100° Arena di Verona Opera Festival 2023
“MADAMA BUTTERFLY”
Tragedia giapponese in tre atti su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, dal dramma omonimo di David Belasco
Musica di Giacomo Puccini
Cio-Cio-San ALEKSANDRA KURZAK
Suzuki ELENA ZILIO
Kate Pinkerton CLARISSA LEONARDI
F. B. Pinkerton ROBERTO ALAGNA
Sharpless GEVORG HAKOBYAN
Goro MATTEO MEZZARO
Il Principe Yamadori ITALO PROFERISCE
Lo Zio Bonzo GABRIELE SAGONA
Il Commissario Imperiale GIANFRANCO MONTRESOR
L’Ufficiale del registro STEFANO RINALDI MILIANI
La madre di Cio-Cio-San FEDERICA SPATOLA
La cugina VALERIA SALADINO
Orchestra, Coro e Ballo della Fondazione Arena di Verona
Direttore Daniel Oren
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Regia e Scene Franco Zeffirelli
Costumi Emi Wada
Movimenti coreografici Maria Grazia Garofoli
Verona, 12 agosto 2023
Ottavo ed ultimo titolo ad andare in scena al 100° Opera Festival, Madama Butterfly viene riproposta nell’allestimento a firma di Franco Zeffirelli già presentato nel 2004 per il centenario della prima rappresentazione e forse il suo lavoro più cinematografico creato per il teatro d’opera. L’imponente scenografia riproduce il quartiere dei piaceri sul porto di Nagasaki brulicante di persone e di vita ma tramite il già noto espediente teatrale di Zeffirelli, la scenografia si apre svelando la casa sulla collina; in questo modo lo spettatore viene guidato per mano all’interno della vicenda e costantemente coinvolto nell’azione scenica tanto nell’impianto immaginifico quanto sul piano emotivo. L’evoluzione umana e psicologica di Cio Cio San viene inoltre sottolineata dai costumi di Emi Wada, già premio Oscar nel 1986 col film Ran di Kurosawa. Uno spettacolo dunque visivamente godibile e nel solco creativo del maestro fiorentino, ben integrato dai movimenti coreografici di Maria Grazia Garofoli, sempre discreti e mai invasivi. Se la regìa, le scene ed i costumi erano ampiamente collaudati, grazie anche alle riprese nel corso degli anni, la parte musicale ha destato qualche perplessità soprattutto nell’insieme e negli equilibri tra buca e palcoscenico: in particolare Daniel Oren è parso decisamente in carenza di concentrazione con attacchi imprecisi (quando li dava) ed un gesticolare poco chiaro e funzionale che ha mandato sovente l’orchestra fuori tempo, specialmente nell’intermezzo sinfonico che apre la seconda parte del secondo atto. Venendo al cast vocale, veniva riproposta la coppia artistica e di vita formata da Roberto Alagna ed Aleksandra Kurzak, già ascoltati in Tosca due settimane prima. Nei panni di Pinkerton il tenore è parso meno convincente rispetto a Cavaradossi e non sempre impeccabile nell’intonazione ma resta comunque un grande interprete che può, a ragione, dare una lettura interpretativa efficace nel delineare l’egoista ufficiale della Marina statunitense. Cio Cio San è divenuta per mezzo della Kurzak una fiera eroina, più che la tenera e piccola fanciulla disillusa ed abbandonata: una rassegnazione sofferta e spesso costellata di dardi lanciati a trecentosessanta gradi verso chiunque tentasse di riportarla alla cruda realtà. Il soprano ha una voce di bel timbro e dotata di un ampio fraseggio, e prova ne è la celebre Un bel dì vedremo (accolta con un lungo applauso) ma indulge eccessivamente ad accenti passionali più appropriati a Floria Tosca che alla delicata Butterfly. Bene anche Gevorg Hakobyan quale Sharpless, ago della bilancia nell’intera vicenda, sospeso nell’imbarazzante mediazione tra i due protagonisti: persuasivo nel bonario rimprovero a Pinkerton nel primo atto quanto nel confronto emotivo con Cio Cio San nel secondo: ha perciò ben declinato il suo canto ad un fraseggio dal tono paterno e rassicurante. Allo stesso modo, la fenomenale (a 82 anni!) Elena Zilio ha saputo infondere a Suzuki l’essenza umana ed empatica della premurosa cameriera sempre pronta a gioire quanto a soffrire insieme alla sua signora, cercando di risparmiarle il triste momento della verità. Nell’antipatico e petulante ruolo del nakodo è stata positiva anche la prova di Matteo Mezzaro (già Ismaele in Nabucco) abile ad incardinarsi nei meccanismi della vicenda: il suo Goro è scaltro ed odioso allo stesso tempo. Il resto del cast annoverava, con piena sufficienza, Clarissa Leonardi (Kate Pinkerton), Italo Proferisce (Yamadori), Gabriele Sagona (Lo zio Bonzo), Gianfranco Montresor (Il commissario imperiale), Stefano Rinaldi Miliani (L’ufficale del registro), Federica Spatola e Valeria Saladino (madre e cugina di Cio Cio San). Corretto l’apporto del coro della Fondazione Arena, con un cenno particolare alle sezioni femminili, applaudito nel suggestivo e celebre interludio notturno a bocca chiusa. Un pubblico particolarmente numeroso (ma ancora non del tutto disciplinato nel rispetto dovuto agli spettacoli) ha tributato alla recita generosi applausi. Repliche il 25 agosto, il 2 e il 7 settembre. Foto Ennevi per Fondazione Arena
Renata Scotto (Savona, 24 febbraio 1934 – 16 agosto 2023)
G.Puccini: “Madama Butterfly” – “Tu, tu piccolo Iddio…” -Tosca – “Vissi d’arte…” -Turandot – “Tu che di gel sei cinta”-Gianni Schicchi – “O mio babbino caro…” -“Sole e Amore” – (Romanza)-
Opera in tre atti su libretto di Giuseppe Domenico de Totis. Arianna Vendittelli (Idalma), Anita Rosati (Dorillo), Margherita Maria Sala (Irene), Rupert Charlesworth (Lindoro), Juan Sancho (Celindo), Morgan Pearse (Almiro), Rocco Cavalluzzi (Pantano). Innsbrucker Festwochenorchester, Alessandro De Marchi (direttore). Registrazione: Haus dei Musik Innsbruck, 03-10 agosto 2021. 3 CD CPO 555 501-2
L’edizione 2021 delle Settimane di musica antica di Innsbruck ha posto al centro dell’attenzione la musica vocale di Bernardo Pasquini, compositore toscano di origine – era nato a Massa nel 1637 – ma romano per adozione e cultura. Noto oggi principalmente per le sue composizioni per tastiera Pasquini era al tempo apprezzato in primo luogo per le composizioni vocali con un gran numero di titoli tanto sul versante dell’opera quanto in quello dell’oratorio e della musica sacra.
Pasquini viene inoltre a rappresentare insieme e per certi aspetti ancor più di Stradella (morto nel 1682 mentre Pasquini restò in vita fino al 1710) quell’importante fase di transizione nella storia del melodramma compresa tra la fine della stagione del recitar cantando – di cui Cesti e Cavalli furono gli ultimi diretti interpreti – e le nuove forme dell’opera barocca settecentesca il cui pieno dispiegarsi si può affiancare agli anni romani di Händel. Una stagione molto importante ma ancora poco conosciuta su cui si comincia a far luce.
La commedia in tre atti “Idalma ovvero chi la dura la vince” andata in scena a Roma nel 1680 è significativo esempio di questa stagione pur rimanendo per molti aspetti ancora ancora allo stile secentesco sia sul piano musicale che su quello drammaturgico. L’opera infatti pur potendosi definire formalmente una commedia – del tipo di cappa a spada caro al gusto spagnolo – si presenta come una riuscita fusione di elementi comici e seri, patetici e grotteschi, alti e bassi secondo un gusto della varietas che ancora affonda le sue radici nell’opera di tradizione monteverdiana e in cui non compare ancora quelle più rigida divisione per generi che sarà imperante nel nuovo secolo.
Una concezione simile si ritrova anche sul piano musicale. L’impostazione di fondo appare ancora molto legate ai moduli del recitar cantando pur affermandosi al suo interno un gusto per arie più definite e per un canto maggiormente propenso al virtuosismo. Colpisce in quest’opera una non comune libertà formale, un trapassare ininterrotto delle forme senza nitide ripartizioni. I recitativi si allargano in squarci melodici a volte non privi d’impennate virtuosistiche, le arie si semplificano fino all’arioso e al declamato. Siamo all’antitesi del rigido sistema formale che si affermerà negli anni successivi.
La partitura è documentata in un unico manoscritto conservato presso la Bibliothèque National de France e partendo da questo Alessandro De Marchi ha sviluppato la propria versione da portare in scena. Di fronte a testimonianze di questo tipo due possono essere le linee esecutive una più rigorosa (alla Hickox) che considera quella disponibile come l’unica partitura possibile e la esegue in modo rigoroso attenendosi alla lettera del manoscritto disponibile e quella che ritiene che alcuni elementi – soprattutto quelli relativi all’orchestrazione – potessero adattarsi alle diverse occasioni e considera legittimo poter agire al riguardo. De Marchi opta decisamente per la seconda ipotesi mettendo in campo un organico strumentale particolarmente ricco ripartito in concertino e concerto grosso arricchito da una buona presenza di percussioni. Il risultato può lasciar qualche dubbio sul terreno della correttezza filologica dell’operazione ma imprime al tutto una brillantezza e un passo teatrale molto coinvolgenti.
La compagnia di canto vede il comparto femminile composto da cantanti italiane capace di sfruttare la naturalezza linguistica a scopo espressivo e la parte maschile – con l’esclusione del basso buffo nel ruolo del servo Pantano – straniero cui manca questa naturalezza. Anche sul piano della padronanza stilistica la parte femminile del cast risulta di gran lunga superiore.
Splendida protagonista Arianna Venditelli nel ruolo del titolo. Voce di soprano lirico luminosa ma non priva di corpo e morbidezza che si adatta alla perfezione al tono elegiaco del personaggio, dizione impeccabile, grande facilità nel canto di coloratura. Il risultato è un personaggio perfettamente centrato sia sul piano espressivo che su quello musicale, prestazione culminante nell’esecuzione della grande aria del terzo atto “Chi di tanti miei martiri” uno dei momenti musicalmente più ispirati della partitura resa in modo esemplare.
Pari qualità mostra l’Irene di Margherita Maria Sala voce scura e profonda da autentico contralto ma sempre morbida e controllata, pulitissima nei passaggi di bravura – che non mancano neppure nella sua parte – e sempre intensa sul versante espressivo. Completa il terzetto femminile Anita Rosati soprano leggero brillante e spigliato perfettamente a suo agio nei panni del paggio Dorillo. Tra gli interpreti maschili l’unico che si ponga a pari livello è Rocco Cavalluzzi nei panni del servitore Pantano affrontato con bella voce di basso ma soprattutto con gusto e senso dello stile, riuscendo a tratteggiare alla perfezione un personaggio divertente ma mai eccessivo, portavoce di un buon senso popolare che spesso manca ai personaggi nobili. Semplicemente irresistibile nella canzone napoletana “Belle zite non credite” dove ha la possibilità di far brillare al meglio le sue doti.
Meno convincenti sono invece gli interpreti dei personaggi nobili maschili. Il migliore tra loro ci è parso Juan Sancho come Celindo. Tenore di grazia delicato e leggero – fin troppo per certe frasi di forza soprattutto nel III atto – ma musicale ed elegante con un gusto nel porgere che compensa una certa zuccherosità del timbro.
Rupert Charlesworth (Lindoro) è vocalmente più solido ma il timbro è meno piacevole e la dizione e il fraseggio italiano gli sono sostanzialmente alieni così che il risultato finale risulta essere una prestazione corretta sul piano meramente vocale ma carente di espressività e di vita teatrale. Problema per certi versi opposto per il baritono Morgan Pearse (Almiro) dotato della voce più interessante tra i tre. Purtroppo il suo rapporto con lingua ed emissione italiana è altrettanto problematico di quello di Charlesworth mentre sul versante espressivo la ricerca di una maggior vivacità lo porta spesso ad esagerare un fraseggio che risulta caricato e sopra le righe.
La Liturgia musicale del “Lamento” ha origini antichissime, come si sa dal canto funebre greco (Trenos) al “Planctus” medievale al più recente “Tombeau”, tanto per limitare la casistica a poche espressioni, questo è un genere che si è sviluppato anche in campo liturgico. Anche Bach lo ha accolto nella propria opera, talvolta guidato da specifici riferimenti dei testo. Questo è il caso, ad esempio, che si riscontra in una cantata la numero 46 (Lipsia, 1 agosto 17123), per la decima domenica dopo la Trinità la lettura evangelica prevista per questa domenica è tratta da Luca cap. 19 versetti 4-48 che abbraccia due argomenti: Il pianto su Gerusalemme distrutta e la purificazione del tempio. “Quando fu vicino, alla vista della città pianse su di essa dicendo: «Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi. Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata. Ed entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo loro: «Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri». Ogni giorno insegnava nel tempio. I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popolo; ma non sapevano che cosa fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo. La profezia della distruzione di Gerusalemme, nel 70 D.C, si rifà a quanto era stato predetto nell’Antico Testamento riguardo l’assedio e la distruzione della città da parte dei Babilonesi del 586 A.C. È quindi che l’anonimo autore del testo della Cantata nr.46 “Schauet doch und sehet, ob irgendein Schmerz sei” abbia avviato l’opera con un versetto delle lamentazioni di Geremia:“Guardate dunque se c è un dolore simile al dolore che mi ha colpito. , scritta appunto in occasione della catastrofe del 586. La cantata bachiana ha appunto le caratteristiche di un “Lamento”. Ancora una volta la forma bipartita del coro introduttivo, suggerisce la formula del “Preludio” e “Fuga” con un primo elemento: “Schauet doch und sehet, ob irgendein Schmerz sei wie mein Schmerz, der mich trogen hat. con un tempo “lento” , e un andamento simile a quello di un “Mottetto”, che sarà poi parodiato nel “Qui tollis” della Messa in si minore. Il secondo elemento:”Denn der Herr hat mich voll
Jammers gemacht am Tage seines grimmigen Zorns, si svolge come una “fuga” a cinque voci con un notevole incremento della dinamica. I temi dell “lamento” del peccatore e dell’Ira Divina sono quelli che dominano i primi quattro numeri della Cantata. Si distingue, oltre all’ampio coro iniziale, lo struggente recitativo che segue. Entrambe queste pagine impiegano una coppia di flauti a becco che, nella “fuga” corale realizzano una quinta voce in un abile gioco di integrazione concertante. Le due arie hanno due caratterizzazioni ben distinte. La prima, affidata al basso, con l’utilizzo di una tromba e di un “corno da tirarsi”, esprime, come in un’aria “di furore” operistica (marcato l’uso della coloratura) l’ira divina. Una pagina d’impatto, con un apparato strumentale vistoso, sonorità spesse, nonchè un disegno melodico scultoreo e ben articolato. La seconda aria, cantata dal contralto, al contrario, è un gioiello di eleganza e candore e mostra un altro degli aspetti cari alla sensibilità barocca. Qui, come nel Corale conclusivo, decorato da passaggi intermedi dei 2 flauti. Si tratta di celebrare l’azione di Cristo a salvezza dei giusti. Il testo richiama esplicitamente la graziosa e tenera immagine di Matteo, cap.23 vers.37:“Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figliuoli, come la gallina raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto!” Bach non ha esitato ad ambientare l’aria in un clima agreste, un ritratto d’Arcadia, collocando a sostegno della voce e concertante con essa, la coppia di flauti a becco e un’altra coppia di oboi da caccia, questi però all’unisinono, in veste di sostegno.
Nr.1 – Coro
Guardate dunque se c è un dolore
simile al dolore che mi ha colpito.
Poichè il signore mi ha colmato di sconforto
nel giorno della sua terribile collera.
Nr.2 – Recitativo (Tenore)
Piangi, o distrutta città di Dio,
miserabile ammasso di cenere e pietre.
Lascia scorrere interi torrenti di lacrime,
poichè ti è toccata una perdita irreparabile,
quella della grazia suprema
della quale ti dovrai privare
a causa delle tue colpe.
Tu sei stata trattata come Gomorra,
quantunque non sei stata distrutta completamente,
sarebbe stato meglio che tu lo fossi dalle fondamenta,
piuttosto che dover udire i nemici di Cristo
bestemmiare tra le tue mura.
Tu che non rispetti le lacrime di Gesù,
fai attenzione all ondata di compassione ,
che tu stessa hai attirato su di te,
poichè il Signore, dopo aver mostrato pazienza,
emanerà la sua sentenza.
Nr.3 – Aria (Basso)
La tempesta si annuncia da lontano,
i suoi fulmini appaiono all orizzonte,
e potrebbero colpirti.
Poichè i tanti peccati
accendono lampi di vendetta
e preparano la tua rovina.
Nr.4 – Recitativo (Contralto)
Ma ben potete immaginare , o peccatori,
che la sola Gerusalemme ,
è più colpevole di altri.
Ecco, è gia scritto il giudizio su di voi:
poichè non vi emendate,
e i vostri peccati aumentano ogni giorno,
voi dovrete andare incontro a questa rovina.
Nr.5 – Aria (Contralto)
Purtuttavia, Gesù, vorrà essere
nel giorno del castigo,
lo scudo e il soccorso dei fedeli:
li riunirà come pecore,
come fa la gallina coi pulcini,
e quando i fulmini della vendetta
raggiungeranno i peccatori,
egli si adoprerà per la loro salvezza
Nr.6 – Corale
O gran Dio di fedeltà,
poichè davanti a Te,
nessuno è più grande di tuo figlio Gesù Cristo,
che ha preso su di sè la tua collera,
guarda dunque ai suoi patimenti,ai suoi tormenti,
alla paura e al suo supplizio,
e per amore suo proteggici,
e non farci pagare per i nostri peccati.
Traduzione Vittorio Marnati
Il Festival, che si svolgerà in nell’anno in cui Pesaro sarà Capitale italiana della cultura, proporrà dal 7 al 23 agosto 2024 ben cinque opere per un totale di trenta spettacoli. Inaugurerà il Festival una nuova produzione di Bianca e Falliero, diretta da Roberto Abbado e messa in scena da Jean-Louis Grinda. L’opera mancava al ROF dal lontano 2005. Seguirà un’altra nuova produzione, Ermione, affidata alla bacchetta di Michele Mariotti e alla regia di Johannes Erath. Il titolo non veniva eseguito al Festival dal 2008. Due le riprese: L’equivoco stravagante ideato per il ROF 2019 da Moshe Leiser e Patrice Caurier, diretto da Michele Spotti, e Il barbiere di Siviglia di Pier Luigi Pizzi, creato per il ROF 2018 e stavolta diretto da Lorenzo Passerini. Chiusura con la celebrazione del 40o anniversario della prima esecuzione in tempi moderni del Viaggio a Reims, che sarà presentato in forma di concerto con la direzione di Diego Matheuz.
Una serie di appuntamenti itineranti, di arte e cultura, con un format flessibile: A(r)titude, festival estivo organizzato da ThroughArt, un progetto sociale di Marco Polo Consulting che si propone di accompagnare e aiutare le persone, le organizzazioni e la società a navigare la complessità del mondo di oggi attraverso l’arte, e di far diventare l’arte parte del nostro quotidiano, promuovendo la sensibilità artistica e la ricerca di sé.
Il Festival farà tappa a Saint-Nicolas (Fraz. Fossaz), Sarre, e ancora Saint-Nicolas (Fraz. Vens) tra inizio agosto e inizio settembre e includerà varie forme artistiche, laboratori e mini conferenze. Il tema dell’edizione 2023, in continuità concettuale con gli anni precedenti, sarà il viaggio interiore alla ricerca di sè.
“Il festival vuole essere un incontro tra cielo e terra – spiega Giorgia Madonno, ideatrice, insieme a Roberta Fonsato, della manifestazione – tra leggerezza dell’arte e solidità della montagna. Un momento di riflessione e di raccoglimento che, attraverso l’arte e la natura, ci stimola a fermarci, a sentire, a porci delle domande e a guardarci dentro. Attingendo quest’anno a simbologie senza tempo, come il labirinto e gli archetipi, il tema della ricerca interiore si sviluppa nello spazio di incontro tra diverse forme d’arte: la musica, la poesia, la performance, il teatro d’opera, la scrittura, la fotografia, l’installazione. Il festival propone anche vari laboratori in cui l’arte fa da specchio e da stimolo a un lavoro su di sé e sul proprio sguardo verso il mondo. L’evento MirrorArt offrirà lo spazio e il tempo per condividere emozioni, riflessioni o intuizioni in relazione ad un’opera d’arte, per condividere l’esperienza con altri, generando dialogo e trasformando l’esperienza individuale in collettiva. Il laboratorio di disegno all’aperto stimolerà la capacità di osservare il mondo, senza pregiudizi e connettendosi alle proprie emozioni e sensazioni. Il laboratorio sul paesaggio emotivo aiuterà a migliorare la conoscenza e la gestione della propria emotività attraverso l’arte. Vi saranno poi mini-conferenze sul labirinto nel teatro d’opera, sulle città invisibili di Calvino (di cui si celebra quest’anno il centenario) e sui tarocchi, simboli archetipi che verranno utilizzati per l’esplorazione intuitiva di sé”.
Tanti gli artisti, facilitatori e speaker che partecipano a questa edizione del Festival da varie parti d’Italia e d’Europa: dalla Francia Axel Bernolin, musicista e docente del conservatorio di Annecy, dalla Germania Christian Zimmermann, musicista di liuto rinascimentale e barocco e docente di musica alla scuola municipale di Friburgo, da Milano la fotografa Alessandra Perotta e i suoi colleghi facilitatori di Mirror Art (Elena Stivali ed Edoardo Rossi) e l’editrice Cristina De Piante, dalle Marche la performer Roberta Fonsato, da Torino la docente e scrittrice Paola Biglia e il critico musicale Marco Leo e infine dalla Valle d’Aosta gli artisti visivi Marco Jaccond e Giorgia Madonno.
Estate Teatrale Veronese 2023
“GIULIETTA E ROMEO”
Musica Sergej Prokof’ev
Balletto di Roma
Coreografia, scene e regia Fabrizio Monteverde
Con:Carola Puddu, Paolo Barbonaglia
Costumi Sante Rinciari
Lighting design Emanuele De Maria
Verona, 09 agosto 2023
Il Balletto di Roma che quest’anno celebra i 20 anni di più che onorevole attività in una realtà come quella italiana non attentissima al mondo del balletto. Un ventennio di vita nella danza celebrato con la riproposta di una iconica creazione firmata da Fabrizio Monteverde nel 2007: “Giulietta e Romeo” che dopo le sponde veronesi volerà oltre oceano in una tournée in Cina. Questo adattamento della celebre storia d’amore di Shakespeare visto da Monteverde trasporta gli spettatori in un mondo di passione, dramma dal clima cupo, scevro da ogni bozzettismo, tutto concentrato sulla passione dei due giovani oppressi da un ambiente famigliare, fondamentalmente maschilista, se si eccettua la figura di Donna Montecchi (la sedia a rotella, francamente ci sembra un dettaglio che apporta poco o nulla al personaggio), mafioso e omertoso. Detto ciò l’incontro tra Fabrizio Monteverde e la musica di Sergei Prokofiev punta prima di tutto a evidenziare i toni drammatici della vicenda, dai quali emerge l’unica figura “bianca” impersonata da Giulietta, il personaggio particolarmente illuminato in questa produzione. E comunque tutta la coreografia di Monteverde è di notevole musicalità un grado di trasformare la partitura in movimento. L’interplay tra i due elementi crea una sinergia in cui il linguaggio della danza, tra classico e moderno, si fonde perfettamente con le note musicali, dando vita a uno spettacolo che non manca di punte di grande coinvolgimento, a partire, secondo noi, dai momenti più marcatamente drammatici che, nelle scene di morte, di separazione e dolore, riescono a trasmettere in modo più compiuto il tumulto dell’amore e del conflitto umano. I due protagonisti, Carola Puddu e Paolo Barbonaglia, ma volgiamo anche mettere sullo stesso piano l’intera compagnia del Balletto di Roma rispondono con grande precisione tecnica, omogeneità e partecipazione totale alla narrazione. Questo è giunto al pubblico che ha salutato calorosamente e in modo convinto tutti gli interpreti. Lunga vita al Balletto di Roma!
Regista e scenografo Franco Zeffirelli (di cui quest’anno ricorre il centenario) nel 2004 accettò la doppia sfida di raccontare per la prima volta nella sua lunga carriera la storia di Cio-Cio-San e di farlo nientemeno che sull’immenso palcoscenico areniano, luogo apparentemente antitetico all’intimista vicenda di Butterfly. Il successo fu grande, grazie anche ai costumi del premio Oscar Emi Wada (1937-2021), ai movimenti coreografici di Maria Grazia Garofoli e alla direzione del maestro Daniel Oren. Dopo il successo riscosso alla prima di Tosca, tornano insieme Aleksandra Kurzak come protagonista e il compagno d’arte e di vita Roberto Alagna come Pinkerton. Accanto a lui il 25 sarà Maria José Siri, per la prima volta in Arena in un ruolo che ha affrontato anche nella sua inedita versione originale alla Scala, mentre il 2 e il 7 settembre sarà il soprano lituano Asmik Grigorian, al suo esordio assoluto in Arena. Al loro fianco gli applauditi tenori Angelo Villari (25/8) e Piero Pretti (2 e 7/9) mentre il console Sharpless vedrà per tutte le recite il giovane baritono Gevorg Hakobyan, anch’egli al debutto areniano. Nei ruoli di fianco si segnala la presenza d’eccezione di Elena Zilio come Suzuki per le prime due recite, cui succederà Sofia Koberidze. L’insinuante Goro sarà interpretato dal tenore Matteo Mezzaro, lo zio Bonzo da Gabriele Sagona, il principe Yamadori da Italo Proferisce. La “moglie americana” Kate Pinkerton sarà Clarissa Leonardi (12/8) quindi l’esordiente Marta Pluda (25/8, 2 e 7/9) mentre la cerimonia di nozze vedrà in scena il Commissario imperiale di Gianfranco Montresor, l’Ufficiale del registro di Stefano Rinaldi Miliani e la madre e la cugina di Cio-Cio-San (Federica Spatola e Valeria Saladino). Grazie ai Tecnici areniani e al Ballo coordinato da Gaetano Petrosino, sul palcoscenico rivivrà il “quartiere dei piaceri” di Nagasaki pullulante di vita con la cura al dettaglio di Zeffirelli, che poi sa farsi sguardo intimo per seguire la vicenda di Butterfly fin sulla sua casa in collina, da dove non smetterà di sperare con lo sguardo rivolto “all’estremo confin del mare”. Dopo la prima di sabato 12 agosto, repliche il 25 agosto, 2 e 7 settembre.
La 44esima edizione del Rossini Opera Festival si svolgerà a Pesaro dall’11 al 23 agosto 2023. In programma: tre opere poco frequentate del repertorio rossiniano (Eduardo e Cristina, Adelaide di Borgogna e Aureliano in Palmira), le prime due sono nuove produzioni; due Cantate di rarissima esecuzione (quella, non rossiniana, per Maria Malibran e quella per Pio IX, entrambe mai eseguite al ROF); gli appuntamenti del Festival Giovane, a partire dal Viaggio a Reims; i concerti lirico-sinfonici e belcantistici e la Petite messe solennelle finale.
Ad inaugurare il Festival, venerdì 11 agosto alle 20 alla Vitrifrigo Arena, sarà la nuova produzione di Eduardo e Cristina, ultima opera del Catalogo ufficiale rossiniano non ancora eseguita al Festival, che sarà presentata nella prima esecuzione assoluta dell’edizione critica della Fondazione Rossini, curata da Alice Tavilla e Andrea Malnati.
Jader Bignamini dirigerà l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e il Coro del Teatro Ventidio Basso, mentre la messinscena è interamente affidata a Stefano Poda, al debutto al ROF, che ne cura regia, scene, costumi, luci e coreografie. Nel cast troviamo Enea Scala (Carlo), Anastasia Bartoli (Cristina), Daniela Barcellona (Eduardo), Grigory Shkarupa (Giacomo) e Matteo Roma (Atlei).
La prima sarà trasmessa in diretta su Rai Radio 3 e alle 21.15 da Rai 5.
L’opera, che è un dramma in due atti di T.S.B, è andata in scena per la prima volta il 24 aprile 1819 al Teatro San Benedetto di Venezia. Al Festival la nuova produzione sarà replicata il 14, 17 e 20 agosto.
La seconda opera in programma è Aureliano in Palmira , in scena sabato 12 agosto alle 20 alla Vitrifrigo Arena con George Petrou a dirigere l’Orchestra Sinfonica G. Rossini e il Coro del Teatro della Fortuna nella ripresa dello spettacolo ideato per il ROF 2014 da Mario Martone. La produzione, con le scene di Sergio Tramonti, i costumi di Ursula Patzak e le luci di Pasquale Mari, si è aggiudicata nel 2015 il premio di Best Rediscovered Work agli International Opera Awards. Nella compagine di canto figurano Alexey Tatarintsev (Aureliano), Sara Blanch (Zenobia), Raffaella Lupinacci (Arsace), Marta Pluda (Publia), Sunnyboy Dladla (Oraspe), Davide Giangregorio (Licinio), Alessandro Abis (Gran Sacerdote), Elcin Adil (Un Pastore).
La prima sarà trasmessa in diretta su Rai Radio 3.
Aureliano in Palmira, in scena per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano il 26 dicembre 1813, è un dramma serio per musica in due atti su libretto di Giuseppe Felice Romani. Lo spettacolo sarà riproposto il 15, 18 e 21 agosto.
Ancora alla Vitrifrigo Arena domenica 13 agosto alle 20 debutterà Adelaide di Borgogna, seconda nuova produzione, diretta da Francesco Lanzillotta alla testa dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e del Coro del Teatro Ventidio Basso. La regia è affidata ad Arnaud Bernard, anche lui alla prima regia pesarese, con le scene di Alessandro Camera, i costumi di Maria Carla Ricotti e le luci di Fiammetta Baldiserri. Nel cast figurano Varduhi Abrahamyan (Ottone), Olga Peretyatko (Adelaide), Riccardo Fassi (Berengario), René Barbera (Adelberto), Paola Leoci (Eurice), Valery Makarov (Iroldo) e Antonio Mandrillo (Ernesto).
La prima sarà trasmessa in diretta su Rai Radio 3. L’opera, che andò in scena per la prima volta il 27 dicembre 1817 al Teatro Argentina di Roma, è un dramma in due atti su libretto di Giovanni Federico Schmidt. La produzione sarà riproposta il 16, 19 e 22 agosto.
100° Arena di Verona Opera Festival 2023
Orchestra della Fondazione Arena di Verona
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Soprani Giulia Mazzola, Jessica Pratt, Daria Rybak, Mariangela Sicilia
Tenore Angelo Villari
Baritoni Plácido Domingo, Amartuvshin Enkhbat
Basso Michele Pertusi
Musiche di Ruggero Leoncavallo, Francesco Cilea, Umberto Giordano, Giuseppe Verdi, Vincenzo Bellini, Gaetano Donizetti, Gerónimo Giménez, Leonard Bernstein, Franz Lehár, Giacomo Puccini, Pablo Sorozábal
Verona, 6 agosto 2023
Nel quadro del centesimo festival areniano non si sentiva certo la necessità di un’altra serata omaggio a Plácido Domingo, soprattutto dopo gli esiti a dir poco disastrosi dello scorso anno. Fortunatamente gli interventi dell’ex tenore madrileno si sono limitati al minimo lasciando spazio invece ai colleghi in uno di quegli eventi che guarda poco alla coesione storica e stilistica dei brani mescolando un po’ i generi e che, infine, accontenta i desideri di tutti. La tradizione dell’opera, dunque, ma con escursioni al teatro di Bernstein, al musical, all’operetta viennese e alla zarzuela. Come già detto, la seppur limitata partecipazione di Domingo in quella che era la serata a lui dedicata, non può che confermare le impressioni degli ultimi anni: nel registro baritonale non è affatto convincente con suoni aperti e di punta comunque tenorile, come anche la zona di passaggio. Una prova del tutto incolore, soprattutto nel monologo di Gérard e nei duetti de La forza del destino e de Il trovatore, e che accusa ancora una volta dei vuoti di memoria sebbene il nostro cantasse con l’ausilio dello spartito. Poco meglio sono andate le esecuzioni di Tonight, Dein ist mein ganzes Herz e No puede ser: nemmeno il bis ha particolarmente entusiasmato, con una versione della celebre Granada abbassata copiosamente di tono. La serata è stata risollevata musicalmente, e qui veniamo alla parte lieta, dai colleghi di Domingo a cominciare dal sempre bravissimo Amaturvshin Enkhbat che ha aperto con il Prologo da “Pagliacci” eseguito in mezzo alla platea (trovata non del tutto felice in verità); non possiamo che mettere il sigillo sulla sua prestazione che sfoggia una gran bella pasta vocale unita ad un fraseggio nobile risolto con un poderoso la bemolle sul finale. Non da meno è stato il tenore Angelo Villari (chiamato all’ultimo a sostituire il previsto Yousuf Eyvazov), che ha proseguito nello spartito di Leoncavallo eseguendo il tormentato assolo di Canio in Vesti la giubba con accenti di passione ed intima sofferenza così come richiesto dall’autore e già preconizzato nel Prologo. Una voce di bel colore, ben spiegata anche nel successivo duetto dal quarto atto de La forza del destino (eseguito con Domingo) e in Di quella pira. Mariangela Sicilia, già ascoltata in Carmen, ha cantato Io son l’umile ancella con spiccato senso teatrale unendo ad un bel fraseggio anche una convincente interpretazione scenica mentre Giulia Mazzola ha offerto al pubblico la celebre Quando men’ vo sfrondata di tutti quegli eccessi di civetteria che spesso l’allestimento scenico impone; non basta tuttavia questa breve pagina per poter formulare un giudizio profondo ed obiettivo. La stessa considerazione vale per Daria Rybak impegnata nel duetto Tonight (sempre con Domingo): troppo poco per poter dare un giudizio, soprattutto in un ambito vocale piegato al genere del musical. Michele Pertusi, dopo averci regalato per decenni le sue interpretazioni belcantistiche nel registro del basso rossiniano, da qualche anno ha allargato il repertorio ai ruoli verdiani. Al pubblico areniano ha proposto O tu, Palermo, terra adorata senza risultare tuttavia convincente: tende a gonfiare i suoni spesso snaturandoli e restituendo una voce non del tutto autentica. Ben diverso l’esito nella cavatina Udite, udite o rustici, ben più congeniale alle sue corde e al suo istinto teatrale. Citiamo per ultima, colei che ha infiammato la serata areniana con due autentiche chicche: l’australiana Jessica Pratt, dapprima impegnata con la vocalità belliniana de La sonnambula: l’aria Ah! Non credea mirarti, dove ha sfoderato una linea cantabile di raro ascolto, seguita dalla cabaletta Ah! Non giunge uman pensiero con variazioni pirotecniche nella ripresa, culminate nel fa sopracuto. Un’esecuzione davvero irresistibile e salutata da un consenso unanime di pubblico che ha potuto beneficiare di un secondo intervento del soprano nella difficile Glitter and be gay dalla Candide di Leonard Bernstein: qui la Pratt ha davvero trascinato il pubblico, dapprima divertendolo con le movenze sceniche e il pianto di Cunegonde e poi lanciandosi nelle asperità acute della tessitura e nei ritmi sincopati ed asimmetrici di cui il brano è disseminato. Alla guida dell’orchestra della Fondazione Arena vi era la bacchetta ormai esperta di Francesco Ivan Ciampa che ha assolto al ruolo, non sempre comodo, di sostegno al canto: non solo un puro accompagnare ma anche assecondare le linee vocali, il fraseggio e il respiro dei cantanti; ottima la prova della compagine veronese, soprattutto nel lampo sanguigno del delizioso intermezzo da La Boda de Luis Alonso, una zarzuela di Gerónimo Giménez del 1897. Serata purtroppo disturbata da un vento fastidioso ma salutata da un pubblico festante al quale gli artisti hanno intonato insieme, come bis, l’intramontabile ‘O sole mio, che ormai chiude tutte le manifestazioni di questa portata. Foto Ennevi per Fondazione Arena
Prima della fine del 100° Festival, Fondazione Arena di Verona guarda al suo nuovo secolo di grande musica e spettacolo presentendo le stagioni dei prossimi due anni. Il 2024 coincide con importanti anniversari, non solo per la storia areniana: il primo è il centenario dalla scomparsa di Giacomo Puccini, con lieve anticipo rispetto alla ricorrenza esatta, Fondazione Arena inaugura il 101° Festival sabato 8 giugno con Turandot,omaggiando Puccini col suo titolo più spettacolare e fiabesco nell’allestimento di Franco Zeffirelli. A Puccini sarà dedicata anche la ripresa di Tosca, che vedrà protagonista Anna Netrebko ed unnuovo progetto speciale che vedrà per due date La Bohème con un cast d’eccezione in questo amatissimo titolo a quattordici anni dalla sua ultima apparizione in Anfiteatro. Confermandosi il teatro di repertorio più grande e popolare del mondo, Fondazione Arena proporrà anche le più recenti produzioni de Il Barbiere di Siviglia e Carmen e naturalmente Aida. L’opera regina dell’Arena sarà visibile in due diversi allestimenti: le prime 10 recite vedranno il ritorno della produzione del 100° Festival firmata da Stefano Poda; a 111 anni esatti dalla prima Aida in Arena (10 agosto 1913), dal 10 agosto per cinque rappresentazioni torna il classico allestimento rievocativo del 1913 curato dallo scomparso maestro Gianfranco de Bosio, fondamentale uomo di teatro e due volte sovrintendente dell’Arena, nel centenario della sua nascita.
Il 101° Festival 2024 si completa con 5 serate-evento: torna la grande danza di Roberto Bolle and friends in doppia data, 23 e 24 luglio, l’11agosto i complessi areniani saranno protagonisti nella serata evento dove risuonerà la Nona sinfonia di Beethoven, il 21 agosto torna Plácido Domingo in una serata dalle atmosfere spagnole insieme a numerose stelle dell’opera, mentre l’1 settembre avrà luogo il secondo appuntamento lirico-sinfonico con gli avvincenti Carmina Burana di Orff.
Tra le novità più importanti del 101° Festival 2024 si segnala la variazione degli orari d’inizio spettacolo, posticipati di 15 minuti rispetto agli attuali: le rappresentazioni di giugno inizieranno alle 21:30, a luglio alle 21:15 e in agosto e settembre alle 21.00. Sono invece confermati anche per l’anno prossimo i biglietti alle stesse tariffe del 2023, in vendita indicativamente dal 28 agosto su arena.it, e su Ticketone, gestore della biglietteria con Unicredit, major partner di Fondazione Arena.
Per la prima volta con due anni di anticipo, Fondazione Arena presenta anche il programma del 102° Festival: 47 serate dal 13 giugno al 6 settembre 2025. Torneranno in scena la più recente Aida, Carmen secondo Franco Zeffirelli, l’elegante produzione 2011 de La Traviata di De Ana, Rigoletto e i Carmina Burana. È confermato il doppio appuntamento con Roberto Bolle and Friends oltre ad uno speciale gala operistico. Fulcro della stagione sarà un nuovo importante allestimento di Nabucco, cui è affidata l’apertura del Festival 2025 in doppia serata.
Georg Philipp Telemann (1681–1767):Overture TWV 55:G1 in sol maggiore; Overture à 6 TWV 55:B13 in si bemolle maggiore; Overture TWV 55:G5 in sol maggiore. L’Orfeo Barockorchester. Carin van Heerden (Oboe e flauto dolce). Philipp Wagner (Oboe)
Makiko Kurabayashi (Fagotto) Julia Huber-Warzecha e Sabine Reiter (Violini I). Simone Trefflinger e Nina Pohn (Violini II). Lukas Schurig-Breuß e Daniela Henzinger (Viola). Anja Enderle (Violoncello). Maria Vahervuo (Violone). Hubert Hoffmann (Liuto),Anne Marie Dragosits (Clavicembalo). Registrazione: 6-8 febbraio 2020 presso la Barocksaal des Schlossmuseum di Linz. T. Time 66′ 11″. 1 CD CPO LC8492
Definito il “Lully tedesco” per la sua particolare predisposizione nei confronti della musica francese, Georg Philipp Telemann coltivò il genere delle ouverture francesi per tutta la sua vita dal 1705 al 1766, un anno prima della morte. Del suo vasto repertorio le ouverture TWV 55:G1 in sol maggiore, TWV 55:B13 in si bemolle maggiore e TWV 55:G5 in sol maggiore costituiscono il programma di una pregevole proposta discografica dell’etichetta CPO nella quale esse sono presentate in prima registrazione mondiale. Come la maggior parte della produzione di Telemann in questo genere, è difficile stabilire con precisione la data di composizione di questi lavori eccezion fatta per l’Overture TWV 55:G5 che, essendo testimoniata da un manoscritto conservato presso la Landesbibliothek Wiesbaden di Darmstad e risalente al periodo che va dal 1712 al 1716, è stata molto probabilmente composta da Telemann nel periodo da lui trascorso a Eisenach (1708-1712) o nei primi anni del suo soggiorno a Francoforte. Al di là delle difficoltà di dare a questi lavori una precisa collocazione temporale, va qui rilevata la ricchezza stilistica delle presenti Ouverure che si traduce in pagine fortemente contrastanti che vanno dallo sfarzo solenne delle ouverture iniziali ai movimenti lenti solcati da linee melodiche di rara bellezza e di carattere intimistico, come per esempio l’Affettuoso della Seconda suite in ascolto.
Di altissimo profilo anche l’esecuzione da parte dell’ensemble L’Orfeo Barockorchester, formata da Carin van Heerden (Oboe e flauto dolce), Philipp Wagner (Oboe), Makiko Kurabayashi (Fagotto), Julia Huber-Warzecha, Sabine Reiter (Violini I), Simone Trefflinger, Nina Pohn (Violini II), Lukas Schurig-Breuß, Daniela Henzinger (Viola), Anja Enderle (Violoncello), Maria Vahervuo (Violone), Hubert Hoffmann (Liuto) e Anne Marie Dragosits (Clavicembalo). Gli artisti, oltre ad accostarsi a queste pagine con grande senso dello stile, interpretano con espressione il lirismo dei brani lenti senza mai indugiare a romanticismi, ma sempre perfettamente in sintonia con la prassi esecutiva dell’epoca.
Bayreuther Festspiele 2023, Festspielhaus
“GÖTTERDÄMMERUNG
Terza giornata in tre atti.
Libretto e musica di Richard Wagner
Siegfried ANDREAS SCHAGER
Gunther MICHAEL KUPFER-RADECKY
Alberich OLAFUR SIGURDARSON
Hagen MIKA KARES
Brünnhilde CATHERINE FOSTER
Gutrune AILE ASSZONYI
Waltraute CHRISTA MAYER
Prima Norna OKKA VON DER DAMERAU
Seconda Norna CLAIRE BARNETT-JONES
Terza Norna KELLY GOD
Woglinde EVELIN NOVAK
Wellgunde STEPHANIE HOUTZEEL
Flosshilde SIMONE SCHRÖDER
Orchestra e Coro del Bayreuther Festspiele
Direttore Pietari Inkinen
Maestro del Coro Eberhard Friedrich
Regia Valentin Schwarz
Scene Andrea Cozzi
Costumi Andy Besuch
Drammaturgia Konrad Kuhn
Luci Reinhard Traub riprese da Ncol Hungsberg
Video Luis August Kraken
Bayreuth, 31 luglio 2023.
Se vogliamo trovare qualcosa di positivo in questa produzione del Ring firmata da Valentin Schwarz è l’aver portato il pubblico a delle scelte senza appello: o accetti o fino a che punto ignori il testo originale, i personaggi e le indicazioni di scena e accetti l’introduzione di personaggi e situazioni estranei in nome di ” licenza poetica. Dai commenti scambiati durante i lunghi intervalli dalla bordata di fischi che hanno accolto il regista e il suo team alla fine ci è parso chiaro che il limite di accettazione era stato superato. Ci è parso chiaro il fatto che Schwartz abbia calpestato la fitta e complessa rete di musica e testo, selezionato ciò che gli serviva e manipolato con autoindulgenza, sostituendo l’inclinazione sull’universalità e l’atemporalità originale di Wagner. L’originale drammaturgia wagnerina contiene già profonde riflessioni e presenta le lotte e i paradossi della condizione umana e il simbolismo usato ha lo scopo di rappresentarli. Le grandi questioni legate all’ordine oggettivo del diritto, della fede e della fiducia, la natura dell’amore, la lotta tra amore e potere, libertà e obbligo, verità e menzogna, senza dimenticare i complicati rapporti familiari, non solo sono tutte contenute ma sono scrutati da diversi punti di vista, da diverse prospettive legate a diversi personaggi e situazioni. Abbiamo già in precedenza fatto cenno che alcune idee di Schwarz erano comunque interessanti e plausibili: la breve apparizione trionfale di Freia nella scena finale di Walküre, ovviamente non contemplata nell’originale, ma qui la si è collegata a ciò che era accaduto in precedenza. O ancora La scena delle tre Norne rappresentata come un incubo della figlia di Siegfried e Brünnhilde (new entry) si inserisce nel contesto. La scena è stata ulteriormente esaltata dal canto squisitamente luminoso ed espressivo di tutte e tre le Norne, ciascuna che scivola magistralmente, senza soluzione di continuità nella linea vocale dell’altra: Okka con der Damerau, Claire Barnet-Jones e Kelly God. La partenza di Siegfried invece a causa di una crisi coniugale ha stravolto il testo. Semplice provocazione?
L’arrivo della sorella di Brunnhilde, Waltraute, cantato con passione e grinta da Christa Mayer, è stato uno dei pochi momenti drammatici. L’intensità delle sue suppliche e l’altrettanto fermo rifiuto di Brunilde hanno dato la piena misura dell’amore e del sacrificio di Brunilde e della non negoziabilità dell’anello. Alla Corte dei Ghibecunghi, invece, il tradimento di Siegfried, sedotto da un Gunther vanitoso, petulante e rozzo e da una Gutrune vanitosa, volgare e sbadata. Sia la Gutrune di Aile Asszonyi che Michael Kulfer-Radecky nei panni di Gunther hanno avuto l’ingrato compito di dover interpretare questi personaggi superficiali sia fisicamente che vocalmente. Ci sono riusciti con convinzione. Mika Kares (Hagen) ha dominato la serata con un’esibizione avvincente e imponente. Il suo personaggio ha rappresentato in modo completo e coerente il tema del risentimento e, in questo caso, Schwarz non ha infierito. Kares ha dalla sua una grande sicurezza scenica e vocale, con un atteggiamento tranquillo e meditabondo nella linea vocale, così come nell’azione che però faceva emergere un sottofondo minaccioso e teso, senza mai scivolare in inutili truculenze. Un colore vocale brunito, personale e immediatamente riconoscibile, unito a una presenza scenica veramente carismatica, anche quando semplicemente in agguato sullo sfondo. Olafur Sigurdarson ha dato un’altra bella interpretazione di Alberich, perfettamente calibrato nella sua scena con Hagen.
Andreas Schafer ci mostra qui un Siegfried più oscuro e maturo rispetto al Siegfried, ma che fa ancora emergere la parte più esuberante. Una voce d’acciaio quella di Schafer, che non ha mostrato segni di stanchezza (tenendo presente che in tre sere consecutive ha cantato Siegfried, Parsifal e Götterdämmerung) ma che ha saputo mettere in luce un’ampia gamma di colori, in una linea di canto sempre dinamica, concentrata e vibrante. La Brunnhilde di Catherine Foster meritava una migliore valorizzazione registica che non ha fornito alcun supporto per mostrare una vera realizzazione del personaggio. La Foster in ogni caso è riuscita a fare emergere il suo cantosuperbamente uniforme, ricco e brillante. sempre in perfetto equilibrio con l’orchestra. Come nel Rheingold, Evelin Novak (Woglinde), Stephanie Houtzeel (Weelgunde) e Simon Schröder (Flosshilde) sono state tre magnifiche Figlie del Reno, mentre si dimenavano sul fondo della piscina asciutta. Qui abbiamo la personificazione del cavallo Grane, impersonato da Igor Schwab (servitore/guardia del corpo), una presenza a suo modo intrigante. Il coro, preparato da Eberhard Friedrich, era semplicemente perfetto. Vestiti con mantelli neri, con in mano una maschera rossa, evocavano un mondo di tragedia greca. La dizione perfetta, il fraseggio pulito sempre con una emissione piena e omogenea. L’orchestra ha suonato al solito a un livello altissimo, nei numeri puramente orchestrali si è elevata, librata, come se fosse stata liberata. La straordinaria acustica del teateatro continua ad essere fonte di meraviglia per l’incredibile equilibrio e pienezza che orchestra e palcoscenico riescono a produrre. Pietari Iniken ha guidato l’orchestra in una resa musicalmente accurata e fluida. I costumi di Andy Besuch di volta in volta efficaci, ironici, divertenti, sgargianti, hanno dato un’inconfondibile rappresentazione visiva di ogni personaggio così come immaginato dal regista. Lo stesso si può dire dell’impianto scenografico firmato da Andrea Cozzi con l’assistenza tecnica di Stephan Mannteuffel, quanto mai brillante nel creare i vari ambienti voluti dal regista. Gli interni erano coerenti e pertinenti e gli effetti scenici erano a loro modo suggestivi. Un impianto scenico efficace, silenzioso e veloce, coincidendo perfettamente con i passaggi orchestrali. Nell’ultimo atto, se l’obiettivo era la bruttezza, la desolazione e la disperazione della piscina abbandonata, lo scopo è stato raggiunto.
Il progetto luci originale di Reinhard Traub conla ripresa di Nicol Hungsberg ha svolto un ruolo significativo nel creare le atmosfere modo discreto in generale, ma anche di irrompere in primo piano per evidenziare i momenti forti con una luminosità penetrante. I video di Luis August Kraken hanno aperto e chiuso questo Ring.
Alla fine il pubblico ha salutato con applausi tutti i componenti del cast, il direttore d’orchestra e i musicisti, riservando sonore contestazioni all’apparire alla ribalta del team tecnico. Anche in questa ripresa questa produzione del Ring non viene “digerita” dal pubblico di Bayreuth.
English version
One positive outcome from Valentin Schwarz’s production of The Ring in Bayreuth is that every member of the audience is obliged to decide up to what point disregard for the original text, characters and stage directions and the introduction of extraneous characters and situations in the name of “poetic license” is acceptable. From the comments exchanged during the hour long intervals and the boos at the curtain call for the production team at Götterdämmerung on the last night, it was apparent that this production had overstepped the mark. The impression is that Schwartz has ridden roughshod over the dense and complex web of music and text, selected what serves him, and self-indulgently manipulated it into something of his own, substituting his own slant over the universality and timelessness of Wagner’s original intention. The original work already contains profound reflections and representations of the struggles and paradoxes of the human condition and the symbols utilized are meant to represent them. The big questions tied to the objective order of law and the inner order of faith and trust, the nature of love, struggle between love and power, freedom and obligation, truth and falsehood, and not forgetting complicated family relationships, are not only all contained therein but are scrutinized from different viewpoints, from different perspectives tied to different characters and situations. Some novel ideas were however interesting and plausible. Freia’s short-lived triumphal appearance in the closing scene of Walküre was of course not contemplated in the original but tied in with what had gone before. The three Norns scene represented as a nightmare of Siegfried and Brünnhilde’s daughter(a new entry) fitted into the context. The scene was further enhanced by the exquisitely luminous and expressive singing of all three Norns, each one gliding seamlessly into the vocal line of the other; Okka con der Damerau, Claire Barnet-Jones and Kelly God respectively. Siegfried’s departure on the other hand due to a marital crisis made nonsense of the text;or was it meant to be ironic? The arrival of Brunnhilde’s sister Waltraute sung with passion and drive by Christa Mayer was one of the few dramatic high points. The intensity of her pleas and Brunnhilde’s equally firm refusal gave the full measure of Brunnhilde’s love and sacrifice and the non negotiability of the ring. On the other hand in the Gibichungs Hall, Siegfried’s betrayal was all the more ignominious for having been seduced by such a vain, petulant and loutish Gunther and a vain, vulgar and scatterbrained Gutrune. Both Aile Asszonyi’s Gutrune and Michael Kulfer-Radecky as Gunther were given the ungrateful task of having to portray these shallow characters both physically and vocally. They succeeded with abandon. Mika Kares as Hagen dominated the evening with an arresting and commanding performance. His character fully and consistently represented the theme of resentment and here acknowledgement also goes to Schwarz. But the bottom line is that the vehicle for this success was Kares’ own ability in vocal portrayal and stagecraft. Even the leisurely ease with which he sings projects a quiet and brooding attitude in voice and demeanour, maintaining a threatening and tight undercurrent without ever needing to give full vent to his vocal powers. His burnished colour is distinct and instantly recognizable. He carried the tension through, from scene to scene and dominated the stage with mastery even when lurking in the background. Olafur Sigurdarson gave yet another fine performance as Alberich, perfectly calibred in his scene with Hagen. Andreas Schafer as Siegfried portrayed a darker and more mature character at the beginning of the opera before letting loose with a more ebullient characterization after his arrival at the Hall of the Gibichungs. Incredibly his voice gave no sign of tiredness even though in three consecutive evenings he had sung Siegfried, Parsifal and Siegfried again. In fact, his Siegfried was notable for his range of tone colour supported by his focused and vibrant dynamics. Catherine Foster as Brunnhilde deserved more from the staging, which petered out in a desolate desertification at the bottom of a swimming pool. The staging gave no support for displaying all the qualities she possesses and which she unleashes as she heads for the denouement of the Immolation. In any case she managed to pour out her superbly even, rich and resonant sound in perfect balance with the orchestra. The Rhinemaidens, Evelin Novak, Stephanie Houtzeel and Simon Schröder as Woglinde, Wellgunde and Floßhilde respectively, sang as beautifully as they had in Das Rheingold while thrashing about in the bottom of the dry pool. Left high and dry they exited down the drain. Igor Schwab in the silent role of Grane, manservant/bodyguard, conveyed his intriguing part convincingly. The chorus, prepared by Eberhard Friedrich, was immaculate. They resembled an Ancient Greek chorus, robed in black cloaks with hand held red masks. Their diction was perfect, their phrasing clean and their sound focused, strong, full and homogeneous. The orchestra played at their usual high standard and in the orchestral interludes surged, as if liberated. The acoustics of the unique pit continue to be a source of wonder for the amazing balance and fullness that both orchestra and stage manage to produce. Pietari Iniken led the orchestra in a musically accurate and flowing rendition. The costumes of Andy Besuch reflected the staging. In turn, smart, ironic, facetious, gaudy, his costumes gave an unmistakable visual depiction of each character as envisioned by the director. The stage design by Andrea Cozzi with the technical assistance of Stephan Mannteuffel was interesting for the repurposing of Hunding’s house to Mime’s, the tawdry beauty clinic waiting room, and for creating the different recognizable areas associated to the Valhalla “Villa”, locations for the scenes concerning Wotan’s extended family. Fafner’s luxury pad emulates the same style, resourcefully accomodating different independent areas for the interconnecting scenes. The interiors were consistent and pertinent and the stage effects (billowing curtains) were suggestive. The stage machinery was effective, silent and quick, coinciding perfectly with the orchestral interludes. In the last act, if ugliness,desolation and despair of the abandoned swimming pool was the aim then it was an unqualified success. The original lighting design by Reinhard Traub with the revival by Nicol Hungsberg played a significant role in setting the atmosphere unobtrusively in general but bursting into the foreground to highlight forceful moments with seering brightness. The videos by Luis August Kraken opened and closed the staging. Thunderous applause for the cast, conductor and musicians, but the persistent booing of the production team’s curtain call testifies to the fact that this Ring production is still controversial. Photo Enrico Nawrath
Teatro dell’Opera di Roma stagione 2022/2023, Terme di Caracalla
“RIGOLETTO”
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave
dal dramma Le Roi s’amuse di Victor Hugo
Musica di Giuseppe Verdi
Il Duca di Mantova FRANCESCO DEMURO
Rigoletto ROBERTO FRONTALI
Gilda ZUZANA MARKOVA’
Sparafucile RICCARDO ZANELLATO
Maddalena MARTINA BELLI
Giovanna IRIDA DRAGOTI
Il Conte di Monterone DARIO RUSSO
Marullo ALESSIO VERNA
Matteo Borsa PIETRO PICONE
Il Conte di Ceprano ROBERTO ACCURSO
La Contessa di Ceprano MICHELA NARDELLA
Usciere di Corte MASSIMO DI STEFANO
Paggio della Duchessa CAROLINA VARELA
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del coro Ciro Visco
Regia Damiano Michieletto
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Movimenti coreografici Chiara Vecchi
Luci Alessandro Carletti
Regia camera live Filippo Rossi
Allestimento del Teatro dell’Opera di Roma
Roma, 03 agosto 2023
Il secondo titolo operistico messo in scena per la stagione estiva alle Terme di Caracalla è la ripresa del Rigoletto allestito al Circo Massimo in tempo di Covid nel 2020 che all’epoca rappresentò un importante segnale di ottimismo in un momento generale di crisi, smarrimento e incognita per il futuro. Lo spettacolo allora concepito per un palcoscenico più grande e soprattutto con le esigenze di distanziamento ed isolamento dettate dalla pandemia, sostanzialmente non soffre per la riduzione in uno spazio più ristretto.Damiano Michieletto ambienta la vicenda dell’opera in un immaginario mondo della malavita, una sorta di parcheggio di periferia con una grande giostra, varie automobili e una roulotte parcheggiate, nel quale ovviamente le spade e gli acciari del testo sono sostituite da fucili e pistole messe anche in mano a Gilda, le donne sono tutte prostitute e i costumi non consentono alcuna possibilità di identificazione dei personaggi, neppure dei protagonisti e nessuna diversificazione sociale. Particolarmente disturbante per l’ascolto della musica ma anche per la fruizione della parte visiva è parsa la scelta di collocare un enorme schermo sul fondo del palcoscenico nel quale vengono proiettate in diretta le immagini di scena riprese da due cameramen in continua azione sul palco per mostrare primi piani dei cantanti, particolari che dalla platea non si sarebbero mai potuti cogliere ed altri aspetti televisivi intervallati a immagini di ricordi e proiezioni di pensieri del protagonista realizzati con una brutta veste grafica che richiama quelle gigantografie un po’ sgranate che si acquistano nei centri commerciali e che è possibile ammirare in certe sale d’aspetto o in capo al letto di camere d’albergo di infimo ordine in luogo del crocefisso ormai bandito in nome del politically correct. Inoltre tecnicamente vi è qui e là una sfasatura di sincronia tra lo schermo e la scena e, calamitati dalle grandi immagini proiettate, si è portati istintivamente più a guardare in alto che in basso con la sensazione alla fine che vedere lo spettacolo dalla platea o da casa in televisione non faccia poi una così grande differenza. L’idea è probabilmente quella di creare due piani uno dell’azione e l’altro della psiche di Rigoletto. Ma se a questo aggiungiamo anche le proiezioni del libretto in italiano e in inglese ai lati del palcoscenico perché ormai il libretto anche di un’opera così popolare purtroppo non lo conosce quasi più nessuno, crediamo che vi sia un eccesso di informazioni da decodificare che rende complessa la fruizione dello spettacolo e con essa difficile la possibilità di abbandonarsi all’ascolto ed al fluire delle emozioni. Infine la cupezza del costante nero notturno rende un po’ troppo uniforme la tinta dell’allestimento. Partendo da questa premessa e con la ennesima conferma che il messaggio espressivo è totalmente e prepotentemente delegato all’immagine ed all’aspetto visivo e non alla musica o alla parola, lo spettacolo indipendentemente da questioni di gusto personale funziona ed è capace di emozionare grazie anche al collaudato e non comune mestiere dei protagonisti. Il maestro Riccardo Frizza dirige l’orchestra dell’Opera con un particolare nitore nella concertazione e ampia varietà nella scelta dei colori e delle dinamiche. Davvero notevole e apprezzabile è stata la sua abilità nel sostenere le linee di canto senza ma coprire le voci e nel rivelare il senso della scrittura verdiana. Anche in questa occasione si è scelta la versione critica della University of Chicago del 1983, per cui niente brutti ed esecrati acuti e sovracuti di tradizione, puntature, cadenze, corone e quant’altro salvo un paio di eccezioni dettate forse dall’estemporaneità. Nel terzo atto infine, a rinforzo del trash e della volgarità dell’allestimento, caso mai ve ne fosse bisogno, il duca dice “una stanza e tua sorella” in luogo di “una stanza e del vino” con l’impressione di trovarci innanzi alla stessa compiaciuta provocatorietà di un adolescente alle prese con le prime parolacce. Ottima la prova del coro diretto dal maestro Ciro Visco che nonostante le difficoltà del cantare all’aperto ha mostrato una compattezza timbrica ed una precisione musicale degne di una sala di incisione.Nel ruolo eponimo il baritono Roberto Frontali conferma ancora una volta la sua ottima conoscenza della parte e le sue straordinarie doti di attore con i limiti già rilevati nell’ampiezza del registro acuto che però non inficiano una più che buona interpretazione complessiva, favorita vocalmente dalla scelta dell’edizione critica. Nei panni del Duca di Mantova il tenore Francesco Demuro è subentrato in extremis a sostituire il collega titolare improvvisamente indisposto andando in scena senza prove. Certamente in parte aiutato dalla concezione di questo spettacolo costruito più sulla visione di insieme del regista che non su uno specifico lavoro sui singoli personaggi ma, va detto a suo onore, soprattutto grazie ad un mestiere palesemente raffinato e sicuro ben si è inserito nel contesto offrendo un ritratto del Duca scenicamente e soprattutto vocalmente convincente, regalando al pubblico una bella puntatura alla fine della cabaletta e cantando una “donna e mobile” di non comune ascolto.Francamente antipatica e per nulla avvantaggiata dai primi piani della regia, la Gilda di Zuzana Markovà sia pur cantanta con sostanziale correttezza. Riccardo Zanellato ripete con successo il suo già molto apprezzato Sparafucile cantanto con un bel legato, voce sonora anche nel piano esibito nel duetto e nel bel registro grave. Molto brava scenicamente e vocalmente la Maddalena impersonata da Martina Belli e ottimo il Marullo di Alessio Verna anche per una non comune capacità di reggere i primi piani sul grande schermo imposti dalla regia. Autorevole sul piano scenico e soprattutto vocale il Monterone affidato al basso Dario Russo. Tutti su un piano di più che buona professionalità sono apparsi gli altri numerosi interpreti. Alla fine lunghi e meritati applausi per una esecuzione con diversi aspetti di interesse soprattutto sul piano musicale. Foto Fabrizio Sansoni
Sono tre le Cantate per la Nona Domenica dopo la Trinità, ma il loro legame con le letture Evangeliche è alquanto flebile. Il tema trattato viene dal Vangelo di Luca (cap.XVI, vers.1-9) e parla del fattore infedele, ma i testi delle Cantate in questione, che sono la nr.105, 94 e 168, escludono quasi del tutto i riferifementi a quella parabola, per puntare più direttamente ai contenuti della preghiera e all’ammonimento che scaturiscono da quella lettura. Racconta il testo di Luca:“Gesù diceva ancora ai suoi discepoli: V’era un uomo ricco che avea un fattore, il quale fu accusato dinanzi a lui di dissipare i suoi beni. Ed egli lo chiamò e gli disse: Che cos’è questo che odo di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché tu non puoi più esser mio fattore. E il fattore disse fra sé: Che farò io, dacché il padrone mi toglie l’amministrazione? A zappare non son buono; a mendicare mi vergogno. So bene quel che farò, affinché, quando dovrò lasciare l’amministrazione, ci sia chi mi riceva in casa sua. Chiamati quindi a sé ad uno ad uno i debitori del suo padrone, disse al primo: Quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento bati d’olio. Egli disse: Prendi la tua scritta, siedi, e scrivi presto: Cinquanta. Poi disse ad un altro: E tu, quanto devi? Quello rispose: Cento cori di grano. Egli disse: Prendi la tua scritta, e scrivi: Ottanta. E il padrone lodò il fattore infedele perché aveva operato con avvedutezza; poiché i figliuoli di questo secolo, nelle relazioni con que’ della loro generazione, sono più accorti de’ figliuoli della luce. Ed io vi dico: Fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste; affinché, quand’esse verranno meno, quelli vi ricevano ne’ tabernacoli eterni.” Il significato della Parabola, come si sa, è fra i più reconditi e misteriosi del Nuovo Testamento. ed è forse per questo motivo che i testi delle Cantate Bachiane relative, lo sfiorano appena, senza indagarne la natura interna. È indubbio, tuttavia, che il passo di Luca voglia invitare i fedeli ad usare dei beni terreni con saggezza e prudenza. Su questa analogia è impostata la prima Cantata Bachiana “Herr, gehe nicht ins Gericht mit deinem Knecht” (Signore, non chiamare in giudizio il tuo servo) BWV 105 eseguita a Lipsia il 25 luglio 1723, che individua due distinte situazioni: una di supplica e coscienza delle proprie colpe, l’altra di fiducia e determinazione nel volere salvaguardare i tesori della Fede. L’apertura è nello stile di un “Preludio e fuga”, peraltro già applicato in altre Cantate contemporanee, per diversamente sottolineare i due emistichi del versetto biblico nr.2 tratto dal Salmo 142: “Signore, non chiamare in giudizio il tuo servo. Nessun vivente davanti a te è giusto”.
Il secondo elemento è un solido episodio inquadrato fra 2 momenti strumentali e costituito da 3 interventi corali, a loro volta separati da brevi passaggi strumentali. Il periodo musicale della prima parte del versetto (Signore, non chiamare in giudizio il tuo servo) risulta spezzato da “sincopi” e da “pause”, dopo la parola “Herr”, diversamente distribuite alle voci. Al contrario, l’altro emistichio: “Nessun vivente davanti a te è giusto”, si presenta come una fuga grandiosa e compatta, in tempo “allegro” seguendo il tema della fuga di permutazione, già praticato negli anni giovanili con una forma che viene proposta 10 volte. Di gusto moderno sono le due arie la prima delle quali, per Soprano con un oboe solista è priva drl Basso continuo e reca una semplice struttura armonica di sostegno realizzata da due violini e da una viole, mentre soprano e oboe, si integrano o si alternano, spesso in figure canoniche, a proporre il discorso melodico punto. Con il nr. 4, un bel recitativo affidato al basso, l’atmosfera muta e conduce, in progressione, alla formazione del concetto teologico che sta alla base di tutto il movimento luterano: la giustificazione attraverso la fede. L’aria per tenore (Nr.5 )richiamo un versetto di Luca, il nr.13 del capitolo 16, non compreso nella lettura del giorno :”Voi non potete servire a Dio e Mammona” che l’anonimo poeta, parafrasa in “Se Gesù diventa mio amico
Mammona non conta nulla per me. Non trovo nessun piacere
in questo mondo di vanità e beni terreni.” La vanità, la mondanità, sono fatti così concreti, elementi del vivere quotidiano che Bach per dar loro la massima evidenza, non esita ad usare la sconcertante arma di un movimento di danza: Il brano che è qualificata come “aria con corno in unsino” affida al primo violino una funzione preminente, che consiste nel variare melismaticamente l’assetto melodico., una cadenza finale prima della ripresa del “da capo” ferma il corso dell’aria interrompendo per un istante, con una splendida effetto, il “galante” incidere ritmico della pagina messaggera di fiducia e di gioia. Il Corale che chiude la cantata è eccezionalmente rivestito da un apparato strumentale complementare, la dire ora la melodia viene armonizzata nel consueto stile a quattro parti, ma agli archi, come già avvenuto nell’aria nr.3 viene affidata una funzione di fondo armonico “prospettico”, a note ribattute ed in valori di tempo alternativamente segnate in 4/4 in 12/8 e poi progressivamente allargati come Sebach avesse inteso trasfigurare il versetto finale:“nessuno sarà perduto, ma anzi vivrà per sempre se avrà abbastanza fede.
Nr.1 – Coro
Signore, non chiamare in giudizio il tuo servo.
Nessun vivente davanti a te è giusto.
Nr.2 – Recitativo (Contralto)
Mio Dio, non respingermi
dalla tua presenza, mentre sono umilmente
inchinato al tuo cospetto. 1
So quanto grande è la tua rabbia ed il mio misfatto,
e che tu sei allo tempo stesso pronto testimone
e giusto giudice.
Faccio davanti a te una confessione sincera
e non voglio mettermi in pericolo
negando e nascondendo
i peccati della mia anima!
Nr.3 – Aria (Soprano)
Quanto sono incerti e agitati
i ragionamenti dei peccatori,
che si accusano tra di essi
e poi di nuovo cercano di difendersi.
Infatti una coscienza inquieta
è lacerata dai suoi stessi tormenti.
Nr.4 – Recitativo (Basso)
Beato colui che conosce il garante
che condona tutte le sue colpe,
così il documento del nostro debito è stato annullato
quando Gesù l’ha marchiato con il suo sangue.
Lui stesso l’ha inchiodato alla croce, 3
e dei tuoi beni, del tuo corpo e della tua vita,
quando suonerà l’ultima ora,
lui stesso renderà conto al Padre.
Anche se il tuo corpo, destinato alla tomba,
sarà coperto di terra e polvere,
il tuo Salvatore ti accoglierà nelle dimore eterne.
Nr.5 – Aria (Tenore)
Se Gesù diventa mio amico
Mammona non conta nulla per me.
Non trovo nessun piacere
in questo mondo di vanità e beni terreni.
Nr.6 – Corale
Ora, lo so, calmerai
la mia coscienza tormentata.
La tua fedeltà compirà
ciò che tu stesso mi hai detto:
su questa vasta terra
nessuno sarà perduto,
ma anzi vivrà per sempre
se avrà abbastanza fede.
Traduzione Eamnuele Antonacci
Un successo senza tempo, esattamente come la tragedia dei due innamorati di Verona. Il Balletto di Roma celebra i 20 anni di ‘Giulietta e Romeo’ sul palcoscenico del Teatro Romano, portando nella città dell’amore uno degli spettacoli più amati di sempre, liberamente ispirato all’opera di William Shakespeare. Martedì 8 e mercoledì 9 agosto, appuntamento con la grande danza prima della pausa di Ferragosto. L’Estate Teatrale Veronese porta a Verona due grandi artisti: Carola Puddu e Paolo Barbonaglia, protagonisti in scena. L’opera firmata dal coreografo e regista Fabrizio Monteverde – che ha debuttato al Teatro Carlo Felice di Genova nel 1989 per il Balletto di Toscana e riallestita nel 2002 dal Balletto di Roma – negli ultimi 20 anni si è rivelata una delle produzioni di maggior successo nel repertorio del Balletto di Roma con un numero record di recite e incassi al botteghino. Con oltre 350 rappresentazioni in Italia e all’estero e più di 200.000 spettatori è l’opera di danza italiana più acclamata di sempre e rivive oggi per festeggiare i suoi 20 anni con il Balletto di Roma: la danza dell’amore impossibile, ricca della saggezza del tempo e dell’energia del presente, rinata nell’era post-covid.
Biglietti in vendita al Box Office di via Pallone o sul sito www.boxol.it.
Tutte le informazioni sul sito www.spettacoloverona.it. Curiosità, approfondimenti e date sui canali Facebook, Instagram e Youtube dell’Estate Teatrale Veronese.
Jessica Pratt e Michele Pertusi. Mariangela Sicilia e Yusif Eyvazov. Giulia Mazzola e Amartuvshin Enkhbat. Sono le grandi voci protagoniste, insieme a quella ormai leggendaria di Plácido Domingo, di una grande festa per la lirica in programma domenica 6 agosto alle 21, omaggio del celebre cantante spagnolo al centesimo Festival dell’Arena di Verona. Lo spettacolo, dal titolo Plácido Domingo in Opera, è anche un viaggio attraverso le più celebri pagine del grande repertorio operistico, e non solo. Si apre con il verismo, ben rappresentato dal Prologo e dalla celeberrima “Vesti la giubba” da Pagliacci, cantati rispettivamente da Enkhbat ed Eyvazov; dall’aria di Adriana Lecouvreur “Io son l’umile ancella” (Sicilia) e da “Nemico della patria” da Andrea Chénier, interpretata da Domingo. La Sinfonia da Attila apre all’arte somma di Giuseppe Verdi, del quale si ascolta anche “O tu Palermo” dai Vespri siciliani(Pertusi) e il duetto di Don Alvaro e Don Carlo di Vargas dallaForza del destino “Invano Alvaro ti celasti al mondo” (Eyvazov e Domingo).
La seconda parte della serata include arie belcantistiche come “Ah non credea mirarti” dalla Sonnambula (Pratt) e “Udite, o rustici” dall’Elisir d’amore (Pertusi); ancora Verdi con “Di quella pira l’orrendo foco” (Eyvazov) e “Udiste? Come albeggi” (Sicilia e Domingo) dal Trovatore; e anche Puccini, con il valzer di Musetta dalla Bohème (Mazzola). L’Intermedio orchestrale di una celebre zarzuela come La boda de Luis Alonso apre il confine verso generi diversi, e la chiusura dello spettacolo vede alternarsi Bernstein – con “Tonight” da West Side Story (Domingo e Daria Rybak) e “Glitter and be Gay” da Candide (Pratt) – Franz Lehár – “Dein ist mein ganzes Herz” da Das Land des Laechens(Domingo) – e un’altra pagina di zarzuela: “No puede ser” da La tabernera del puerto, con cui Plácido Domingo saluta il pubblico. Sul podio dell’Orchestra della Fondazione Arena di Verona il direttore Francesco Ivan Ciampa.
Girolamo Frescobaldi (1583-1643): Toccata Prima; Giovanni de Macque (ca. 1550-1614): Capriccio sopra re fa mi sol; Consonanze stravaganti; Prima Gagliarda; Rocco Rodio (ca. 1530-ca. 1620): Terza Ricercata; Girolamo Frescobaldi: Toccata Decima; Scipione Stella (1558-1622): Partita sopra la Romanesca; Francesco Lambardo (1587-1642): Toccata Gagliarda; Girolamo Frescobaldi: Partite sopra Ruggiero; Capriccio sopra La Battaglia; Balletto-Ciaccona; Michelangelo Rossi (ca. 1601-1656): Toccata Prima; Girolamo Frescobaldi: Gagliarda Seconda; Bernardo Storace (XVII sec.): Ciaccona; Michelangelo Rossi: Corrente Terza; Girolamo Frescobaldi: Toccata Nona “non senza fatiga si giunge al fine”; Capriccio Nono, di durezze; Toccata Settima; Recercar, con obligo di cantare la quinta parte senza tocarla; Gagliarda Quinta; Giovanni Salvatore (inizi XVII sec. – ca. 1688): Canzon francese Seconda, del nono tuono naturale; Girolamo Frescobaldi: Cento Partite sopra Passacagli. Francesco Corti (clavicembalo). Andrés Locatelli (flauto). Registrazione: 7-10 settembre 2022 presso la Chapelle Notre-Dame de Centeilles, Siran, (Francia). T. time: 81’27’’. 1 CD Arcana – Outhere Music A547
Protagonista in questo CD è la musica del XVII secolo nell’interpretazione di Francesco Corti, un clavicembalista (classe 1984) che, in una sorta di gioco semantico, ha scelto di darsi al ‘ricerca-re’. Musicista eclettico, più conosciuto all’estero che in Italia, stupisce per la sua crescita artistica e il ricco curriculum. Il lavoro (florilegium) intende far conoscere opere poco conosciute, offrendo un significativo apparato di note di Andrés Locatelli (flautista dolce in Frescobaldi, Ricercar, con obligo di cantare la quinta parte senza tocarla) e di Corti. L’obbiettivo è esplorare «da un punto di vista artistico gli echi dei compositori meridionali nelle musiche per tastiera di Frescobaldi» esplicitando differenze stilistiche, caratteristiche semiografiche, enigmi, insidie e ogni altro dettaglio, comprese «Le vaste prefazioni che Girolamo Frescobaldi antepone a gran parte dei suoi volumi stampati [tanto da costituire] i testi più commentati del moderno movimento della Early Music» e che determinano le scelte interpretative. Musica del Seicento all’insegna del principio della varietas includendo stili e forme compositive (Toccata, Capriccio, Ricercata, ecc.), unitamente ad alcune danze, tanto che il tutto si possa considerare una ‘colonna sonora’ capace di evocare culture dialoganti tra il mondo del ferrarese Frescobaldi (dominus della letteratura tastieristica del periodo: il CD inizia con la Toccata Prima per concludere con Cento Partite sopra Passacagli) e quello del più seducente Sud. Il risultato è un continuum sonorum con incontri e rimandi stilistici ma anche reiterati scontri, come ravvisabile «in primis nello sfruttamento caratteristico delle dissonanze, asprezze dell’armonia e del contrappunto magistralmente codificate da Gesualdo nella sua musica vocale ed imitate attraverso tutto il secolo dai suoi seguaci e dalle generazioni successive di organisti e cembalisti». Ad accorciare un certo iato stilistico tra l’opus frescobaldiana e il meridione necesse est vivere l’esperienza di questo ‘viaggio’ musicale ove, grazie al cospicuo numero di brani frescobaldiani e al necessario intervento del clavicembalista, si ha l’impressione di poter percepire un fil rouge che unisce e rassicura l’ascoltatore.
Corti, aretino di origine, dotato di spiccata musicalità e solida formazione (Conservatori di Perugia, Ginevra e Amsterdam), ben presto riesce a imporsi in competizioni internazionali di clavicembalo (Concorso Bach di Lipsia, 2006; e Bruges, 2007; dal 2016 docente di clavicembalo e basso continuo presso la Schola Cantorum Basiliensis). La conoscenza dell’antico, congiuntamente ad una natura versatile, gli permette di affrontare un vasto repertorio spaziando fino alla musica contemporanea come nel concerto dell’11 marzo 2023 (Aula Magna della Sapienza di Roma) ove, insieme al violinista Ilya Gringolts, in un programma con musiche di autori tedeschi barocchi, ha suonato con naturalezza la prima assoluta de Nel guizzo di miraggi svaniti di Alexandra Filonenko, per violino barocco e clavicembalo (2022). Talmente comunicativo, da alcuni anni è presente nel panorama internazionale anche come direttore (dal 2017 Principal Guest Conductor dell’ensemble Pomo d’Oro) e dal 2023 Music Director al Teatro di corte di Drottninglolm (Svezia). Assistere ad un suo concerto è un’esperienza coinvolgente anche visivamente: basta un accenno alla scrittura contrappuntistica perché appaia serioso mentre la gaiezza di una danza lo rende gioioso, diversamente dalla cantabilità del melos ove si trasforma in sentimentale, malinconico, triste, ecc. Ritornando al CD, ecco alcuni esempi ove altri brani completano peculiarità e varietà significative: Consonanze stravaganti di Giovanni de Macque, Partita sopra la Romanesca di Scipione Stella, Toccata Nona “non senza fatiga si giunge al fin” di Frescobaldi e altri piccoli tableaux di Francesco Lombardo, Rocco Rodio, Luigi Rossi, Giovanni Salvatore e Bernardo Storace. Corti, ancora una volta, convince per il rigore interpretativo, riuscendo altresì a soggiogare l’ascoltatore predisposto alla percezione della ‘maraviglia’.
Firmato: Salvatore Dell’Atti
Verona, Teatro Romano, Estate Teatrale Veronese 2023
“ALICE IN WONDERLAND”
Da Lewis Carroll
Circus-Theatre Elysium di Kiev
Direzione artistica Juliia Sakharova, Oleksandr Sakharov
Alice OLGA SYDORENKO
Cappellaio Matto DENYS SAKHAROV
La Regina di Cuori NATALIA RADCHENKO
Il Bianconiglio ALEX SAKHAROV
Pproduzione Light Can Dance
Verona, 01 agosto 2023
Il Circus-Theatre Elysium di Kiev ha recentemente stupito e affascinato il pubblico romano con tre settimane di tutto esaurito al Teatro Brancaccio di Roma, sbarca ora al Teatro Romano di Verona con la sua interpretazione di “Alice nel Paese delle Meraviglie”. Questo spettacolo ha portato in vita la favola di Lewis Carroll trasportando gli spettatori in un viaggio attraverso un mondo surreale. In rutilante gioco di luci, musiche ad effetto, videoproiezioni, costumi coloratissimi il soggetto Alice nel Paese delle Meraviglie si traduce in una narrazione che vuole creare un connubio di acrobazie, teatro, e magia circense. Il mondo del Circo è sicuramente quello che cattura e convince maggiormente e che è il vero universo incantato che ammalia Alice. Man mano che Alice si immerge nel regno fantastico, incontra una vasta gamma di personaggi eccentrici e bizzarri, ma soprattutto acrobati, illusionisti – i numeri coreografici convincono meno, risultando un po’ troppo standardizzati in una logica da show televisivo. Il Circus-Theatre Elysium ha una tradizione consolidata nell’esecuzione di numeri acrobatici di classe mondiale, ben evidenti e punto di forza anche in questo spettacolo. Le esibizioni acrobatiche spettacolari, ampiamente applaudite dal folto pubblico si fondono con la narrazione teatrale, in verità un po’ flebile, creando una esperienza dinamica che non manca di catturare il pubblico. Nel complesso uno spettacolo piacevole, dal sapore un po’ naif, salutato da molti applausi durante tutto il corso della serata. Si replica fino al 6 agosto.
100° Arena di Verona Opera Festival 2023
“TOSCA”
Melodramma in tre atti su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Musica di Giacomo Puccini
Floria Tosca ALEKSANDRA KURZAK
Mario Cavaradossi ROBERTO ALAGNA
Il Barone Scarpia LUCA SALSI
Cesare Angelotti GIORGI MANOSHVILI
Il sagrestano GIULIO MASTROTOTARO
Spoletta CARLO BOSI
Sciarrone NICOLÒ CERIANI
Un carceriere DARIO GIORGELÈ
Un pastore ERIKA ZAHA
Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona
Coro di Voci Bianche A.da.mus diretto da Elisabetta Zucca
Direttore Francesco Ivan Ciampa
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Regia, Scene, Costumi e Luci Hugo De Ana
Verona, 29 luglio 2023
Titolo amato dal pubblico areniano, che ne ricorda in particolare gli allestimenti di Giancarlo Sbragia (1974), Sylvano Bussotti (1984) e Luigi Squarzina (1990), Tosca torna a Verona nella spettacolare messa in scena del regista argentino Hugo De Ana, che ne cura anche le scene, i costumi e le luci. Proposta nell’estate del 2006, da allora è stata ripetutamente ripresa sempre con grande successo di pubblico che ne apprezza l’impatto visivo. La scena, unica per i tre atti in Sant’Andrea della Valle, Palazzo Farnese e Castel Sant’Angelo, vede sostanzialmente pochi cambi negli arredi ed è dominata centralmente dalla statua dell’arcangelo Michele che incombe con la sua spada, quasi ad affermare quella giustizia divina che, alla fine dei tempi, farà il suo corso. Quello che cerca De Ana, coniugando la classicità dei costumi (fedeli all’epoca) agli elementi simbolici che appaiono in scena, è una dimensione di terrore cupo rappresentato dal regime di polizia gestito e controllato dal Barone Scarpia, vero motore e cardine della vicenda. Un allestimento dunque che lascia allo spettatore l’intuizione di una vicenda terribile e sanguinaria in una Roma contesa tra i seguaci di Bonaparte e le forze di occupazione; il tutto sempre con l’orecchio teso agli esiti bellici di Marengo. Nel ruolo della protagonista vi era Aleksandra Kurzak che delinea il suo personaggio con tutta l’irruenza passionale usata nella strenua difesa di un amore disperato; la lotta emotiva tra la donna devota e pia e il suo lato oscuro, capace di uccidere per conservarsi pura al suo Mario, le è ben riuscita tanto nell’accorata Vissi d’arte quanto nella fierezza del declamato, forse un tantino ruvido ma di straordinaria efficacia teatrale. Accanto a lei il compagno d’arte e di vita Roberto Alagna, atteso nelle vesti del pittore Cavaradossi, scenicamente ineccepibile e coinvolgente soprattutto nella dimensione umana sospesa tra la fierezza patriottica paladina della libertà e la disperazione nell’ultima ora della sua vita. Luca Salsi vestiva i panni assai scomodi dello spietato e feroce Scarpia, un ruolo che lo vede interprete presente nei maggiori teatri mondiali; pur non beneficiando di arie, il capo della polizia ha però a disposizione il monologo all’inizio del secondo atto in cui illustra la sua filosofia in tema di donne, oggetti da usare e poi buttare. Così vorrebbe fare con Floria, che arriva persino a ricattare per raggiungere il suo losco fine. Salsi scolpisce il suo personaggio esasperando il lato villain del perfido barone che però finisce per prevalere sulla lascivia e la componente erotica; di fatto la sua interpretazione era maggiormente volta al terrore instaurato su Roma, particolarmente efficace tanto nel spettacolare Te Deum quanto nella concitazione della morte violenta. Vocalmente corretti e scenicamente l’Angelotti di Giorgi Manoshvili e il Sagrestano di Giulio Mastrototaro mentre gli sgherri Spoletta e Sciarrone avevano rispettivamente le voci di Carlo Bosi e Nicolò Ceriani. Completavano il cast Dario Giorgelè, il carceriere, e la voce bianca di Erika Zaha come pastore che intona il suo stornello sul nascente giorno romano. Degno di particolare nota è l’apporto del Coro di Voci Bianche A.da.mus, preparato e diretto da Elisabetta Zucca, che ha colorato con particolare vivacità la scena della cantoria, preparando con efficiacia teatrale la successiva, terribile entrata di Scarpia. Concertatore della complessa partitura pucciniana era Francesco Ivan Ciampa, che conosce bene i musicisti della Fondazione: la sua lettura si è mantenuta in linea con la tradizione esecutiva, pur concedendosi qualche impeto nei momenti topici (la notizia della vittoria di Bonaparte a Marengo, l’assassinio di Scarpia, la stretta finale dell’opera) ma senza mai perdere di vista la visione d’insieme. Molto bene l’orchestra, con il primo clarinetto coprotagonista nel commiato di Cavaradossi, e il coro impegnato con ottimo esito tanto nello spettacolare Te Deum quanto nella complessa cantata interna del secondo atto. Pubblico numeroso e prodigo di applausi, a sottolineare l’ampio consenso per questo allestimento. Repliche il 5 e 10 agosto e il 1° settembre. Foto Ennevi per Fondazione Arena