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Musica corale

Roma, Museo Casa di Goethe : “Max Liebermann. Un impressionista di Berlino ” dal 20 settembre al 09 febbraio 2025

gbopera - Dom, 15/09/2024 - 19:21

Roma, Museo Casa di Goethe
Roma, via del Corso 18
(Piazza del Popolo)
MAX LIEBERMANN. UN IMPRESSIONISTA DI BERLINO.
Il Museo Casa di Goethe presenta la prima retrospettiva ampia del pittore ebreo tedesco Max Liebermann (1847-1935) in Italia.
Nato a Berlino, Liebermann è considerato uno dei più importanti innovatori della pittura tedesca di fine Ottocento: la sua arte e le sue attività politico-artistiche, tra cui quella di presidente della Secessione di Berlino e dell’Accademia Prussiana delle Arti, hanno dato un notevole impulso alla modernizzazione della scena artistica berlinese. Attraverso opere significative, la mostra ricostruisce le fasi più importanti della produzione di Liebermann, fatta di disegni, dipinti e stampe. Inizialmente dedito al realismo e al naturalismo, Liebermann fu definito per dileggio “pittore dei poveri” a causa dei motivi antiaccademici con cui raffigurava il duro lavoro nelle campagne. Intorno alla fine del secolo, i suoi dipinti si ispirarono agli svaghi equestri dei borghesi in riva al mare e dei giovani bagnanti sulla costa olandese. La tavolozza di Liebermann si illumina e le macchie scintillanti di luce diventano il suo marchio inconfondibile. L’idilliaco giardino di Liebermann in riva al Wannsee, che egli immortalò con colori pregnanti e nello spirito di una visione impressionistica della natura, fu la fonte da cui trassero ispirazione i suoi ultimi lavori. Sebbene Liebermann intrattenesse stretti contatti con la Francia e soprattutto con la sua “patria artistica”, i Paesi Bassi, anche l’Italia svolse un ruolo decisivo nella sua carriera di pittore. Tra il 1878 e il 1913 egli valicò le Alpi almeno sei volte. Inoltre, le sue opere entrarono a far parte delle prestigiose collezioni museali di Venezia, Firenze, Milano, Roma e Trieste, alcune delle quali saranno riunite presso il Museo Casa di Goethe. La mostra presenta inoltre dipinti del giardino sul Wannsee, ritratti di famiglia e di contemporanei provenienti dalla collezione della Liebermann-Villa am Wannsee e da altre collezioni private in Germania. Un’occasione per riscoprire i luoghi in cui lavorò Liebermann e rafforzare così i legami tra la capitale tedesca e quella italiana. Il catalogo della mostra “Max Liebermann in Italia” è pubblicato in italiano e tedesco. A cura di Alice Cazzola (curatrice della mostra), Lucy Wasensteiner (direttrice della Liebermann-Villa am Wannsee) e Gregor H. Lersch (direttore del Museo Casa di Goethe) e contiene saggi di Alice Cazzola, Sarah Kinzel, Enrico Lucchese e Lucy Wasensteiner. Una mostra in cooperazione con la Liebermann-Villa am Wannsee di Berlino. Grazie alla collaborazione con il Museo Nazionale Romano, si rende inoltre merito al legame che Liebermann intrattenne con la capitale italiana: il suo dipinto murale nella loggia della Villa am Wannsee trae infatti ispirazione dall’antica pittura parietale del giardino della Villa di Livia presso Prima Porta a Roma. La mostra si avvale del patrocinio dell’Ambasciata della Repubblica Federale di Germania in Italia e dell’Ambasciata d’Italia nella Repubblica Federale di Germania.

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Francisco Coll (n.1985). Concerto per violino e altre composizioni strumentali

gbopera - Dom, 15/09/2024 - 18:15

Francisco Coll (*1985): Violin Concerto for violin and orchestra (Atomised- Hyperhymnia- Phase); Hidd’n Blue op. 6 for orchestra; Mural for large orchestra; Four Iberian Miniatures for violin and chamber orchestra; Aqua Cinerea op. 1 for orchestra. Patricia Kopatchinskaja (Violino); Orchestre Philharmonique du Luxembourg; Gustavo Gimeno (Conductor). Registrazione: alla Philharmonie Luxembourg nel luglio 2019 (Mural & Hidd’n Blue), a giugno/luglio 2020 (Violin Concerto & Four Iberian Miniatures) e dicembre 2020 (Aqua Cinerea). T. Time: 80’ 57”. 1 CD Faber Music PTC: 5186951
L’uscita di questo CD è occasione per far conoscere, soprattutto in Italia, l’itinerario artistico-creativo di Francisco Coll, un giovane compositore spagnolo classe 1985. Si presenta una produzione ascrivibile agli anni 2005 – 2019 in un arco temporale di 14 anni ove si percepisce una continua ricerca nel manifestare un’identità sempre più traslucida. Trattasi di un lavoro monografico e, come sottolinea lo stesso autore delle musiche, oltre ad avvicinarsi all’immaginario collettivo nel concepire la figura del compositore come colui che scrive in solitudine, dall’altro significa essere arrivati a realizzare quella speranza di far conoscere la propria produzione, ovvero «dare vita alla [propria] musica». Un dato oggettivo che risulta da questi lavori è costituito da una natura compositiva che, pur non rinnegando la tradizione e lo specchiarsi nella contemporaneità, predilige e valorizza il colore tanto che, le composizioni ove è presente lo strumento solista come in Four Iberian (2014) e il Violin Concerto (2019), ben si inseriscono in questo ricco florilegio. Ciò che emerge è una tavolozza di colori così ricca di sfumature tanto da comprendere lo stesso compositore quando asserisce che nell’atto di scrivere musica non vede molta differenza tra la pittura e la composizione musicale. Il risultato è quello che forma e contenuti siano sempre alla ricerca di un rapporto simbiotico ove l’evidenza della natura ispanica tende a coinvolgere e sedurre l’ascoltatore. Ad esplicitare tutto ciò e renderlo più affascinante è il pregevole lavoro svolto dagli interpreti. Se l’intervento della violinista Patricia Kopatchinskaja riesce a rendere più esplicativo ed enfatico l’interpretazione dello spartito, all’Orchestre Philharmonique du Luxembourg (‘laboratorio sonoro’) il compito della ricerca e produzione del suono facendo emergere buone individualità e gusto per questo tipo di repertorio. Altrettanto positiva, consapevole e attenta la conduzione del direttore Gustavo Gimeno che, benché lo scrivente non disponga delle partiture, fa percepire tuttavia l’impressione di voler restituire ogni piccolo dettaglio del testo musicale oltre a voler creare una perfetta sintonia con gli altri musicisti.

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Venezia, Palazzetto Bru Zane. La stagione 2024-25

gbopera - Dom, 15/09/2024 - 09:09

Giovedì 12 settembre Rosa Giglio (coordinatrice artistica), Alexandre Dratwicki (direttore artistico) e Camille Merlin (coordinatrice Bru Zane Label e partenariati discografici) hanno presentato – presso la deliziosa sala dei concerti del Palazzetto Bru Zane, gremita di pubblico, nonostante le poco invitanti condizioni atmosferiche – la programmazione 2024-2025 del Centre de Musique Romantique Française. Per quanto riguarda gli eventi “veneziani”, dopo vari cicli, incentrati nelle precedenti stagioni su un autore o un periodo della storia musicale francese, quello che si aprirà a breve – “Passione violoncello” – avrà, invece, come protagonista questo nobile componente della famiglia degli archi, che – ha spiegato Dratwichi – rappresenta, insieme al pianoforte, la “voce” del romanticismo francese. Derivato dalla viola da gamba e dal violone, il violoncello, caratterizzato da un timbro ricco di inflessioni scure e da un’ampia tessitura, ha cominciato ad avere un suo repertorio a partire dalla fine del Settecento. In una prima fase – che dura fino agli anni Quaranta dell’Ottocento – gli autori francesi indagano soprattutto le possibilità virtuosistiche dello strumento, analogamente a quanto Paganini fa per il violino: si tratta di una generazione di autori-esecutori – come Duport, Franchomme, Baudiot e altri – influenzati da Luigi Boccherini, che vive a Madrid, ma pubblica a Parigi con Pleyel. Emblematico in tal senso il concerto composto da Baudiot, che – al pari di quello firmato da Reicha – è tra i più difficili del repertorio violoncellistico ed è perciò evitato dai solisti. In una fase successiva della storia misicale francese il repertorio dello strumento si è adeguato alla poetica romantica, puntando sulla malinconia, la nostalgia, l’introspezione, grazie ad autori, quali Saint-Saëns e Lalo, che ne mettono in particolare evidenza il côté espressivo. Come sempre il Palazzetto Bru Zane presenterà composizioni inedite, rinvenute in archivi, tra cui quelli della BNF: concerti per violoncello e orchestra – composti sull’esempio di Beethoven e Brahms – e lavori per varie formazioni da camera, che il Palazzetto Bru Zane mette a disposizione di musicisti e studiosi, grazie a proprie iniziative editoriali.
Ecco il primo ciclo dei concerti veneziani
SABATO 21 SETTEMBRE  – ORE 19.30
SCUOLA GRANDE SAN GIOVANNI EVANGELISTA
“Passione violoncello”
QUATUOR CAMBINI-PARIS
Julien Chauvin e Karine Crocquenoy violini,
Pierre-Éric Nimylowycz viola, Atsushi Sakai violoncello
Marion Martineau violoncello
opere per quintetto con due violoncelli diBaudiot, Franchomme e Gouvy
DOMENICA 22 SETTEMBRE – 
ORE 17
PALAZZETTO BRU ZANE
“Violoncelli in coro”
Anne Gastinel, Xavier Phillips, Lila Beauchard e Leonardo Capezzali violoncelli
opere per ensemble di violoncelli di Erb, Offenbach, Franchomme, Faye-Jozin e Schmitt
MERCOLEDÌ 25 SETTEMBRE – ORE 19.30
PALAZZETTO BRU ZANE
“Il Beethoven francese”
QUATUOR DUTILLEU
Guillaume Chilemme e Matthieu Handtschoewercker violini
David Gaillard viola, Thomas Duran violoncello
Victor Julien-Laferrière violoncello
opere per quintetto con due violoncelli di Onslow e Gouvy
GIOVEDÌ 3 OTTOBRE –  ORE 19.30
PALAZZETTO BRU ZANE
“Sere straniere”
Yan Levionnois violoncello, Guillaume Bellom pianoforte
opere per violoncello e pianoforte di Boellmann, Magnard e Vierne
MARTEDÌ 8 OTTOBRE – ORE 19.30
PALAZZETTO BRU ZANE
“L’arte del violoncello”
Edgar Moreau, Gabriel Guignier e Jean-Baptiste de Maria violoncelli
opere per ensemble di violoncelli di La Tombelle, D’Ollone, Battanchon, Franchomme, Offenbach
GIOVEDÌ 10 OTTOBRE – ORE 18
PALAZZETTO BRU ZANE
“Storie di musica a palazzo”
conferenza di Neda Furlan
in collaborazione con la Fondazione Querini Stampalia
ingresso gratuito
MARTEDÌ 15 OTTOBRE – ORE 19.30
PALAZZETTO BRU ZANE
“Note su misura”
Aurélien Pascal violoncello, Josquin Otal pianoforte
opere per violoncello e pianoforte di Chevallard, Dumas, Huré, Lecocq
Concerto proposto all’Auditorium du Musée d’Orsay di Parigi, il 29 aprile 2025
GIOVEDÌ 24 OTTOBRE – ORE 19.30
PALAZZETTO BRU ZANE
“Il tempo ritrovato”
Miriam Prandi violoncello, Gabriele Carcano pianoforte
opere per violoncello e pianoforte di Debussy, Boulanger, Franck
Qui per tutti i dettagli della stagione e iniziative del Palazzetto Bru Zane

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Le Cantate di Johann Sebastian Bach: sedicesima domenica dopo la Trinità

gbopera - Dom, 15/09/2024 - 00:18

Christus, der ist mein Leben BWV 95 eseguita la prima volta a Lipsia il 12 settembre 1723 è la seconda delle quattro Cantate bachiane per la sedicesima domenica dopo la Trinità. Opera stupenda ed imprevedibile che Bah avvia arditamente  con la citazione di due Corali, frapponendo fra l’uno e l’altro un recitativo che prosegue nell’accompagnamento obbligato, i disegni  esposti nella frase iniziale del brano. Le citazioni sono ancora una volta la conseguenza di una perfetta padronanza  di una analogia e e similitudine  fra i vari passi della  delle scritture e la proposta della liturgia. Il Corale  che da il titolo all’opera  “Cristo, tu sei la mia vita e morie è il mio premio” si addice all’episodio di Luca che già abbiamo citato nella precedente  Cantata, e poiché la prima strofa del Corale termina con la parola “Con gioia me ne vado”, risulta pressoché diretto il richiamo a un altro Corale  “Mit Fried und Freud” che altro non è se non la versione tedesca ad opera di Martin Lutero  del “Canticus Simenonis” , cioè del Magnificat. Così tutto l’episodio  riceve giustificazione da un trascorrere per analogie da un testo all’altro. La bellissima aria tripartita del tenore (Nr.5) prepara al “passaggio estremo”: “Ah, suona presto, ora benedetta, l’ultimo rintocco della campana!” con un improvvisa ed eloquente  deviazione dalle leggi del simbolismo, Bach si compiace di organizzare una pagina, ne è veicolo il tenore, nella quale il descrittivismo è l’anima  vincente, lo strumento docile della poesia. Il pizzicato degli archi scandisce il tempo che viene poi fermato da un artificio elegantissimo, un effetto d’eco di 2 oboi d’amore. In precedenza erano state poste le premesse per il distacco dal mondo con la trasformazione in aria (Nr.3) del Corale “Voglio dirti addio, falso e perfido mondo, anche qui inserendo nel tessuto orchestrale la parte obbligata di 2 oboi d’amore. E ancora, naturalmente, è un Corale a chiudere la meditazione sulla morte  e sulla liberazione da quella che il fedele potrà ottenere.
Nr.1 – Corale e recitativo (Tenore)
Cristo, tu sei la mia vita,
morire è il mio premio;
a te mi abbandono,
con gioia me ne vado.
Con gioia,
sì, con cuore lieto
voglio partire da quaggiù.
E se oggi stesso mi fosse detto: tu devi!
sarei docile e pronto a far sì che
questo povero corpo, queste membra scarnificate,
il vestito di ogni mortale,
torni alla terra
e riposi nel suo seno.
Il mio canto funebre è già pronto:
ah, che possa cantarlo oggi!
Con pace e gioia me ne vado,
secondo la volontà di Dio,
consolàti sono il mio cuore e la mia mente,
calmi e sereni.
Dio me lo aveva promesso:
la morte è diventata il mio sonno.
Nr.2 – Recitativo (Soprano)
Addio, mondo crudele!
Ormai non ho più niente a che fare con te;
la mia dimora è gia pronta,
posso riposare in pace
più di quanto ero presso di te,
lungo le rive dei fiumi di Babilonia,
ad ingoiare il sale della lussuria,
nei tuoi giardini del piacere dove
non poter cogliere che le mele di Sodoma.
No, no! Ora posso dichiarare con coraggio:
Nr.3 – Corale (Soprano)
Voglio dirti addio,
falso e perfido mondo,
la tua vita di peccato
non può piacermi.
La buona dimora nel Paradiso,
lassù è la mia aspirazione.
Dio ricompenserà per l’eternità
chi lo ha servito quaggiù.
Nr.4 – Recitativo (Tenore)
Ah, possa venire presto il momento
in cui vedrò la morte,
fine di tutte le sofferenze,
impadronirsi delle mie membra;
è lei che vorrei per il mio corpo
e nella sua attesa contare tutte le ore.
Nr.5 – Aria (Tenore)
Ah, suona presto, ora benedetta,
l’ultimo rintocco della campana!
Vieni, vieni, ti tendo la mano,
vieni, metti fine alla mia sofferenza,
giorno tanto desiderato della morte!
Nr.6 – Recitativo (Basso)
Poichè so
e credo fermamente
che dalla mia tomba
avrò un accesso sicuro al Padre.
La mia morte non è che un sonno
grazie al quale il corpo, liberato dalle
preoccupazioni,
giunge al riposo.
Come il pastore cerca la pecora smarrita,
così Gesù saprebbe trovarmi, poiché
lui è il mio capo e io una delle sue membra!
Per questo ora posso, con spirito gioioso,
fondare la mia beata resurrezione sul mio Salvatore.
Nr.7 – Corale
Poichè so
e credo fermamente
che dalla mia tomba
avrò un accesso sicuro al Padre.
La mia morte non è che un sonno
grazie al quale il corpo, liberato dalle
preoccupazioni,
giunge al riposo.
Come il pastore cerca la pecora smarrita,
così Gesù saprebbe trovarmi, poiché
lui è il mio capo e io una delle sue membra!
Per questo ora posso, con spirito gioioso,
fondare la mia beata resurrezione sul mio Salvatore.
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata”Christus, der ist mein Leben” BWV 95

 

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Ricordando…Giuni Russo (1951-2004) a 20 anni dalla morte

gbopera - Sab, 14/09/2024 - 14:47

Giuni Russo (Palermo, 1951 – Milano 14 settembre 2004)
A 20 anni dalla morte
Musiche di G.Donizetti (“A mezzanotte”, “Le crépuscole” (con Franco Battiato), “La zingara”, “Me voglio fa ‘na casa”), V,Bellini (“Malinconia ninfa gentile”, “Fenesta che lucive”, “Vanne o rosa fortunata”) G.Verdi. (“Nell’orror di notte oscura”)..”Turna a Surriento”,”Marchiare”, “Serenatella a mare”, “A’ cchiu bella”, “Tu ca nun chiagne”, “O sole mio”, “Santa Lucia”

www.gbopera.it · Ricordando…Giuni Russo (1951-2004)
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Milano, Palazzo Reale: “Munch. Il grido Interiore “

gbopera - Sab, 14/09/2024 - 14:33

Milano, Palazzo Reale
MUNCH. IL GRIDO INTERIORE
Dopo 40 anni dall’ultima mostra a Milano, Edvard Munch (Norvegia, 1863 -1944) viene celebrato con una grande retrospettiva promossa da Comune di Milano – Cultura con il patrocinio del Ministero della Cultura e della Reale Ambasciata di Norvegia a Roma, e prodotta da Palazzo Reale e Arthemisia in collaborazione con il Museo MUNCH di Oslo. Protagonista indiscusso nella storia dell’arte moderna, Munch è stato uno dei principali artisti simbolisti del XIX secolo ed è considerato un precursore dell’Espressionismo, oltre a essere un maestro nell’interpretare le ansie e le aspirazioni più profonde dell’animo umano. La vita di Munch è stata segnata da grandi e precoci dolori. La perdita prematura della madre a soli 5 anni e della sorella, la morte del padre e la tormentata relazione con la fidanzata Tulla Larsen sono stati il materiale emotivo primigenio sul quale l’artista ha cominciato a tessere la sua poetica, la quale si è poi combinata in maniera originalissima, grazie al suo straordinario talento artistico, con la sua passione per le energie sprigionate dalla natura. I suoi volti senza sguardo, i paesaggi stralunati, l’uso potente del colore, la necessità di comunicare dolori indicibili e umanissime angosce sono riusciti a trasformare le sue opere in messaggi universali e Munch uno degli artisti più iconici del Novecento. La mostra – curata da Patricia G. Berman, una delle più grandi studiose al mondo di Munch, in collaborazione con Costantino D’Orazio per il supporto nella redazione dei testi di approfondimento in mostra – racconta tutto l’universo dell’artista, il suo percorso umano e la sua produzione grazie a un percorso di 100 opere, tra cui una delle versioni litografiche de L’Urlo (1895) custodite a Oslo, La morte di Marat (1907), Notte stellata (1922–1924), Le ragazze sul ponte (1927), Malinconia (1900–1901) e Danza sulla spiaggia (1904). Ad arricchire la mostra milanese, è previsto un ricco palinsesto di eventi che coinvolgerà diverse realtà culturali della città e che andrà ad approfondire la figura dell’artista e ad espandere i temi delle sue opere. La mostra vede come sponsor Statkraft e Generali Valore Culturaspecial partner Ricolamedia partner Urban Visionmobility partner Frecciarossa Treno Ufficiale e radio partner Dimensione Suono Soft. Munch è uno degli artisti che ha saputo meglio interpretare sentimenti, passioni e inquietudini della sua anima, comunicandoli in maniera potente e diretta. Plasmato inizialmente dal naturalista norvegese Christian Krohg, che ne incoraggiò la carriera pittorica, negli anni Ottanta del Novecento si recò a Parigi dove assorbì le influenze impressioniste e postimpressioniste che gli suggerirono un uso del colore più intimo, drammatico ma soprattutto un approccio psicologico. A Berlino contribuì alla formazione della Secessione Berlinese e nel 1892 si tenne la sua prima personale in Germania, che fu reputata scandalosa: da quel momento in poi Munch viene percepito come l’artista eversivo e maledetto, alienato dalla società, un’identità in parte promossa dai suoi amici letterati. A metà degli anni Novanta del XIX secolo si dedicò alla produzione di stampe e, grazie alla sua sperimentazione, divenne uno degli artisti più influenti in questo campo. La sua produttività e il ritmo serrato delle esposizioni lo porteranno a ricoverarsi volontariamente nei sanatori a partire dalla fine degli anni Novanta del XIX secolo.
Relazioni amorose dolorose, un traumatico incidente e l’alcolismo – vivendo la vita “sull’orlo di un precipizio” – lo portarono a un crollo psicologico per il quale cercò di recuperare in una clinica privata tra il 1908 e il 1909. Dopo aver vissuto gran parte della sua vita all’estero, l’artista quarantacinquenne tornò in Norvegia, stabilendosi al mare, dipingendo paesaggi e dove iniziò a lavorare ai giganteschi dipinti murali che oggi decorano la Sala dei Festival dell’Università di Oslo. Queste tele, le più grandi dell’Espressionismo in Europa, riflettono il suo sempre vivo interesse per le forze invisibili e la natura dell’universo. Nel 1914 acquistò una proprietà a Ekely, Oslo, dove, da celebre artista internazionale, continuò il suo lavoro sperimentale fino alla morte, avvenuta nel 1944, appena un mese dopo il suo ottantesimo compleanno. Nel corso della sua lunga vita Edvard Munch realizzò migliaia di stampe e dipinti. Essendo tanto un uomo d’immagini quanto di parole, riempì fogli su fogli di annotazioni, aneddoti, lettere e persino una sceneggiatura per il teatro. L’esigenza di comunicare le proprie percezioni, il proprio ‘grido interiore, lo accompagnò per tutta la vita, e proprio questa attitudine è stato il motore della sua pratica come artista, che ha toccato tanto temi universali – come la nascita, la morte, l’amore e il mistero della vita – quanto i disagi psichici necessariamente connessi all’esistenza umana – le instabilità dell’amore erotico, il disagio prodotto dalle malattie fisiche e mentali e il vuoto lasciato dalla morte. Questa mostra ruota attorno al ‘grido interiore’ di Munch, al suo saper costruire, attraverso blocchi di colore uniformi e prospettive discordanti, lo scenario per condividere le sue esperienze emotive e sensoriali: un processo creativo che sintetizza ciò che l’artista ha osservato, quello che ricorda e quanto ha caricato di emozioni. Altre opere, invece, cercano di immortalare le forze invisibili che animano e tengono insieme l’universo. L’inizio della sua carriera coincide infatti con cambiamenti radicali nello studio della percezione: alla fine dell’Ottocento è in corso un dibattito tra scienziati, psicologi, filosofi e artisti sulla relazione tra quello che l’occhio vede direttamente e come i contenuti della mente influiscono sulla nostra vista. Il suo interesse per le forze invisibili che danno forma all’esperienza, condizionerà le opere che lo rendono uno degli artisti più significativi della sua epoca. Precursore dell’Espressionismo e persino del Futurismo del XX secolo nella sua esplorazione delle forze impercettibili, oggi continua a “parlare” alle visioni interiori e alle preoccupazioni anche di noi, uomini e donne dell’età moderna. Nelle sue creazioni Munch punta a rendere visibile l’invisibile.

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Roma, Parco Archeologico del Colosseo: “Penelope” dal 19 settembre 2024 al 25 gennaio 2025

gbopera - Sab, 14/09/2024 - 13:57

Roma, Parco Archeologico del Colosseo
PENELOPE
a cura di Alessandra Sarchi e Claudio Franzoni
Il Parco archeologico del Colosseo promuove la mostra
Penelope, a cura di Alessandra Sarchi e Claudio Franzoni, con l’organizzazione di Electa.
Aperta negli spazi delle Uccelliere Farnesiane e del Tempio di Romolo, l’esposizione  ̶  attraverso circa cinquanta opere  ̶  ripercorre il mito e la fortuna della figura di Penelope che giunge a noi, dalla remota età in cui affondano i poemi omerici, attraverso due tradizioni ugualmente potenti: quella letteraria e quella legata alla rappresentazione visiva. Il suo personaggio ha attraversato i millenni e popolato il nostro immaginario legandolo a un ideale normativo della donna, fedele al marito Ulisse e saggia custode della sua dimora-reggia a Itaca, ubbidiente perfino al figlio Telemaco appena ventenne. Ma a renderla affascinante sono la sua determinazione, la sua resistenza e capacità di sognare. All’interno del percorso espositivo anche un omaggio a Maria Lai, artista che ha messo al centro del suo lavoro le materie tessili, in collaborazione con l’Archivio e la Fondazione Maria Lai. Alla mostra si accompagna il catalogo pubblicato da Electa, concepito, per la ricchezza dei contributi affidati ai maggiori specialisti con focus su vari aspetti e cronologie, come un volume esauriente  ̶  e ancora mancante nel panorama editoriale  ̶  sulla figura mitica eppure così attuale di Penelope e sulla sua fortuna nella cultura occidentale fino ai giorni nostri. Electa, inoltre, riedita nella collana Pesci Rossi Le ragioni dell’arte (2002), dialoghi tra Giuseppina Cuccu e Maria Lai nati da temi e argomenti che l’artista aveva proposto come materia didattica per l’infanzia. In occasione della mostra il Parco archeologico del Colosseo promuove il programma di incontri Esistere come Donna. Dialoghi e lezioni su donne, artiste, battaglie e archetipi femminili ideato e realizzato da Electa con Fondazione Fondamenta e con Alessandra Sarchi e Claudio Franzoni. Gli incontri si terranno nel Foro Romano presso la Curia Iulia, a partire dal 21 settembre, e fino a dicembre.

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Arnold Schönberg (1874 -1951): “Die glückliche Hand (La mano felice)”

gbopera - Sab, 14/09/2024 - 10:58

Arnold Schönberg (Vienna 13 settembre 1874 – Los Angeles 13 luglio 1951)
Nel centenario della nascita – 2
Piuttosto tormentata e lunga fu la composizione di Die glückliche Hand (La mano felice),  poiché occupò il triennio compreso tra il 1910 e il 1913, anche se la prima idea risaliva probabilmente al 1908. Die glückliche Hand, anch’essa un monodramma come Erwartung, in quanto l’unico protagonista è un uomo sconosciuto, dovette attendere 11 anni prima di essere rappresentata alla Volksoper di Vienna il 24 ottobre 1924. Il testo dell’opera è fortemente connotato in senso simbolico sin dal titolo la cui traduzione, La mano felice, non rende perfettamente il significato delle parole. Il termine tedesco «Glück» può essere tradotto non solo con le parole «fortuna», «felicità» e «destino», ma anche con il lemma «talento» che si riferisce alla capacità artistica e creativa che l’Uomo, l’ignoto protagonista dell’opera, metafora dell’eroe perseguitato nel quale confluiscono le figure di Prometeo, di Gesù Cristo e di Sigfrido, mostra di avere. 
L’opera si apre con l’intervento di un coro di 12 solisti, formato da 6 donne e altrettanti uomini, espressione del divino e dell’immutabile, che ammonisce il nostro protagonista, roso alla nuca da un mostro favoloso, a non inseguire sogni fallaci. Uno di questi è rappresentato dall’amore per una Donna, con la quale instaura un rapporto contrastato. Con la sua presenza la donna, infatti, nel secondo quadro, rende felice l’Uomo che le sfiora la mano, ma che è poi da lei abbandonato per un Signore vestito in modo elegante, simbolo della fredda e ipocrita realtà mondana. Pentita, tuttavia, la donna ritorna dall’Uomo che le sfiora nuovamente la mano e lo rende talmente felice da indurlo a dedicarsi all’attività artistica su una rupe dove si trovano due grotte. Entrato in una di esse, dove alcuni operai stanno lavorando attorno a una grossa incudine, l’Uomo pone su di essa un pezzo d’oro, da cui, dopo averlo percosso con il maglio, trae un grosso diadema. Egli allora va alla ricerca della donna che si trova con il Signore vestito elegantemente nella grotta accanto, ma quest’ultima, vedendolo, fugge dall’Uomo che la insegue inutilmente inerpicandosi sulla rupe, fino a quando lei gli fa precipitare addosso un macigno che si tramuta nel mostro iniziale. L’opera si conclude con la ripresa della scena iniziale in una struttura circolare in cui il progresso, rappresentato dalla creazione artistica della quale, tuttavia, l’Uomo è insoddisfatto, viene annullato da un ritorno alla situazione iniziale indicativo dell’immobilità che colpisce il destino umano.
La struttura musicale ricalca fedelmente quella del testo ed è riassumibile nello schema A-B-C-B1C1A1 dove le tre lettere dell’alfabeto corrispondono alle tre idee musicali. Se A costituisce il tema dell’«acquietamento», B e C identificano, rispettivamente, la «felicità illusoria» e le azioni dell’eroe-artista che stridono al confronto con quelle degli operai. Da un punto di vista musicale
colpisce l’immobilità iniziale resa dai quattro accordi sovrapposti di settima che vengono tenuti come pedale dall’arpa, dai timpani e dagli archi inferiori e rappresentano un’atemporalità che rimanda all’eternità.
Il testo, con alcune modifiche, è tratto da Riccardo Viagrande, L’opera nl 900′. Trame, successi e fiaschi in Italia, Europa e Stati Uniti, Monza, Casa Musicale Eco, 2020, pp. 316-317.

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Arnold Schönberg (1874-1951): Erwartung (Attesa) op. 17.

gbopera - Ven, 13/09/2024 - 01:29

Arnold Schönberg (Vienna 13 settembre 1874 – Los Angeles 13 luglio 1951)
Nel centenario della nascita
“ERWARTUNG”(Attesa) op. 17.
Prima opera di Schönberg, Erwartung (Attesa) op. 17, composta in appena quindici giorni tra il 27 agosto e il 12 settembre del 1909 e completata nell’orchestrazione il 4 ottobre dello stesso anno, fu rappresentata per la prima volta solo 15 anni dopo a Praga il 6 giugno 1924 sotto la direzione di Alexander Zemlinsky con Marie Gutheil-Schoder. Il libretto di Marie Pappenheim, moglie di uno psicologo viennese, non segue i canoni tradizionali dei testi destinati al teatro musicale, in quanto si presenta come un monodramma ispirato da una vicenda personale.
L’unica protagonista è una donna che si reca ad un appuntamento con il suo amante in un bosco così terrificante da incutere nel suo animo un forte senso di paura. Nelle quattro scene, di cui si compone l’opera, la sua mente è popolata da fantasmi che sembrano il tragico epilogo. Alla fine, infatti, scopre, nei pressi della casa della rivale, il cadavere ancora sanguinante dell’uomo amato che non smette di baciare e abbracciare in preda al delirio fino all’alba che sancisce il loro definitivo distacco.
In quest’opera Schönberg, nella quale non vi è una vera e propria azione drammatica, in quanto sulla scena vive l’ansia della protagonista in preda ai fantasmi che la sua mente produce, in un ambiente spettrale come quello del bosco, si assiste alla  rappresentazione del mondo psichico della donna che va incontro ad una progressiva e irreversibile dissoluzione. Dal punto di vista musicale sono riconoscibili tre cellule tematiche associabili a tre sentimenti diversi, dei quali il primo (cellula 1) rappresenta le ansie dell’amore, il secondo (cellula 2) quelle della colpa ed il terzo (cellula 3) il pensiero della morte. Il carattere realistico dell’opera marca un netto distacco dalla tradizione melodrammatica tedesca e da quelle opere, tra cui Salome ed Elektra di Strauss, che, alla stregua dell’Erwartung, rappresentano la nevrosi. In quest’ultima, infatti, la finzione scenica e le forme convenzionali, a cui Strauss non aveva rinunciato, sono sopraffatte da una realtà che rappresenta il continuo e irreversibile degrado della psiche umana.
Il testo, con alcune modifiche, è tratto da Riccardo Viagrande, L’opera nel 900′. Trame, successi e fiaschi in Italia, Europa e Stati Uniti, Monza, Casa Musicale Eco, 2020, pp. 315-316.

 

 

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Roma, Castel Sant’Angelo: Voci e Danza “Il combattimento di Tancredi e Clorinda” di Claudio Monteverdi

gbopera - Gio, 12/09/2024 - 17:19

Roma, Castel Sant’Angelo
IL COMBATTIMENTO DI TANCREDI E CLORINDA
Centro Coreografico Nazionale /Aterballetto
regia e visual Fabio Cherstich
coreografia e movimenti scenici Philippe Kratz
musica Il combattimento di Tancredi e Clorinda di Claudio Monteverdi
danzatori: Nyoka Byli Wotorson, Pedro Francisco Texeira Correia , Scapino Ballet Rotterdam, Gádor Lago Benito e Alberto Terribile
Centro Coreografico Nazionale / Aterballetto
tenore Matteo Straffi
clavicembalo Deniel Perer
coproduzioni Fondazione Nazionale
della Danza / Aterballetto,
Teatro Regio di Parma, Torinodanza
Festival – Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Centro di Musica Antica
All’interno della IV edizione della rassegna “sotto l’Angelo di Castello: danza, musica, spettacolo”, sarà in scena il 13 settembre ore 18,30, 19.30 e 21.00, presso la Sala della Biblioteca, lo spettacolo di danza del Centro Coreografico Nazionale /Aterballetto: “IL COMBATTIMENTO DI TANCREDI E CLORINDA”, regia e visual Fabio Cherstich, coreografia e movimenti scenici Philippe Kratz, musica Il combattimento di Tancredi e Clorinda di Claudio Monteverdi, danzatori (ore 19,30 e ore 21.00 ) Gádor Lago Benito, Alberto Terribile, e (ore 18.30) Nyoka Byli Wotorson, Pedro Francisco Texeira Correia; tenore Matteo Straffi, clavicembalo Deniel Perer. Nella splendida cornice di Castel Sant’Angelo, guidato dal Direttore generale Musei Massimo Osanna, la rassegna a cura di Anna Selvi, promuove il confronto fra l’arte dell’attore, quella del danzatore e del musicista, che riesce a innescare un dialogo con gli spazi del museo e i suoi pubblici nell’ambito del programma di valorizzazione del monumento. Il combattimento di Tancredi e Clorinda diventa, a 400 anni dalla sua prima rappresentazione, la creazione di un progetto multidisciplinare innovativo, che sperimenta nuove forme di coprogettazione, costruendo percorsi nuovi per la valorizzazione degli artisti e la diffusione delle opere. Il lavoro nasce per far dialogare l’uomo, la musica e le opere d’arte presente nei Musei. Uno dei brani più straordinari di Claudio Monteverdi, la figura più universalmente nota della musica barocca italiana, Il combattimento di Tancredi e Clorinda, che nel 2024 compirà 400 anni dalla sua prima rappresentazione, diventa la creazione di un progetto multidisciplinare innovativo. La coreografia è firmata da Philippe Kratz mentre la regia è curata da Fabio Cherstich, nel cui lavoro convergono la cura dell’immagine e la passione per i linguaggi visivi. Il Centro Coreografico Nazionale /Aterballetto ha proposto al Teatro Regio di Parma e al Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale di investire su una nuova produzione che interpreti due aspetti differenti e quasi sempre separati del made in Italy della cultura. Quello del grande patrimonio musicale, per il quale l’Italia è conosciuta, e quello contemporaneo che – anche grazie alla danza – comincia ad avere attenzione in Europa e nel mondo. Il progetto rappresenta la costruzione di un percorso di ricerca, collaborazione e produzione dove, insieme alla necessità di sperimentare nuove forme di co-progettazione, all’ibridazione dei linguaggi performativi e al bisogno di costruire strade nuove per la valorizzazione degli artisti e la diffusione delle opere, è centrale una forte identità estetica e tematica. La scelta musicale è caduta su uno dei brani più straordinari di Claudio Monteverdi, la figura più universalmente nota nella musica barocca italiana. Il combattimento di Tancredi e Clorinda, che nel 2024 compirà 400 anni dalla sua prima rappresentazione, diventerà la creazione/ bandiera di questo progetto, allestita per due danzatori, una cantante, un clavicembalo e, per la versione da palcoscenico, un quartetto d’archi. La performance è progettata per la messa in scena tanto in contesti teatrali quanto all’interno di cornici museali e del patrimonio nazionale, dando vita a un progetto in grado di rivolgersi a pubblici e contesti differenti. La regia è curata da Fabio Cherstich, affermato regista che dal 2021 collabora anche con il CCN/Aterballetto in veste di curatore degli allestimenti. La scelta della cantante e del clavicembalista è a cura della Fondazione Teatro Regio di Parma insieme al Centro di Musica Antica Ghislieri, così come quella del quartetto d’archi per l’allestimento da palcoscenico, con la possibilità di coinvolgere anche i conservatori di musica antica nelle città dove la performance sarà presentata. La scelta dei danzatori è curata dal CCN/Aterballetto. I movimenti scenici sono affidati a Philippe Kratz, già danzatore di Aterballetto e ora coreografo, che ha debuttato nel 2023 al Teatro alla Scala e lavora stabilmente in Germania. Il combattimento di Tancredi e Clorinda è un progetto pensato per rappresentare un’Italia della cultura radicata nel proprio patrimonio senza rinunciare a proiettarsi nella contemporaneità. Per rivolgersi a tutti i pubblici, dai più colti e raffinati a quelli senza una conoscenza specifica della danza. Per andare in qualsiasi spazio, senza particolari difficoltà. 

 

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Roma, La Vaccheria dell’Eur: “Viaggio nella Pop Art: un nuovo modo di amare le cose” dal 13 settembre 2024 al 31 marzo 2025

gbopera - Gio, 12/09/2024 - 17:04

LA VACCHERIA DELL’EUR DIVENTA LA “CASA DELLA POP ART” CON UNA NUOVA ESPOSIZIONE E TRE GIORNI DI FESTIVAL
A due anni dall’apertura dello spazio espositivo e dopo aver ospitato importanti mostre come “Flesh: Warhol & The Cow. Le opere di Andy Warhol alla Vaccheria” e “Dal Futurismo all’arte virtuale“, gli spazi della Vaccheria nel Municipio IX Roma EUR si preparano ad accogliere un nuovo e ambizioso progetto espositivo: “Viaggio nella Pop Art: un nuovo modo di amare le cose“. Curato da Giuliano Gasparotti e Francesco Mazzei, questo evento, che si terrà dal 13 settembre 2024 al 31 marzo 2025, offrirà al pubblico un accesso gratuito a circa 200 opere provenienti da collezioni private e dalla Collezione Rosini Gutman, curata da Gianfranco Rosini. La Vaccheria, un tempo grande casale dell’agro romano adibito a stalla, ha conosciuto una notevole trasformazione negli ultimi anni, diventando un polo culturale aperto al coinvolgimento di tutti e un punto di riferimento per giovani talenti e artisti del territorio. Con questo nuovo progetto espositivo, l’obiettivo è di candidare la Vaccheria a diventare la “Casa romana della Pop Art“, una sorta di Factory attualizzata al contesto e ai tempi odierni. Questa visione è fortemente sostenuta da Titti Di Salvo, Presidente del Municipio IX Roma EUR con delega alla cultura, che intende fare della Vaccheria un luogo di sperimentazione e creatività continuo. Ad inaugurare questa nuova fase contribuirà, oltre alla mostra, anche la prima edizione del festival “From Pop to Pop”, che si terrà dal 13 al 15 settembre. Il festival, dedicato alla cultura pop, offrirà eventi a ingresso libero e gratuito per tutti, arricchendo l’esperienza culturale e coinvolgendo un pubblico vasto e diversificato. “Viaggio nella Pop Art: un nuovo modo di amare le cose” si propone di raccontare la Pop Art, un movimento artistico anticonformista e “popolare” per definizione, capace di superare barriere e creare un senso di identificazione. La mostra copre quasi otto decenni di storia della Pop Art, esplorandone le diverse articolazioni, dalle origini negli Stati Uniti negli anni Sessanta fino alle evoluzioni contemporanee. La mostra si sviluppa lungo tre direttrici principali. La prima direttrice si concentra sui grandi protagonisti della Pop Art americana, come Andy Warhol, Roy Lichtenstein e Robert Rauschenberg, e della New Pop, rappresentata da artisti contemporanei come Marco Lodola e Mark Kostabi. Tra le opere esposte, spiccano alcuni pezzi iconici di Andy Warhol, come “Liza Minnelli” e “Cow“, che riflettono il suo profondo legame con l’Italia e la società del tempo. Particolarmente significativa è l’opera “Fate Presto”, una reinterpretazione in stile Pop Art della prima pagina del quotidiano “Il Mattino” del 26 novembre 1980, che esortava a intervenire rapidamente in soccorso delle vittime del terremoto in Irpinia. Completano questa sezione opere di Roy Lichtenstein, come “Sunrise” e “Shipboard Girl“, Robert Rauschenberg con “Sky Rite“, e Robert Indiana con “Liebe Love“. Il percorso continua con Mark Kostabi, che reinterpreta in chiave postmoderna i temi cari a Warhol, come il rapporto con la musica e i media, e l’uso di linguaggi, tecniche e materiali diversificati. Tra le opere esposte, “Gaming the Course of History” di Kostabi sarà presentata per la prima volta al pubblico, mentre alcuni disegni a matita preparatori documentano le fasi iniziali della sua carriera artistica e l’evoluzione del suo progetto artistico “Kostabi World“. Il contributo di Marco Lodola, fondatore del Nuovo Futurismo, è evidenziato da opere come “Jim Morrison” e la scultura tridimensionale “Abbey Road“, una presenza centrale nel percorso espositivo con i suoi monumentali pannelli portanti di 8 metri di larghezza e 4 di altezza. La seconda direttrice della mostra mette in luce il ruolo delle artiste donne nella New Pop Art, celebrando la forza dirompente della creatività femminile. Tra le protagoniste, spiccano le “Nana dansant” di Niki De Saint Phalle, sospese in un turbinio di tessuti sgargianti e colori accesi, simboli di una sensualità esplosiva e di una vitalità prorompente. L’arte femminile è ulteriormente valorizzata da opere di artiste come Ilaria Rezzi, con la sua tecnica che ci porta in un regno incantato di omini blu, Ludmilla Radchenko con la sua arte piena di ironia, Erika Calesini che trasforma oggetti esausti in elementi funzionali, Olivia Gozzano che fonde fotografia e pittura, e molte altre. La terza e ultima direttrice ci porta nel cuore della Roma degli anni Sessanta, alla riscoperta delle radici italiane della Pop Art, che trovano terreno fertile nella “Scuola di Piazza del Popolo“, nata intorno al Caffè Rosati e alla Galleria La Tartaruga di Plinio De Martis. Tra i protagonisti, Franco Angeli, con opere come “Olimpico” e “Olimpico svastiche“, Tano Festa con “Manet” del 1981, e Mario Schifano, tra le figure più poliedriche e affascinanti del gruppo, rappresentato in mostra con foto ritoccate e l’omaggio a De Chirico, “Piazza delle Muse Inquietanti“. A completare l’esperienza espositiva, le installazioni ideate da Giuliano Gasparotti e Francesco Mazzei, realizzate da KIF Italia, contribuiscono a rendere la mostra un evento immersivo e multisensoriale. Tra queste, l’installazione sospesa “Pixell” dialoga con il ritratto di Liza Minnelli attraverso l’uso delle Polaroid, mentre “Pop Mirage“, una video-opera all’interno della Mirror Room, e “Hurricane“, un vortice di colori fluorescenti che avvolge le “Nana dansant” di Niki de Saint Phalle, rappresentano omaggi al genio di Warhol e alla Factory. Con “Viaggio nella Pop Art: un nuovo modo di amare le cose“, la Vaccheria si conferma un polo culturale d’avanguardia, capace di attirare un vasto pubblico e di promuovere la conoscenza e l’apprezzamento di una corrente artistica che ha rivoluzionato il mondo dell’arte, influenzando non solo il gusto estetico ma anche il modo di vivere e di percepire la realtà.

 

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Roma, Sala Umberto: “Chicchignola” dal 19 al 22 settembre 2024

gbopera - Gio, 12/09/2024 - 08:00

Roma, Sala Umberto
CHICCHIGNOLA
di Ettore Petrolini
con Massimo Venturiello, Maria Letizia Gorga
e con (in o.a.) Franco Mannella, Claudia Portale, Carlotta Proietti
Scene Alessandro Chiti
arrangiamento musicale Mariano Bellopiede
produzione Officina Teatrale
Regia di Massimo Venturiello
Massimo Venturiello sarà in scena alla Sala Umberto dal 19 Settembre al 22 con “Chicchignola” di Ettore Petrolini. In scena con Venturiello – che cura anche la regia – Maria Letizia Gorga e Franco Mannella, Claudia Portale, Carlotta Proietti. Le scene sono di Alessandro Chiti, mentre l’arrangiamento musicale e di Mariano Bellopede. La trama di questa commedia è semplice. Chicchignola, un uomo qualunque che tira avanti vendendo giocattoli da lui stesso costruiti, su un carretto, lungo le strade di Roma, è oggetto di comune derisione. Questa sua passione per palloncini e giocattoli sembra essere espressione di grande ingenuità, se non addirittura di stupidità. Con estrema facilità dunque sua moglie lo tradisce col suo migliore amico, nella convinzione che il marito non riuscirà mai a scoprirlo. Un finale a sorpresa però ribalterà completamente la situazione e i cosiddetti furbi che ronzano attorno al poetico protagonista dovranno ricredersi e confrontarsi con la loro squallida superficialità. Chicchignola è considerata la più bella commedia di Ettore Petrolini. Fu rappresentata per la prima volta nel 1931 a Roma, al Teatro Argentina e al Quirino; l’anno dopo fu portata a Parigi ed ebbe uno straordinario successo internazionale. Infine dal 1969 per dieci anni, alternandola con altri spettacoli, Mario Scaccia l’ha riproposta con la sua regia. Qui per tutte le informazioni.

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La Famille Forqueray: “Portrait(S)”

gbopera - Gio, 12/09/2024 - 01:23

Antoine Forqueray (1672-1745): Prélude Non Mesuré En Ré Mineur; Jean-Baptiste Forqueray (1699-1782): Première Suite en ré mineur; François Couperin (1668-1733): Troisième Livre De Pièces De Clavecin Ordre XVII (La Superbe ou la Forqueray); Antoine Forqueray: Suite pour trois violes, transcribed for solo harpsichord by Justin Taylor; Jacques Duphly (1715-1789): Troisième livre de pièces de clavecin (La Forqueray); Jean-Baptiste Forqueray: Cinquième suite en do mineur. Justin Taylor (clavicembalo). Registrazione: 13-16 marzo 2016 presso Notre Dame De Bon Secours (Parigi). T.Time: 79′ 15″. 1CD ALPHA CLASSICS ALPHA 247
Parenti serpenti, verrebbe da dire, citando il titolo di un famoso film di Mario Monicelli, per la Famille Forqueray, che, protagonista di un’originale proposta discografica dell’etichetta ALPHA CLASSICS, non si distinse certo per l’armonia e l’amore tra i suoi membri. Dei tanti musicisti, che compongono questa famiglia, soltanto due sono stati quelli che hanno raggiunto una certa fama: il violista Antoine Forqueray (1672-1745) e il figlio Jean-Baptiste Forqueray (1699-1782), pure lui violista, avuto con la clavicembalista Henriette-Angélique Houssu che Antoine aveva sposato nel 1697, ma dalla quale si sarebbe separato definitivamente nel 1710, nonostante i due coniugi condividessero il comune amore per la musica e la donna lo accompagnasse spesso al clavicembalo. Diventato giovanissimo Ordinaire de la chambre du Roi, Luigi XIV, rimasto impressionato dal suo virtuosismo nel suonare la viola da gamba tanto da chiedergli di insegnarli a suonarla, Antoine fu gelosissimo del figlio Jean-Baptiste che vero e proprio enfant prodige aveva suscitato l’entusiasmo del re suonando all’età di cinque anni. Antoine, da parte sua, non solo fece imprigionare il figlio quando aveva appena 15 anni nella prigione di Bicêtre, ma dieci anni dopo lo fece mandare in esilio con una Lettre de cachet. Grazie ad amicizie influenti, Jean-Baptiste sarebbe ritornato due anni dopo a Parigi, dove finalmente il suo talento fu riconosciuto tanto che egli si esibì con i più grandi musicisti dell’epoca e, alla fine, da succedere, nel 1742, al padre a corte. Morto il padre nel 1745, due anni dopo, Jean-Baptiste pubblicò cinque suite in due versioni, una per viola da gamba e basso continuo e l’altra per clavicembalo affermando nella prefazione che erano state composte dal suo “defunto padre”. In realtà quest’attribuzione al padre desta non poche perplessità innanzitutto perché molti dei brani sono dedicati a persone che, in realtà, facevano parte dell’entourage del figlio il quale, secondo quanto da lui stesso affermato, avrebbe composto solo alcuni pezzi e avrebbe aggiunto il basso alle composizioni che sarebbero state scritte dal padre per viola sola. Al di là delle intrinseche difficoltà inerenti alla loro attribuzione, questi brani illuminano una prassi piuttosto diffusa all’epoca, quella di disegnare ritratti musicali di personaggi secondo un procedimento tipico della musica francese del Seicento e del Settecento in base al quale le danze tipiche della suite diventavano un’occasione per descrivere personaggi e situazioni. Tra i ritratti troviamo musicisti celebri come Couperin, ultimo brano della Prima suite, Forqueray, forse un ricordo del padre scritto dal figlio Jean-Baptiste, e Rameau (primo brano della Quinta suite. A completare il ricco e anche molto bello programma sono, infine, due ritratti abbastanza famosi di Forqueray, usciti dalla penna di Jacques Duphly (1715 – 1789) e di François Couperin (1668-1733), e la Suite per tre viole di Antoine, trascritta per clavicembalo da Justin Taylor. In qualità di interprete, l’artista, su un clavicembalo costruito sul modello di un Ruckers-Hemsch costruito da Anthony Sidey e Frédéric Bal, perfetto per questo tipo di repertorio, si accosta a queste musiche con grande senso dello stile, rendendo al meglio i valori espressivi di queste pagine, alcune delle quali sono dei piccoli autentici gioielli come, del resto, buona parte delle composizioni francesi di questo periodo.

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Roma, Museo di Roma in Trastevere: “80’s Dark Rome”

gbopera - Mar, 10/09/2024 - 17:07

Roma, Museo di Roma in Trastevere
80’S DARK ROME
Il Museo di Roma in Trastevere presenta le fotografie con cui Dino Ignani ha ritratto la Roma ombrosa e scintillante, sotterranea e plateale, degli anni Ottanta del secolo scorso. 80’s Dark Rome è il titolo della mostra, a cura di Matteo Di Castro, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, con i servizi museali di Zètema Progetto Cultura. Il nucleo centrale del progetto espositivo è costituito dal ciclo di ritratti, denominato Dark Portraits, che Ignani ha dedicato ai giovani che animavano la vita notturna dell’epoca e, in particolare, i luoghi e gli eventi legati alla scena dark. Pochi anni dopo l’esplosione del punk, in Italia viene chiamata dark una cultura di strada non riconducibile a un’unica tendenza musicale ma identificata soprattutto dal proprio look, in cui il colore nero assume un’inedita valenza simbolica. È proprio agli inizi del decennio che il termine look entra nel nostro linguaggio per indicare qualcosa che va ben al di là del modo di vestire: l’attitudine a vivere l’aspetto esteriore come un progetto vero e proprio, in cui, oltre all’abbigliamento, entrano in gioco gli accessori, l’acconciatura (taglio e colore), il make-up. Ignani segue e documenta questo fenomeno puntando sul classico ritratto in posa. Nei videobar, nelle storiche e nuove discoteche della capitale ma anche in locali di altro genere, invita i presenti a farsi ritrarre approntando un set ad hoc, come fosse in studio. Il risultato è un archivio di circa cinquecento immagini, per lo più in bianco e nero, che pur evocando a volte il linguaggio della fotografia di moda, nascono come un progetto personale, rigoroso quanto giocoso. Di queste, una selezione di duecento fotografie del ciclo Dark Portraits è risultata tra i vincitori del bando PAC 2022-2023 – Piano per l’Arte Contemporanea, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura, entrando così a far parte delle collezioni permanenti della Sovrintendenza Capitolina di Roma Capitale. La mostra è dunque l’occasione per presentare al pubblico questo corpus di opere recentemente acquisito dal Museo di Roma in Trastevere. In mostra sono esposti anche altri lavori realizzati negli anni ’80 da Ignani, in vario modo riconducibili al suo sguardo su una Roma notturna, in ombra, periferica e camaleontica. Dopo le prime visioni sul paesaggio urbano contemporaneo, il fotografo individua proprio nel ritratto il linguaggio con cui registrare le frequenze più profonde della città.  Nell’estate del 1979, sulla spiaggia di Castelporziano si tiene il Festival internazionale dei poeti. Ignani lo segue solo da spettatore, ma poco dopo inizia a fotografare poetesse e poeti che vivono a Roma, come Dario Bellezza, Patrizia Cavalli, Amelia Rosselli, Valentino Zeichen. Volti e corpi di donne e uomini di poesia, si affiancano dunque in mostra a quelli di ragazze e ragazzi che cercano a loro volta forme di espressione non convenzionali. Tra loro c’è anche Porpora Marcasciano, riconosciuta oggi come figura storica del movimento LGBTQ, attivista, scrittrice. Porpora è ancora una studentessa universitaria, giovane pittrice, quando Ignani sceglie lei come prima modella di un progetto, poi interrotto, sulla comunità trans romana. Tra i protagonisti della mostra anche la musicista e cantante statunitense di origine greca Diamanda Galás, ritratta nel gennaio 1985 in occasione di un suo concerto romano al Teatro Spazio Zero. Nel gennaio del 1985 i Dark Portraits sono esposti per la prima volta in uno spazio pubblico, a Palazzo Braschi, e tre mesi dopo compaiono sul mensile Rockstar, ad accompagnare un articolo di Roberto D’Agostino intitolato “Gente di notte”. Lo stesso D’Agostino scriverà poi un testo critico sul lavoro del fotografo. In occasione della mostra sarà pubblicato il libro Dark Rome 1982-1985, edito da Viaindustriae, a cura di Matteo Di Castro, con testi di Daniela AmentaDiego Mormorio, Emanuele De Donno e un’intervista a Dino Ignani. Dino Ignani (1950) è nato e vive a Roma. Ha iniziato a occuparsi di fotografia a metà degli anni Settanta del secolo scorso, privilegiando il lavoro di documentazione della scena artistica e culturale e dei suoi protagonisti. Da oltre quarant’anni, in particolare, si dedica a ritrarre i poeti italiani: scrittori già consacrati, ma anche autori emergenti, che hanno via via arricchito il suo progetto. Presentato per la prima volta nel 1987 da Enzo Siciliano e Diego Mormorio col titolo “Intimi ritratti”, esposto e pubblicato in più occasioni in Italia e all’estero, questo lavoro, unico nel suo genere, è entrato nelle collezioni del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo e della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma. A partire dal 1982 e fino alla metà del decennio, Ignani sviluppa un ciclo di ritratti dedicato ai giovani che a Roma animano le serate e i club della new wave dell’epoca. Le fotografie sono esposte per la prima volta in pubblico nel 1985 nell’ambito della mostra collettiva Immagini per Roma. Archivio fotografico e divenire urbano, allestita a Palazzo Braschi. Nel 2013 ripropone questo lavoro sotto il titolo 80’s Dark Portraits. Nell’estate 2022 il Museo Marino Marini di Firenze ha prodotto e ospitato una nuova mostra, a cura di Matteo Di Castro e Bruno Casini: Dark Portraits. Florence/Rome 1982-1985.

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Roma, Museo Ebraico: Al via una serie di Mostre per la Giornata Europea della Cultura Ebraica

gbopera - Mar, 10/09/2024 - 12:14

Roma, Museo Ebraico
LA FAMIGLIA DEL MONTE NEI SECOLI. ARTE, STORIA E MEMORIA.
LEGAMI. RITRATTI FAMILIARI DI ARTISTI EBREI DEL NOVECENTO.
CENTOVENTI ANNI DI MATRIMONI AL TEMPIO MAGGIORE: FAMIGLIA E TRADIZIONE DEGLI EBREI DI ROMA.

Al centro della Giornata Europea della Cultura Ebraica di quest’anno, che si terrà domenica 15 settembre e avrà come tema la “famiglia“, si trovano tre mostre organizzate presso il Museo Ebraico di Roma. La conferenza di presentazione, prevista per venerdì 13 settembre 2024 alle ore 11:00, offrirà un’anteprima esclusiva per la stampa. Le mostre includono: “La famiglia Del Monte nei secoli. Arte, storia e memoria“, con preziosi argenti, tessili, fotografie e manoscritti che raccontano la storia di una famiglia ebraica; “Legami. Ritratti familiari di artisti ebrei del Novecento“, un’esplorazione attraverso dipinti e sculture dei legami intimi tra gli artisti e le loro famiglie; e la mostra fotografica “Centoventi anni di matrimoni al Tempio Maggiore: famiglia e tradizione degli ebrei di Roma“, con venti scatti iconografici che raccontano i matrimoni della comunità ebraica romana dagli anni Dieci del Novecento a oggi, allestita lungo la cancellata del Tempio in via Catalana. La visita guidata sarà condotta dal Direttore del Museo Ebraico di Roma, Olga Melasecchi, e dal Direttore del Centro di Cultura Ebraica, Giorgia Calò, che offriranno approfondimenti sul tema.

 

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Roma, Palazzo Bonaparte: La Mostra “Fernando Botero” Dal 17 settembre 2024 al 25 gennaio 2025

gbopera - Mar, 10/09/2024 - 11:25

Roma, Palazzo Bonaparte
LA MOSTRA: FERNANDO BOTERO
Palazzo Bonaparte
 si prepara a inaugurare un’importante stagione espositiva per l’anno 2025, in occasione del Giubileo e del 25° anniversario dalla nascita di Arthemisia. Un anno in cui la Capitale ospiterà grandi nomi dell’arte internazionale partendo proprio da questo settembre 2024 con una retrospettiva dedicata all’amatissimo artista colombiano Fernando Botero, recentemente scomparso.
Dipinti, acquarelli e sculture e alcuni inediti saranno esposti nelle sale del Palazzo in una mostra che sarà la più completa mai realizzata a Roma. Opere di medie e grandi dimensioni che rappresentano la sontuosa rotondità del suo universo femminile, restituito con effetti tridimensionali e colori spesso sgargianti, ma tutt’altro che sinonimo di sensualità o di estetica naïf, primitiva. Ciò che pare in Botero non è mai la realtà in sé, ma rivestita con una patina di un’ambiguità iperrealista di matrice sudamericana. Non mancheranno le versioni di capolavori della storia dell’arte, come le Menine di Velázquez e la Fornarina di Raffaello, il celebre dittico dei Montefeltro di Piero della Francesca, i ritratti borghesi di Rubens e van Eyck. E ancora, temi classici come il circo e la corrida, quest’ultimo forse il tema più interessante perché interpretato attraverso il filtro della tradizione ispanica molto sentita nell’arte, da Goya a Picasso. Una sala è dedicata, infine, alla più recente sperimentazione tecnica del maestro che, dal 2019, dipinse con acquerelli su tela: opere quasi diafane, frutto di un approccio delicato, forse senile, ai temi familiari di sempre.

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Conrad Susa (1935-2013): “The Dangerous Liasons” (1994)

gbopera - Mar, 10/09/2024 - 09:31

Conrad Susa (1935-2013)
“THE DANGEROUS LIAISONS”
Opera in due atti su libretto by Philip Littel dal romanzo di Autore: Pierre-Ambroise-François Choderlos de Laclos (1782)
Prima rappresentazione: San Francisco Opera, 10 settembre 1994
Frederica von Stade (Marquise de Merteuil)
Thomas Hampson (Vicomte de Valmont)
Renée Fleming (Madame de Tourvel)
Judith Forst (Madame de Volanges)
Johanna Meier (Madame de Rosemonde)
Mary Mills (Cécile de Volanges)
David Hobson (Chevalier de Danceny)
Laura Claycomb (Josephine)
Elizabeth Bishop (Emilie)
James Scott Sikon (Monsieur Bertrand)
Pamela Dillard (Victoire)
Hector Vasquez (Azolan)
Kristen Clayton (Julie)
Matthew Lord (Duel Second No. 1)
Gregory Cross (Duel Second No. 2)
Man-Hua Gao (Maid)
Mika Shigematsu (Maid)
Alfredo Portilla (Footman)
Earle Patriarco (Footman)
George Weiss (Father Anselm)
Orchestra e Coro San Francisco Opera
Direttore Donald Runnicles
Regia Colin Graham
Scene Gerard Howland
Reg. 10.09.1994

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Napoli, Teatro di San Carlo: “La danza francese da Serge Lifar a Roland Petit”

gbopera - Lun, 09/09/2024 - 17:15

Napoli, Teatro di San Carlo, stagione di Opera e Danza 2023/2024
“LA DANZA FRANCESE DA SERGE LIFAR A ROLAND PETIT”
“Suite en blanc”
Musica Édouard Lalo (Extrait de Namouna)
Coreografia Serge Lifar ripresa da Charles Jude, Stephanie Roublot
Scene e costumi Maurice Moulène
Luci Charles Jude
“Le Jeune Homme et la Mort”
Libretto Jean Cocteau
Musica Johann Sebastian Bach
Coreografia Roland Petit ripresa da Luigi Bonino
Scene Georges Wakhévitch
Costumi Barbara Karinska
Luci Jean-Michel Désiré
Le Jeune Homme ALESSANDRO STAIANO
La Mort CHIARA AMAZIO
“L’Arlesienne”
Musica Georges Bizet
Coreografia Roland Petit ripresa da Luigi Bonino, Gillian Whittingham
Scene René Allio
Costumi Christine Laurent
Luci Jean-Michel Désiré
Orchestra, Étoiles, Solisti, Corpo di ballo del Teatro di San Carlo
Direttore Jonathan Darlington
Direttore del Balletto Clotilde Vayer
Produzione del Teatro dell’Opera di Roma
Napoli, 7 settembre 2024

In scena al San Carlo di Napoli il trittico dal titolo La danza francese. Da Serge Lifar a Roland Petit, pensato dalla Direttrice Clotilde Vayer: «tre splendide coreografie», come lei stessa dichiara nelle note di sala, ossia Suite en blanc di Serge Lifar, Le jeune homme et la Mort e L’Arlésienne di Roland Petit. Un cartellone da lei costruito secondo una «progressione nei balletti e nei coreografi da affrontare», facendo riferimento ai più grandi coreografi del Novecento, tra cui Serge Lifar e Roland Petit. Ma aggiunge una considerazione importante, ossia quella di non aver abbastanza spettacoli per poter mettere in scena tutto ciò che vorrebbe. A buon intenditor poche parole: la danza sempre Cenerentola delle arti al San Carlo, a partire dall’allestimento, che non ha per nulla aiutato. Non solo un palcoscenico che non permetteva di vedere la parte inferiore delle gambe dei danzatori, ma una palese sciatteria da parte dei tecnici delle luci – e lo diciamo subito– mai attenti nei momenti più importanti con l’accensione e lo spegnimento dei riflettori. Distrazioni imperdonabili.
Ma veniamo allo spettacolo. Suite en blanc, su musica di Édouard Lalo, con la sua successione di virtuosismi astratti di grande difficoltà tecnica, fu danzato la prima volta all’Opéra di Parigi il 23 luglio del 1943. Come lo stesso Lifar scriveva su «Le Matin» del 21 luglio del 1943, in questa coreografia si era «preoccupato soltanto della pura danza» al fine di «creare belle immagini, immagini che non avessero nulla di cerebrale». Una «testimonianza per le generazioni future, alle quali trasmetteremo l’eterna fiaccola delle tradizioni accademiche». Il Corpo di ballo del Massimo napoletano ha portato in scena la coreografia con impegno e risultati in parte apprezzabili, anche se è molto lontano dallo stile richiesto. In difficoltà soprattutto alcune soliste, tanto che anche il pubblico ha iniziato ad applaudire in sordina. Il lavoro fatto sulla Compagnia è comunque chiaro, ma la disomogeneità dei tipi umani e la mancanza di una espressività univoca e concentrata da parte del corpo di ballo sono quei particolari che, ad alto livello, fanno la differenza.

Si cambia scena con Le Jeune Homme et la Mort, «mimodramma» –  come lo definì lo stesso Roland Petit – sulla solenne Passacaglia in do minore di Johann Sebastian Bach quale contrasto sonoro rispetto all’intimismo del dramma (tra l’altro scelta all’improvviso a tre giorni dalla prima,  a sostituire una composizione jazz inisiale), nell’orchestrazione di Ottorino Respighi, libretto di Jean Cocteau e scenografia di Georges Wakhevitch (prima rappresentazione al Théâtre des Champs-Élysées di Parigi nel 1946). Un dramma esistenzialista che vede protagonista ideale una donna (come ne L’Arlesienne), ma di fatto l’azione danzata principale è a carico dell’uomo, in un vortice di grande tecnica completamente asservita al vigore interpretativo del protagonista, cui fa da contraltare la cinica freddezza della donna provocatrice, che lo istiga al suicidio, rivelandosi infine come l’incarnazione della morte. Ottima l’interpretazione dell’étoile Alessandro Staiano, che con questo ruolo non semplice (visti i mostri sacri che lo hanno portato in scena in passato) conferma la propria crescita artistica, ormai nella sua piena maturità. Chiara Amazio nel suolo della Morte, tagliente e algida come da occorrenza, ha dato il giusto spessore al personaggio. Grande ovazione da parte del pubblico.
In conclusione, ottima prestazione anche per i protagonisti de L’Arlesienne, altro balletto ispirato a una figura femminile che esiste solo nei ricordi che affliggono la mente di Frédéri, il quale abbandona la sua sposa Vivette nel giorno delle nozze, a memoria perpetua della ricerca di ciò che non si ha. Per questa creazione Petit è folgorato dalla musica di Bizet, fonte di ispirazione. Questo avveniva il 23 maggio del 1973 e nel 1974 andava per la prima volta in scena. La gioviale articolazione delle masse attribuisce alla coreografia la caratteristica estetica petitiana, mentre il delicato ‘confronto’ tra i due sposi, in cui l’interlocutore maschile è sordo ai tentativi di lei di destare la sua attenzione, sono stati affidati alle due étoiles Claudia D’Antonio e Danilo Notaro. Delicata e precisa lei, dipinta come in un quadro verista, convincente e sicuro lui, benché in alcuni passaggi forse non al suo massimo, a causa di linee delle braccia troppo morbide laddove ci si sarebbe aspettato più vigore, ma bravissimo a reggere un assolo ancora una volta tecnico e drammatico di grande trasporto emotivo.
Si tratta, per le étoiles sancarliane, di danzatori ormai maturi che provengono tutti dalla Scuola di Anna Razzi, dove oltre alla tecnica era possibile accogliere un testimone artistico di cui questi ragazzi hanno saputo fare tesoro. Poi, è chiaro, la danza si trasforma e le stesse coreografie, riprese rispettivamente da Charles Jude (Suite) e da Luigi Bonino (Petit), non sono pezzi da museo; gli stessi Autori le avrebbero modificate a seconda degli interpreti, come è sempre stato e come sarà sempre nella storia della danza, in quando i danzatori partecipano necessariamente al processo di creazione /riprese.
L’orchestra del Teatro di San Carlo è stata diretta con partecipazione dal Maestro Jonathan Darlington, in brani di indiscutibile valore che, come tali, hanno contribuito alla completezza dello spettacolo.
Sonori applausi a fine spettacolo, a ripagare le fatiche di tutti gli artisti.(foto Luciano Romano)

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Richard Strauss: “Des Esels Schatten” (L’ombra dell’asino, op. pos 1949)

gbopera - Dom, 08/09/2024 - 17:58

Richard Strauss (Monaco di Baviera, 11 giugno 1864 – Garmisch-Partenkirchen, 8 settembre 1949) – a 75 anni dalla morte del compositore
“Des Esels Schatten” (L’ombra dell’asino, op. pos 1949 – incompiuta)
Libretto by Hans Adler adapted from Martin Wieland’s novel `The Abderites’
Struthion – Peter Banoff
Antrax – Chris Merritt
Krobyle – Florentina Giurca
Gorgo – Felicitas Moravitz
Dame Salabanda – Getrud Ottenthal
Philippides – Georg Tichy
Physignatus – Ernst Dieter Suttheimer
Polyphonus – Paul Wolfrum
Pfriem Jaroslaw Stajnc
Agathyrsus – Ernst Gutstein
Strobylus – Wolfgang Muller-Lorenz
Kammerdiener – Josef Schwarz
Direttore: Ernst Marzendorfer
Regia: Wolfgang Weber
Festival di Hellbrunn1983

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Roma, RomaEuropaFestival 2024: “Biped / Mycelium”

gbopera - Dom, 08/09/2024 - 11:52

Roma, RomaEuropa Festival 2024: Opening
CHRISTOS PAPADOPOULOS, MERCE CUNNINGHAM, GAVIN BRYARS ENSEMBLE, BALLET DE L’OPÉRA DE LYON
Biped
Creato nel 1999
Entrato nel repertorio del Ballet de l’Opéra de Lyon nel 2024
Coreografia Merce Cunningham
Musica Gavin Bryars
Scena e Ologrammi Paul Kaiser e Shelley Eshkar
Costumi Suzanne Gallo
Luci Aaron Copp
Corpo di ballo Ballet de l’Opéra de Lyon
Con il sostegno di Dance Reflections by Van Cleef & Arpels
Mycelium
Creato il 9 settembre 2023
Entrato nel repertorio del Ballet de l’Opéra de Lyon nel 2023
Prima Nazionale
Coreografia Christos Papadopoulos
Musica Coti K
Ideazione luci Eliza Alexandropoulou
Costumi Angelos Mentis
Corpo di ballo Ballet de l’Opéra de Lyon
Coproduzione Biennale de la danse de Lyon, Theatre de la Ville
Roma, 05 settembre 2024
Ha aperto al Teatro Costanzi la trentanovesima edizione del Romaeuropa Festival. La collaborazione tra il Festival e l’ente lirico capitolino è stata dedicata alla presenza del Ballet de l’Opéra de Lyon, ora diretto da Cédric Andrieux, nel suo valore simbolico di promotore di un dialogo tra il repertorio e le nuove tendenze coreografiche. Come spiega lo stesso direttore della compagnia, difatti “i danzatori che si uniscono al Ballet cercano una radice classica nell’approccio al movimento e allo stesso tempo la possibilità di scoprire i nuovi talenti coreografici”. Non è un caso che la prima coreografia interpretata sia una ripresa di BIPED, storica creazione di Merce Cunningham, padre della modern dance americana. Già danzatore della Martha Graham Dance Company, avviò la sua personale ricerca coreografica dopo l’incontro con il musicista John Cage. Nella sua visione, la musica e la danza condividono la dimensione spazio-temporale intrecciandosi in modo casuale al fine di privilegiare le potenzialità espressive insite nello stesso movimento, senza imporre una volontà autoriale. I corpi di Cunningham disegnano graficamente nello spazio, contrapponendo l’utilizzo flessuoso delle gambe ai movimenti del torso. E le complesse dinamiche corporali vengono indagate in maniera sofisticata grazie al coinvolgimento delle tecnologie digitali. Già nel 1990 Cunningham elabora coreografie digitali grazie al programma Life Forms, poi divenuto Dance Forms, capace di catturare il movimento attraverso un complesso sistema di sensori e telecamere a raggi infrarossi. Di tutto ciò è testimone peculiare la coreografia BIPED, nata dalla collaborazione con il compositore Gavin Bryars (John Cage era morto nel 1992). La musica delicata, fonde segmenti eseguiti dal vivo ed altri preregistrati, in un alternarsi di sentimenti che dal lirismo della sezione iniziale si spinge verso atmosfere più oscure e inquietanti. È la musica che oggi, al nostro sguardo, pur nel suo essere indipendente dalla coreografia, conduce dentro lo spettacolo, donando sostanza alle forme grafiche disegnate nello spazio dai corpi e al loro riverberarsi nelle proiezioni digitali, che amplificano la dimensione spettacolare grazie a un caleidoscopico uso di dissolvenze e fuochi d’artificio di colori. I movimenti in scena e quelli proiettati non si rispecchiano esattamente, creando una partitura visiva fondata su rimandi coreografici, nonché sul contrasto tra l’evanescenza digitale e l’incisività dei corpi in scena rivestiti di lurex. I movimenti nei loro puri intagli coniugano allungamenti e sospensioni, rotazioni e disequilibri, accelerazioni e indugi. Le composizioni si basano su assoli, duetti, danze d’insieme, che sostituiscono alla rigorosa logica del linguaggio classico un pensiero ispirato all’imprevedibilità scenica. Il clima immersivo e allo stesso tempo misterioso ben prelude al secondo pezzo della serata, Mycelium, creato dal coreografo greco Christos Papadopoulos sulla musica elettronica di Coti K. Anche in questo caso sono le pulsazioni ritmiche della musica a guidare lo spettatore attraverso le evoluzioni coreografiche di venti danzatori, ispirate alle ramificazioni biologiche del mondo dei funghi. Rispetto al precedente lavoro coreografico di Papadopoulos dal titolo Mellowing, visto l’anno scorso all’Auditorium Parco della Musica, le idee concettuali espresse nella coreografia sembrerebbero meno elaborate. Lo stesso movimento si ripete con poche variazioni lungo il corso della coreografia trasmettendosi dai piedi allineati, alle ginocchia, alle anche, all’avambraccio, alle mani. Il gruppo avanza compatto per poi sfaldarsi spazialmente, rimanendo allo stesso tempo unito nelle intenzioni di movimento. Eppure, la suggestione che ne deriva coinvolge e vivifica lo sguardo degli spettatori, trasportati nel mondo dell’immaginazione. Forse è proprio questo il legame con Cunningham. In questo amplificato minimalismo, l’autorialità si riduce per dare spazio all’imprevedibilità espressiva insita nell’intreccio non narrativo tra la potenza evocativa dei corpi e il fascino ipnotico della trama musicale. Foto Agathe Poupeney -Opera de Lyon e Romaeuropa Festival

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