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Musica corale

Roma, Teatro dell’Opera: “Il lago dei Cigni” nella versione di Benjamin Pech

gbopera - Mer, 03/07/2024 - 18:16

Roma, Teatro dell’Opera, Stagione 2023/2024
“IL LAGO DEI CIGNI”
Balletto in un prologo e quattro atti
Musica Pëtr Il’ič Čajkovskij
Coreografia Benjamin Pech (da Marius Petipa e Lev Ivanov)
Assistenti coreografo Isabelle Guerin, Gillian Whittingam
Odette/Odile REBECCA BIANCHI
Benno MATTIA TORTORA
Principe Siegfried ALESSIO REZZA
La Regina FRANCESCA BERTACCINI
Due Cigni Grandi FLAVIA MORGANTE, ARIANNA TIBERI
Quattro Cigni Piccoli GIOVANNA PISANI, FLAVIA STOCCHI, GIORGIA CALENDA, SARA LORO 
Étoiles, Primi ballerini, Solisti, Corpo di ballo e orchestra del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Koen Kessels
Violino Solo Vincenzo Bolognese
Scene e costumi Aldo But
Luci Vinicio Cheli
Roma, Teatro Costanzi, 23 giugno 2024
Dopo la prima assoluta nel 2018, a fine giugno è stato ripreso al Teatro Costanzi il balletto Il lago dei cigni nella revisione-rilettura del coreografo Benjamin Pech. Partendo dalla sensibilità personale oltre che tentando di riportare alla luce la reale natura dei sentimenti impressi dal compositore russo nella lirica partitura, Pech – che all’Opéra di Parigi ebbe occasione di danzare nei ruoli di Siegfried e di Rothbart nella versione di Nureyev – imprime una netta connotazione psicologica ai ruoli maschili. Da un lato vi è il principe Siegfried, che annaspa malinconicamente nella propria introversione e mal percepisce gli incitamenti della madre a prendere moglie. Dall’altro vi è l’amico d’infanzia Benno, mosso da sentimenti di rivalità. Di Rothbart scompare persino il nome nell’elenco dei personaggi. Al coreografo, infatti, non interessa il misticismo fiabesco, ma quanto della realtà contemporanea trapeli nel racconto originale. Ciò non implica, tuttavia, la scomparsa degli atti bianchi o degli espedienti fiabeschi. Il balletto è anzi preceduto da un Prologo in cui la giovane principessa Odette vaga nel bosco con un mazzo di fiori in mano e dopo aver incontrato un uomo con una balestra tra le mani che si trasforma in un rapace prende anch’ella le sembianze di un cigno. Lungo, quasi a voler amplificare la dimensione del reale, è il primo atto ambientato in regale palazzo disegnato con cura da Aldo Buti, che tra il sontuoso fluttuare delle gonne lunghe verdi e blu dispone i due amici donando a Benno – interpretato da Mattia Tortora – una sfumatura simile ma decisamente più opaca nel costume. Imponente è la figura della Regina madre (Francesca Bertaccini ) che avanza maestosamente nel suo costume blu elettrico con ricami dorati. A lei appartiene esclusivamente il linguaggio della pantomima, che si distingue qui per semplicità e chiarezza, indicando l’anulare per invitare il figlio a prendere le responsabilità dell’età adulta. Del resto, nelle sembianze del danzatore-étoile Alessio Rezza, Siegfried dopo una vivace entrée giocosa si mostra assorto nei suoi pensieri. Poco lo coinvolge il pas de trois di Benno con le amiche. Quando danzerà nuovamente in una variazione, a prevalere saranno le pose écarté di spalle, simboleggianti la sua ritrosia. Resta allora solo il dono della balestra e la complicità con Benno a far sperare in un cambiamento emotivo. E dunque il secondo atto legato da un semplice cambio scena al primo è un’espressione del mondo interiore di Siegfried, con le sue visioni e i suoi vagheggiamenti. Quando Odette-Rebecca Bianchi entra in scena si distingue per un’aura magica, che fa intravedere nelle sue movenze di cigno una raffinata femminilità. Siegfried inizialmente osserva in disparte, ma poi si unisce a lei nella speranza che ella incarni il suo ideale di felicità. La coppia da loro formata si incornicia nelle ipnotiche danze del corpo di ballo, che alterna rigide file a morbidi movimenti in cerchio. Alle spalle un’isola minacciosa, su cui si erge nei momenti più cupi della musica il rapace dell’inizio, richiamando all’indietro con una speciale forza magnetica la figura di Odette. Dopo l’intervallo si torna alla realtà della vita di palazzo e dopo il divertissement di danze di carattere rilette coreograficamente da Pech, Siegfried sembra pronto ad aderire alle aspettative materne unendosi ad una delle pretendenti. Ma è una disperata illusione. Nell’altera interpretazione di Odile-Bianchi Siegfried cerca di riscontrare la personificazione dei suoi ideali. Cosa impossibile, perché le ammalianti linee di Odile sono ormai diverse dal trepido incedere di Odette. E quando l’inganno è ormai evidente non resta che tornare sulle rive del lago per fare chiarezza. La danza dei cigni dona pienezza visiva alla maestosità della musica, Odette si dibatte tra le spire del rapace e gli abbracci del Principe. Ma a tutto ciò non segue una conclusione soprannaturale. A risolvere il tutto è la balestra donata nel Primo atto, che dopo essere stata simbolo di ricerche intellettuali ha la funzione di riportare i protagonisti nella realtà. Siegfried in un impeto di determinazione cerca di colpire Benno. Quest’ultimo retrocede nella sua viltà. Di Odette non resta che uno scheletro disanimato. E il perdono serve per riconciliarsi con una realtà che tradisce sempre le più nobili aspirazioni. Foto Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma

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Roma, Galleria d’Arte Moderna: ” L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano” dal 06 luglio al 2 febbraio 2024

gbopera - Mer, 03/07/2024 - 08:00

Roma, Galleria d’Arte Moderna
L’ESTETICA DELLA DEFORMAZIONE.
Protagonisti dell’espressionismo italiano
Dal 6 luglio 2024 al 2 febbraio 2025
Una delle stagioni più originali della cultura artistica italiana della prima metà del XX secolo è rappresentata dall’espressionismo italiano degli anni Venti-Quaranta che, pur sviluppato in gruppi e sodalizi più o meno definiti e longevi, ha apportato alla ricerca artistica contemporanea un contributo di fondamentale rilievo. A questa esperienza estetica e poetica a cavallo fra le due guerre è dedicata la mostra L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano, ospitata dal 6 luglio 2024 al 2 febbraio 2025 alla Galleria d’Arte Moderna e ideata in vista della celebrazione del centenario della stessa Galleria (1925-2025). Con lo sguardo rivolto ai movimenti espressionisti internazionali, attraverso un dialogo suggestivo e stimolante tra la collezione della Galleria d’Arte Moderna, le opere provenienti da altre collezioni capitoline (Musei di Villa Torlonia, Casa Museo Alberto Moravia) e le opere provenienti dalla prestigiosa Collezione Giuseppe Iannaccone di Milano, mai esposta nella Capitale, sarà possibile comprendere in modo sfaccettato la variegata realtà dell’espressionismo italiano, con particolare riferimento alle personalità e ai gruppi che hanno avuto come centro d’azione le città di Roma, Milano e Torino. Fra gli artisti presenti: Afro, Arnaldo Badodi, Renato Birolli, Bruno Cassinari, Gigi Chessa, Filippo De Pisis, Renato Guttuso, Carlo Levi, Mario Mafai, Giacomo Manzù, Marino Mazzacurati, Roberto Melli, Francesco Menzio, Ennio Morlotti, Fausto Pirandello, Antonietta Raphaël, Aligi Sassu, Scipione, Luigi Spazzapan, Ernesto Treccani, Italo Valenti, Emilio Vedova, Alberto Ziveri. Alcuni artisti – come, ad esempio, Guttuso e Levi – si muovono all’interno di più d’uno di questi scenari, invitando a un approccio più fluido e trasversale che non strettamente topografico. La mostra “L’estetica della deformazione. Protagonisti dell’espressionismo italiano” è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con la Collezione Giuseppe Iannaccone di Milano. Organizzazione Zètema Progetto Cultura.

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101° Arena di Verona Opera Festival 2024. “Carmen” dal 5 luglio al 7 settembre

gbopera - Mar, 02/07/2024 - 19:50

Carmen è ‘kolossal’ all’Arena di Verona, nell’allestimento firmato da Franco Zeffirelli. Dal 5 luglio, sul palcoscenico areniano prende vita una Siviglia da set cinematografico, più vera del vero e curata in ogni dettaglio, con centinaia tra solisti, artisti del Coro, voci bianche, figuranti e mimi di ogni età, nonché il Ballo dell’Arena, a cui si aggiunge la danza autenticamente spagnola della Compañia Gades sulle coreografie originali di El Camborio e nei costumi fedeli ai disegni di Anna Anni.
Per le prime due recite, protagonista del capolavoro di Bizet è Aigul Akhmetshina, mezzosoprano di 27 anni che debutta in Arena dopo aver impersonato Carmen nei maggiori teatri del mondo. Accanto a lei il Don Josè di Francesco Meli, l’Escamillo di  Erwin Schrott. Abbiamo poi la Micaela Kristina Mkhitaryan, apprezzato soprano al debutto areniano. Completano il cast Jan Antem e Vincent Ordonneau (i contrabbandieri Dancairo e Remendado), Daniela Cappiello e Alessia Nadin (Frasquita e Mercedes, amiche di Carmen), Gabriele Sagona e Fabio Previati (Zuniga e Morales). Oltre al Coro di Fondazione Arena preparato da Roberto Gabbiani, nella piazza sivigliana cantano anche i monelli, interpretati dalle giovanissime voci bianche di A.Li.Ve. istruite da Paolo Facincani. Fa il suo esordio anche il giovane direttore Leonardo Sini, alla guida dell’Orchestra della Fondazione per tutte le recite di luglio e agosto.
Una doppia sorpresa attende il pubblico del 5 luglio. Alle ore 20.50, con la marcia d’ordinanza, sul palcoscenico dell’Arena farà il suo ingresso la Banda della Guardia di Finanza, 60 musicisti diretti dal Colonnello Leonardo Laserra Ingrosso. Un evento nell’evento per celebrare i 250 anni delle Fiamme Gialle. A suonare l’immancabile gong che annuncia l’inizio dello spettacolo saranno gli atleti azzurri Giacomo Bertagnolli, Simone Deromedis, Alex Vinatzer e Nicol Delago, assieme ai campioni Antonio Rossi e Roberto Di Donna.
Dopo la prima di venerdì 5 luglio alle 21.15, Carmen replica il 13, 20, 25 luglio (sempre alle 21.15); il 3, 8, 17, 23 agosto e il 7 settembre (alle 21). All’Arena di Verona ogni sera è una prima, grazie all’avvicendarsi di grandi artisti internazionali, alcuni dei quali al debutto in Anfiteatro: tra le titolari, Clémentine Margaine (20, 25/7 e 3, 17, 23/8) e Alisa Kolosova (8/8); oltre a Francesco Meli (che torna il 20/7, 3, 8, 17/8 e 7/9), i tenori Freddie De Tommaso (13/7) e Roberto Alagna (25/7 e 23/8), i soprani Daria Rybak (13 e 20/7), Aleksandra Kurzak (25/7 e 23/8), Pretty Yende (3 e 8/8), Mariangela Sicilia (17/8 e 7/9), Chiara Maria Fiorani (Frasquita il 13, 20 e 25/7); i baritoni Luca Micheletti (20, 25/7), Dalibor Jenis (dall’8/8 al 7/9) e Ludovic Tézier (il 3/8 al suo primo Escamillo areniano). Solo per l’ultima recita del 7 settembre, alternanza anche sul podio con il ritorno di Daniel Oren

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Roma, Museo Nazionale Romano / Palazzo delle Esposizioni: “Materiae: Javier Marin”

gbopera - Mar, 02/07/2024 - 16:05

Roma, Terme di Diocleziano / Palazzo delle Esposizioni
MATERIAE di JAVIER MARIN
a cura di Laura González Flores
“Io parto dall’idea che il materiale sia un protagonista dell’opera, non solo una soluzione tecnica. Perché ogni materiale ha una sua storia e un suo linguaggio”. JAVIER MARIN
Nel cuore di Roma si celebra un evento di eccezionale rilievo culturale: le opere di Javier Marín, rinomato artista messicano, sono protagoniste di due mostre simultanee ospitate dal Palazzo delle Esposizioni e dal Museo Nazionale Romano – Terme di Diocleziano. Il progetto espositivo, intitolato “Materiae“, si inserisce con impeto nelle celebrazioni dei 150 anni dei rapporti diplomatici tra Italia e Messico, offrendo al pubblico un’esperienza straordinaria nel mondo dell’arte contemporanea. Il titolo della mostra non è solo un nome suggestivo, ma un’esplorazione profonda dell’essenza umana attraverso la materia. Marin frammenta e ricompone l’elemento antropomorfo, rivelando il mistero delle trasformazioni fisiche oltre che spirituali. Il corpo umano diventa un “corpo materico”, esprimendo una visione del mondo integrata e riflessiva. La materia non è solo substrato, ma parte indissociabile dell’immagine stessa, portando significato e comunicazione, e creando un dialogo visivo e concettuale tra artista e spettatore. Javier Marín, nato nel 1962 a Uruapan, Messico, ha consolidato una carriera artistica di oltre trent’anni caratterizzata da un profondo dialogo tra tradizione e innovazione. Scultore, disegnatore e pittore, Marín ha sempre omaggiato la cultura e la storia dell’arte italiana, mescolando abilmente temi di ispirazione preispanica con forme e linguaggi propri del manierismo toscano e del barocco romano. Questa fusione di influenze si riflette nelle sue opere, che incarnano una visione unica e vibrante del mondo. La mostra si dispiega in due prestigiose sedi romane: al Palazzo delle Esposizioni Roma e al Museo Nazionale Romano – Terme di Diocleziano. Ogni sede offre una prospettiva unica sul percorso artistico di Marín, esplorando il suo processo creativo dalla preparazione dei disegni fino alla trasformazione in sculture monumentali e arazzi che catturano l’immaginazione. Al Palazzo delle Esposizioni, il visitatore è immerso nella produzione più recente di Marín, caratterizzata dall’uso innovativo delle tecnologie contemporanee e dal tema della sostenibilità ambientale. Qui sono esposte 35 opere realizzate principalmente in resina poliestere amaranto, un materiale che Marín utilizza con maestria mescolandolo con elementi organici come semi di amaranto, terra, tabacco, carne secca e petali di fiori. Questa scelta non solo enfatizza la sostenibilità ma conferisce alle opere di Marín una vivacità e una profondità cromatiche uniche nel loro genere. Nel suggestivo scenario delle Terme di Diocleziano, la mostra offre una panoramica antologica del lavoro di Javier Marín, esplorando un arco temporale che abbraccia l’evoluzione del suo stile dagli anni Novanta fino ai giorni nostri. Circa cinquanta opere di medie e grandi dimensioni sono selezionate per raccontare il percorso artistico dello scultore, mettendo in luce le tematiche centrali che animano la sua poetica. Al centro della poetica di Javier Marín si trova il corpo umano, una costante di riflessione e sperimentazione. Le sue sculture, che rappresentano figure maschili e femminili nude, imponenti, disarticolate, contorte e lacerate, esplorano la corporeità umana in tutta la sua complessità emotiva e fisica. Le opere di Marín non solo dialogano con l’arte antica e con i maestri del passato come Michelangelo, Cellini e Rodin, ma rielaborano questi influssi attraverso un linguaggio personale che integra tradizione e innovazione.  I soggetti scultorei dell’artista sono vere e proprie presenze che richiedono spazio e attraggono per la loro condizione di corpi contorti, sospesi, esenti dal rispondere alle leggi della fisica e della gravità. Uno spasimo violento pare agitare profondamente le loro forme, mentre i loro volti sono straziati da un tormento silenzioso. Questa rappresentazione di angoscia e struggimento trova eco nella firma stilistica dell’artista, che consacra la resa del movimento come propria cifra espressiva. L’energia pulsante che infonde vita alle figure le anima in pose contorte, avviluppate in audaci avvitamenti. In questa rappresentazione, le figure umane assumono una nuova dimensione ontologica, sfidando le convenzioni spaziali e materiali per esplorare il limite tra realtà e immaginazione. La loro condizione contorta e sospesa invita a riflettere sulla natura della forma e della percezione, suggerendo una metamorfosi simbolica che supera la semplice fisicità per abbracciare un’esistenza più profonda e astratta. La varietà e la raffinatezza dei materiali utilizzati da Marín – bronzo, terracotta, resina e altri – evidenziano la sua straordinaria versatilità tecnica e concettuale. La preferenza per la resina poliestere, normalmente destinata a usi industriali, arricchita con elementi organici (carne secca, petali di fiori, semi di amaranto), non solo conferisce un aspetto materico unico alle sue opere ma testimonia anche la sua ricerca di una dimensione temporale e simbolica nelle sculture. La mostra “Materiae” non è solo un’occasione per esplorare l’universo creativo di Javier Marín ma rappresenta anche un ponte culturale tra Italia e Messico, sostenuto dal Ministero della Cultura italiano, dalla Direzione Generale Musei, dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e dall’ Azienda Speciale Palaexpo, con il patrocinio dell’ Ambasciata del Messico in Italia e la collaborazione di istituzioni come la Fondazione Javier Marín e la Galleria Terreno Baldio Arte.  Attraverso le sue sculture evocative e le sue riflessioni sulla condizione umana, Marín invita il pubblico a esplorare le profondità dell’arte contemporanea, lasciandosi affascinare dall’intensità narrativa delle sue opere e dalla complessità delle sue espressioni artistiche. Questa mostra non solo celebra il passato ma getta le basi per il futuro dell’arte, stimolando la riflessione critica e il dialogo interculturale, elementi essenziali per la costruzione di ponti di comprensione tra le nazioni e per il perpetuarsi della bellezza e dell’ispirazione che solo l’arte può suscitare. Da non perdere.

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“Falso tradimento” di Marco Tutino inaugura la stagione lirica 2024 di Sassari

gbopera - Mar, 02/07/2024 - 13:10

Sassari, Teatro Comunale – Stagione lirica 2024
FALSO TRADIMENTO”
Libretto di Luca Rossi e Wolfgang Haendeler. Versione italiana di Marco Tutino
Musica di Marco Tutino
Lola VALENTINA MASTRANGELO
Elsa von Stahl ANNA PENNISI
Gabriel Jensen DARIO DI VIETRI
Helmut Schulze Rohr MURAT CAN GUVEM
Arno von Stahl GIORGIO CAODURO
Richard MICHAEL ZENI
Barman GIANNI COSSU
Rufus Kropp TIZIANO ROSATI
Primo sottuficiale DIEGO GHINATI
Secondo sottuficiale ANDREA DESSENA
Terzo sottuficiale ANTONELLO LAMBRONI
Quarto sottuficiale PAOLO MASALA
Orchestra e Coro dell’ Ente de Carolis
Direttore Beatrice Venezi
Maestro del coro Francesca Tosi
Regia, scene e costumi Hugo de Ana
Luci Valerio Alfieri
Coreografia Michele Cosentino
Nuovo allestimento dell’Ente de Carolis
Sassari, 28 giugno 2024
Col suo preludio estivo, la stagione lirica di Sassari presenta finalmente una novità interessante: la prima nazionale (quella “mondiale” annunciata è altra cosa…) dell’opera di Marco Tutino Falscher Verrat, Falso tradimento, su libretto di Luca Rossi e Wolfgang Haendeler, nell’adattamento ritmico in italiano dello stesso compositore. È un segnale importante per l’opera contemporanea, in Italia praticamente inesistente sotto il peso di un repertorio storico tanto straordinario quanto onnipresente nelle programmazioni dei teatri nazionali. Infatti si tratta della commissione del teatro di Kiel che nel 2018 ha voluto così ricordare la fine della Grande Guerra con una nuova opera su un episodio che coinvolse la città tedesca: l’ammutinamento locale di un’unità della marina che, di fatto, collaborò alla resa militare della Germania e alla fine del terribile massacro. Il tema, di evidente attualità, ha il merito di essere stato sviluppato nel libretto con un’efficace costruzione che non si limita alla rievocazione ma sovrappone, con un noto meccanismo, la vicenda privata dei personaggi al fatto storico e all’ambiguità della sua valenza etica. L’agile drammaturgia e il taglio delle scene mostrano un’essenzialità sicuramente più moderna rispetto alla classica retorica del melodramma, anche se la versione italiana del libretto ha una traduzione spesso modesta del testo. Non altrettanto aggiornata è la musica che appare legata proprio a certi stilemi soprattutto mitteleuropei di un secolo fa, tra tardo wagnerismo e tonalità allargata: Tutino si evolve dall’epigonismo verista dei suoi primi lavori e all’ascolto sembra di sentire certo Strauss semplificato, con un po’ di Puccini e qualcosa di Prokofieff (confrontare l’esordio dell’opera con l’inizio dell’Aleksandr Nevskij) in un eclettismo stilistico che al giorno d’oggi è certamente normale, ma appare fondamentalmente impersonale. Comunque è apprezzabile il buon senso drammatico, con un mestiere sicuro che mostra vari momenti raffinati; sono efficaci soprattutto le parti d’insieme, di cui va ricordato il bel coro dei marinai del primo atto, un cantabile in 6/4 dalle atmosfere espressioniste, e la semplice linearità del finale su un lungo pedale che richiama quello iniziale. Talvolta macchinose appaiono invece le linee vocali dei solisti, con un’orchestra spesso appesantita da raddoppi e decorazioni superflue che riempiono ma senza dare sostanza alla narrazione musicale. In tale atmosfera retrò la Venezi si trova a suo agio, conducendo la nave in porto quasi senza incidenti e con un buon controllo ritmico di buca e palcoscenico. È un po’ mancato l’abbandono espressivo in alcuni momenti topici e, soprattutto, l’equilibrio dinamico, con qualche eccesso da rivedere e una maggior cura da prestare ad alcune interessanti preziosità timbriche. Il cast è stato nel complesso all’altezza della situazione, ma con evidenti differenze; La Lola di Valentina Mastrangelo è stata il personaggio più convincente per vocalità, espressione e coinvolgimento emotivo in un ruolo difficile e ambiguo che richiedeva presenza scenica, precisione tecnica e varietà di fraseggio. Al lato opposto è stato in palese difficoltà il tenore Dario di Vietri che, nella complessa parte di Gabriel, ha mostrato evidenti limiti vocali e interpretativi, con una prestazione sconcertante che ha inficiato non poco la forza drammatica del triangolo alla base della vicenda. Sicuramente più centrato nel ruolo è l’Arno di Giorgio Caoduro, che ha mostrato un timbro nobile e una vocalità sicura, tranne che nel limite acuto della tessitura; composto nella recitazione, con un ottimo legato, ha ben rappresentato il fulcro narrativo e musicale dell’opera. È apparso a suo agio anche Tiziano Rosati che nella parte di Rufus ha rappresentato il doloroso ruolo istituzionale dell’autorità; completa il gruppo dei protagonisti Anna Pennisi, vivace e precisa nel ruolo di Elsa. Professionali e adeguati al ruolo inoltre Murat Can Guvem, Michael Zeni, Gianni Cossu, Diego Ghinati, Andrea Dessena, Antonello Lambroni e Paolo Masala nei vari interventi secondari. È da segnalare il buon esordio di Francesca Tosi come maestro del coro, impegnato in pagine suggestive e dall’intonazione sicuramente più difficile della media del repertorio: buona la prestazione del de Carolis, ben preparato, preciso e piuttosto impegnato scenicamente; bene anche l’orchestra, al netto di alcuni squilibri già segnalati. Dulcis in fundo va segnalato il vero punto qualificante di questa produzione; lo spettacolo di Hugo de Ana è molto bello nell’allestimento scenico, coerente e curato nei movimenti e nelle relazioni, logico nella sua parabola ed epilogo. La scena è dominata da una grande parete-impalcatura prospettica obliqua, funzionale ai movimenti collettivi ed enfatizzata da una grossa sospensione mobile praticabile che movimenta e divide gli spazi insieme a pochi altri elementi, di derivazione industriale, evitando quindi la mera rappresentazione realistica dell’ambientazione. Il lavoro manuale, la sua difficoltà e lo sfruttamento sembrano essere al centro della logica che anticipa e sfocia naturalmente nella rivolta finale, accentuandone l’aspetto sociale, su cui si sovrappone poi l’apoteosi finale della protagonista. Arredi essenziali identificano alcuni luoghi deputati nel procedere della vicenda ed è interessante lo sfruttamento multifunzionale dei pochi elementi presenti. Il tutto è movimentato dalle geometrie sceniche, sia dei protagonisti che collettive, e valorizzato dalle belle luci di Valerio Alfieri e dalle corografie meccaniche di Michele Cosentino che ben sottolineano gli ingranaggi umani della storia. Il pubblico, abbastanza numeroso, ha mostrato di gradire una proposta nuova ma comunque costruita su riferimenti che risultano familiari. Una menzione di merito infine per il notevole impegno di una claque agguerrita in galleria. Foto Elisa Casula

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Le cantate di Johann Sebastian Bach: Festa della visitazione di Maria

gbopera - Mar, 02/07/2024 - 08:12

Il 2 luglio 1724 veniva eseguita a Lipsia la seconda delle tre Cantate che Bach ha predisposto per la festa della Visitazione di Maria. Questa partitura, che porta il numero di catalogo BWV 10 è porta il titolo di Meine Seel erhebt den Herren.  Siamo davanti a una partitura non costruita su un inno protestante ma sul cantico mariano del Magnificat  tratto dal Vangelo di  Luca  (cap.1, vers. 46-55) nella traduzione tedesca di Martin Lutero e rielaborato da un autore anonimo. Come si addice a un testo incentrato sulla madre di Dio e sull’implicita redenzione dal peccato da parte di suo figlio Gesù, il tono della musica è prevalentemente gioioso, anche se non priva di una certa austerità che emerge già nel numero iniziale che si apre con un ritornello iniziale dai toni solenni  con il coro che entra dopo 12 battute che enuncia le prime tre strofe dell’inno. Segue un’aria tripartita cantata dal soprano (Nr.2) con accenti altrettanto potenti degli archi, gli oboi e il continuo che costituiscono la base strumentale alla brillante linea di canto. Dopo un recitativo “secco” (Nr.3) dai toni cupi, quasi drammatici, cantato dal tenore, segue un’aria bipartita (Nr.4)  affidata al basso, Lo strumentale è affidato al solo “Continuo” con una marcata e vigorosa presenza dell’organo. Il ritmo è marziale e traduce in modo quanto mai figurato il senso del testo: “Dio rovescia i potenti dai troni”. In contrasto con quest’aria la pagina  che la segue (Nr.5), un malinconico duetto per tenore e contralto, con la gli oboi e la tromba all’unisono che enunciano il tema del Corale iniziale ( Meine Seel erhebt den Herren)” sopra l’accompagnamento sommesso dell’organo.  Dopo un ultimo recitativo (Nr.6) dai toni più lirici cantato dal tenore con archi e continuo, la cantata si chiude con una un’armonizzazione delle ultime righe dell’inno cantato dal Coro con l’intera orchestra.
Nr.1 – Coro
L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni
mi chiameranno beata.
Nr.2 – Aria (Soprano)
Signore, tu che sei forte e potente,
Dio, il cui nome è santo,
che meraviglia sono le tue opere!
Getta uno sguardo al tuo povero servo,
tu che hai fatto così tanto per me
da non poterlo raccontare né concepire.
Nr.3 – Recitativo (Tenore)
La bontà e la fedeltà dell’Altissimo
si rinnovano ogni mattina
e durano per sempre
tra coloro che quaggiù
cercano il suo aiuto
avendo rispetto e fede in lui.
Ma usa anche
la forza del suo braccio con coloro
che non sono né caldi né freddi
nella fede e nell’amore;
coloro che sono nudi, scalzi e ciechi
che sono pieni di orgoglio e arroganza
saranno dispersi come paglia dalle sue mani.
Nr.4 – Aria (Basso)
Dio rovescia i potenti dai troni
giù negli abissi sulfurei;
Dio innalza gli umili
per farli splendere come stelle nel cielo.
Dio rimanda i ricchi a mani vuote
ma ricolma di beni gli affamati,
così che dal mare della sua grazia
possano sempre avere benessere e abbondanza.
Nr.5 – Duetto/Corale (Contralto, Tenore)
Ha soccorso Israele suo servo
ricordandosi della sua misericordia.
Nr.6 – Recitativo (Tenore)
Ciò che Dio aveva rivelato
e promesso ai nostri padri
lo compie nelle opere e nei fatti.
Ciò che Dio aveva giurato ad Abramo
quando andò nella sua tenda
si è realizzato, nella pienezza dei tempi.
La sua discendenza è divenuta numerosa
come la sabbia del mare
e come le stelle nel firmamento,
il Salvatore è nato,
la Parola eterna si è fatta carne,
per liberare, con la forza dell’amore,
il genere umano dalla morte, da ogni male
e dalla schiavitù di Satana;
perché così è la Parola di dio,
piena di grazia e di verità.
Nr.7 – Corale
Lode e gloria al Padre, al Figlio
e allo Spirito Santo,
com’era in principio, ora e per sempre,
nei secoli dei secoli. Amen.

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Meine Seel erhebt den Herre” BWV 10
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Roma, Teatro Tor Bella Monaca: “Matrimonio ed altre catastrofi” 05 luglio 2024

gbopera - Mar, 02/07/2024 - 08:00

Roma, Teatro Tor Bella Monaca
MATRIMONIO E ALTRE CATASTROFI
di N.L. White
diretto e interpretato da Alessandra Mortelliti e Luca Ferrini
Una casa, una suocera, un party, una moglie stravagante e un marito annoiato. La solita routine matrimoniale di una coppia, ormai lontana dalla passione, sembra, all’improvviso, implodere e, contemporaneamente, esplodere, davanti ad una piccola svista. Una svista, forse non così piccola, che diventerà la scintilla di accensione di una macchina comica che travolgerà a colpi di battute esilaranti e ritmi frenetici un ménage matrimoniale usurato ed in fin vita ma ancora tenace. Una vera e propria slavina che, trascinando con sé i due protagonisti, non risparmierà nemmeno il pubblico che, assistendo a questo spassoso “delirio a due”, potrà fare similitudini con le proprie “faccende private” e probabilmente nessuno si troverà nuovo a situazioni di questo tipo. https://www.teatriincomune.roma.it/events/matrimonio-e-altre-catastrofi/

 

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Venezia, Teatro La Fenice: Vikram Francesco Sedona e Markus Stenz in concerto

gbopera - Lun, 01/07/2024 - 12:02

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2023-2024
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Markus Stenz
Violino Vikram Francesco Sedona
Felix Mendelssohn Bartholdy: Concerto in mi minore per violino e orchestra op. 64; Anton Bruckner: Sinfonia n. 7 in mi maggiore wab 107
Venezia, 28 giugno 2024
Prosegue la Stagione Sinfonica 2023-2024 della Fenice, che riserva a Bruckner un posto di rilievo, in occasione del 200° anniversario della sua nascita: dopo la Quarta e l’Ottava, si è eseguita, nella seconda parte del concerto, diretto da Markus Stenz, la Settima Sinfonia, fiore all’occhiello di un autore non facile, che ha stentato ad affermarsi, almeno in Italia. Incontrastato mattatore nella prima parte della serata era il violinista Vikram Francesco Sedona – vincitore del 32° Concorso Città di Vittorio Veneto – con il Concerto per violino e orchestra in mi minore di Mendelssohn, straordinario capolavoro del compositore di Amburgo, scritto fra il 1838 e il 1844 in collaborazione con il violinista Ferdinand David, anch’egli nato nella città anseatica. La partitura fu ultimata nel settembre 1844, ma la prima esecuzione avvenne solo il 13 maggio del 1845 – per vari ripensamenti sulla posizione della cadenza nel movimento iniziale, collocata poi, eccezionalmente, dopo lo sviluppo – con David come solista e l’orchestra del Gewandhaus guidata da Niels Gade. Il giovane concertista ha decisamente impressionato (nel senso positivo del termine) per l’intonazione sempre inappuntabile e per la qualità del suono – rotondo, morbido, avvolgente, eppure straordinariamente nitido e perlaceo –, nonché per la preparazione tecnica e la maturità interpretativa, dimostrate affrontando uno dei capisaldi del concerto romantico, che coniuga sapienza costruttiva ed eleganza formale.
Nel primo movimento, Allego molto appassionato – che supera la forma tradizionale, facendo emergere immediatamente il violino solista – Sedona ha intonato con grande slancio l’esposizione del tema iniziale molto marcato, che si stagliava, con ritmo anapestico, sulla sottile trama degli archi gravi, segnata dalla pulsazione del timpano, e passava poi, intensificando la propria forza emotiva, a tutta l’orchestra, la quale presentava, nel prosieguo, un tema derivato dal primo, subito ripreso con variazioni dal solista. Un secondo tema, a mo’ di corale, è stato introdotto con finezza interpretativa dai fiati, mentre il dialogo col solista è proseguito efficacemente nello sviluppo fino all’articolata cadenza (interamente scritta), in cui lo strumento concertante ha sfoggiato grande virtuosismo. La ripresa, con il ritorno del tema di corale, è sfociata nella brillante Coda, conclusa da una nota tenuta del primo fagotto, a collegare questo movimento allAndante in do maggiore. Quest’ultimo – nella forma tripartita del Lied – si aperto con un tema struggente, che ha offerto al solista la possibilità di esibirsi con grande autorevolezza in arcate, legati e note tenute. I corni e l’orchestra hanno introdotto poi la sezione centrale, più drammatica, cui è seguita la riesposizione del tema iniziale, che ha concluso in pianissimo il movimento.
Preceduto da un recitativo di collegamento, il virtuosistico Allegro molto vivace – un Rondò-Sonata, dove il tema iniziale del concerto ritorna più volte con leggere variazioni – ha di nuovo consentito al solista di mettersi in luce in velocissime figure di biscrome e vertiginose scale, fino alla cadenza, annunciata dai trilli ascendenti del violino, punteggiati dai fiati, con cui si è chiuso, con slancio e brillantezza, il movimento. Scroscianti applausi ed ovazioni per il violinista di Preganziol. Due i fuoriprogramma: “Ménétrier” da Impressions d’enfance di George Enescu e – dopo l’accenno scherzoso di “Parlami d’amore Mariù” – “Méditation” da Thaïs di Massenet (eseguendo la sola parte del violino).
Protagonista della seconda parte della serata era – come si è detto – Anton Bruckner, rappresentato dalla sua settima partitura sinfonica – un ulteriore omaggio a Wagner, già dedicatario della Terza sinfonia –, che gli procurò il primo vero successo internazionale. Questa sinfonia è, tra l’altro, uno dei simboli della Finis Austriae, soprattutto dopo che Visconti ne scelse alcuni estratti come colonna sonora di Senso (1954). Il grande regista seppe cogliere, nella musica di Bruckner, una sensualità, di volta in volta, accesa ed estenuata, un’instabilità emotiva tra incontenibili entusiasmi e cupi presentimenti della fine; il che si esprime musicalmente nella contrapposizione – tipica nel compositore di Ansfelden – tra pannelli sonori: grandiosi ed eroici gli uni, sommessamente crepuscolari gli altri.
Quanto all’interpretazione di Stenz, ci è parso che il direttore tedesco – grazie anche a una scelta di tempi mai troppo dilatati – non indulgesse troppo a morbose estenuazioni, privilegiando una lettura virilmente romantica, scevra da ogni sentimentalismo. Pregevole la prestazione dell’orchestra, fin dal solenne avvio del primo movimento, Allegro Moderato, con un tema cromatico dall’intenso pathos, che si è snodato lungo un’ampia linea ascendente, stagliandosi sul tremolo degli archi, prima della comparsa di altri due temi – uno lirico, esposto dai fiati, l’altro più nervoso e incisivo, chiuso da una fanfara –, dopodiché contrappuntistiche elaborazioni del materiale tematico, eseguite con espressivo rigore, hanno condotto alla poderosa conclusione del movimento. Suggestivo, ma non particolarmente estenuato, nella visione di Stenz, il celebre, immenso Adagio, in cui si sono alternati due temi – malinconico il primo, un severo corale di viole e tube, proseguito dagli archi; tenuemente lirico il secondo –, il cui sviluppo, attraverso un lungo crescendo caratterizzato da frequenti elaborazioni contrappuntistiche, è culminato in un poderoso colpo di piatti con triangolo, seguito dalla Coda – aggiunta in seguito alla ferale notizia della morte di Wagner come estremo omaggio al venerato Maestro – dove, dopo il cupo corale delle tube wagneriane – derivato dal tema principale –, la musica si è assottigliata fino a spegnersi. Particolarmente brioso il terzo movimento, Scherzo, con il tema squillante delle trombe su un baldanzoso ostinato ritmico, inframezzato dall’aura pastorale del Trio. Assoluto rigore, nella pluralità di accenti, si è colto nel variegato quarto movimento, Finale, che ha visto alternarsi tre temi – il primo derivato da quello principale del primo movimento, il secondo, ricavato dall’Adagio, declinato in forma di corale, il terzo, variante del primo, a mo’ di fanfara di ottoni in forma di recitativo – con la clausola cadenzale del primo tema ricorrente come un refrain di Rondò. Successo assolutamente incontrastato.

Categorie: Musica corale

Jessica Pratt: “Delirio”

gbopera - Lun, 01/07/2024 - 07:00

Gaetano Donizetti: “Oh giusto cielo…Il dolce suono – Ardon gli incensi…S’avanza Enrico – Spari d’amaro pianto” (“Lucia di Lammermoor”), “Ecco, miratela – Madre! Deh placati! – Ah! Di contento” (“Emilia di Liverpool”), “Linda! A che pensate – Nel silenzio della sera – Non, non è ver…mentirono” (“Linda di Chamonix”), Vincenzo Bellini: “O rendetemi la speme – Qui la voce sua soave – Vien diletto è in ciel la Luna” (I puritani”), “Coraggio….è salva – Ah! Non credea mirarti – Ah! Non giunge uman pensiero” (“La sonnambula”). Jessica Pratt (soprano), Adriano Gramigni (basso), Jungmin Kim (baritono), Dave Monaco (tenore), Ana Victoria Pitts (mezzosoprano). Orchestra e coro del Maggio Musicale  Fiorentino, Riccardo Frizza (direttore). Registrazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino 2023. 1 CD Tancredi Records
Jessica Pratt è senza ombra di dubbio una delle più talentuose belcantiste dei nostri tempi e forse non ha ancora avuto – soprattutto dalle case discografiche – tutta l’attenzione che avrebbe meritato. Un piccolo passo in tal senso è rappresentato dal primo recital della cantante in cui per l’etichetta Tancredi srl – un piccolo editore cui va riconosciuto il merito ma che si è scontrato con qualche problema di distribuzione – in cui affronta accompagnata dai complessi del Maggio Musicale Fiorentino una serie di scene della pazzia tratte da opere di Donizetti e Bellini, forse i compositori più frequentati dalla Pratt sul palcoscenico.
Il contesto editoriale spiega una scelta di brani non così coraggiosa e che tende a concentrarsi su titoli molto noti al grande pubblico. Unica eccezione la scena da “Emilia di Liverpool” voluta dalla protagonista come primo incontro tra Donizetti e il tema della follia e per la declinazione ancora “leggera” del tema in contrasto con il carattere patetico se non scopertamente drammatico degli altri brani.
Merito tutt’altro che secondario quello di disporre di un direttore della sensibilità e del senso stilistico di queste opere come Riccardo Frizza, ormai assoluta certezza nelle esecuzioni del bel belcanto italiano. Le scene sono eseguite integralmente, con tutti gli interventi del coro e di eventuali altri personaggi così da avere una loro piena completezza formale che spesso ancora manca in registrazioni di questo tipo. Inoltre si riscontra una particolare cura filologica in molti brani. E’ il caso della celeberrima scena del III atto di “Lucia di Lammermoor” eseguita nella tonalità originale di Fa maggiore – sostenuta con disarmante facilità dalla Pratt e accompagnata dalla glassarmonica che qui non è solo una concessione alla moda in cui poco si crede e si cerca quasi di nascondere – come troppo spesso ancora capita – ma diventa autentica protagonista insieme alla cantante.

La Pratt è come detto belcantista di classe adamantina ma anche – cosa non scontata – interprete sensibile e partecipe, capace di far palpitare con sincerità il dolore delle eroine aiutata anche da una dizione nitida e chiara che concede sempre piena comprensione del testo.
La già citata scena della “Lucia di Lammermoor” è in tal senso esemplare non solo per la facilità assoluta del canto, il magistrale controllo del fiato, la svettante sicurezza degli acuti ma anche per la capacità di dare al canto un’astrazione spettrale che si fondo alla perfezione con il suono della glassarmonica immergendo pienamente l’ascoltatore nel romanticismo gotico della scena.
Le altre due scene donizettiane giocano due diverse espressioni del tema. “Emilia di Liverpool” è come detto ancora più legata al gusto precedente in cui fa capolino un senso rossiniano della gioia del far musica che stempera il patetismo in un festoso trionfo virtuosistico. “Linda di Chamounix” – opera affronta in scena proprio a Firenze – è invece esemplare di un canto patetico e sentimentale, di una malinconia struggente ma mai autenticamente tragica e la Pratt è straordinaria nel cogliere in ciascun brano la più autentica cifra espressiva. L’aria è inoltre presentata nella nuova edizione critica di G. Dotto per casa Ricordi.

Il patetismo di Linda in qualche modo fa da perfetto ponte alla seconda parte del programma in cui Donizetti lascia il campo a Bellini. La comunanza ideale con il catanese è – se possibile – ancor più profonda di quella con il bergamasco. La scena finale di “La sonnambula” ci presenta un’Amina di lunare perfezione la cui linea di canto morbidamente tornita si unisce a un naturale abbandono lirico. Il rondò – che chiude l’intera registrazione – è un trionfale fuoco d’artificio virtuosistico coronato da acuti di luminosa fermezza.
Il momento più alto è però – forse – la follia di Elvira dove le qualità del canto che abbiamo fin qui ammirato si uniscono a un’intensità d’accento veramente commovente. Basti ascoltare con quanto sincero dolore la Pratt sappia rende piccole frasi come “Egli piange… ei forse amò!” per rendersi conto della perfetta adesione espressiva, oltre che vocale, della cantante australiana con questo repertorio.
Tra i cantanti che intervengono con brevi incisi nei brani si apprezza in modo particolare il timbro caldo di Ana Victoria Pitts ma molto buone sono anche le prove di Adriano Gramigni e Jungmin Kim mentre il timbro biancastro di Dave Monaco non rende giustizia agli interventi di Elvino.
Il libretto di accompagnamento (il cd è stato pubblicato in doppia versione, con note in italiano e in inglese) si segnala per le fotografie di Marco Borrelli che ritraggono la Pratt negli splendidi costumi realizzati per l’occasione da Giuseppe Pallela uno per ogni protagonista dei brani selezionati e tutti d’innegabile impatto visivo.

 

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XVII Festival Como Città della Musica 2024: “Turandot”

gbopera - Dom, 30/06/2024 - 18:25

Como, Arena del Teatro Sociale, XVII Festival Como Città della Musica
TURANDOT”
Dramma lirico in tre atti su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni.
Musica di Giacomo Puccini
Turandot HANYING TSO
Il principe Calaf MAX JOTA
Timur BAOPENG WANG
Liù ALESSIA MEREPEZA
L’Imperatore Altoum DAVIDE CAPITANIO
Ping JUNYEOK PARK
Pong LORENZO MARTELLI
Pang RAFFAELE FEO
Un mandarino FRANCESCO LA GATTUTA
Orchestra 1813
Coro 200.Com
Voci Bianche del Teatro Sociale
Direttore Jacopo Brusa
Maestro del Coro Massimo Fiocchi Malaspina con Davide Dell’Oca, Eric Foster, Arianna Lodi, Cristina Merlini
Regia e Luci Valentina Carrasco
Scene e Costumi Mauro Tinti
Nuova Produzione Teatro Sociale di Como AsLiCo
Como, 27 giugno 2024
Come ogni anno è con piacere che ci rechiamo all’Arena del Teatro Sociale di Como per il progetto dei 200.Com, un coro amatoriale di più di duecento persone che per un anno prepara un’opera, seguito dai Maestri del teatro cittadino. Rincresce constatare, tuttavia, che probabilmente questo meritorio progetto di educazione alla musica sia in parte sfuggito di mano: quest’anno, per la messa in scena di “Turandot”, una notevole compagine corale si è ritrovata per tutto il primo atto disposta lungo un’estesa passerella, de facto impossibilitata alla vista dei maestri collaboratori e del direttore, e probabilmente per questo con evidenti problemi di coesione, ritmo e intonazione. Per l’anno prossimo ridimensionare il tutto, potrebbe aiutare a ritrovare lo smalto di cui abbiamo goduto nelle altre estati comasche. Anche perché, fatalmente, l’intera produzione di questa “Turandot” raggiunge livelli molto impegnativi, sotto ogni punto di vista, e quindi i limiti emergono maggiormente. Partendo dalla concertazione di  Jacopo Brusa, si fatica ad avanzare una valutazione, poiché l’ensemble che si ritrova a dirigere è drammaticamente ridotto rispetto alle esigenze della partitura, e, per quanto microfonato, si fatica a godere di un suono omogeneo – e il sospetto è che come non la sentissimo noi, neppure il coro riuscisse ad ascoltare bene l’orchestra. Con i cantanti questo problema si pone in maniera minore: tutti sfoggiano una grande propensione scenica e una maggiore sicurezza dell’opera, oltre che voci marcatamente più impostate. Il cast è senz’altro dominato da Hanying Tso (Turandot): una voce imponente, ma capace anche di piegarsi su un bel fraseggio, ricca di armonici e per nulla bidimensionale, che si è evidentemente esercitata sul nostro repertorio a lungo. Accanto a lei ben figura Max Jota, tenore brasiliano dal colore interessante, in grado di sfoggiare un’apprezzabile espressività vocale e sicurezza nell’intera tessitura del ruolo. Peccato per l’eccessiva prudenza sul “Nessun dorma” che l’ha reso un po’ generico – tuttavia senza scivoloni. A rubare la scena ai protagonisti sono stati però Ping (Junyeok Park), Pong (Lorenzo Martelli) e Pang (Raffaele Feo), tre voci solide, perfettamente distinte e ugualmente amalgamate, dai suoni calibrati e belle tinte (chiaro Feo, più robusto e tondo Martelli, non troppo scuro e piacevolmente portato Park): il loro arrivo porta sempre una ventata di freschezza, esattamente come era stato pensato da Puccini; solidissima voce brunita sfoggia pure il giovane Baopeng Wang nel ruolo di Timur, interpretato senza una smagliatura, mentre una prova più alterna offre Alessia Merepeza (Liù): il primo atto è stato incerto, la non facile “Signore ascolta” ha mostrato il fianco a qualche problema di emissione. La situazione migliora nel terzo atto, dove, vuoi per il carattere del personaggio, vuoi per maggiore disinvoltura dell’artista, ascoltiamo una scena e un’aria molto ben interpretate, con voce ricca di armonici e naturalmente vellutata, che vede in “Tu che di gel sei cinta” uno dei punti più alti della serata. Ben interpretati anche i due ruoli di lato di Altoum (Davide Capitanio) e del Mandarino (Francesco La Gattuta, che si distingue anche per singolare vis scaenica). La regia di Valentina Carrasco è esattamente quello che ci aspetteremmo: abbiamo una potentissima contestualizzazione politica (la Cina postmaoista contemporanea o la Corea del Nord), scene di crudo realismo (la tortura ai danni di Calaf durante gli indovinelli, con tanto di testa schiacciata in un secchio pieno d’acqua), la demitizzazione dell’iconico (il pestaggio della popolazione durante il “Nessun dorma”). Tutte cose che abbiamo già visto nelle produzioni della regista argentina; qui, però, troviamo anche degli sviluppi interni alla trama piuttosto interessanti, partendo dal feticismo di Calaf per la figura di Turandot (ingigantita su uno stendardo nel quale il Principe si rotola lubrico) e arrivando alla giustamente agghiacciante scena delle anime dei morti, interpretate da deportati nei campi di rieducazione comunisti, che con il sangue dalle orecchie, i cartelli punitivi al collo e andamento sghembo rotolano dalla scalinata su cui campeggia il ritratto della principessa. Brividi, per una scena da brividi, che invece in genere passa tra un carosello e l’altro del primo Atto. Pure l’uso delle voci bianche, in perfetto stile regime, con tanto di bandiere e stendardi, è perfetto e agghiacciante, così come grottesca e altrettanto accurata la descrizione di Ping, Pong e Pang come funzionari governativi coperti di scartoffie. Insomma, la Carrasco con questa coraggiosa messa in scena ci dimostra che attualizzare è possibile, nel momento in cui si mantengano le intenzioni e le direzioni narrative originarie. Speriamo lo capiscano anche altri suoi colleghi. Foto Andrea Butti

Categorie: Musica corale

Rai 5. Luglio 2024

gbopera - Dom, 30/06/2024 - 15:22

Lunedì 1 luglio
Ore 10.00 
“LA VEDOVA SCALTRA”
Musica Ermanno Wolf-Ferrariori
Direttore Nino Sanzogno
Regia Corrado Pavolini
Interpreti: Aldo Noni, Antonio Cassinelli, Amilcare Blafford, Carlo Badioli, Agostino Lazzari, Dora Gatta, Renato Capecchi,  Giorgio Onesti, Florindo Andreolli.
RAI, 1955
Ore 12.07
“LE CANTATRICI VILLANE”
Musica Valentino Fioravanti
Direttore Franco Caracciolo
Regia Corrado Pavolini
Interpreti:Sesto Bruscantini, Alda Noni, Adriana Martino, Fernanda Cadoni, Gino Sinimberghi, Franco Calabrese
Napoli, 1959
Martedì 2 luglio
Ore 10.00
“LA VEDOVA ALLEGRA”
Musica Franz Lehar.
Direttore Anton Guadagno.
Regia Beni Montresor
Interpreti: Cecilia Gasdia,  Fabrizio Frizzi, Luca Canonici, Andrea Bocelli…
Verona, 1999
Mercoledì 3 luglio
Ore 10.00
“IL MONDO DELLA LUNA”
Musica Franz Joseph Haydn
Direttore Bruno Nicolai
Regia Ugo Gregoretti
Interpreti: Carmen Lavani, Ugo Benelli, Benedetta Pecchioli…
Benevento, 1980
Ore 11.32
Il Tenore
Un incontro, in chiave contestataria, di Ugo Gregoretti con Mario Del Monaco. Tra gli ospiti del programma il critico Giovanni Carli Ballola, lo scenografo Piero Zuffi, il direttore d’orchestra Pierluigi Urbini. – RAI 1969
Giovedì 4 luglio
Ore 10.00
“L’ITALIANA IN ALGERI”
Musica Gioachino Rossini
Direttore Gary Bertini
Regia Ugo Gregoretti
Interpreti: Lucia Valentini Terrani, Sesto Bruscantini, Ugo Benelli, Enzo Dara, Norma Rossi Palacios, Gigliola Caputi
Venerdì 5 luglio
Ore 09.59
“LA BOHEME”
Musica Giacomo Puccini
Direttore Massimo de Bernart
Regia Ugo Gregoretti
Interpreti: Josella Ligi, Margherita Guglielmi, Maurizio Frusoni, Alberto Rinaldi, Orazio Mori, Giorgio Surjan, Claudio Giombi, Giuseppe Zecchillo, Ivan Del Manto.
Ore 21.49
“RAFFA IN THE SKY”
Musica Lamberto Curtoni
Direttore Carlo Boccadoro
Regia Francesco Micheli
Interpreti: Chiara dello Iacovo, Dave Monaco, Gaia Petrone, Carmela Remigio…
Bergamo, 2023
Sabato 6 luglio
Ore 10.25
“I 7 peccati capitali dei piccolo borghesi”
Musica Kurt Weill
Direttore Ferruccio Scaglia
Coreografie Ugo Dell’Ara
Interpreti: Taina Beryl, Carlo Gaifa, Ernesto Gavazzi, Gastone Sarti…
RAI 1988 
Ore 11.03
“CARMEN”

Musica Georges Bizet
Direttore Nino Sanzogno
Regia Franco Enriquez
Interpreti: Belem Amparan, Elda Ribetti, Franco Corelli, Anselmo Colzani…
RAI, 1956
Domenica 7 luglio
Ore 10.00
“LA TRAVIATA”

Musica Giuseppe Verdi
Direttore Lorin Maazel
Regia Liliana Cavani
Interpreti: Angela Gheorghiu, Ramon Vargas, Roberto Frontali, Natascha Petrinsky, Tiziana Tramonti, Luigi Roni…
Milano, 2007
Lunedì 8 luglio
Ore 10.00
“LADY MACBETH DEL DISTRETTO DI MZENSK”

Musica Dmitrij Sòstakovic
Direttore James Conlon
Regia Lev Dodin
Interperti: Jeanne-Michèle Charbonnet, Sergej Kunaev, Vladimir Vaneev, Vsevolod Grivonov, Nanà Miriani,  Julian Rodescu, Valdimir Martorin…
Firenze, 2008
Martedì 9 luglio
Ore 10.02
“EVGENIJ ONEGIN”
Musica Piötr Ilič Čajkovskij
Direttore Semyon Bychkov
Regia Aleksandr Schulin
Interpreti: Galina Gorchakova, Roberto Frontali, Ramon Vargas, Gloria Banditelli, Mariana Tarasova, Ferruccio Furlanetto.
Firenze, 2000
Mercoledì 10 luglio
Ore 09.46
“L’ELISIR D’AMORE”
Musica Gaetano Donizetti
Direttore Fabio Luisi
Regia Grischa Asagaroff
Interpreti: Eleonora Buratto, Vittorio Grigolo, Michele Pertusi, Mattia Olivieri…
Milano, 2015
Giovedì 11 luglio
Ore 10.00
“LA TRAVIATA”
Musica Giuseppe Verdi
Direttore Daniele Gatti
Regia Dmitri Tcherniakov
Interpreti: Diana Damrau, Piotr Beczala, Zeliko Lucic…
Milano, 2013
Venerdì 12 luglio
Ore 10.00
“ANDREA CHENIER”
Musica Umberto Giordano
Direttore Bruno Bartoletti
Regia Vacalv Kaslik
Interpreti: Franco Corelli, Celestina Casapietra, Piero Cappuccilli…

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Roma, Caracalla Festival 2024: “Tosca” dal 05 luglio al 09 agosto 2024

gbopera - Dom, 30/06/2024 - 13:37

Roma, Caracalla Festival
TOSCA
Musica di Giacomo Puccini
Melodramma in tre atti
Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
tratto dal dramma omonimo di Victorien Sardou
Il debutto all’opera dell’archistar Massimiliano Fuksas con Tosca e Turandot. L’eleganza di Dior nelle notti della danza con Eleonora Abbagnato. Il ritorno di Roberto Bolle. Il grande cinema di Walt Disney con le musiche eseguite dal vivo. Un omaggio ai cent’anni della Rhapsody in Blue di Gershwin con Wayne Marshall. Ma anche circo contemporaneo, teatro e una rassegna di film che celebrano Puccini nel centenario dalla sua morte. Grandi voci della lirica come Sonya Yoncheva, Vittorio Grigolo, Angela Meade e Brian Jagde. E poi star del pop come Ornella Vanoni, Fiorella Mannoia, Francesco De Gregori, John Legend, Antonello Venditti e molti altri. È il Caracalla Festival 2024il cartellone estivo dell’Opera di Roma che, dal 3 giugno al 10 agosto, torna a far vivere gli storici spazi delle terme romane: l’arena con 4.500 posti e il Teatro del Portico, nell’area del cosiddetto tempio di Giove, che torna ad accogliere nuove e differenti esperienze artistiche. In occasione del centenario della scomparsa di Puccini, l’edizione 2024 del Caracalla Festival omaggia il grande compositore con due nuove produzioni di Tosca Turandot proposte con progetto scenografico di Massimiliano e Doriana Fuksas, al loro debutto con l’opera lirica. La regia di entrambi i titoli è affidata a Francesco Micheli, mentre i costumi sono di Giada Masi e i video di Luca Scarzella. Il cartellone si inaugura il 5 luglio proprio con Tosca, in replica fino al 9 agosto. Sul podio sale Antonino Fogliani. Nel ruolo del titolo si alternano Carmen Giannattasio (5, 17, 26 luglio; 3, 7 e 9 agosto) e Sonya Yoncheva (24 e 31 luglio), mentre Cavaradossi è incarnato da Saimir Pirgu (5, 17, 26 luglio), Vittorio Grigolo (24 e 31 luglio) e Arsen Soghomonyan (3, 7 e 9 agosto). Yoncheva e Grigolo tornano a interpretare insieme i protagonisti del più romano dei capolavori di Puccini dopo il grande successo ottenuto nella tournée della Fondazione Capitolina in Giappone a settembre 2023. Nella parte di Scarpia invece, si alternano Claudio Sgura (5 luglio; 3, 7 e 9 agosto) e Roberto Frontali (17, 24, 26 e 31 luglio). Qui per tutte le informazioni.

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Parigi, Museo del Louvre: “Tesori Torlonia: Capolavori Antichi al Louvre”

gbopera - Dom, 30/06/2024 - 12:09

Parigi, Museo Del Louvre
CAPOLAVORI DELLA COLLEZIONE TORLONIA
La più grande collezione privata di sculture antiche preservata fino ai giorni nostri, riunita dai principi Torlonia nel corso dell’Ottocento a Roma, si svela al pubblico per la prima volta dalla metà del XX secolo in una serie di mostre-evento. Il Louvre accoglie la prima esposizione dei marmi Torlonia fuori dall’Italia, nella splendida cornice degli appartamenti d’estate di Anna d’Austria appena restaurati, sede delle collezioni permanenti di sculture antiche fin dalla nascita del Museo del Louvre, nel Settecento. Le collezioni nazionali francesi ben si prestano a creare, con i marmi Torlonia, un dialogo ricco e fecondo, che esplori l’origine dei musei e il gusto per l’Antico, elemento fondante della cultura occidentale. La mostra mette in luce alcuni capolavori della scultura antica e invita ad ammirare i gioielli indiscussi dell’arte romana, ma anche a scoprire gli albori della storia dei musei nell’Europa dell’Illuminismo e dell’Ottocento. Scaturita dalla passione per l’arte antica dei principi Torlonia, eredi delle pratiche nobiliari della Roma papale, la collezione Torlonia ambiva, in particolare con l’apertura del Museo Torlonia negli anni Settanta dell’Ottocento, a rivaleggiare con i grandi musei pubblici: Musei Vaticani, Musei Capitolini e Museo del Louvre. La collezione Torlonia dal 2020 è oggetto di una serie di mostre-evento che offrono al pubblico la possibilità di riscoprire, dopo una lunga eclissi, l’eccezionale raccolta di sculture del Museo istituito da Alessandro Torlonia nel 1876 e chiuso a metà del Novecento. Le due tappe della mostra, a Roma e Milano, con la curatela di Salvatore Settis e Carlo Gasparri con l’alta sorveglianza della Soprintendenza Speciale di Roma, ricostruivano la storia della collezione a ritroso. La mostra parigina nasce dalla volontà di presentare al pubblico, in un luogo carico di storia, questa collezione poco conosciuta in Francia e invita a compiere un viaggio estetico e archeologico fra le opere che la compongono, instaurando un dialogo con le collezioni del Louvre. La mostra è stata allestita negli appartamenti d’estate di Anna d’Austria e nel loro prosieguo naturale, la sala detta di Augusto, lo spazio che accoglie l’esposizione delle sculture romane al Louvre dal 1800 quando le sale furono completamente restaurate per ospitare il nuovo percorso espositivo delle collezioni romane del Louvre. La presentazione al pubblico di una collezione di sculture antiche di altissimo livello artistico, accessibile riservatamente non a data recente, in uno spazio tradizionalmente consacrato all’esposizione di sculture fin dagli albori del Museo del Louvre, e pertanto con un significato d’importanza rilevante nella storia dei musei, costituisce quindi un triplo evento nel 2024. La mostra, articolata intorno ai capolavori della collezione Torlonia, rivela i generi emblematici della scultura romana, nonché l’eterogeneità dei suoi temi e delle sue formule stilistiche. Ritratti ,sculture funerarie, copie di celebri originali greci, opere ispirate ai modelli greci dell’età arcaica e classica: figure del tiaso dionisiaco e allegorie rivelano un repertorio di immagini e forme che sono la forza dell’arte romana mentre si instaura un dialogo tra due raccolte sorelle, le sculture del Louvre e quelle del Museo Torlonia, dal punto di vista della storia delle collezioni. La mostra ripercorre la storia della collezione, un tempo esposta al Museo Torlonia, e le caratteristiche peculiari dettate dalle circostanze della sua origine. Composta da marmi rinvenuti nel sottosuolo di Roma, epicentro del potere e della produzione artistica dell’Occidente romano, o dei suoi immediati dintorni, la collezione riunisce sculture che afferiscono all’arte colta, di elevata qualità esecutiva. Scrigno di capolavori della scultura romana, il Museo Torlonia, fondato secondo il principio di una selezione critica e di una disposizione scientifica delle raccolte, conserva l’impronta secolare della vicenda del collezionismo. Le origini della collezione portarono Alessandro Torlonia, nella seconda metà dell’Ottocento, a farne un museo aperto a piccoli gruppi di visitatori. Prendendo le distanze dal collezionismo di vecchia maniera, il museo di Alessandro Torlonia ne rimane profondamene influenzato, frutto dell’incontro di due dinamiche storiche: la passione aristocratica per le antichità, da un lato, e la nascita della disciplina archeologica, dall’altro. Il restauro contemporaneo è un momento di conoscenza in cui si getta una nuova luce sulla storia delle opere. Se in antichità gli interventi miravano a ricreare l’interezza della scultura ricostruendo le parti mancanti o deteriorate, oggi rivestono un valore conoscitivo: per ciascuna opera , viene redatto un libro con le schede di restauro e disegni, che ne raccontano la storia conservativa, accompagnato da una documentazione fotografica e grafica che descriverlo stato di conservazione, le tecniche utilizzate e i materiali costitutivi adottati. La Fondazione Torlonia, nata per volere del principe Alessandro Torlonia è promotrice di una sistematica opera di studio e conservazione della Collezione Torlonia e di Villa Albani Torlonia, “eredità culturale della Famiglia per l’umanità” da tramandare alle generazioni future. Due straordinari complessi artistici destinati, a incontrarsi nel corso della storia, che riflettono alcuni momenti fondamentali della nostra civiltà, della storia del collezionismo, dell’archeologia e del restauro, preservati con cura sotto l’egida della stessa Famiglia. Una costante e scrupolosa attività di conservazione, condotta sotto l’alta sorveglianza del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con cui sono stati condivisi i criteri di conduzione dei progetti, che la Fondazione ha proseguito gettando le basi di iniziative in costante evoluzione ed ottenendo importanti risultati: l’apertura dei Laboratori Torlonia per lo studio e il restauro degli oltre seicento marmi Torlonia e l’innovativo programma di conservazione di Villa Albani Torlonia.  L’esposizione è nata da un accordo tra il Ministero della Cultura con la Fondazione Torlonia che ha permesso di riscoprire dopo oltre 50 anni di oblio una ricca selezione delle sculture della Collezione.Un progetto ambizioso inaugurato nella capitale italiana, grazie alla Soprintendenza Speciale di Roma: un impegno congiunto tra pubblico e privato che prosegue oltre i confini nazionali, nella prima tappa estera del tour mondiale. La mostra parigina intende dare la possibilità di ammirare opere straordinarie e di scoprire un lato poco conosciuto dell’arte romana nella storia, offrendo l’opportunità per comprendere come è nata e si è sviluppata una collezione privata di scultura antica e come oggi sia presentata al pubblico. Copyright Fondazione Torlonia Ph Agostino Osio

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Le cantate di Johann Sebastian Bach: Quinta domenica dopo la Trinità

gbopera - Dom, 30/06/2024 - 00:26

Sono solo 2 le Cantate destinate alla quinta domenica dopo la Trinità. Dopo la BWV 93, che abbiamo trattato lo scorso anno, seconda è la BWV 88, Siehe, ich will viel Fischer aussenden eseguita la prima volta a Lipsia, il 21 luglio 1726. L’ignoto autore del testo l’ha concepita in 2 parti, quantunque si tratti di una partitura breve, di soli 7 numeri. La citazione iniziale si rifà al profeta Geremia (cap.16 vers.16), in linea con l’argomento evangelico del giorno, la pesca miracolosa di cui parla Luca: “Ecco, io invierò numerosi pescatori, dice il Signore”. Il passo offre la possibilità a Bach di organizzare nella pagina iniziale, 2 scene: una “marina” una di “caccia”, sotto il comune denominatore di un’aria, bipartita, affidata alla voce del basso che incarna la voce del Profeta, in un ritmo iniziale di”Pastorale” 6/8 che diventa, nella seconda parte, un “allegro quasi presto” 4/4. Sostengono queste  parti dell’aria 2 figure alternate, o combinate insieme, che vanno a imitare il flusso delle acque (con 2 oboi), mentre la seconda vede l’intervento di 2 corni, che si collega quindi alla citazione della caccia. Di struttura bipartita è anche la seconda aria (nr.3) affidata al tenore, con l’oboe d’amore, dalle movenze di un “minuetto” e giocato sulla contrapposizione della parola “Nein”, espresso all’inizio del primo versetto e di “Ja”, posta all’inizio della seconda sezione dell’aria. Da notare che la voce anticipa la presentazione del ritornello strumentale e che quest’ultimo viene sviluppato, nella parte conclusiva, con l’aggiunta di archi e di un altro oboe d’amore. Il nr.4 è un’aria cantata dal basso, anticipata dalla voce dell’Evangelista (tenore):”Gesù disse a Simone”, alla quale risponde, con l’aria, o meglio un arioso, il basso: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”, sostenuto dal solo “continuo” nel quale si alternano momenti statici a impennate dinamiche, secondo un taglio bipartito. Segue un duetto (nr.5) tra soprano e contralto, in stile “fugato”, notevole anche per l’inserimento di interventi concertanti strumentali, all’interno del tessuto vocale. Un recitativo “secco”, precede il Corale conclusivo.
Prima Parte
Nr.1 – Aria (Basso)
Ecco, io invierò numerosi pescatori – dice il Signore
– che li pescheranno; quindi invierò numerosi
cacciatori che daranno loro la caccia su ogni monte,
su ogni colle e nelle fessure delle rocce.
Nr.2 – Recitativo (Tenore)
L’Altissimo può anche fare a meno di noi
e privarci della sua grazia,
se la nostra anima peccatrice si allontana da lui
e ostinatamente
corre verso l’autodistruzione.
Ma cosa farà
il suo spirito paterno?
Si allontanerà da noi con la sua bontà
come noi ci siano allontanati da lui e ci
abbandonerà alla falsità e al rancore dei nemici?
Nr.3 – Aria (Tenore)
No, Dio non si stanca mai
di indicarci il giusto cammino
attraverso la luce della sua grazia.
Sì, se anche dovessimo perderci
e abbandonare la retta via,
lui tornerebbe a cercarci.
Seconda Parte
Nr.4 – Recitativo (Tenore)
Gesù disse a Simone
Aria (Basso)
«Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
Nr.5 – Aria/Duetto (Soprano, Contralto)
Se Dio stesso chiama, allora
abbondanti benedizioni ricadranno
su tutto ciò che facciamo,
malgrado la paura e l’ansia che incombono.
Il talento che ci ha affidato
deve essere restituito con gli interessi;
se non ci limitiamo a sotterrarlo,
Lui ci aiuterà a farlo fruttificare.
Nr. 6 – Recitativo (Soprano)
Cosa può spaventarti lungo il tuo cammino,
o mio cuore, se Dio stesso ti tende la sua mano?
Con questo semplice gesto ogni avversità svanisce
e ti è garantito uno scudo, potente protezione.
Se difficoltà, ansia, invidia, tormenti e falsità
vengono a disturbare e ostacolare ciò che fai,
non permettere a tali avversità di scoraggiarti;
il compito assegnato è alla portata di ciascuno.
Vai sempre avanti con gioia, alla fine vedrai che
ciò che ti ha causato dolore tornerà a tuo vantaggio!
Nr.7 – Corale
Prega e cammina lungo la via di Dio,
compiendo fedelmente il tuo dovere
e confida nella ricca benedizione celeste,
allora sarà rinnovata la sua presenza in te;
chi ripone la sua fiducia in Dio
non sarà mai abbandonato.
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Siehe, ich will viel Fischer aussenden” BWV 88

 

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Castell’Arquato (Pc), 11° Festival Illica: dal 4 al 7 luglio 2024

gbopera - Ven, 28/06/2024 - 17:33

Al via l’11 edizione del Festival Illicache avrà quest’anno come filo conduttore il rapporto privilegiato tra Luigi Illica e Giacomo Puccini, per celebrare il centenario dalla morte del grande compositore toscano, e si terrà dal 4 al 6 luglio 2024 nel suggestivo borgo medioevale di Castell’Arquato (Pc), insignito della bandiera arancione dal Touring Club Italiano e appartenente al club dei borghi più belli d’Italia.
Il Festival Illica è un tributo alla figura di Luigi Illica, un’eccellenza italiana e cosmopolita nella librettistica d’opera, che ha realizzato per i grandi operisti come Giacomo Puccini, Pietro Mascagni e Umberto Giordano i più celebri titoli del melodramma, ed ebbe un’amicizia forte e duratura con Giosuè Carducci, che invitava di frequente a Castell’Arquato.
Si inaugura giovedì 4 luglio 2024, alle ore 21.00 presso i Giardini pensili di Palazzo Vigevani con un concerto del Quartetto Luigi Magnani intitolato “Illica e gli amici” con musiche di Puccini, Catalani e Gnecchi.
Secondo appuntamento, venerdì 5 luglio 2024, ore 19.30, nei Giardini di Palazzo Vigevani Gravaghi, con una Conferenza–Dibattito per approfondire il rapporto umano e artistico tra Illica e Puccini che si è interrotto nel tentativo di portare a compimento Maria Antonietta, libretto scritto da Illica e mai musicato da Puccini. Protagoniste alcune tra le voci più autorevoli nel panorama della musicologia nazionale quali Giangiacomo Schiavi, giornalista e autore del libro dedicato a Illica “Il Genio Ribelle”, Guido Barbieri, musicologo e conduttore di Radio Tre Rai, il critico musicale Fabio Larovere, il saggista Fulvio VenturiMassimo Baucia, studioso del Fondo Illica della Biblioteca Passerini-Landi di Piacenza e il compositore Carlo Galante, incaricato dal Festival di mettere in musica il testo dell’aria L’ Austriaca. Pianto di una regina della protagonista dell’opera Maria Antonietta. Questa nuova commissione verrà eseguita in “prima assoluta” durante il Gala lirico – sinfonico dedicato a Giacomo Puccini: “Caro Illica….Viva noi!”, che si terrà al termine della conferenza, venerdì 5 luglio 2024, ore 21.00, nella tradizionale Piazza Monumentale diretto dal M° Jacopo Brusa, direttore artistico del Festival. Ad accompagnare i 60 elementi della Filarmonica Arturo Toscanini in questo “viaggio” attraverso i capolavori immortali che hanno reso leggendario il sodalizio tra Illica e Puccini, da Manon Lescaut a Bohème, da Madama Butterfly a Tosca, ci saranno due tra gli artisti emergenti di maggior spessore del panorama nazionale: il soprano Federica Vitali e il tenore Matteo Falcier.
A chiusura del Festival, sabato 6 luglio 2024ore 21.00, ancora una “prima assoluta” con il monologo “Scrissi d’arte” Storia vagabonda di Luigi Illica a cura del regista e attore Davide Marranchelli, accompagnato al pianoforte dal M° Martino Dondi. Il Festival, come sempre, si completerà con tre appuntamenti di promozione culturale quali le visite guidate al Museo Illica e al Borgo Medievale.
Giovedì 4 luglio, ore 19.00, visita guidata al Museo Illica (ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria), sabato 6 luglio e domenica 7 luglio, ore 10.30, si partirà dalla Piazza Monumentale per un percorso poetico sensoriale attraverso il borgo natio di Illica, alla ricerca degli scorci che hanno ispirato le opere di Luigi Illica e visita al Museo. In caso di maltempo le rappresentazioni gli eventi serali del 4 e 6 luglio si svolgeranno presso la Sala Consiliare del Palazzo del Podestà nella stessa giornata e alla stessa ora, mentre il Galà verrà posticipato al 6 luglio, sempre nella Piazza Monumentale, alle ore 21. I biglietti soni acquistabili online su www.festivalillicacastellarquato.it Il Festival Illica è organizzato dal Comune di CastellArquato con il sostegno di Fondazione di Piacenza e Vigevano e Regione Emilia Romagna e in collaborazione con La Toscanini.

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Roma, Palazzo Braschi, Museo di Roma: “Il trionfo di Venere e Bacco e Arianna dalle collezioni d’arte Enel” dal 27 giugno al 12 gennaio 2025

gbopera - Gio, 27/06/2024 - 13:21

Museo di Roma, Palazzo Braschi
IL TRIONFO DI VENERE E BACCO E ARIANNA
di Sebastiano Ricci
a cura di Roberta Porfiri
organizzata da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali e da Enel
Nelle sale del terzo piano del Museo di Roma a Palazzo Braschi, è possibile ammirare fino al 12 gennaio 2025 due dipinti del grande pittore veneto Sebastiano Ricci, appartenenti alle collezioni d’arte di Enel e per la prima volta esposti al pubblico. Le due tele, raffiguranti Il trionfo di Venere Bacco e Arianna, furono probabilmente eseguite dal Ricci nei primi anni del Settecento, durante il suo soggiorno fiorentino. Da poco riscoperti, i due dipinti sono stati sottoposti a un restauro che ha evidenziato le straordinarie doti di colorista del pittore veneto, il cui stile, ispirato a Paolo Veronese ma attento anche ai maestri del Barocco, come Luca Giordano, ha anticipato quello dei maggiori pittori veneziani del Settecento, primo tra tutti Giovanni Battista Tiepolo. L’esposizione L’incanto della bellezza. Dipinti ritrovati di Sebastiano Ricci dalla Collezione Enel, a cura di Roberta Porfiri, è organizzata da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali e da Enel che si è avvalsa per il restauro della collaborazione della Soprintendenza Speciale di Roma – Archeologia Belle Arti e Paesaggio. Servizi museali di Zètema Progetto Cultura. Nato a Belluno nel 1659, Sebastiano Ricci è stato uno dei massimi esponenti della pittura veneta tra la fine del Seicento e i primi decenni del secolo successivo   . Formatosi artisticamente a Venezia, ha operato in numerose città italiane, tra le quali Bologna, Milano e Firenze. A Roma, dove fu attivo per la prima volta tra il 1691 e il 1694, ha eseguito l’affresco con l’Allegoria della battaglia di Lepanto nella Sala dei Paesaggi in Palazzo Colonna, l’Ascensione nella sagrestia della Basilica dei Santi Apostoli e due grandi tele di soggetto biblico per Palazzo Taverna. Viaggiatore instancabile, Ricci ha lavorato in alcune delle maggiori corti d’Europa: fu a Vienna dal 1701, a Londra tra il 1711 e il 1716, a Parigi fino al 1718. Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Venezia, dove morì nel 1734. Ingresso alla mostra gratuito con il biglietto del Museo, secondo tariffazione vigente (gratuito con Roma MIC Card).

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Roma, Museo Nazionale Romano,Terme di Diocleziano e Palazzo delle Esposizioni: “Materiae” dal 03 luglio al 06 ottobre 2024

gbopera - Gio, 27/06/2024 - 12:45

Roma, Museo Nazionale Romano, Terme di Diocleziano e Palazzo delle Esposizioni
MATERIAE
di Javier Marin
Roma si prepara ad accogliere un evento di straordinaria rilevanza culturale: la mostra “Materiae” dell’acclamato artista messicano Javier Marín. Dal 3 luglio al 6 ottobre 2024, due delle più prestigiose sedi espositive della capitale italiana, il Museo Nazionale Romano – Terme di Diocleziano e il Palazzo delle Esposizioni, ospiteranno questa imperdibile esposizione. L’evento si inserisce nell’ambito delle celebrazioni per i 150 anni dall’inizio delle relazioni diplomatiche tra Italia e Messico, un anniversario che quest’anno acquista un valore particolarmente significativo. Javier Marín è un nome di spicco nel panorama artistico contemporaneo. Nato nel 1962 a Uruapan, nello stato di Michoacán, Marín ha saputo costruire una carriera di oltre trent’anni, durante i quali ha esplorato e amalgamato con maestria diverse forme d’arte: scultura, disegno e pittura. La sua opera è caratterizzata da una profonda riflessione sulla condizione umana, esplorata attraverso forme che mescolano tradizione e innovazione. La mostra “Materiae” rappresenta un punto di incontro tra due ricche tradizioni culturali, quella italiana e quella messicana. Marín ha sempre manifestato una profonda ammirazione per la cultura e la storia dell’arte italiana. Le sue opere si nutrono di influenze che spaziano dal Manierismo toscano al Barocco romano, reinterpretate attraverso una lente che trae ispirazione dalle sue radici pre-ispaniche. Questa contaminazione di stili e temi rende il suo lavoro unico, capace di creare un dialogo visivo e concettuale tra mondi apparentemente distanti. Le Terme di Diocleziano, uno dei complessi termali più imponenti e meglio conservati dell’antica Roma, offrono uno scenario di grande suggestione per le sculture monumentali di Marín. Gli spazi vasti e ricchi di storia delle Terme permetteranno ai visitatori di apprezzare la monumentalità e la complessità delle opere dell’artista, che dialogano con l’architettura imponente del sito. Il Palazzo delle Esposizioni, con la sua moderna struttura espositiva, fornirà un contrasto affascinante, mettendo in luce la versatilità e l’innovazione del linguaggio artistico di Marín. Qui, il pubblico potrà esplorare la gamma completa della sua produzione, dalle sculture in bronzo e resina ai disegni e dipinti che mostrano la sua abilità tecnica e la profondità concettuale. L’esposizione si inserisce nel quadro delle celebrazioni per il 150° anniversario delle relazioni diplomatiche tra Italia e Messico, un legame che ha visto crescere e consolidarsi una collaborazione culturale, economica e politica sempre più profonda. Materiae” non è solo una mostra d’arte, ma un simbolo di amicizia e scambio tra due nazioni che, pur essendo geograficamente lontane, condividono una passione comune per l’arte e la cultura. “Materiae” di Javier Marín si preannuncia come uno degli eventi culturali più attesi dell’anno a Roma. La possibilità di ammirare le opere di un artista che ha saputo fondere in modo così armonioso e originale due tradizioni artistiche tanto ricche sarà un’opportunità unica per il pubblico italiano e internazionale. Attraverso questa mostra, l’arte diventa un ponte che unisce popoli e culture, celebrando la bellezza della diversità e la forza della creatività umana.

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Milano, MTM – Teatro Litta: “Il gioco dell’amore e del caso”

gbopera - Gio, 27/06/2024 - 10:27

Milano, MTM – Teatro Litta, Stagione 2023/24
IL GIOCO DELL’AMORE E DEL CASO”
di Pierre Carlet de Chamblain de Marivaux – nuova traduzione di Michele Zaffarano.
Orgone GAETANO CALLEGARO
Silvia FRANCESCA MASSARI
Lisetta JASMINE MONTI
Dorante FRANCESCO MARTUCCI
Arlecchino FILIPPO RENDA
Adattamento e Regia Antonio Syxty
Scene Guido Buganza
Costumi Valentina Volpi
Disegno luci Fulvio Melli
Nuova produzione Manifatture Teatrali Milanesi
Milano, 24 giugno 2024 – Debutto Nazionale
In fondo, “Il gioco dell’amore e del caso” potrebbe essere il titolo dell’opera omnia di Marivaux, autore del Settecento francese oggi poco frequentato, ma che scatenò in patria una vera forma di isterismo collettivo per corteggiamenti amorosi leggeri e galanti chiamato, appunto, “marivaudage”. Nella non esile produzione di Pierre Carlet (questo il suo nome originario), troviamo sviluppati, indagati ed esasperati quei rituali d’accoppiamento a fine matrimoniale e a sfondo più o meno equivoco, che fin dal teatro di Menandro caratterizzano la commedia occidentale; insomma, per citare un notorio tormentone attuale, “ho visto lei, che bacia lui, che bacia lei, che bacia me”, solo che al posto del “baciarsi” (azione eccessivamente esplicita e triviale, per lo meno in pubblico) si preferiscono azioni come “corteggiarsi”, “scriversi bigliettini”, “farsi promesse nuziali”, e, più di tutto, “alludere”, giacché è evidente che il gioco dell’amore (e rieccolo) si giochi su un campo puramente teorico. Forse è per questo che il marivaudage è un po’ passato di moda, e con esso il suo inventore: viviamo in una società che fatica con l’astrazione, preferendo la chiara manifestazione, teofanica quando non pornografica, del sentimento. In base a tutto ciò non possiamo che apprezzare la scelta di Antonio Syxty di riportare in scena “Il gioco dell’amore e del caso”, commedia tra le più riuscite non solo del suo autore, ma dell’intero secolo XVIII: la nuova traduzione di Michele Zaffarano e l’adattamento dello stesso regista si rivelano fondamentali per snellire la pantagruelica mole di parole del testo, e per modernizzare le dinamiche tra i personaggi di quel tanto che basta a fruirne al meglio. Siamo chiari: la regia di questo testo funziona a meraviglia, anche se forse avrebbe potuto osare qualcosa di più in qualche direzione – tradizione/ innovazione/ contaminazione, a scelta – per sottrarsi a un andamento scenico per lo più prevedibile. Sì, su tutti domina appeso uno scimmione fucsia con una maschera frou-frou nera, indiscutibile elemento pop e kitsch nel senso più godibile, ma poi, de facto, ci troviamo davanti a una messa in scena di prammatica, funzionale ma un po’ sciapa. Non aiuta a dare mordente al tutto nemmeno la scenografia di Guido Buganza, che torna a uno dei suoi grandi classici – la stratificazione di veli bianchi – aggiungendo pochi elementi correttamente d’epoca, in un contesto ove forse qualche guizzo in più, cromatico e di organizzazione spaziale, non avrebbe certo guastato; su una sicura linea tradizionale anche i costumi di Valentina Volpi, che vedono solo nei copricapi una azzeccata scelta fuori dagli schemi (gustosa la parrucca argentata per Orgone); altrettanto accennate e non sfruttate appieno anche le luci di Fulvio Melli. Il cast vede cinque interpreti particolarmente in forma, anche perché il tipo di testo richiede caratterizzazioni piuttosto marcate, per evitare che il pubblico scivoli lentamente nella narcosi. Bravi tutti, con un plauso soprattutto per Gaetano Callegaro (un Orgone gigione al punto giusto e adorabile gran burattinaio dei giovani presenti in casa sua, quasi l’archetipo del demiurgo bon vieillard) e Francesco Martucci, che dimostra come un’interpretazione calibratissima, tra una fisicità sensuale e una vocalità ben sostenuta, riesca sempre a conseguire risultati molto più che buoni; Filippo Renda, nel ruolo di Arlecchino, sceglie un’ipercaratterizzazione senz’altro non peregrina e che sa fare presa sul pubblico, sfruttando anche la naturale inflessione siciliana dell’interprete; fra le prove femminili, Francesca Massari di poco migliore di Jasmine Monti, ma unicamente perche la sua Silvia consente all’attrice di mettere in luce una più vasta gamma di colori, pose, emozioni; la Lisetta della Monti è senza dubbio riuscitissima, ma si rifugia sovente in quelle tipiche cadenze da Settecento accademico che alla lunga un po’ stancano: quando l’interprete perde il controllo di sé è invece più spontanea e apprezzabile. In generale, la sensazione che si prova alla fine di questo “Gioco dell’amore e del caso” è di una dolcezza corroborante, che riesce a tenersi al di qua dello zuccheroso e del retorico, senza snaturare l’essenza stessa di questo tipo di teatro. Un’operazione funambolica non senza rischio, che conclude la stagione delle Manifatture Teatrali Milanesi in leggerezza. Si replica fino al 13/07. Foto Alessandro Saletta

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Roma, Giardini di Villa Borghese: “Riapre il Giardino delle Erme”

gbopera - Mer, 26/06/2024 - 23:59

Roma, Giardini di Villa Borghese
RIAPRE DOPO UN INTERVENTO DI RESTAURO IL GIARDINO DELLE ERME
Roma, 26 giugno 2024
Nell’incantevole cornice del Giardino delle Erme, l’Esedra dei Draghi e la storica fontana hanno ritrovato il loro antico splendore, grazie a un ambizioso e meticoloso progetto di restauro portato a termine oggi.
Quest’opera di recupero, resa possibile dalla generosa donazione dell’azienda IZI Spa, si inserisce nel più vasto piano di valorizzazione di Villa Borghese, che comprende anche il restauro dei Giardini Segreti e del complesso architettonico costituito dall’Uccelliera e dal Casino della Meridiana. Gli interventi hanno restituito integrità e bellezza agli intonaci e alle tinteggiature originarie dell’esedra, seguendo i dettagliati risultati emersi dagli esami stratigrafici. Anche l’imponente decorazione in stucco, con le sue cornici marcapiano, nicchie ovali contenenti riproduzioni di busti romani e sfere di travertino che arricchiscono l’attico insieme a due imponenti draghi araldici borghesiani, è stata meticolosamente restaurata. Inoltre, la preziosa fontana al centro del giardino, frutto di un assemblaggio ottocentesco che combina un bacino interrato moderno con una vasca superiore rinascimentale di origine ignota, è stata accuratamente pulita e il suo sistema idrico completamente rinnovato, riportandola alla piena funzionalità. Questo restauro, finanziato interamente dall’azienda IZI Spa, è un chiaro segno dell’importanza che l’impresa attribuisce alla conservazione del patrimonio culturale romano. Villa Borghese, con i suoi 80 ettari e nove accessi, rappresenta uno dei polmoni verdi più estesi e significativi della Capitale, nonché un vero e proprio museo all’aperto. Quest’area è un crogiolo di architetture, monumenti, fontane e statue che si fondono con una ricca varietà botanica, attirando l’interesse di numerosi visitatori e cittadini. Il legame tra arte e natura era profondamente sentito da Scipione Borghese, che volle enfatizzare questo concetto attraverso una lapide in marmo posizionata all’esterno del suo palazzo, invitando i visitatori a immergersi nelle bellezze naturali e artistiche offerte dalla villa. Fondata nel XVI secolo come residenza suburbana, Villa Borghese è stata sede delle collezioni artistiche dei Borghese e ha visto la sua espansione fino al XX secolo, sotto la guida visionaria di Papa Paolo V Borghese che nel 1606 incaricò il nipote Scipione Caffarelli Borghese di edificare una villa extraurbana nella prestigiosa area di Porta Pinciana. Il progetto architettonico ha visto l’intervento di illustri architetti come Flaminio Ponzio, Giovanni Vasanzio e Girolamo Rainaldi, che hanno lavorato a stretto contatto con il committente per realizzare una struttura che rispecchiasse il gusto e le ambizioni dell’epoca. Durante la sua costruzione, Villa Borghese è stata arricchita da giardini maestosi, progettati e suddivisi in diverse aree tematiche, ciascuna con una propria identità e funzione, sotto la sapiente guida del giardiniere Domenico Savini e con il contributo di artisti del calibro di Pietro e Gian Lorenzo Bernini. Questi “giardini segreti”, riservati esclusivamente al principe Borghese e ai suoi ospiti, erano ambientazioni esclusive che riflettevano il lusso e la raffinatezza della famiglia nobiliare, culminando nella costruzione di strutture come l’Uccelliera e la Meridiana, simboli di un’epoca in cui l’arte e la natura si intrecciavano in un dialogo continuo e affascinante. Nel XVIII secolo, sotto l’influenza del gusto neoclassico emergente, Marcantonio IV Borghese intraprese significative modifiche a Villa Borghese, specialmente nel terzo recinto dove fece erigere templi e aggiunse statue, fontane e arredi ispirati all’antichità classica. Parallelamente, decise di demolire i muri di cinta lungo Via Flaminia, migliorando l’aspetto architettonico dell’area prospiciente Piazza del Popolo, un sito sempre più frequentato dai visitatori. Nel 1776, gli architetti Antonio e Mario Asprucci furono incaricati di abbattere il muro di cinta che separava l’area dai restanti recinti. Queste modifiche neoclassiche, iniziate nel Settecento, proseguirono nel corso dell’Ottocento, culminando con la costruzione dei propilei greci in stile ionico nel 1829, che oggi segnano l’ingresso della Villa da Piazza del Popolo. Nel corso dell’Ottocento, il principe Camillo Borghese acquisì ulteriori terreni dai Doria, Manfroni e Bourbon del Monte, integrandoli nel tessuto della villa secondo i disegni dell’architetto Luigi Canina. Il giardino all’italiana venne trasformato in giardino all’inglese, caratterizzato dall’armonia di elementi naturali e artificiali, come grotte e tempietti. Il destino della Villa si legò indissolubilmente a Camillo Borghese, che nel 1803 sposò Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone. Quest’ultimo convinse Camillo a vendere gran parte delle collezioni antiche al Louvre, fondando il cosiddetto Fondo Borghese del museo parigino. Questo segnò il declino del collezionismo dei Borghese e l’avvio di un nuovo capitolo per i grandi musei europei. Con l’Unità d’Italia nel 1861, la villa subì un piano di lottizzazione e fu acquistata dallo Stato italiano nel 1901 per soli 3 milioni e seicento mila lire, un prezzo considerevolmente basso rispetto agli standard dell’epoca. Nel 1903, la proprietà passò al comune di Roma, rendendo la villa accessibile al pubblico. Il Casino Nobile fu trasformato in museo, ospitando l’attuale Galleria Borghese. L’area subì ulteriori lavori, come l’inaugurazione del ponte che collega la villa al Pincio nel 1908 e l’arretramento dell’ingresso di Porta Pinciana per allargare la strada. Nel 1911, fu inaugurato il Giardino zoologico, oggi noto come Bioparco. Tra il 1904 e il 1905 furono eretti i primi monumenti celebrativi nel parco. Negli anni Trenta, il Giardino del Lago ospitò chioschi con biblioteche per il prestito di libri. Durante i conflitti mondiali, i giardini segreti furono usati per coltivare ortaggi. Nel secondo Novecento, iniziò una serie di trasformazioni che hanno dato al parco l’aspetto odierno. Tra queste, la Casa del Cinema, fondata nel 2004 nella Casina delle Rose, e il Cinema dei Piccoli, riconosciuto come il cinema più piccolo del mondo. La storia di Villa Borghese è profondamente intrecciata con l’arte fin dai suoi inizi, un legame che continua a definire il carattere unico del luogo, dove la natura si fonde armoniosamente con le opere d’arte.

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Inés Moreno Uncilla: “300 Years of Spanish Hapsichord Music”

gbopera - Mer, 26/06/2024 - 17:19

Antonio De Cabezón  (1510–1566): Diferencias sobre el Canto del Cavallero; Luys Venegas De Henestrosa (1510–1570): Cinco diferencias sobre Las Vacas; Francisco Correa De Arauxo (1584–1654): Segundo tiento de Quarto Tono por elami, a modo de canción; Sebastián Aguilera De Heredia  (1561–1627): Obra de 8° tono alto. Ensalada; Juan Cabanilles (1644–1712): Gallardas I; Domenico Scarlatti (1685–1757): Sonata en Do menor K. 56,  Sonata en Re menor K. 213; Antonio Soler (1729–1783); Sonata no 48 en Modo Dórico; Sebastián De Albero (1722–1756): Recercata Prima; Fuga Prima; Sonata Prima; Juan Sessé Balaguer (1736–1801): Fuga II; Joaquín Beltrán (1736–1802): Fuga no 2; Pieza contrapuntística no 6; Basilio De Sessé (1756–1816): Intento no 6; Mateo Antonio Pérez De Albéniz (1755–1831): Sonata en Re.
Inés Moreno Uncilla (clavicembalo). Registrazione: 30 aprile- 3 maggio 2021, Waldenburg, Svizzera. T. Time: 69′ 37″. 1 CD Ars Produktion LC06900

Un metaforico viaggio nella produzione clavicembalistica spagnola che copre un arco di tempo di ben tre secoli dal momento che va dal Cinquecento all’Ottocento costituisce il motivo conduttore di un’interessantissima proposta discografica dell’etichetta Ars Produktion. Questo viaggio, il cui punto di partenza è costituito da un brano, Diferencias sobre el Canto del Cavaller, di Antonio De Cabezón, uno dei più grandi se non il più grande compositore per strumenti a tastiera del Cinquecento, presenta delle tappe più o meno note, dal momento che è possibile ascoltare, insieme a due sonate di Domenico Scarlatti, che visse alla corte dei re di Spagna, e alla Sonata no 48 en Modo Dórico di Antonio Soler, lavori di autori poco conosciuti, come Luys Venegas De Henestrosa  (1510–1570), Francisco Correa De Arauxo, Sebastián Aguilera De Heredia, Juan Cabanilles, Sebastián De Albero, Juan Sessé Balaguer, Joaquín Beltrán, Basilio De Sessé e Mateo Antonio Pérez De Albéniz. A condurre l’ascoltatore in questo metaforico viaggio è la clavicembalista madrilena Inés Moreno Uncilla che si è avvalsa di tre clavicembali diversi scelti in base all’epoca dei brani in programma. In particolare per le composizioni cinquecentesche si è servita di una copia di un clavicembalo italiano del Cinquecento a un manuale con ottava corta e tasti spezzati, realizzato da Matthias Griewisch nel 2016 e accordato secondo il temperamento mesotonico in voga nel XVI sec., mentre i lavori di Scarlatti e Soler sono stati da lei eseguiti su una copia di un Grimaldi del 1697, opera di Tony Chinnery (1987). Infine le composizioni più tarde sono eseguite su una copia di un Blanchet del 1730 a due manuali, costruita da William Dowd nel 1976. Dotata di un solido senso dello stile e di un’ottima conoscenza della prassi esecutiva dell’epoca, la clavicembalista spagnola, in questo suo primo album, mostra di trovarsi particolarmente a suo agio in questo repertorio, che le permette di coniugare la sua anima spagnola con la sua passione per la musica antica ascoltata sin da bambina in famiglia, e così regala al suo virtuale pubblico un’ora di piacevole ascolto durante la quale viene restituita una piccola sintesi della storia della musica spagnola per clavicembalo.

 

Categorie: Musica corale

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