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Musica corale

Prima edizione di AstiLirica 2023

gbopera - Gio, 06/07/2023 - 14:34

Si allarga l’offerta musicale ad Asti. Al fianco delle collaudate AstiMusica e AstiJazz, fanno capolino due nuove rassegne: AstiRap, dedicata al pubblico più giovane, e AstiLirica. Questo allargamento di orizzonti, già nel progetto di “Capitale della Cultura 2025”, diventa operativo subito, nella consapevolezza che il corale ed entusiastico lavoro svolto per la candidatura non va disperso, ma canalizzato per portare immediatamente i suoi frutti. L’Italia è conosciuta e apprezzata nel mondo per essere stata la culla dell’opera lirica ma anche per la costanza nella valorizzazione di questo genere musicale grazie ai suoi importanti festival estivi come quello della Valle D’Itria e quelli di Pesaro (Rossini Opera Festival) e Macerata (Macerata Opera Festival), solo per citarne alcuni. Asti si affaccia in punta di piedi su questo importante scenario musicale con una prima ambiziosa edizione che prevede quattro appuntamenti al Teatro Alfieri, tutti alle ore 21.
La direzione artistica della rassegna è affidata al regista Renato Bonajuto. Ognuna delle rappresentazioni sarà illustrata da un musicologo o un esperto della materia pochi minuti. Alle 21 l’apertura della serata sarà infatti sempre affidata a “L’opera in 5 minuti”, ovvero un breve momento divulgativo in cui verranno introdotti trama, bellezze e curiosità su cui concentrarsi, e verrà spiegato brevemente l’aspetto musicale dell’opera.
Si inizia giovedì 6 luglio con Pimpinone, ovvero le nozze infelici, intermezzo giocoso di Georg Philipp Telemann, in lingua italiana, con parti recitate affidate agli attori Ignazio Perniciaro (Pimpinone) e Lauretta Civiero (Vespetta). Nei medesimi ruoli cantano il baritono Davide Rocca e il soprano Valentina Porcheddu. Suona l’Asti Sistema Orchestraensemble giovanile d’eccellenza, diretta da Fabio Poggi, che cura anche la versione ritmica italiana dei recitativi e delle arie originariamente in tedesco.
Lunedì  24 luglio si passa al Novecento con La voix humainetragédie lyrique di Francis Poulenc, tratta dalla piéce omonima di Jean Cocteau, che firma anche il libretto, a 60 anni dalla morte dei due autori. Nei panni di «Lei» (Elle) canta il soprano Paoletta Marrocu, fra le principali interpreti del ruolo sulla scena internazionale. Ad accompagnarla, il pianista Lorenzo Masoni, la regia è di Siria Colella. Mercoledì 26 luglio è la volta di un capolavoro della musica sacra: Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi, presentato in forma scenica. L’elegante allestimento è del Teatro dell’Opera Giocosa di Savona per la regia di Renato Bonajuto.

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Sordevolo, Biella, Anfiteatro “Giovanni Paolo II”: “Nabucco”

gbopera - Gio, 06/07/2023 - 10:39

Sordevolo (BI), Anfiteatro “Giovanni Paolo II”
NABUCCO”
Opera in quattro parti di Temistocle Solera, tratto da “Nabuchodonosor” di Auguste-Anicet Bourgeois e Francis Cornue.
Musica di Giuseppe Verdi
Nabucco ANGELO VECCIA
Abigaille FRANCE DARIZ
Ismaele EMANUELE D’AGUANNO
Zaccaria DEYAN VATCHKOV
Fenena GIULIA DIOMEDE
Il Gran Sacerdote di Belo BING LI
Abdallo ANDRIJ SEVERINI
Anna CLEMENTINA REGINA
Orchestra Filarmonica Italiana
Coro del Teatro Coccia
Direttore Francesco Rosa
Direttore del Coro Mauro Trombetta
Regia e Luci Alberto Jona
Scenografia Matteo Capobianco
Costumi Silvia Lumes
Nuova Produzione Fondazione Teatro Carlo Coccia di Novara in collaborazione con Comune di Sordevolo, La Passione e il Contato del Canavese
Sordevolo, 02 luglio 2023
Ogni iniziativa atta a diffondere l’opera in luoghi di essa sprovvisti o non convenzionali è sempre da lodarsi: dimostra, infatti, come l’opera non sia un genere “per pochi”, ma anzi, a contatto con le masse non avvezze ad essa, sappia praticamente sempre coinvolgerle e farsi amare. Quindi bravo il Teatro Coccia di Novara che ha organizzato nel piccolo comune di Sordevolo questo “Nabucco”, sfruttando l’imponente cornice dell’Anfiteatro “Giovanni Paolo II”, che ogni cinque anni ospita una celebre Passione di Cristo, riproposta da secoli in questa località del biellese. Comprendiamo anche, in base a questa singolare tradizione locale, poiché la scelta sia ricaduta su un dramma biblico così magniloquente e non troppo immediato – nonostante il celeberrimo coro della Terza Parte. La compagine musicale di questo inaspettato “Nabucco” non è certo di bassa caratura, sfoggiando nomi noti al panorama nostrano. Ritroviamo dunque con piacere Angelo Veccia, solidissimo vocalmente e molto presente anche scenicamente, un Nabucco piuttosto equilibrato dai volumi ben controllati e dal ricco fraseggio; ritroviamo France Dariz, uno dei soprani drammatici più dotati della sua generazione, alle prese con uno dei più complessi personaggi verdiani, Abigaille: vocalmente la prova è superata bene dalla Dariz, che sfoggia colori vari e smaltati su tutta la tessitura e una notevole abilità tecnica; peccato per una prova scenica bidimensionale, che si abbandona sempre a gesti di maniera. Ritroviamo Giulia Diomede, una Fenena dalla buona estensione e dalle piacevoli sfumature brunite. Se le prove degli interpreti degli altri personaggi  si rivelano corrette e funzionali alla scena: Bing Li (Il gran scerdote di Belo),l’Abdallo di Andrij Severini, l’Anna di Clementina Regina), quelle di Emanuele D’Aguanno (Ismaele) e Deyan Vatchkov (Zaccaria) non ci hanno convinto: il primo ha una vocalità sana e luminosa, ma suoni non bellissimi, soprattutto nel registro acuto che ci è parso poco controllato, oltre che un fraseggio alquanto generico; il secondo ha centri e gravi senz’altro fascinosi, ma la buona estensione nella zona grave si opacizza non appena si passa al registro superiore e, come sappiamo, Zaccaria, ha un tessitura particolarmente spinta in alto.  La direzione del maestro Francesco Rosa è complessivamente omogenea, senza particolari guizzi; la coesione con la scena è quasi sempre rispettata – solo Veccia nella quarta parte sembra un po’ mordere il freno di una conduzione che si “allarga”. Positiva la prova del coro, con naturale apice toccato nel “Va pensiero” – un plauso al maestro Mauro Trombetta. La compagine creativa di questo “Nabucco” presenta pure alcune idee molto ben realizzate, mentre su altre siamo più scettici. Molto suggestiva l’idea di Matteo Capobianco di un fondale di tende dorate che si muovano tutto il tempo al vento del luogo, creando continui giochi di luce e colore, in piena sintonia con il disegno di luci del regista Alberto Jona – meno intelligibili gli spot ai lati della scena, l’uno con i simboli dell’ebraismo, l’altro del culto di Baal; così come il desiderio di fondere presente e passato non solo nel coro dei figuranti locali – abbigliati da ebrei perseguitati dai totalitarismi, così come da naufraghi delle stragi del Mediterraneo – ma anche nella figura di Nabucco, “all’antica” prima del fulmine, in pantaloni e maglietta durante la follia. Altrettanto poco comprensibile la drammatizzazione della Sinfonia con gli ebrei antichi che incontrano quelli del XX secolo, e una danzatrice che li unisce – la stessa poi rende il senno a Nabucco e accompagna all’estrema soglia Abigaille: da libretto di sala interpreterebbe la Speranza (di verde vestita), ma non sarebbe forse più corretto definirla “la Giusizia”? Per il resto ci pare che la regia avrebbe potuto correggere i molti vezzi dei cantanti (tutti si ritrovano a cantare sbracciandosi come in mezzo al mare, ad esempio), piuttosto che cercare idee “innovative” in un contesto che quanto più classico, tanto meglio riuscito, come una simile produzione fuori circuito. In ogni caso si tratta di piccoli aspetti che non vanno ad inficiare una complessiva riuscita del progetto che, ne siamo certi, non potrà che migliorare negli anni mantenendo inalterato il suo alto portato divulgativo. Foto Claudio Burato

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Milano, Teatro Elfo-Puccini: “Festen – Il gioco della verità”

gbopera - Gio, 06/07/2023 - 01:07

Milano, Teatro Elfo-Puccini, Stagione 2022/23
“FESTEN – IL GIOCO DELLA VERITA’”
di Thomas Vinterberg, Mogens Rukov, Bo Hr. Hansen
adattamento per il teatro di David Eldridge
traduzione e adattamento di Lorenzo De Iacovo e Marco Lorenzi
Helge Klingenfeld DANILO NIGRELLI
Elsie IRENE IVALDI
Christian ELIO D’ALESSANDRO
Helene BARBARA MAZZI
Michael RAFFAELE MUSELLA
Mette CAROLINA LEPORATTI
Helmut YURI D’AGOSTINO
Pia/ Linda ROBERTA LANAVE
Kim/ Nonno ANGELO TRONCA
Regia Marco Lorenzi
Drammaturgia Anne Hirth
Visual concept e video Eleonora Diana
Costumi Alessio Rosati
Sound designer Giorgio Tedesco
Luci Link-Boy (Eleonora Diana & Giorgio Tedesco)
Consulente musicale e vocal coach Bruno De Franceschi
Produzione TPE – Teatro Piemonte Europa, Elsinor Centro di Produzione Teatrale | Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Solares Fondazione delle Arti in collaborazione con Il mulino di Amleto
Milano, 01 Luglio 2023
Altre volte mi è capitato di recensire uno spettacolo in maniera diversa da un collega (il suo articolo qui) – ed è questo, in fondo, il bello della critica. Mai, però, come in questo caso, le nostre posizioni si trovano discordanti, a dimostrazione che, a parte tutto, lo spettacolo in questione è complesso e vitale; come diceva Oscar Wilde: “when critics disagree, the artist is in accord with himself”. Bene quindi per Marco Lorenzi, responsabile della regia, ma soprattutto per Elisabetta Diana, incaricata dei video, giacché più che a uno spettacolo teatrale è a un film in presa diretta che assistiamo. Due lunghe ore e più di film proiettato su un tulle corrispondente al boccascena, dietro il quale è vero che avvengono le scene proiettate, ma nemmeno ce ne accorgiamo, se non per un paio di volte in cui il contrasto video/scena vuole farsi più emblematico. La qualità del prodotto in sé è fuori discussione, ma la domanda che sorge è: davvero vogliamo venire a teatro a guardare un film? Fino a che punto ci si può spingere con la contaminazione tra generi? La critica negativa su “Festen” sta quasi tutta qui, ma è una critica fondativa: basta che uno spettacolo venga recitato in un teatro per essere definito “teatrale”? Per cercare di aggirare questo dilemma, ogni tanto si ricorre al solito postdrammatico: personaggi che si raccontano a microfoni in proscenio, canzoni rock suonate e cantate dal vivo, interpreti che escono dal personaggio e si rivolgono al pubblico, luci in sala che si accendono e altre amenità al di là della Quarta Parete. Ma non sono che piccole distrazioni, metodi per risvegliare il pubblico sonnolento, tra un infinito statico monologo detto dritto in camera e l’altro. Così come la narrazione di Hansel e Gretel all’inizio dello spettacolo, arbitraria e di non immediata comprensione – cosa ci vorrebbe dire, che anche i genitori di Hansel e Gretel fanno cose orribili ai loro figli, come i Klingenfeld con Linda e Christian? O forse creare un fil rouge con la tradizione “crudele” della letteratura per l’infanzia del Nord Europa? Insomma è didascalico o cerebrale? Tutto lo spettacolo può essere percorso da questa domanda, ma occorre sottolineare che in entrambi i casi si tratta di manierismo alla lunga stucchevole. Per il resto, se guardiamo con onestà a ogni singola parte costitutiva dello spettacolo, non possiamo dire di riscontrare grossi difetti: attori all’altezza del ruolo e del contesto – con due chiare menzioni per i fratelli Christian ed Helene (Elio D’Alessandro e Barbara Mazzi), due interpretazioni intensissime e sfaccettate – un apparato scenotecnico perfettamente funzionale, dominato dalle proiezioni ma anche dalle suggestive luci di Eleonora Diana e Giorgio Tedesco, e, soprattutto, un testo gigantesco e struggente, un vero classico contemporaneo, che dalla sceneggiatura di Vinterberg seleziona forse non tutto il meglio, ma quanto basta per poterne preservare l’inattaccabile assetto drammaturgico. E proprio sul confronto con il Dogma #1 tirerei una conclusione: non sarebbe stato più onesto, più rispettoso del testo originale – e delle aspettative del pubblico – proporre una regia teatrale à la Dogma (e c’è un chiaro manifesto che si può seguire, per essa), al posto che questo strano ibrido dominato dalla cerebrale pretesa di una verità/non-verità? I sottotitoli delle due opere parlano chiaro: il film chiosa “festa in famiglia”, richiamando l’amara accezione del titolo originale, mentre questa versione teatrale è “il gioco della verità”, come se ci fosse qualcosa di giocoso, una verità nascosta da scoprire; in realtà tutti sappiamo da subito l’unica verità, cioè che Helge ha stuprato i suoi figli col tacito assenso della moglie Elsie, rovinando loro la vita – in senso più ampio, che sempre la famiglia tradizionale punti a rovinare la vita dei figli per preservare il potere dei padri. Cosa ci sia – se qualcosa c’è – di “giocondo” in questo, forse varrebbe la pena di spiegarlo, a noi come agli autori. Qui per la tournée 2024. Foto Giuseppe Distefano

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“Macbeth” al Luglio Musicale Trapanese:

gbopera - Mer, 05/07/2023 - 17:18

“Macbeth” sarà presentato in due recite serali, il 7 e il 9 luglio, alle ore 21.00, presso il Teatro Giuseppe Di Stefano, alla Villa Margherita a Trapani. Nel ruolo del generale da cui il titolo dell’opera, si assisterà alla performance di Serban Vasile. Accanto a lui, Alessandra Di Giorgio che interpreterà Lady moglie di Macbeth. Andrea Comelli vestirà i panni di Banco. Mauro Secci sarà Macduff, Saverio Pugliese interpreterà il ruolo di Malcom e Paolo Gatti quello del Medico.
Completano il cast Melissa Purnell (Dama di Lady Macbeth), Pietro Pio Barone e Giovanni Barone (Fleanzio), Enrico Caruso (Domestico e Sicario), Gaspare Provenzano, Vito Pollina e Federica Pinco (Araldo). Davide Agueci, Davide Barraco, Maria Giovanna Grignano, Paolo Gabriele Mercurio, Alessio Parisi, Vincenzo Scarlata partecipano come figuranti. Regia, scene, luci e costumi dello spettacolo sono affidate al regista Massimo Pizzi Gasparon.
L’Orchestra del Luglio Musicale Trapanese sarà diretta dal maestro Sergio Alapont, il coro affidato alla cura del Maestro Fabio Modica, mentre Maestro preparatore delle voci bianche sarà Anna Lisa Braschi.

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“La Traviata” di Zeffirelli al 100° Arena di Verona Opera Festival 2023

gbopera - Mer, 05/07/2023 - 15:50

Sabato 8 luglio (ore 21.00) torna in scena La Traviata che fu l’ultima opera di Franco Zeffirelli  per l’Anfiteatro, con i sontuosi costumi del premiato Maurizio Millenotti, le luci di Paolo Mazzon e le coreografie di Giuseppe Picone.
Sul podio il M° Andrea Battistoni, che, alla prima disporrà di un cast tutto italiano: il soprano Gilda Fiume (Violetta), al fianco di Francesco Meli (Alfredo) e Luca Salsi (Giorgio Germont). Le stelle si susseguono anche nelle repliche, dalle protagoniste Lisette Oropesa, Nadine Sierra e Anna Netrebko (che darà l’addio al ruolo nell’eccezionale serata conclusiva del Festival diretta da Marco Armiliato), ai tenori Vittorio Grigolo e Freddie De Tommaso, ai baritoni Simone Piazzola, Artur Rucińsky e Ludovic Tézier.
Il Ballo di Fondazione Arena coordinato da Gaetano Petrosino anima la festa del second’atto con due solisti d’eccezione per la prima e l’ultima data: i primi ballerini del Teatro alla Scala Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko. Nelle recite successive si alterneranno nel ruolo anche Liudmila Konovalova e Davide Dato, primi ballerini dell’Opera di Stato di Vienna, entrambi al debutto in Anfiteatro.
Dopo la prima di sabato 8 luglio, repliche 14 e 27 luglio, 19 e 26 agosto, 9 settembre.

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Roma, Palazzo del Quirinale: “Gli Dei ritornano. I bronzi di San Casciano.” Dal 23 giugno – 25 luglio e 2 settembre – 29 ottobre 2023

gbopera - Mer, 05/07/2023 - 12:21

Roma, Palazzo del Quirinale
GLI DEI RITORNANO. I BRONZI DI SAN CASCIANO.
Apertura:
23 giugno – 25 luglio
2 settembre – 29 ottobre 2023
Giorni di apertura: martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica
Durata visita: 1 ora
Costo: 1.50 euro
La mostra presenta per la prima volta al pubblico le straordinarie scoperte effettuate nel 2022 nel santuario termale etrusco e romano del Bagno Grande di San Casciano dei Bagni. La mostra si snoda come un viaggio attraverso i secoli all’interno del paesaggio delle acque calde del territorio dell’antica città-stato etrusca di Chiusi. A partire dall’età del bronzo fino all’età imperiale, la grande tradizione di produzioni in bronzo di quest’area dell’Etruria è presentata come una spirale del tempo e dello spazio: come l’acqua calda delle sorgenti termali si fa vortice e diviene travertino, così il visitatore scopre come le offerte in bronzo incontrino l’acqua non solo a San Casciano ma in una moltitudine di luoghi sacri del territorio. Oltre venti statue e statuette, migliaia di monete in bronzo e ex-voto anatomici raccontano una storia di devozione, di culti e riti ospitati in luoghi sacri dove l’acqua termale era usata anche a fini terapeutici. L’eccezionale stato di conservazione delle statue all’interno dell’acqua calda ha permesso anche di tramandare lunghe iscrizioni in etrusco e latino che raccontano delle genti che frequentavano il luogo sacro, delle divinità invocate e della compresenza di Etruschi e Romani attorno all’acqua calda. È possibile acquistare online le pubblicazioni relative alla mostra ai seguenti link:emporium.treccani.it e sillabe.it.

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100° Arena di Verona Opera Festival 2023: “Rigoletto”

gbopera - Mer, 05/07/2023 - 11:05

100° Arena di Verona Opera Festival 2023
RIGOLETTO
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Il Duca di Mantova YUSIF EYVAZOV
Rigoletto
 ROMAN BURDENKO
Gilda ROSA FEOLA
Sparafucile
 GIANLUCA BURATTO
Maddalena VALERIA GIRARDELLO
Giovanna AGOSTINA SMIMMERO
Il Conte di Monterone GIANFRANCO MONTRESOR
Marullo NICOLÒ CERIANI
Matteo Borsa RICCARDO RADOS
Il Conte di Ceprano ROBERTO ACCURSO
La Contessa di Ceprano FRANCESCA MAIONCHI
Un Usciere di Corte GIORGI MANOSHVILI
Un paggio della Duchessa ELISABETTA ZIZZO
Orchestra, Coro e Ballo della Fondazione Arena di Verona
Direttore Marco Armiliato
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Regia Antonio Albanese
Scene Juan Guillermo Nova
Costumi Valeria Donata Bettella
Luci Paolo Mazzon
Coreografia Luc Bouy
Verona, 1 luglio 2023
Quarto titolo ad andare in scena e seconda nuova produzione, c’era molta curiosità attorno a questo Rigoletto firmato Antonio Albanese che a Verona aveva già allestito un Don Pasquale nel 2013. Il capolavoro verdiano, da sempre amato dai melomani, è una di quelle creazioni teatrali che induce spesso in tentazione i registi che ne vogliono dare una personale lettura; del resto lo stesso compositore era stato subito attratto dal forte contrasto tra la deformità esteriore del gobbo e la pienezza della nobiltà d’animo con il suo slancio paterno e passionale. Una metafora della distorsione morale e per questo considerato soggetto indesiderato prima dalla censura francese (sul lavoro di Victor Hugo) e poi da quella austriaca a Venezia: il motivo, ancor prima che politico, era di natura etica poiché una siffatta vicenda grottesca non era considerata degna di un teatro d’opera, soprattutto di un teatro come La Fenice. Ma il nostro buon Verdi, che di teatro ne sapeva molto e desiderava storie complesse su cui scolpire i suoi personaggi, rimase folgorato ed ossessionato dalla grandiosità di Le Roi s’amuse di Hugo non trovando pace fino a quando non ne avesse ricavato un’opera. L’approccio di Albanese è innovativo e prudente allo stesso tempo: come cita nelle note di regia, non vuole impossessarsi del melodramma né stravolgerlo quanto affermare la propria cifra autoriale senza tuttavia imporsi su Verdi. La trasposizione della vicenda in una locanda del Polesine negli anni ’50 del secolo scorso vuole idealmente veicolare le suggestioni e le atmosfere di Rigoletto in una nuova dimensione senza smarrirne il messaggio originale; la stessa ambientazione padana e il richiamo al cinema neorealista traccia un parallelo tra la drammaturgia verdiana ed il recente passato del nostro paese appena uscito dalla guerra. Se davvero il Cigno di Busseto può parlarci del presente, come se vivesse ai nostri giorni, ecco dunque che l’idea teatrale di Albanese prende forma sotto un’altra luce. Suggestive le scenografie di Juan Guillermo Nova, non invasive e ben aderenti alla regìa che prende i personaggi spostandoli dalla Corte di Mantova ad una corte rurale dove il Duca è un proprietario terriero e Rigoletto il suo factotum/fattore. Originale l’idea, sul lato sinistro, di un piccolo cinema all’aperto con la proiezione, durante il Preludio, di un breve frammento di Bellissima di Luchino Visconti così come appropriati e pertinenti sono i costumi di Valeria Donata Bettelli i quali, se non rendono le differenze sociali richiamate da una corte rinascimentale, mettono a nudo le diverse personalità e profondità dello scibile umano. Le luci di Paolo Mazzon, mai invasive ma sempre adeguate allo scorrere degli eventi, hanno sempre interagito con correttezza allo stesso modo delle coreografie di Luc Bouy che richiamavano velatamente i giochi dei bambini e dei ragazzi all’aria aperta in tempi lontani da smartphone e tablet. Chi, come il sottoscritto, non nutre particolari simpatie per le regìe innovative, soprattutto quando queste fanno a pugni con il libretto e le didascalie, questa volta ha avuto ben poco da storcere il naso: lo spettacolo è godibile e qualche vezzo visivo è comunque rispettoso della centralità della musica e del protagonista così come lo ha scolpito Verdi, con la sua rabbia, la frustrazione e la solitudine. Entrando nel merito della musica, il ruolo principale era sostenuto da Roman Burdenko, già Deus ex machina del disastroso Galà Domingo dello scorso anno quando salvò una serata già compromessa dall’ex tenore spagnolo; è un baritono di buona vocalità, a tratti ruvida, purtroppo genericamente scenico e non scava nel personaggio, peraltro reso chiaro e limpido dalla stessa musica. È mancato in sostanza il caleidoscopio emotivo che anima il gobbo, buffone cinico e spietato ma capace di commuoversi al caro ricordo della moglie, padre affettuoso e colmo di premure, terrorizzato dallo spettro della maledizione, uomo vendicativo che non esita a concepire l’assassinio assoldando un sicario. L’ingrato compito di impersonare l’odioso ed antipatico Duca di Mantova è toccato a Yusif Eyvazov, già Radames nell’Aida di apertura e presenza ormai stabile a Verona, qui al debutto nel ruolo (almeno in Italia); una prova iniziata distrattamente, con qualche amnesia nel testo di Questa o quella e con un attacco mancato in Ah sempre tu spingi lo scherzo all’estremo ma risolta poi nel corso del secondo e del terzo atto. Una voce poco ammaliante, cosa già detta e ripetuta, ma dotata di un grande fraseggio e ciò non è poco soprattutto in È il sol dell’anima e Parmi veder le lagrime e nel celebre quartetto del terzo atto. Sorvoliamo sulla celebre canzonetta  “La donna è mobile, che pure ha sollevato ovazioni tra il pubblico (ancora una volta: possibile che nell’immaginario popolare Rigoletto sia ridotto solo a questo?) e risolta con un sicuro e stentoreo si naturale. Rosa Feola, chiamata all’ultimo a sostituire la collega in cartellone, ha delineato una Gilda di bella voce e bella presenza, credibile nei panni della ragazza ingenua e sprovveduta: il suo Caro nome è stato una vera icona dell’innocenza giovanile al primo amore. Sicuro e spavaldo lo Sparafucile di Gianluca Buratto, dal grottesco incontro con Rigoletto al tragico epilogo; anch’esso un personaggio ben delineato nella vicenda, losco figuro dedito al brigantaggio e all’omicidio su commissione quanto animato da un’etica professionale che aborrisce il tradimento verso il cliente. Ottima anche Maddalena, che aveva la voce di Valeria Girardello, ruolo per nulla semplice da sostenere, in bilico tra seduzione, capacità amatorie e sentimento sincero. Il resto del cast annoverava i sicuri ed esperti Agostina Smimmero (Giovanna), Gianfranco Montresor (Monterone), Nicolò Ceriani (Marullo), Riccardo Rados (Borsa), Roberto Accurso (Ceprano), Francesca Maionchi (la Contessa), Giorgi Manoshvili (Un usciere) ed Elisabetta Zizzo (Paggio), ognuno dei quali ha condotto dignitosamente in porto la serata. Marco Armiliato ha tenuto le redini di una partitura che certamente non brilla per magistero sinfonico ma di certo sa interagire con l’azione drammatica raccontandone ed evidenziandone ogni sfumatura caratteriale; la sua concertazione si è mantenuta perciò attenta ad assecondare il canto senza particolari bagliori ma fornendo un approdo sicuro alle insidie che la musica di Verdi è sempre pronta a tendere. Il coro, in un ruolo apparentemente marginale quanto invece importante nell’interazione scenica, ha fornito una buona prova grazie anche al posizionamento agevole (ai limiti della staticità) sul palcoscenico. Un’ultima considerazione. Questo è il quarto spettacolo visto e dobbiamo riportare un’impressione poco rassicurante: quella cioè di spettacoli montati in fretta e furia, anche a ridosso dell’orario di inizio, e che si reggono su un equilibrio precario (in Rigoletto anche un imprevisto tecnico che ha interrotto l’esecuzione nel primo atto) forse perché provati poco o nulla. Dobbiamo per questo dare atto alla grande professionalità dalle maestranze artistiche e tecniche della Fondazione Arena che nonostante tutto riescono sempre a risolvere le difficoltà. Sarebbe il caso che la Sovrintendenza e la Direzione Artistica ci ragionasse sopra dal momento che questo Festival ha risonanza mondiale oltre ad una cospicua ricaduta in termini economici e di turismo sulla città. Repliche il 7 e 20 luglio e il 4 agosto.
Foto Ennevi per Fondazione Arena

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Milano, Teatro alla Scala: “Romeo e Giulietta”

gbopera - Mer, 05/07/2023 - 02:14

Milano, Teatro alla Scala, Stagione lirica 2022/23
“ROMEO E GIULIETTA”
Musica di Sergej Prokof’ev
Coreografia Kenneth MacMillan supervisione coreografica Julie Lincoln
Romeo CLAUDIO COVIELLO
Giulietta AGNESE DI CLEMENTE
Mercuzio CHRISTIAN FAGETTI
Tebaldo MARCO AGOSTINO
Benvoglio MATTIA SEMPERBONI
Paride NAVRIN TURNBULL
Nutrice SERENA SARNATARO
Tre Zingare ANTONELLA ALBANO, MARIA CELESTE LOSA, ALESSANDRA VASSALLO
Corpo di ballo e Orchestra del Teatro alla Scala di Milano
Direttore Timur Zangiev
Scene Mauro Carosi
Costumi Odette Nicoletti
Luci Marco Filibeck
Milano, 3 luglio 2023
Torna Romeo e Giulietta alla Scala, dopo sette anni, sempre nella coreografia di MacMillan. L’altra coreografia più affermata, di Cranko, non si vede dal 1991. Eppure, quest’ultima è nata proprio in Italia, prima al Teatro Verde di Venezia, all’aperto, con prima Giulietta Carla Fracci, e poi ripresa e risistemata in Scala l’anno successivo nel ‘58. I confronti tra queste due coreografie si sprecano e riecheggiano, ma certo è che quella di MacMillan molto gioca, nei passi a due, sugli aspetti emozionali e recitativi profondamente frammisti alla danza, tant’è che il giustamente celebre passo a due del balcone che chiude il primo atto inizia con una tanto semplice quanto difficile camminata. Non avendo mai visto dal vivo la coreografia di Cranko, però, potremmo azzardare con essa solo confronti sulla base delle registrazioni, ma non lo faremo; ci auguriamo, piuttosto, di poterla presto vedere dal vivo su questo stesso palcoscenico. Fortunati furono invece nell’85 gli americani, che videro rappresentati a stretto giro i due spettacoli permettendo ai critici – le cui recensioni post-spettacolo sulle grandi testate nazionali erano merce meno rara di oggi; e ciò vale soprattutto in Italia, ma questa è un’altra storia! – permettendo ai critici, dicevamo, di poter fare le loro considerazioni estetiche: quel che è interessante in merito a ciò, è che la coreografia di MacMillan, nelle mani del corpo di ballo dell’ABT, non brillò, proprio per quegli aspetti interpretativi che tutti sottolineano come importanti in questa coreografia; la versione di Cranko, invece, nella mani del Joffrey di Chicago fu un successo, perché più “puramente di danza”, e, andando in tournée, si sovrapposero al Romeo e Giulietta di Macmillan dell’ABT. Capiamo così più profondamente come, nelle mani di artisti empatici e sensibili come Claudio Coviello, lo spettacolo di MacMillan possa diventare qualcosa di meraviglioso. Il suo Romeo è sempre appassionante, vissuto, un ruolo veramente suo. Nelle due repliche di questa stagione è stato accompagnato da Agnese Di Clemente, al suo debutto come Giulietta: un grande debutto. Questa ragazza ha dimostrato grande naturalezza nel ruolo, appassionando e giocando splendidamente con esso. Ci limitiamo poi a segnalare il nome di Christian Fagetti, Mercuzio, che ha dato il meglio di sé, tanto da ricevere sentiti applausi a scena aperta nel momento in cui Mercuzio danza per distogliere l’attenzione dei convitati da Romeo e Giulietta. Ma un bravo va rivolto anche tutti gli altri, da Marco Agostino (Tebaldo), a Mattia Semperboni (Benvoglio), da Antonella Albano e alle altre due zingare (Maria Celeste Losa e Alessandra Vassallo), da Navrin Turnbull (Paride), alle amiche di Giulietta, e l’elenco continua. I costumi sono sempre quelli di Odette Nicoletti e le scene di Mauro Carosi. Quest’ultime mantengono ancora il loro fascino, il cui spirito ci appare in delicato equilibrio tra la pittura di storia ottocentesca e una buona dose di tenue surrealismo negli spazi, sempre a metà tra interno ed esterno. La musica sempre straordinaria di Prokof’ev è stata eseguita in maniera che ci è apparsa molto espressionistica, volta a sottolineare le dissonanze.Tornando alla struttura del balletto, essa, punta molto sull’aspetto passionale della storia, non potendo, in uno spettacolo muto, rendere le continue riflessioni linguistiche e morali che la parola permette. Quindi, Romeo, invece che essere dapprima uno struggente innamorato solo di Rosalina, ed essere tutto preso da tetri sconforti poetici tipici dell’amor cortese, è in questo spettacolo una sorta di “farfallone amoroso” che frequenta un ambiente zingaresco pieno di donne insieme agli amici. Oltre a ciò, sfrutta poi una questione aperta e dibattuta in letteratura, ovvero l’uccisione di Mercuzio da parte di Tebaldo, dai più interpretato come conseguenza del cieco odio materializzato nei confronti di Romeo per essersi presentato alla festa, nonostante l’accondiscendenza del vecchio Capuleti. In questo spettacolo, invece, Tebaldo scopre subito la tresca tra i due innamorati alla fine della festa, e agisce di conseguenza. Crediamo che non siano questi semplici aspetti passionali che potessero aver maggiore presa nel pubblico, o almeno non solo, ma anche strumenti drammaturgici che potessero rendere efficace e comprensibile una scena muta in maniera naturale. D’altronde, coreografare un balletto narrativo da un celebre testo del teatro di parola quando ormai la danza astratta stava giocando le sue carte, ed aveva tutta la vitalità delle cose nuove, era una scelta non consigliabile, almeno così la pensava Montale, il quale però ne registra l’efficacia, essendo testimone della prima di Cranko, ma anche di MacMillan con Nureyev e Fonteyn. Ad ogni modo, checché se ne dica, se lo spettacolo continua a fare il tutto esaurito, e se qualcuno a fine spettacolo sospira uscendo, ancora oggi, “purtroppo è finito!”, l’obiettivo è raggiunto, nonostante il suo accompagnatore risponda “purtroppo sì, o per fortuna!”, sorridendo. Chi vi scrive, infine, tiene a condividere con voi una riflessione nata grazie a questo spettacolo, nella rappresentazione dell’11 ottobre 2014. Io, giovane neolaureato da pochi anni, con i primi sintomi da ballettomania cronica, ma con poco budget a disposizione, presi il giorno stesso dello spettacolo, come spesso facevo, tra le frotte di turisti di ogni nazionalità che sempre affollano la Scala, dei biglietti a poco prezzo mediante l’associazione L’Accordo. Voleva dire assistere allo spettacolo in piedi in prima galleria, se fosse andata bene, altrimenti in seconda. Si esibiva un giovanissimo Claudio Coviello, da qualche mese nominato primo ballerino, con al fianco Natalia Osipova. Purtroppo, da così lontano, si godono appieno le linee coreografiche, ma si possono osservare meno i visi. L’emozione è stata comunque forte, Coviello fu stupendo, la Osipova indescrivibile. Una mia facoltosa conoscente, però, che sedeva nelle prime file della platea mi chiese, incontrandoci a fine spettacolo, dove fossi seduto; le risposi; e lei disse un “peccato, perché da lì si vedono poco le espressioni del viso”, che non si poteva godere appieno dello spettacolo, e aggiunse che Coviello era commovente, e che forse piangeva, durante lo spettacolo. Ebbi una sensazione che non riesco a descrivere, tra delusione e invidia, ma ancora adesso questo evento mi fa ragionare. Per chi danza un ballerino? Per la snob della prima fila, che conosce tutti e tutto perché può permettersi tutto ciò, o per colui che dall’alto della galleria assiste agli spettacoli per lo più in piedi, perché da seduto non si vede nulla, e, nonostante ciò, torna ogni volta entusiasta? La risposta è banale: per tutti i suoi spettatori, e questo è vero; ma credo che speri sempre che non sia solo visto con gli occhi, da una bella posizione, ma che possa veramente arrivare a tutti, con tutte le sue vibrazioni. Prossime repliche il  6 e 7 luglio. Questa replica da noi recensita è anche disponile su lascala.tv a questo link (noleggio a 9,90€). Foto Brescia & Amisano

 

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Roma, Terme di Diocleziano:” SI/LENZIO di Sylvio Giardina, a cura di Alessio de’Navasques” 13 Luglio 2023

gbopera - Mar, 04/07/2023 - 16:03

Roma, Museo Nazionale Romano
Terme Di Diocleziano
Via Enrico de Nicola, 78
00185 Roma
SI/LENZIO di Sylvio Giardina, a cura di Alessio de’Navasques
Come in una formula iniziatica, Si/lenzio è un invito alla riflessione interiore e a non rivelare qualcosa che si è visto e vissuto. Dopo /gal-le-rì-a/ a Palazzo Farnese, Sylvio Giardina continua il suo percorso di sperimentazione tra alta moda e arti visive, con un progetto di rigenerazione e rinascita che tocca archetipi e forme originarie del sentire umano. La dimensione maestosa del vuoto e del tempo infinito, di architetture e rovine che diventano tracce mitologiche della storia dell’uomo – le grandi volte nella sensazione mistica e chiaroscurale del complesso delle antiche Terme di Diocleziano del Museo Nazionale Romano – conduce naturalmente ad un’esperienza performativa, rivelatrice di una conoscenza teofanica. L’incantesimo è la metafora del meccanismo della rimozione della pulsione e della sua proiezione sull’immagine, il mezzo performativo è l’abito, inteso come luogo dell’abitare il corpo, attraverso la sua “agency”, capace di influenzare la vita e i sistemi sociali dell’individuo. Come una mappa, un paesaggio, l’abito scultura innesca il movimento nello spazio dell’aula X, trasformandosi in ogni sua parte attraverso un flusso centripeto di lavorazioni e sensazioni. I colori fluttuano, come pennellate, stratificate nei livelli geologici di una dimensione materica e scultorea, in cui è l’abito stesso a diventare contemporaneamente supporto e installazione. È il mistero della performance ad accogliere qualcosa che può essere visto, ma non detto. La dimensione ineffabile, magica del sonno raccoglie, nel silenzio di un’atmosfera iniziatica, l’archeologia di tracce e storie di tutte le donne passate dall’atelier Giardina in più di dieci di attività: ritagli di tessuto, ma anche filati e ricami, scarti dell’azione scultorea di plasmare le forme su manichino. Un mosaico vibrante e cangiante di memorie che, nelle sfumature di collezioni passate e progetti speciali dell’autore, conserva il segreto del rapporto tra corpo e abito, la ritualità di occasioni speciali e cerimonie familiari. Lanciare casualmente su tessuto questo archivio intimo e frammentato in un’azione di dripping, per poi ricucire queste composizioni nella stessa posizione in cui sono fortuitamente cadute, permette a Giardina una libertà di azione e una messa in questione di regole e codici dell’alta moda, ma anche l’opportunità di generare fioriture e galassie, simbolo di un’eterna rigenerazione. È, infatti, il mito di Persefone, Arretos Kore la ragazza indicibile come la definisce Euripide, che rappresenta la vita, ad ispirare una performance che diventa un rito di rinascita. La fanciulla divina – rievocata dalla performer spagnola Mina Serrano – nella sua indeterminazione di madre e vergine allo stesso tempo, lo spirito femminile più sacro e indefinito, torna ciclicamente dagli inferi per riportare la primavera e l’estate. “Kore è la vita in quanto non si lascia “dire”, cioè definire secondo l’età, le identità sessuali e le maschere familiari e sociali” come scrive il filosofo Giorgio Agamben in La ragazza Indicibile, mito e mistero di Kore. Il silenzio come in tutti i riti misterici diventa, così, la condizione per iniziare un percorso di conoscenza evocato dalla dimensione delle grandi aule delle Terme. Il mosaico bianco e nero con il motto dell’oracolo di Delfi “Gnothi sautòn” – conosci te stesso – invita ad entrare nello spazio dove la fanciulla addormentata, avvolta nel suo abito cosmico, fiorito come in un’eterna primavera, suggerisce ad ognuno una strada di rinascita e rigenerazione. Con questo ultimo progetto Sylvio Giardina vuole mettere in discussione le modalità espressive della creazione di moda, che si libera da tempi, modi e sovrastrutture del sistema. Una collezione di abiti di alta moda può essere evocata da un progetto artistico, che definisce segni, tracce e colori di abiti che verranno, attraverso le sensazioni che abbiamo provato. La dimensione dell’haute couture è, così, per l’autore uno spazio libero di riflessione, dove la progettazione sartoriale si fa punto di partenza per una propria ricerca artistica. Una teoria, la sua, che diventa la dimostrazione di come viaggi, spostamenti intercontinentali, e una tendenza fortemente capitalistica del sistema moda, potrebbero essere ripensate attraverso nuovi paradigmi della creatività. Alessio de’Navasques. Qui per tutte le informazioni.

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Roma, “Fringe Festival” dal 11 al 26 Luglio 2023

gbopera - Mar, 04/07/2023 - 15:46

ROMA FRINGE FESTIVAL 2023
Il Festival del Teatro Indipendente
Dal 11 – 26 luglio 2023
Al via il Roma Fringe Festival. Da quest’anno oltre alla sede storia del Teatro Vascello, la programmazione sarà declinata in altri 2 importanti teatri romani: Il Teatro Parioli e la Sala Umberto. E presso il Teatro Trastevere uno spazio gratuito a disposizione delle compagnie con workshop e laboratori. Torna il ROMA FRINGE FESTIVAL dall’ 11 al 26 luglio 2023. Oltre alla sede storica del Teatro Vascello, la programmazione sarà declinata in altri 2 importanti teatri romani: Il Teatro Parioli e la Sala Umberto. In questi tre teatri si alterneranno 21 spettacoli provenienti da tutta Italia, 21 compagnie dunque, per altrettante drammaturgie inedite e traduzioni di testi stranieri poco conosciuti dal pubblico italiano, per accendere i riflettori sul Teatro Indipendente e su quella compagine teatrale che non vive di fondi pubblici, di finanziamenti e di supporti istituzionali.  Come ogni anno, il Roma Fringe Festival porta in scena una fetta importante delle tendenze teatrali contemporanee, uno specchio fedele del mondo che stiamo: si parla di nuovi futuri e nuovi orizzonti, con uno sguardo lucido che passa attraverso sperimentazioni e inediti linguaggi, tra tradizione e ricerca, proponendo originali forme e inaspettati messaggi.  Il Fringe di Roma – diretto da Fabio Galadini – parte dal basso perché si basa sulla convinzione che tutti, al di là del sostegno pubblico possano e debbano creare ogni giorno per tutto l’anno. “Si potrà – afferma il Direttore Fabio Galadini – attraverso questi spettacoli capire le tendenze del nuovo teatro, attraverso le nuove drammaturgie capire il pensiero dei nostri giovani autori, si potrà scoprire nuovi talenti, nuovi autori e giovani registi, insomma il fringe offre davvero delle grandi opportunità di visibilità e di reale inserimento nel mondo dello spettacolo dal vivo. Un festival vitale, esplorativo, interessante ed unico, che sviluppa uno sguardo critico sul nuovo teatro, capace di sondare e rendere visibile i nuovi talenti teatrali. Per questa XI edizione abbiamo introdotto una ulteriore possibilità di valorizzazione del lavoro delle compagnie selezionate. Il Teatro Trastevere sarà, per tutto il periodo del festival, il luogo del confronto e della formazione. Per l’XI edizione, il Fringe festival vuole proporre un’ulteriore possibilità di scambio e relazioni tra artisti e addetti ai lavori che allarghi lo sguardo dell’evento ai momenti della formazione e dello scambio culturale. Alle compagnie selezionate, compagnie e singoli artisti partecipanti al Festival, vorremmo dare l’opportunità di proporre attività di Laboratorio, scambio artistico, show case, dibattiti, presentazione delle proprie attività artistiche, all’interno di uno spazio messo a disposizione gratuitamente dall’organizzazione del Festival, il Teatro Trastevere”. Anche quest’anno la selezione degli spettacoli che porterà a decretare il vincitore del premio Miglior Spettacolo Roma Fringe Festival 2023 si dividerà in due fasi. Nella prima fase verranno valutati tutti gli spettacoli in scena dal 11 al 24 luglio sui palchi del Vascello, Parioli e la Sala Umberto di Roma, fino a decretare i 3 finalisti. In questa prima fase la giuria sarà composta dai direttori (o loro delegati) dei 12 teatri che aderiscono a Zona Indipendente, una rete di teatri dislocati su tutta la penisola che si sono messi in gioco per creare una rete Fringe nazionale. Saranno loro ad attribuire i premi del Roma Fringe Festival come Miglior Regia, Miglior Drammaturgia, Speciale Off, Miglior Attrice, Miglior Attore. I 3 spettacoli scelti come finalisti avranno a disposizione una ulteriore replica, nella finale che si terrà alla Sala Umberto il 26 luglio, di fronte a una giuria selezionata cui spetterà il compito di assegnare il premio come Miglior Spettacolo Roma Fringe Festival 2023. Tutti i premi di categoria verranno annunciati durante la finale del 26 luglio. A uno dei 3 spettacoli finalisti verranno consegnati il Premio Alessandro Fersen assegnato dalla Fondazione Alessandro Fersen e il Premio della Critica assegnato da critici e giornalisti accreditati presieduti da Katia Ippaso. Lo spettacolo a cui verrà assegnato il premio come Miglior Spettacolo Roma Fringe Festival 2023, vincerà una tournée di 12 date italiane presso i teatri del circuito Zona Indipendente, che ospiteranno lo spettacolo vincitore nella stagione 2022/2023. Qui per tutte le informazioni.

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Festival riflessi del Garda: “Tra umano e divino”

gbopera - Mar, 04/07/2023 - 12:00

Il Festival riflessi del Garda, per la quarta serata, vi invita a Peschiera del Garda, al Santuario della Madonna del Frassino che, con il suo grandioso strumento storico, farà risuonare tra le antiche e maestose architetture sacre il concerto d’organo e ottoni Tra Umano e Divino.
L’Organa et Bucinae Ensemble
, formato dal giovane organista Giulio Bonetto, dalle trombe di Roberto Rigo e Fabrizio Mezzari e dai tromboni di Lorenzo Rigo e Alessio Brontesi, ci propone un percorso storico e musicale che va dal Tardo Rinascimento al sinfonismo francese, con partiture di Bach, Banchieri, Gabrieli, Pachelbel e Perosi, oltre a una raffinata trascrizione della celebre Suite Gothique di Boëllmann, realizzata appositamente per questa formazione.
In allegato il programma dettagliato del concerto

Allegati
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Roma, Musei Capitolini: “Nuova Luce da Pompei a Roma” dal 05 Luglio al 08 Ottobre 2023

gbopera - Lun, 03/07/2023 - 18:03

Roma, Musei Capitolini
NUOVA LUCE DA POMPEI A ROMA
Dal 05 Luglio al 08 Ottobre 2023
La Mostra presenta in maniera esaustiva la tecnica, l’estetica e l’atmosfera della luce artificiale nell’antichità romana. Il progetto prende le mosse da un programma di ricerca multidisciplinare sulla luce artificiale in età romana, dedicato per la prima volta all’analisi scientifica degli oggetti di illuminazione in bronzo delle città di Pompei ed Ercolano, i cui risultati sono stati già presentati in mostra a Monaco. L’esposizione offre 170 opere originali, provenienti dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dal Parco Archeologico di Pompei, oltre che dallo Staatliche Antikensammlungen di Monaco, poste in relazione a informazioni testuali e visive e a simulazioni digitali della luce diurna e di quella artificiale. Un confronto tra passato e presente viene proposto con l’esposizione di lampade realizzate dal light designer Ingo Maurer. Nella sede di Roma la Mostra è arricchita da opere appartenenti alle Collezioni Capitoline. Qui per tutte le informazioni.

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Roma, Musei Capitolini : “Lucrina Fetti, una pittrice romana alla corte di Mantova Il ritratto di Eleonora Gonzaga (1622)” dal 08 Giugno al 01 Ottobre 2023

gbopera - Lun, 03/07/2023 - 17:40

Roma, Musei Capitolini, Pinacoteca Capitolina, Sala VI
LUCRINA FETTI, UNA PITTRICE ROMANA ALLA CORTE DI MANTOVA : Il ritratto di Eleonora Gonzaga (1622)
Dal 08 Giugno al 01 Ottobre 2023
In mostra ai Musei Capitolini Lucrina Fetti, una pittrice romana alla corte di Mantova: Ritratto di Eleonora Gonzaga (1622). L’importante dipinto è esposto nella Pinacoteca con presentazione al pubblico e visita guidata giovedì 8 giugno ore 18.00. Giunge a Roma per la prima volta, grazie ad un accordo tra la Sovrintendenza Capitolina – Direzione Musei Civici, la Fondazione Palazzo Te e il Museo di Palazzo Ducale di Mantova, il dipinto “Ritratto di Eleonora Gonzaga” (1622), l’unico ritratto firmato e datato di Lucrina Fetti. L’opera, di proprietà dell’Accademia Nazionale Virgiliana, è in mostra nella Pinacoteca dei Musei Capitolini, all’interno della Sala VI dedicata alla pittura bolognese e dell’Italia settentrionale, e rappresenta una delle tele più interessanti dell’artista anche per il contributo che fornisce alla ricostruzione della presenza delle artiste donne a Roma tra XVI e XIX secolo. L’esposizione è stata inaugurata giovedì 8 giugno, alle 18.00, con una visita guidata tenuta dalla Direttrice della Direzione Musei Civici della Sovrintendenza Capitolina Ilaria Miarelli Mariani. Nata a Roma con il nome di Giustina intorno al 1589, Lucrina Fetti impara a dipingere in famiglia con il più noto fratello Domenico. Come altre artiste della sua epoca, viene destinata a una vita monacale e la sua produzione artistica, ritratti e scene religiose, è stata quasi totalmente interna al convento di Sant’Orsola a Mantova, dove si trasferisce nel 1614 al seguito di Domenico, chiamato da Ferdinando Gonzaga come pittore di corte. Questo convento rappresentava all’epoca una delle corti femminili più raffinate d’Europa. Fondato nel 1599 da Margherita Gonzaga, sorella di Ferdinando IV e vedova di Alfonso d’Este, divenne luogo di istruzione e ritrovo culturale per le giovani principesse Gonzaga e le nobili cittadine. Margherita, amante dell’arte, lo fece decorare con affreschi e dipinti e Lucrina divenne la principale artista di quella che era considerata la “corte” parallela del potere gonzaghesco. L’opera esposta ritrae Eleonora Gonzaga, figlia minore del duca Vincenzo e di Eleonora de’ Medici, cresciuta nel convento delle orsoline dalla zia Margherita fino al matrimonio con l’imperatore Ferdinando d’Asburgo nel 1622. Un ritratto importante, eseguito in occasione delle nozze della giovane, che la ritrae in vesti maestose, consone al ruolo che andava a rivestire alla corte di Vienna. Eleonora indossa un abito sontuoso di broccato intessuto di fili d’oro e ornato da pizzi, abilmente realizzato dall’artista. Sulla sinistra del corsetto appare un pendente con il monogramma asburgico mentre sul tavolo la corona imperiale e una lettera su cui si legge “alla Sacra Maestà dell’Imperatrice Gonzaga”. Sia pur temporaneamente, il dipinto incrementa la presenza di artiste nel percorso della Pinacoteca, rappresentate da altre due pittrici, la genovese Maria Luisa Raggi, attiva tra fine XVIII e l’inizio del XX secolo, e la romana Maria Felice Tibaldi Subleyras, moglie del più noto Pierre. Qui per tutte le informazioni.

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Roma, Terme di Traiano: ” Imago Augusti. Due nuovi ritratti di Augusto da Roma e Isernia ” dal 29 Giugno al 26 Novembre 2023

gbopera - Lun, 03/07/2023 - 17:11

Roma, Mercati di Traiano Museo dei Fori Imperiali
“IMAGO AUGUSTI. DUE NUOVI RITRATTI DI AUGUSTO DA ROMA E ISERNIA”.
Dal 29 Giugno al 26 Novembre 2023
Tutti i giorni 9.30-19.30
Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura
Roma, 02 Luglio 2023

In esposizione due inedite teste-ritratto dell’imperatore Augusto scoperte recentemente durante le indagini archeologiche condotte a Roma e a Isernia. Un dialogo ideale e iconografico tra due capolavori marmorei, il ritratto del giovane Ottaviano, che diventa poi Augusto, e quello del primo imperatore di Roma già insignito del titolo onorifico di Augustus, che diventa parte integrante del suo nome, è proposto dalla mostra “Imago Augusti. Due nuovi ritratti di Augusto da Roma e Isernia”. Il progetto nasce dalla collaborazione scientifica tra la Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e la Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per il Molise, unite in questo caso dall’eccezionale rinvenimento di due ritratti di Augusto scoperti recentemente a Roma e a Isernia che, per il loro alto valore iconografico e stilistico, possono offrire al pubblico un valido e interessante apporto nell’ambito degli studi sull’immagine e sulla storia della figura sempre attuale dell’imperatore. Tanti gli elementi in comune tra le due opere, a partire dalla recente e inaspettata scoperta rispettivamente negli anni 2019 e 2021 nel corso di indagini archeologiche nelle aree centrali di Roma, nel Foro di Traiano, e di Isernia, nella zona presunta dell’antico foro, fino al comune riutilizzo, in età medievale, come “puro materiale” edilizio e addirittura di scarto, all’identità del personaggio raffigurato e, non da ultimo, all’elevata qualità artistica dei due esemplari. Per questi aspetti, la mostra Imago Augusti, dopo la tappa romana al Museo dei Fori Imperiali nei Mercati di Traiano, viene allestita anche a Isernia, dal dicembre 2023, nel Museo Archeologico di Santa Maria delle Monache. Il percorso espositivo sviluppa le tematiche legate ai due ritratti: la scoperta, i contesti e le modalità di reimpiego delle opere, l’iconografia e il valore politico dei ritratti, la figura dell’imperatore. Tutti questi contenuti sono proposti in modo immersivo, attraverso l’utilizzo di videoproiezioni, che, in parallelo, consentono di entrare nello scavo di via Alessandrina, viaggiare nei paesaggi molisani fino a Isernia e, infine, rivivere l’emozione delle due inattese scoperte. Il recente scavo di via Alessandrina, nell’area del Foro di Traiano, ha ripreso un progetto più ampio di indagini estensive dei Fori Imperiali condotte negli anni del Giubileo del Duemila. Nel caso di Isernia, il ritrovamento della testa di Augusto è avvenuto nel corso dei lavori di ripristino di un tratto di cortina delle mura urbiche crollato a causa di un violento temporale nel marzo 2013. Le peculiari modalità di tali rinvenimenti non forniscono indicazioni certe sul contesto originario dei ritratti e dunque sullo specifico messaggio ideologico e politico di cui essi dovevano essere portatori. È tuttavia innegabile che si tratti di due capolavori unici che si inseriscono a buon diritto nel già ricco panorama delle immagini del princeps, la cui ampia diffusione nell’Urbe e nelle aree periferiche italiche si qualifica storicamente come funzionale alla costruzione di un consenso sempre più ampio nei territori dell’impero. Nell’approfondimento storico, iconografico e stilistico dei due ritratti, l’analisi dei dettagli fisionomici ne consente l’inquadramento in due momenti diversi: nella raffigurazione di via Alessandrina un giovane Ottaviano esprime il carattere forte e determinato dell’erede di Giulio Cesare; nell’altra si percepisce la dimensione più matura e riflessiva dell’uomo divenuto titolare di un potere illimitato. Il linguaggio figurativo elaborato tra il 40 e il 38 a.C. per il poco più che ventenne Ottaviano si evolve infatti in quello del politico ormai affermato al quale il Senato decise di conferire nel 27 a.C. il titolo onorifico di Augustus, che diventerà parte integrante del suo nome. Proprio basandosi sulle diverse cronologie dei ritratti e sulla suggestiva conformazione spaziale semiellittica, l’ultimo ambiente del Museo dei Fori Imperiali è stato concepito come un teatro nel quale i visitatori, a orari regolari, possono assistere a un dialogo immaginario tra le due anime di Augusto, e al contrasto tra una personalità giovane e idealista e una più matura e pragmatica, dando voce ad una contrapposizione sempre attuale. Una formulazione espositiva capace di coinvolgere un pubblico diversificato e ampio attraverso l’esperienza innovativa della teatralizzazione, nella quale i reperti diventano oggetti “parlanti” che interagiscono tra loro e con il pubblico. La mostra, infine, si propone come progetto di valorizzazione culturale accessibile e inclusivo sotto molteplici aspetti. Grazie al servizio dedicato del Dipartimento Politiche Sociali e Salute – Direzione Servizi alla Persona, affidato alla Cooperativa Sociale Onlus Segni di Integrazione – Lazio, i testi del dialogo teatralizzato e dei pannelli didattici sono stati tradotti in LIS (Lingua dei Segni Italiana), registrati e fruibili gratuitamente attraverso QR code. Allo stesso tempo, per permettere la fruizione e la mobilità in autonomia nelle sale espositive ai non vedenti, sono state realizzate sui modelli 3D le copie in marmo sintetico a grandezza naturale dei due ritratti di Augusto, con didascalie in italiano/inglese e alfabeto Braille e una planimetria col percorso della mostra in italiano e alfabeto Braille. L’offerta didattica sarà completata da visite guidate (in definizione) accompagnate da operatori specializzati e laboratori integrati. Inoltre, in programma dopo l’estate anche il nuovo calendario dei “Martedì da Traiano” dedicato ad approfondimenti di tematiche inerenti la mostra e, più in generale, alla figura di Augusto e delle sue immagini. Qui per tutte le informazioni.

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Muzio Clementi (1752 – 1832) e Johann Nepomuk Hummel (1778 – 1837)

gbopera - Lun, 03/07/2023 - 16:53

Johann Nepomuk Hummel (1778 – 1837): Sonata in F# minor op. 81. Muzio Clementi (1752 – 1832): Capriccio in E minor op. 47 no. 1; Sonata in F minor op. 13 no. 6. Sebastiano Mesaglio (pianoforte). Registrazione: Fazioli Concert Hall, Sacile (Pn) (tracce 1-6); Luke Recording Studio, Cividale del Friuli (Ud) (tracce 7-9). T. Time: 66′ 52″. 1 CD Stradivarius STR37236
Confinato, per la maggior parte dei pianisti, a ricordi di studio, Muzio Clementi insieme a Johann Nepomuk Hummel è stato certamente uno dei protagonisti della vita musicale a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento. Se la fama di questi due compositori, oggi riscoperti e abbastanza presenti nei cartelloni delle stagioni concertistiche, è stata offuscata da Haydn, Mozart e Beethoven, è, tuttavia, innegabile la loro importanza per lo sviluppo della tecnica pianistica in una fase di transizione di questo strumento, diverso dai moderni pianoforti. In questo cd, pubblicato dalla Stradivarius è proposto l’ascolto della Sonata in fa diesis minore op. 81 n. 5 di Hummel che, allievo di Mozart e Beethoven, suscitò l’ammirazione anche di Franz Liszt del quale fu insegnante. Composta nel 1819, la Sonata in programma è la più articolata tra tutte quelle presenti nel corpus di Hummel e si segnala per il carattere virtuosistico del primo, un’ampia fantasia piuttosto che un primo tempo di sonata, e del terzo movimento, una danza slava con un tema martellante. Di Muzio Clementi è proposto l’ascolto del Capriccio in mi minore op. 47 no. 1 che, composto nel 1821, è una pagina matura e sperimentale anche dal punto di vista formale dal momento che il primo movimento non è scritto secondo le regole della forma-sonata, e della Sonata op. 13 n. 6 in fa minore che, pubblicata nel 1785, è certamente uno dei suoi capolavori per la bellezza di alcune pagine come il Largo e Sostenuto, il più lungo dei movimenti lenti mai scritti dal compositore romano.
Ad interpretare questi lavori è il pianista Sebastiano Mesaglio che, dotato di una solidissima tecnica, risolve con grande facilità le parti virtuosistiche riuscendo anche a dosare molto bene le sonorità in passi non certo semplici come alcune riprese del martellante tema terzo movimento della sonata di Hummel, che vengono eseguite con la giusta leggerezza. Grazie a un tocco espressivo, l’artista esegue con sentimento i movimenti lenti.

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Verona: il 6-7 luglio, sul palcoscenico del Teatro Romano “Letti d’amore” celebra Shakespeare in prima nazionale

gbopera - Lun, 03/07/2023 - 16:47

Il Festival Shakespeariano, cuore pulsante dell’Estate Teatrale Veronese, alza il sipario del Teatro Romano. Giovedì 6 luglio l’inaugurazione della 75a stagione con la prima nazionale di Letti d’Amore. Lo spettacolo per la drammaturgia di Fausto Costantini e Raffaello Fusaro per la regia di Raffaello Fusaro vedrà sul palcoscenico alcuni dei più grandi artisti italiani. Saranno loro a dar vita ad un medley di versi di Shakespeariani. Una celebrazione delle passioni, dei sentimenti umani e dell’amore, attraverso mille sfaccettature archetipiche. Lo spettacolo sarà in replica venerdì 7 luglio.
Giuliana De Sio e Laura Morante saranno Ophelia, Giulietta, Lady Macbeth, Desdemona, Rosalinda. A Francesco Montanari e Filippo Dini i ruoli maschili di Romeo, Otello, Antonio, Macbeth. Cambia e si arricchisce il cast sul palcoscenico. Nel ruolo di narratore,Andrea Bellacicco. Una lettura scenica arricchita dai danzatori di ResExtensa Dance Company – Porta D’Oriente diretta da Elisa Barucchieri. Lo spettacolo è prodotto dal Centro Teatrale Meridionale di Domenico Pantano.
Per  celebrare l’anniversario dell’Estate Teatrale Veronese e la storia del più longevo Festival italiano dedicato a William Shakespeare, la Banda dell’Esercito Italiano composta da 55 orchestrali in uniforme storica sfilerà per il centro storico, diretti dal Maestro Maggiore Filippo Cangiamila. Un concerto a tappe che partirà alle ore 20 da piazza Bra e arriverà al Teatro Romano, dove la Banda eseguirà alcuni brani tratti dalle colonne sonore delle opere shakespeariane. BIGLIETTI ONLINE 
Prosa e Danza www.boxofficelive.it e www.boxol.it

 

 

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John Axelrod ha chiuso il ciclo “RAI Orchestra Pops” con musiche di Ellington, Marsalis e Gershwin

gbopera - Lun, 03/07/2023 - 15:03

Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, di Torino. “RAI Orchestra Pops”
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore John Axelrod
Violino Giuseppe Gibboni
Duke Ellington: “Three Black Kings”; Wynton Marsalis (1961): Concerto in re maggiore per violino e orchestra; George Gershwin: “An American in Paris”
Torino, 29 giugno 2023
Con un’immersione totale nell’America del jazz, si conclude l’appendice dei quattro RAI Orchestra Pop che hanno segnato la fine, con gran successo, della stagione 2023-24 dell’OSN RAI. Sul podio John Axelrod che, con l’apprendistato al fianco di Leonard Bernstein, di questo repertorio dà interpretazioni di riferimento. Duke Ellington e Three black kings, suo ultimo lavoro che il figlio completa dopo la morte del padre, apre la serata. I tre re neri sono Baldassare, uno dei tre re magi, Salomone, re d’Israele e figlio della nera Betsabea e Marin Luther King, il reverendo sostenitore dei diritti delle persone di colore e assassinato a Memphis nel 1968. Questi omaggi in musica consistono rispettivamente in un ritmato e insistito ritmo di marcia, i Magi che si appressano alla capanna, che sfocia in un canto, seguito da una danza sensuale che ritrae Salomone con la regina di Saba e finalmente in un gospel da tempio metodista. La realizzazione musicale sfocia in una fantastica orchestrazione che evidenzia l’intervento di numerose parentesi solistiche, quasi fossimo all’interno di una jam session. Quindici minuti di piacevole ascolto che suscitano immediatamente l’entusiasmo del pubblico dell’Auditorio. In una jam-session il direttore nominerebbe i vari esecutori degli a-solo, qui Axelrod li addita al caloroso ringraziamento del pubblico. L’ascolto dell’unica incisione del Concerto in Re Maggiore per violino di Wynton Marsalis è tutt’altro che entusiasmante: quaranta interminabili minuti di musica difficilmente districabile. Si temeva quindi per quanto potesse accadere dal vivo. OSN RAI, John Axelrod e Giuseppe Gibboni, il ventunenne violinista già premio Paganini nel 2019, hanno sovvertito le previsioni e ne è sortita una piacevolissima esperienza musicale. La partitura è un insieme di idee frammentarie, ripetitive e di scarso o nullo sviluppo ma tali da mettere in mostra il virtuosismo del solista congiuntamente a quello delle sezioni orchestrali e delle prime parti. Gibboni è funambolico e sebbene il suo Stradivari non abbia una voce forte, riesce sempre ad emergere dal volume di un’orchestra che viaggia baldanzosa. Axelrod poi, col gesto e col dominio sempre attivo del fraseggio, cattura l’attenzione e fa degli incisi e delle cadenze punti vivi e nevralgici del discorso. La versatilità dell’OSN RAI raggiunge un inaspettato estremo livello di adattabilità con un testo estraneo e nuovo, è infatti la prima esecuzione italiana del concerto. Gli orchestrale oltre che con i propri strumenti intervengono battendo piedi e mani, creando una inusuale coralità di suono. Memorabile poi la cadenza, al quarto d’ora del primo tempo, Rhapsody, in cui Gibboni continuando a suonare il violino percorre in largo tutto il palcoscenico e si accosta alla batteria di un ispirato Mattia Fiori e, per alcuni minuti, ci duetta. Più stile jazz di questo non ci può essere in una sala da concerto. Quattro sono i movimenti in cui è diviso il pezzo, oltre al già citato Rhapsody si contano un Rondo Burlesque, un immancabile Blues e un misterioso, per noi, Hootenanny che parrebbe voler significare una festa popolare in cui ognuno suona quel che gli pare. Il successo è vivissimo e tutto il pubblico applaude la sfavillante esecuzione di una musica che, in altre mani, avrebbe potuto mantenersi enigmaticamente problematica. Il successo personale costringe Gibboni ad un ormai scontato funambolico bis: il capriccio n.5 di Paganini. Nessun dubbio che sia stato suonato “da dio”.

Categorie: Musica corale

Roma, Castel Sant’Angelo: “Sotto l’angelo di castello” dal 29 Giugno al 21 Settembre 2023

gbopera - Dom, 02/07/2023 - 19:04

Roma, Castel Sant’Angelo
Lungotevere Castello, 50
00193 Roma, Italia
tel. 39 066819111
SOTTO L’ANGELO DI CASTELLO 2023
Castel Sant’Angelo è la magnifica scenografia di una delle manifestazioni più suggestive dell’estate, realizzata nell’ambito delle attività della Direzione Musei statali della città di Roma, giunta alla sua terza edizione. La rassegna di danza, musica e spettacolo, che rappresenta un trait d’union tra i luoghi d’arte e l’arte stessa, presenta quest’anno numerosi progetti site-specific che mettono in dialogo la sede museale e la sua storia con la creazione contemporanea. Sotto l’Angelo di Castello, curata e organizzata da Anna Selvi, apre il 29 giugno con WE, the Angel, uno spettacolo di danza ideato appositamente per Castel Sant’Angelo da Emio Greco e Pieter C. Scholten della ICK Dans Amsterdam. In scena, due lavori in prima assoluta, in collaborazione con Fuori Programma Festival: l’installazione dell’artista multidisciplinare Thomas Bradley, ispirata a un testo inciso sotto la statua di uno degli angeli collocati sul Ponte Sant’Angelo, e Veduta > Roma di Michele Di Stefano e Lorenzo Bianchi Hoesch, un progetto dedicato alla città e alla visione prospettica del paesaggio urbano. Grande spazio alla musica, dal jazz ai ritmi latini, dalla musica classica ai suoni contemporanei: Hernán Genovese presenta il concerto La voce del tango, insieme a Roger Helou (pianoforte), Damian Foretic (bandoneon) e i Maestri e ballerini Paola Palaia e Marco Evola. David Trio & friends (Claudio Trovajoli – pianoforte, Nikita Boriso-Glebsky – violino e David Cohen – violoncello) con William Chiquito Henao al violino e Raffaele Mallozzi alla viola si esibiscono in due capolavori di Arensky e Dvorák, mentre Davide ‘Boosta’ Dileo, tastierista dei Subsonica, presenta Post Piano Session, il suo ultimo progetto discografico. La cantante e violoncellista cubana Ana Carla Maza, con i suoi musicisti, propone Caribe, una commistione di jazz, musica classica e sound latino. Tatiana Eva-Marie, con l’album Djangology, celebra la musica del chitarrista Django Reinhardt, inventore del Gypsy Jazz. L’Architettura del suono. Il violoncello, la “voce umana” tra nuove e antiche strutture formali vede protagonista Gaetano Simone e il suo violoncello italiano del 1700 in musiche di J.S. Bach, I. Xenakis, G. Crumb. Il ricco programma include narrazioni poeticheperformance teatrali e di danza che danno vita a una fruizione inedita degli spazi del Castello: da La delicatezza del poco e del niente, in cui Roberto Latini legge e interpreta alcune confidenze della poetessa Mariangela Gualtieri, ai lavori site-specific come Dialogo Terzo: IN A LANDSCAPE della compagnia CollettivO CineticO con il coreografo Alessandro Sciarroni, e Take me up, take me higher di Enzo Cosimi, dedicato a quattro figure iconiche dell’oscurità romana e delle sue prigioni: Beatrice Cenci, Cagliostro, l’Arcangelo Michele e Tosca. Gastronomia e teatro si mescolano in Pasticceri. Io e mio fratello Roberto, lo spettacolo con Roberto Abbiati e Leonardo Capuano, mentre il divertimento in famiglia è assicurato con Michele Cafaggi ed il suo Fish&Bubbles, spettacolo di clownerie, giochi con l’acqua e bolle di sapone giganti, ed Esercizi di fantastica, ispirato al lavoro di Gianni Rodari, della compagnia Sosta Palmizi. La rassegna si chiude con Satiri, nuova produzione di Virgilio Sieni, con cui i due danzatori Jari Boldrini e Maurizio Giunti si esibiscono sulle musiche di Bach eseguite dalla violoncellista irlandese Naomi Berrill. Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Venezia, Teatro La Fenice: Markus Stenz interpreta Haydn e Richard Strauss

gbopera - Dom, 02/07/2023 - 11:21

enezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2022-2023
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Markus Stenz
Violino Roberto Baraldi
Franz Joseph Haydn: Sinfonia in sol maggiore Hob.I:94 “La sorpresa”; Richard Strauss: “Ein Heldenleben” (Una vita d’eroe) poema sinfonico op. 40
Venezia, 30 giugno 2023
Markus Stenz – ancora impegnato nelle ultime repliche del Fliegende Holländer – ci ha dato un saggio della sua finezza interpretativa anche nel campo sinfonico in un concerto, nell’ambito della Stagione Sinfonica 2022-2023 del Teatro La Fenice, che proponeva musiche di Haydn e Richard Strauss. La Sinfonia in sol maggiore Hob.I:94 “L a sorpresa” di Franz Joseph Haydn nasce durante il primo dei suoi due soggiorni londinesi, che entrambi segnano un periodo particolarmente felice per il sommo musicista austriaco, visto che per la capitale britannica – dove soggiornò complessivamente tra il 1791 e il 1795 – compose dodici sinfonie (dalla n. 93 alla n. 104), ora come allora ritenute tra i suoi lavori più riusciti. I soprannomi che furono attribuiti ad alcune di esse – “Militare”, “La pendola”, “Il miracolo”, ecc. – mettono in evidenza una caratteristica particolarmente suggestiva di questa o quella partitura, senza pretendere di suggerire un programma sotteso alla musica, poiché equivarrebbe a sminuire il valore di questi assoluti gioielli sinfonici, certamente pieni di verve e trovate originali, ma soprattutto capolavori di musica assoluta. Grande musica tout-court, che richiede interpreti sensibili e raffinati. Tale si è dimostrato il maestro Stenz che, magnificamente supportato dall’Orchestra del Teatro La Fenice, ci ha offerto un’esecuzione esemplare per la bellezza del suono, l’intensità dell’espressione, la sottolineatura dei contrasti, la cesellatura di ogni particolare, non ultimo l’atteggiamento edonistico di fronte all’arguzia e all’umorismo dell’ultimo Haydn. Davvero divertente, a questo proposito, la gag che vedeva il timpanista arrivare trafelato, all’inizio del secondo movimento, per assestare, appena in tempo, il “Colpo di timpano” in fortissimo, che è un altro soprannome di questa splendida sinfonia, chiusa da un finale particolarmente irresistibile, con pause improvvise e false riprese, nel più genuino stile del migliore Haydn.
Quanto al secondo titolo in programma, con Ein Heldenleben – uno dei suoi lavori più complessi ed elaborati, composto nel 1898 –, uno Strauss trentaquattrenne conclude il ciclo dei poemi sinfonici, la cui composizione lo aveva impegnato nell’ultimo scorcio dell’Ottocento, per dedicarsi, nella prima metà del secolo successivo, soprattutto al teatro. Il lavoro è chiaramente autobiografico. Nel momento in cui Strauss lasciava la direzione dell’Opera di Vienna, per assumere quella dell’Opera di Berlino – conscio di dover affrontare un ambiente ancora legato alle tradizioni –, l’ultimo suo poema sinfonico rappresenta un bilancio dell’esperienza umana ed artistica fino ad allora maturata, come confermano le citazioni da sue precedenti composizioni. L’autore, attraverso sei episodi, che si succedono senza soluzione di continuità, celebra se stesso: i sogni, le lotte, le vittorie, l’eroismo, che hanno caratterizzato la propria vita. Non a caso il Tema dell’eroe è presentato nella tonalità di mi bemolle: la stessa della Sinfonia “Eroica” di Beethoven.
Qui Markus Stenz ha superato se stesso, al pari dei professori d’orchestra che, nel corso di questa “maratona” sinfonica, non hanno mai mostrato momenti di minore concentrazione. Il maestro tedesco ha giustamente esaltato la teatralità, che caratterizza la straordinaria scrittura orchestrale di Strauss – dove già emerge il grande operista –, potendo contare su un’Orchestra che ha saputo validamente cimentarsi negli episodi eroici e drammatici come negli squarci lirici e melodici, dimostrando duttilità e sensibilità, eleganza nel suono e padronanza tecnica, a fronte di una partitura altamente virtuosistica, intrisa di cromatismi. Vigoroso e deciso è risuonato, in tutto il suo slancio, il tema che denota L’eroe nel primo episodio, concluso da un brillante crescendo e da una vigorosa cadenza, che ha condotto all’episodio seguente, Gli avversari dell’eroe, dove i legni hanno icasticamente rappresentato, con i loro ritmi graffianti, i disturbatori, i nemici … i critici, evocati anche dai ripetuti sgradevoli interventi delle tube.
Il violino di Roberto Baraldiprimus inter pares nella sezione dei violini e nel complesso degli archi – ha, successivamente, dato voce a La compagna dell’eroe, in uno dei momenti più espressivi del poema sinfonico, brillando nella serie di variazioni che, attraverso ornate figurazioni musicali, esprimono momenti contrastanti della sensibilità femminile. Alla fine, improvviso, un clangore di trombe – esemplari come tutti gli ottoni – ha interrotto un’amorevole, leggiadra melodia intonata dal violino – insieme a flauto, oboe e clarinetto –, a segnalare l’inizio della battaglia. Il campo di battaglia dell’eroe – luogo della lotta contro i critici bacchettoni – ha visto il massiccio intervento di ottoni e percussioni, cui si è unito anche il primo violino (la compagna dell’eroe), nel celebrate con un canto trionfale l’immancabile vittoria. Dopo il quinto episodio, Le opere di pace dell’eroe, formato da un insieme tematico tratto da varie opere – compresi i poemi sinfonici Don Juan, Tod und Verklärung, Till Eulenspiegel e Also Sprach Zarathustra – La fuga dell’eroe dal mondo e il compimento del suo destino, ci ha immerso in un’atmosfera bucolica introdotta dall’aria intonata dal corno inglese col sostegno dei timpani; è seguita una severa melodia alla quale, inutilmente, si è opposto il tema modificato degli avversari, prima dell’intervento dei corni e dei fiati, su cui si è stagliato un assolo di violino (ancora la compagna), e dell’ampio solenne accordo, lungamente sostenuto ancora dai fiati, ad esprimere il congedo dell’eroe. Scroscianti applausi, ripetute  ovazioni, per il Maestro e l’Orchestra, la quale, anche da parte sua, tributava un caloroso saluto al Direttore.

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“Senza trucco!”….Emanuela Montanari

gbopera - Dom, 02/07/2023 - 10:10

Emanuela Montanari  entra a far parte del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala nel 1994. Dopo aver lavorato con coreografi come Mauro Bigonzetti, William Forsythe e Roland Petit, è l’incontro con Sylvie Guillem a darle la possibilità di esprimere le sue doti artistiche. Nel giugno del 2001 la ballerina-coreografa la sceglie per il ruolo di Myrta nella sua nuova produzione del balletto Giselle, al Teatro alla Scala. Importante e ricco l’elenco dei balletti interpretati da Elisabetta Montanari, con le massime firme della coreografia mondiale, da Kenneth MacMillan,  a Angelin Preljocaj, John Cranko, Roland Petit,William Forsythe”, Sasha Waltz. Emanuela Montanari sarà una delle interpreti dello spettacolo The Swans of la Scala al Festival riflessi del Garda.

Definisciti con tre aggettivi…
Riflessiva, premurosa, generosa.
Segno zodiacale?
Ariete.
Sei superstiziosa?
Assolutamente no.
Che rapporto hai con la spiritualità?
La ricerco,  perché credo sia essenziale per ognuno di noi.
Hai mai sofferto d’invidia?
Eh sì…ma non si dice.
Che cosa avresti fatto se non avessi la ballerina?
Sono sempre stata attratta dal palcoscenico, quindi avrei puntato a fare l’attrice.
La tua famiglia ha influenzato le tue scelte ?
No, mi ha trasmesso l’amore per il teatro.
Quali sono i tuoi ricordi più cari?
Quelli legati a mio nonno materno
Qual è il profumo della tua infanzia?…
Quello di un’acqua di colonia che usava una mia zia.
Qual è stato il tuo momento di maggior orgoglio?
Alla fine di alcuni spettacoli quando ero riuscita a esprimere ciò che desideravo.
Qual è la delusione più grande che hai mai avuto?
Non essermi data la possibilità di diventare mamma.
Ti emozioni con facilità?
Assolutamente sì.
Che cosa ti annoia?
Le persone troppo egoriferite.
Che cosa ti fa ridere?
La mia amica Bea.
Credi più nell’amicizia o nell’amore?
Senza ombra di dubbio nell’amicizia
Che importanza dai al denaro?
Troppo poca.
In cosa sei più spendacciona?
In tutto….
Quali sono le tue letture preferite?
Amo leggere romanzi.
In quale o quali città ti identifichi?
Milano.Colore preferito?
Il verde.Fiore preferito?
Il gelsominio e l’ortensia.
Il ballerino/na che ami?
Carla Fracci, Syvlie Guillaum, Massimo Murru.
Qual è stato primo disco che hai acquistato?
“Like a Prayer” di Madonna.
Qual è il film che hai amato di più?
“Le relazioni pericolose” con Glenn Close e John Malkovich.
Qual è la stagione dell’anno che preferisci e perché?
L’estate…adoro i temporali estivi.
Che rapporto hai con la tecnologia e qual è il gadget tecnologico di cui non potresti fare a meno?
Pessimo…ma sicuramente non posso fare a meno del telefono cellulare.
Che rapporto hai con la televisione?
Mediocre.
Che rapporto hai con la politica?
Non ho un rapporto vero e proprio con la politica, ma l’ho vissuta indirettamente tramite la mia famiglia che invece aveva un vivo interesse nei confronti dell’argomento.
Hai delle cause che ti stanno particolarmente a cuore?
Il benessere e il rispetto degli animali.
Giorno o notte?
La notte.
Qual è la situazione che consideri più rilassante?
Una tranquilla cena tra amici.
Qual è il tuo ideale di giornata?
Una giornata impegnata da cose interessanti per finire con una serata tra amici.
Qual’ è la musica che di solito fa da sottofondo alle tue giornate?
Musica italiana anni ’60/’70.
Qual è la vacanza o il viaggio che vorresti fare e che non hai ancora fatto?
Un viaggio in India.
Com’è il tuo rapporto con il cibo?
Amo il cibo di qualunque etnia.
Se ami cucinare, qual è il tuo piatto forte?
Amo cucinare, ma non ho un piatto forte, mi piace sperimentare.
Il tuo piatto veloce per eccellenza…?
Il classico piatto di pasta.Vino rosso o bianco?
Vino rosso.
Il posto dove si mangia peggio?
Nei fast food.
La danza è stata una vocazione?
Più che una vocazione è stata una passione.
A chi non ti conoscesse cosa faresti vedere di te?
La mia fragilità.
Come segui l’evoluzione del tuo corpo?
In questo momento con un po’ di apprensione.
Se ti fosse data l’opportunità di scegliere un ruolo, cosa interpretersti?
Sinceramente mi ritengo soddisfatta per aver potuto danzare tutti i ruoli che desideravo.
Ci sono dei balletti che, dopo averli eseguito…ti sei detto:”mai più”?
Alcuni balletti si…preferisco però non dire quali…
Il tuo rapporto con il successo…il pubblico…?
Per me è importante trasmettere  le emozioni che vivo sul palcoscenico. Non ho mai pensato al successo.
Cosa fai un’ora prima di salire sul palco?
Molto semplicemente faccio la lezione di riscaldamento.
Cosa non manca mai nel tuo camerino?
La musica di Chopin.
A cosa pensi quando ti guardi allo specchio?
Riconosco me stessa.
Stato d’animo attuale?
Variabile.
Il tuo motto?
Non puoi cambiare le cose che ti succedono, ma puoi cambiare il tuo modo di reagire ad esse.

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