Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia
INCONTRI CON LA MUSICA
Torna la grande musica da camera nelle serate di apertura straordinaria del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia con sei appuntamenti imperdibili dal 2 al 7 settembre. Quest’anno il fil rouge che accomuna artisti del calibro di Giuseppe Andaloro, Enrico Dindo, Massimo Quarta, Giuseppe Gibboni e il Quartetto Indaco, nonché i sorprendenti berlinesi Vision String Quartet fra gli altri, è Brahms, il cui genio tardo-romantico si intreccerà con il grande repertorio classico, ma anche con alcune sorprese dal mondo contemporaneo, come le trascrizioni di Andaloro da King Crimson o Emerson, Lake & Palmer, fino al geniale compositore brasiliano André Mehmari. I concerti saranno introdotti da dialoghi con personalità del mondo della cultura curati da Francesco Antonioni. Compie cinque anni la rassegna di musica da camera “Incontri con la Musica” nel tempio assoluto dell’arte etrusca e nell’affascinante cornice rinascimentale del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, straordinariamente aperto in veste notturna e proposto in chiave musicale, grazie a sei preziosi appuntamenti, quest’anno dedicati al genio di Brahms, e introdotti dai dialoghi divulgativi curati dal compositore Francesco Antonioni con personalità trasversali dal mondo della cultura italiana. Sin dal concerto d’apertura del pianista e grande trascrittore Giuseppe Andaloro, il 2 settembre sarà subito chiaro come Brahms diventerà in molti appuntamenti un’originale chiave di dialogo in musica non solo con il grande repertorio classico, in questo caso Shostakovich e Ravel, ma anche con la contemporaneità nelle sue molteplici forme. L’impaginato della serata si chiuderà infatti con l’esecuzione di due trascrizioni dello stesso Andaloro, tra i pianisti più stimati del panorama internazionale, dedicate a King Crimson con “Frame by frame” ed Emerson, Lake & Palmer con “The Endless Enigma”, ove il grande rock sciacquerà i suoi panni nell’Arno della forma musicale accademica. Il 3 settembre sarà la volta dei quattro giovanissimi berlinesi del Vision String Quartet, fra le più acclamate novità del mondo classico e non solo: sin dal loro esordio nel 2012 questi straordinari virtuosi, definiti “superumani” dalla critica internazionale, hanno stupito il pubblico dei migliori teatri del globo per la loro attitudine trasversale ai generi, pur mantenendo sempre un impeccabile approccio al repertorio classico, per quanto spesso presentato sotto forma di performance d’arte: da Schubert eseguito nella più assoluta oscurità, a Beethoven immerso in un contesto di sperimentazioni di Lighting Design. Questo innovativo quartetto, che si definisce in realtà ‘band’, presenterà a Villa Giulia un impaginato da Brahms a Ravel in un viaggio dal romanticismo tedesco fino al Quartetto per archi in fa maggiore, dedicato a Gabriel Fauré e ultimato da Ravel nel 1903 a 28 anni. Il 4 settembre si proseguirà invece con una serata dedicata all’amicizia viennese tra il compositore torinese di famiglia ebraica Leone Sinigaglia, assairaro nei programmi italiani, e Johannes Brahms, grazie all’estro dello stimato violinista Marco Rizzi e dell’eccellente pianista Roberto Arosio. Un’occasione per riscoprire un pezzo importante della storia musicale italiana pressoché dimenticata, per quanto Sinigaglia sia stato, dopo l’incontro illuminante con Dvorak, uno dei primi a dedicarsi nel nostro paese alla riscoperta del canto popolare di tradizione orale e le sue opere siano state eseguite da direttori del calibro di Furtwängler, Toscanini e Barbirolli. Il 5 settembre il trio d’occasione formato dalla star del violino Giuseppe Gibboni, da Paolo Bonomini, primo violoncello della Camerata di Salisburgo e docente a Fiesole, e dal pluripremiato giovanissimo talento pianistico di Giovanni Bertolazzi, presenterà un originale impaginato che tra Brahms e Shostakovich incastonerà uno dei lavori più rari in Italia del compositore brasiliano André Mehmari, musicista leggendario – si dice che padroneggi ben 26 strumenti – improvvisatore di straordinario talento in ambito jazz, ma anche compositore profondamente calato nella musica cosiddetta ‘eurocolta’, celebre soprattutto per la sua “Shostakovitchiana” per archi, elaborata dai Ventiquattro preludi e fughe e dal Quartetto d’archi n. 8 di Šostakovič. Il 6 settembre il giovane e lodato Quartetto Indaco insieme al pianista, organista e clavicembalista Stefano Ligoratti proporrà invece il Quartetto per archi n. 4 di Mendelssohn per concludere con il Quintetto in fa minore per pianoforte e archi di Brahms. La serata di chiusura del 7 settembre vedrà l’eccellentissimo sestetto d’occasione composto dalla star del violino Massimo Quarta e il grande violoncello di Enrico Dindo con una pletora di prime parti dalle migliori orchestre europee: il violinista Roberto Righetti e il violista Luca Ranieri dall’Orchestra della Rai, la viola di Simonide Braconi già a Santa Cecilia, Scala e Berliner, infine il violoncellista Asier Polo, che nella sua lunga e luminosa carriera si è esibito praticamente con tutte le più prestigiose orchestre del mondo, dai Berliner a Dresda, da London Symphony a BBC, senza dimenticare Orchestra della Rai e di Parigi.
Biglietti disponibili su:
Si è spento Francesco Ernani. Nato ad Ancona nel 1937, dopo gli studi in Economia e Commercio a Bologna e in Business Administration alla Pacific Western University, approda all’Arena dopo una più che decennale esperienza nella ragioneria pubblica. Dal 1971 al 1975 è Direttore Ammnistrativo dell’allora Ente Lirico veronese. Subito dopo, per un decennio, è al Teatro alla Scala di Milano, prima come Direttore degli Affari Generali e del Personale, quindi come Segretario generale. Nel 1986 è nominato Sovrintendente all’Arena di Verona, fino al 1990: negli anni della sua gestione si è consolidato il repertorio popolare areniano, senza rinunciare a grandi eventi e proposte originali, come la creazione di Zorba il greco in Anfiteatro nel 1988, replicato nel 1990, o come la Messa da Requiem di Verdi con l’Orchestra filarmonica di Mosca diretta da Lorin Maazel, Luciano Pavarotti, solisti del MET e 2.500 voci da tutto il mondo confluite nel World Festival Choir. Successivamente è Sovrintendente al Maggio Musicale Fiorentino per un mandato quinquennale, e all’Opera di Roma per altri due mandati, vincendo il premio Oscar di Bilancio e Comunicazione non profit. Dopo un periodo di consulenza a Catania, è Sovrintendente per un quinquennio al Teatro Comunale di Bologna. Ha ricoperto diversi incarichi nell’ambito delle strutture sindacali e organizzative dello spettacolo, nell’Associazione Nazionale delle Fondazioni Lirico-Sinfoniche, Presidente di Opera Europa, membro di consigli direttivi e comitati italiani ed esteri, tra cui il comitato scientifico del Pucciniano, attivo a lungo anche come relatore e docente. Si è appresa la notizia della sua scomparsa oggi, all’età di 87 anni. Foto © Getty
Si è conclusa con successo la prima fase del progetto A Human Song, ideato e condotto dalla coreografa Chiara Frigo, che ha segnato l’apertura, a inizio luglio, del programma partecipativo del Festival di Danza Contemporanea 2025, promosso dal Teatro Comunale Claudio Abbado di Ferrara. Ora cresce l’attesa per gli appuntamenti di settembre, tra cui Pop e Performer’s Skillbuilding.
A Human Song proseguirà nei giorni 10, 11 e 12 settembre, con sessioni pomeridiane presso la suggestiva Palazzina Marfisa d’Este appena inaugurata dopo i lavori, e culminerà in due giornate di performance collettiva il 13 e 14 settembre all’interno della rassegna Interno Verde Danza. L’invito a partecipare rimane aperto a chiunque, anche senza esperienza pregressa nella danza, e le iscrizioni sono gratuite, da effettuarsi entro l’8 settembre via mail.
Insieme ad A Human Song, il mese di settembre ospiterà altri due significativi appuntamenti formativi e performativi che completano il percorso del Festival, sempre all’insegna della partecipazione e dell’inclusività.
Il primo è Pop, ideato da Nicola Galli, un evento dedicato all’infanzia e alle famiglie. Si terrà il 13 e 14 settembre nel verde del Giardino di Palazzo dei Diamanti; la partecipazione è gratuita, con prenotazione tramite il sito del Teatro Comunale e conferma via mail a partire da settembre.
Il secondo è Performer’s Skillbuilding, un laboratorio condotto da Giulio Santolini, pensato per chi desidera sperimentare la propria fisicità in un contesto teatrale e performativo. Si svolgerà il 14 e 15 settembre nella Sala Prove 1 del Teatro Comunale di Ferrara, età minima 16 anni, quota per partecipare di € 15.
Le iscrizioni, per A Human Song e per Performer’s Skillbuilding, vanno inviate ad audizioni@teatrocomunaleferrara.it. Qui per ulteriori informazioni e per le iscrizioni. Foto: Workshop Danza Teatro – Progetto A human song di Chiara Frigo
Sabato 20 e domenica 21 settembre 2025, ore 17.30, nella splendida Sala dei Giganti del Liviano di Padova andrà in scena l’opera Gianni Schicchi di Giacomo Puccini con l’accompagnamento della Venice Chamber Orchestra diretta dal M. Nicola Simoni. La regia sarà affidata al M. Pablo Maritano (ingresso libero con prenotazione obbligatoria a partire dal 5 settembre).
Un’anteprima dell’opera andrà in scena giovedì 18 settembre, ore 21, al Teatro Filarmonico di Piove di Sacco (Pd) con l’accompagnamento al pianoforte (ingresso libero).
Due cast internazionali di artisti si esibiranno a Piove di Sacco e Padova: Gianni Schicchi sarà interpretato da Juneyeon Yoon, nel ruolo di Lauretta si alterneranno Iris Kwon e Giulia De Stasio, Zita detta la Vecchia sarà Elena Antonini, Rinuccio sarà affidato a Manuel Amati, Ling Nie sarà Gherardo, Yuka Wada e Kasumi Hiyane si alterneranno nel ruolo di Nella, Gherardino (da definire), Betto di Signa sarà Giulio Alessandro Bocchi, Simone sarà Michele Gianquinto, Yuerui Cheng nei panni di Marco, Dora Egerland e Alessandra Marangon interpreteranno La Ciesca, Tommaso Quanilli vestirà i panni di Maestro Spinelloccio e di Ser Amantio di Nicolao, Francesco Toso sarà Pinellino, Xianzhi Wang sarà Guccio e Buoso Donati sarà Giovanna Senatore. Maestri collaboratori saranno Manuel Dudau e Tongyu Liu, assistente alla regia Irina Solomonoff. Qui per ulteriori informazioni, oppure, sempre per informazioni e anche per prenotazioni: 349 802 6146, 335 630 3408, 380 759 6925; scrivere a: ufficiostampa@circolodellalirica.it o cliccare qui.
L’Associazione “Concorso Elsa Respighi-Verona” presenta la X edizione del Concorso Internazionale Elsa Respighi 2025, dal 25 al 26 ottobre 2025, a Verona, Palazzo Verità Poeta. Scadenza iscrizioni: 19 ottobre 2025. Eliminatoria on line – Semifinale e Finale in presenza. Quota di iscrizione per DUO: € 100. Limite di età: 38 anni.
Il programma del Concorso per Duo Voce e Pianoforte, italiani e stranieri, è dedicato al repertorio vocale cameristico dei compositori italiani tra fine ‘800 e prima metà ‘900 esclusivamente in lingua italiana: Romanze, Melodie o Liriche da camera.
Dal 2019 è attiva anche la sezione compositori italiani contemporanei (facoltativa), che prevede un “pezzo d’obbligo” in prima esecuzione assoluta: 2025 Tommaso Ziliani, Al Castello, testo Annunziata Lia Lantieri.
Tra i vincitori “Elsa Respighi” la giuria potrà segnalare al CIDIM – Comitato Nazionale Italiano Musica – un Duo Italiano per il progetto internazionale “Suono Italiano”, volto a promuovere il talento musicale del nostro paese all’estero. Qui per il sito ufficiale del Concorso Internazionale Elsa Respighi. Qui per effettuare le iscrizioni online. Per informazioni sul programma, edizioni musicali e contatti scrivere a concorsoelsarespighi@gmail.com.
Dal 30 agosto al 28 settembre 2025 il Festival Barocco Alessandro Stradella torna a risuonare nei luoghi più suggestivi della Tuscia. Un mese di musica, arte e cultura che intreccia un raffinato dialogo tra la musica e la bellezza senza tempo di chiese, palazzi storici e borghi del Lazio, celebrando l’eredità di Alessandro Stradella – figura affascinante e innovativa del Seicento musicale italiano – attraverso concerti, produzioni originali e ospiti di rilievo internazionale.
Apertura del festival il concerto Un Angelo del Paradiso – The Orrigoni Songbook, un programma di grande musica stradelliana composta per il soprano castrato Marc’Antonio Orrigoni, «primo soprano» e protagonista delle ultime opere di Stradella nella stagione del Carnevale 1679 del Teatro Falcone di Genova. L’esecuzione è affidata all’Ensemble Mare Nostrum diretto dal maestro Andrea De Carlo, considerato lo specialista al livello internazionale dell’opera di A. Stradella.
Rai Radio3 Classica ospiterà registrazioni dal Festival nel programma dal vivo, in onda il sabato alle ore 17:30. In allegato, tutte le informazioni sul Festival Stradella 2025. Qui per il Programma.
Dal 27 agosto al 7 settembre si svolgono le Finali del 65° Concorso Pianistico Internazionale Busoni tra l’Auditorium e il Teatro Comunale di Bolzano. Tra i 648 iscritti, solo 34 sono giunti alla Finalissima nel capoluogo altoatesino. Due prove solistiche e una prova cameristica precedono il decisivo concerto per pianoforte e orchestra sul palco del Teatro Comunale domenica 7 settembre. L’Orchestra Haydn diretta da George Pehlivanian e il Simply Quartet accompagnano i candidati nelle prove.
Nel 1949, il Concorso Pianistico Ferruccio Busoni fu tenuto a battesimo da Claudio Arrau, Arturo Benedetto Michelangeli, Alfred Cortot, Edwin Fischer, Dinu Lipatti, Arthur Rubinstein ed Egon Petri, una giuria che comprendeva gli astri più luminosi della musica classica. Oggi, a distanza di 76 anni, il Busoni è uno dei cinque più prestigiosi concorsi pianistici al mondo, un vero gioiello per il panorama musicale italiano e per Bolzano, Città Creativa della Musica UNESCO.
Il primo premio consiste nella somma di 30.000 euro e prevede anche un supporto alla carriera del vincitore da parte dell’amministrazione del Concorso per i due anni successivi alla vittoria. Quest’opportunità, unica per un giovane musicista, è la grande missione della Fondazione Busoni-Mahler, impegnata nella trasmissione del lascito artistico di Ferruccio Busoni, ponte culturale tra l’Italia e l’Europa all’inizio del Novecento. In allegato, tutte le informazioni. 65° Concorso Busoni_Le Finali – aggiornato. Il Calendario, aggiornato, è disponibile qui.
Allegati
La Messa per Rossini diretta da Donato Renzetti e dedicata alla memoria dell’ideatore e storico Sovrintendente del Festival Gianfranco Mariotti, scomparso alla fine dell’anno scorso, ha chiuso al Teatro Rossini la 46a edizione del Rossini Opera Festival.
Sono stati 42 gli eventi in cartellone tra spettacoli e incontri. Il programma, particolarmente ricercato, ha proposto un nuovo allestimento di Zelmira (titolo che mancava al ROF dal lontano 2009), diretto da Giacomo Sagripanti e messo in scena da Calixto Bieito, al debutto al Festival. È seguita un’altra nuova produzione, L’Italiana in Algeri, affidata alla bacchetta di Dmitry Korchak e alla regia di Rosetta Cucchi. Due le riprese: La cambiale di matrimonio già vista con successo al ROF 2020 e nella successiva tournée in Oman, ideata da Laurence Dale e questa volta diretta da Christopher Franklin, nonché Il viaggio a Reims nella consueta versione ideata da Emilio Sagi, diretta da Alessandro Mazzocchetti e interpretata dagli allievi dell’Accademia Rossiniana “Alberto Zedda”.
Nel programma concertistico erano presenti diverse rarità: le tre Cantate Il pianto di Armonia sulla morte di Orfeo, La morte di Didone e Il pianto delle Muse in morte di Lord Byron sono state eseguite in prima assoluta nell’edizione critica della Fondazione Rossini; in chiusura, la Messa per Rossini.
Le tre prime serate del Festival sono state trasmesse in diretta su RaiRadio3.
Sono stati riproposti i ROF Talks, ciclo di incontri tematici condotti dalla giornalista RAI Susanna Franchi, e i Salons Rossini, seguitissime serate musicali svolte quest’anno in sei borghi storici della provincia: Mercatino Conca, Vallefoglia, Mercatello sul Metauro, Gradara, Sassocorvaro e Urbino. Nel corso del primo dei ROF Talks si è tenuta la cerimonia di consegna del 44° Premio Abbiati, con il ROF che ha ritirato il premio per il migliore spettacolo, Ermione, in scena a Pesaro nella scorsa estate.
Il botteghino ha fatto registrare 15.559 presenze ed un incasso di 841.000 euro. In forte crescita la percentuale di italiani, che ha raggiunto il 63%.
Particolarmente significativa la copertura mediatica: sono stati accreditati 176 giornalisti (dato secondo solo a quello del Festival dell’anno scorso, più lungo di 4 giorni) per testate provenienti da Italia e 22 nazioni straniere.
Il Concerto finale degli allievi dell’Accademia Rossiniana “Alberto Zedda” è stato trasmesso per la prima volta in diretta su OperaVision.eu. Il concerto sarà disponibile sulla piattaforma anche per i sei mesi successivi. Qui per altre informazioni.
“Il trionfo di Clelia”: “Resta o cara”; “Paride ed Elena”: “O del mio dolce ardor”; “Ipermestra”: “No, che torni sì presto…Io non pretendo, o stelle”; “Orfeo ed Euridice”: “Danza degli spiriti beati…Che puro Ciel”; “Ezio”: ““Misera, dove son!…“Ah, non son io che parlo”; “Il trionfo di Clelia”: “Saper ti basti, o cara”; “Il Parnaso confuso”: “Di questa cetra in seno”; “Semiramide riconosciuta”: “Maggior follia non v’è”; “Le nozze d’Ercole e d’Ebe”:“L’augellin da’ lacci sciolto”; Il trionfo di Clelia”: “De’ folgori di Giove”. Ann Hallenberg (Mezzosoprano), The Mozartists, Ian Page (direttore). Registrazione: Church of St Augustine, Kilburn, London, 15-17 giugno 2024. 1 CD Signum Classics
La svedese Ann Hallenberg è sicuramente una delle stelle della vocalità barocca e classica contemporanea. Nonostante una carriera ormai lunga, ma sempre gestita con grande intelligenza, la voce del mezzosoprano è praticamente integra ed unita a un impeccabile senso stilistico. La Hallenberg ci ha inoltre abituati a proposte particolarmente stimolanti con il recupero di titoli poco noti e programmi costruiti con particolare cura. Questa nuova proposta – per l’etichetta Signum Classics – può al primo sguardo apparire più banale. Si tratta di un omaggio a Christoph Willibald Gluck, figura fondamentale nell’evoluzione storica del melodramma e oggetto di interessanti riprese negli ultimi anni.
L’ascolto però non delude affatto e la scelta dei brani, tratti per lo più da opere pre-riformate – permette di farsi un’idea della modernità della scrittura gluckiana già in questi titoli in cui sui riconoscono in nuce quell’essenzialità formale e quell’intensità drammatica che saranno proprie dei titoli maggiori. Esemplare in tal senso “Di questa cetra in seno” da “Il Parnaso confuso” in cui già riconosciamo quel canto essenziale e quel legame strettissimo fra musica e parola che della riforma saranno i cardini portanti.
“Il trionfo di Clelia” è l’opera che più di ogni altra ha rivelato l’ancor giovane compositore. Composta nel 1763 per l’inaugurazione del Teatro comunale di Bologna ottenne un trionfale successo premiando il coraggio dei committenti. Opera d’occasione su un testo già ampiamente sfruttato di Metastasio cui Gluck riesce però a in fondere nuova vita. Da quest’opera sono tratte tre arie. Tra cui “Resta, o cara” fortemente espressiva e la trascinante “De’ folgori di Giove”, aria eroica e virtuosistica che richiede alla cantante vertiginosa facilità nei passaggi di bravura e accetto nitido e marziale, entrambe doti che la Hallenberg possiede al massimo livello.
Il valore drammatico ed espressivo di queste arie trova la sua realizzazione più compiuta nella grande scena di Fulvia da “Ezio” in cui Gluck mostra di possedere una capacità espressiva che anticipa i successivi sviluppi pre-romantici pur all’interno di una struttura ancora pienamente tradizionale e di un assoluto controllo delle forme; più breve ma non meno intensa è “Io non pretendo, o stelle” da “Ipermestra” su quel medesimo mito delle Danaidi da cui l’allievo Salieri trarrà uno dei massimi capolavori della tragedia lirica di fine secolo.
Sul versante opposto, quello della leggero e galante si situa “L’augellin da’ lacci sciolto” da “Le nozze d’Ercole e d’Ebe” in cui Gluck declina con maestria quel tipo di aria mimetica che evoca ambienti arcadici con la voce chiamata a imitare il canto degli uccelli. La Hallenberg piega con maestria alle ragioni di quest’aria di grazia una vocalità naturalmente più portata all’eroismo drammatico.
I brani dalle opere riformate risultano i meno interessanti anche se si è cercato di evitare quelli forse più scontati. Le esecuzioni proposte restano di altissimo livello ma si tratta pur sempre di brani molto conosciuti. Di “Orfeo ed Euridice” si opta per la scena elisia fondendo la Danza degli spiriti beati della versione del 1762 con l’arioso “Che puro ciel” tratto dal rifacimento del 1769. Il canto della Hallemberg è impeccabile per chiarezza e nitore stilistico dando pieno risalto all’aria. La celeberrima “O del mio dolce ardor” da “Paride ed Elena” è innegabilmente ben cantata ma la voce è un po’ matura e manca lo stupore adolescenziale che altre interpreti hanno saputo rendere.
Ad accompagnare la Hallenberg sono i The Mozartists guidati da Ian Page. Si tratta di una compagine britannica poco nota ma che all’ascolto si rivela di ottimo livello. Specialisti del repertorio neoclassico e mozartiano presentano sonorità pulite, luminose, di classica tornitura. I tempi sono brillanti ma non eccessivi e concedono al canto tutte le sue ragioni espressive.
Dopo il successo e il sold out al Cenobio del San Bartolo, il concerto del fisarmonicista Raffaele Damen torna in una nuova data, martedì 26 agosto ore 21:30, nella suggestiva cornice del Cortile di Palazzo Gradari di Pesaro. In programma musiche di Bach, Ligeti, Comitini e Totaro, per un nuovo appuntamento del cartellone estivo WunderKammer Orchestra ETS.
Originario di Pesaro, Damen è un artista sempre più apprezzato in Italia e all’estero, vincitore di numerosi premi, tra cui Val Tidone, Stresa, Luigi Nono, Premio Abbado. Esperto esecutore di musica contemporanea, i suoi concerti prevedono spesso prime assolute di brani a lui dedicati.
Il programma della serata è un viaggio dal ‘700 ai nostri giorni, alla scoperta delle composizioni in grado di esaltare le complesse sonorità della fisarmonica. Partendo dalla Partita n. 1 di Johann Sebastian Bach – da Le Sei Partite per clavicembalo BWV 825-830 – Damen propone inoltre il ciclo Musica Ricercata composto dall’ungherese György Ligeti negli anni ‘50 e costituito da undici brevi miniature, e brani nati dalla sua personale collaborazione con autori contemporanei: gli Studi Celesti di Danilo Comitini e la Toccata dai Tre Studi per fisarmonica di Mario Totaro.
L’appuntamento si inquadra nel cartellone di concerti ed incontro organizzati a Pesaro da Wunderkammer Orchestra Ets in collaborazione con il Comune di Pesaro, e con il sostegno di Sistemi Klein (main sponsor), Morfeus, Riviera Banca, Roberto Valli Pianoforti, Giardino di Santa Maria.
Ingresso € 20,00 intero, € 15,00 ridotto Soci WKO, € 10,00 under 18. Qui per tutte le informazioni.
Pesaro, Teatro Rossini, Rossini Opera Festival 2025, XLVI Edizione
“MESSA PER ROSSINI” per soli, coro e orchestra
Musiche di Antonio Buzzolla, Antonio Bazzini, Carlo Pedrotti, Antonio Cagnoni, Federico Ricci, Alessandro Nini, Raimondo Boucheron, Carlo Coccia, Gaetano Gaspari, Pietro Platania, Lauro Rossi, Teodulo Mabellini, Giuseppe Verdi
Soprano Vasilisa Berzhanskaya
Mezzosoprano Caterina Piva
Tenore Dmitry Korchak
Baritono Misha Kiria
Basso Marko Mimica
Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Donato Renzetti
Coro del Teatro “Ventidio Basso” di Ascoli Piceno
Maestro del Coro Pasquale Veleno
Pesaro, 22 agosto 2025
«L’Istoria musicale dovrà necessariamente un giorno registrare “che nella tal epoca, alla morte di un Uomo celebre, tutta l’Arte italiana si riunì per eseguire in San Petronio di Bologna una Messa da morto composta espressamente da molti Maestri, il di cui originale si conserva sotto sigillo nel Liceo di Bologna”. Diventa questo un fatto storico e non una ciarlatanata musicale». Così, da par suo, Giuseppe Verdi in una lettera ad Angelo Mariani il 19 agosto 1869, quando ormai si approssimava l’anniversario di un anno dalla morte di Gioachino Rossini (17 novembre 1868), ossia la data in cui eseguire la Messa per soli, coro e orchestra di cui lo stesso Verdi era stato ideatore ed entusiasta promotore. È risaputo che l’impresa naufragò clamorosamente (come se si trattasse di una ciarlatanata, disse presago il furente Verdi) e che i brani inviati dai tredici compositori coinvolti non furono eseguiti se non nel 1988 in edizione moderna e poi, comunque, in ben poche occasioni. Che dopo quarantacinque edizioni del Rossini Opera Festival si sia deciso di programmare questa Messa come concerto finale di una stagione è un’altra caratteristica di originalità di quest’anno. E che la concertazione e direzione della partitura sia stata affidata a Donato Renzetti, uno dei direttori più rappresentativi della scuola italiana (e del ROF, dove debuttò nel 1981), è altro segno dell’importanza dell’evento. Peccato che il sovrintendente del festival, Ernesto Palacio, debba annunciare che il tenore Dmitry Korchak, indisposto per una tracheite, non potrà cantare il numero di cui è protagonista (l’Ingemisco di Alessandro Nini, che sarà omesso), ma parteciperà comunque agli altri. Tra i solisti brilla il soprano Vasilisa Berzhanskaya, una presenza costante (e sempre affidabile) a Pesaro dal 2021: è ovvio che, più che nel Sanctus di Pietro Platania, tutto l’uditorio l’attenda nel Libera me, Domine finale, scritto da Verdi e poi rielaborato nel 1874 per la Messa di Requiem (tutta sua) in memoria di Alessandro Manzoni. Capace di mezze voci e filature magistrali, il soprano non rinuncia però a certa emissione drammatica, chiudendo l’esecuzione con il sigillo del Verdi più ispirato. Anche Misha Kiria è protagonista di un numero per baritono e coro, il Tuba mirum di Carlo Pedrotti, che modula con un’emissione potente e solida. Completano il quintetto vocale il mezzosoprano Caterina Piva, debuttante al ROF, e Marko Mimica, interprete solista del Confutatis, maledictis di Raimondo Boucheron, uno dei brani più originali della composita partitura. In effetti, la disomogeneità di stili e di strumentazione costituisce il problema più grave della Messa per Rossini, non a caso un unicum monumentale mai entrato nel repertorio sacro-sinfonico. Renzetti sceglie la via più opportuna per comunicare i vari numeri, ossia evidenziare la solennità ritmica e sonora dei brani meno qualificativi, come i primi quattro, di Buzzolla, Bazzini, Pedrotti e Cagnoni, con il timpano e le trombe in primo piano, per poi esaltare le soluzioni alternative di altre piccole gemme della partitura. La lezione del Rossini sacro, di quel particolarissimo linguaggio musicale che nacque per informare lo Stabat Mater, ma soprattutto l’inarrivabile Petite Messe Solennelle, sembra essere stata obliterata a chi ascolti questo florilegio in sua memoria. Eppure – eccettuato il numero verdiano (che è mondo a sé rispetto a tutti gli altri dodici) – qualche timido tentativo di elevarsi sopra gli schematismi si apprezza: per esempio, nel Recordare Jesu pie di Federico Ricci, per quattro voci e orchestra, e ancor più nel Lux aeterna di Teodulo Mabellini, per tenore, baritono, basso e orchestra, con una preziosa introduzione strumentale che davvero rende omaggio a Rossini. Alla fine si comprende bene che gli applausi, intensi e prolungati, sono sia per gli esecutori sia per la memoria del nume tutelare locale; in subordine per Verdi e da ultimo per gli altri dodici apostoli della musica italiana della seconda metà dell’Ottocento. Un collettivo non spregevole, in ogni caso, giacché si tratta di contemporanei di Rossini e di Verdi, a cui una rassegna come il ROF, in cerca di identità presenti e future, dovrebbe guardare come patrimonio musicale e culturale tutto da riscoprire e valorizzare. Foto © Amati Bacciardi
Roma. Dentro lo smartphone, a piedi e quasi gratis
Autore: Fabrizio Politi
Editore: Fabbri Editori (gruppo Mondadori)
Collana: Guide
Anno di pubblicazione: 22 marzo 2022
ISBN: 978-88-9158-651-3
Formato: Brossura, 224 pagine (illustrato)
Prezzo di copertina: 16,00 € (cartaceo); disponibile anche in eBook a 9,99 €
Genere: Guida turistica / Narrativa di viaggio urbana
Lingua: Italiano
Ogni città è un testo, e come tutti i testi può essere letto in modi diversi. Roma, poi, è un ipertesto millenario, una stratificazione che non smette di rimandare a se stessa. È la capitale dell’Impero e della cristianità, la città dei Cesari e dei papi, ma anche dei tram che arrancano, delle periferie cresciute come funghi, dei murales che spuntano dietro una serranda. Fabrizio Politi, nel suo Roma. Dentro lo smartphone, a piedi e quasi gratis, propone un metodo di lettura che non appartiene né ai Baedeker ottocenteschi né alle guide ministeriali: un metodo contemporaneo, filtrato attraverso l’oggetto che ha sostituito la bussola e la mappa, ossia lo smartphone. Il titolo è dichiarazione semiotica: la città esiste come spazio fisico, ma viene ricodificata in immagine digitale, in narrazione istantanea, in traccia luminosa sullo schermo. L’approccio di Politi è quello dell’ “homo viator” digitale: camminare, osservare, condividere. Non a caso, l’autore è un influencer che ha costruito la propria reputazione raccontando Roma sui social. Questo dato non implica superficialità; al contrario, l’esperienza digitale fornisce la struttura di un racconto che procede per lampi e digressioni. Roma diventa un flusso di micro-narrazioni, come un feed da scrollare. Il pregio del libro è assumere questa condizione e trasformarla in metodo. Politi ci conduce tra luoghi noti e meno noti senza ridurli a schede didascaliche. Ogni tappa è un micro-racconto, un dettaglio colto al volo. È, per dirla con termini semiotici, un’“enciclopedia aperta”: la città non è un dizionario che chiude i significati, ma un insieme mobile di interpretazioni. La fontana nascosta in un cortile non è meno significativa del Colosseo; anzi, per il flâneur digitale è più preziosa perché laterale. La storia è sempre presente, ma evocata con leggerezza. Roma non è spiegata come un manuale, ma raccontata come un interlocutore che dialoga col passante. Politi evita il peso delle cronologie e privilegia il nesso tra passato e presente: il mosaico accanto al bar che serve caffè a un euro, la cupola barocca riflessa nel finestrino di un motorino. Questa giustapposizione restituisce la natura non lineare della città. A chi obiettasse che una guida debba fornire dati certi, Politi risponde implicitamente che ciò che conta non è la verità documentaria, ma l’esperienza. La città non è soltanto patrimonio, è soprattutto ricezione: il modo in cui i suoi abitanti e visitatori la interpretano. Roma come “opera aperta”, direi. Lo smartphone non è un semplice richiamo alla modernità, ma un dispositivo epistemologico. La Roma di Politi è mediata da filtri, stories, geolocalizzazioni. Non è un degrado dell’esperienza, ma un suo raddoppio. L’occhio non basta; serve l’occhio della fotocamera, che archivia e diffonde. Il libro diventa così documento antropologico: mostra come le nuove generazioni non solo visitino, ma producano la città attraverso gesti digitali. Chi cerca un manuale accademico potrebbe restare spiazzato. Non ci sono lunghe spiegazioni né mappe dettagliate. Ma ridurlo a difetto sarebbe ingiusto: Roma. Dentro lo smartphone, a piedi e quasi gratis non intende sostituire i volumi di storia dell’arte; vuole piuttosto offrire un invito a praticare la città. È, se vogliamo, un atto democratico: Roma non come possesso degli esperti, ma come spazio comune che chiunque può vivere e reinventare. Il pregio maggiore sta nel rimettere in circolo l’immaginario urbano. Politi non santifica né condanna Roma; la racconta con affetto e ironia, con l’occhio disincantato di chi la abita. Il suo libro somiglia più a un diario che a una guida: un diario collettivo, perché ciascun lettore è chiamato a proseguire l’itinerario con i propri passi. Roma, ci ricorda l’autore, non è città da esaurire, ma da attraversare continuamente. Camminarla “a piedi e quasi gratis” significa accettare la sua natura di palinsesto, la sua vocazione a trasformarsi a ogni sguardo. Alla fine, il libro funziona come istruzione di lettura. Roma non si capisce, si interpreta; non si possiede, si attraversa. Lo smartphone è il medium del nostro tempo, e usarlo per guardare Roma non è sacrilegio, ma adattamento. Anche i pellegrini medievali avevano le loro guide e i loro oggetti apotropaici: noi abbiamo mappe digitali e post da condividere. La differenza è di codice, non di sostanza. Così, Roma. Dentro lo smartphone, a piedi e quasi gratis non è solo guida alternativa: è un piccolo trattato di semiotica urbana travestito da manuale popolare. Leggendolo, ci si accorge che la vera merce rara non è il monumento nascosto, ma lo sguardo capace di riconoscerlo. Roma, come ogni testo complesso, non chiede di essere consumata, ma decifrata. L’autore ci consegna non la chiave definitiva — perché Roma non ha chiavi che chiudano il discorso — ma un invito all’interpretazione infinita.
Herr, deine Augen sehen nach dem Glauben! BWV 102 è il titolo della terza Cantata bachiana per la decima Domenica dopo la Trinità. Essa completa il trittico di opere dedicate a questa festività (le altre, che abbiamo cronologicamente già trattato, sono la BWV 187 e la 45) e come le precedenti si apre con un solenne coro tripartito, ricco di invenzioni contrappuntistiche. Dopo una introduzione strumentale segue un episodio mottettistico liberamente polifonico, sulla prima parte del testo” Signore, i tuoi occhi cercano la fede! Tu li hai percossi, ma non mostrano dolore; li hai fiaccati, ma rifiutano di comprendere la correzione”.(Geremia cap.5 vers.3), seguita da una “fuga” sulla terza frase: “Hanno indurito la faccia più di una rupe, non vogliono convertirsi”. Vi è quindi una ripresa variata del blocco iniziale. Da notare che questa pregevole pagina è stata riversata da Bach nel “Kyrie” della Messa in si minore BWV 235, così come lo saranno le arie nr.3 e 5, riutilizzate nella Messa in fa maggiore BWV 233. La durezza di Geremia, ben rappresentata dal tagliente ed immaginifico linguaggio polifonico bachiano trova un corrispettivo nell’arioso del basso (nr,4) che poggia sulla lettera di Paolo ai romani (cap.2 vers.4 e 5), nella quale la parola dell’apostolo si riveste della “Vox Christi e attraverso un vivace declamato riversa sul fedele la minaccia dell’ira divina. Questa pagina è inquadrata da 2 arie dal carattere contrastante: un “Adagio” per contralto e oboe (nr.3) dalle linee contorte e spezzate in testimonianza del dolore dell’anima sul punto di essere esclusa dalla grazia di Dio. L’altra aria (Nr.5) cantata dal tenore è una trepidante pagina con flauto traversiere, dominata da un senso di angoscia e spavento.
Prima parte
Nr.1 – Coro
Signore, i tuoi occhi cercano la fede! Tu li hai percossi,
ma non mostrano dolore; li hai fiaccati, ma rifiutano
di comprendere la correzione. Hanno indurito la faccia
più di una rupe, non vogliono convertirsi.
Nr.2 – Recitativo (Basso)
Dov’è l’immagine che Dio ha impresso in noi,
se la nostra volontà perversa si oppone a Lui?
Dov’è il potere della sua Parola,
se ogni miglioramento scompare dai nostri cuori?
L’Altissimo cerca di domarci con la tenerezza,
cercando di spingere all’obbedienza l’anima errante;
ma se essa persiste nella sua volontà distorta
egli l’abbandonerà nell’oscurità del cuore.
Nr.3 – Aria (Contralto)
Malattia dell’anima, che la sua colpa
più non riconosce
e attirando la punizione su se stessa
persevera ostinatamente,
fino ad escludersi
dalla grazia di Dio.
Nr.4 – Arioso (Basso)
Ti prendi gioco della ricchezza della sua bontà,
della sua tolleranza e della sua pazienza, senza riconoscere
che la bontà di Dio ti spinge alla conversione? Tu, però,
con la tua durezza e il tuo cuore impenitente accumuli collera
su di te per il giorno dell’ira e della rivelazione
del giusto giudizio di Dio.
Seconda parte
Nr.5 – Aria (Tenore)
Temi dunque,
anima troppo sicura di te!
Pensa a cosa ti procurerà
il gioco dei peccati.
La pazienza di Dio procede con i piedi di piombo,
quindi la sua ira risulterà ancora più forte su di te.
Nr.6 – Recitativo (Contralto)
L’attesa è pericolosa;
vuoi perdere tempo?
Dio, che prima era clemente,
può facilmente convocarti al suo tribunale.
Allora dov’è la tua penitenza? Un istante
divide il tempo dall’eternità, il corpo dall’anima;
mente accecata, torna sui tuoi passi,
affinché questa ora non ti prenda alla sprovvista!
Nr.7 – Corale
Oggi vivi, oggi convertiti,
prima che giunga domani in cui tutto può cambiare;
chi oggi è in salute, vigoroso, colorito,
domani è malato, forse già morto.
Se muori senza pentimento,
il tuo corpo e la tua anima sono destinati all’inferno.
Aiutami, Signore Gesù, aiutami
a venire presso di te oggi stesso
e a pentirmi in questo istante
prima che la morte sopraggiunga,
affinché ora e in qualsiasi momento
io sia pronto per il mio ritorno nella tua casa.
Traduzione Emanuele Antonacci
Un cast eccezionale. Con primi ballerini provenienti da tutto il mondo. In questi giorni, al Teatro Romano di Verona, sono ormai alle fasi finali le prove di Zorba il greco che andrà in scena dal 26 al 31 agosto. Quattro serate a ritmo di sirtaki. Un omaggio a Mikis Theodorakis, compositore delle musiche del balletto, nell’anno del suo centenario, con il balletto da lui creato appositamente per Verona.
Pronti ad entrare in scena, da protagonisti, alcuni felici di tornare a Verona dove si sentono ormai ‘a casa’, altri entusiasti per il loro debutto al Teatro Romano e nel titolo: Igor Tsvirko, primo ballerino del Bol’šoj, Julian MacKay, principal dancer del Bayerische Staatsballett di Monaco, Eleana Andreoudi, prima ballerina dell’Opera Nazionale greca di Atene, Virna Toppi, prima ballerina del Teatro alla Scala di Milano, Liudmila Konovalova, prima ballerina dello Staatsballett di Vienna, Davide Buffone, primo ballerino all’Opera slovena di Maribor. Una compagnia che vede assieme i più grandi talenti dei più importanti teatri europei. Saranno loro tra poche ore a vestire i panni di Zorba, John, Marina, Hortense e Manolios, raccontando, a passo di danza, una storia intrisa di colori e sonorità che immediatamente richiamano la Grecia.
Protagonista sul palcoscenico del Teatro Romano anche il Ballo di Fondazione Arena con i suoi cinquanta talenti, già applauditi nel corso dell’Opera Festival e nelle scorse edizioni di Zorba il greco. Ogni replica, infatti, ha collezionato applausi e numerose richieste di bis. I ballerini, coordinati da Gaetano Bouy Petrosino, daranno vita alle coreografie originali di Lorca Massine. L’allestimento è firmato da Filippo Tonon, che ne ha curato le scenografie, mentre Sergio Toffali guida magistralmente le luci. Studiati nel dettaglio i costumi di Silvia Bonetti che, di anno in anno, vengono adattati ai singoli ballerini.
Dal debutto, a Verona, nell’agosto 1988, Zorba il greco ha intrapreso un cammino internazionale, raggiungendo 35 paesi diversi e milioni di spettatori dal vivo, tornando a Verona nel 2002 per una ripresa al Teatro Filarmonico e poi al Teatro Romano, dove è diventato appuntamento fisso dal 2023 in una nuova produzione che ha conquistato il pubblico veronese e centinaia di spettatori stranieri ad ogni replica. Sin dalla sua nascita, con la musica e la danza, Zorba ha abbattuto le barriere, veicolato un messaggio di pace, ed esaltato l’umanità tutta, nella sua capacità di amare, soffrire, gioire, scoprirsi e rinascere.
Dopo la prima martedì 26 agosto, alle 21.30, si replica il 27, il 30 e il 31 agosto. Ancora disponibili i biglietti di gradinata, in vendita sul sito www.arena.it, alle biglietterie di via Roma e di via Dietro Anfiteatro, così come sul circuito TicketOne. Speciali riduzioni sono riservate agli under 30 e agli over 65. Qui per tutte le informazioni.
In attesa delle Cerimonie Olimpiche Invernali 2026, Balich Wonder Studio e Fondazione Arena di Verona riportano la magia di Vivaldi al centro della scena con Viva Vivaldi. The Four Seasons Immersive Concert, il format che ha rivoluzionario la musica sinfonica. Mercoledì 27 agosto, alle ore 21.30, le note immortali di Antonio Vivaldi prenderanno nuova vita nell’Arena di Verona grazie all’Orchestra della Fondazione, diretta dal talento del violinista Giovanni Andrea Zanon. Dopo aver incantato oltre 10 mila persone nel 2024, lo show multisensoriale torna ad intrecciare musica e immagini tridimensionali, trasformando l’esperienza d’ascolto in un viaggio immersivo capace di sorprendere e catturare il pubblico.
Dal vivo una rilettura immaginifica de Le quattro stagioni che affascinerà anche le nuove generazioni. Biglietti a partire da 30 euro e per gli under 30 speciale promozione per posti di platea a 60 euro in vendita sul sito www.arena.it, alle biglietterie di via Roma e via Dietro Anfiteatro, nel circuito Ticketone.
Da un format esclusivo ideato da Marco Balich e coprodotto da Fondazione Arena di Verona, lo spettacolo porta sulla scena la magica alchimia fra l’orchestra di 29 elementi, rigorosamente fedele alla partitura originale di Vivaldi, e il linguaggio contemporaneo della tecnologia immersiva applicata ai codici della musica classica. Lo show vedrà la presenza del maestro Giovanni Andrea Zanon, violinista e stella del panorama musicale, vincitore dei più prestigiosi concorsi internazionali, assieme ai professori d’Orchestra dell’Arena di Verona.
Grazie a un sofisticato sistema tecnologico che combina schermi a LED trasparenti con suggestivi effetti visivi e luminosi, il concerto sarà accompagnato da contenuti video tridimensionali che emergeranno dal palcoscenico al di sopra del pubblico, proiettando la potenza travolgente della musica classica. Una nuova dimensione emotiva che trascende i confini dello spazio e del tempo e permetterà agli spettatori di percepire davanti ai loro occhi la sublime bellezza della musica e la straordinaria forza della natura e del Pianeta Terra.
Lo spettacolo vede la partecipazione di talenti italiani, riconosciuti a livello internazionale: Claudio Sbragion, Creative Director e Stefania Opipari, Co-Creative Director, affiancati da Rino Stefano Tagliafierro, Video Content Art Director e dallo studio Moving Dots che si è occupato della Video Content Production. Qui per tutte le informazioni.
Pesaro, Teatro Rossini, Rossini Opera Festival 2025, XLVI Edizione
“L’ITALIANA IN ALGERI”
Dramma giocoso per musica in due atti su libretto di Angelo Anelli
Musica di Gioachino Rossini
Mustafà GIORGI MANOSHVILI
Elvira VITTORIANA DE AMICIS
Zulma ANDREA NIÑO
Haly GURGEN BAVEYAN
Lindoro JOSH LOVELL
Isabella DANIELA BARCELLONA
Taddeo MISHA KIRIA
Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Dmitry Korchak
Coro del Teatro “Ventidio Basso” di Ascoli Piceno
Maestro del Coro Pasquale Veleno
Regia Rosetta Cucchi
Scene Tiziano Santi
Costumi Claudia Pernigotti
Video Designer Nicolás Boni
Luci Daniele Naldi
Pesaro, 21 agosto 2025, nuova produzione
Alla presenza del coro di schiavi italiani, mentre organizza la fuga dal serraglio, Isabella dice a Lindoro: «Vedi per tutta Italia | rinascere gli esempi | d’ardir e di valor». In un’opera, ancorché giocosa, ambientata all’estero ma popolata di italiani che vogliono tornare a casa, l’esortazione suona convenzionale più che nazionalistica, tant’è vero che non è argomentata se non in chiave etica: «Amor, dovere, onor. | Amici in ogni evento…» potranno guidare l’azione di Lindoro e degli altri. L’ha presa invece molto sul serio Rosetta Cucchi, regista dell’Italiana in Algeri al Rossini Opera Festival, che ha voluto accompagnare la declamazione di questi versi con proiezioni del Gay Pride e un tripudio di bandiere arcobaleno lgtbiq+. Se lo spettacolo ha una sua coerenza interna, giacché Isabella è una drag queen, con tutte le conseguenze comiche che implica questo tipo di travestimento, sorge però il sospetto che l’interpretazione di quei versi nasconda un messaggio moralistico, più che politico o artistico; si scherza su ogni possibile forma di travestimento, ma si spiega con estrema serietà qual è l’accezione attuale di amore, dovere e onore, giusta le parole del libretto. È il “follemente corretto” (copyright di Luca Ricolfi) che sale in cattedra, guastando l’effetto comico-narrativo anteriore, che la regia aveva realizzato ancora prima dell’alzarsi del sipario. La storia, infatti, inizia sulla piazza antistante il Teatro Rossini, dove giunge un furgoncino sgangherato e avvolto da un fumacchio spesso e da un nugolo di poliziotti del bey di Algeri; dal veicolo esce un gruppo di variopinte signore, capeggiate da Isabella e dal suo “agente” Taddeo, tutti arrestati e condotti in teatro, dove prosegue (nel corso della sinfonia) la prassi dell’interrogatorio e della custodia cautelare. Poi, seguendo gli spunti del libretto, di scena in scena è un susseguirsi di sketch, gag, in una grande abbuffata di abiti sgargianti (spassosi e curati i costumi di Claudia Pernigotti, a cui va un encomio per la varietas delle scelte), bauli leopardati, divanetti tantrici, collezioni di stivaloni in finta pelle, borsette di paillettes, calze a rete, monumentali parrucche, vasche da bagno fuxia, arredamento pop art e accessori erotici rielaborati alla bisogna dell’«amico del palo», ma pur sempre di inequivocabile morfologia, come il copricapo del Kaimakan. La scena su due livelli di Tiziano Santi aumenta le dinamiche, con un effetto di compartimentazione dei tanti elementi, abilmente stipati in ogni angolo. C’è qualche nesso apprezzabile che colleghi il caravan-serraglio (!) scenico e l’esecuzione musicale? Risponde positivamente la presenza di Daniela Barcellona nelle vesti di Isabella, a ventisei anni dal suo esordio pesarese. A vederla in scena, in realtà, tornano in mente gli Arsace, i Tancredi, i Malcom, più che un ruolo civettuolo e sagace come quello dell’Italiana in Algeri. Appunto per rispetto alla carriera straordinaria che ha accompagnato molti anni del festival pesarese (e non solo) sarebbe inutile dissimulare la prevenzione di fronte a questo ritorno a un ruolo delle origini. Se si prescinde dall’estetica queer dello spettacolo per concentrarsi sulla voce, si ascolta un’Isabella ovviamente volitiva e dignitosa, dal porgere brillante ma non prevaricatore, dunque non volgare; certo, a volte sfugge il controllo della maschera, il suono si fa debordante, si percepisce lo scollamento dei registri, anche l’intonazione è compromessa; ma il volume e il timbro restano quelli di sempre. La scena della vestizione, con l’aria «Per lui che adoro», più che l’introduzione a un momento galante, sembra il preludio a un episodio bellico improntato all’elegia: è il momento vocale migliore della serata, anche se l’entusiasmo del pubblico si incendia soprattutto dopo il rondò finale. Coloratissima, agilmente saltellante di ritmo in ritmo l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna diretta da Dmitry Korchak, molto attento a marcare le note di appoggio e gli accenti, soprattutto nei concertati e nei numeri d’insieme più complessi: ritmicamente perfetta, dunque, la “follia organizzata” del finale I (staccata con incredibile rapidità e a detrimento di alcune voci). Evidentemente, impugnare la bacchetta per concertare Rossini dopo averne cantato funamboliche parti tenorili per molti anni garantisce una preparazione privilegiata … Tutti gli altri interpreti sono ottimi attori, e a volte anche buoni cantanti, come Giorgi Manoshvili, molto corretto come Mustafà. Il baritono Misha Kiria debutta al ROF come Taddeo ed è molto apprezzato come divertente caricaturista dalla cavata imponente e sicura. Debutta a Pesaro anche il tenore Josh Lovell, la cui prestazione come Lindoro è pessima: la voce chiara e ben proiettata si sbianca nelle note di passaggio e si incrina nella zona acuta, semplicemente perché non copre i suoni, e dunque il cantante stona, sbaglia le agilità, interpola le cadenze, manca totalmente di scioltezza nel sillabato. Vittoriana De Amicis è un’Elvira efficace, ma dovrebbe controllare la qualità delle note acute, che spesso suonano eccessivamente stridule. Efficaci gli altri comprimari. Il Coro del Teatro “Ventidio Basso” di Ascoli Piceno, preparato da Pasquale Veleno, disimpegna bene i vari interventi, correggendo in tempo alcuni disallineamenti con l’orchestra. Gli apprezzamenti finali sono generali (tranne che per il tenore) ma si intensificano per il direttore d’orchestra e per la regista, che compare imbracciando un bel cagnolino nero. La stessa Rosetta Cucchi presenta lo spettacolo con alcune note di regia nel programma di sala: «La scelta di una Isabella drag non è una provocazione: è una naturale evoluzione del linguaggio buffo, che aggiorna Rossini ai nostri tempi, senza tradirlo». È assai curioso, detto da una regista d’oggi: esiste ancora il timore di “tradire” un classico”? Foto © Amati Bacciardi
Roma, Giardino di Sant’Alessio, via di Sant’Alessio
Adiacente alla Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio all’Aventino
compagnia MALALINGUA presenta
LA FESTA D’OGGNISANTI
Ideato e scritto da Marco Grossi
regia Marco Grossi
con Marianna De Pinto, Antonella Civale, Enzo Toma, Giuseppe Pestillo, Luca Avagliano, Monica De Giuseppe e Marco Grossi
progetto sostenuto dal Mic nell’ambito dei Progetti Speciali 2025, sezione teatro
spettacolo vincitore de I Teatri del Sacro 2017
Dal 28 al 31 agosto 2025, Giardino di Sant’Alessio, via di Sant’Alessio, Roma. Adiacente alla Basilica dei Santi Bonifacio e Alessio all’Aventino, la compagnia MALALINGUA porta in scena La Festa d’Ognissanti, spettacolo itinerante e interattivo vincitore del bando I Teatri del Sacro 2017. Ideato e scritto da Marco Grossi, lo spettacolo vede in scena Marianna De Pinto, Antonella Civale, Enzo Toma, Giuseppe Pestillo, Luca Avagliano, Monica De Giuseppe e Marco Grossi. Le scene sono di Riccardo Mastrapasqua, le luci di Claudio De Robertis, le musiche, suonate dal vivo, sono del Maestro Fabio Ceccarelli. La regia è firmata da Marco Grossi. Chi sono per noi i Santi? Cosa rappresentano oggi? Cosa conosciamo delle loro storie? Dall’indagine su questi interrogativi nasce La Festa d’Ognissanti. I Santi vengono raccontati come esseri umani al limite, attraversati da esperienze spirituali e fisiche profonde, capaci di collegare l’umano al divino. In una società contemporanea liquida e distratta, queste figure rischiano di rimanere immagini polverose e dimenticate. Lo spettacolo intende restituire spessore e attualità a queste esistenze, uomini e donne prima che santi, figure in cui ritrovare umanità, fragilità e senso. L’approccio scelto è al confine tra sacro e profano, ironico e appassionato, come in una festa paesana d’altri tempi. I Santi arrivano sulla scena, preceduti da un improbabile banditore e accompagnati da una fanfara. Si raccontano al pubblico in prima persona, promuovendo il proprio ricordo e chiedendo in cambio solo la luce di una candela perché la memoria continui a brillare. Il tono della narrazione, pur trattando con fedeltà, delicatezza e rigore storie profondamente umane e spirituali, è sempre attraversato da una leggerezza che rende l’incontro con il sacro accessibile e gioioso. La Festa d’Ognissanti riesce così a riportarci alle radici della nostra tradizione, trasformando la riflessione in un’esperienza viva e festosa, in cui si sorride, ci si commuove e si celebra la memoria attraverso la condivisione. Il pubblico viene immerso in un’atmosfera giocosa e accogliente, che esalta il valore del ricordo senza mai rinunciare al piacere di stare insieme e di partecipare a un rito collettivo dal sapore antico ma sempre attuale. Lo spettacolo, itinerante e interattivo, ha una struttura libera. Ogni spettatore al suo arrivo riceverà una candela e una mappa con i luoghi e gli orari delle diverse apparizioni e potrà scegliere liberamente a quale figura avvicinarsi, a quale Santo “votarsi”, costruendo così un percorso personale. Debuttato ad Ascoli Piceno nel chiostro di Piazza San Francesco, La Festa d’Ognissanti è uno spettacolo coinvolgente e divertente, per un pubblico di tutte le età, che è stato rappresentato in numerosi luoghi simbolici e non convenzionali, tra cui conventi, chiese, parchi archeologici e palazzi storici.
Pesaro, Teatro Rossini, Rossini Opera Festival 2025, XLVI Edizione
“SOIRÉES MUSICALES”
Versione per voci e orchestra da camera a cura di Fabio Maestri
Soprano Vittoriana De Amicis
Mezzosoprano Andrea Niño
Tenore Paolo Nevi
Baritono Gurgen Baveyan
“LA CAMBIALE DI MATRIMONIO”
Farsa comica in un atto di Gaetano Rossi
Musica di Gioachino Rossini
Tobia Mill PIETRO SPAGNOLI
Fannì PAOLA LEOCI
Edoardo Milfort JACK SWANSON
Slook MATTIA OLIVIERI
Norton RAMIRO MARTURANA
Clarina INÉS LORANS
Filarmonica Gioachino Rossini
Direttore Christopher Franklin
Regia Laurence Dale
Scene e costumi Gary McCann
Luci Ralph Kopp
Pesaro, 20 agosto 2025, produzione del 2020
Nel segno delle proposte innovative, e felici, del ROF 2025, riesce in festa sonora la congiunzione delle Soirées musicales, nella versione per voci e orchestra da camera di Fabio Maestri, e della Cambiale di matrimonio nell’allestimento del 2020, con l’ormai celebre orso, che fece parlare di sé anche in seguito. L’accostamento à rebours degli antipodi della produzione rossiniana, ossia le dodici canzoni composte tra 1830 e 1835 e poi la farsa dell’esordio, scritta per il Teatro di San Moisé di Venezia nel 1810, è di effetto elegante e divertente, grazie alla bravura e alla freschezza degli interpreti. Fabio Maestri, compositore e direttore d’orchestra, si è dedicato alla strumentazione delle Soirées sin dal 1978, completando la nuova versione del ciclo nel 2019; il merito principale consiste forse nel non aver preteso realizzare una chimerica orchestrazione “rossiniana”, bensì essersi attenuto a un modello strutturale fisso (un organico da camera) cui aggiungere altri strumenti che nulla hanno a che vedere con le partiture di Rossini: ed ecco risuonare la chitarra, i campanacci, il Glockenspiel, perfino una Glass harmonica, sempre in coerenza con quanto evocato dai versi di Pietro Metastasio e di Carlo Pepoli, la “strana coppia” che ispira l’estro di Rossini, che a sua volta affascina una schiera di strumentatori a venire, da Liszt e Wagner fino a Respighi e Britten. Il lavoro di Maestri, godibilissimo, esalta sia il garbo sia la malizia delle musiche originali, con beneficio tutto teatrale. I protagonisti vocali delle Soirées sono il tenore Paolo Nevi, già ascoltato in Zelmira come stentoreo Eacide, e il soprano Vittoriana De Amicis (impegnata come Elvira nell’Italiana in Algeri); li affiancano nei duetti il mezzosoprano Andrea Niño e il baritono Gurgen Baveyan. La voce più bella e promettente è quella del tenore: generosa, spumeggiante, tutta un empito di giovinezza vocale, senza essere troppo esuberante. Molto buono anche il soprano, semplicemente irresistibile nella Pastorella delle Alpi, un capolavoro di ammiccamenti vocali e autoironici esercizi di belcanto. Il pubblico, in parte sorpreso dall’ascolto di una serie di Lieder al posto di una tradizionale azione scenica, è deliziato dall’esecuzione e si predispone nel migliore dei modi a riassaporare la spigliatezza della Cambiale di matrimonio, diretta molto bene da Christopher Franklin alla guida della Filarmonica Gioachino Rossini. Sia il soprano Paola Leoci (Fannì) sia il baritono Mattia Olivieri (Slook) sono stati allievi dell’Accademia Rossiniana e questi sono i loro primi ruoli protagonistici nelle stagioni del ROF: entrambi disimpegnano bene le loro parti (specialmente il baritono, per la sicurezza dell’emissione e la cavata imponente), affiancati dal tenore Jack Swanson (Edoardo Milfort, ruolo che vocalmente gli è più congeniale dell’Almaviva del 2024). Il personaggio più comico è il Tobia Mill di Pietro Spagnoli, baritono che con il ROF vanta una frequentazione eccezionale (esordì come Capellio in Bianca e Falliero del 1989): ascoltarlo (e vederlo) è uno spasso, anche perché sembra proporre tutta una galleria di buffi rossiniani, ciascuno con i suoi tic, lo stile di fraseggio e l’enfasi esagerata (peccato che a volte sia poco concentrato e sbagli le parole del libretto). Completano la compagnia il baritono Ramiro Marturana e il soprano Inés Lorans, nelle vesti dei servitori Norton e Clarina: altri due frutti della sempre ferace Accademia Rossiniana pesarese. Gli spettatori applaudono con entusiasmo dopo il finale della farsa, fino a quando non cala sul palcoscenico una gigantesca bandiera palestinese che suscita qualche reazione di disappunto. È giusto che il teatro sia anche luogo di rivendicazioni politiche, ma di questa serata si ricorderà soprattutto la successione dei fondali, così rassicuranti e plausibili per la loro funzione: dalla Fonte di Ippocrene di Angelo Monticelli (1818), il dipinto che decora l’antico sipario del Teatro Rossini, per le Soirées musicales, alla facciata della sobria casa londinese di Tobia Mill, nella coloratissima scenografia di Gary McCann per La cambiale di matrimonio. Foto © Amati Bacciardi
Fondazione Arena di Verona guarda alle nuove generazioni. E, per la prima volta, punta ad avere un suo Coro di Voci bianche. Obiettivo promuovere l’educazione musicale in bambini e ragazzi dai 3 ai 14 anni, ma anche scoprire nuovi talenti e diffondere la pratica del Canto lirico in Italia patrimonio dell’Umanità, così come l’amore per l’Opera.
Una novità che prenderà forma con l’avvio del nuovo anno scolastico. Le selezioni, infatti, si terranno a fine settembre e i corsi, uno propedeutico e l’altro avanzato, prenderanno il via ad ottobre. Un ulteriore tassello che Fondazione Arena aggiunge al grande mosaico realizzato in questi ultimi anni con il potenziamento del progetto Arena Young, per portare a teatro bambini e studenti, l’organizzazione del primo evento per famiglie in Arena e l’annuncio della creazione per la Stagione 2026 di una nuova area family, per rendere accessibile l’anfiteatro a genitori con neonati o bambini molto piccoli.
A dirigere il nuovo Coro di Voci bianche sarà il Maestro Matteo Valbusa, musicista veronese, insegnante e Direttore di Coro e d’Orchestra.
L’anno formativo inizierà a ottobre 2025 e terminerà a maggio 2026, e sarà diviso appunto in due percorsi: il corso propedeutico per bambini dai 3 ai 7 anni e il corso avanzato per ragazzi dai 7 ai 14 anni. Le lezioni si terranno nel pomeriggio, una o due volte alla settimana, verranno proposti poi dei laboratori, il sabato, ai quali potrà partecipare l’intera famiglia.
DOMANDA DI AMMISSIONE. Le domande di ammissione alle selezioni dovranno essere compilate utilizzando l’apposita scheda di iscrizione entro la mezzanotte di mercoledì 24 settembre. Le selezioni si terranno nelle giornate di martedì 30 settembre e mercoledì 1° ottobre. Per informazioni scrivere a corovocibianche@arenadiverona.it.
Il percorso didattico mira allo sviluppo delle potenzialità vocali, espressive e interpretative dei giovani cantori in un’ottica di formazione artistica interdisciplinare volta a favorire lo sviluppo della sensibilità musicale, l’acquisizione di competenze tecniche e artistiche fondamentali per affrontare con consapevolezza e passione il mondo della musica vocale e del teatro. Tutto questo in un ambiente altamente professionale.
Tutte le attività si terranno nelle diverse sedi di Fondazione Arena: Teatro Filarmonico, Sala Filarmonica, Sala Bra. Il costo di partecipazione va dai 200 euro per il corso propedeutico ai 340 euro annuali per il corso avanzato, più tassa d’iscrizione. In caso di partecipazione di più figli è previsto uno sconto del 30% sulla seconda quota di frequenza.
Il corso si inserisce anche in un più ampio progetto di salvaguardia, tutela e diffusione della pratica del canto lirico, riconosciuto dall’UNESCO come patrimonio culturale immateriale dell’umanità, rivolgendosi in particolare alla valorizzazione del bene vocale dei più giovani.
Regolamento e bando sono disponibili sul sito www.arena.it, cliccando qui.
In foto: Bellomi, Tondelli, Trespidi, Zaha, Venturini, Gasdia, Cavalli, Gabbiani.
Nove concerti per il 27° Festival organistico internazionale “Armonie sacre percorrendo le terre di Liguria”, in programma dal 22 agosto al 7 settembre 2025 a Rapallo, Ventimiglia, Santa Margherita, Monterosso, Loano e Sestri Levante, località dove rinnova l’impegno nella valorizzazione del patrimonio organario e spirituale del territorio ligure, proponendo un cartellone ricco di appuntamenti che coniugano tradizione, ricerca e apertura ai linguaggi del presente. Il Festival è organizzato dall’Associazione Rapallo Musica ETS con la direzione artistica di Fabio Macera e Filippo Torre, è realizzato con il patrocinio e il contributo di Ministero della Cultura, Regione Liguria, dei Comuni sedi della manifestazione, sotto l’alto patrocinio del Parlamento Europeo e con il patrocinio di Rai Liguria. Fondazione Compagnia di San Paolo è il maggior sostenitore.
Tra gli ospiti più attesi del Festival figura il concertista francese Thomas Ospital, che si esibirà venerdì 29 agosto nella Basilica dei SS. Gervasio e Protasio di Rapallo, dove concluderà la sua esibizione con un’improvvisazione su temi dati, un tipo di esecuzione da sempre nella tradizione della scuola organistica transalpina.
Il concerto di Ospital fa parte sia del filone “Nuovi Percorsi” che della sezione “Spazio Giovani”. “Nuovi percorsi” si conferma spazio privilegiato per lo sviluppo della creatività contemporanea e il rinnovamento dei linguaggi performativi. Parallelamente, il festival prosegue il suo investimento nella crescita delle nuove generazioni di musicisti, con “Spazio Giovani”, sezione dedicata agli artisti under 35.
Per la prima volta il festival propone un concerto per organo e ensemble di soli ottoni. Venerdì 22 agosto nella Basilica dei SS. Gervasio e Protasio di Rapallo, ne sono protagonisti l’Ensemble di ottoni dell’Orchestra Rapallo Musica e Gabriele Agrimonti, organista italiano emergente che si è distinto in campo internazionale nell’interpretazione della musica romantica, sinfonica e contemporanea, nonché nell’improvvisazione, quest’ultima specialità sviluppata grazie alla formazione al Conservatorio di Parigi. Anche questo concerto fa parte di “Nuovi Percorsi” e dello “Spazio Giovani”.
Il Festival si conclude domenica 7 settembre nella Basilica di S. Maria di Nazareth, a Sestri Levante, con il concerto dell’organista Tomas Gavazzi (Nuovi Percorsi e Spazio Giovani). Qui per tutte le informazioni. In allegato, il Calendario generale del Festival. Calendario_Festival_2025