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Musica corale

Parma, Teatro Regio: “Adriana Lecouvreur” dal 24 marzo al 2 aprile

gbopera - Mer, 22/03/2023 - 16:14

In scena da venerdì 24 marzo 2023, ore 20.00, domenica 26 marzo 2023, ore 20.00, venerdì 31 marzo 2023, ore 20.00 e domenica 2 aprile 2023, ore 15.30
La recita di venerdì 24 marzo sarà trasmessa in diretta su operastreaming.com
Durata 2 ore e 45 minuti circa, compreso un intervallo 
“ADRIANA LECOUVREUR”v 
Musica  di Francesco Cilea 
Maurizio  RICCARDO MASSI
Il principe di Bouillon  ADRIANO GRAMIGNI
L’abate di Chazeuil SAVERIO PUGLIESE
Michonnet   CLAUDIO SGURA
Poisson  STEFANO CONSOLINI
Quinault  STEPONAS ZONYS
Adriana Lecouvreur  MARIA TERESA LEVA
La principessa di Bouillon   SONIA GANASSI
Mademoiselle Jouvenot  VITTORIANA DE AMICIS
Mademoiselle Dangeville  CARLOTTA VICHI
Orchestra dell’Emilia Romagna “Arturo Toscanini”
Coro del Teatro Regio di Parma
Maestro concertatore e direttore Francesco Ivan Ciampa
Maestro del Coro Martino Faggiani
Regia Italo Nunziata
Scene Emanuele Sinisi 
Costumi Artemio Clabassi 
Luci Fiammetta Baldisserri
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Parma
In coproduzione con Teatro Comunale di Modena
Teatro Municipale di Piacenza
Spettacolo con sopratitoli in italiano


 

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Roma, Galleria Borghese: “Dosso Dossi. Il fregio di Enea” dal 04 Aprile al 11 Giugno 2023

gbopera - Mer, 22/03/2023 - 14:54

Galleria Borghese
Piazzale Scipione Borghese 5,
00197 Roma, Italia
Tel. +39 068413979
mail. ga-bor@cultura.gov.it
“DOSSO DOSSI. IL FREGIO DI ENEA” 
a cura di Marina Minozzi

La Galleria Borghese presenta dal 4 aprile all’11 giugno 2023 la mostra inedita Dosso Dossi. Il fregio di Enea, a cura di Marina Minozzi. Si tratta della prima mostra dedicata al ciclo pittorico del grande artista ferrarese.
In questa occasione, vengono riunite per la prima volta in un’unica sede cinque delle dieci tele che componevano il fregio realizzato da Dosso Dossi tra il 1518 e il 1520 per il Camerino d’Alabastro del Duca Alfonso I d’Este a Ferrara. L’operazione, anche dettata dall’entusiasmo per la recente ricomparsa di alcune di queste tele, è frutto di un’ambiziosa collaborazione con il Louvre Abu Dhabi, la National Gallery of Art di Washington D.C. e il Museo del Prado di Madrid.
Con questa esposizione la Galleria Borghese porta a compimento la sua ricerca sulla pittura di paesaggio e il rapporto tra Arte e Natura con Dosso Dossi. Qui per tutte le informazioni.

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“Cabinet of Curiosities”: il magico viaggio nel tempo del Cirque du Soleil a Roma

gbopera - Mer, 22/03/2023 - 14:19

Roma, Viale Tor di Quinto
Under the Grand Chapiteau
Viale di Tor di Quinto, 110
00191 Roma (RM)

“KURIOS” Cabinet of Curiosities Cirque du Soleil
Regia ed autore: Michel Laprise
Produzione: Show Bees, Vivo Concerto
ROMA: 21 marzo – 29 Aprile 2023
MILANO: 10 Maggio – 25 Giugno 2023

Un affascinante universo steampunk prende vita sul palco, trascinando il pubblico in un’avventura onirica e sensazionale.

Roma, 21 Marzo 2023
Il Cirque du Soleil torna a stupire il pubblico italiano con “Cabinet of Curiosities”, uno spettacolo affascinante e visionario che atterra a Roma, immergendo gli spettatori in un’avventura ambientata agli albori del XX secolo. La narrazione segue le vicende di uno scienziato, The Seeker (interpretato dall’abile Anton Valen), convinto dell’esistenza di un mondo invisibile in cui ogni sogno può avverarsi, forse non nel presente, ma nel futuro. Lo spettacolo trae ispirazione dalle atmosfere steampunk, un genere letterario che combina elementi di fantascienza con scenari e tecnologie anacronistiche, immaginando un passato alternativo modellato da un futuro giunto prima del previsto. In questo contesto, la Londra vittoriana di autori come Conan Doyle, H.G. Wells e Jules Verne diventa la cornice ideale per “Cabinet of Curiosities”.
La domanda che aleggia nell’aria è: “E se fosse possibile alterare la realtà con il potere della nostra immaginazione?”. “Cabinet of Curiosities” trascina gli spettatori in un regno affascinante e misterioso, in cui i sensi e le percezioni vengono disorientati fino a far dubitare della realtà stessa. Si apre così l’armadietto delle meraviglie di un inventore audace, che sfida le leggi del tempo e dello spazio per reinventare il mondo che lo circonda. Personaggi unici e stravaganti lo guidano in un luogo incantato, dove l’immaginazione prende il sopravvento e le curiosità prendono vita una ad una, sotto i suoi occhi increduli. Un universo capovolto, fatto di poesia e umorismo, dove il visibile diventa invisibile e le prospettive si trasformano. Le musiche di “Kurios” sono interamente originali, frutto di un processo creativo che mira a enfatizzare e valorizzare le caratteristiche distintive del Cirque du Soleil. Questo approccio consente di creare una colonna sonora unica e coinvolgente, capace di sottolineare e amplificare le emozioni suscitate dalla performance umana. La scelta di musiche originali contribuisce a rendere lo spettacolo un’esperienza distintiva e memorabile: la musica agisce come un amplificatore emotivo, intensificando i momenti di tenerezza, tristezza o malinconia presenti nello spettacolo. Questo effetto è ottenuto attraverso l’uso di melodie evocative, arrangiamenti delicati e sonorità che richiamano un senso di vulnerabilità e introspezione. Parallelamente ai momenti di fragilità e poesia, la colonna sonora di “Kurios” è in grado di generare energia ed eccitazione, sostenendo e potenziando le performance acrobatiche e circensi degli artisti. Ritmi incalzanti, arrangiamenti dinamici e sonorità coinvolgenti contribuiscono a creare un’atmosfera elettrizzante, in cui il pubblico viene trascinato in un vortice di emozioni e sensazioni. Lo spettacolo dunque è un mix brillante di curiosità inusuali e prodezze acrobatiche mozzafiato, un vero kolossal in puro stile Cirque du Soleil. L’entrata in scena di una gigantesca mano meccanica ispirata allo steampunk fa da sfondo alle performance di quattro contorsioniste mongole che catturano l’attenzione del pubblico con la loro straordinaria bravura artistica. Gli artisti dello spettacolo Kurios sono dotati di una gamma di abilità e talenti che spaziano dall’acrobazia alla giocoleria, dalla contorsionistica all’equilibrismo, coinvolgendo e incantando il pubblico con la loro straordinaria bravura. Essi rappresentano l’eccellenza nel mondo del circo, e ciascuno di essi ha perfezionato la propria arte attraverso anni di allenamento, dedizione e passione. Un elemento distintivo di questo allestimento è la sua straordinaria attenzione al dettaglio tecnico. In uno scenario surreale e onirico, gli artisti si esibiscono in numeri di incommensurabile difficoltà, dimostrando una padronanza assoluta delle proprie discipline. Il rigore tecnico e l’eleganza artistica si fondono in un connubio perfetto, donando all’intero spettacolo un’aura di sofisticata meraviglia. Tra i numerosi numeri circensi che compongono Kurios, il trapezio volante spicca per la sua audacia e per la grazia con cui gli artisti si librano nell’aria, sfidando la forza di gravità. Le loro evoluzioni aeree, eseguite con estrema precisione e sincronizzazione, testimoniano un’intensa preparazione atletica e un perfetto controllo del proprio corpo. Un altro esempio di eccellenza tecnica è la performance del contorsionista, che piega e distorce il proprio corpo in posizioni impossibili, sfidando i limiti dell’anatomia umana. La sua flessibilità e la sua forza sono il frutto di un duro allenamento e di una profonda conoscenza del proprio corpo, che gli consentono di muoversi con disinvoltura tra le leggi della fisica e la pura espressione artistica. La giocoleria, un’arte tanto antica quanto affascinante, è portata a nuovi vertici di virtuosismo nella performance di Kurios. I giocolieri manipolano con maestria una moltitudine di oggetti, creando intricate sequenze di movimenti che incantano e stupiscono il pubblico. La loro abilità è il risultato di anni di pratica e di una profonda comprensione delle leggi della fisica che regolano il movimento degli oggetti. La regia di Michel Laprise in Kurios è un trionfo di visione artistica e ingegno creativo. Con la sua guida, lo spettacolo si trasforma in un affascinante viaggio attraverso mondi onirici e surreali, dove l’immaginazione prende il sopravvento e gli artisti circensi spiccano il volo. Laprise dimostra un’abilità unica nel coniugare le diverse discipline circensi in un’esperienza scenica armoniosa, arricchita da costumi e scenografie di grande impatto visivo. La sua regia dona a Kurios un’atmosfera magica e avvolgente, che rende lo spettacolo un’esperienza indimenticabile per gli spettatori.
Composto da tredici atti suddivisi in due parti, vanta un cast di 49 artisti, tra musicisti, trapezisti, contorsionisti, acrobati e giocolieri, provenienti da 17 paesi diversi, alcuni dei quali in tournée con il Cirque da oltre 15 anni. “Cabinet of Curiosities” dimostra che tutto è possibile. Qui per tutte le informazioni.

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Monza, Teatro Binario: “I ragazzi e Guillaume, a tavola!”

gbopera - Mer, 22/03/2023 - 10:16

Monza, Teatro Binario 7, Stagione 2022/23
I RAGAZZI E GUILLAUME, A TAVOLA!”
di Guillaume Gallienne
interpretazione e regia di Alberto Viscardi
Produzione Dedalus Teatro
Monza, 17 marzo 2023
È una scelta coraggiosa e non banale quella di Alberto Viscardi di portare in scena in Italia “Les garçons et Guillaume, à table!”, controverso monologo che portò alla ribalta francese Guillaume Gallienne, e gli guadagnò un posto alla Comédie Française. Coraggiosa per due motivi: in primis per la difficoltà oggettiva del monologo, che richiede un ritmo serratissimo, una impressionante gamma espressiva e la capacità di entrare e uscire da diversi personaggi; in secondo luogo, per la specificità del tema: un ragazzo che diventa uomo convinto dalla madre di essere prima una femmina, poi un giovane gay, e che invece dovrà scoprire la propria eterosessualità – un coming out al contrario che rischia di far storcere il naso a radicali e benpensanti. Il testo, di per sé, è congegnato in maniera praticamente perfetta: la parabola di Guillaume ci si presenta davanti nel succedersi di una scena dietro l’altra, un personaggio delirante dietro l’altro – dalla zia ubriacona alla nonna coprolalica, dalla rutilante affittacamere spagnola a un’improbabile quanto esilarante Imperatrice Sissi calabra – tenuti insieme dall’onnipresente e tentacolare figura della madre-monstrum, anaffettiva e possessiva, giudicante e dipendente da psicofarmaci. Man mano che la vicenda procede, tuttavia, la protagonista inizia a rivelarsi la vera antagonista del giovane, che si rende conto di aver speso l’intera vita mettendosi da parte per lasciare spazio a lei, esattamente come avviene nel monologo teatrale. L’interpretazione di Alberto Viscardi non fa rimpiangere l’originale francese: il corpo e la voce sono al servizio completo della scena, spesso con repentini cambi, ma mantenendo sempre l’aderenza al personaggio principale, Guillaume, garantendo coerenza e credibilità a tutta la performance. La scena scarnissima (un letto e una sedia) si riempie, in realtà, dei molti personaggi che Viscardi sa far rivivere di fronte ai nostri occhi, con semplicità ma con grande attenzione ai colori vocali e ai dettagli fisici. Si sente, in realtà, la mancanza di una maggiore cura della cornice – ad esempio, l’assenza assoluta di musica, i minimi cambiamenti di luci, l’uso di pochissimi oggetti di scena – ma de facto lo spettacolo, già godibile nella maturità della sua interpretazione, c’è, e dispiace che per ora non sia stato messo in scena che in un paio di occasioni. Il pubblico si è lasciato facilmente trascinare nel tourbillon dello spettacolo, ridendo spesso di gusto e applaudendo con molto calore sul finale: speriamo di poter presto assistere a una ripresa o una tournée.

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Verona, Teatro Nuovo: “Tre uomini e una culla”

gbopera - Mer, 22/03/2023 - 08:42

Verona, Teatro Nuovo, rassegna “Divertiamoci a teatro” 2022/23
“TRE UOMINI E UNA CULLA”
di Coline Serreau traduzione Marco M. Casazza adattamento teatrale Coline Serreau e Samuel Tasinaje
dal film omonimo di Coline Serreau
Con: Giorgio Lupano, Gabriele Pignotta, Attilio Fontana
e con Fabio Avaro, Carlotta Rondana, Malvina Ruggiano
Regia Gabriele Pignotta
Scene Matteo Soltanto
Costumi Silvia Frattolillo
Luci Eva Bruno
produzione a.ArtistiAssociati
Prossime date della tournée
Verona, 21 marzo 2023
Lo spettacolo, basato sul celebre film francese “Trois hommes et un couffin”, del regista Coline Serreau, che ha ottenuto un grande successo internazionale nel 1985. Nel 1987, uscì il rifacimento americano “Tre scapoli e un bebè” con Tom Selleck: anch’esso un grande successo, seguito nel 1990 da  “Tre scapoli e una bimba”, sempre con Tom Selleck. Nel 2021, con questa produzione, la commedia approda per la prima volta sui palcoscenici italiani. La trama, fedele ruota attorno a tre uomini che si trovano a dover crescere una bambina, Marie, dopo che una donna, che aveva lasciato la creatura sulla soglia della loro casa, sembra non voler più ritornare a recuperarla.
I tre di uomini si trovano improvvisamente a dover fronteggiare una situazione a cui non sono abituati: la cura di un neonato.La  piccola Marie diventa ben presto il fulcro della loro vita e i tre uomini si trovano a dover conciliare il loro stile di vita con le necessità della piccola. Si susseguono momenti divertenti, come quando i tre uomini si cimentano nella preparazione del biberon o quando cercano di far addormentare il bambino cantando una ninna nanna. La regia di Pignotta (che ritorna a Verona dopo aver portato recentemente  in scena un’altra sua brillante produzione,”Scusa sono in riunione…Ti posso richiamare?”) si mantiene fedele all’originale francese, portando sul palcoscenico un cast affiatato di attori brillanti, in un impianto scenografico di grande efficacia teatrale e che consente un ritmo cinematografico dello spettacolo che non ha mai cedimenti. La risposta del numeroso pubblico presente in sala è divertiata e partecipe. “Tre uomini e una culla” conclude con successo la rassegna veronese “Divertiamoci a teatro”. Si replica fino al 24 marzo. Foto Giovanni Chiarot

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Roma, Cirque du Soleil: si alza il tendone di “Kurios – Cabinet of Curiosities” dal 21 Marzo al 29 Aprile 2023

gbopera - Mer, 22/03/2023 - 01:54

Roma, Viale Tor di Quinto
“KURIOS” Cirque du Soleil

21 Marzo -29 Aprile 2023

A distanza di sei anni dall’ultimo tour romano, Le Cirque du Soleil è tornato nella capitale e ha alzato il suo Grand Chapiteau in viale Tor di Quinto dove ad aprile 2017, per il precedente tour, occorsero 65 tir con circa 2mila tonnellate di equipaggiamento per montare l’enorme tendone alto 19 metri. Il posto è sempre lo stesso, è sul lato destro di viale Tor di Quinto, a poco meno di 2000 metri da Ponte Milvio andando in direzione esterna, in un’area di circa 50mila metri di proprietà del Comune di Roma dove oltre 120 lavoratori in questi giorni hanno innalzato il Grand Chapiteau dai colori giallo e blu che questa volta ha un’altezza di 25 metri ed è in grado di ospitare circa 2.500 persone. Il debutto sarà martedì 21 marzo per poi proseguire fino al 29 aprile. In programma c’è “KURIOS – Cabinet of Curiosities”, uno degli show più imponenti della celebre compagnia canadese. Con un cast di 49 artisti provenienti da 17 paesi diversi – alcuni dei quali sono in tournée con il Cirque du Soleil da oltre 15 anni – con più di 8mila costumi e 426 oggetti di scena realizzati ad hoc per questa produzione, più che uno spettacolo, KURIOS – che dura circa un’ora e mezza – è un mix geniale di curiosità insolite e di prodezze acrobatiche mozzafiato, un vero kolossal. Qui per tutte le informazioni.

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Roma, Sala Umberto, Rosario Lisma presenta “Il giardino dei ciliegi” di Anton Cechov

gbopera - Mer, 22/03/2023 - 00:45

Roma, Sala Umberto, Stagione di prosa 2022/ 2023
“IL GIARDINO DEI CILIEGI”
di Anton Cechov
con la regia di Rosario Lisma
Personaggi e Interpreti:
Ljubov’ Andreevna Ranevskaja  MILVIA MARIGLIANO
Anja  DALILA REAS
Varja  ELEONORA GIOVANARDI
Leonid Andreevic Gaev  GIOVANNI FRANZONI
Ermolaj Alekseevic Lopachin  ROSARIO LISMA
Trofimov TANO MONGELLI
Firs (in voce registrata) ROBERTO HERLITZKA
Scene Federico Biancalani
Costumi Valeria Donata Bettella
Luci Luigi Biondi
Assistente alla regia Valentina Malcotti
Produzione Tieffe Teatro Milano, Teatro Nazionale di Genova, Viola Produzioni srl
PhotoCredit Laila Pozzo
Roma, Sala Umberto 21 Marzo 2023

“Superare quel che di meschino e illusorio impedisce di essere liberi e felici, ecco lo scopo e il senso della nostra vita.” (A. Checov, “Il giardino dei ciliegi”)

Il Giardino dei Ciliegi, capolavoro teatrale del grande autore russo Anton Chekhov, ha trovato nuova vita sulla scena della Sala Umberto di Roma grazie all’ originale regia di Rosario Lisma. La pièce, rappresentata con grande cura e attenzione ai dettagli, ha saputo catturare l’essenza della Russia dell’inizio del Novecento, in un’ambientazione contemporanea che ha saputo dialogare con il testo in maniera armoniosa ed evocativa senza particolari dissonanze. Il set di Federico Biancalani, su cui si muovono i personaggi del dramma, è un grande spazio chiaro dominato da una forte presenza illuminotecnica contemporanea  opera  di  Luigi  Biondi.La scena è dominata da pochi elementi scenici, ma altamente evocativi. I richiami alla “stanza dei bambini” sono evidenti, con oggetti volutamente sproporzionati rispetto alla statura dei personaggi, come se fossero ancora piccoli rispetto all’ambiente circostante. Dei grandi cubi da gioco, un trenino con le ruote ed un grande orsacchiotto di peluche sono solo alcuni degli oggetti che richiamano alla memoria i ricordi di un tempo ormai lontano. Ma il fulcro dello spazio scenico è l’imponente armadio centrale sullo sfondo, a cui Gaev, come da testo, canta le lodi come a un monumento. L’armadio è testimone del tempo felice che fu, simbolico come un dolmen sbiadito. Sempre chiuso per tutto il tempo dell’azione scenica, l’armadio diventa il punto di arrivo e di partenza di molte delle vicende che si dipanano sulla scena. Sul finale, sarà Lopachin, il nuovo proprietario, ad aprire l’armadio con le chiavi che gli avrà lanciato Varja, scontrosa e ribelle. L’apertura dell’armadio avrà conseguenze inaspettate: il suo contenuto verrà vomitato fuori, travolgendo il nuovo proprietario e aprendo la strada a un nuovo inizio. La scena è un momento di grande pathos, che restituisce al pubblico tutto il dramma e la bellezza del testo di Chekhov. La regia di Rosario Lisma ha restituito al pubblico un’opera di rara bellezza ed emotività riuscendo a coniugare l’attualità della trasposizione temporale con l’autenticità della trama originale dell’autore russo. La sua visione registica, infatti, è stata in grado di fondere  armoniosamente l’ambiente moderno in cui si svolge la vicenda con la recitazione dei personaggi, creando una fusione perfetta tra i diversi elementi scenici. In particolare, la sapiente scelta di musiche contemporanee  ha permesso di esaltare la drammaticità della trama, offrendo allo spettatore un’esperienza coinvolgente e intensa. La scenografia, altresì, è stata curata con grande attenzione al dettaglio, creando un ambiente perfettamente in linea con l’ambientazione moderna e seguendo il solco registico dominante, senza tuttavia snaturare la poetica dell’opera originale. La capacità di utilizzare gli spazi scenici in modo creativo ed efficace ha saputo valorizzare al meglio le scelte registico-drammaturgiche e rendere l’opera sfacciatamente attuale senza alcuna fastidiosa forzatura. Valeria Donata Bettella è una costumista di grande talento, con una straordinaria abilità nell’ideare costumi che non solo vestono i personaggi, ma che diventano parte integrante dello spettacolo stesso. Un insieme di materiali, tagli e colori scelti con grande cura e maestria. Milvia Marigliano (Ljubov’ Andreevna Ranevskaja), con la sua interpretazione, riesce a cogliere appieno l’essenza di questo personaggio complesso e struggente. La sua Ljuba è una donna che lotta con tutte le sue forze per mantenere la dignità e la speranza, nonostante le difficoltà che la circondano e chiaramente con forti limiti. La sua voce, le sue espressioni e i suoi gesti trasmettono tutta la sofferenza e la disperazione di una madre che deve fare i conti con la solitudine e la povertà. L’attrice è in grado di rendere perfettamente la contraddizione di Ljuba, divisa tra il desiderio di riscatto e la nostalgia per un passato che non tornerà mai più e la sua interpretazione si muove su questo equilibrio precario, senza mai cadere nel melodramma o nella retorica, ma mantenendo sempre una grande naturalezza e autenticità, offrendo una performance ricca di sfumature e di toni sempre diversi. Probabilmente la sua capacità di passare dal dramma alla commedia in pochi istanti è una delle caratteristiche più notevoli della sua interpretazione. Ermolaj Alekseevic Lopachinpersonaggio ambiguo e contraddittorio, è stato reso in maniera magistrale dall’interpretazione di Rosario Lisma, che ha saputo imprimere alla sua prova un’ampia gamma di sfumature emotive, creando un personaggio ricco di contraddizioni e dalle molte sfaccettature. Fin dall’inizio, l’attore è stato in grado di catturare l’attenzione del pubblico, grazie alla sua recitazione intensa e coinvolgente; il suo modo di muoversi sul palco, le espressioni del viso, i toni della voce, sono stati studiati e calibrati in modo preciso per suscitare emozioni e coinvolgere la platea. Il personaggio di Gaev, interpretato da Giovanni Franzoni, rappresenta il declino del vecchio ordine aristocratico, caratterizzato da una mancanza di pragmatismo e da una visione miope del mondo. Nella rappresentazione teatrale, l’interpretazione di Franzoni dà vita ad un personaggio commovente e allo stesso tempo frustrante. Gaev è incapace di affrontare la realtà concretamente e si rifugia in una sorta di regressione infantile che lo porta a non prendere sul serio le responsabilità che gli sono affidate. L’attore riesce a trasmettere questa sensazione di impotenza e di debolezza attraverso la sua interpretazione, portando in scena un personaggio capace di suscitare empatia ma anche irritazione  riuscendo a creare una rappresentazione realistica e commovente della sua altalenante ed intima interiorità. Un altro simbolo che sottolinea la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova è rappresentato dalla voce fuori campo di Firs, l’ottantenne servitore che rimane nella proprietà, ma che, diversamente dal testo originale, in questo spettacolo non è presente fisicamente, ma è stato sostituito dalla corposa voce registrata di Roberto Herlitzka. La sua domanda “La vita è passata, e io… è come se non l’avessi vissuta” non appartiene a un personaggio presente nella vicenda, ma ad un fantasma di un tempo lontano che non esiste più. Chi parla è la casa non è neppure più un individuo. Mentre Ljuba, Gaev e Varja rimarranno legati ad un passato che non tornerà mai più e guarderanno con sgomento al futuro che li attende, saranno i giovani Anja e Trofimov ad affrontare con amore i nuovi tempi. Un cast assolutamente omogeneo per capacità e talento. Lo spettacolo  ha ricevuto un caldo applauso da parte del pubblico presente in sala, dimostrando un apprezzamento generale per l’intera compagnia. Ogni singolo membro del cast ha ricevuto il giusto riconoscimento per la propria interpretazione, grazie alla sensibilità di una platea particolarmente attenta e che ha dimostrato di saper cogliere i dettagli e le ardite sfumature dell’allestimento. Qui per le altre date.

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“Il Naso” di Shostakovich al Teatro Real di Madrid

gbopera - Mar, 21/03/2023 - 22:57

Madrid, Teatro Real, Temporada 2022-2023
“IL NASO”
Opera in tre atti su libretto di Dmitri Shostakovich, Yevgueni Zamiatin, Gueorgui Ionin e Aleksandr Preis, basato sull’omonima storia di Nikolai Gogol
Musica Dmitri Shostakovich
Platón Kuzmitch Kovaliov MARTIN WINKLER
Iván Yákovlevich / Inserzionista redattore capo / Dottore ALEXANDER TELIGA
Praskovia Osipovna / Venditrice ANIA JERUC
Ispettore di polizia / Eunuco ANDREY POPOV
Il Naso / Yarishkin / Eunuco DMITRY IVANCHEY
Iván / Capo della polizia / Signore / Studente / Eunuco VASILY EFIMOV
La vecchia contessa AGNES ZWIERKO
Soprano solista (scena della cattedrale) / Agente di viaggio / La figlia della Signora Podtóchina / Parassita IWONA SOBOTKA
Signora Pelagueya Grigórevna Podtóchina / Parassita MARGARITA NEKRASOVA
Impiegato / Sentinella / Servo / Poliziotto / Signore / Conoscente di Kovaliov SIMON WILDING
Lacchè / Iván Ivánovich / Studente MILAN PERISIC
Pyotr Fyodorovich / Onorevole Colonnello / Studente DAVID ALEGRET
Impiegato / Poliziotto / Signore / Figlio di una Signora rispettabile / Conoscente di Kovaliov GERARD FERRERAS
Impiegato / Poliziotto / Speculatore / Figlio di una Signora rispettabile IHOR VOIEVODIN
Impiegato / Poliziotto / Signore / Studente ISAAC GALÁN
Impiegato / Poliziotto LUIS LÓPEZ NAVARRO
Poliziotto / Signore / Dandy / Eunuco / Conoscente di Kovaliov JOSÉ MANUEL MONTERO
Impiegato / Padre / Dandy DAVID SÁNCHEZ
Impiegato / Studente CRISTIAN DÍAZ
Poliziotto / Signore / Studente JUAN NOVAL-MORO
Poliziotto / Signore / Studente ROGER PADULLÉS
Poliziotto / Signore anziano / Studente JOSEP FADÓ
Figlio / Poliziotto / Un passante DAVID VILLEGAS
Figlio / Un passante ÍÑIGO MARTÍN
Impiegato NÉSTOR PINTADO
Madre CRISTINA HERRERAS
Taxista IGOR TSENKMAN
Autista CLAUDIO MALGESINI
Tenore solista (scena della cattedrale) ALEXANDER GONZÁLEZ
Balalaika JAMES ELLIS
Presentatrice ANNE IGARTIBURU
Coro y Orquesta Titulares del Teatro Real 
Direttore Mark Wigglesworth
Maestro del Coro Andrés Máspero
Regia Barrie Kosky
Scene e luci Klaus Grünberg
Costumi Buki Shiff
Coreografia Otto Pichler 
Drammaturgia Ulrich Lenz
Nuova produzione del Teatro Real, in collaborazione con la Royal Opera House, la Komische Oper Berlin e la Opera Australia
Madrid, 19 marzo 2023

Ha quasi cent’anni di vita ma, come tutti gli esperimenti che apparentemente vanno contro gli aspetti più strutturali del melodramma, sembra essere stato scritto pochi anni fa, come se si trattasse di un’opera gemella – o sorella maggiore – di Cuore di cane di Alexander Raskatov (2013). Collocato nella sfolgorante stagione del Teatro Real di Madrid tra Achille in Sciro di Corselli e Nixon in China di Adams, Il Naso di Shostakovich ne è l’ennesimo successo, ovviamente in chiave surreale, grottesca e provocatoria. Il direttore inglese Mark Wigglesworth dirige l’Orquesta del Real con sonorità massicce nei momenti di sviluppo drammatico, ma anche con giusto equilibrio nei numerosi interludi strumentali che connettono le scene dei tre atti. Il regista australiano Barrie Kosky non tenta di raffinare il libretto né di accentuarne la volgarità o l’assurdità; cerca piuttosto di sveltirne il funzionamento, accorpando gli atti senza soluzione di continuità e inserendo una componente nuova (quella coreografica) per imprimere un modello stilistico omogeneo agli interludi. Ai settantotto personaggi previsti dal libretto si aggiunge così una diecina di ballerini, tutti uomini, per lo più abbigliati come entraineuses, con adeguato corredo di mosse e mossette. Giacché la scena non esiste (è uno spazio circolare rivestito di pannelli grigi, inscritto in un’apertura altresì circolare sul boccascena), i costumi accuratissimi di Buki Shiff provvedono a determinare il momento storico, alludendo a un’atmosfera espressionista, vagamente Anni Venti-Trenta. Il più (e il meglio) è affidato alla recitazione dei cantanti attori (videlicet, tutti adeguati sul piano vocale, e molti, al tempo stesso, efficacissimi su quello attoriale). In questa edizione il protagonista non è il Naso, bensì il suo possessore Platón Kuzmich Kovaliov: egli è sempre al centro della scena, e qualunque altro personaggio od oggetto converge su di lui, marcando l’importanza assoluta dell’uomo che soffre mille peripezie senza intendere nulla e senza interiorizzare alcuna crescita. All’impostazione registica si abbina l’interpretazione di un superbo Martin Winkler nella parte dell’odioso proprietario del Naso, perfetto anti-eroe del melodramma novecentesco: il basso-baritono austriaco è frequentatore assiduo del teatro madrileno, dove ha cantato, per esempio, la parte di Alberich nella Tetralogia degli scorsi anni. In questo caso, alla correttezza della linea di canto si aggiunge uno sfavillio di effetti vocali con lo scopo di rappresentare i tic, il nervosismo, quasi la schizofrenia del personaggio, dalla prima all’ultima battuta della partitura. In effetti, il supponente burocrate fa in pubblico tutto quello che si considera riprovevole o decisamente disgustoso, soprattutto con la bocca e con le mani, oltre a produrre un’ininterrotta (e abilissima) esibizione di smorfie, perché la sciagura toccata al suo personaggio non generi nessuna empatia del pubblico nei suoi confronti (un accorgimento determinante, visto che nel finale, quando recupera il naso e la tronfia fiducia in se stesso, l’antipatia per Kovaliov piuttosto si rafforza). Duettano magistralmente con lui – nei panni di molteplici personaggi – i tenori russi Andrey Popov e Vasily Efimov, destreggiandosi con tessiture acutissime. L’intervento finale di un’attrice, che poco prima dell’explicit musicale avverte del senso (o meglio, del non-senso) del soggetto, ispira una contestazione isolata da pare del pubblico, che lo percepisce come un’intrusione indebita. La persona che rifiuta il fervorino di chiusura probabilmente non si è resa conto che il testo pronunciato è una parafrasi del finale del Naso di Gogol, la fonte del libretto, in cui lo scrittore dice candidamente che il beneficio di soggetti letterari di tal genere, per la patria o più in generale, è nullo … A proposito di possibili contestazioni, la regia cerca di prevenire le più ovvie obiezioni di quel pubblico che concepisce il teatro musicale secondo i canoni estetici e morali del siglo XIX; e così, alcuni figuranti nei palchi o in platea protestano con esagerata indignazione per la porquería che ci si permette di rappresentare sul sacro palcoscenico del Teatro Real. Excusatio non petita, accusatio manifesta, potrebbe osservare un lettore più smaliziato; chi scrive si limita a dire che l’assenza di queste interpolazioni non avrebbe per nulla pregiudicato la qualità dell’esecuzione, ma avrebbe utilmente accorciato di dieci minuti i tempi. Ma alla regia piacciono proprio le interpolazioni, come quando, tra II e III atto, inserisce un numero di tip tap danzato da un gruppo di nasi giganti, con tanto di scarpette ferrate e starnuto collettivo d’ordinanza; un siparietto non accompagnato dalla musica di Shostakovich che, paradossalmente, suscita l’unico applauso nel corso dell’opera, prima di quello finale, liberatore e divertito a la vez.   Foto Javier del Real © Teatro Real di Madrid

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#Maledancer di Deborah D’Orta

gbopera - Mar, 21/03/2023 - 22:03

#MALEDANCER
Di Deborah D’Orta con prefazione di Giuseppe Carbone
Buckfast Edizioni, 2022, pp. 196
ISBN 978-8899551537
€ 15,00
Non appena ci è stata resa nota la pubblicazione del libro #maledancers ci siamo incuriositi e abbiamo deciso di recensirlo. Purtroppo, non siamo riusciti a pubblicare la recensione prima, ma forse è ancor più utile parlarne ora, a poco meno di un anno dalla sua uscita. Dopo l’introduzione di Giuseppe Carbone, l’autrice, Debora Dell’Orto, replica uno schema di intervista più o meno fisso a una dozzina di ballerini dai curriculum differenti. Coloro che hanno risposto presentano una varietà di curricula ed esperienze molto ampie, si va da chi balla alla Scala ad altri che “lavorano in proprio”, all’estero come Riva e Repele, o a coloro che hanno anche partecipato a talent televisivi come Amici. Colpiscono, in prima battuta, due filoni: se questi uomini abbiano dovuto affrontare degli stereotipi, e come stiano percependo la situazione della danza maschile. Riguardo agli stereotipi, i ballerini intervistati si dividono abbastanza, alcuni vi sono incappati, altri no; ma a riguardo ci sembrano significative le dichiarazioni di Hektor Budla, albanese, entrato nelle sale di danza grazie alle preoccupazioni dei genitori, i quali non volevano vivesse in strade poco raccomandabili di Tirana: “C’erano molti ragazzi maschi che facevano danza. Faceva parte della nostra cultura”. In seconda battuta, sono in parte comuni, in altre sembrano quasi completarsi, le impressioni su come gli intervistati percepiscano la situazione attuale della danza maschile. Oggi l’interesse per l’uomo che danza è aumentato, la tecnica si è maggiormente evoluta (anche se, per alcuni, talvolta a scapito dell’artisticità), i requisiti fisici richiesti sono più selettivi, e la ricerca del perfezionismo a livello estetico è una tendenza non solo maschile ma della danza classica in generale. Hektor Budla, a riguardo, afferma nuovamente qualcosa di interessante: “oggigiorno si pensa al movimento in relazione alla tecnica, e quindi i ballerini sono divisi tra classico e contemporaneo: ci sono coloro per cui la tecnica è tecnica, mentre la danza è qualsiasi cosa…” una divisione pericolosa, perché “prima esistevano grandi compagnie contemporanee con ballerini che provenivano dal classico. Questo è sia un bagaglio tecnico che artistico. Di apertura nello scoprire tutte le sfaccettature della danza. Purtroppo queste compagnie sono sempre più rare”. A controbilanciare questo quadro sono interessanti le dichiarazioni di Alejandro Parente, a cui però non è stata posta la domanda “Com’è cambiata la danza maschile rispetto a quando hai iniziato?”. Secondo Parente si dovrebbe sostituire l’idea di perfezione (che quindi viene vista dal ballerino come una sorta di deus ex machina) con quella di precisione (un qualcosa che invece viene visto come endogeno all’animo dell’artista). Esaminarsi vuol dire anche affrontare un altro argomento sollevato spesso quando si parla di danza. Santarelli parla del rapporto con lo specchio: può essere un argomento molto stimolante, perché i ballerini devono guardarsi allo specchio, spesso; è un rapporto difficile, perché guardandosi bisogna superare il non vedersi sufficientemente belli e bravi, ma anche si deve evitare di fare la fine di Narciso: i ballerini devono sviluppare un sentire se stessi, un esaminarsi allo specchio per imparare a osservarsi dentro; perché sul palco lo specchio non c’è, ma è presente solo la loro persona. In aggiunta a tutte queste, ed altre, considerazioni, in ogni singola intervista riusciamo anche a capire un po’ del carattere di colui che si racconta, passiamo da danzatori di poche parole, alla volontà di altri di voler condividere tutto ciò che si ritiene giusto condividere, come fa Christian Fagetti, dal cui profilo Instagram già intuiamo la sua generosa indole a volter comunicare, potendo seguire il suo percorso social come un diario. Nonostante tutti i pregi – ma anche qualche difetto, come la veste grafica e la qualità della carta che poteva essere migliore – questo libro non basta, soprattutto per la danza maschile italiana. Con l’introduzione, Giuseppe Carbone fa un punto molto veloce sullo stato di salute della danza maschile in questi anni. Nureyev emerge come il ballerino che più di tutti ha ridato il giusto posto al ruolo dell’uomo, e dopo di lui Bolle. Ma ciò non basta. Nella visione di Carbone, “c’è bisogno di pluralità, di concorrenza, di varietà di stili e di caratteri per arricchire sempre di più questa disciplina, altrimenti si rimane fermi”. E la fiducia nel futuro da parte di Carbone per la danza italiana è però poca, perché “è necessario trovare quella parte artistica che va oltre la tecnica classica, questo noi non lo potremo avere, perché il balletto sta morendo. I ballerini ci sono, le scuole sono piene di ragazzi che studiano con amore e dedizione. Ma alla fine questi ragazzi dove potranno andare a fare i professionisti? Molti sono costretti ad andare all’estero. In Italia manca un po’ il concetto di ‘compagnia junior’”. È un concetto che emerge in più punti di #maledancers, ad esempio, nelle dichiarazioni di Mick Zeni o in quelle di Riva e Repele. Ma possiamo anche aggiungere che il rispetto per le compagnie maggiori è troppo spesso molto poco, basti pensare alla situazione contrattualmente precaria di molte compagnie italiane, anche importanti – per non parlare dell’inesorabile ecatombe delle compagnie di ballo dei principali teatri italiani, lasciate morire, crediamo, in un circolo vizioso di mancanza di fondi e qualità. In più, a nostro avviso, il fattore culturale è ancora troppo deficitario. “Le scuole sono piene di ragazzi” afferma Carbone, ma dovremmo aggiungere le scuole accademiche di più alto livello; le scuole per dilettanti italiane, quelle da cui ogni ballerino comincia, sono ben lungi dall’essere piene di ragazzi, soprattutto quelle di danza classica. Fino a che non sarà comune che un uomo possa avere la curiosità di mettersi alla sbarra e ballare, come sembra accada altrove (ci riferiamo alla testimonianza di Budla) come potrà la danza essere un fattore culturale? Ci sembra, quindi, che la sola dimensione dilettantesca (qualsiasi significato a questa parola si voglia dare, ma nella nostra visione ha un sapore tutto settecentesco) possa rafforzare l’importanza della danza nella cultura di un popolo. Se non dovesse bastare tutto ciò, oltre alla situazione contrattuale precaria, l’uomo che danza dovrà anche cercare di entrare in un organico dove “sono predominanti le donne perché nei grandi balletti classici ci sono più parti corali femminili, i cosiddetti Atti Bianchi […] Addirittura all’inizio non ballavano nemmeno: il balletto classico nasce per la donna”. Quest’ultima affermazione di Carbone è significativa, insieme al suo incipit: “la figura maschile nel balletto inizia a vedersi intorno alla fine degli anni Cinquanta […] grazie ad un personaggio come Rudolf Nureyev: lui è stato il primo a dare valore – agli occhi del pubblico e della critica – al ballerino uomo”, tanto che in Italia, alla nascita dell’Accademia Nazionale di Danza, gli uomini non erano ammessi, “la sua fondatrice, Jia Ruskaja, pensava che la danza fosse concepita come qualcosa di esclusivo per le sole ragazze”. Fu proprio Giuseppe Carbone “il primo uomo ad entrare in classe con le allieve”. Perché tutto ciò è significativo? Poiché, dalle parole di Carbone, il balletto classico sembra avere il suo ‘anno 0’ nell’Ottocento, e che l’uomo ne fosse screditato criticamente. Che origine hanno queste convinzioni? Nella critica militante ottocentesca, prevalentemente francese. Ma la danza classica (o meglio “accademica”) ha le sue origini nel Seicento, per opera del Re Sole, e che tutta la danza nobile era più prettamente maschile, fatta di entrechats e giri che venivano eseguiti durante le sarabande nei palazzi nobili: è questa l’immagine che arriva fino agli inizi dell’Ottocento (e ne Il Manoscritto ritrovato a Saragozza di Jan Potocki, ad esempio, è presente una testimonianza poco nota di tutto ciò). Terminiamo questa piccola peregrinazione disordinata dicendo che, una volta letto questo libro, esso finisce troppo presto, lasciandoci con tante domande a cui vorremmo una risposta. Non è necessariamente un demerito, ma è invece una manifestazione di interesse; e una manifestazione di interesse necessiterebbe di ulteriori interventi, che speriamo arrivino. Certo, un capitolo di conclusioni e un apparato più corposo di commenti avrebbe potuto chiudere meglio il quadro e tirare le fila di queste interviste, ma prendiamo invece questa mancanza come se fossimo di fronte ad un finale aperto di un film.

 

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Bologna, Comunale Nouveau: “Norma”

gbopera - Mar, 21/03/2023 - 16:44

Bologna, Comunale Nouveau, Stagione d’Opera 2023
“NORMA”
Tragedia lirica in due atti su libretto di Felice Romani tratto dal Norma, ou L’infanticide di Louis-Alexandre Soumet.
Musica di Vincenzo Bellini
Pollione, proconsole di Roma nelle Gallie STEFAN POP
Oroveso, capo dei Druidi NICOLA ULIVIERI
Norma, druidessa, figlia di Oroveso
 FRANCESCA DOTTO
Adalgisa, giovane ministra del Tempio d’Irminsul  VERONICA SIMEONI
Clotilde, confidente di Norma BENEDETTA MAZZETTO
Flavio, amico di Pollione
PAOLO ANTOGNETTI
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Pier Giorgio Morandi
Maestro del coro Gea Garatti Ansini
Regia Stefania Bonfadelli
Scene Serena Rocco
Costumi Valeria Donata Bettella
Luci Daniele Naldi
Coreografia Ran Arthur Braun
Figuranti della Scuola di Teatro di Bologna “Alessandra Galante Garrone”. Nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna con Opera Carlo Felice di Genova
Bologna, 18 marzo 2023
Bologna celebra il centenario Callassiano con una mostra fotografica, arricchita da due ricostruzioni dei costumi indossati dalla “Divina” nell’ultima Norma parigina, creata per lei dal coetaneo Zeffirelli, del quale pure ricorre il centenario. Ma soprattutto lo celebra con la nuova produzione di Norma, il titolo a cui, a torto o a ragione, è oggi più di tutti legato il nome della Callas. Stefania Bonfadelli ha le idee molto chiare sulla regia: un mondo dominato dalla violenza e dalla violenza distrutto, dove anche la femminilità è fatta guerriera. La coerenza certo non le difetta, e lo spettacolo che ne risulta è organico, ma fin troppo: così si depotenzia il contrasto fra l’innocenza delle vergini sacrate al Dio e la feroce quanto repressa irruenza dei guerrieri, i due poli fra cui si agita il volo nervoso e ingabbiato della consapevole Norma. La scena di Serena Rocco è una nuova risposta ai limiti tecnici, sproni di tutte le buone idee, del Comunale Nouveau. In mancanza di sviluppo in altezza, concentrare ogni attenzione sulla realizzazione di un pavimento materico è un’ottima soluzione. Tanto più che le luci di taglio ne valorizzano al meglio la grana, in questo caso sabbiosa, di un terreno arso dalla violenza della guerra. Francesca Dotto, “astro”, già sorto ma crescente, del repertorio italiano, debutta il temibile ruolo della protagonista. Il mezzo vocale è luminoso e tondo, di perfetto gusto italiano; fa ricorso alla voce di petto con grande cautela e misura, garantendo sempre la bellezza del suono, il che è della massima importanza in quest’opera che del bel canto è esempio altissimo e simbolo. Un’ottima prova, sebbene, non v’è dubbio, la Norma della Dotto sia ancora di là da venire: saranno i prossimi anni con l’irrobustirsi della voce e la maturazione intima dell’interpretazione a vederla rifiorire nel ruolo. Accanto a lei Stefan Pop, un Pollione di ragionevole compromesso fra quello belcantista filologicamente aggiornato e quello che tutti abbiamo nelle orecchie: notevole volume, acuti ben proiettati, mezzevoci dal timbro non celestiale ma dominate con grande padronanza. L’Oroveso di Nicola Ulivieri forse appare un po’ “chiaro” per il ruolo ma solidissimo nell’emissione, ottimo per dizione e presenza scenica. Il protagonismo canoro è prepotentemente reclamato ed ottenuto dall’esuberanza vocale della Veronica Simeoni: per dimensioni e qualità del timbro, corposo e pieno, omogeneo su tutti i registri, merita un posto di privilegio nella genealogia di mezzi italiani. Completano in modo adeguato il cast Benedetta Mazzetto (Clotilde) e Paolo Antognetti (Flavio). Fondamentale il protagonismo del coro di Gea Garatti Ansini, vera gloria del Comunale. Il Maestro Pier Giorgio Morandi, autorevole interprete del repertorio italiano, ha costruito una Norma sontuosa, ieratica, monumentale, con le sonorità di rassicurante bellezza cui l’orchestra felsinea ci ha abituati, e dai tempi sapientemente generosi nei confronti del canto. Foto Andrea Ranzi

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In memoriam… Virginia Zeani (1925-2023)

gbopera - Mar, 21/03/2023 - 10:37

Ricordando l’arte interpretativa e vocale di Virginia Zeani (in origine Zehan) – Solovăstru, 21 ottobre 1925 – 20 Marzo 2023 crediamo che sia sempre meglio ascoltarne la voce…le parole servono a poco e risultano quanto mai scontate.
G.Rossini: “Otello”
Otello – Aldo Bottion
Desdemona – Virginia Zeani
Iago – Gastone Limarilli
Rodrigo – Pietro Bottazzo
Elmiro – Plinio Clabassi
Emilia – Giovanna Fioroni
The Doge / A Gondolier – Fernando Jacopucci
Lucio – Antonio Pirino
Chorus and Orchestra of Teatro dell’Opera di Roma
Conductor, Carlo Franci
Reg.New York, Lincoln Center: June 25, 1968 

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Verona, Teatro Nuovo: “Tre uomini e una culla” dal 21 al 24 marzo

gbopera - Mar, 21/03/2023 - 00:31

Dopo “Arlecchino muto per spavento” la ventiquattresima edizione di Divertiamoci a teatro, rassegna organizzata dal Teatro Stabile di Verona, propone al Nuovo dal 21 al 24 marzo con inizio alle 21.00 la divertente commedia Tre uomini e una culla” tratta dall’omonimo film di Coline Serreau del 1985. Ne sono protagonisti Giorgio Lupano, Gabriele Pignotta e Attilio Fontana con la regia dello stesso Pignotta. In scena, accanto a loro, Fabio Avaro, Carlotta Rondana e Samuel Tasinaje. Lo spettacolo è prodotto da a.Artisti.Associati.
L’adattamento teatrale del film, che fu un grande successo con protagonisti Roland Giraud, Michel Boujenah e André Dussollier, è della stessa Serreau. “Film di una donna sugli uomini rivolto specialmente alle donne” lo definì il Morandini sottolineando (da allora sono passati quasi quarant’anni) quanto fosse divertente vedere tre uomini alle prese con pannolini e biberon. Due anni dopo, nel 1987, uscì il rifacimento americano “Tre scapoli e un bebè” con Tom Selleck: anch’esso un grande successo.
Giovedì 23 marzo alle 18.00 gli interpreti incontreranno il pubblico al Nuovo. L’incontro è organizzato in collaborazione col quotidiano L’Arena.
Biglietti in vendita al Teatro Nuovo (dal lunedì al sabato, ore 15.30-19.30) e a Box Office (dal lunedì al venerdì, ore 9.30-12.30 e 15.30-19.00, e il sabato dalle 9.30 alle 12.30). Biglietti on line su www.boxol.it/boxofficelive e www.boxofficelive.it

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Roma, Teatro Parioli: “Teresa la ladra” dal 22 al 26 Marzo 2023

gbopera - Lun, 20/03/2023 - 17:48

Roma, Teatro Parioli Stagione 2022/ 2023
“TERESA LA LADRA”
di Dacia Maraini
canzoni originali di Sergio Cammariere e Dacia Maraini
Con Mariangela D’Abbraccio
Regia di Francesco Tavassi
Uno spettacolo allegro, tenero, emozionante. Tratto dal romanzo di Dacia Maraini “Memorie di una ladra”, magistralmente interpretato da Monica Vitti nel film, è la storia di Teresa, ladruncola buffa e disgraziata che attraversa gli eventi e la storia d’Italia dalla metà degli anni venti fino agli anni settanta. Un racconto tragicomico e funambolesco dal ritmo incalzante e coinvolgente. Mariangela D’Abbraccio è Teresa che racconta e canta la sua storia con le musiche originali di Sergio Cammariere che fanno da colonna sonora portante dello spettacolo. Qui per tutte le informazioni.

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Ferrara, Teatro Comunale: “Catone in Utica”

gbopera - Lun, 20/03/2023 - 16:00

Ferrara, Teatro Comunale di Ferrara, Stagione 2022/2023
“CATONE IN UTICA”
Opera lirica su libretto di Pietro Metastasio
Musica di Antonio Vivaldi
Edizione critica a cura di BTE – Bernardo Ticci Edizioni
Catone VALENTINO BUZZA
Cesare ARIANNA VENDITTELLI
Emilia MIRIAM ALBANO
Marzia VALERIA GIRARDELLO
Fulvio CHIARA BRUNELLO
Arbace VALERIA LA GROTTA
Orchestra Barocca Accademia dello Spirito Santo
Direttore Federico Maria Sardelli
Regia Marco Bellussi
Scene Matteo Paoletti Franzato
Costumi Elisa Cobello
Luci Marco Cazzola
Video Creativite
Produzione Teatro Comunale di Ferrara
Ferrara, 17 marzo 2023
Ferrara già dall’anno passato ha iniziato a saldare i suoi debiti morali nei riguardi di Don Antonio Vivaldi con la messa in scena del Farnace: tocca ora al Catone in Utica. In città il compositore aveva un alleato nel Marchese Guido Bentivoglio, ma un più potente nemico nel Cardinal Tommaso Ruffo, assai sospettoso di un prelato che, sollevato dal dovere di dir messa, si intratteneva coi suoi artisti, e particolarmente con la primadonna Anna Girò. Così, ad onta del successo riscosso dalla prima rappresentazione al Filarmonico di Verona nel marzo 1737, l’opera a Ferrara non è stata eseguita che il 17 marzo di questo 2023. La direzione è di Federico Maria Sardelli, vivaldiano ottimo massimo: oltre a dirigerlo, Vivaldi, lo compone anche, ovvero compone _à la Vivaldi_. Eppure non cade nella tentazione di completare la partitura, mancante del primo atto. Scelta vieppiù lodevole questa della linea rigorosa: oltre al rispetto dell’Autore (la cui immagine, in questo quasi secolo di fortuna moderna, è già stata deformata quanto poche altre mai), l’opera risulta così di più agile ascolto per il pubblico moderno, e nulla perde della sua bellezza, così come il Torso del Belvedere non è meno bello per non esser integro. Nell’ultimo tratto della discendente parabola della sua esistenza lo stile operistico di Vivaldi si arricchisce: la spumeggiante artificiosità barocca veneziana è temperata da una vena che se non si può dire malinconica è quantomeno serenamente indulgente verso le umane debolezze, alito di un più maturo Settecento che non potrebbe spirare se non da Napoli. E che l’instancabile invenzione vivaldiana sa cogliere ed accogliere nella sua febbricitante fucina.Sfavillante e decisamente contrastata, spigolosa, come di consueto, la concertazione di Sardelli, alla guida dell’Orchestra Barocca Accademia dello Spirito Santo. Nel cast: Valentino Buzza  offre al personaggio di Catone un timbro con ombre baritonali unito a un accento vigoroso, perfettamente in linea con il personaggio affronta con il giusto piglio drammatico le arie “Dovea svenarti allora” (atto 2) e “Fuggi dal guardo mio” (atto 3), Arianna Vendittelli un Cesare ricco di squillo e in grando di affrontare brillantemente forse le più belle arie dell’opera: le amorose “Se mai senti spirarti sul volto” (atto 2), “Sarebbe un bel diletto” (atto 3) e la virtuosistiche “Se in campo armato” (atto 2), Miriam Albano un’Emilia grintosissima, dalla vocalità agguerrita nell’affrontare i virtuosismi dell’aria”Come invano il mare irato” che chiude l’atto 2 (la prima parte dell’opera) e di “Nella foresta leone foresta invitto” (con corni concertanti), Valeria Girardello una Marzia dalla vocalità sontuosamente lirica, raffinata vocalista (“Il povero mio cuore, nell’atto 2  e “Se parto, se resto”, atto 3). Nei ruoli di Fulvio e di Arbace, i più penalizzati dall’assenza del prim’atto, l’energica Chiara Brunello che si fa però valere in vigore nell’aria “Degl’Elisi dal soggiorno” (atto 2) e la fesca vocalità di  Valeria La Grotta sensibile interprete dell’aria “S’andrà senza pastore” (atto 2). L’impianto registico di Marco Bellussi non è un polveroso accampamento, ma una deliziosa villa: una cornice di piacere che mette in risalto, per contrasto, le vicende private e i rapporti di potere. L’impianto scenico di Matteo Paoletti Franzato, dall’estetica romano-monumentale, ma di design (il barocco di Pizzi, dal Rinaldo in giù, è ormai un classico, che ha fatto scuola e ora sfida il tempo e le mode), e coerentemente i costumi alla Pierre Cardin di Elisa Cobello, è perfettamente funzionale: l’interno, simmetricamente tripartito, della villa; e davanti a quella bastano poche grandi rocce per suggerire uno spazio altro per la congiura. Il misurato e pure rinunciabile ricorso alle proiezioni ci lascia tuttavia qualche perplessità. Il pubblico non ha premiato la rarità e la qualità della programmazione ferrarese come avrebbe dovuto, ma potrà farsi perdonare: fino al 17 settembre sarà disponibile online lo streaming curato da OperaVision. Foto Marco Caselli Nirmal

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Venezia, Teatro La Fenice: “Ernani”

gbopera - Dom, 19/03/2023 - 22:23

Venezia, teatro La Fenice, Lirica e balletto, Stagione 2022-2023
“ERNANI”
Dramma lirico in quattro atti, Libretto di Francesco Maria Piave, dal dramma Hernani di Victor Hugo.
Musica di Giuseppe Verdi
Ernani, il bandito PIERO PRETTI
Don Carlo, re di Spagna ERNESTO PETTI
Don Ruy Gomez de Silva, Grande di Spagna MICHELE PERTUSI
Elvira, sua nipote e fidanzata ANASTASIA BARTOLI
Giovanna, di lei nutrice ROSANNA LO GRECO
Don Riccardo, scudiero del re CRISTIANO OLIVIERI
Jago, scudiero di Don Ruy FRANCESCO MILANESE
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Regia Andrea Bernard
Scene Alberto Beltrame
Costumi Elena Beccaro
Light designer Marco Alba
Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in coproduzione con Palau de les Arts Reina Sofía di Valencia
Venezia, 16 marzo 2023
Si rappresenta, in questo periodo, sul palcoscenico della Fenice, dopo più di trent’anni di assenza, l’Ernani. Nata nei cosiddetti “anni di galera” – il periodo che va dal 1843 al 1850, in cui Verdi compose senza sosta ben dodici partiture operistiche – l’opera consentì al Maestro di affermarsi anche fuori Milano. Il successo ottenuto alla Scala con il Nabucco e I lombardi alla prima crociata (rispettivamente 1842 e 1843) contribuì a creargli un buon nome con conseguenti nuove offerte di contratto, che gli giunsero da più parti: tra le tante egli scelse quella proveniente dal Teatro La Fenice di Venezia. Ne nacque l’Ernani (1844), che segnò una tappa decisiva nella carriera di Verdi, in quanto, oltre ad essere la prima opera composta per un teatro diverso dalla Scala – è frutto della collaborazione tra il bussetano e il muranese Francesco Maria Piave, dando inizio a quel proficuo sodalizio, che avrebbe prodotto tante altre opere fortunate. Ma l’Ernani – come notò a suo tempo Massimo Mila – segna anche il passaggio dall’opera “corale” all’opera romantica “a personaggi”, caratterizzata da grandi figure tragiche , dominate da passioni smisurate, che sono alla base di una teatralità, fatta di “violenti effetti scenici”. Nello specifico, quest’opera si segnala per la particolare situazione drammaturgica – tre personaggi maschili corteggiano la stessa donna –, che ha permesso al compositore di sfruttare in modo anche innovativo le potenzialità dei tre registri maschili, mentre per il ruolo di Elvira ha creato uno dei più straordinari esempi di soprano drammatico d’agilità. Verdi – esperto uomo di teatro – volle che il dramma originale di Hugo fosse alleggerito, per creare un libretto fluido e snello, adeguato alla propria – geniale – capacità di sintesi, senza, peraltro, trascurare i colpi di scena e gli aspetti politico-sociali della vicenda. In particolare il musicista si concentra sui caratteri dei personaggi, sul loro intimo sentire, per cogliere i motivi profondi del loro agire. La musica si incarica di svelare ciò che le parole non bastano ad esprimere. In linea con le intenzioni dell’autore – che fa morire, nel finale solo il protagonista, mentre in Hugo trovano la morte anche Elvira e Silva – Bernard si concentra su Ernani e sul suo percorso dalla vendetta alla disperata ricerca delle proprie origini. Ne offre testimonianza, nello spettacolo, un video in bianco e nero, proiettato mentre l’orchestra esegue il preludio, in cui si rievoca il trauma infantile provocato nel protagonista dalla morte del padre e dalla distruzione dell’avito castello. Il video ritorna nell’ultimo atto, ad esprimere simbolicamente gli ultimi sussulti di un’anima prossima a ricongiungersi con quella del padre e a trovare la pace nella morte. I traumi del passato pesano su Ernani come macigni: sulla scena, caratterizzata dal fondale nero – in cui si vedono le rovine del Castello degli Aragona bruciato da Filippo “il bello”, padre di Carlo –, si svolge lo sviluppo psicologico di Ernani. Vi si aggiungono di volta in volta significativi elementi: in particolare, frammenti marmorei dell’oppressivo Castello di Silva, oltre che – nei sotterranei che ospitano la tomba di Carlo Magno – una pila d’acquasanta e un gigantesco stendardo con l’aquila bicipite asburgica, che fa da sfondo al patriottico “Si ridesti il Leon di Castiglia”. Più scontate risultano altre trovate registiche come i gigli, notoriamente simbolo di purezza, con cui si accompagna Elvira, o l’angelo vendicatore con tanto di ali e di corazza che ricorre sulla scena (forse l’anima del padre di Ernani). Ma nel complesso lo spettacolo funziona nel suo parziale ossequio alla tradizione e nella sua conseguente presa di distanza da certe forzate eccentricità dell’imperante regietheater. Determinante il contributo di Alberto Beltrame per le suggestive scene, di Elena Beccaro per i colorati costumi – rosso quello di Elvira – e di Marco Alba per le luci generalmente soffuse. Sul versante musicale, l’impostazione di Riccardo Frizza – supportato da un’orchestra in gran forma – ci ha regalato un Verdi rapido, scattante, ricco di contrasti, mettendo in valore l’orchestrazione particolarmente brillante della partitura con una particolare cura del suono diffusamente vigoroso, anche per il potenziamento – ci pare – delle percussioni e in particolare del tamburo. Esperto conoscitore del teatro musicale, ha accompagnato i cantanti con intelligente considerazione delle loro esigenze. Di tutto rispetto si sono rivelati gli interpreti vocali. Piero Pretti, nel ruolo eponimo, ha sfoggiato una voce omogenea, oltre che sicura negli acuti, confermandosi un ottimo tenore dal carattere lirico spinto, dotato di squillo e capace di inflessioni sentimentali così come eroiche. Una voce potente, dal timbro cristallino e omogeneo nei vari passaggi di registro, ha caratterizzato l’Elvira di Anastasia Bartoli, che ha saputo pienamente corrispondere al ruolo di soprano drammatico di coloratura, concepito dall’autore. Eccellente la prestazione di Michele Pertusi, quale Silva, che si è confermato un interprete dotato ed esperto nell’affrontare questo come tanti altri ruoli di basso verdiano. Dignitosa la prova di Ernesto Petti, che ha tratteggiato un Don Carlo credibile, pur con qualche forzatura nell’emissione. Di buona professionalità le prestazioni offerte da Rosanna Lo Greco (Giovanna), Cristiano Olivieri (Don Riccardo) e Francesco Milanese (Jago). Una menzione anche per il Coro, che ha svolto con duttilità ed efficacia interpretativa il ruolo importante che gli compete nell’opera. Applausi a scena aperta e, in particolare, a fine serata.

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Trieste, Teatro Verdi: “Romeo and Juliet”. Dal 21 al 26 marzo 2023

gbopera - Dom, 19/03/2023 - 18:17

Ritorna il balletto a Trieste, con uno dei grandi classici della danza novecentesca.  Dal 21 al 26 marzo va inscena Romeo and Juliet, un Balletto di Renato Zanella, sulle musiche di Sergey Sergeyevich Prokofiev.
Il veronese Renato Zanella, direttore artistico del corpo di ballo sloveno, firma questo secondo appuntamento del dittico dedicato alla storia d’amore più famosa del mondo dopo il recente successo di pubblico e critica di Capuleti e Montecchi di Bellini. “Sontuoso e travolgente, tradizionale e moderno” sono le affermazioni del coreografo alla presentazione dell’appuntamento del Verdi, e “Per un veronese questo titolo è una vera madeleine proustiana, ma oltre all’evocazione di quel balcone che attrae da sempre amanti da tutto il mondo, esso è anche stato un incontro ricorrente nella mia vita professionale, soprattutto nella coreografia di Cranko, che ho trovato sia a Stoccarda sia a Vienna” continua Zanella “Ma devo ammettere che solo a Ljubljana ho finalmente trovato le condizioni ideali per realizzare il mio personale Romeo e Giulietta”.
Dunque uno dei titoli più famosi ma anche più difficili del balletto internazionale, arriva a Trieste dopo una riflessione creativa durata decenni. Tecnicamente complesso ma al contempo libero, il Romeo and Juliet di Zanella riserverà sicuramente al pubblico un fiume d’emozioni che vanno oltre il tempo.
Alessandro Camera, scenografo di fama dall’opera alla prosa ed alla danza, riesce a creare nel palco una sensuale eleganza che perfettamente si sposa con l’immaginario di Zanella, che si accompagnano dai colorati costumi ideati da Alexandra Burgstaller.
Il titolo era andato in scena a Trieste dal 2007, quando fu presentato nella storica interpretazione di Yuri Grigorovich. Oggi ritorna con un’altra firma d’eccellenza nello stesso tempo italiana, eclettica, internazionale, europea, slovena, con una compagnia giovane, quella slovena, che raccoglie ragazzi da tutt’Europa a partire proprio dall’Italia. L’Orchestra del Verdi sarà guidata dal belga Ayrton Desimpelaere, che dal novembre 2022 è il nuovo direttore dell’Opera Nazionale e del Balletto di Slovenia a Lubiana. Per tutti i dettagli visitate il sito del teatro

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Roma, Sala Umberto: “Il Giardino dei ciliegi” di Anton Checov dal 21 marzo al 02 Aprile 2023

gbopera - Dom, 19/03/2023 - 10:14
Roma, Sala Umberto Stagione di prosa 2022/ 2023
“IL GIARDINO DEI CILIEGI”
di Anton Cechov
adattamento e regia di Rosario Lisma
scene Dario Gessati
costumi Valeria Donata Bettella
luci Luigi Biondi
produzione Tieffe Teatro Milano/Teatro Nazionale Genova/Viola Produzioni Il giardino dei ciliegi è l’ultima opera teatrale dello scrittore russo A. P. Čechov e una delle più note insieme a Il gabbianoZio Vania e Le tre sorelle. La prima rappresentazione, nel 1904 a Mosca, precede di soli sei mesi la morte dell’autore. Si tratta di un’opera di duplice natura, comica e tragica: Cechov la scrive come commedia, ma i registi che la mettono in scena per la prima volta la rappresentano come una tragedia, e da quel momento rimane la consuetudine. In essa si riflettono alcune esperienza personali di Cechov, come la truffa immobiliare che coinvolse sua madre quando lui era ragazzo e il giardino di ciliegi che pianta in una delle case dove vive e che poi viene sradicato. Il dramma è diviso in quattro atti. Il giardino, che trae il nome da rigogliose piante di ciliegio che vi crescono, è il simbolo del destino inevitabile di una famiglia. Per pagare i debiti contratti dalla proprietaria, Ljuba, il terreno sarà messo all’asta e acquistato da Lopachin, figlio arricchito di uno dei servi. La prima azione decisa dal nuovo proprietario sarà l’abbattimento dei ciliegi, cupo segno della brutalità dei nuovi ricchi. La famiglia si divide tra chi finge che nulla stia succedendo e chi vuole andarsene e lasciarsi alle spalle il destino della casa piena di ricordi. La figlia adottiva di Ljuba, Varja, spera di ricevere una proposta di matrimonio da Lopachin in modo da salvare la proprietà, ma alla fine di tutto, quando sembra che stia per succedere, lui si tira indietro. Il finale è la disgregazione della famiglia e la morte delle speranze, la fine di un’epoca per i protagonisti: l’innesco è da ricercare nell’emancipazione degli schiavi concessa dall’imperatore nel 1861, che aveva indebolito e impoverito molto gli aristocratici, spesso incapaci di gestire da soli le proprietà. Qui per tutte le informazioni.

 

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Roberto Valentini ( 1671-1747): Sonate per flauto Op.5. “La Villeggiatura”

gbopera - Sab, 18/03/2023 - 16:22

Cd 1: Ciacconna for two flutes  from “Six Sets of Aires and a Chaccon for two Flutes and a Bass; Sonata Op.5 No.10; Sonata Op.5 No.1 La Villeggiatura, Sonata No.1; Sonata Op.5 No.6; Sonata Op.5 No. 2; La Villeggiatura, Sonata No.2; Sonata Op.5 No.3; Sonata Op.5 No.4; La Villeggiatura, Sonata No.4; Sonata Op.5 No.5.
CD 2: Sonata Op.5 No.7; Sonata Op.5 No.11; La Villeggiatura, Sonata No.3; Sonata Op.5 No.8; La Villeggiatura, Sonata No.5; Sonata Op.5 No.9; La Villeggiatura, Sonata No.6; Sonata Op.5 No.12. Cappella Musicale Enrico Stuart. Romeo Ciuffa & Carolina Pace (flauti). Irene Maria Caraba (viola da gamba). Michele Carreca (tiorba e chitarra). Marco Vitale (clavicembalo e organo). Registrazione: 14-18 ottobre 2019, Palazzo Annibaldeschi, Monte Compatri, Italia. T. Time: 67’08 (CD 1); 48’04″ (CD2). 2 CD Brilliant Classics 96050
Tra le proposte discografiche dell’etichetta Brilliant Classics, sempre attenta alla riscoperta del repertorio da camera di compositori meno noti e che magari non hanno conosciuto incisioni, va senza dubbio segnalato questo doppio album contenente le 12 Sonate per flauto con basso continuo op. 5La villeggiatura (Sei sonate per due flauti) di Roberto Valentini che, nato a Leicester nel 1671, all’età di 21 anni emigrò in Italia e in particolar modo a Roma. Nella città dei papi, Valentini lavorò come violinista presso la chiesa di Sant’Andrea delle Fratte, dove, peraltro, sposò Giullia Bellati, alla quale sopravvisse solo 12 giorni, e a San Lorenzo in Lucina. Fu attivo anche sia come violoncellista (Festival dell’Accademia di San Luca) che oboista presso Palazzo Ruspoli e suonò nell’oratorio La risurrezione di Handel. Valentini conseguì una certa fama, alla quale non corrisposero, però, grandi proventi a livello economico, come compositore di musiche per flauto traverso. Alcune di queste musiche costituiscono il programma del presente CD della Brilliant Classics il cui programma è costituito dalla raccolta di 12 Sonate per flauto e basso continuo op 5, pubblicate a Londra tra il 1715 e il 1720, e da La Villeggiatura, una raccolta di Sonate per due flauti, testimoniata da un manoscritto conservato presso la Biblioteca Palatina di Parma. I modelli  dell’Op. 5 sono le sonate da chiesa di Corelli per il carattere austero dei primi tre movimenti e i francesi Pièces de Caractère per gli altri danzanti movimenti, mentre nella Villeggiatura si possono  notare elementi della scrittura vivaldiana nell’uso dell’unisono nelle parti iniziali e conclusive degli Allegro.
Ottima l’esecuzione da parte di Romeo Ciuffa e Carolina Pace (flauti), Irene Maria Caraba (viola da gamba), Michele Carreca (tiorba e chitarra) e Marco Vitale (clavicembalo e organo). Un profondo senso dello stile caratterizza l’approccio interpretativo di queste pagine sia nelle parti solistiche sia nella realizzazione del basso continuo, che si presenta varia e perfettamente adeguata a queste composizioni.

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Roma, Gallerie nazionali Barberini Corsini: “L’immagine sovrana. Urbano VIII e i Barberini

gbopera - Ven, 17/03/2023 - 16:28

Roma, Galleria Barberini
Via delle Quattro Fontane, 13
”L’IMMAGINE SOVRANA. URBANO VIII E I BARBERINI”
a cura di Maurizia Cicconi, Flaminia Gennari Santori, Sebastian Schütze 

Le Gallerie Nazionali di Arte Antica, con il sostegno della Direzione Generale Musei del Ministero della Cultura, celebrano il quattrocentesimo anniversario dell’elezione al soglio pontificio di Urbano VIII Barberini con una mostra imperdibile. “L’Immagine Sovrana” ripercorre il pontificato più lungo e rappresentativo del XVII secolo (1623-1644), che incise in modo indelebile sul pensiero filosofico, sul sapere scientifico e sulle arti del Seicento. La mostra, curata da Maurizia Cicconi, Flaminia Gennari Santori e Sebastian Schütze, vuole illustrare le modalità attraverso le quali il pontefice privilegiò lo strumento dell’egemonia culturale in funzione dell’azione politica e di governo. Urbano VIII insieme ai nipoti, i cardinali Francesco e Antonio e il Principe Taddeo Barberini, perseguì con tenacia un progetto politico-culturale ambizioso, che pervase tutti gli ambiti della conoscenza e della produzione artistica e culturale. Il mecenatismo e la promozione delle arti concorsero in modo sostanziale al potenziamento del governo spirituale e temporale della Chiesa, e non solo all’accrescimento del prestigio personale e famigliare. Il pontefice diede un timbro inconfondibile al suo pontificato, promuovendo imprese colossali come il baldacchino di San Pietro, disegnato da Gian Lorenzo Bernini, o l’affresco di Pietro da Cortona nel grande salone di Palazzo Barberini. Si impose un nuovo stile, che ebbe immediata diffusione non solo a Roma e in Italia, ma nell’intero scenario europeo: il Barocco nasce a Roma, con i Barberini. La mostra rappresenta l’apice di un lavoro di ricerca durato molti anni, segnando un traguardo importante del percorso di confronto e di scambio con le istituzioni museali italiane e straniere che ha portato al successo del progetto. Più di 80 opere, provenienti dalla collezione del museo e da oltre 40 tra istituzioni museali, collezioni private italiane e internazionali, saranno esposte nella sontuosa residenza di famiglia costruita di fronte al Quirinale. Capolavori della collezione Barberini, smembrata nei secoli e attualmente conservata nei principali musei del mondo, tornano quindi nella loro sede originaria. Si potranno ammirare opere di Gian Lorenzo Bernini, Caravaggio, Valentin de Boulogne, Francesco Mochi, Nicolas Poussin, Andrea Sacchi e alcuni degli spettacolari arazzi prodotti dall’Arazzeria Barberini. Flaminia Gennari Santori, direttrice del museo e co-curatrice della mostra, dichiara con entusiasmo: “Sono infatti moltissimi i musei, i collezionisti e le istituzioni con cui abbiamo intessuto rapporti in questi anni, che hanno capito l’importanza del progetto e aderito con entusiasmo concedendo prestiti prestigiosi”. La mostra mira infatti “a restituire al pubblico” le idee dominanti e il funzionamento di un progetto intellettuale straordinariamente ambizioso, che ha trasformato Roma nella culla e nel luogo di irradiazione della cultura barocca partendo da Palazzo Barberini come suo centro ideale. Il percorso si articola in dodici sezioni, procedendo dallo Spazio Mostre al piano terra agli spazi più emblematici del museo, come le sale monumentali del piano nobile: Salone Pietro da Cortona, Sala Marmi, Sala del Trono, Sala Paesaggi e alcune sale della collezione permanente. La mostra si estende dunque su oltre 1000 metri quadri di superficie con un allestimento esteticamente bellissimo ma, purtroppo, non sempre facilmente decifrabile. E’ infatti caratterizzato da didascalie molto piccole e poco illuminate, che ne rendono difficile la fruizione e molto spesso anche eccessivamente basse per posizione. Inoltre, le luci calde ma  ben proiettate sulle opere, pur essendo utili per metterne in risalto i dettagli e le sfumature , rendono il percorso piuttosto buio e poco agevole per i visitatori. Nonostante questi limiti, la mostra offre ai visitatori l’opportunità di ammirare opere straordinarie molto spesso poco esposte se non mai esposte in un unico contesto. Si tratta di un evento esclusivo, che richiede un certo grado di sofisticazione e sensibilità artistica per essere apprezzato appieno, ma un’occasione unica ed irripetibile per chi ama il bello e l’arte. Accompagna la mostra il catalogo edito da Officina Libraria che contiene saggi dei curatori della mostra.  Qui per tutte le informazioni.

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Milano, Teatro Elfo-Puccini: “Spettri”

gbopera - Ven, 17/03/2023 - 11:48

Milano, Teatro Elfo-Puccini, Stagione 2022/23
SPETTRI”
di Henrik Ibsen
Versione italiana e adattamento Fausto Paravidino
Helene Alving ANDREA JONASSON
Osvald Alving GIANLUCA MEROLLI
Pastore Manders FABIO SARTOR
Engstrand GIANCARLO PREVIATI
Regine ELEONORA PANIZZO
Regia Rimas Tuminas
Scene e Costumi Adomas Jacovskis
Disegno Luci Fiammetta Baldiserri riprese da Oscar Frosio
Produzione TSV – Teatro Stabile del Veneto
Milano, 11 marzo 2023
Si è conclusa al Teatro dell’Elfo di Milano la tournée di “Spettri” di Henrik Ibsen, per la regia di Rimas Tuminas, che ha visto il grande ritorno sulle scene di Andrea Jonasson, una delle ultime strehleriane. Non è senza emozione che ci siamo avvicinati a questa produzione, sia per la sua protagonista, sia per la regia di uno dei registi più interessanti della scena europea, il lituano Tuminas – classe ’51, formatosi tra Lituania e Russia e appartenente allo stesso milieu culturale di Nekrošius e Vasil’ev. E dopo la visione della recita, è solo una la domanda che ci sorge spontanea: cosa rende davvero straordinario uno spettacolo teatrale? In questo caso, ad esempio, abbiamo un testo di incomparabile valore, un regista di indiscutibili talento e autorevolezza, un’attrice protagonista affascinante e caparbia, dalla carriera sfolgorante. Eppure qualcosa comunque non va. Certo nulla che riguardi queste tre dimensioni: “Spettri”, anche se molto rimaneggiato da Fausto Paravidino, rimane uno dei testi più acuti e d’impatto della produzione ibseniana, la riflessione del drammaturgo norvegese sulla colpe dei padri che ricadono sui figli, a cavallo tra il fatalismo della tragedia greca e le leggi positiviste sull’ereditarietà; la regia di Rimas Tuminas interviene molto in profondità nella drammaturgia originaria senza distorcerla del tutto: le scene di danza, ad esempio, sono di grande effetto, così come l’uso di certe pause, la costruzione dei rapporti tra personaggi; Andrea Jonasson ha ancora un naturale magnetismo scenico, e l’accento germanico, in questo caso, non fa altro che aumentare lo straniamento della sua Helene, madre e peccatrice, manipolatrice e santa, un cumulo di contraddizioni dai capelli di fuoco, capace ancora di un manierismo che un po’ manca, oggi, sui nostri palcoscenici (sguardi in tralice, mani che si muovono nell’aria come fiori, voce dalle sinuosità cantabili). Anche le scene di Adomas Jacovskis hanno constribuito alla fascinosa messa in scena, con il grande specchio ondeggiante sul fondo, e le poche sedie tra i pilastri, tutto sui toni del polvere, del verde pino, del blu di Prussia; così come le luci di Fiammetta Baldiserri, geometrie rarefatte in una casa di ombra e fumo. A partire dai costumi dello stesso Jacovskis, però, tanta perfezione inizia a scricchiolare: non si rispetta l’anno di composizione (il 1881), nemmeno però si cerca un’effettiva coerenza tra i costumi dei vari personaggi, che si assestano su un generico “passato”. I punti più dolenti, tuttavia, si raggiungono con le interpretazioni del cast: breve ma incisiva la prova di Giancarlo Previati come Engstrand, l’umile che ha la possibilità di salvarsi dal massacro del gioco drammatico; molto affettata e talvolta generica l’interpretazione del pastore Manders fornita da Fabio Sartor: certamente più a suo agio nelle dinamiche leggere – come la scena con Regine –, la natura grottesca del personaggio non giustifica i cliché che sciorina nei confronti più cruenti con Helene e Osvald; Regine è portata avanti dalla prima all’ultima battuta in maniera molto caricata: non sappiamo se questa scelta sia stata di Tuminas o di Eleonora Panizzo che la incarna, sta di fatto che risulta in questo modo bidimensionale, quasi riversa semplicemente sulla sua ambizione – e molto poco credibile nella veste dell’innamorata di Osvald. Proprio Gianluca Merolli, il protagonista maschile, è l’interprete che solleva più perplessità: per quanto si sforzi di dare corpo e colore al complessissimo Osvald Alving, egli è penalizzato da alcuni elementi oggettivi e da alcune scelte registiche – ci riferiamo a una fisicità e soprattutto una cadenza troppo mediterranea (a tratti regionale), se comparate all’ipergermanica Jonasson, ma anche al diafano protagonista tratteggiato da Ibsen. Il lavoro di Merolli perde credibilità prima di tutto sul piano vocale, e poi a causa di un’interpretazione del personaggio che Tuminas vuole chiaramente eviscerare, mentre per Ibsen trae forza proprio dalla sua umbratile ambiguità. Sul finale rimaniamo perplessi di fronte a una Helene come una Madonna e Osvald un Gesù deposto: può essere che al pubblico di oggi piacciano queste rielaborazioni, ma noi siamo abbastanza certi del fatto che Ibsen si sarebbe molto indignato di fronte a un simile finale, giacché non è in nessun modo sua intenzione di santificare o mitologizzare questa coppia madre-figlio, quanto spezzarla, sbugiardarla, demitizzarla. La sommatoria di tutti questi elementi porta a una sensazione di insoddisfazione: sappiamo di aver visto un bello spettacolo, ma forse non un grande spettacolo. E, considerate le premesse, un po’ dispiace. Foto Rimas Tuminas

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