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Musica corale

Risultati del 100° Arena di Verona Opera Festival 2023

gbopera - Ven, 15/09/2023 - 16:13

Il pubblico dell’Arena di Verona Opera Festival 2023 ha premiato la centesima edizione – in programma dal 16 giugno al 9 settembre con 49 recite, 8 produzioni d’opera e 5 eventi speciali – facendo registrare il miglior incasso di sempre per un totale di 33.048.000 euro e un aumento di presenze pari a 59.584 spettatori rispetto al 2022, raggiungendo quota 402.722. Si conferma l’internazionalità della maggior parte del pubblico e quest’anno sono 125 i Paesi di provenienza diversi dall’Italia.
Anche le trasmissioni televisive delle opere di questa edizione – proposte su Rai1, Rai3 e Rai5 – hanno coinvolto un ampio numero di telespettatori, come nel caso dell’Aida inaugurale del 16 giugno trasmessa da Rai Cultura su Rai1, che è stata seguita in diretta da quasi 1.800.000 spettatori con oltre il 13% di share in media. A ulteriore conferma dell’interesse suscitato da questa nuova produzione, la parola “Aida” secondo Google Trend è stata cercata in Italia su Google il 430% di volte in più nella prima settimana del Festival rispetto alla media del numero di ricerche per lo stesso termine negli ultimi 5 anni. Il risultato di biglietteria di questa nuova produzione è stato straordinario: sold-out per tutti i 20.000 posti a disposizione nelle due recite del 16 e 17 giugno. Quest’ultima data ha registrato inoltre un incasso da medaglia d’argento nella storia del Festival, secondo solo al Gala di Plácido Domingo del 2009.
Dato migliore ad oggi anche per quanto riguarda i media nazionali e internazionali: le testate ed emittenti accreditate sono state infatti 285, per un totale di 1434 presenze. E sono stati più di 6.000 gli articoli e i servizi dedicati al Festival n. 100 (solo fra quelli riscontrati) tra web, carta stampata, radio e tv. Per quanto riguarda l’estero, significativa è stata la copertura mediatica sulle principali testate in Francia e nei Paesi di area germanica. Mai così tanti gli eventi speciali proposti, che hanno ottenuto un grande apprezzamento grazie in particolare alla qualità artistica che ha visto anche i debutti di Juan Diego Flórez, impegnato in un Gala, e di Orchestra e Coro del Teatro alla Scala diretti dal maestro Riccardo Chailly. L’edizione 2023 ha poi ottenuto risultati mai visti prima per l’Arena sui social: a fine Festival, i canali Facebook e Instagram hanno raggiunto quasi 47 milioni di contatti, con 16 mila ore di visualizzazioni dei video: la sola pagina Instagram ha raggiunto più di 12 milioni di account, crescendo del 166% rispetto al 2022. Nel corso del 100° Opera Festival, l’Arena ha inoltre sperimentato con successo l’innovativo progetto di accessibilità e inclusione “Arena per tutti”, sviluppato in collaborazione con l’Accessibility Partner Müller, che ha permesso ad oltre 700 persone con disabilità di fruire degli spettacoli. Il 100° Festival all’Arena di Verona si è svolto con il doppio patrocinio della Regione del Veneto e del Ministero della Cultura, il quale ha anche stanziato un contributo straordinario di 1 milione di euro per la storica ricorrenza delle cento stagioni d’opera in Arena.

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“I Lombardi alla prima crociata” apre il XXIII Festival Verdi 2023

gbopera - Ven, 15/09/2023 - 15:23

I Lombardi alla prima Crociata, quarta opera di Giuseppe Verdi, debutta al il XXIII Festival Verdi dove torna in scena dopo 14 anni giovedì 21 settembre 2023, ore 20.00, al Teatro Regio di Parma (recite venerdì 29 settembre, sabato 7 ottobre, ore 20.00, e domenica 15 ottobre 2023, ore 15.30).
Il nuovo allestimento è affidato alla regia di Pier Luigi Pizzi, che firma anche le scene, i costumi e i video, con le luci di Massimo Gasparon, le coreografie di Marco Berriel. Francesco Lanzillotta, per la prima volta al Teatro Regio di Parma e al Festival Verdi, sul podio della Filarmonica Arturo Toscanini, dell’Orchestra Giovanile della Via Emilia, che eseguirà le parti in scena, e del Coro del Teatro Regio di Parma preparato da Martino Faggiani, dirige l’opera nell’edizione critica della partitura curata da David R. B. Kimbell (in preparazione per The University of Chicago Press e Casa Ricordi), presentata per la prima volta a Parma. Il cast vede protagonisti Lidia Fridman (al debutto nel ruolo di Giselda), Antonio Poli (Oronte), Michele Pertusi (Pagano), Antonio Corianò (Arvino), Giulia Mazzola (Viclinda), Luca Dall’Amico (Pirro), William Corrò/Lorenzo Mazzucchelli (15) (Acciano) e gli allievi dell’Accademia Verdiana Zizhao Chen (Un Priore) e Galina Ovchinnikova (Sofia). Violino solista Mihaela Costea.. Illustrazione di Pierpaolo Gaballo

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Venezia, Palazzetto Bru Zane: Presentazione del Festiva d’autunno 2023, “Mondi riflessi”

gbopera - Ven, 15/09/2023 - 10:17

Se l’idealismo platonico relegava l’arte al ruolo di “imitazione dell’imitazione”, il Romanticismo – inteso in senso lato, lungi da certe semplificazioni ad uso didattico – ha portato avanti una visione diametralmente diversa, considerando l’artista alla stregua di un demiurgo, il quale, più che imitare la realtà, la ricrea e la nobilita, anche quando il suo rapporto con essa può sembrare scontato o è esplicitamente dichiarato. Tale concezione estetica sta alla base anche della produzione musicale francese del XIX secolo (e oltre), nata in un contesto storico – quello delle rivoluzioni industriali –, in cui gli orizzonti geopolitici e culturali si andavano allargando, grazie alla possibilità di conoscere paesi stranieri più o meno lontani. Questo si riflette anche sul repertorio operistico e strumentale di quel periodo, che trova spesso alimento in danze attinte da altre culture musicali. Un esempio tra tanti è la celeberrima “habanera” da Carmen. A questi “Mondi riflessi” dalla musica francese nel periodo romantico il Palazzetto Bru Zane dedica il Festival d’autunno 2023 – sette concerti e due conferenze, dal 23 settembre al 27 ottobre –, nel corso del quale ricorreranno formule modali e ritmi esotici: più che un segno di interesse per i paesi stranieri, un mezzo, da parte dei compositori e delle compositrici – anche questa volta ben rappresentate, confermando la particolare sensibilità sempre dimostrata in proposito dal Palazzetto Bru Zane – per rinnovare l’arte nazionale.
La conferenza di presentazione del Festival veneziano – e della programmazione relativa al biennio 2023-2024 – si è svolta nel pomeriggio di martedì 12 settembre, al Palazzetto Bru Zane. Presenti: Alexandre Dratwicki, direttore artistico; Rosa Giglio, coordinatrice artistica; Camille Merlin, coordinatrice per Bru Zane Label e partenariati discografici. Oltre a “Mondi riflessi”, avrà luogo a Venezia, in primavera, un altro ciclo, “Il filo di Fauré”, che proporrà composizioni dell’apprezzato autore del Requiem – mélodies e musica da camera –, ponendole a confronto con pagine più intime, firmate dai suoi discepoli, così da dare il giusto risalto a un musicista, che la generazione di Ravel scelse come vero e proprio patrono di una nuova modernità.
Di grande interesse musicologico risultano le iniziative, a livello internazionale. Tra esse spicca la rappresentazione di Carmen di Georges Bizet con i costumi, la scenografia e la messinscena della sua prima rappresentazione nel 1875 (Rouen, settembre-ottobre 2023). Verranno inoltre riproposte alcune opere dimenticate: La Montagne Noire della “wagneriana” Augusta Holmès (Dortmund, gennaio-maggio 2024); Le Tribut De Zamora, utima opera compiuta di Charles Gounod (Saint-Étienne, maggio 2024); Le Roi D’ys di Édouard Lalo (Budapest, gennaio 2024; Amsterdam, febbraio 2024). A Lalo, nel bicentenario della nascita, sarà dedicata (ottobre 2023) una serie di concerti, che si svolgeranno a Parigi, Vienna, Monaco di Baviera, Amburgo, Colonia, Düsseldorf, Francoforte.
L‘immaginazione orientalista di alcuni compositori francesi verrà indagata in un concerto, che prende il titolo da quello della prima composizione in programma: Suite orientale di Mel Bonis (Lione, maggio 2024). In Québec, le celebrazioni dedicate a Fauré (luglio 2023-maggio 2024) comprendono anche Dubois, suo predecessore alla testa del Conservatorio di Parigi. Nella capitale francese le compositrici, al centro di un ciclo tematico nella scorsa stagione veneziana, saranno protagoniste di un festival (giugno 2024) con i Contes fantastiques di Juliette Dillon e le opere sinfoniche di Rita Strohl, mentre Fausto di Louise Bertin andrà in scena a Essen (gennaio-maggio 2024).
Alla conferenza di presentazione è seguito un breve concerto della pianista Célia Oneto Bensaid, che ci ha regalato un allettante assaggio di quello che sentiremo esplorando i “Mondi riflessi”, in cui ci condurrà l’imminente festival d’autunno. Se il buongiorno si vede dal mattino, il primo approccio a questa nuova avventura musicale è stato davvero promettente. Piena di fascino, raffinata nell’interpretazione e nel tocco, magistrale nei passaggi veloci è apparsa l’affermata concertista che, dopo i suggestivi brani di David, Bonis e Godard, ha concluso con un mirabolante fuoriprogramma: Dans les flammes, IV brano del primo quaderno, “Ce qu’on entend dans l’Enfer”, che fa parte delle Dix-Huit Pièces pour piano d’après la lecture de Dante di Marie Jaëll. Esecuzione assolutamente strepitosa!
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Milano, Teatro alla Scala: “Il barbiere di Siviglia”

gbopera - Gio, 14/09/2023 - 17:00
Milano, Teatro alla Scala, Stagione d’Opera e Balletto 2022/2023
“IL BARBIERE DI SIVIGLIA”
Dramma comico in due atti su libretto di Cesare Sterbini
Musica di Gioachino Rossini
Il Conte d’Almaviva PIERLUIGI D’ALOIA*

Bartolo PIERPAOLO MARTELLA
Rosina MARA GAUDENZI*
Figaro SUNG-HWAN DAMIEN PARK*
Basilio MATÍAS MONCADA* Berta NICOLE WACKER
Fiorello/Un Ufficiale GIUSEPPE DE LUCA* *Allievo dell’Accademia Teatro alla Scala
Orchestra e Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Direttore Evelino Pidò Maestro del coro Salvo Sgrò Fortepiano Francesco De Solda
Regia Leo Muscato
Scene Federica Parolini
Costumi Silvia Aymonino
Luci Alessandro Verazzi Coreografia Nicole Kehrberger Ripresa da Marianna Zanaglio
Produzione Teatro alla Scala
Milano, 11 settembre 2023 A settembre ricomincia la scuola, e ricomincia la Scala. Con il Progetto Accademia: un titolo del cartellone affidato (quasi) per intero agli allievi dell’Accademia Teatro alla Scala, su cui val la pena di spendere qualche parola. Per prima nasce la Scuola di Ballo, già nel 1813, e da allora è invecchiata piuttosto bene, se nell’ultimissimo tempo un suo allievo è arrivato ad essere primo ballerino al Bol’šoj. Poi viene il canto, 1946, con i toscaniniani Cadetti della Scala: e ne segue la stagione incantata della Piccola Scala, laboratorio da cui, scrostato delle sue patine, il Settecento è uscito vivificato. Infine, negli Anni 90 l’Accademia si accresce ed assume la sua fisionomia odierna: una trentina di corsi, per più di 1600 allievi, in ogni ambito dello spettacolo, dall’artistico, al tecnico, al manageriale. Dunque, questa ripresa del Barbiere coinvolge allievi non soltanto fra gli artisti, ma anche fra gli operosi e silenziosi dipartimenti tecnici e organizzativi del grande teatro. Ripresa, si diceva, del recente allestimento (2021), regia di Leo Muscato: il Barbiere come l’opera musicale quant’altre mai. E, in effetti. Rosina canta, e all’ultimo grido; al contrario Bartolo ricorda le belle arie dei bei tempi andati; per Basilio la musica è una professione, prima e più che la fede; Figaro è tutto trallallalera trallallalà con chitarra al collo; anche Almaviva, se deve improvvisare una serenata così su due piedi, non se la cava poi tanto male; e persino Fiorello è capace di arrangiare una piccola orchestra. Dunque possono tutti stare molto bene in un teatro che dovrà chiamarsi Siviglia, con Bartolo impresario e Figaro macchinista tuttofare. C’è sempre però qualche conto che si sforza un po’ di tornare, come la Berta vecchia maestra di danza con dipendenza dal fumo. Le scene, agilissime, sono di Federica Parolini: all’italiana, ovvero bidimensionali e non tri; ed è un vero peccato che ormai si ricorra a questo genere di scene solo come citazione giocosa, se giustificata dalla regia. I costumi di Silvia Aymonino sanno restare sospesi fra Otto e Novecento nonostante la puntualissima dovizia di dettagli. A condurre i complessi dell’Accademia e la loro straripante, giovane energia verso la più pacata proprietà stilistica è il Maestro Evelino Pidò: concertatore severo ed accorto, grande musicista al di là degli specialismi, direttore dal gesto nitidissimo e guizzante. Messa minuziosamente a punto una vasta gamma di dinamiche, vi ricorre alternandole assai rossinianamente; e sempre ondeggia, con buonumore e buongusto, fra il maniacale rigore ritmico e l’appassionato slancio lirico. Insomma, una lezione. Il protagonista di questo secondo cast ha voce solidissima e squillante, impavida nelle ripide salite della lunga cavatina; ha fraseggio che pulsa all’unisono con la più autentica e naturale inflessione italiana, fatto che può sorprendere perché il baritono, Sung-Hwan Damien Park, è coreano. O, forse, proprio per questo non deve sorprendere. Mara Gaudenzi è la Rosina come si deve: voce tonda e piena, gravida di armonici, scura ma non cupa, che scende pastosissima nel grave senza perdere vivacità né freschezza. Pierluigi D’Aloia ha voce luminosa e svettante, come la figura alta e slanciata: ed entrambe usa con quella leggera ma sensibile tensione che la pratica del palcoscenico spazza via per forza. E una risorsa particolarmente preziosa l’ha nella sua carezzevole mezza voce. Pierpaolo Martella sfoggia un sillabato perfetto, ed anche quanto al timbro, in qualche suono, evoca il sommo Dara. L’interpretazione avrà modo di diventare più personale, e magari meno indulgente ad effettucci d’abitudine, senza con questo voler fare d’un Don Bartolo un Don Pasquale. Un poco lo stesso discorso può valere anche per il Basilio, più fascinoso per timbro che sicuro nell’emissione, di Matías Moncada, tutto intento a fregarsi tradizionalissimamente le mani: simpatico, come prova anche la risposta della sala, fin troppo. Ma per l’armamentario di gag, la responsabilità va data al regista. Perché, secondo una massima di Nucci, Figaro non ride: sorride. Bella tornita anche la voce della Berta di Nicole Wacker e piuttosto voluminosa quella di Giuseppe De Luca, Fiorello. L’orchestra dell’Accademia ha anche un altro impegno per questo mese, e di tutt’altro genere: “Il lago dei cigni”. La foto Brescia & Amisano non corrisponde al cast recensito
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75a Estate Teatrale Veronese 2023: “Medea”

gbopera - Gio, 14/09/2023 - 10:59

Verona, Teatro Romano, 75a Estate Teatrale Veronese 2023
“MEDEA”
Tragedia di Euripide, traduzione di Massimo Fusillo.
Medea LAURA MARINONI
Nutrice DEBORA ZUIN
Pedagogo RICCARDO LIVERMORE
Creonte ROBERTO LATINI
Giasone ALESSANDRO AVERONE
Egeo LUIGI TABITA
Il Nunzio SANDRA TOFFOLATTI
Prima corifea FRANCESCA CIOCCHETTI
Prima coreuta e direttrice del Coro SIMONETTA CARTIA
Coro ALESSANDRA GIGLI, ANNA CHARLOTTE BARBERA, VALENTINA CORRAO, VALENTINA ELIA, CATERINA FONTANA, IRENE MORI, AUROARA MIRIAM SCALA, MADDALENA SERRATORE, GiULIA VALENTINI, CLAUDIA ZAPPIA
Portatore di Medea SEBASTIANO CARUSO
Figli di Medea MATTEO PAGUNI, FRANCESCO CUTALE.
Regia Federico Tiezzi
Scene Marco Rossi
Costumi Giovanna Buzzi
Disegno luci Gianni Pollini
Mestra del coro Francesca Della Monica
Arrangiatore coro e voci Ernani Maletta,
Regista assistente Giovanni Scandella
Musiche originali del coro e del prologo Silvia Colasanti
Verona, 12 settembre 2023
Come ormai entrato come una sorte di  tradizione da qualche anno a chiudere l’estate teatrale veronese al  teatro romano è uno spettacolo classico proveniente dal Teatro Greco di Siracusa. Proprio da questo magico luogo arriva la produzione della Medea di Euripide, con la regia di Federico Tiezzi, andata in scena lo scorso maggio. Un lavoro celebre, forse la tragedia per eccellenza, sicuramente un punto di riferimento per la storia del teatro, ma non solo, visto che  il mito euripideo della donna-maga è stato è stato oggetto dell’ispirazione e rivisitazione di moltissimi altri autori letterari, di teatro, compositori e quant’altro.  Di certo è uno dei lavori più noti del mondo del teatro classico, di sicura presa. E il  publico ha risposto con un  “sold-out” (o poco ci mancava). Non crediamo sia compito del recensore lanciarsi in disquisizioni storico-teatrali sulla Medea di Euripide, il web ne è pieno e si correrebbe il rischio di ripetersi…senza ombra di dubbio. Meglio porre attenzione allo spettacolo. Non si può non sottacere che gli spazi del teatro romano non sono certo quelli, assai ampi, del teatro greco di Siracusa e di conseguenza la parte  scenografica deve gioco forza essere riadattata, perdendo in spettacolarità, nel forte contrasto coloristico tra piani inclinati,  il bianco della scena (ma con un ampio pavimento lucido, mancante qui al romano). Qui a Verona, la scenografia è ridotta all’essenziale e forse porta ancora di più sulla tragedia. Il contrasto visivo è accentuato dai colori definiti dei costumi che vanno dal blu cobalto, al grigio e bianco. Chiaramente questo rientra nella cifra stilistica di Tiezzi che nel caso di Medea  “Ho impostato la tragedia non come una rappresaglia individuale, ma come uno scontro fra due diverse concezioni della forza. Uno scontro fra una società arcaica e una società post industriale. Tra Ordine e Disordine. Medea è un campo di forze, dove si scontrano due modalità della violenza”. In scena vediamo una sorta di elegante salotto con delle colonnine sormontate da busti classici, molte sedie, dei tavoli. Questa è la  reggia di Creonte, un signore borghese, che si presenta in un formale abito grigio, primi ‘900 che, indossando una maschera di coccodrillo, si scontra con Medea, che in abito classicheggiande blu cobalto, ma anch’esso con richiami liberty, indossa una maschera d’aquila. Un rapace contro un mondo di coccodrilli e in mezzo, due fragili conigli bianchi, queste sono le maschere che indossano i figli di Medea. La forza del colore della maga, contro il grigio omologato di Creonte, Giasone, il Pedagogo. Tiezzi parla di “scontro fra due diverse concezioni della forza”. Questo emerge anche nel taglio interpretativo dei personaggi. La solitudine, ma anche la forza, della Medea di Laura Marinoni, si esprime attraverso un’uso della parola, ma anche del corpo mai sopra le righe, anzi, i momenti di statica “assenza” diventano ancor più espressione di forza contro gli “altri” che sembrano esprimersi, in particolare il Giasone di Alessandro Averone, con accenti di un uomo banalmente arrivista, che solo nel finale, nella disperazione, appare anche lui desolatamente solo. Tutti i personaggi appaiono ben caratterizzati, a partire dal Nunzio/Messaggiera di Sandra Toffolatti. Applausi in scena per la sua partecipe e intensa narrazione a una Medea “lontana”, distaccata, della straziante morte di Glauce e di Creonte. Non meno efficaci la Nutrice di Debora Zuin, la prima Corifea di Francesca Ciocchetti e via, via tutti gli altri: Roberto Latini (Creonte), Riccardo Livermore (Pegagogo), Luigi Tabita, un Egeo, ambiguamente dandy. Di grande rilievo la parte musicale (con musiche di Silvia Colasanti) che valorizza la forza drammatica e teatrale di un doppio coro (ci è parsa forse un po’ troppo carica di grida l’uccisione dei figli di Medea) che alla fine, davanti a un desolato Giasone,  “sporcare” di rosso-sangue la parete di fondo di questo salone che ora, con le sedie, colonnine accatastate, appare anch’esso espressione dei tragici eventi. Lunghi applausi hanno saluto tutti gli interpreti. 

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Roma, Museo di Roma: ” Vis-à-vis. Tenerani Spina. Dialogo in immagini” dal 28 Giugno al 12 Novembre 2023

gbopera - Mer, 13/09/2023 - 17:27

Museo di Roma – Palazzo Braschi
Piazza Navona 2; piazza San Pantaleo 10
VIS A VIS. TENERARI SPINA. DIALOGHI IN IMMAGINI.
Organizzatore: Zètema Progetto Cultura
L’attuale mostra al Museo di Roma mette in luce l’opera di due artisti distinti eppure strettamente connessi: Pietro Tenerani, importante scultore italiano del XIX secolo e Mostra Roma, rinomato interprete della fotografia d’arte contemporanea. Venticinque ritratti in gesso di Tenerani sono esposti, molti dei quali non sono mai stati mostrati prima, offrendo agli spettatori un’esperienza unica. Attraverso le fotografie in bianco e nero di Spina, questi ritratti sono raffigurati in un modo che rivela dettagli che potrebbero sfuggire anche all’occhio più attento. La gipsoteca di Tenerani, parte integrante del Museo di Roma, ospita modelli, bozzetti e studi che riflettono l’intera produzione artistica dello scultore. Questa collezione è paragonabile a quelle di Canova a Possagno e di Thorvaldsen a Copenaghen, rappresentando uno dei più importanti esempi di raccolte di gessi dell’Ottocento. Per ulteriormente valorizzare la gipsoteca, è stata organizzata questa mostra che mette a confronto i ritratti in gesso di Tenerani con le immagini realizzate da Luigi Spina. Nonostante la differenza di epoca e medium, Tenerani e Spina condividono un comune interesse per la figura umana, risultando in un dialogo tra la capacità di Tenerani di catturare i dettagli minuti di un volto nel gesso e l’abilità di Spina di evidenziare quei dettagli attraverso la luce. La mostra è stata curata da Fabio Benedettucci. Qui per tutte le informazioni.

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Verona, XXXII° Settembre dell’Accademia 2023: Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Juraj Valčuha. Solista Stefano Bollani.

gbopera - Mer, 13/09/2023 - 14:38

Verona, Teatro Filarmonico, Il Settembre dell’Accademia 2023
Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai
Direttore Juraj Valčuha
Pianoforte Stefano Bollani
Leonard Bernstein: “Candide”, ouverture; Anna Clyne: “Red” (da Color Field); George Gershwin: “Rhapsody in Blue”; Antonin Dvorak: Sinfonia n. 9 in mi minore op. 95 “Dal Nuovo Mondo”
Verona, 10 settembre 2023
Apertura pirotecnica per il XXXII Settembre dell’Accademia: di scena l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Juraj Valčuha ed il versatile ed eclettico Stefano Bollani, uno degli interpreti musicali più amati dal grande pubblico grazie anche alle sua azione divulgatrice attraverso le trasmissioni televisive e radiofoniche, la saggistica e la narrativa. Il suo multiforme ingegno musicale lo ha portato negli anni ad esprimersi nell’affascinante mondo del jazz pur non rinnegando del tutto le origini classiche che lo hanno portato alla collaborazione con grandi direttori ed orchestre blasonate. A Verona si è presentato con uno dei suoi cavalli di battaglia, quella Rhapsody in Blue che fin dal momento in cui fu scritta ha sempre costituito uno spartiacque tra la musica colta e le contaminazioni con la musica di strada, quel blues che Gershwin respirò nella sua infanzia e che entrò subito nel suo stile di scrittura. L’approccio di Bollani è dunque spiccatamente jazzistico ancor prima che classico, con una visione prospettica che prende le distanze dalle esecuzioni composte a cui siamo abituati per filtrare la composizione nel setaccio del suo estro creativo ed istrionico. L’impressione è tuttavia quella di un soliloquio autoreferenziale anziché un dialogo con l’orchestra, con frequenti interpolazioni personali che integrano la scrittura pianistica originale per vestirla di luce nuova; la sua linea interpretativa, pur partendo dal concetto stesso di rapsodia come canovaccio musicale, non si muove alla ricerca di un’interazione con la dimensione sinfonica preoccupandosi invece di mantenere lo strumento solista autonomo ed indipendente. Il risultato è quello di un compiacimento personale, quasi narcisistico e vanitoso che ha talvolta disorientato l’orchestra e il direttore in balìa dell’estro creativo del solista, alla costante ricerca anche di sonorità nuove ed insolite. Lampi di luce nella penombra sinfonica, posta quindi in secondo piano. Gli immancabili bis hanno restituito il Bollani che ci è più familiare, quello della creazione ora studiata, ora improvvisata: si va dal medley su New York, New York di Kander e America di Bernstein ad una rilettura di I got rhythm di Gershwin, il tutto condito dai consueti siparietti che coinvolgono anche il pubblico. Il resto del programma riportava il Filarmonico entro gli ambiti consueti, dall’ouverture da Candide di Bernstein, all’interessante Red di Anna Clyne (movimento centrale del trittico Color field) fino alla celebre Sinfonia n. 9 “Dal Nuovo Mondo” di Dvořák, composizione che unisce il folklore americano alla tradizione sinfonica europea. L’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai è uno strumento favoloso, dotato di bel suono e di un particolare calore musicale (ne ha ben donde visto che la sua costituzione è costata lo scioglimento delle storiche quattro compagini precedenti), duttile e a suo agio tanto nella classicità rossiniana di Bernstein quanto nella contemporaneità musicale della Clyne. Il fatto poi di avere nel proprio repertorio stabile il grande affresco sinfonico e paesaggistico di Dvorak ha regalato al pubblico veronese un’interpretazione viva ed appassionata con dei pianissimi di rarefatta sostanza sonora. Juraj Valčuha, già direttore principale dell’orchestra dal 2009 al 2016, ha diretto con autorevolezza e solida volontà interpretativa respirando e vivendo la partitura del compositore ceco, traendone sonorità e tinte sinfoniche ora brillanti, ora tenui e fino al limite dell’udibile. Teatro vicino all’esaurito, con un pubblico attento ed emotivamente coinvolto; lo stesso festival del resto, per l’alta qualità delle proposte, lo richiede. Foto Brenzoni

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Roma, Arena Gigi Proietti Globe Theatre Silvano Toti: “Venere ed Adone ” di William Shakespeare

gbopera - Mer, 13/09/2023 - 10:00

Roma, Arena Gigi Proietti Globe Theatre Silvano Toti
VENERE ED ADONE
di William Shakespeare
Con Gianluigi Fogacci, Melania Giglio, Riccardo Parravicini
Regia: Daniele Salvo
Prodotto: Politeama s.r.l.
Dal 20 al 24 Settembre 2023

Venere e Adone di Shakespeare, fu composto nel 1593. È uno dei poemi più lunghi di William Shakespeare, costituito da 1194 versi e dedicato a Henry Wriothesly, terzo conte di Southampton, in cui il poeta descrive la poesia come “il primo erede della mia invenzione”. La città è infestata dalla peste e deve chiudere i battenti di tutti i suoi teatri per evitare il diffondersi dell’epidemia. Shakespeare si ispira al decimo libro delle Metamorfosi di Ovidio e definisce Venere e Adone “il primo parto della mia fantasia”. Quando l’amico di scuola di Shakespeare, Richard Field, pubblica “Venere e Adone” è, da subito, un grande successo. Si può affermare che sia stato il poema più popolare dell’età elisabettiana. Tutti lo leggono. Tutti lo citano. Troviamo citazioni anche in altri poemi. Ci sono riferimenti ad esso anche in lavori di prosa. Ci sono scene, in alcune opere, in cui i personaggi parlano della lettura di “Venere e Adone”, dicono di averne una copia sotto il cuscino e di usarne le parole per sedurre le giovani donne. Apprezzatissimo fra gentiluomini e cortigiani, in breve divenne una sorta di vademecum dell’amatore, ugualmente popolare nella biblioteca, nel boudoir e nel bordello. Viene ristampato più e più volte. Field sembra abbia stampato 1000 copie della prima edizione. Il poema è in egual misura comico, erotico e commovente: la Venere di Shakespeare è passionale, una dea innamorata e pazza di desiderio. Adone è un giovane bellissimo che le sfugge e preferisce i piaceri della caccia a quelli dell’amore, sia pur divino.  Nonostante gli abbracci, le carezze e gli avvertimenti della dea, il giovane parte per una battuta di caccia al cinghiale che lo azzanna provocandogli una mortale ferita all’inguine. Venere accorre, ma è troppo tardi: non le resta che trasformare il sangue dell’amato esanime nei rossi fiori dell’anemone…Ma da quel momento la Dea giura su quanto vi è di più sacro che mai più per i mortali l’amore sarà privo di ogni sorta di tormento e sofferenza. L’esercizio della Poesia è una prova di resistenza alle difficoltà quotidiane e all’indifferenza degli uomini. Chi parla in Poesia spesso deve fare i conti con una società che non comprende un pensiero puro, sganciato dalle logiche commerciali o produttive ritenute così importanti ai nostri giorni. Le vicende dei giorni presenti paiono sottolineare l’inutilità della Poesia perché essa, di fronte alle epidemie, alle guerre, alle decapitazioni, al terrorismo, alle violenze inaudite, nulla può lenire e a troppi non dice nulla. “La poesia è magnificamente superflua, come il dolore e troppo fragile in tempi di sopraffazione.” Ci sono uomini come William Shakespeare che hanno combattuto la superficialità, la stupidità, l’arbitrio e la violenza quotidiana, con la forza della Parola. E di questa parola “luminosa” vogliamo godere, attraverso questo privilegio unico, sonoro e poetico, tentando di superare le assurdità della vita contemporanea. Questo mondo di versi è distillato prezioso di poesia e altissima letteratura. Il tentativo è quello di entrare direttamente nelle menti e nei cuori dei personaggi, nei loro desideri, nei loro affanni, nelle loro ansie e speranze disattese o soddisfatte. L’equilibrio delicatissimo in cui si muovono tutte le figure del poema, compone un affresco di una potenza espressiva straordinaria. La febbre del nostro tempo ci porta a vivere in una realtà anestetizzata, un mondo fittizio in cui l’emozione è bandita, al servizio di un intellettualismo sterile e desolante. I nostri occhi sono quotidianamente accecati da immagini provenienti dai media. La legge del mercato non perdona: si vendono cadaveri, posizioni sociali, incarichi pubblici, armi, sesso, infanzia, organi. Restiamo indifferenti. La dimensione borghese soffoca i nostri migliori istinti, la nostra sensibilità (che brutta parola oggi, considerata quasi scandalosa), la nostra sincerità e si porta via ogni forma di creatività, ogni volo, ogni fede.  La nostra dimensione irrazionale viene completamente annientata. Il senso dell’affermazione dell’Io divora i nostri giorni. L’arte è svuotata della sua dimensione spirituale: siamo in un momento di emergenza assoluta. Il vero virus è dentro le nostre anime. La cultura attraversa una crisi epocale: mancano la necessità, la fede, la fiducia in qualcosa di superiore, la luce di un angelo che possa elevare i nostri destini. Santa Teresa d’Avila scriveva “Noi non siamo angeli, ma abbiamo un corpo”. Ma oggi il nostro corpo è divenuto merce, moneta di scambio, non più sede inviolabile della bellezza e dell’estasi. I media, persuasori occulti, agiscono sui nostri cuori e sulle nostre menti addomesticando anche gli spiriti più ribelli, sigillando gli occhi più attenti. La dimensione spirituale è irrimediabilmente perduta. Il senso del sacro è ormai sconosciuto. Siamo ormai definitivamente trasformati in consumatori e, nel medesimo istante, prodotti, sconvolti da una guerra mediatica senza precedenti nella storia. Illusi della nostra unicità, della nostra peculiarità, in realtà pensiamo tutti nello stesso modo, diciamo le stesse parole, abbiamo tutti le stesse esigenze, le stesse speranze, le stesse ansie, la stessa quotidianità fabbricata in serie.  Ci illudiamo di essere liberi. I personaggi di Venere e Adone divengono testimonianze di un mondo perduto e dimenticato, un mondo cristallino, sospeso sul filo dell’orizzonte. Il ‘900 ha razionalizzato irrimediabilmente le pulsioni dell’animo umano, le ha ingabbiate, catalogate ed educate. Shakespeare riesce ancora a comunicare in modo diretto,” puro”; ci fa entrare nel vivo della disperazione, della rabbia, dell’amore, della dolcezza, della sensualità. Non descrive, non applica filtri letterari. Semplicemente “è” Shakespeare nostro contemporaneo.  Quando i teatri riaprirono, Shakespeare fece tesoro di questo suo spericolato tuffo nelle insidie dell’amore e compose Romeo e Giulietta, simbolo di gioia e tormento per tutti gli innamorati dei secoli a venire. Daniele Salvo Qui per tutte le informazioni.

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100° Arena di Verona Opera Festival 2023: “L’ultima” Violetta di Anna Netrebko

gbopera - Mer, 13/09/2023 - 01:05

100° Arena di Verona Opera Festival 2023
LA TRAVIATA
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave, dal romanzo “La dame aux camélias” di Alexandre Dumas.
Musica di Giuseppe Verdi
Violetta Valéry ANNA NETREBKO
Alfredo Germont FREDDIE DE TOMMASO
Giorgio Germont LUCA SALSI
Flora Bervoix SOFIA KOBERIDZE
Annina YAO BOHUI
Gastone MATTEO MAZZARO
Barone Douphol NICOLÒ CERIANI
Dottore Grenvil GIORGI MANOSHVILI
Marchese d’Obigny JAN ANTEM
Giuseppe FRANCESCO CUCCIA
Un domestico di Flora / Un commissionario STEFANO RINALDI MILIANI
Primi ballerini NICOLETTA MANNI, TIMOFEJ ADRIJASHENKO
Orchestra, Coro, Ballo della Fondazione Arena di Verona
Direttore Marco Armiliato
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Coordinatore del Ballo Gaetano Petrosino
Regia e scene Franco Zeffirelli
Costumi Maurizio Millenotti
Luci Paolo Mazzon
Coreografia Giuseppe Picone
Verona, 9 settembre 2023
Grande serata di chiusura per il centenario dell’Arena di Verona Opera Festival, che segna il ritorno di Anna Netrebko come Violetta, a sei anni dall’ultima  scenica nel ruolo al Teatro alla Scala di Milano a sei anni dall’ultima Traviata scaligera. Le lunghe file ai varchi d’accesso hanno confermato l’annunciato sold out della serata (duecento i posti extra messi a disposizione dalla Fondazione Arena di Verona), ma il clima d’attesa si respirava già passeggiando per le vie della città, dove non era difficile cogliere passanti intenti a canticchiare parti dell’opera o ad ascoltarne spezzoni da smartphone. Si riapre, così, il sipario sull’allestimento di Franco Zeffirelli (per il cui approfondimento si rimanda alla recensione del 19/08/2023 , che per l’occasione ha riservato qualche piccola sorpresa, come l’anticipazione al primo atto dell’abito bianco di Violetta previsto per il secondo quadro del secondo atto, dove è stato sostituito da un costume che rievocava la mise della Stratas nel film di Zeffirelli (“La traviata”, 1993), o l’aggiuntivo lancio di stelle filanti a suggello dei cori di tributo al grand opéra. Ma veniamo al dunque. Con messe di voce di sensuale corposità, il soprano russo si presenta come affermata cortigiana, il cui canto inizialmente omologato pare non dare credito alla deviazione d’amore, almeno fino al primo momento solistico. E così dev’essere! Perché il duetto del primo atto non è un semplice duetto d’amore, ma una dichiarazione d’amore, che porta di getto la giovane a depistare una conversazione inopportuna per il suo status, pur aprendo una breccia nel suo cuore, come evidente dalla resa particolarmente intimista del cantabile dell’aria. Meno congeniale il “Sempre libera”, condotto tra prese di fiato occasionali e incertezze nell’intonazione, a fronte di un’esecuzione precisa negli abbellimenti e di spiccato senso ritmico negli staccati della coda. Se il primo atto è, tutto sommato, quello di minore distanza rispetto al panorama sopranile attuale, dal secondo in poi la Violetta della Netrebko conserva una luce propria. Nella casa di campagna troviamo, infatti, tutto un altro personaggio, oramai completamente assorto nella nuova vita con Alfredo, dove il continuo bilico emotivo è mediato da una linea di canto instancabilmente modulata e avulsa da intenti esibizionistici. Nel duetto con Germont, il ricorso al pianissimo è l’accorgimento per prendere timidamente coscienza dell’abbandono, dopo che il vibrato si era fatto stretto per trasmettere l’inquietudine di quell’“agitato” presente in partitura e subito prima del carismatico congedo da Alfredo, dove la travolgente fusione tra compattezza e dirompenza di suono indugia ad attenuarsi verso una chiusa di struggente evanescenza. Soluzioni cromatiche che si riflettono anche nel candore melanconico del concertato di fine atto, passando per un secondo quadro in cui l’interprete è tutt’altro che passiva, ma anzi riesce a trasmettere tutto lo stato tensionale di Violetta nel seguire il gioco delle carte tra i due rivali, a conferma dell’elevato calibro attoriale della cantante anche quando non direttamente chiamata in causa. Il connubio tra la nitidezza proiettiva di una gamma cromatica di profonda immedesimazione e le meste linee melodiche della scrittura lascia ancora di più il segno al riacutizzarsi della tisi. Qui il soprano materializza una lettura peculiare, dove i legati languono su frasi che sembrano sgorgare a stento e dove improvvisi affievolimenti calcano il debilitarsi dell’indole combattiva della giovane, ancora in forze per schiudere sospensioni acure d’intensa suggestione, la cui natura soffice e quasi flautata risulta singolarmente atta alla sublimazione finale del personaggio. Ad affermazione del pernio drammaturgico dell’opera, il duetto col Germont padre di Luca Salsi è risultato il confronto a due più aulico. Il baritono sembra avere interiorizzato tutti gli espedienti per poter essere un Giorgio Germont di riferimento, omogeneo nella voce quanto sicuro nel portamento. Sul filone dell’alto esempio di Leo Nucci, la sua interpretazione verte sull’attribuzione di un diverso peso alle singole parole del fraseggio, rispondendo al soprano con un’impostazione di canto autorevole e ricca d’accenti, pronta a calare il volume sulle più subdole allusioni o al rimarco delle inflessioni più autoritarie. La pedanteria del ruolo non si perde neanche nell’indisiosa aria di Provenza, dove al chiasma strofico fa seguito l’alternarsi di frasi in piano e in mezzo forte, a scongiurare il tedioso potenziale del pezzo. Un Germont di grande scavo, a cui si augura qualche momento di più libero sfogo in acuto. Più sullo sfondo lo statico Alfredo di Freddie De Tommaso, non privo di una certa leziosaggine. Corretto e sicuro nel passaggio al registro di testa (ben sostenuto il Do sovracuto opzionale), il tenore italo-britannico fa sfoggio di un buon controllo dei fiati, ma il timbro manca del colore atto a tornire il sentimentalismo del giovane innamorato, entro un’emissione non sempre a fuoco e di contenuto volume. Ne esce un Alfredo dalla dizione perfettibile e dal fraseggio piuttosto anonimo, mosso quasi esclusivamente dai tratti più impulsivi della parte. Dalla buca, il maestro Marco Armiliato segue gli interpreti con distinta professionalità, a favore di una direzione scorrevole e poco prevaricante, soprattutto negli assoli e nei passaggi più tenui dei duetti. La sua bacchetta saggia i temi lasciando che sia il palco a fare da protagonista, ma dà prova di grande esperienza nel risintonizzare l’orchestra su un paio di attacchi errati dei cantanti, concedendosi maggiore protagonismo nelle concitate atmosfere di festa e nella funzionale scansione dell’agogica. Per il resto, la locandina differiva dalla recita del 19/08 per il profetico Grenvil di Giorgi Manoshvili e il puntuale d’Obigny di Jan Antem, mentre i balli del secondo atto erano allietati dall’apporto dei primi ballerini del Teatro alla Scala Nicoletta Manni e Timofej Adrijashenko, applauditi con entusiasmo dal pubblico areniano. Esplosivo l’applauso finale alle parti principali, già preannunciato dai lunghi plausi a conclusione dell’inusuale trasposizione acuta in chiusura dell’“Ah, fors’è lui” e dalle (improbabili) richieste di bis al termine dell’integrale esecuzione dell’“Addio, del passato”, a cui si è unita l’ovazione della platea, per un arrivederci al prossimo anno più che promettente. Foto Ennevi per Fondazione Arena

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Erich Wolfgang Korngold (1897-1957): “Music for violin, cello & piano”

gbopera - Mar, 12/09/2023 - 16:05

Erich Wolfgang Korngold (1897-1957): Trio for Piano, Violin and Cello in D Major Op.1; Sonata for Violin and Piano in G Major Op.6; Tanzlied des Pierrot. Bruno Monteiro (Violino). Miguel Rocha (Violoncello). João Paulo Santos (Pianoforte). Registrazione: 25-26 febbraio 2023 presso l’Auditório Caixa Geral de Depósitos, ISEG Lisbon, Portugal. 1 CD Etcetera Records KTC1774
Quasi del tutto dimenticato dopo la sua morte, in quanto la sua musica fu giudicata superata a causa dell’affermazione delle innovazioni apportate dalla Seconda Scuola di Vienna, Erich Wolfgang Korngold fu, in vita, un compositore di successo, soprattutto di colonne sonore, durante il suo soggiorno negli Stati Uniti dove, essendo di origine ebraica, era stato costretto a emigrare in seguito all’ascesa del nazismo in Germania. Sue sono, infatti, le partiture delle colonne sonore dei film Captain Blood (1935), Anthony Adverse (1936), The Adventures of Robin Hood (1938), Juarez (1939), The Private Lives of Elizabeth and Essex (1939), The Sea Hawk, (1940), The Sea Wolf (1941) e Kings Row (1942). Negli ultimi anni una nuova attenzione è stata riservata alla figura di Korngold, del quale è stata riscoperta e incisa parte di quella produzione caduta nell’oblio. In questo clima di rinnovato interesse per la musica di Korngold va segnalata questa proposta discografica dell’etichetta Etcetera Records il cui programma è costituito da due suoi lavori giovanili, il Trio per pianoforte, violino e violoncello in re maggiore Op.1 e la Sonata per violino e pianoforte in sol maggiore Op. 6, e il Tanzlied des Pierrot tratto dall’opera Die Tote Stad qui presentato in una trascrizione per violoncello e pianoforte. Composto quando Korngold aveva appena 13 anni, il Trio, eseguito dal Trio Schwarz per la prima volta il 4 novembre 1910, è una pagina di una certa maturità soprattutto in considerazione della giovane età del suo autore. In esso il giovanissimo compositore mostra di ben padroneggiare le ampie forme della tradizione classica e anche di saper costruire ardite e interessanti soluzioni armoniche. Al primo movimento, in forma-sonata, energico, e pieno di fiducia sin dalle prime battute, segue uno Scherzo che, oltre ad includere una sezione in forma di valzer, si distingue per la varia scrittura armonica e ritmica. Una matura e originale scrittura armonica contraddistingue anche il terzo movimento, Larghetto, di carattere meditativo con passi di intenso lirismo, mentre pieno di vitalità è il Rondò conclusivo. Composta appena tre anni dopo ed eseguita per la prima volta a Berlino il 21 ottobre 1913 dal violinista Carl Flesh e dal pianista Artur Schnabel ai quali è dedicata, la Sonata per violino e pianoforte presenta anch’essa una poderosa struttura in quattro movimenti, dei quali il primo, Ben moderato, ma con passione, si segnala per una scrittura quasi sinfonica che alterna momenti di carattere drammatico ad altri di intenso lirismo. Ad esso seguono uno Scherzo di carattere virtuosistico, all’interno del quale si staglia un lirico trio, un Adagio, particolarmente intenso nel quale si sente l’influenza di Strauss e Mahler, e un Finale che si presenta come una serie di variazioni. Infine, il Cd si conclude con il suggestivo, intenso e malinconico Tanzlied des Pierrot, che, qui proposto in una versione per violoncello e pianoforte, è tratto dall’opera Die Tote Stad, scritta tra il 1919 e il 1920 su libretto proprio e del padre che si firmarono con lo pseudonimo di Paul Schott e rappresentata simultaneamente a Colonia e ad Amburgo il 4 dicembre 1920. Di ottimo livello l’esecuzione di questi brani da parte di Bruno Monteiro (Violino). Miguel Rocha (Violoncello). João Paulo Santos (Pianoforte). Nel Trio, infatti, gli artisti mostrano un ottimo affiatamento tale da dare l’impressone di ascoltare un unico strumento con diverse voci. Dotati di una tecnica perfetta e aiutati anche da João Paulo Santos il quale, con il suo pianoforte, sa restare sullo sfondo quando deve accompagnare per ritagliarsi il suo spazio nei momenti in cui è protagonista, Bruno Monteiro e Miguel Rocha non solo eseguono con grande facilità i passi di carattere virtuosistico, ma esibiscono una cavata particolarmente espressiva negli episodi lirici. Si tratta, in poche parole, di un’interessantissima proposta discografica che permette al pubblico di migliorare la sua conoscenza di un autore dimenticato, del quale solo oggi si sta iniziando a riscoprirne l’arte. 

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Torino, Auditorium del Lingotto, MITO settembre Musica 2023: “Wonderful Town “di Leonard Bernstein

gbopera - Lun, 11/09/2023 - 21:53

Torino, Auditorio del Lingotto, MITO Settembre Musica 2023
“WONDERFUL TOWN”
Musical in due atti su libretto di Joseph Fields, Jerome Chodorov, testi di John Betty Comden e Adolph Green.
Musica Leonard Bernstein
Ruth Sherwood ALYSHA UMPHRESS
Eileen Sherwood LORA LEE GAYER
Robert (Bob) Baker BEN DAVIS
Lonigan / Primo Redattore / Chick Clark  IAN VIRGO
Guida / Wreck / Secondo Redattore / Frank Lippencott  ADRIAN DER GREGORIAN
Solisti del Coro MARCO SPORTELLI / LEOPOLDO LO SCIUTO / ANDREA GOGLIO / LUIGI DELLA MONICA / DANIELA VALDENASSI / EUGENIA BRAYNOVA
Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Wayne Marshall
Maestro del Coro Ulisse Trabacchin
Torino, 8 settembre 2023
Al Lingotto l’8 settembre ha preso il via la 18° edizione della versione torinese di MITO Settembre Musica, il giorno prima, alla Scala, era toccato alla parallela milanese. Si tratta dell’8° e ultima con la direzione artistica di Nicola Campogrande ed ha tema conduttore e contenitore “le Città”. Come sempre il tema imposto è un debole suggerimento di fondo che quasi mai affonda gli artigli in un programma sconvolgente e rivelatore, ci si accontenta della lucidatura del banale. Già da alcuni anni poi, per COVID e budget contenuti, latitano i grandi nomi e soprattutto le grandi orchestre europee che avevano dato un’impronta, con la contemporanea dimenticata virata al barocco, dei mitici Settembre Musica torinesi. Si inizia con una produzione autoctona, del Teatro Regio sono infatti l’orchestra e il coro impegnati nella commedia musicale, qui in forma di concerto, Wanderful Town, musicata dal trentacinquenne Leonard Bernstein nel 1953. L’intreccio è assai flebile e la forma concertante contribuisce a illanguidirne ulteriormente la trama. Due sorelle, vengono dalle campagne dell’Ohio a New York per strutturarsi un futuro, delizioso il duettino iniziale, n.3 della suite, in cui il dittongo “ai” in Ohio e Why ne forgia il carattere starnazzante. Tra un ballo, un rag-time e uno swing si incontrano con altri disadattati che, lasciata la provincia, abbandonati a forza gli ideali, cercano di sbarcare il lunario. Storia ben presente anche a tanti nostrani “cervelli in fuga” contemporanei. Di uno si innamorano entrambe ma alla fine, senza tragedie e rimpianti dell’altra, una se l’accalappia. Il tema patetico/amoroso è sicuramente il grande assente dalla pièce, che vive dell’eclettismo e dello slancio vitale del compositore. Bernstein, grande onnivoro musicale, è fortunatamente, ancora una volta, allergico ad ogni forma di puccinismo e di languore punitivo. Le due ragazze un po’ “oche”, ma felici, vitali e giocose, pur scorrazzando nell’America puritana del tempo, non vengono colpevolizzate se al Vortex, dopo qualche bicchierino, si lasciano corteggiare dal bellone di turno. Il clima è quindi accostabile al coevo Candide più che non al successivo West Syde. Wayne Marshall, il colorato maestro dal Bernstein facile, infiamma la platea fin dall’Ouverture, con una pletorica strombazzante direzione. L’Orchestra del Teatro Regio pare nata per questo repertorio e si lancia, con massimo divertimento sia degli strumentisti che del pubblico, in una sfida tra leggii a chi è più brillante e sonoro. Scorrono memorabili tutti i numeri e più sono vivaci, più convincono, per raggiungere il parossismo nella Conga di chiusura della prima parte. Ci si mette d’impegno anche il Coro del Teatro Regio, che il nuovo maestro Ulisse Trabacchin ha ben attrezzato e ammaestrato allo scopo di certificarsi made in Broadway. Dal coro poi, quando necessario, emergono interventi di coristi isolati di qualità del tutto comparabile, per voce e per dizione inglese, a quella dei solisti professionisti in locandina. Tra questi ultimi, tutti microfonati, Alisha Umphress, mezzosoprano nel ruolo di Ruth, domina per il caldo timbro e la sfrontatezza da attrice consumata. Conoscendo di quante repliche godano questi lavori nel mondo anglosassone, siamo certi che Alisha vi sia ampiamente impegnata. La naturalezza con cui porge e con cui intrattiene il pubblico non è certo frutto di improvvisazione momentanea e dilettantesca. Si vorrebbe che molte Tosche e Mimi nostrane riuscissero a raggiungere un tal grado di dimestichezza col palcoscenico da attenuare così il disappunto suscitato da prestazioni vocali non sempre calibrate e di livello. Il soprano leggero Lora Lee Gayer (Eileen), la sorella più avvenente ed “ochetta”, una Marylin ante litteram. Anch’essa è disinvolta e brava attrice, ma vocalmente un gradino sotto alla sorella, pur con un’intonazione quasi immacolata e un timbro gradevole. Non altrettanto può dirsi del baritono Ben Davis, Robert (Bob) il belloccio concupito dalle sorelle che alla fine si dà a Ruth, l’intellettuale. È un attore cantante tipico da commedia musicale, con un accentuato senso del ritmo. Come cantante convince poco, già a partire dal timbro, assai poco gradevole. Il tenore Ian Virgo e il baritono Arian Der Gregorian, con un certo numero di personaggi ciascuno, completano il cast. Se pur la forma concertante non aiuta a definirne i ruoli in commedia, si tratta comunque di artisti provetti che cantano e recitano da professionisti consumati. Una nota di disappunto va all’amplificazione eccessiva delle voci che, assommata alla gran massa di suono prodotta dall’orchestra e dal coro, sovente satura e distorce. Il pubblico foltissimo, divertito, ha applaudito sonoramente tutti i numeri. Marshall e Umphress l’hanno poi spinto, con grande perentorietà, a levarsi dalle sedie per la Conga, gran ballo collettivo sulla musica scatenata del gioioso bis conclusivo della serata.

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Roma, RomaEuropa Festival 2023: “Ukiyo-E” di Sidi Larbi Cherkaoui

gbopera - Dom, 10/09/2023 - 16:50

UKIYO-E”
Con il Ballet du Grand Théâtre de Genève
Coreografia Sidi Larbi Cherkaoui
Drammaturgia Igor Cardellini
Musica Szymon Brzóska,Alexandre Dai Castaing
Canto e DanzaKazutomi «Tsuki» Kozuki
Canto, Shinobue, Nohkan e Kokyu Shogo Yoshii
Percussioni Alexandre Dai Casting, Shogo Yoshii
Musica elettronica Alexandre Dai Castaing
Scene Alexander Dodge
Costumi Yuima Nakazato
Luci Dominique Drillot
In coproduzione con Maison de la Danse, Lyon-Pôle européen de création, La Biennale de la danse de Lyon 2023, Eastman e Fondazione Romaeuropa Arte e Cultura.
Prima nazionale
Roma, 7 settembre 2023
Ukiyo-e, il titolo dello spettacolo a firma Sidi Larbi Cherkaoui che ha aperto la trentottesima edizione del Romaeuropa Festival, rimanda alle «immagini del mondo fluttuante», ovvero al genere di stampe giapponesi che furono in auge nel periodo storico Edo, in cui un relativo assetto legato al potere della famiglia Tokugawa seguì ad aspri combattimenti. Vedute naturali capaci di infondere una profonda pace, grazie alle limpide distese d’acqua e alla stabilità dei monti, nonché alla freschezza dei fiori di ciliegio, ma anche schizzi che catturano l’impetuosità delle onde e lo stesso movimento sociale delle classi in ascesa (pensiamo in particolare alle opere più note di Hiroshige e Hokusai). Tranquillità meditativa e ritratti sensuali. Tuttavia, il lavoro di Cherkaoui – come spiega lo stesso coreografo nel programma di sala – non vuole essere una riflessione sulla cultura nipponica, ma piuttosto una dimensione esistenziale, una geografia dell’anima. Ci si immerge già ad inizio spettacolo grazie al suono di percussioni ispirate alla musica tradizionale giapponese che provengono da un piano elevato della scena, separato da un velo dallo spazio più basso riservato ai danzatori. Il primo di loro appare da un lato avanzando di profilo sul proscenio, rispondendo al richiamo della musica con un battito sul petto che pone lo spettatore in una condizione di ascolto emotivo. Al suo abito colorato si contrappone il colore scuro delle tonache degli altri danzatori che lentamente si dispongono sulle scale ideate dallo scenografo Alexander Dodge ispiratosi a M. C. Escher. Scale in grado di dividersi e riavvicinarsi, di roteare su se stesse, riflettendo l’idea di impermanenza a cui il coreografo cerca di dare una risposta nella sua creazione, lasciando interagire con esse i danzatori. Compare quindi nella coreografia l’elemento della caduta, che nel suo valore simbolico non rappresenta una frattura, ma solo un momento di passaggio, seguito dall’imperturbabilità degli interpreti. Ai fluidi movimenti veloci e inafferrabili del primo danzatore, fanno seguito dinamiche più angolose. Il singolo si connette al gruppo che lo imita o lo eleva, per poi distanziarsene grazie alla componente dell’applauso metateatrale. Tali tensioni si incarnano in un coinvolgente assolo maschile capace di esprimere tormenti interiori evidenziati dall’apparire di una figura specchio, immobile sulle scale. Eppure, gradualmente, sembra ricomporsi un’armonia. Risuonano le parole di Hold your own di Kae Tempest, che invitano a fermarsi per prender fiato, a seguire la propria intima vocazione, a non dimenticare gli affetti. Da una rinnovata pantomima di gesti si passa alla danza, a un duetto in cui i corpi si intrecciano, il femminile e il maschile entrano in comunione, illustrata dalla fisicità scenica di un bacio. Il corpo di ballo si apre a una magica coralità sottolineata dalla musica che, dopo aver fatto dialogare tradizione giapponese e musica elettronica, sembra voler esprimere una nuova classicità. È solo una parentesi, la danza ritorna scomposta, trasmettendo agli interpreti il moto iniziale delle scale. Si ripresentano le cadute. Alla sensazione di protezione rappresentata visivamente dai mantelli indossati dai performers si sostituisce il corpo seminudo. Pur disponendosi in cerchio o in fila, pur tenendosi per mano, gli interpreti si distanziano, subiscono dei contraccolpi, si attraversano e infine escono di scena. Parlando alla nostra contemporaneità, Cherkaoui sembra volerci far riflettere sull’inquietudine che la caratterizza, spingendoci allo stesso tempo verso la riflessione interiore, nel tentativo di restare in piedi. Foto Gregory Batardon

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Le cantate di Johann Sebastian Bach: Quattordicesima domenica dopo la Trinità

gbopera - Dom, 10/09/2023 - 00:33

Per la quattordicesima domenica dopo la Trinità, Bach ha composto tre cantate, la prima delle quali porta il numero di catalogo BWV 25 Es ist nichts Gesundes an meinem Leibe (Per il tuo sdegno non c’è nel mio corpo nulla di sano) eseguita per la prima volta a Lipsia il 29 agosto 1723. Come per la precedente cantata, anche in questa,il brano portante è il coro d’apertura. Sulla base del testo, tratto dal salmo 37 vers.4,  Bach costruisce un impianto polifonico, in doppia fuga, ma con alquanto libertà di trattamento. A ciò si sovrappone la melodia del Corale “Herzlich tut mich verlangen”. Non possiamo qui esporre le soluzioni adottate da Bach, ma sarà sufficiente sottolineare che ancora una volta, tutta la costruzione musicale è frutto di un processo inventivo calcolato e definito in ogni particolare. Per quanto riguarda le altre pagine, si deve sottolineare la presenza di di due arie bipartite, la prima delle quali, per basso (nr.3 “Ah, povero me, dove troverò consiglio?”) sostenuta dal solo “continuo”, con un disegno in “ostinato”, mentre la seconda, per soprano (nr.5 “Apri ai miei poveri canti”), ripropone l’orchestra del primo brano esclusi gli ottoni in un quadro dominato dallo spirito della danza, in questo caso, un Minuetto, in armonia con un testo altrettanto delicato. Così un’opera che si era aperta con tanta orgogliosa severità di trattamento, munita di una impostazione musicale dogmatica e rigorosa, si conclude con un leggiadro omaggio alla mondanità, nella perfetta e beata attitudine che quell’epoca aveva nel conciliare ogni preposizione di dialettica, concedendo infiniti spazi alla fantasia, alla Oraziana “Rerum concordia discors”.

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Es ist nichts Gesundes an meinem Leibe” BWV 25

Nr.1 – Coro
Per il tuo sdegno non c’è nel mio corpo
nulla di sano, nulla è intatto nelle mie ossa
per i miei peccati.
Nr.2 – Recitativo (Tenore)
Il mondo intero è ridotto ad un ospedale
dove innumerevoli uomini
e persino bambini nella loro culla
giacciono nei tormenti della malattia.
Alcuni sentono nel petto
una febbre ardente di maligna lussuria,
altri giacciono malati
nel putrido odore della loro vanità;
i terzi sono divorati dalla cupidigia
che li precipita prematuramente nella tomba.
La colpa originale ha contaminato
e infettato chiunque con la lebbra del peccato.
Ah! Questo veleno penetra nelle mie membra.
Povero me, dove troverò l’antidoto?
Chi mi sarà accanto nella sofferenza?
Chi è il mio dottore, chi mi curerà ancora?
Nr.3 – Aria (Basso)
Ah, povero me, dove troverò consiglio?
La mia lebbra, le mie piaghe
non possono essere curate da altra erba o
unguento se non dal balsamo di Gàlaad.
Tu, mio medico, Signore Gesù, tu solo
conosci la cura migliore per la mia anima.
Nr.4 – Recitativo (Soprano)
O Gesù, caro maestro,
io mi rifugio in te;
ah, fortifica il mio indebolito spirito vitale!
Abbi pietà di me,
tu che sei medico ed ausilio degli infermi,
non allontanarmi
dalla tua presenza!
Mio Salvatore, purificami dalla lebbra del peccato,
così potrò offrirti
in cambio tutto il mio cuore
in sacrificio perpetuo
e ringraziarti del tuo aiuto per tutta la vita.
Nr.5 – Aria (Soprano)
Apri ai miei poveri canti
le orecchie della tua grazia, Gesù!
Quando nel coro celeste
canterò insieme agli angeli,
la mia lode di ringraziamento suonerà migliore.
Nr.6 – Corale
Per tutti i miei giorni
loderò la tua mano potente,
con cui hai dolcemente allontanato
i miei tormenti ed i miei lamenti.
Non solamente tra i mortali
deve essere esaltata la tua gloria:
voglio testimoniarla anche nell’aldilà
e lodarti per sempre.
Traduzione Emanuele Antonacci

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Roma, Teatro Vittoria “Risate di Gioia: Storie di gente di teatro” dal 19 al 24 Settembre 2023

gbopera - Sab, 09/09/2023 - 16:03

Roma, Teatro Vittoria Stagione 2023/2024
Piazza di S Maria Liberatrice, 10

00153 Roma RM
RISATE DI GIOIA Storie di gente di teatro
Ispirato alle opere Il teatro all’antica italiana di Sergio Tofano 
Antologia del grande attore di Vito Pandolfi e Follie del varietà a cura di Stefano De Matteis, Martina Lombardi, Marilea Somarè
da un’idea di Elena Bucci
drammaturgia, scene, costumi, interpretazione e regia di Elena Bucci e Marco Sgrosso
Come erano gli spettacoli del passato? Quali le miserie e il fascino del teatro di un tempo? Come risuonavano le voci? E i gesti? Come si svolgevano le prove? Quale energia si sprigionava in quelle sale illuminate a candele o a gas, quando il teatro era un centro vibrante della vita sociale, culturale e politica delle comunità? In queste ed altre appassionate domande, è racchiuso il senso di questo lavoro, ispirato a studi, saggi, documenti, biografie, autobiografie e lettere di gente di teatro. Come archeologi tra le rovine usiamo gli strumenti del teatro, medium che apre spazio e tempo, per evocare frammenti di un’arte tra le più fragili e tenaci e ritrovarne il battito. La notte di Capodanno, in un teatro abbandonato – che assomiglia a quello che anni fa riaprimmo con l’aiuto di molti – due attori senza nome e senza successo, innamorati del loro mestiere pur essendo solo due ‘comparsoni’ tra centinaia di altri, rimangono stregati. Immaginano di sentire i bisbigli e i sussurri di chi passò prima di loro. Alcuni antenati appaiono e se ne vanno, altri si fermano. Artiste e artisti di ieri, parte di una comunità girovaga e vitale dai molti volti, idealisti, cialtroni, coraggiosi, appassionati, capaci di rinnovare la loro arte ad ogni generazione, di aggirare ogni censura, di vincere ogni difficoltà, ci conducono per mano tra camerini e palcoscenici dei teatri tra Ottocento e Novecento. Intravediamo personaggi famosi e dimenticati, primi attori, primedonne, servette, generici, portaceste, suggeritori, sentiamo la violenza della prima guerra mondiale che chiuse i teatri e ne cambiò il volto, fino ad arrivare alle sfavillanti e amare luci del varietà e a coloro che per primi hanno fatto il salto verso il cinema. Entriamo in un mondo dove il legame tra il pubblico e la gente di teatro è forte, dove si illuminano le antiche radici di un patto. Lo spettacolo si inscrive in un disegno che comprende le drammaturgie originali La pazzia di Isabella – vita e morte dei Comici GelosiNon sentire il male – dedicato a Eleonora DuseBimba – inseguendo Betti e PasoliniParola di principe e A colpi d’asciatratta dal libro omonimo di Thomas Bernhard per arrivare alle ricerche Archivio vivo e All’antica italiana, progetti e spettacoli rivolti allo studio, alla documentazione e al racconto della storia delle arti a partire dalle testimonianze degli stessi artisti; un racconto dal vivo dove arti e saperi possano intrecciarsi. Cerchiamo suono, immagini e incanto di un patrimonio della tradizione che dimostra intatta la sua sovversiva e rivoluzionaria vitalità. È immensa la folla di coloro che non riusciamo a nominare, che non riusciamo ad incarnare, ma sentiamo il loro respiro, il sogno, l’azzardo e ne traiamo forza per cantare nel buio. Qui per tutte le informazioni.

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Verona: Stefano Bollani inaugura il settembre dell’Accademia

gbopera - Ven, 08/09/2023 - 15:48

Si parte con uno dei personaggi musicali più amati dal grande pubblico, l’eclettico, geniale, multiforme Stefano Bollani. Da anni il pianista jazz milanese compie escursioni nel mondo della musica classica, vantando collaborazioni con grandi direttori e orchestre internazionali:domenica 10 settembre (ore 20.30) salirà sul palco assieme all’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Juraj Valčuha per eseguire un capolavoro del Novecento, la Rhapsody in blue di George Gershwin, vera e propria icona musicale della città più dinamica e vitale del pianeta, New York.  Anche il resto del programma dell’Orchestra Rai è ispirato in un modo o nell’altro dall’America: di Leonard Leonard Bernstein viene proposta la brillante Ouverture dal Candide, con tanto di crescendo rossiniano nel finale,  e di Anna Clyne, inglese naturalizzata americana,  una recente composizione dal titolo Red. Nella seconda parte del concerto si ascolterà la celebre Sinfonia n. 9 “Dal Nuovo Mondo” di Dvořák : l’America vista da una prospettiva sinfonica europea ma con un affascinante miscuglio di temi presi dal composito folklore americano. Juraj Valčuha dirige i complessi Rai: di nazionalità slovacca ha da sempre stretti rapporti con l’orchestra torinese, di cui è stato direttore principale, e con la quale si è già esibito al “Settembre” nel 2009.

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Estate Teatrale Veronese 2023: “Medea” in scena il 12 e 13 settembre 2023

gbopera - Ven, 08/09/2023 - 15:37

Un finale di stagione nel segno del classicismo. Sarà Medea di Euripide, diretta da Federico Tiezzi nella traduzione di Massimo Fusillo, a chiudere la 75a edizione dell’Estate Teatrale Veronese. La grande eroina di Euripide arriva a Verona interpretata da Laura Marinoni. Lo spettacolo, che nei mesi scorsi ha registrato record di pubblico, sarà in scena martedì 12 e mercoledì 13 settembre, alle ore 21.15. La regia di Federico Tiezzi si concentrerà sulle molte sfaccettature del testo, che per la prima volta nel teatro greco utilizza come motore dell’azione la passione di una donna, una passione violenta e feroce che rende Medea una donna debole e forte allo stesso tempo: forte perchè padrona della sua vita, debole perché questo la rende sola in un misto di ira e di pietà.
Nel cast con Laura Marinoni anche Debora Zuin (Nutrice), Riccardo Livermore (Pedagogo), Roberto Latini (Creonte), Alessandro Averone (Giasone), Luigi Tabita (Egeo), Sandra Toffolatti (Il Nunzio); Francesca Ciocchetti (prima corifea) e Simonetta Cartia (prima coreuta e direttrice del coro) mentre il coro è formato da Alessandra Gigli, Anna Charlotte Barbera, Valentina Corrao, Valentina Elia, Caterina Fontana, Irene Mori, Aurora Miriam Scala, Maddalena Serratore, Giulia Valentini e Claudia Zappia; Sebastiano Caruso è il portatore di Medea, i figli di Medea sono interpretati da Matteo Paguni e Francesco Cutale.
La traduzione del testo di Euripide è di Massimo Fusillo, le scene sono di Marco Rossi, i costumi di Giovanna Buzzi, il disegno luci di Gianni Pollini, maestra del coro è Francesca Della Monica, arrangiatore coro e voci Ernani Maletta, regista assistente è Giovanni Scandella, le musiche originali del coro e del prologo sono state composte da Silvia Colasanti con la collaborazione del Coro di voci bianche del Teatro dell’Opera di Roma, assistente scenografo è Francesca Sgariboldi, assistente costumista è Ambra Schumacher, assistente arrangiamenti e coro è William Caruso, direttore di scena è Nanni Ragusa.
Biglietti in vendita al Box Office di via Pallone, così come online sui siti www.boxofficelive.it e www.boxol.it. Oppure la sera dello spettacolo, direttamente al botteghino del Teatro Romano dalle ore 20.

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Verona, Estate Teatrale Veronese 2023: Andrea Pennacchi in “Shakespeare & me”

gbopera - Ven, 08/09/2023 - 11:23

Vreona, Teatro Romano, Estate Teatrale Veronese 2023
“SHAKESPEARE & ME”
Di e con Andrea Pennacchi
musiche dal vivo di Giorgio Gobbo
produzione Teatro Boxer
responsabile tecnico Christian Reale
organizzazione Vanessa Gibin, Marialaura Maritan
Verona, 7 settembre 2023
Partendo dalla premessa che, chi scrive, non aveva una grande conoscenza del “fenomeno Pennacchi”, avendolo solo casualmente incrociato in tv, all’interno del programma “Propaganda live” di Diego Bianchi, quindi sapevo ben poco del creatore del Pojana e del territorio del Pojanistan. All’annuncio dello spettacolo “Shakespeare & Me” all’interno della stagione teatrale del Teatro Romano di Verona, mi sono premunito di leggere l’omonimo volumetto, del 2022, versionediciamo “ampia” di quello che Pennacchi racconta nello spettacolo che, in sostanza altro non è che un divertito, ironico e autoironico racconto di vita nel quale si inserisce l’incontro con il “Bardo”.  il pubblico veronese, che sicuramente conosce Pennacchi e ha “esaurito” le due serate al Romano, ne ascolta divertita la narrazione che, partendo dall’adolescenza nella periferia di Padova, agli anni scolastici “foresti”, all’istituto “Francesco Baracca” di Forlì, con le spacconete e risse per questioni di “tose” ( e qui l’attore cita Shakespeare, inserendo frasi tratte dal monologo sull’onore di Falstaff). Seguono gli intricati percorsi: il servizio militare, l’università, i primo approcci al teatro sperimentale, fino ad arrivare alla casuale occasione di narrare Shakespeare in giro per le scuola del Veneto. Una “galoppata” che indubbiamente mettono in luce le capacità di empatia, immediatezza, semplicità, divertimento anche nel volere “smontare” lo Shakespeare teatrale più debole ( da qui parte l’esilarante narrazione de “i due gentiluomini di Verona”) per chiudere  con il Puck (“pronunciato come si scrive” e non all’inglese…altro argomento trattato da Pennacchi). Una novantina di minuti, inframmezzati dalla musica “live” del bravo chitarrista Giorgio Gobbo. Quasi inutile dire che il successo di pubblico è stato pieno e convinto.

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Roma, Galleria Borghese: “La danza omaggia Bernini” 13 Settembre 2023

gbopera - Mer, 06/09/2023 - 17:12

Roma, Galleria Borghese
LA DANZA OMAGGIA BERNINI
con Eleonora Abbagnato, Sergio Bernal, Sasha Riva, Simone Repele, Rosario Di Maro
Direzione artistica di Daniele Cipriani

Il 13 settembre alle 20.15 e alle 21.30 sarà possibile visitare, eccezionalmente oltre l’orario di apertura del museo, la collezione permanente posta al piano terra, col fine di ampliare la possibilità di ammirare i gruppi scultorei di Gian Lorenzo Bernini. Per l’acquisto del biglietto la prenotazione è obbligatoria chiamando lo 06 32810 oppure cliccando qui . I biglietti sono limitati. Disponibilità fino ad esaurimento posti. Durante i due turni di visita, ciascuno di 1 ora, il pubblico verrà accompagnato da La danza omaggia Bernini, che prende ispirazione proprio dalla potenza teatrale dell’opera del grande maestro barocco. A rendergli omaggio saranno due protagonisti della danza internazionale, Eleonora Abbagnato, già étoile dell’Opéra de Paris e direttrice del Corpo di ballo dell’Opera di Roma, e Sergio Bernal, già primo ballerino del Ballet Nacional de España. Con loro, i coreografi/danzatori Sasha Riva e Simone Repele, ognuno dei quali condurrà il pubblico lungo un percorso immersivo, un viaggio tra suggestioni coreutiche, artistiche, storiche e architettoniche che porterà alla scoperta di opere, storie, miti e artisti, in un inedito dialogo tra antichità d’arte e modernità d’ispirazione, tra storia e contemporaneità. Saranno inoltre presenti Rosaria Di Maro, Alessio Rezza, étoile del Teatro dell’Opera di Roma, e altri ballerini del teatro capitolino. La danza omaggia Bernini si concentra su tre capolavori del Bernini – Il Ratto di Proserpina, Apollo e Dafne e David – simboli di un’arte in grado di infondere movimento all’immobilità della materia e colore al candore della pietra. Il percorso si snoda dalla sala degli Imperatori, dominata dalla celebre scultura del Ratto di Proserpina, a quelle del David e di Apollo e Dafne, per concludersi nel monumentale salone di Mariano Rossi. Dal balletto Le Parc (cor. Angelin Preljocaj), diventato uno dei cavalli di battaglia della grande ballerina, Eleonora Abbagnato interpreterà due momenti clou, il passo a cinque detto “dei Giardinieri” e il passo a due, detto “del bacio”, mentre Sergio Bernal ci propone una danza di grande intensità dal lavoro da lui stesso creato in onore di un altro celebre scultore: Rodin. C’è attesa per la nuova creazione di Sasha Riva e Simone Repele, interpreti e autori sempre più apprezzati nel panorama tersicoreo mentre, sempre in chiave contemporanea, un momento particolarmente suggestivo, su cui aleggerà lo spirito di Pigmalione, sarà l’assolo creato da Adriano Bolognino, giovane coreografo tra i più apprezzati sull’attuale scena contemporanea, per la danzatrice Rosaria Di Maro; questa, completamente ricoperta di creta, sarà come una novella Galatea che si anima grazie al ‘soffio’ dello scultore. La danza omaggia Bernini, frutto dell’incontro tra espressioni artistiche differenti (danza, musica e arte), presenta storie che appartengono a tutti, la proiezione danzante di stati d’animo che abitano il nostro mondo interiore, opere d’arte “in movimento” in un passaggio, senza soluzione di continuità, da scene marmoree a momenti tersicorei: dall’attimo eterno della scultura a quello fuggente del gesto danzato. Direzione artistica di Daniele Cipriani

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Lugano, Teatro LAC: “Anna Bolena”

gbopera - Mar, 05/09/2023 - 23:33

Lugano, Teatro LAC, Stagione Teatrale 2023/24
ANNA BOLENA
Tragedia lirica in due atti su libretto di Felice Romani, tratto da “Anna Bolena” di Alessandro Pepoli e da “Henri VIII” di Marie-Joseph Chénier nella traduzione di Ippolito Pindemonte.
Musica di Gaetano Donizetti
Anna Bolena CARMELA REMIGIO
Enrico VIII 
MARCO BUSSI
Giovanna Seymour
 ARIANNA VENDITTELLI
Riccardo
 Percy RUZIL GATIN
Edgardo Rochefort
 LUIGI DI DONATO
Smeton
 PAOLA GARDINA
Hervey MARCELLO NARDIS
Orchestra I Classicisti
Coro della Radiotelevisione Svizzera
Direttore Diego Fasolis
Maestro del Coro Donato Sivo
Regia Carmelo Rifici
Scene Guido Buganza
Costumi Margherita Baldoni
Luci Alessandro Verrazzi
Nuovo allestimento LAC Lugano Arte e Cultura in coproduzione con Associazione “I Barocchisti”, RSI Radiotelevisione svizzera, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Fondazione Teatri di Piacenza, Fondazione Teatro Comunale di Modena
Lugano, 04 settembre 2023
La recita dell’“Anna Bolena” di Donizetti al LAC di Lugano impone una riflessione seria e che certo non si risolverà nelle poche righe di questo pezzo: fino a che punto un direttore d’orchestra, nell’organizzazione di un’opera, è un monarca assoluto, che impone i suoi desiderata e i suoi punti di vista a musicisti, cantanti, coro e pubblico? Fin a che punto egli è maestro concertatore e fino a che punto filologo musicale? Ieri sera Diego Fasolis – professionista internazionale di chiara fama, acclamato pure da molta critica, per questo mi permetto di prenderlo come esempio – ha proposto una “Bolena” di tre ore e mezza abbondanti, senza un taglio, senza mancare un ritornello, senza una cadenza o un abbellimento di tradizione, con due soprani nei ruoli principali, adducendo come giustificazione il fatto che “Donizetti l’ha scritta così”, e ostendendo alla fine del primo atto la partitura tipo particola all’Eucarestia. Come detto, Fasolis gode di larga fama e ha sempre, alle sue recite, una calorosa claque di aficionados che gli garantiscano applausi scroscianti (così è stato anche ieri), tuttavia, scambiando qualche impressione con gli spettatori “non convertiti”, la sensazione è quella di uno stillicidio, quando non un sequestro di persona. È saggio che un direttore imponga ad una piazza peraltro periferica (giacché Lugano non ha una vera stagione lirica, non possiede uno zoccolo duro di pubblico, all’interno della Confederazione non è certo considerata una piazza lirica di rilievo, e infatti si rivolge all’Italia per cercare coproduzioni) un’edizione filologica e pedissequa (oltre che pedante)di un’Anna Bolenao? – si trattasse di un’opera rara, sarebbe comprensibile l’esigenza di una tale aderenza alla partitura, ma con un’opera così conosciuta si rischia di deludere anche le aspettative del pubblico. Si lascino aperte le questioni alla riflessione individuale (non esiste probabilmente una risposta univoca) per passare, invece, alla concertazione del maestro Fasolis, su cui più di un appunto ci sarebbe da fare: ci limitiamo a constatare che forse Donizetti non andrebbe diretto come  l’Elektra di Richard Strauss, con tutta la virulenza e il costante predominio di dinamiche marcate e l’evidenza posta sulle percussioni. Anche le agogiche della direzione risultano talvolta pesantemente sfalzate rispetto alla tradizione – basti pensare a “Al dolce guidami”  esguita con il metronomo, senza un momento di abbandono – e pochissimo spazio viene lasciato agli applausi del pubblico, sovente abortiti dall’orchestra impetuosa e implacabile. Francamente non se ne capisce la ragione di questo modo nervoso e sguaiato di dirigere “Anna Bolena”, ma tant’è, come già detto, Fasolis è “Maestrissimo” riconosciuto, sarà una questione di gusto di chi scrive. Purtroppo a questa pachidermica “Bolena” contribuisce anche l’uniformità in toni di grigio-marrone-nero dell’impianto scenico di Guido Buganza, che vorrebbe sembrare innovativo, forse, e invece è un semplice praticabile rotante ai cui lati sono poste delle parete semovibili. L’effetto dei molti spazi di differente ampiezza e identità funziona, per carità, ma la sostanziale monocromia e il minimalismo esasperato della scena rende tutto un po’ uguale. Non aiuta nemmeno il progetto costumistico di Margherita Baldoni, francamente incomprensibile: non si rispetta un’epoca precisa, non uno stile, se non il già citato minimalismo delle forme e la monotonia dei colori; Anna nel secondo atto in finta pelle verde, comunque, ce la saremmo volentieri risparmiata e sfora nel kitsch, ancor più che Enrico nel primo su un cavallo di plastica. Unico aspetto veramente riuscito della scena è il disegno luci, intenso, suggestivo, in grado di cavare da tanta pulita staticità più dimensioni, un’atmosfera emotivamente multisfaccettata – bravo Alessandro Verazzi. La regia strictu sensu di Carmelo Rifici si vede poco e quello che si vede è talvolta scollato dall’ingombrante drammaturgia orchestrale: si apprezzano quei due guizzi di sorpresa – il ritratto di una donna che piange che emerge da sotto la vernice di un muro, alcuni tableau vivant ben costruiti – e poco altro. Specialmente il personaggio di Anna pare gestito in maniera discontinua: con le mani in mano per tutto il primo atto e poi sovrinterpretativa nel secondo, con gesti larghi, posizioni plastiche e mimica facciale marcata; il resto del cast molto più credibile e misurato, nel solco di una tradizione certamente meritevole di essere approfondita meglio. I solisti hanno fornito – almeno loro – tutti prove di grande pregio; Ruzil Gatin (Percy), il più applaudito, è stato la bella conferma della serata: il colore chiaro del tenore leggero ha saputo arrotondarsi, ispessirsi, e oggi ha l’autorevolezza di una grande voce, grazie soprattutto alla crescita tecnica dell’interprete nel padroneggiare la tessitura impervia del ruoloi e all’attenta, efficace cura del fraseggio. Ci aspettiamo che Gatin presto affronti anche i ruoli belliniani, per cui ormai sembra decisamente pronto. Marco Bussi è un’Enrico vocalmente solido, omogeneo nell’emissione del bel suono brunito che lo caratterizza, ma non per questo trascura il fraseggio, contraddistinto dalla nobiltà nel porgere e dal giusto grado di sofferto trasporto. Molto bene anche il Rochefort di Luigi De Donato, basso morbido dalla solidissima tecnica e dalla ricca gamma espressiva, Paola Gardina, indossa con la disinvoltura che le è propria le vesti di Smeton e con una vocalità altrettanto appropriata, dai bei colori caldi e una linea di canto accuratamente cesellata, e Marcello Nardis, ha saputo altrettanto valoirzzare il ruolo di Hervey. La volontà dichiarata di Fasolis di rinverdire la competizione tra “primedonne”, che a suo dire ingolosiva il pubblico d’opera del tempo, porta qui alla  sfida – se di essa si può parlare – tra Carmela Remigio (Anna) e Arianna Vendittelli (Giovanna) vinta, a nostro parere, dalla seconda, per bellezza del colore, smalto vocale, morbidezza della linea di canto e commossa espressività. La sua Giovanna è priva di quel distacco che talvolta viene richiesto per far risaltare meglio Anna: ella è davvero serva fedele, quasi innamorata, della Regina, e la passione per Enrico si esprime in pochi momenti di struggente vampa d’eros. Tecnicamente, infine, Vendittelli mostra singolare maturità, padroneggiando filati e mezzevoci tanto quanto le impervie agilità del ruolo. Carmela Remigio, dal canto suo, è una Bolena navigata e apprezzatissima, ma la linea di canto, si presenta discontinua, inficiata nei centri da suoni innaturalmente intubatio e  da una grande prudenza nell’affrontare il canto d’agilità. La performance è stata complessivamente di livello, ma un po’ al di sotto delle aspettative che una grande interprete dei nostri giorni, come il soprano abruzzese, sa creare. Infine, bellissima conferma si rivelato il Coro della Radiotelevisione Svizzera, sonoro, coeso, efficace anche quando diviso in semicori per genere, scenicamente coinvolto – un plauso al maestro Donato Sivo, ma anche al maestro Fasolis, che lo ha fatto crescere dagli Anni Novanta e ancora ne detiene la direzione artistica. In conclusione ci auguriamo che il LAC possa presto affiancare una vera stagione lirica a quella di prosa, e non si limiti più solamente a un titolo all’anno, in modo da assolvere anche alla funzione pedagogica sul pubblico ticinese, che solo una pluralità artistica e una diversificazione dei titoli possono garantire. Foto Masiar Pasquali

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