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Musica corale

Roma, Teatro Argentina: “Ragazzi irresistibili”

gbopera - Mar, 21/01/2025 - 23:59

Roma, Teatro Argentina
I RAGAZZI IRRESISTIBILI
di Neil Simon
traduzione Masolino D’Amico
regia Massimo Popolizio
con Umberto Orsini, Franco Branciaroli
Flavio Francucci, Chiara Stoppa, Eros Pascale, Emanuela Saccardi
Roma, 21 gennaio 2024
Nel vasto panorama della drammaturgia del Novecento, Neil Simon è una di quelle figure che più ha saputo intrecciare la leggerezza di una scrittura brillante con una profonda riflessione sulla natura umana. The Sunshine Boys, scritto nel 1972 e divenuto immediatamente un classico, è forse uno dei suoi testi più emblematici, un’opera che coniuga ironia e malinconia, comicità irresistibile e sguardi impietosi sulla fragilità del successo e delle relazioni umane. Il titolo italiano, I ragazzi irresistibili, restituisce con efficacia quel senso di nostalgia beffarda che attraversa la pièce, divenuta celebre anche grazie all’adattamento cinematografico del 1975 diretto da Herbert Ross, con Walter Matthau e George Burns. Al centro della vicenda, due anziani attori di varietà, Willy Clark e Al Lewis, un tempo compagni inseparabili sul palcoscenico e celebrità del vaudeville americano. Separati da un litigio mai davvero chiarito, vengono convocati, molti anni dopo, per una trasmissione televisiva celebrativa. La proposta riapre ferite, rianima rivalità, ma soprattutto costringe i due protagonisti a confrontarsi con il passare del tempo, la perdita della gloria e la difficoltà di ritrovare una sintonia che sembra svanita per sempre. Il testo, intriso di battute fulminanti e situazioni comiche irresistibili, non si limita a intrattenere: con la sua struttura apparentemente leggera, scava nel cuore di quel mistero che è l’animo umano, dove il riso e la lacrima si fondono in un’unica, struggente verità. A questa complessa e raffinata macchina teatrale, Massimo Popolizio offre una regia che non solo rispetta la profondità del testo, ma la esalta, trasformando il palco del Teatro Argentina in un prisma capace di scomporre ogni emozione in un arcobaleno di sfumature. In questa visione, il vaudeville diventa una metafora dell’esistenza: un gioco di luci e ombre, dove la comicità non è altro che una maschera che rivela, anziché nascondere, le fragilità dell’essere. La scenografia di Maurizio Balò, vero e proprio poema visivo, delinea con pochi ma essenziali tratti il mondo fatiscente di Willy e Al: una stanza d’albergo, con la tappezzeria che si scolla come una memoria che sfuma, una finestra opaca che sembra riflettere il tempo anziché la luce, arredi semplici e logori che diventano emblema di un passato glorioso ridotto in polvere. Ogni dettaglio scenico è un tassello di questa narrazione, un frammento di un mosaico che restituisce non solo uno spazio fisico, ma una dimensione esistenziale. Franco Branciaroli e Umberto Orsini, due giganti della scena italiana, si muovono in questo spazio con una naturalezza che è il frutto di anni di esperienza e di una sapienza interpretativa che sfiora la perfezione. Branciaroli, nei panni di Willy, dipinge un ritratto straordinariamente complesso di un uomo ferito dall’oblio, ma incapace di arrendersi al proprio destino. La sua interpretazione è un intreccio di ironia tagliente e malinconia straziante, un equilibrio perfetto tra il riso che esorcizza e il dolore che resta. Orsini, dal canto suo, restituisce al personaggio di Al una grazia che è insieme fisica e metafisica. La sua voce, dapprima tremante, acquista progressivamente forza, come se il personaggio risorgesse dalle ceneri del passato per rivendicare la propria identità. Ogni gesto, ogni pausa, ogni sguardo è un’esplosione di significati, una danza di emozioni che attraversa il palco come un’onda, travolgendo il pubblico in un abbraccio al contempo tenero e implacabile. Accanto ai protagonisti, il cast di supporto si distingue per precisione e vivacità. Flavio Francucci è straordinario nel ruolo del nipote Ben, un giovane affettuoso e al contempo esasperato dall’irriverenza di Willy. La sua capacità di modulare i toni, passando dall’affettuoso al determinato, rende il personaggio credibile e accattivante. Chiara Stoppa, nel ruolo dell’infermiera, è spassosa e implacabile, con un cinismo tagliente e tempi comici perfetti. Emanuela Saccardi e Eros Pascale, in ruoli secondari ma fondamentali, arricchiscono la scena con interventi che, pur brevi, lasciano il segno. La cura di ogni dettaglio tecnico è evidente: i costumi di Gianluca Sbicca distinguono con precisione i vari registri narrativi, le luci di Carlo Pediani aggiungono profondità e suggestione visiva, mentre il suono di Alessandro Saviozzi si integra perfettamente con l’azione scenica. Anche i cambi di scena, realizzati a vista da personaggi che sembrano usciti da un fumetto noir, si muovono con ironia e ritmo, enfatizzando l’attenzione alla perfezione formale. Quando il sipario cala, il successo è palpabile: un trionfo di applausi e standing ovation travolge gli attori, richiamati in scena più volte. Branciaroli e Orsini, smessi i panni dei loro personaggi, appaiono come figure senza tempo, intrise di una passione che illumina ogni gesto, ogni sorriso. Il pubblico, conquistato dalla maestria e dall’autenticità della rappresentazione, celebra non solo due interpreti eccezionali, ma anche il teatro come luogo di meraviglia e riflessione. I ragazzi irresistibili non è solo uno spettacolo: è un’esperienza teatrale che si imprime nell’anima, un esempio luminoso di come l’arte possa rivelare, con ironia e dolcezza, le infinite sfumature dell’umanità. Photocredit @Nicolo’Feletti

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Ostia Antica, Parco Archeologico: ” Visita alla Sinagoga di ostia Antica”

gbopera - Mar, 21/01/2025 - 16:45

Ostia Antica, Parco Archeologico
VISITA ALLA SINAGOGA DI OSTIA ANTICA
In occasione del Giorno della Memoria 2025, il 26 gennaio alle ore 10.30, l’Area archeologica di Ostia Antica sarà protagonista di un evento speciale dedicato alla scoperta dei luoghi legati alla presenza della comunità ebraica nell’antico porto di Roma. La visita guidata si propone di far emergere l’importanza storica e culturale di questa comunità, che per secoli ha contribuito in modo significativo alla vita sociale ed economica della città. Il percorso si snoderà tra alcuni degli spazi più significativi del sito archeologico, con un focus particolare sulla Sinagoga di Ostia, riconosciuta come la più antica del Mediterraneo occidentale. Questo monumento straordinario, risalente al I secolo d.C., rappresenta una testimonianza unica della vitalità e dell’integrazione della comunità ebraica in un contesto multietnico e cosmopolita come quello di Ostia. Durante la visita verranno approfonditi gli studi più recenti che riguardano il monumento e presentato il progetto di restauro, sviluppato in collaborazione con la Fondazione Beni Culturali Ebraici in Italia, che ha curato lo studio di fattibilità per preservare e valorizzare questo straordinario luogo di culto. La visita sarà guidata dal Direttore del Parco Archeologico di Ostia Antica Alessandro D’Alessio, insieme alla funzionaria archeologa Claudia Tempesta e all’architetto Adachiara Zevi. Il percorso prevede tre tappe fondamentali che consentiranno ai partecipanti di immergersi nella storia di Ostia e della sua comunità ebraica. Si partirà dal Museo Ostiense, dove reperti e iscrizioni documentano il ruolo della comunità nell’età imperiale. Si proseguirà con la Schola del Traiano, luogo che testimonia le dinamiche sociali e le relazioni culturali che caratterizzavano la vita nel porto di Roma. Infine, l’itinerario raggiungerà la Sinagoga, cuore della visita, per esplorare i dettagli architettonici, le trasformazioni nel tempo e il valore simbolico di questo luogo. La comunità ebraica di Ostia era già attestata nei primi decenni dell’età imperiale, come dimostra l’iscrizione ritrovata nella necropoli di Pianabella, la più antica in Italia a menzionare il termine Iudaei. Questa presenza, che si sviluppò in un ambiente culturale e religioso profondamente diversificato, ha lasciato segni indelebili nella memoria archeologica e storica del sito, testimoniando un periodo in cui diverse identità culturali riuscivano a convivere e prosperare. La visita guidata rappresenta quindi un’opportunità unica per riflettere sull’importanza di preservare queste testimonianze e sul ruolo che la memoria può avere nel costruire un dialogo tra passato e presente. L’iniziativa è frutto della consolidata collaborazione tra il Parco Archeologico di Ostia Antica e l’Associazione “Arte in Memoria”, nonché della partnership con la Fondazione Beni Culturali Ebraici in Italia. Questo evento non solo celebra il Giorno della Memoria, ma sottolinea anche il valore della ricerca e della conservazione come strumenti per mantenere viva la consapevolezza storica. La partecipazione è gratuita previa prenotazione, che dovrà essere effettuata entro il 23 gennaio all’indirizzo email pa-oant.comunicazione@cultura.gov.it, dando diritto all’accesso gratuito all’Area archeologica. L’appuntamento è fissato alle ore 10.30 davanti all’ingresso del Museo Ostiense. Questo evento rappresenta una rara occasione per riscoprire il patrimonio culturale ebraico di Ostia Antica e immergersi in una storia che intreccia memoria, religione e archeologia.

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Torna in scena alla Scala “Falstaff” con lo storico allestimento di Giorgio Strehler (16 dicembre – 7 febbraio 2025)

gbopera - Mar, 21/01/2025 - 15:13

La scala continua la meritoria opera di ripresa dei propri allestimenti storici. Dopo “Le nozze di Figaro” e “Die Entführung aus dem Serail” un altro degli allestimenti di Giorgio Strehler torna sul palcoscenico del Piermarini. Si tratta dell’ultima direzione d’opera con Falstaff di Giuseppe Verdi nella regia creata per l’inaugurazione della Stagione 1980/81 e diretto allora da Lorin Maazel. L’ultima ripresa della produzione, che traspone le avventure delle gaie comari dalla corte di Windsor alle cascine della bassa indorate dal sole al tramonto, risale al 2004 con Riccardo Muti sul podio.
La direzione è affidata a Daniele Gatti prossimo direttore musicale del teatro milanese che sul palcoscenico scaligero ha già diretto l’opera nel 2016 con la regia di Robert Carsen. Il cast vede nel ruolo del titolo Ambrogio Maestri, forse il cantante che più si è identificato con Falstaff negli ultimi decenni. Al suo fianco troviamo Luca Micheletti (Ford), Rosa Feola (Alice) che torna sul palcoscenico milanese dove si è rivelata e affermata nelle scorse stagioni, Juan Francisco Gatell (Fenton), Rosalia Cid (Nannetta), Marianna Pizzolato (Quickly), Antonino Siragusa (Dott. Cajus), Martina Belli (Meg Page), Marco Spotti (Pistola), Christian Collia (Bardolfo).
Un’ora prima dell’inizio di ogni recita, presso il Ridotto dei Palchi “A. Toscanini”, si terrà una conferenza introduttiva all’opera tenuta da Raffaele Mellace.La rappresentazione del 29 gennaio sarà trasmessa in live streaming sulla piattaforma La Scalatv. Dopo la diretta, il video resterà disponibile on demand fino al 5 febbraio 2025.

Link: https://www.teatroallascala.org/it/stagione/2024-2025/opera/falstaff.htm

lhttps://www.teatroallascala.org/it/biglietti.html?startdate=&enddate=&spettacolo=5833

 

 

 

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Roma, Teatro dei Servi: “Il berretto a sonagli” dal 14 al 26 gennaio 2025

gbopera - Mar, 21/01/2025 - 11:36

Roma, Teatro dei Servi
Alt Academy Produzioni presenta
IL BERRETTO A SONAGLI
IL PARADOSSO DELL’ESISTENZA
di Luigi Pirandello
regia di Luca Ferrini
con Giovanni Prosperi, Alessandra Mortelliti, Paola Rinaldi, Andrea Verticchio, Antonia Di Francesco, Luca Ferrini, Marianna Menga, Veronica Stradella
Disegno Luci Cristiano Milasi
Musiche Giulio Ricotti
Scene Creazioni Sasone
Costumi Susanna Ciucci
Beatrice Fiorica è una donna disperata: ha avuto conferma che il marito, il Cavaliere Fiorica, la tradisce con Nina Ciampa, la giovane moglie del suo storico e fidato contabile, ed è decisa a travolgere l’intero paese con vero scandalo. L’astuta Beatrice si imporrà sul fratello Fifì e sulla domestica Fana, poi con una scusa invierà il signor Ciampa a Palermo così da aver mano libera per forzare il commissario Spanò a procedere con la denuncia e a pianificare l’irruzione che coglierà in flagrante il Cavaliere con l’amante. Lo scandalo scoppia, ma quando Ciampa rivela la sua scioccante verità l’unica a subirne le conseguenze sarà Beatrice, e tutti gli altri potranno solo salvare la loro maschera “girando la corda civile” . Qui per tutte le informazioni.

 

 

 

 

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Roma, Chiesa di San Luigi dei Francesi : ” Si mostra a nuova luce”

gbopera - Lun, 20/01/2025 - 22:51

Roma, Chiesa di San Luigi dei Francesi
RINASCE A NUOVA LUCE LA CHIESA DI SAN LUIGI DEI FRANCESI
Roma, 19 gennaio 2025
La chiesa di San Luigi dei Francesi, emblema del barocco romano e custode di capolavori immortali di Caravaggio, si è risvegliata a nuova luce grazie a un ambizioso progetto di restauro, culminato in una cerimonia inaugurale carica di solennità.
L’evento, preceduto da una celebrazione liturgica celebrata dal Cardinale Dominique Mamberti, ha visto la partecipazione delle massime autorità religiose e politiche, tra cui Martin Briens, Ambasciatore di Francia in Italia, e numerosi Ambasciatori accreditati presso la Santa Sede. A suggellare l’occasione, l’intervento della Presidente della congregazione generale dei Pii Stabilimenti della Francia nonché Ambasciatrice di Francia presso la Santa Sede, Florence Mangin, figura di spicco per la sua instancabile dedizione alla conservazione e valorizzazione del patrimonio francese in Italia. Con uno slancio generoso e una visione illuminata, la Mangin ha saputo promuovere iniziative di ampio respiro, aprendole con grande generosità alla cittadinanza romana. Questo restauro monumentale trova le sue origini in un tragico evento che ha segnato la memoria collettiva: l’incendio di Notre-Dame di Parigi. Tale tragedia ha sollecitato una nuova consapevolezza culturale e spirituale, spingendo il Ministero francese della Cultura a intraprendere una campagna globale di tutela dei luoghi simbolo della cultura e della fede francesi. Tra questi, la chiesa di San Luigi dei Francesi è stata sottoposta a un rinnovamento radicale, terminato nel dicembre del 2024, con l’obiettivo di allinearsi alle normative di sicurezza antincendio e di prepararsi al Giubileo. Un aspetto fondamentale del progetto è stato l’adeguamento tecnologico della struttura, che ha comportato la sostituzione integrale dell’impianto elettrico e un ripensamento dell’illuminazione. Sotto la guida di Marco Frascarolo, ingegnere e artista di eccezionale talento, è stato creato un sistema luminoso che coniuga efficienza energetica e rispetto per la fragilità delle opere d’arte. I LED di ultima generazione, privi di radiazioni ultraviolette e con una ridotta componente blu, garantiscono una protezione ottimale e una resa cromatica che esalta la bellezza degli ambienti, dando nuovo risalto agli elementi architettonici e decorativi. Tra le innovazioni più significative figura lo sviluppo di scenari luminosi personalizzati, concepiti per valorizzare le diverse anime della chiesa: le celebrazioni liturgiche, le visite turistiche, i concerti e gli eventi culturali. Questa attenzione all’esperienza del visitatore è stata ulteriormente arricchita dalla valorizzazione degli assi prospettici, che guidano lo sguardo e l’anima attraverso uno spazio intriso di armonia: l’asse longitudinale, che collega la cappella di San Luigi a quella di Santa Giovanna di Valois, e l’asse trasversale, che crea un dialogo equilibrato tra gli spazi interni. La cura dei dettagli ha raggiunto il suo apice nella cappella di San Luigi, dove la tridimensionalità e il gioco chiaroscurale sono stati esaltati per creare un effetto scenografico che varia tra il giorno e la notte. Analogamente, nella cappella Contarelli, che custodisce i capolavori di Caravaggio, è stata eliminata la gettoniera per l’illuminazione, offrendo ai visitatori una fruizione continua e immersiva delle opere, perfettamente integrate nell’architettura e nell’atmosfera spirituale della chiesa. Questo straordinario restauro non sarebbe stato possibile senza il sostegno della Fondazione Bvlgari, la cui dedizione alla valorizzazione del patrimonio culturale italiano rappresenta un modello di mecenatismo moderno. Jean-Christophe Babin, CEO di Bvlgari e Presidente della Fondazione, ha sottolineato con orgoglio: “Il nuovo impianto permetterà di valorizzare con un approccio di efficientamento energetico tre opere di Caravaggio che ogni anno vengono ammirate da migliaia di visitatori provenienti da ogni parte del mondo. Siamo felici di portare nuova luce al nostro inestimabile patrimonio culturale e di renderlo visibile e fruibile ai cittadini del mondo, di oggi e di domani”. Così, la cerimonia di inaugurazione è stata più di un semplice evento ufficiale: è diventata un simbolo di rinascita e di riflessione sull’importanza di custodire e tramandare alle generazioni future la memoria storica e artistica. La chiesa di San Luigi dei Francesi, rigenerata e splendente, si prepara ora ad accogliere i visitatori del Giubileo, offrendo loro un’esperienza unica, in cui bellezza artistica, innovazione tecnologica e profonda spiritualità si intrecciano in una sintesi perfetta. Photocredit Pierluca Ferrari

 

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Roma, Parco Archeologico del Colosseo: ” Nuove scoperte nella Domus Aurea: raro lingotto di blu egizio”

gbopera - Lun, 20/01/2025 - 14:13

Roma, Parco Archeologico del Colosseo
NUOVE SCOPERTE NELLA DOMUS AUREA: RARO LINGOTTO DI BLU EGIZIO
Roma, 20 gennaio 2025
Nel labirinto di storia e arte che è la Domus Aurea, si è aggiunto un nuovo capitolo, capace di far vibrare le corde più profonde dell’archeologia e della storia dell’arte. Un raro lingotto di blu egizio – pigmento di straordinario valore tecnico ed estetico – è stato rinvenuto durante i recenti scavi archeologici, accendendo una nuova luce sulla sofisticatezza delle botteghe imperiali dell’epoca di Nerone e sul legame ininterrotto tra l’antichità e i secoli successivi. Questo ritrovamento – un blocco alto 15 centimetri e pesante 2,4 chilogrammi – rappresenta un unicum, considerando che il blu egizio è di norma ritrovato sotto forma di polvere o in piccole sfere, come dimostrato anche negli scavi di Pompei. L’importanza del pigmento, noto per la sua origine artificiale e per il complesso processo di produzione descritto da Vitruvio nel “De Architectura”, non risiede solo nella sua rarità materiale, ma anche nel significato culturale e simbolico che racchiude. Esso era utilizzato per conferire profondità cromatica e raffinatezza alle decorazioni, un lusso riservato alle committenze più esclusive dell’antichità. Il contesto del ritrovamento è altrettanto suggestivo. Due vasche, probabilmente impiegate per spegnere la calce e lavorare pigmenti destinati agli affreschi, hanno restituito anche ocra gialla, terre rosse e realgar, testimoniando l’ampio repertorio cromatico impiegato per decorare la residenza imperiale. Ma è il blu egizio, con la sua brillantezza e la sua capacità di evocare spazi infiniti, a catalizzare l’attenzione degli studiosi. Non una semplice decorazione, ma un simbolo di maestria tecnica e di raffinatezza culturale che attraversa i secoli. Questo pigmento, le cui origini risalgono al III millennio a.C. in Egitto e Mesopotamia, trovò in Alessandria d’Egitto uno dei suoi centri di produzione più rinomati. Tuttavia, il ritrovamento presso la Domus Aurea apre un nuovo scenario, suggerendo l’esistenza di officine specializzate anche in Italia, come a Cuma o Pozzuoli. Le analisi spettroscopiche confermano l’altissima qualità del materiale, lasciando intravedere la rete di scambi e competenze che alimentava il mercato del lusso romano. La portata di questa scoperta non si esaurisce nell’ambito archeologico. Essa invita a riflettere su come le tecniche e i materiali dell’antichità abbiano influenzato epoche successive. Durante il Rinascimento, ad esempio, artisti come Raffaello riscoprirono e reinterpretarono il blu egizio, attingendo al bagaglio tecnico dei Romani per realizzare capolavori come il “Trionfo di Galatea” nella Villa Farnesina. Il pigmento, allora come in epoca neroniana, non era solo materia cromatica, ma veicolo di un’idea di perfezione artistica. Il ritrovamento del lingotto di blu egizio apre anche nuove prospettive di ricerca sulla vita quotidiana degli artigiani e sulla gerarchia dei materiali utilizzati nelle decorazioni imperiali. L’uso del blu egizio, considerato un simbolo di lusso, potrebbe testimoniare la presenza di botteghe altamente specializzate e di committenti che richiedevano opere di assoluta eccellenza. L’impiego di questo pigmento nei panneggi, negli incarnati e nei dettagli pittorici delle pareti della Domus Aurea suggerisce un’attenzione maniacale ai particolari e una volontà di creare un ambiente che fosse un manifesto del potere e della raffinatezza culturale di Nerone. “La Domus Aurea continua a stupirci, non solo per la sua architettura e decorazione, ma anche per la quantità di conoscenze tecniche che custodisce,” afferma Alfonsina Russo, direttrice del Parco archeologico del Colosseo. Questo straordinario complesso si configura come un laboratorio d’arte e innovazione, un microcosmo in cui competenze artigianali e visione artistica convergevano per dare forma a un ideale estetico senza precedenti. La scoperta non è avulsa da riflessioni più ampie sul ruolo del colore nell’arte antica. Il blu, nella sua essenza, non era solo una tonalità, ma una dichiarazione di identità culturale e di appartenenza a un’elite. Questa simbologia cromatica attraversa il tempo e trova eco nel Rinascimento, quando la riscoperta delle tecniche antiche diventa motore di innovazione. Raffaello e altri artisti dell’epoca erano affascinati dalla capacità di questi pigmenti di conferire tridimensionalità e vitalità alle loro opere. Il blu egizio, in particolare, rappresentava una finestra sull’antichità, un legame visivo e concettuale con un passato mitico che continuava a ispirare le menti più brillanti. Dal punto di vista tecnico, le analisi condotte sui pigmenti ritrovati confermano l’utilizzo di tecnologie avanzate per l’epoca. La produzione del blu egizio richiedeva non solo materie prime di alta qualità, ma anche una conoscenza approfondita della chimica e della termodinamica. Le temperature elevate necessarie per fondere silice, carbonato di sodio e minerali di rame dimostrano una padronanza tecnica che non smette di stupire. Questa maestria si riflette nei prodotti finiti, in grado di resistere al tempo e di conservare intatta la loro brillantezza, testimoniando l’abilità delle maestranze romane. La Domus Aurea, dunque, non è solo un monumento di straordinaria bellezza architettonica, ma anche un deposito di conoscenze tecniche che continuano a influenzare il nostro modo di comprendere l’arte e la cultura del passato. L’attuale campagna di scavi promette ulteriori scoperte capaci di ampliare il nostro orizzonte sulla produzione artistica romana e sulla sua eredità culturale. Ogni reperto, ogni pigmento, ogni traccia lasciata dagli artigiani dell’epoca è un tassello di un mosaico più grande, che racconta la storia di una civiltà capace di trasformare la materia in arte. Lungi dall’essere una semplice curiosità archeologica, il lingotto di blu egizio è un simbolo tangibile della continuità culturale che lega l’antichità ai nostri giorni. Esso rappresenta un ponte tra passato e presente, una testimonianza della capacità dell’arte di attraversare i secoli e di parlare ancora oggi al nostro immaginario. Roma, con il suo patrimonio senza eguali, si conferma custode di una storia che non smette mai di stupire, invitandoci a guardare al futuro con gli occhi del passato. Photocredit @ParcoArcheologicodelColosseo

 

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Catania, Fondazione Brodbeck: “Barbara Cammarata. An Interspecies Journey”

gbopera - Lun, 20/01/2025 - 13:27

Catania, Fondazione Brodbeck
BARBARA CAMMARATA. AN INTERSPECIES JOURNEY
Catania, 18 gennaio 2025
Catania, città dai molteplici volti e straordinario crocevia di storia, arte e innovazione, si afferma sempre più come epicentro di una creatività audace e visionaria. Nel cuore pulsante di questa terra vulcanica, dove il respiro della tradizione si fonde con la spinta verso il futuro, la Fondazione Brodbeck di via Gramignani 93 si erge come baluardo dell’avanguardia artistica. Dal 25 gennaio all’8 giugno 2025, questo spazio iconico accoglierà una delle mostre più attese dell’anno: Barbara Cammarata. An Interspecies Journey. Un progetto espositivo di rara intensità, concepito con maestria dai curatori Cesare Biasini Selvaggi e Patrizia Monterosso, che offrono una lettura profondamente contemporanea della ricerca artistica. Il viaggio proposto dalla mostra si sviluppa attraverso un’affascinante combinazione di pittura, scultura tessile e installazioni ambientali, tutte opere create da Barbara Cammarata tra il 2018 e il 2024. Si tratta di un atto creativo che mescola il mistico e il tecnologico, lo sciamanico e il scientifico, invitando lo spettatore a perdersi in un universo immaginifico dove la logica umana si dissolve per lasciare spazio a nuove forme di dialogo interspecie. “Questa esposizione è una celebrazione di un’umanità che, finalmente, riconosce il valore della condivisione con le altre specie, sia naturali che artificiali. Qui, il concetto di alterità si trasforma in una fertile simbiosi di coesistenza,” affermano Cesare Biasini Selvaggi e Patrizia Monterosso, che orchestrano con sensibilità e visione un percorso espositivo capace di scuotere tanto le emozioni quanto la riflessione. La mostra elimina ogni barriera convenzionale: le opere si fondono nello spazio aperto e il pubblico diventa parte integrante di un dialogo in continua evoluzione, quasi fosse una rappresentazione teatrale senza confini. Barbara Cammarata emerge come un’artista il cui linguaggio è unico nel panorama contemporaneo, capace di attraversare le frontiere del postumano con una forza immaginativa che attinge tanto dalla pittura quanto dalle installazioni tessili. Le sue creazioni, animate da esseri ibridi con corpi umani e teste animali, sono finestre aperte su mondi alternativi, dove la critica all’antropocentrismo si trasforma in una poetica rigenerativa. Ogni opera è una dichiarazione d’intenti, un invito a riconoscere la necessità di una nuova alleanza con il vivente e il tecnologico, lontana da gerarchie e conflitti. Non meno straordinaria è la cura dedicata agli allestimenti. I padiglioni della Fondazione Brodbeck diventano un teatro vivente, dove ogni dettaglio – dalla disposizione delle luci alla scelta dei materiali – contribuisce a creare un’atmosfera di potente suggestione. La scenografia si pone come un organismo pulsante, in grado di accogliere il pubblico e trasportarlo in un universo che sfida i paradigmi della percezione. Il lavoro dei curatori dimostra una padronanza assoluta del rapporto tra forma e contenuto, trasformando lo spazio espositivo in un vero e proprio ecosistema intellettuale. Barbara Cammarata, nata a Caltanissetta nel 1977, è una figura di spicco nel panorama artistico contemporaneo. Dopo un percorso accademico che l’ha portata da Palermo a Brighton, ha saputo costruire una carriera internazionale, intrecciando pratiche transdisciplinari che spaziano dalla rigenerazione urbana all’innovazione sociale. Le sue opere, esposte in contesti prestigiosi come la Biennale di Venezia e Manifesta, testimoniano un’attitudine a esplorare le possibilità dell’arte come strumento di trasformazione culturale e sociale. Con Barbara Cammarata. An Interspecies Journey, Catania si conferma una città in grado di accogliere e promuovere progetti di rilevanza globale. Cesare Biasini Selvaggi e Patrizia Monterosso, con il loro approccio curatoriale, offrono al pubblico non solo una mostra, ma un’esperienza immersiva che sfida e arricchisce lo sguardo. La Fondazione Brodbeck si pone, ancora una volta, come un faro culturale, un luogo dove arte e pensiero si intrecciano per generare visioni capaci di illuminare il nostro tempo. La meraviglia non è solo promessa: è già realtà.

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Roma, Teatro Parioli Costanzo: “Lo stato delle cose- Seconda parte”

gbopera - Dom, 19/01/2025 - 19:54

Roma, Teatro Parioli Costanzo
LO STATO DELLE COSE – Seconda parte
di Massimiliano Bruno
Con Andrea Corallo, Teo Guarini, Manuela Bisanti, Sebastiano Re, Claudio Crisafulli, Francesca Lattanzio, Leila Rusciani, Luca Bray, Ester Gugliotta, Dafne Montalbano, Claudia Genolini, Anna D’Alessio, Leonardo Zarra, Francesco Romano, Marco Landola, Gabriele Bax, Mariachiara Di Mitri, Roberta Pompili, Anna Malvaso, Alessandro Cecchini, Roberto Scorza, Beatrice Valentini, Asja Mascarini, Andrea Venditti, Beatrice Coppolino, Daniele Di Martino, Lorenza Molina, Alessia Ferrero, Ugo Caprarella.
Regia di Massimiliano Bruno e Sara Baccarini
Aiuto regia Sofia Ferrero
Assistenti alla regia Arianna Prencipe e Myriam Mazzeo
Musiche originali di Roberto Procaccini
Scenografia di Alessandro Chiti
Costumi di Paola Tosti
Produzione Il Parioli Costanzo
Produzione esecutiva Enzo Gentile
Roma, 16 gennaio 2025
Massimiliano Bruno torna a calcare la scena teatrale con Lo Stato delle Cose – Seconda Parte, un’opera corale e intensa che rinnova completamente il successo del debutto del 2023 al Teatro Il Parioli Costanzo di Roma. Con un nuovo cast, testi rielaborati e una messa in scena che riesce a emozionare e sorprendere, lo spettacolo si presenta come un’esperienza teatrale ricca di suggestioni. Massimiliano, rappresenta sé stesso e agisce, come un demiurgo, guidando il pubblico attraverso una serie di storie che si intrecciano e si sfogliano come le pagine di un libro. Il nuovo cast è composto da giovani talenti del panorama teatrale e cinematografico italiano, che trovano in Lo Stato delle Cose – Seconda Parte un trampolino di lancio ideale. Il palco del Parioli rappresenta una sfida importante, che questi attori emergenti affrontano con grande intensità. Bruno stesso sembra interpretare una parte di sé, mettendo in scena non solo le sue visioni, ma anche la sua sensibilità artistica. Il cast include: Andrea Corallo, Teo Guarini, Manuela Bisanti, Sebastiano Re, Claudio Crisafulli, Francesca Lattanzio, Leila Rusciani, Luca Bray, Ester Gugliotta, Dafne Montalbano, Claudia Genolini, Anna D’Alessio, Leonardo Zarra, Francesco Romano, Marco Landola, Gabriele Bax, Mariachiara Di Mitri, Roberta Pompili, Anna Malvaso, Alessandro Cecchini, Roberto Scorza, Beatrice Valentini, Asja Mascarini, Andrea Venditti, Beatrice Coppolino, Daniele Di Martino, Lorenza Molina, Alessia Ferrero, Ugo Caprarella. La regia di Massimiliano Bruno è affiancata da Sara Baccarini, mentre l’aiuto regia è curato da Sofia Ferrero, con il supporto delle assistenti Arianna Prencipe e Myriam Mazzeo. Sin dall’inizio dello spettacolo, la rottura della quarta parete coinvolge il pubblico, grazie a momenti come il passaggio degli attori tra la platea e la partecipazione collettiva, quando Bruno invita tutti a cantare “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli, preludio a uno dei corti teatrali successivi. Questi momenti rafforzano il legame emotivo tra scena e spettatori. Le tematiche affrontate sono molteplici e spaziano dall’amore alle difficoltà relazionali del nostro tempo, ai sogni personali, fino a riflessioni sulla resistenza partigiana e sulla solidarietà in momenti storici travagliati. Tra le figure centrali spicca quella di Donna Sabella, che negli anni ’40 si dedicava ad aiutare le nascite, simbolo di speranza e resilienza. Commuovente è anche la storia di una coppia che, nonostante le difficoltà, cerca di riscattarsi e imparare a leggere e scrivere, richiamando il famoso programma televisivo “Non è mai troppo tardi” di Alberto Manzi, simbolo dell’impegno educativo nell’Italia del dopoguerra. Un momento particolarmente intenso arriva nel finale, in cui un personaggio vive le sue ultime due ore di vita prima della fine del mondo. Tra riflessioni, battute e incontri inaspettati, la scena alterna momenti di riso e commozione. Tra le storie spicca anche quella dedicata agli incontri occasionali su Tinder, che si distingue per la qualità della recitazione e per l’abilità nel rappresentare con ironia e autenticità le complessità relazionali dei nostri giorni. La pluralità narrativa si riflette in storie che mescolano momenti di profonda riflessione con sprazzi di leggerezza e commedia, creando un’opera che si interroga non solo sullo stato dell’arte contemporaneo, ma anche sullo stato attuale della condizione umana. I protagonisti riescono a dare vita a una moltitudine di emozioni, muovendosi con disinvoltura tra registri diversi, dalla commedia alla riflessione profonda. La scenografia è dominata da imponenti scaffali pieni di libri, che creano un’atmosfera suggestiva e simbolica. Sebbene questi libri non interagiscano direttamente con gli attori o non rappresentino un elemento narrativo esplicito, la loro presenza contribuisce a un’atmosfera ricca di memoria, dando al pubblico la sensazione di trovarsi in un luogo dove storie e conoscenza si accumulano, pronte ad emergere nel corso della performance. Le luci e le musiche di Roberto Procaccini accompagnano ogni scena, così come i costumi, ideati da Paola Tosti, che riflettono le epoche e i contesti narrati, rendendo ogni storia visivamente autentica. Lo spettacolo si distingue per i numerosi riferimenti culturali che arricchiscono la narrazione. Le canzoni “Mi votu e mi rivotu” di Rosa Balistreri e “Amara terra mia” di Modugno evocano radici popolari e la profonda sensibilità dell’anima siciliana, suscitando un brivido di nostalgia. La struttura narrativa, pur nella sua pluralità, ricorda quella di una serie tv: le storie sono autonome e separate, ma si connettono attraverso il tema centrale dell’umanità. Questa scelta riflette l’esperienza di Bruno come sceneggiatore cinematografico, una competenza che si nota nella costruzione delle trame e nell’equilibrio tra momenti intensi e pause comiche. Tuttavia, non tutte le storie raggiungono la stessa forza narrativa. Lo Stato delle Cose – Seconda Parte è un tributo alla bellezza del teatro, che si conferma come uno specchio potente del nostro presente. Non solo il palco mette in scena lo stato dell’arte, ma anche quello delle emozioni e delle dinamiche umane. Ogni storia e ogni scena ci interroga sul nostro rapporto con il mondo e con l’arte, facendoci sentire parte di una narrazione che, come l’arte stessa, è in continua evoluzione. Al termine dello spettacolo, il pubblico esplode in lunghi applausi, la cui intensità riflette l’impatto emotivo di ciascun spettatore. Alcuni applausi sono forti e spontanei, espressione di una connessione profonda con la performance, mentre altri sono più contenuti, ma ugualmente carichi di significato. In ogni caso, l’emozione collettiva è tangibile, testimoniando il potere coinvolgente dell’opera.

 

Categorie: Musica corale

“Dicen que hay amor”. Spanish tonos humanos from Cancionero de Mallorca

gbopera - Dom, 19/01/2025 - 18:30

Juan de Zelis: “Ya no son más de veinte”, Anonimo: “En pira de incendios vives”, Sebastián Durón: “La borrachita de amor”, Gaspar Sanz: “Pasacalles sobre la D”, “Capricho arpeado por la cruz”; Anonimo: “En quien ve para cegar”, “Duerme, descansa, sosiega”, “Ay que dulzura”, “Seguid, perdidos jovenes”; Gaspar Sanz: “La caballería de Nápoles”, “Canciones”, “La coquina francesa “, “La esfachata de Nápoles “, “La miñona de Cataluña”, “La minina de Portugal “, “Lantururu” (“Suite de piezas”); Anonimo: “Montes, prados, riscos, fuentes”, “Dicen que hay amor”; Sebastián Durón: “Pescadorcillo, tiende las redes”; Anonimo: “¡Ay que cansera! ¡Dejeme usted!”; Giacomo Facco: “Sinfonía a violoncello solo”; Anonimo: “Aun infeliz ausente”, “Si quieres que viva”;  Juan Hidalgo:  “Al aire se entregue”. María Espada (soprano), Manuel Minguillón (direttore e chitarra barocca), Daniel Garay (percussioni), Guillermo Turina (violoncello barocco). 1 CD IBS Artist IBS92023 · DL GR 844-2023.

Il “Cancionero de Mallorca” è uno straordinario codice musicale. Originario dell’isola balearica e oggi conservato a Barcellona raccoglie 43 composizioni musicali datate tra la metà del XVII secolo e gli inizi del successivo capaci di offrono uno sguardo unico sulla vita musicale della Spagna barocca. Il mondo iberico ha – fino ai primi decenni del XVIII secolo – una personalità assai marcata. Pur non sconosciuti i modelli italiani non sono dogmaticamente accettati. L’opera lirica all’italiana esiste ma non si afferma in modo dominante mentre centrale è l’integrazione di elementi musicali nel teatro di prosa. L’estetica barocca spagnola tende a una fusione integrale delle arti, a un’opera d’arte totale ante litteram in cui la musica entra ampiamente come mezzo di espressione degli affetti ma integrandosi in spettacoli recitati e non integralmente cantati.  Questi modelli strutturali – che discendono dalla concezione teatrale di Calderon de la Barca – creano un genere ibrido, non rigidamente definito in cui le composizioni possono passare da un esto all’altro e di cui manca spesso una trasmissione autentica. Lo stesso Cancionero presenta in brani in forma generalmente anonima e se in alcuni casi è stato possibile identificare i testi i opere di Antonio de Zamora e Luis Velez de Guevara la gran parte dei testi resta non attribuita. Uguale situazione si ha per i compositori con pochi casi attribuibili con certezza a musicisti come Sebastian Duron, Juan de Zelis o Juan Hidaldo mentre la gran parte resta anonima.

Il recente CD edito da IBS classical presenta una selezione di tredici brani del Canconiero affiancati a una selezioni di brani strumentali di compositori spagnoli o italiani attivi in Spagna nel periodo organizzati secondo l’andamento di una festa barocca. Protagonista di questa riscoperta è il Collegium musicum Madrid sotto la guida del suo direttore stabile Manuel Minguillón. Fondato nel 2013 il complesso madrileno è un’autentica eccellenza nella riscoperta della musica antica di area iberica e mostra all’ascolto non solo un senso stilistico semplicemente perfetto ma un livello esecutivo altissimo garantito dalla qualità dei propri componenti. Sono i brani strumentali quelli in cui queste doti virtuosistiche emergono con maggior chiarezza. E’ il caso della suite di Gaspar Sanz in cui protagonista assoluta è la chitarra barocca che trova in Minguillón un autentico virtuoso capace di far vibrare tutte le corde espressive dello strumento. Minguillón è qui affiancato da altri due straordinari musicisti come Guillermo Turina al violoncello – che si alterna alla chitarra nel ruolo protagonista – e Dani Garay che con le sue percussioni dono un carattere prettamente iberico a questa musica.
L’altra sezione strumentale è data dalla “Sinfonia per violoncello solo e basso continuo” di Giacomo Facco provenienti da un manoscritto conservato presso la biblioteca Marciana. Veneziano di nascita Facco si trasferì a Madrid nel 1720 entrando al servizio di re Filippo V. Dominatore della vita musicale di corte fino agli anni 30 – quando musicisti più giovani e aggiornati raggiunsero Madrid dall’Italia – continuò comunque a vivere e comporre in Spagna fino alla morte avvenuta nel 1753. Facco è stata una figura essenziale per la diffusione della musica italiana in Spagna e tra i primi apostoli del violoncello nel paese. Le composizioni pur nella loro semplicità mostrano un magistero compositivo non trascurabile che le qualità esecutive di Turina esaltano al massimo.

I brani cantati sono affidati al soprano Maria Espada, specialista di questo repertorio che con il suo senso stilistico e la capacità di cogliere sempre in modo esemplare la cifra espressiva di ciascun brano fa ampiamente perdonare qualche appannamento timbrico e qualche durezza sugli acuti. I brani sono musicalmente molto belli – stilisticamente siamo molto vicini alle coeve esperienze italiane – e giocano con grane sensibilità tutte le sfumature degli affetti.  Abbiamo brani di trascinante forza espressiva come “En pira de incendios vives” particolarmente impegnativo anche sul piano vocale al taglio ironico e popolaresco dello composizioni di Duron come “Pescadorcillo, tiende las redes” con il suo cullante ritmo marinaresco o “La borrachita de amor” colma di leggerissima grazia. Alcuni brani come “Al aire se entregue” di Hidalgo appaiono particolarmente ricchi sul piano vocale e dell’accompagnamento, avvicinandosi molto alle coeve esperienze dell’opera italiana. In altri brani emergono tratti popolareschi e danzati che il colore così tipico dato dalle percussioni di Garay collocano in un ambito nazionale immediatamente percepibile così come le colorature tendono a tratti a staccarsi ai modelli italiani per acquisire quel carattere melismatico – di evidente derivazione orientale islamica e sefardita – che diverrà così tipico della vocalità spagnola nelle sue espressioni più autentiche. La veste grafica scelta con disegni quasi infantili tende quasi a ingannare facendolo sembrare un prodotto per bambini, si tratta invece di una registrazione assai interessante e che merita di essere conosciuta da tutti gli amanti del barocco e della sua cultura musicale.

Categorie: Musica corale

Saronno: “Scene da un matrimonio” di Ingmar Bergman

gbopera - Dom, 19/01/2025 - 14:48

Saronno (VA), Teatro “Giuditta Pasta”, Stagione di Prosa 2024/25
SCENE DA UN MATRIMONIO”
di Ingmar Bergman traduzione Piero Monaci
Adattamento teatrale Alessandro D’Alatri
Giovanni FAUSTO CENRO
Marianna SARA LAZZARO
Regia Raphael Tobia Vogel
Scene Nicolas Bovey
Costumi Nicoletta Ceccolini
Musiche Matteo Ceccarini
Luci Oscar Frosio
Video Luca Condorelli
Produzione Teatro Franco Parenti di Milano
Saronno (VA), 15 gennaio 2025
Non sempre grandi registi sono anche grandi sceneggiatori, e ancora più raramente sono grandi drammaturghi. Il caso di Ingmar Bergman è singolare, ma, ahinoi, non si sottrae a questa legge: il Bergman regista cinematografico è geniale, senza dubbio uno dei massimi maestri di quest’arte, mentre come drammaturgo lo svedese ha spesso raggiunto obiettivi sensibilmente al di sotto delle aspettative. “Scene da un matrimonio“, ad esempio, è una sceneggiatura tutto sommato figlia del suo tempo, ossia di un momento storico in cui maschile e femminile potevano ancora essere concepiti come le due metà di una mela, possibile, per quanto problematica, microsoluzione al macroproblema della relazionalità. Oggi, di quel testo, ci pare complicato salvare la maggior parte: per fortuna ci pensa Alessandro D’Alatri, apprezzatissimo cineasta italiano, che appronta un adattamento della sceneggiatura bergmaniana non solo ai nostri tempi, ma anche alle nostre esperienze di maschile e femminile, in primis italiani, e non alieni alla debacle del primo e all’esigenza di riscossa del secondo – a dirla tutta, si sarebbe potuto spingere anche più in profondità, ma capiamo che il tentativo di aderenza al testo di Bergman tenga il nostro adattamento al di qua di una soglia borghese, che tuttavia non giova particolarmente alla resa. Giovanni e Marianna, quindi, sono felicemente sposati, sono due professionisti in carriera, hanno due figlie piccole di cui sono fieri, due famiglie con le quali amano relazionarsi: praticamente un incubo, quel tipo di vicini di casa con cui speri di non dover scambiare parole, perché lui sarebbe tronfio della sua vita, e lei troppo loquace nel raccontartela. Grazie al cielo intervengono i primi screzi, le bugie, le incomprensioni, i silenzi, la mancata sessualità, la rottura. Da essa si originano due nuovi personaggi, un uomo pateticamente ricascato nelle stesse dinamiche che lo soffocavano, e una donna che con coraggio e sofferenza raccoglie i pezzi di una vita, i pezzi di se stessa, e riesce ad emanciparsi dal marito; il finale, però, sembra annullare questi percorsi, livellarli a un “magari se fossimo stati veramente sinceri, sempre l’uno con l’altro, avremmo potuto salvare almeno il bello di questa relazione“, posizione molto di comodo per lui, e che relega lei, in fin dei conti, a una scema sentimentale – insomma, un finale molto bergmaniano, per chi conosce il carattere e la misoginia del regista svedese. Un finale un po’ fuori tempo, su cui forse D’Alatri avrebbe potuto intervenire in maniera più coraggiosa, soprattutto alla luce della precedente scena di violenza domestica. Questo è l’unico difetto reale che riusciamo a rintracciare nella bella produzione guidata da Raphael Tobia Vogel, che mette a punto una regia piuttosto semplice, cinematografica, e senza dubbio funzionale alle vicende, e davvero benedetta dalle scene di Nicholas Bovey, ultrarealistiche e affascinanti, dal commento musicale di Matteo Ceccarini, molto presente ma mai invasivo, in grado di sottolineare anche le tensioni più striscianti fra i due personaggi, e soprattutto dalle splendide, perfettamente congegnate, luci di Oscar Frosio, che contribuiscono in maniera decisiva alla comunicazione della Stimmung che cambia fra i due personaggi man mano che il tempo passa. I due interpreti offrono prove attoriali estenuanti e muscolari, come prevedibile: di entrambi è decisamente apprezzabile la misura, che li tiene entrambi dentro i ranghi di un’interpretazione pienamente fruibile, per quanto ci si spinga ogni tanto molto ai limiti del sopportabile. Se possiamo muovere un piccolo appunto, questo si indirizza a Fausto Cabra, che sembra esplorare meno le possibilità del ruolo, forse persuaso che l’“uomo cishet basico” necessiti di una prova altrettanto orientata al basico; in realtà sarebbe stato possibile eviscerare molto di più il personaggio, e non oscillare semplicemente tra incosciente giovialità e sbornia molesta; praticamente impeccabile, invece, Sara Lazzaro, vero motore della drammaturgia, che ad ogni scena riesce a mostrarci una diversa angolatura, un brivido in più del personaggio di Marianna. Insomma, siamo di fronte a due grandi prove d’attori, supportate da un apparato tecnico-creativo di ragguardevole livello – e che giustamente da un anno raccoglie consensi per l’Italia. Magari, la prossima volta, un testo un po’ più politicamente presente a se stesso, renderebbe l’esperienza quasi perfetta. Foto Luca Condorelli

Categorie: Musica corale

Le Cantate di Johann Sebastian Bach: seconda Domenica dopo l’Epifania

gbopera - Dom, 19/01/2025 - 10:55

Meine Seufzer, meine Tränen BWV 13 eseguita per la prima volta a Lipsia il 20 gennaio 1726 è la terza delle 3 Cantate bachiane dedicate alla seconda domenica dopo l’Epifania. L’autore del testo, Georg Christian Lehms, poeta che abbiamo incontrato più volte nel nostro percorso storico-musicale dedicato alle Cantate bachiane parte dal messaggio “La mia ora già mi appare da lontano”.. che si inserisce quindi in una atmosfera mesta e dolente che Bach raccoglie prontamente nelle 2 splendide arie della partitura dai toni della più cupa disperazione e del lamento più esacerbato: l’Anima del fedele (tenore, aria nr.1) si sente abbandonata e geme malinconicamente. L’oboe da caccia interviene a sottolineare mediante ampie volute concertanti con una coppia di flauti il pathos di quel sentimento di abbandono. È un vero “lamento” nel senso tecnico del termine che si era affermato nel linguaggio musicale Barocco l’aria del basso (nr.5) tutta costruita su avvolgenti, arditissime spirali cromatiche, quasi una disgregazione armonica. Con grande intensità espressiva, un violino e 2 flauti agiscono all’unisono in un profluvio di rapide successioni in scala e di articolazioni ritmiche variate di eccezionale consistenza seguendo modalità geometriche puntualissime. La partitura dai  toni chiaramente cameristici ha al suo interno un recitativo (Nr.2) e un Corale (Nr.3) interpretati dal Contralto con un accompagnamento orchestrale sorprendentemente luminoso. Dopo un recitativo del Soprano (Nr.4) ascoltiamo la dolorosa aria del basso (Nr.5). La cantata si conclude con la la melodia del  Corale “O Welt, ich muß dich lassen”  (Nr.6) che Bach utilizza anche nalla Passione di San Matteo.
Nr.1 – Aria (Tenore)
I miei sospiri, le mie lacrime
non si possono contare.
Se ogni giorno è colmo di tristezza
e l’angoscia non svanisce,
ah! allora tutto questo dolore
prepara per noi un cammino alla morte.
Nr.2 – Recitativo (Contralto)
Il mio carissimo Dio lascia
che io lo invochi invano e nel mio pianto
non viene a consolarmi.
La mia ora già mi appare da lontano,
ma devo ancora invano implorarlo.
Nr.3 – Corale (Contralto)
Dio, che mi ha promesso
il suo costante aiuto,
si lascia vanamente invocare
ora che sono disperato.
Ah! Sarà per sempre
adirato contro di me,
potrà e vorrà con noi poveri
essere ancora misericordioso?
Nr.4 – Recitativo (Soprano)
I miei tormenti vanno aumentando
e mi privano della pace,
la coppa del mio dolore tracima di lacrime,
e questa sofferenza non si calma,
paralizza le mie emozioni.
La notte dell’angoscia e della pena
opprime il mio cuore inquieto,
perciò intono solo canti di tristezza.
No, mia anima, no,
trova consolazione nel tuo dolore:
Dio può trasformare l’amaro liquore
con facilità nel vino della gioia
e poi riservarti mille momenti felici.
Nr.5 – Aria (Basso)
Lamenti e pietosi pianti
non ci guariscono dall’angoscia;
ma chi volge lo sguardo al cielo
in cerca di conforto,
potrà scoprire una luce di gioia
illuminare il suo petto afflitto.
Nr.6 – Corale
Resta fedele, anima,
e abbi fiducia solo in Colui
che ti ha creato;
accada ciò che accada,
il tuo Padre in cielo
saprà sempre consigliarti saggiamente.

www.gbopera.it · J.S. Bach: Cantata “Meine Seufzer, meine Tränen”BWV 13
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Deutsche Oper Berlin: “Macbeth”

gbopera - Sab, 18/01/2025 - 23:07

Deutsche Oper Berlin, Stagione 2024/2025
“MACBETH”
Opera in quattro atti   su Libretto di  Francesco Maria Piave e Andrea Maffei, dalla tragedia di William Shakespeare
Macbeth THOMAS LEHMAN
Banco BYUNG GIL KIM
Lady Macbeth FELICIA MOORE
Dama di  Lady Macbeth MARIA VASILEVSKAYA
Macduff ANDREI DANILOV
Malcolm KANGYOON SHINE LEE
Un servo/ Un araldo DEAN MURPHY
Medico/ Un Sicario GEON KIM
Orchestra e Coro della  Deutsche Oper Berlin
Direttore Enrique Mazzola
Maestro del Coro Jeremy Bines
Regia Marie-Ève Signeyrole
Scene Fabien Teigné
Costumi Yashi
Luci Sascha Zauner
Video Artis Dzerve
Berlino 11 gennaio 2025
Fantasmi, streghe e la reazione umana alla carneficina, che oggi chiamiamo PTSD, ossia chiamiamo Disturbo da stress post traumatico. Come aggiornare una storia che Shakespeare scrisse per Re Giacomo, che credeva almeno nelle prime due? Verdi lo ha fatto con la sua musica evocativa, che alla Deutsche Oper Berlin Enrique Mazzola ha padroneggiato magnificamente, guidando l’eccellente orchestra DOB, il coro (in particolare la sezione femminile, che interpretano le streghe) e i solisti in un’esecuzione ricca di colori e ritmi, “accelerandi”,” ritardandi” e la panoplia del fare musica all’italiana. Quest’opera che mostra la guerra, il sangue, la brama di potere, l’omicidio e le vulnerabili reazioni umane a tale carneficina trova nella concertazione di Mazzola una vivida esaltazione.
Anche il cast si dovrebbe allineare a questa sfida interpretativa e brillare. Nella recita dell’11 gennaio ha brillato la Lady del soprano Felicia Moore. Ha padroneggiato le richieste vocali diabolicamente difficili di questo grande personaggio, da una voce di petto ben dispiegata al re bemolle acuto alla fine dell’aria del sonnambulismo. Il suo canto d’agilità è sciolto e preciso. Il suo successo è stato ben meritato. La sua interpretazione può attualmente mostrare qualche limite nel fraseggio e in un maggior scavo drammatico del personaggio, ma la cantate vi potrà arrivare con il tempo e l’esperienza. Un successo personale ben meritato.  La Deutsche Oper Berlin presenta sempre dei cast di alto livello per le “prime” ma, contrariamente ai teatri che realizzano uno spettacolo per cinque o sei rappresentazioni e assumono praticamente solo solisti ospiti,  questo, come altri teatri di “repertorio”, riprendono le produzioni per diverse stagioni. Alla Deutsche Opere si sono viste produzioni per  per  15 o più stagioni e di conseguenza vi è un susseguirsi di compagnie di canto  che si alternano nelle molte repliche, è quindi interessante scoprire come i cantanti che fanno parte della compagnia stabile del teatro si cimentino in questi ruoli importanti mostrando così pregi e difetti.
Nel ruolo di Macbeth abbiamo trovato il  giovane baritono americano Thomas Lehman cantante dai buoni mezzi vocale che ha cercato di utilizzare  al meglio delle sue possibilità il difficile ruolo protagonistico arrivando alla fine dell’opera con la voce che mostrava segni di stanchezza. In tal modo ha affrontato l’aria finale con molta prudenza. Il basso coreano Byung Gil Kim, altro membro stabile della compagnia berlinese ha le potenzialità vocali per diventare un ottimo Banco, vi dovrà raggiungere una maggiore varietà di fraseggio e colori per avere una interpretazione più completa del personaggio.
Come Macduff il tenore russo Andrei Danilov ha messo in luce una voce chiara, ma bene proiettata. Nella sua aria del quarto atto non ci è parso del tutto aderente alla vocalità verdiana. Complessivamente validi gli altri interpreti, anch’essi provenienti dall’ensemble stabile del teatro. Citiamo in modo particolare la brillante voce bianca della “prima apparizione “nel terzo atto.
Venendo allo spettacolo, con il grande schermo che, a cura di Artis Dzenve proiettava una profusione immagini mescolate con il livestream di quello che avveniva sul palco non hanno pienamente convinto, risultando a volte assai banali. La graphic video avrebbe potuto essere  la soluzione ideale per mostrare il fantasma di Banco nella scena del banchetto, ma qui  il regista ha optato per la più banale delle soluzioni, un fantasma che cammina, ignorato da tutti tranne che da Macbeth. La regia poi vuole rappresentare una scena di aborto spontaneo di Lady  che poteva essere una chiave aggiuntiva di lettura della sua follia e della sua morte, ma il mostrare una donna incinta e una proiezioni  di spermatozoi è servita solo a banalizzare questa grande scena, fortunatamente salvata dal canto della Moore.
Le scene e i costumi, tutti in bianco e nero, sono stati ravvivati solo all’inizio da qualche sprazzo di luce ma poi sono nuovamente sbiaditi: Macbeth  è un’opera cupa ma non monocromatica. Tuttavia, l’aria di Macduff è stata “arricchita” dall’omicidio in scena della moglie e dei figli e dalla successiva sfilata dei cadaveri. Il tempo e la risposta del pubblico diranno se questa produzione sopravvivrà a più di una o due stagioni del teatro. La musica è grandiosa e, almeno con Mazzola, superbamente realizzata. La DOB può certamente schierare giovani cantanti di buon livello per avere sempre una compagnia di interpreti validi.

 

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“Armonia”: James Conlon dirige l’Orchestra e il Coro del Teatro Regio di Torino

gbopera - Sab, 18/01/2025 - 22:28

Torino, I Concerti del Teatro Regio 2024-2025.
“ARMONIA”
Orchestra e Coro Teatro Regio Torino
Direttore James Conlon
Soprano Masabane Cecilia Rangwanasha
Maestro del Coro Ulisse Trabacchin
Francis Poulenc: “Stabat Mater” per soprano, coro e orchestra; César Franck: Sinfonia in re minore.
Torino, 14 gennaio 2025.
Dopo l’inaugurazione a novembre, Pinchas Steinberg sul podio, la stagione dei Concerti del Teatro Regio, alla seconda tappa, offre, con la denominazione di “Armonia”, un programma tutto francese sotto l’espertissima bacchetta di James Conlon che fronteggia il Coro e l’Orchestra del Teatro Regio. Francis Poulenc “metà monaco e metà mascalzone” come viene scritto sulle note di presentazione del concerto, e César Franck che nella sua opera presenta “fragilità e dolore, preghiera e serenità”. Forse alla composizione di queste antinomie si riferisce “ARMONIE” il titolo, altrimenti inspiegabile, della serata. Conlon, che fu dal 2016, per tre anni, Direttore Principale della cittadina Orchestra Nazionale RAI, ci è ben noto per il grande eclettismo, la maestria tecnica con cui conduce le orchestre e per la estesa conoscenza di un vastissimo repertorio. Con gli autori russi e slavi, i francesi ed evidentemente con gli anglo-americani s’è, da sempre, mostrato in grande sintonia. Le sue interpretazioni delle opere di Britten sono poi di riferimento. Lo Stabat Mater, composto da Poulenc tra il 1950 e il 51, dopo un grave lutto e conseguente crisi religiosa, ha i caratteri di essenzialità, concretezza e sobrietà caratteristici dei lavori dei membri del Gruppo dei 6, a cui lo si accomuna. La partitura prevede un’orchestra lussureggiante e un coro di 5 voci, essendo state, diversamente dal consueto, sdoppiate le inferiori in baritoni e bassi. Nonostante le dimensioni e i timbri disponibili, l’orchestra sempre leggera, quasi senza forti sul rigo, non prende mai la scena. Si rende comunque artefice di un accompagnamento affascinante e discreto con la miscela dei timbri e con la campitura delle atmosfere. Il coro si muove tra pannelli omoritmici a cinque voci ed inserti “a cappella” a tre voci. Il testo è perfettamente intelleggibile, la polifonia, con la contemporanea sovrapposizione sfasata di voci e testo, è ridotta al minimo. Parrebbe essere tornati ad una stretta e severa prassi post-tridentina. La correlazione contenutistica tra testo ed espressività musicale non è assolutamente immediata, pare convivano senza un apparente legame significante. In tre brevi episodi irrompe un’illuminazione fulminante, la voce dallo splendido timbro, del soprano sudafricano Masabane Cecilia Rangwanasha. Linee melodiche discendenti dai limiti del rigo che paiono significare la pietosa immagine di una deposizione. Masabane Cecilia la si vorrebbe ascoltare in altre occasioni e con impegni che le lasciassero più opportunità di dispiegare i suoi meravigliosi mezzi. Grazie alle masse del teatro torinese e a Conlon, l’esecuzione, nel suo insieme, ha una forza interna ragguardevole e decisamente apprezzabile. Il pezzo in complesso induce più al ripiegamento su sé stessi e alla meditazione che non alla promozione dell’applauso sfogato. Il pubblico ha numeri contenuti e le approvazioni e i battimani, pur se moderati, hanno opportunamente premiato il soprano solista, Conlon e le masse del Teatro Torinese.
Seconda pagina della serata: La sinfonia in re minore di César Franck. Fine anni ’80 dell’800, turgore tardoromantico e wagnerismo sono gli spettri musicali che s’aggirano per l’Europa. Orchestra imponente schierata a promuovere strutture formali pericolanti. Temi, dalla difficile collocazione e giustificazione, che errabondi cercano di farsi identificare o come “temi conduttore” o come ritornelli di pseudo-rondò. Le sequenze melodiche sono brevi, orecchiabili e mostrano una certa piacevolezza, ma rischiano di sfiancare con la loro eccessiva ripetitività. Stanno inoltre in un contesto massiccio e sovrabbondante, se non di peso orchestrale, di durata. Si inizia con due pagine dalle tinte scure, quasi minacciose e forse tragiche. Si percorrono poi spirali tortuose che ad ogni svolta creano coincidenze già ascoltate. La paletta timbrica è ravvivata dagli interventi degli strumentini e, nella seconda parte, ha dei momenti memorabili del corno inglese sia come solista che in dialogo col primo corno. Lo stile del grande organista, quale Franck è sempre stato, lo si coglie nel porre la massa fonica orchestrale in un raffronto costante tra melodia/recitativo e un tutti che riporta immediatamente ai finali da organo pieno del grand’organo. Franck 1822-1890, Bruckner 1824-1896, le date, il wagnerismo sotteso e il possente strumento come riferimento, potrebbero suggerire un accostamento tra i due compositori, che nella realtà si verifica solo con un’assoluta superficialità. Pur se i mezzi utilizzati sono simili, non altrettanto la temperie culturale del fine secolo in Europa per cui è arduo accordare l’irrazionale idealismo dell’austriaco con il realismo fantasioso del belga. Conlon, da americano sempre pragmatico, sceglie la strada intermedia della resa tecnica inappuntabile, senza esagerazioni e forzature. Si indirizza alla ricerca costante e allo sviluppo di trame logiche e non passionali. Un’esecuzione tecnicamente ineccepibile. L’Orchestra del Teatro Regio di Torino, sotto la sua guida, dà prova di essere non solo adeguata al repertorio sinfonico, ma di vincere la sfida sia con la compattezza dell’insieme che con il valore dei singoli. Anche la sinfonia di Franck non fa parte delle hit dei programmi e di conseguenza gli applausi hanno più il sapore della stima che dell’entusiasmo.

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro dell’ Opera: “Tosca” ( Cast Alternativo )

gbopera - Sab, 18/01/2025 - 00:30

Roma, Teatro dell’ Opera
“TOSCA”
Melodramma in tre atti
Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
tratto dal dramma omonimo di Victorien Sardou
Musica di Giacomo Puccini
Tosca ANASTASIA BARTOLI
Mario Cavaradossi VINCENZO COSTANZO
Il Barone Scarpia DANIEL LUIS DE VICENTE
Angelotti  LUCIANO LEONI
Sagrestano  DOMENICO COLAIANNI
Spoletta  SAVERIO FIORE
Sciarrone MARCO SEVERIN
Carceriere ANDREA JIN KEN
Un Pastorello  EMMA MCALEESE 
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Maestro del Coro Ciro Visco
Regia  Alessandro Talevi
Scene Adolf Hohenstein
Ricostruite da Carlo Savi
Costumi Adolf Hohenstein
Ricostruiti da Anna Biagiotti
Luci Vinicio Cheli
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
con la partecipazione della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma
Allestimento Teatro dell’Opera di Roma
Ricostruzione dell’allestimento storico del 1900
Roma, 17 gennaio 2025
Esattamente 125 anni dopo il suo debutto, avvenuto il 14 gennaio 1900 al Teatro Costanzi, Tosca di Giacomo Puccini torna a illuminare il palcoscenico che la vide nascere. Per celebrare questo anniversario storico, il Teatro dell’Opera di Roma ripropone il celebre capolavoro pucciniano in una versione scenica fedele alla prima assoluta, accuratamente ricostruita nel 2015 grazie alla collaborazione con l’Archivio Storico Ricordi. Dopo il successo delle precedenti rappresentazioni, l’allestimento si rinnova con il cast alternativo, portando sul palco una lettura fresca e appassionata di un’opera che continua a incantare il pubblico, proprio lì dove la sua leggenda ebbe inizio. Francesco Ivan Ciampa ha guidato i complessi orchestrali del Teatro dell’Opera di Roma con un’interpretazione meticolosa e ispirata, capace di cogliere l’essenza più profonda della scrittura pucciniana. La direzione, attenta ai dettagli timbrici e dinamici, ha valorizzato ogni sfumatura della partitura, garantendo una struttura solida e fluida, capace di abbracciare la ricchezza lirica e il vigore drammatico di Tosca. Particolarmente pregevole è stata la gestione delle transizioni dinamiche, equilibrando momenti di sospensione e improvvise esplosioni sonore che hanno amplificato l’intensità teatrale dell’opera. La resa delle sezioni più intime, come il celebre E lucevan le stelle, ha offerto una delicatezza struggente, con archi morbidi e respiri orchestrali che hanno esaltato la drammaticità del testo musicale, mentre i passaggi di maggiore tensione drammatica, come il Te Deum del primo atto, hanno brillato per potenza e precisione, rivelando un controllo assoluto della complessità sonora. Tuttavia, è sembrato mancare un attento dialogo tra buca e cantanti, con un’interazione non sempre calibrata, che ha talvolta smorzato l’equilibrio complessivo tra orchestra e voci. Il Coro del Teatro dell’Opera di Roma, preparato con impeccabile rigore dal Maestro Ciro Visco, ha affiancato l’orchestra con una compattezza e una profondità espressive che hanno ulteriormente arricchito l’esperienza musicale della serata. Anastasia Bartoli interpreta Floria Tosca con una vocalità di grande impatto, caratterizzata da un timbro ambrato e una proiezione sicura. L’esecuzione di Vissi d’arte spicca per una profonda carica emotiva, che esalta il lirismo del personaggio. Tuttavia, nei registri estremi, alcuni acuti risultano forzati, perdendo in rotondità e naturalezza, mentre gli attacchi non sempre precisi rivelano una tecnica che potrebbe beneficiare di maggiore controllo. Pur dimostrando padronanza vocale, alcuni passaggi tra registro medio e acuto potrebbero essere più fluidi, mentre una maggiore varietà dinamica arricchirebbe l’interpretazione. La sua presenza scenica, vibrante e coinvolgente, riesce a trasmettere il pathos del dramma, sebbene ci sia ancora spazio per affinare le sfumature più sottili. Un’interpretazione comunque intensa e promettente, che conferma il talento dell’artista e lascia intravedere ulteriori potenzialità evolutive. Vincenzo Costanzo affronta il ruolo di Mario Cavaradossi con un timbro brunito e una linea di canto generalmente morbida, ma la sua interpretazione risulta spesso penalizzata da una voce poco proiettata, che fatica a riempire lo spazio scenico e a trasmettere appieno l’intensità emotiva richiesta dal personaggio. A ciò si aggiunge un’interpretazione trattenuta, quasi timorosa, che limita la dimensione drammatica della performance, rendendo l’esecuzione corretta ma priva del necessario slancio e della forza emotiva che caratterizzano Cavaradossi. Tuttavia, il terzo atto offre un momento di riscatto con E lucevan le stelle, dove il cantante dimostra un notevole recupero performativo, mettendo in evidenza una musicalità più solida e un’interpretazione più carica di pathos. La gestione del legato è apparsa più fluida, con una linea vocale sostenuta e acuti squillanti che restituiscono intensità emotiva. Sebbene il passaggio tra registro medio e acuto rimanga migliorabile, così come l’uso delle dinamiche e delle mezze voci, questa prova dimostra il potenziale espressivo di Costanzo, capace di momenti di autentica suggestione lirica e drammatica. Daniel Luis de Vicente offre un’interpretazione di Scarpia che, pur rivelando alcune potenzialità, manca dell’autorevolezza vocale e scenica necessarie per dare pieno spessore al personaggio. La sua voce baritonale, caratterizzata da un timbro non sempre corposo e ricco, appare talvolta priva di quella profondità e risonanza che conferiscono imponenza al ruolo. La proiezione, insufficiente in diversi passaggi, limita la capacità della voce di emergere con forza sul tessuto orchestrale, mentre il fraseggio, spesso privo di raffinatezza e sfumature, non riesce a restituire la complessità psicologica e la minaccia sottesa al personaggio di Scarpia. Dal punto di vista attoriale, la sua gestualità e interazione scenica risultano meccaniche e poco incisive, incapaci di trasmettere il carisma autoritario e l’intensità drammatica richiesti dal ruolo. Questa combinazione di fragilità nella presenza vocale e scenica rende l’interpretazione poco convincente, privando il personaggio dell’impatto e del magnetismo necessari per dominare la scena. Di grande spessore l’intera compagnia di canto: Domenico Colaianni ha reso un Sagrestano spigliato e vocalmente preciso; Luciano Angeloni ha offerto un Angelotti eroico e incisivo; Saverio Fiore e Marco Severin hanno brillato nei ruoli comprimari di Spoletta e Sciarrone, fondamentali per la tensione drammatica. Andrea Jin Chen e Emma McAleese hanno completato il cast con sobrietà e freschezza, arricchendo l’opera con dettagli interpretativi pregevoli. Pur in presenza di alcune incertezze vocali di rilievo, l’accoglienza del pubblico si è rivelata calorosa e vibrante, con prolungati applausi e un’intensa partecipazione emotiva che hanno suggellato il trionfo di una serata consacrata a uno dei capolavori più amati e venerati del grande repertorio operistico. Photocredit Fabrizio Sansoni

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro dell’Opera: ” Il Pipistrello”

gbopera - Ven, 17/01/2025 - 19:02

Roma, Teatro dell’Opera, Stagione 2024/2025
“IL PIPISTRELLO”
Balletto in due atti
Musica Johann Strauss Jr.
Direttore Alessandro Cadario
Coreografia Roland Petit
Riallestimento Luigi Bonino
Assistente alla coreografia Gillian Whittingham
Scene Jean-Michel Wilmotte
Costumi Luisa Spinatelli
Luci Jean-Michel Désiré
Bella Rebecca Bianchi
Johann Michele Satriano
Ulrich Alessio Rezza
Orchestra, Étoiles, Primi ballerini, Solisti e Corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma
Con la partecipazione degli allievi della Scuola di danza del Teatro dell’Opera di Roma
Allestimento Wiener Staatsballett
Roma, Teatro Costanzi, 31 dicembre 2024
La notte di Capodanno al Costanzi si è svolta un’incantevole prima de Il pipistrello, balletto del coreografo francese Roland Petit creato per la moglie Zizi Jeanmaire nel 1979. Si tratta in realtà di uno spettacolo ispirato all’omonima operetta di Johann Strauss, su libretto di Carl Haffner e Richard Genée da Le Réveillon di Henri Meilhac e Ludovic Halévy. Nata per riportare la luce dopo il crollo della borsa a Vienna, la celebre operetta di Johann Strauss si incentrava su una semplice storia familiare. Roland Petit, con il suo genio creativo che da semplice figlio di Rose Repetto lo aiutò ad imporsi nell’ambiente dei più prestigiosi teatri dell’epoca, divenendo addirittura il fondatore dei Ballets des Champs-Elysées, riesce a trasformare l’ambiente domestico e del varieté parigino in un’azione teatrale oltremodo spettacolare. Ad aiutarlo è senz’altro la presenza scenica della moglie, che come lui non sdegnò il mondo della rivista, decidendo infine di dedicarvisi a tempo pieno. Purtroppo, nelle scuole di danza nostrane poco spazio si dedica alle forme artistiche diverse dalla danza, dunque la decisione di inserire tale capolavoro nella programmazione del Teatro dell’Opera di Roma è senz’altro una chiave di miglioramento. Estremamente apprezzabile è poi il fatto che a cimentarsi nel ruolo di Bella sia una danzatrice di stampo lirico quale Rebecca Bianchi, che solitamente nelle sue interpretazioni si distingue per un’aulica purezza. Decisasi a temprare le illimitate ambizioni di libertà del marito Johann, storicamente interpretato da Denys Ganio e qui riattualizzato dal valido Michele Satriano, si consulta con l’amico Ulrich – in scena troviamo lo stimato danseur étoile Alessio Rezza -, inventandosi un personaggio per sedurre definitivamente il proprio compagno. A precedere il tutto è un sensazionale quadro iniziale, in cui numerose presenze maschili in frac ruotano intorno a una misteriosa dark lady-Elena Bidini dal copricapo esageratamente fuori misura.  Si snoda poi la quieta e tiepida scena familiare, che a nostro avviso non offre particolari spunti di riflessione, se non nell’esilarante momento notturno, in cui accertatosi dell’assopimento della moglie, il nostro Johann prende il volo. Esasperata dalla situazione e abilmente supportata da Ulrich, che a suo tempo fu interpretato da Luigi Bonino, divenuto il più noto riallestitore delle creazioni di Roland Petit, Bella tenta semplicemente a cambiare abito, presentandosi nel locale più alla moda di Parigi, ovvero esattamente da Chez Maxim. Qui la teatralità è affidata a formidabili danze sia dell’intero insieme dei danzatori sia a più piccoli gruppi, ma a emergere è naturalmente Michele Satriano, che con i suoi portentosi grands échappés à la seconde risveglia l’attenzione del pubblico. Entra a questo punto in scena in maniera apparentemente poco visibile la nostra Bianchi. Su di lei è un mantello nero, ma basta un impercettibile movimento di spalle per catturare lo sguardo di Johann e infondere vita ad una movimentata danza di coppia. Incontentabile il nostro Johann persiste nei suoi slanci di libertà. Non c’è altro da fare che ridurlo in prigione. A liberarlo è sempre Bella, benché tuttora travestita. Adesso la loro danza assume infine un sapore lirico, trasmettendo un senso di pace che dona armonia all’intero spettacolo. Con sottile astuzia, tuttavia, Bella preferisce non cedere all’incanto e fattasi prestare un paio di forbici taglia definitivamente le ali di Johann. Ma è solo un balletto, non la realtà, e la musica di Strauss riporta allegria allo spettacolo, che altrimenti sarebbe del tutto desolante. Foto Fabrizio Sansone

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Pompei, Parco Archeologico: “La casa come palcoscenico. Il complesso termale e conviviale recentemente scoperto nell’insula IX-10”

gbopera - Ven, 17/01/2025 - 11:39

Pompei, Parco Archeologico
LA CASA COME PALCOSCENICO. IL COMPLESSO TERMALE SCOPERTO NELL’INSULA IX-10
Crederesti di avere davanti un coro di pantomimi, non il triclinio di un padre di famiglia” (pantomimi chorum, non patris familiae triclinium crederes, Petron., 31, 7). Così Petronio, nel Satyricon, descrive la sontuosa sala da banchetto del ricco liberto Trimalcione, ambientata in una città campana del I secolo d.C., uno scenario che riflette profondamente il contesto culturale della Pompei pre-eruzione del 79 d.C. Le recenti indagini archeologiche condotte nell’insula 10 della Regio IX di Pompei (Amoretti et al. 2023; Zuchtriegel et al. 2024) hanno riportato alla luce un complesso abitativo straordinario, caratterizzato da un impianto termale di proporzioni monumentali direttamente connesso a un maestoso triclinio, denominato “salone nero”. Questo rinvenimento conferma ulteriormente la funzione sociale e politica della domus romana, concepita non solo come luogo privato, ma come teatro di rappresentazioni finalizzate all’ostentazione del potere, alla promozione del consenso e alla celebrazione dell’identità culturale del proprietario. L’impianto termale, tra i più ampi e articolati mai rinvenuti all’interno di una domus privata pompeiana, include i tre ambienti canonici del calidarium, tepidarium e frigidarium, oltre a un apodyterium con panchine che suggeriscono una capienza fino a trenta persone. Di particolare rilievo è la struttura del frigidarium, che si sviluppa attorno a un peristilio quadrangolare di 10 x 10 metri con al centro una grande vasca. Questa configurazione, oltre a garantire il massimo comfort, richiama modelli di ispirazione ellenistica, suggerendo un’accurata progettazione architettonica volta a combinare funzionalità e simbolismo. Il “salone nero”, già parzialmente indagato nei mesi precedenti, fungeva da fulcro conviviale dell’intero complesso. Le sue dimensioni e il ricco apparato decorativo indicano la volontà del proprietario di creare uno spazio scenografico, destinato non solo ai banchetti, ma anche alla messa in scena di rapporti di potere. Le pitture parietali, attribuibili al III stile pompeiano, presentano soggetti mitologici e riferimenti alla guerra di Troia, evocando un’atmosfera di erudizione e grecità. Questa scelta, intenzionale e studiata, mirava a rafforzare il prestigio culturale del padrone di casa e a impressionare gli ospiti, contribuendo alla costruzione di una narrazione identitaria che lo poneva al centro della scena. L’intera domus, che occupa l’estremità meridionale dell’insula, era chiaramente destinata a un membro dell’élite locale, probabilmente un personaggio di spicco nella vita politica e sociale di Pompei. La connessione diretta tra il complesso termale e il triclinio riflette l’integrazione tra pratiche di otium e negotium: i banchetti e le sessioni termali non erano meri momenti di svago, ma occasioni ritualizzate per consolidare alleanze, rafforzare rapporti clientelari e promuovere ambizioni politiche. Come nel Satyricon, dove i bagni precedono il banchetto di Trimalcione, così anche qui l’esperienza termale era parte integrante di una messa in scena complessiva che culminava nel convivio. Un elemento distintivo del complesso è rappresentato dall’utilizzo innovativo di tecniche di scavo e conservazione. Per preservare l’integrità del peristilio, è stato adottato un sistema di supporti temporanei che ha consentito di raggiungere i livelli pavimentali senza compromettere la stabilità del colonnato. Questa metodologia garantisce la salvaguardia degli elementi architettonici, permettendo nel contempo interventi futuri di restauro strutturale e decorativo. La presenza di una megalografia in corso di scavo nell’oecus corinzio, decorata con scene di nature morte raffiguranti cacciagione e pesce, rafforza ulteriormente l’idea di una stretta connessione tra l’iconografia e la funzione degli spazi. Gli elementi decorativi della domus, che comprendono fregi, pitture e sculture, evidenziano una raffinata sintesi tra cultura greca e romana, simbolo di un’identità che fondeva prestigio locale e cosmopolitismo. Come sottolineato dal direttore degli scavi, Gabriel Zuchtriegel, ogni dettaglio – dalle scene atletiche del peristilio alle decorazioni del “salone nero” – contribuiva a creare una scenografia sofisticata, capace di trasportare gli ospiti in un universo simbolico che celebrava il padrone di casa come mecenate e arbitro culturale. L’organizzazione degli spazi, funzionale alla messa in scena di una “drammaturgia sociale”, conferma la centralità del concetto di domus come luogo di rappresentazione identitaria. La sua architettura, i suoi decori e le sue funzioni si integrano in un sistema che trascende la mera dimensione abitativa, divenendo uno strumento di comunicazione e legittimazione del potere.

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Roma, Auditorium della Conciliazione: “Bernadette de Lourdes”

gbopera - Gio, 16/01/2025 - 23:59

Roma, Auditorium della Conciliazione
BERNADETTE DE LOURDES
di Serge Denoncourt
Regia Serge Denoncourt
Con Gaia De Fusco, David Ban, Chiara Luppi, Fabrizio Voghera, Cristian Ruiz
Produzione Coesioni
Roma, 16 gennaio 2025
Il musical Bernadette de Lourdes si configura come un’opera di straordinaria raffinatezza artistica, una sintesi magistrale tra narrazione storica, potenza scenica e profondità intellettuale. Portando sul palcoscenico la vita della giovane Bernadette Soubirous, il musical non solo racconta la straordinaria vicenda che ha trasformato Lourdes in uno dei più celebri luoghi di pellegrinaggio al mondo, ma lo fa con una fedeltà storica e una sensibilità universale capaci di parlare a tutte le culture e tradizioni. Basata esclusivamente su documenti autentici e verbali storici dell’epoca, l’opera si configura come un tributo alla figura di Bernadette, senza mai scadere in facili stereotipi o retorica. La regia e il libretto, firmati da Serge Denoncourt, si distinguono per la capacità di fondere una narrazione emotivamente coinvolgente con un’estetica scenica di rara eleganza. Le musiche, composte da Grégoire, e i testi, opera di Lionel Florence e Patrice Guirao, donano al racconto una struttura drammaturgica solida e avvincente, capace di sostenere il peso emotivo della storia e di elevarlo a una dimensione universale. L’adattamento e la traduzione italiana, curati con grande maestria da Vincenzo Incenzo, riescono a preservare l’essenza dell’opera originale, rendendola al contempo accessibile e profondamente risonante per il pubblico italiano. Nonostante il successo travolgente in Francia, dove lo spettacolo ha incantato oltre 400.000 spettatori, Bernadette de Lourdes non è stato esente da polemiche. Nel 2023, la commissione del Pass Cultura, un’iniziativa statale francese per avvicinare i giovani al teatro, ha escluso il musical dal proprio programma, sostenendo che non rispettasse i principi della laicità sanciti dalla Carta del 2013. Questa decisione, motivata dal timore che un’opera su un tema religioso potesse confliggere con la neutralità dello Stato, ha suscitato un acceso dibattito. I produttori hanno risposto sottolineando la natura documentaristica del musical, che non celebra la fede ma racconta fedelmente una vicenda storica. Questa vicenda ha evidenziato come il concetto di laicità possa, in alcuni casi, rischiare di sfociare in una forma di censura culturale, generando riflessioni sulla relazione tra arte, spiritualità e politica. L’apparato visivo e sonoro dell’opera è il risultato di un lavoro corale di altissimo livello. Le scenografie, ideate da Stéphane Roy, si distinguono per la loro capacità di evocare con essenzialità e suggestione i luoghi simbolici della vicenda, trasportando lo spettatore direttamente nell’atmosfera di Lourdes senza appesantire la scena. I costumi, curati da Mérédith Caron, sono meticolosi nella loro aderenza storica e ricchi di dettagli che arricchiscono la caratterizzazione dei personaggi, mentre gli arrangiamenti musicali di Scott Price amplificano la dimensione emotiva della partitura, creando un’esperienza sonora immersiva che dialoga perfettamente con la narrazione. La produzione, guidata con visione e ambizione da Éléonore de Galard, Roberto Ciurleo, Gad Elmaleh e Fatima Lucarini, con la realizzazione esecutiva di Coesioni, garantisce una qualità scenica impeccabile, capace di coniugare precisione tecnica e profondità artistica. Il debutto italiano, avvenuto presso l’Auditorium della Conciliazione di Roma, ha confermato il valore universale dell’opera, accolta con entusiasmo dal pubblico . L’iniziativa dell’anteprima, dedicata a 1.600 persone in difficoltà grazie all’organizzazione dell’Elemosineria Apostolica, ha ulteriormente sottolineato l’impegno del musical nel rivolgersi a un pubblico ampio e diversificato, trasformandolo in un evento non solo artistico ma anche umano e inclusivo. Il cast italiano ha saputo dare vita ai personaggi con una profondità e una sensibilità che hanno reso ogni interpretazione unica e memorabile. Gaia Di Fusco, nel ruolo di Bernadette Soubirous, ha incantato con una vocalità cristallina e potente, restituendo con autenticità l’innocenza, la forza e la spiritualità della protagonista. Chiara Luppi, nel ruolo di Louise Soubirous, madre di Bernadette, ha offerto una performance intensa e toccante, capace di trasmettere il dolore e il sacrificio di una donna segnata dalle avversità della vita. David Bàn, nei panni di François Soubirous ( l’unico proveniente dal cast originale francese), padre della giovane, ha saputo incarnare una figura paterna complessa e tormentata, arricchita da una presenza scenica incisiva e una vocalità robusta. Fabrizio Voghera, nel ruolo dell’abate Peyramale, ha conferito al personaggio una gravitas straordinaria, grazie a una voce profonda e autorevole e a un’interpretazione carismatica che ha restituito la tensione morale del sacerdote. Cristian Ruiz ha dato vita al commissario Jacomet con rigore e intensità, incarnando con straordinaria efficacia il conflitto tra autorità e fede che pervade la narrazione. Il futuro di Bernadette de Lourdes appare altrettanto promettente, con il musical destinato a fare il suo debutto a Broadway nel 2026, portando la sua storia e il suo messaggio universale oltre i confini europei. Inoltre, il film tratto dalla versione originale francese sarà distribuito nei cinema di oltre cento Paesi, consacrando ulteriormente l’opera come un fenomeno culturale globale. Con una messa in scena di rara eleganza, una narrazione che unisce fedeltà storica e universalità tematica e un cast di interpreti eccezionali, Bernadette de Lourdes si afferma come un capolavoro del teatro musicale contemporaneo. L’opera non solo rende omaggio a una figura storica di straordinaria importanza, ma si configura anche come un’esplorazione artistica e spirituale che interroga e commuove lo spettatore, lasciando un segno indelebile nella memoria e nel cuore.

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Roma, Teatro dell’Opera: “Tosca” compie 125 anni

gbopera - Gio, 16/01/2025 - 18:01

Teatro dell’Opera di Roma Stagione Lirica 2024/25
“TOSCA”
Melodramma in tre atti Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica tratto dal dramma omonimo di Victorien Sardou
Musica di Giacomo Puccini
Tosca  SAIOA HERNANDEZ
Mario Cavaradossi  GREGORY KUNDE
Il Barone Scarpia GEVORG HAKOBIAN
Angelotti  LUCIANO LEONI
Sagrestano  DOMENICO COLAIANNI
Spoletta  SAVERIO FIORE
Sciarrone LEO PAUL CHIAROT
Carceriere ANTONIO TASCHINI
Un Pastorello IRENE CODAU
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera con la partecipazione della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Michele Mariotti
Maestro del Coro Ciro Visco
Regia  Alessandro Talevi
Scene Adolf Hohenstein ricostruite da Carlo Savi
Costumi Adolf Hohenstein ricostruiti da Anna Biagiotti
Luci Vinicio Cheli
Allestimento del Teatro dell’Opera di Roma ricostruito sui bozzetti originali della prima esecuzione del 1900 in collaborazione con l’Archivio Storico Ricordi
Roma, 14 gennaio 2025
Per celebrare i 125 anni dalla prima esecuzione di Tosca di Giacomo Puccini che avvenne proprio al Costanzi il 14 gennaio del 1900 presenti in sala l’autore, Sua maestà la regina Margherita e le massime autorità dello Stato di allora, il Teatro dell’Opera di Roma ha pensato di riprendere lo spettacolo pensato per quella prima assoluta con le scene ed i costumi di Adolf Hohenstein resa possibile grazie al prezioso e sapiente  lavoro di recupero svolto da Carlo Savi e Anna Biagiotti ed alla regia di Alessandro Talevi ed andata in scena più volte con diversi cast a partire dal 2015. Anche in questa occasione hanno assistito alla serata le massime autorità dello Stato presenti allo scoprimento di una targa commemorativa, importante testimonianza per il teatro dell’aver tenuto a battesimo questo ed altri capolavori entrati poi in repertorio e nella storia della musica. Le scene dipinte ed i costumi molto belli ben restituiscono la romanità dell’ambientazione del dramma, in modo tale da non divenire protagonisti ma logica e naturale cornice all’interno della quale diviene possibile seguire lo sviluppo di una vicenda tra l’altro abbastanza lineare senza distrazioni, sovrapposizioni o interferenze di sorta. Molto ben studiati sono apparsi i movimenti scenici di alcuni personaggi, Tosca con una gestualità, un ritmo ed una mimica tipicamente romane, Scarpia con una immobilità ed una solennità aristocratica da autentico barone un po’ attempato, Spoletta con la rapida, astuta disinvoltura dello scaltro faccendiere, il Sagrestano intriso di furbizia, devozione, codardia e insofferenza, il tutto sempre in sintonia con la musica. Bella e romanamente solenne è apparsa anche in questa occasione la liturgia del Te Deum.  La direzione è stata affidata al maestro Michele Mariotti il quale con un evidente e profondo lavoro ha saputo trovare un perfetto equilibrio tra il canto e lo spessore dell’orchestra pucciniana attraverso una infinita varietà di colori, indugi e pause sempre contenuti dentro una architettura globale e senza cadere in un calligrafismo fine a se stesso. Un esempio per tutti, con la pausa alla fine del “Vissi d’arte” ha saputo creare un istante interminabile di silenzio assoluto nel pubblico che è poi esploso in un applauso sincero che ha decretato per il soprano il trionfo della serata. Il Coro diretto dal maestro Ciro Visco ha brillato per solennità e varietà timbrica sia nel “Te Deum” che nella cantata del secondo atto. Nel ruolo eponimo abbiamo riascoltato Saioa Hernàndez, già interprete di una precedente ripresa, che ha rinnovato i precedenti lusinghieri successi interpretando la parte con voce magnifica, rotonda, uguale in tutti i registri, sonora senza mai cedere alla facile tentazione dell’urlo, con acuti rotondi, sicuri e ben proiettati. Gevorg Hakobian risolve il personaggio di Scarpia discretamente, puntando più sulla potenzialità espressiva del colore nero inchiostro del proprio strumento vocale che non sul fraseggio ma nel complesso con risultati più che positivi. Cavaradossi era impersonato dal veterano Gregory Kunde il quale nonostante una recitazione forse troppo densa di sottolineature, tratteggia un’immagine del personaggio simpatica e giovane grazie ad un fraseggio elegante e sorvegliato. Saverio Fiore ripete con evidente successo il suo ormai collaudatissimo Spoletta, impeccabile e sicuro sul piano musicale e scenico mentre Domenico Colaianni conferisce al Sagrestano un autentico odore di sagrestia romana. Molto ben cantata è stata la parte del pastorello da Irene Codau, funzionali allo spettacolo sono sembrate le realizzazioni dei personaggi di Sciarrone e di Angelotti. Alla fine lunghi e calorosi applausi per tutti a conclusione di una serata nella quale, come vuole la tradizione, la primadonna nel titolo e nei fatti ha indubbiamente trionfato senza riserva alcuna. Photocredit @FabrizioSansoni

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Roma, Teatro Vascello: “Il Rito” dal 21 al 26 gennaio 2025

gbopera - Gio, 16/01/2025 - 15:24

Roma, Teatro Vascello
IL RITO
di Ingmar Bergman
traduzione di Gianluca Iumiento
con
Alice Arcuri (Thea Winkelmann)
Giampiero Judica (Sebastian Fischer)
Alfonso Postiglione (Giudice Ernst Abrahmsson)
Antonio Zavatteri (Hans Winkelmann)
adattamento e regia Alfonso Postiglione
scene Roberto Crea
costumi Giuseppe Avallone
musiche Paolo Coletta
disegno luci Luigi Della Monica
partitura fisica Sara Lupoli
aiuto regia Serena Marziale
produzione Ente Teatro Cronaca, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale
Fondazione Campania dei Festival – Campania Teatro Festival
Il rito è tratto dal film omonimo di Ingmar Bergman del 1969. Tre artisti di varietà (i coniugi Hans e Thea, e Sebastian, amante della donna sono denunciati per l’oscenità presunta di un numero del loro ultimo spettacolo. Il giudice Abrahmsson li interroga per decretarne l’eventuale condanna. Non riuscendo a farsi un’idea dai colloqui con gli artisti, l’uomo assiste alla performance allestita nel suo ufficio, subendone conseguenze inaspettate. Al centro del lavoro, il tema della censura e l’impossibilità di contenere la potenzialità destabilizzante dell’atto artistico. Il rito è tratto dall’omonimo film (in originale, Riten) scritto e diretto da Ingmar Bergman nel 1968 e uscito l’anno successivo, il primo da lui realizzato diretta- mente per la televisione, l’ultimo girato interamente in bianco e nero. Bergman cominciò a scrivere pensandolo come allestimento teatrale per il Dramaten di Stoccolma, incoraggiato dal favore di Erland Josephson, suo sodale e consigliere. Ma il regista-autore ci ripensò e lo dirottò verso una “partitura filmata per primi piani”. Il film è una sorta di cinema da camera, girato in interni con soli quattro personaggi, ed è incentrato sul rapporto, spesso conflittuale, tra autorità costituita e azione artistica. Nello specifico, lo spettacolo è tratto dal testo originale integrale, da cui Bergman sviluppò in seguito la sceneggiatura, costituendosi, dunque, come una sorta di inedito. Tre attori di teatro di varietà (i coniugi Hans e Thea, e Sebastian, amante della donna) sono stati denunciati per l’oscenità presunta di un numero del loro ultimo spettacolo. Un giudice incaricato, il Dott. Abrahmsson, li interroga per decretarne l’eventuale condanna. Dai colloqui con gli artisti in cui si scoprono soprattutto le ambigue articolazioni interpersonali, l’uomo non riesce a farsi una idea chiara della faccenda e finisce per assistere alla performance allestita nel suo stesso ufficio, con conseguenze fatali. La performance dei tre artisti si rivela una sorta di rito dionisiaco dalle chiare va- lenze simboliche, in cui la forza della creazione artistica vince sui tentativi di censura e normalizzazione di una qualsivoglia autorità, politica o sociale. E per ciò, il rito si configura come una sorta di parodia delle Baccanti di Euripide, nel senso etimologico di una loro ricantazione entro parametri estetici e sociali contemporanei. Il giudice può corrispondere facilmente alla figura di Penteo, in aperta ostilità nei confronti dei tre artisti, dietro i quali si celano identità e funzioni da sacerdoti dionisiaci. Ma forse, nel finale, si paventa la presenza stessa del Dio, sotto le spoglie dell’eterno femminino, fascinoso e perturbante, di Thea. Qui per tutte le informazioni.

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“Falstaff” il Salieri festeggia i 50 anni del Teatro Filarmonico di Verona

gbopera - Gio, 16/01/2025 - 14:22

Fondazione Arena di Verona celebra 50 anni d’opera al Teatro Filarmonico riproponendo, a distanza di mezzo secolo, il titolo che inaugurò la prima Stagione artistica nel 1975, ma con uno spettacolo tutto nuovo e in edizione critica. Domenica 19 gennaio alle 15.30 si alza il sipario su Falstaff ossia Le tre burle, opera comica di Antonio Salieri, nato a Legnago e divenuto compositore alla corte imperiale di Vienna. Una gemma del teatro musicale da riscoprire, grazie alla regia dell’esperto shakespeariano Paolo Valerio, con scene di Ezio Antonelli e luci di Claudio Schmid, in una lettura settecentesca e frizzante, con un cast di giovani talentuosi e i complessi artistici di Fondazione Arena diretti da Francesco Ommassini. Repliche mercoledì 22 gennaio alle 19, venerdì 24 alle 20, domenica 26 alle 15.30.
Dopo i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, Verona dovette attendere la ricostruzione del Teatro, per mano dell’Accademia Filarmonica, prima di rivedere l’opera sul principale palcoscenico al coperto della città. Era il 1975 e, per i 150 anni dalla morte di Salieri, andò in scena Falstaff: inaugurazione lirica del Teatro e vera e propria riscoperta, che fece circolare l’allestimento in numerose città, prima di tornare a Verona nel 1981. Cinquant’anni dopo, per il bicentenario salieriano, Falstaff va in scena per la prima volta in edizione critica, prodotta da Fondazione Arena, edita da Casa Ricordi e a cura di Elena Biggi Parodi, musicologa, titolare della cattedra di Storia e storiografia della musica al Conservatorio di Parma e critico musicale cui si deve la riscoperta di numerosi scritti del compositore, del quale ha già pubblicato il catalogo completo delle opere.
Nel ruolo del titolo, Giulio Mastrototaro “insidia” Gilda Fiume, mrs. Ford, e Laura Verrecchia, mrs. Slender, ad insaputa dei mariti (dalle parti altrettanto esigenti vocalmente) di Marco Ciaponi e Michele Patti. Completano il cast la cameriera Betty di Eleonora Bellocci e il servitore Bardolf di Romano Dal Zovo. L’inarrestabile azione scenica è resa ancor più vivace dai numerosi mimi coordinati da Daniela SchiavoneL’Orchestra di Fondazione Arena e il Coro preparato da Roberto Gabbiani sono diretti dal maestro veneziano Francesco Ommassini. L’opera è inserita nel programma di Mozart a Verona 2025, Festival diffuso in tutta la città.
Falstaff inaugura la Stagione Lirica 2025, ricca di capolavori rari e titoli in prima esecuzione assoluta al Teatro Filarmonico: è ancora possibile acquistare abbonamenti, nuovi carnet e biglietti singoli per ogni data al link https://www.arena.it/it/teatro-filarmonico, alla Biglietteria dell’Arena e, due ore prima di ogni recita, alla Biglietteria stessa del Teatro Filarmonico in via Mutilati.

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