec en soliste le pianiste de nationalité américaine Kirill Gerstein. Ce concerto, décrit comme injouable, sera créé à New York par le compositeur le 28 novembre 1909, son dédicataire Joseph Homann refusant de le jouer. Il est vrai que cette composition d’une virtuosité époustouflante demande technique, force et endurance, mais aussi souplesse et musicalité dans des envolées romantiques chères à Rachmaninov. Ce concerto écrit en trois mouvements, dont les deux derniers sont enchaînés, abonde de mélodies entrecoupées de passages hautement techniques, physiques même, dont le Finale est écrit sous forme de variations. Kirill Gerstein connu pour sa puissance et sa technique sans faille s’empare du piano et de la partition. Dire que nous avons été séduits par son interprétation n’est pas tout à fait exact. Subjugués par sa technique, peut-être mais séduits non. Dès les premières notes nous sommes “happés” par un toucher sec, presque agressif dans les triples forte. Certes le jeu est clair, d’une grande précision, mais les tempi vifs du premier mouvement qui laissent ressortir la virtuosité n’apportent pas une grande cohérence musicale ni même dans la cadence. Kirill Gerstein se laisse-t-il emporter par la puissance oubliant la sensibilité jusque dans les thèmes d’un grand romantisme ? Dans la longue exposition du deuxième mouvement et sans doute porté par l’envolée des violons le pianiste assouplie son jeu, lie les sons et nuances les phrases musicales avant d’enchaîner les variations du troisième mouvement avec plus de charme, passant du jeu perlé au marcato appuyé. Pourquoi donc ses phrases musicales n’aboutissent-elles pas, trop de technique, trop de son ? Entraîné par les timbales et la caisse claire, le concerto se termine dans un accelerando endiablé joué fortissimo. Si la direction de Suzanna Mälkki nous avait convaincus dans la première partie du concert, nous sommes plus dubitatifs quant au concerto. Avec une gestuelle répétitive, la chef d’orchestre n’est pas arrivée à une cohérence entre orchestre et soliste et malgré les belles sonorités de chaque pupitre et les tempi justes, les nuances parfois brutales coupant certaines phrases musicales donnaient l’impression à l’auditeur que pianiste et orchestre jouaient deux partitions différentes. Une interprétation éclatante et très applaudie. Toutefois, c’est avec un plaisir réel que nous avons écouté le pianiste, pas du tout éprouvé par ce concerto très physique, dans un bis des plus sensibles. Rachmaninov encore pour cet arrangement de la Romance op.4 N°3 écrit pour soprano et piano. Le toucher délicat joué dans un phrasé musical et langoureux, avec des respirations et des nuances piano, apporte délicatesse et douceur à cette romance tout en nous réconciliant avec le pianiste. Une soirée aux émotions musicales multiples fort appréciée par un auditoire conquis.
Categorie: Musica corale

Sassari, Chiesa di San Pietro in Silki: Concerto del Vibes Ensemble

gbopera - Lun, 24/07/2023 - 16:34

Sassari, Chiesa di San Pietro in Silki – Festival corale internazionale Nella città dei gremi
VIBES ENSEMBLE”
Direttore Luca Sannai
Musiche di Anton Bruckner, Felix Mendelssohn, Zoltan Kodàly,György Orban, Meinhard Ansohn e altri
Sassari, 20 luglio 2023
Esistono vari modi per contribuire allo sviluppo della “cultura nel territorio”, terminologia tanto vaga quanto utilizzata spesso a sproposito per giustificare il solito eventume estivo da parte di chi in realtà, del territorio, non si è mai occupato. Servono infatti a poco epifanie tanto rutilanti quanto fini a loro stesse, mentre è decisamente più importante il lavoro continuo negli anni, spesso oscuro e faticoso, ma condiviso realmente, nel territorio e da chi lo occupa. In questo senso per l’arte dei suoni è fondamentale l’attività corale amatoriale che in Sardegna, grazie a una cultura polifonica ben radicata nella musica di tradizione orale, ha espresso alcune realtà di ottimo livello anche in contesti internazionali, con una pratica assai diffusa e ben articolata per generi e repertorio. L’Associazione Musicale Gioacchino Rossini è una di queste e organizza meritoriamente da anni a Sassari il festival corale Nella città dei gremi ospitando formazioni vocali spesso di grande interesse che ben rappresentano aspetti del panorama nazionale e internazionale. In questo caso l’interesse è dovuto alla presenza di un gruppo francese, il Vibes Ensemble, formatosi tra i professionisti del coro dell’Opera di Parigi, desiderosi di cimentarsi in un repertorio differente da quello di pratica abituale. Messe da parte le solite compilation operistiche, è stato sorprendente sentire da loro il taglio interpretativo di brani normalmente più raffinati e di maggiore impegno esecutivo rispetto allo standard degli interventi teatrali. In realtà l’operazione, sulla carta difficoltosa, ha avuto un ottimo medium nel suo direttore Luca Sannai (sardo emigrato da tempo e tipico esempio di talento in fuga dalla sua Regione e dal suo Paese) che ha saputo ben conciliare abitudini esecutive consolidate con gli standard richiesti dal repertorio polifonico, grazie alla lunga esperienza specifica del passato proprio nella sua terra d’origine. Inutile sottolineare la sontuosità vocale e l’ampiezza dinamica di un ensemble professionistico di provenienza lirica, ma il merito è stato soprattutto nell’evidente lavoro di cesello sulla fusione, l’intonazione e il controllo del vibrato che ha ben dimostrato l’insussistenza di tanti approssimativi luoghi comuni sulla vocalità corale operistica. Ovviamente parliamo sempre di una base decisamente latina: il classicissimo Os Justi di Anton Bruckner e i mottetti di Felix Mendelssohn Richte mich, Gott e Denn er hat seinen Elgen sono stati affrontati con vigore e accentuazione dei colori drammatici insoliti, ma assai interessanti e con un ottimo rilievo del testo. Da segnalare inoltre la disinvoltura in alcuni brani contemporanei, con evidenti aspetti extratestuali o apertamente rappresentativi, e le raffinate dinamiche espresse in Esti dal di Zoltan Kodàly, che ha inoltre ben evidenziato l’ottimo legato delle voci femminili. Non è mancata per la platea la brillante interpretazione di alcuni spiritual dalla veste più elaborata del solito e la bella esecuzione di brani come Evening Rise di Meinhard Ansohn o Daemon irrepit callidus di György Orban, che sfruttano abilmente le risonanze, le tecniche e le suggestioni della nuova musica corale. Sono stati sempre sicuri e ben impostati anche gli interventi solistici e ottimo è apparso l’accordo tra l’ensemble e il direttore che ha sempre segnalato con precisione e una sobria gestualità espressiva i tanti punti di attenzione di un programma vario, ben articolato e piacevole pur nelle tremende condizioni climatiche di questo luglio dal caldo infinito. Merito quindi non solo agli esecutori e agli organizzatori ma anche a un pubblico resiliente, partecipe e numeroso in cui però mancavano, come sempre, proprio gli spettatori che più avrebbero avuto da imparare.

Categorie: Musica corale

Estate Teatrale Veronese 2023: Preludes for Juliet

gbopera - Lun, 24/07/2023 - 16:14

Martedì 25 e mercoledì 26 luglio, alle ore 21.15, si apre la sezione danza dell’Estate Teatrale Veronese. Un omaggio a Shakespeare con le coreografie di Massimo Moricone, su alcune delle più belle pagine pianistiche di Chopin, Debussy, Bach e Rachmaninov eseguite dal vivo. Costumi di Luca Dall’Alpi e disegno luci di Claudio Schmid.
Un passo a due tra musica e danza, capace di far parlare il corpo e arrivare ai cuori. Facendo rivivere il mito di Giulietta, proprio nella città dell’amore. Anbeta Toromani, stella nata sotto ai riflettori di Amici, oggi prima ballerina sui più importanti palcoscenici italiani, porta al Teatro Romano di Verona Preludes for Juliet. Assieme a lei Costanza Principe, pianista d’eccezione. E due dei migliori ballerini del panorama nazionale: Alessandro Macario e Amilcat Moret Gonzalez.
Un mito senza tempo, quello dei due innamorati di Verona, che non conosce fine. Dopo la poesia dei preludi di Chopin, perfetta celebrazione dell’amore romantico, l’8 e 9 agosto il Balletto di Roma darà vita alla riscrittura coreografata da Fabrizio Monteverde di Giulietta e Romeo. Considerato ormai un titolo classico nel repertorio della compagnia, arriverà a Teatro Romano in una nuova edizione interpretata da Paolo Barbonaglia e Carola Puddu. La grande danza pronta ad incantare il pubblico. L’arte coreutica sarà un omaggio ai 75 anni del Festival Shakespeariano, unico in Italia e secondo in Europa solamente a Stratford-upon-Avon. Un traguardo prestigioso, un anniversario che simboleggia la storia e il legame tra la città scaligera e il Bardo.
Biglietti in vendita al Box Office di via Pallone o sul sito www.boxol.it.
Tutte le informazioni sul sito www.spettacoloverona.it. Curiosità, approfondimenti e date sui canali Facebook, Instagram e Youtube dell’Estate Teatrale Veronese.

Categorie: Musica corale

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