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Musica corale

Le cantate di Johann Sebastian Bach: prima domenica dopo la Trinità

gbopera - Dom, 02/06/2024 - 00:18

“O Ewigkeit, du Donnerwort” BWV 20 è la seconda delle tre Cantate bachiane dedicate alla prima domenica dopo la Trinità. La partitura, eseguita la prima volta a Lipsia, l’11 giugno 1724. L’apertura è solenne, rispettosa di un cerimoniale non comune, perché doveva essere grandiosa l’apertura della nuova annata, come già era avvenuta per la prima (Cantata BWV 75 che abbiamo trattato lo scorso anno). Una Cantata suddivisa in 2 parti (la più ampia di questa seconda annata) e che si apre con i toni magniloquenti di una ouverture “alla francese”, dal ritmo puntato, con una parte centrale “vivace” che contrasta con il “grave” iniziale. L’organico strumentale mette in evidenza 3 oboi e una tromba “a tirarsi”, che raddoppia il “cantus firmus” dei soprani e che si ispira a modelli di “musica all’aperto”, ben risonante, creando contrasto e sovrapposizione con l’analogo discorso degli archi. La costruzione bachiana è strettamente collegata ai toni cupi del Corale di Johann Rist (1607-1667) tutto volto alla paura della dannazione eterna. Il concetto di Eternità ( intesa come dannazione) è quello ricorrente in tutta la partitura. Concetto che ritroviamo nel recitativo e aria del tenore (nr.2 e 3). L’aria, traduce il senso di ansia espresso dal testo (Eternità, tu mi riempi d’ansia, eternità, veramente troppo lunga!) attraverso il canto virtuosistico e l’accompagnamento degli archi. Tutta la composizione insiste su questi sentimenti cupi. Solo nel nr.5 (aria del basso) emerge un senso di speranza nella misericordia divina (“Dio è giusto nelle sue opere”). Si ritorna poi a esortare il cristiano a destarsi dal torpore del peccato prima che suoni la tromba del giudizio, evocata, come già detto dalla tromba a tirarsi che ritroviamo anche nell’aria del basso che apre la seconda parte (Nr.8) e nei Corali che chiudono la prima e la seconda parte di questa ampia partitura.
Parte Prima
Nr.1 – Coro
Oh eternità, parola folgorante,
oh spada, che trafigge l’anima,
oh inizio senza fine!
Oh eternità, tempo senza tempo,
nella mia grande tristezza
non so da che parte rivolgermi.
Il mio cuore terrificato trema,
tanto che la lingua mi si incolla al palato.
Nr.2 – Recitativo (Tenore)
Non c’è alcuna sfortuna nel mondo
che duri in eterno:
alla fine è destinata a scomparire nel tempo.
Ma ahimè, ah, le pene dell’eternità non hanno fine;
esse prolungano sempre il martirio,
sì, come Gesù stesso ha detto,
fuori dell’eternità non c’è salvezza.
Nr.3 – Aria (Tenore)
Eternità, tu mi riempi d’ansia,
eternità, veramente troppo lunga!
Ahimè, su questo non c’è scherzare.
Le fiamme che bruciano in eterno
non sono paragonabili a nessun fuoco;
il mio cuore trema spaventato
quando immagino questo supplizio
e rivolgo i miei pensieri verso l’inferno.
Nr.4 – Recitativo (Basso)
Se si pensa che i tormenti dei dannati
necessitano di tanti anni quanti sono
i fili d’erba sulla terra e le stelle nel cielo,
e se si pensa che il supplizio dura
da quanto gli uomini sulla terra
sono comparsi all’inizio dei tempi,
ecco allora
questo darebbe un fine e una misura:
ciò dovrà cessare un giorno.
Ma se tu hai tollerato,
o dannato, per milioni di anni
i supplizi di tutti i demoni,
allora non ne vedrai mai la fine;
il tempo, che nessuno può misurare,
rinasce ad ogni istante,
sempre nuovo,
per l’eterno tormento della tua anima.
Nr.5 – Aria (Basso)
Dio è giusto nelle sue opere:
per i brevi peccati di questa terra
ha voluto delle lunghe pene;
ah, se la terra volesse ricordarsene!
Breve è il tempo, rapida la morte,
ricordatelo, figlio dell’uomo!
Nr.6 – Aria (Contralto)
Oh uomo, salva la tua anima,
fuggi dalla schiavitù di Satana
e liberati dai tuoi peccati,
affinché nel sulfureo inferno
la morte, che colpisce i dannati,
non consumi la tua anima eternamente.
Oh uomo, salva la tua anima!
Nr.7 – Corale
Tanto a lungo quanto un Dio vivrà in Paradiso
per regnare al di là delle nuvole,
esisterà un tale martirio:
subiranno freddo e caldo,
paura, fame, orrore, fuoco e fiamme
eppure non saranno consumati.
Questo tormento avrebbe una fine
solo se Dio non fosse più eterno.
Parte seconda
Nr.8 – Aria (Basso)
Alzati, alzati, gregge disperso,
svegliati dal torpore del peccato
e santifica la tua vita!
Alzati, prima dello squillo della tromba
che ti richiamerà con paura dalla tomba
al tribunale per il giudizio del mondo!
Nr.9 – Recitativo (Contralto)
Fuggite, uomini, i piaceri del mondo,
lusso, vanità, ricchezze, onore, denaro;
preoccupatevi invece
ora che avete tempo,
ora che l’albero della vita è in fiore,
di ciò che può procurarti la pace!
Forse è il tuo ultimo giorno,
nessun uomo conosce l’ora della sua morte.
Quanto presto, quanto facilmente
ci si ritrova morti e freddi!
Forse questa stessa notte
una bara sarà fuori alla tua porta.
Per questo preoccupati innanzitutto
della salvezza della tua anima!
Nr.10 – Aria/Duetto (Contralto, Tenore)
Oh figlio dell’uomo, smettila
di amare i peccati e il mondo,
cosicché questo supplizio
dov’è urla e stridore di denti
non ti sia inflitto per l’eternità!
Ah, guarda l’esempio dell’uomo ricco,
a cui nella sofferenza
manca perfino una goccia d’acqua!
Nr.11 – Corale
Oh eternità, parola folgorante,
oh spada, che trafigge l’anima,
oh inizio senza fine!
Oh eternità, tempo senza tempo,
nella mia grande tristezza
non so da che parte rivolgermi.
Accoglimi, se lo vuoi,
Signore Gesù, nella tua gioia!
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “O Ewigkeit, du Donnerwort” BWV 20

 

Categorie: Musica corale

Bruno Monteiro & João Paulo Santos Santos. 20th Century and Forward.

gbopera - Sab, 01/06/2024 - 09:40

Edward Elgar [1857-1934]: Sonata for Violin and Piano in E minor Op.82; Claude Debussy [1862-1918]: Sonata for Violin and Piano in G minor; Luíz Barbosa [1887-1952]: Romance for Violin and Piano; Ivan Moody [1963-2024]: Ascent for Violin and Piano; Maurice Ravel [1875-1937] Tzigane, Rapsodie de Concert for Violin and Piano. Bruno Monteiro (Violino). João Paulo Santos (pianoforte). Registrazione: 5-7 gennaio 2024. T. Time: 68′ 14″. 1 Cd Etcetera KTC1822
Alcuni autentici capolavori per pianoforte e violino del XX, ma anche del XXI sec. costituiscono il programma di questa interessante proposta discografica dell’etichetta Etcetera Records. In questo Cd è possibile ascoltare, infatti, dei classici come la Sonata in mi minore Op. 82 di Elgar che, composta tra i mesi di agosto e settembre del 1918, si segnala per l’intenso lirismo di alcune sue parti, la Sonata per violino e pianoforte di Debussy, ultimata dal compositore nel mese di marzo del 1917 non senza qualche difficoltà legata al precario stato di salute, e, infine, Tzigane di Ravel, una pagina di carattere improvvisativo, la cui composizione risale al mese di aprile del 1924. Accanto a questi classici nel programma figurano due brani, Romance for Violin and Piano, che non era mai stato inciso prima, pur essendo questo il brano più famoso di Luíz Barbosa, compositore portoghese che, oltre ad essere uno dei più grandi violinisti della sua epoca, fu il primo ad eseguire in Portogallo il Doppio Concerto per violino e violoncello di Brahms, e Ascent for Violin and Piano di Ivan Moody, composto nel 2020 durante la pandemia di Covid-19 e dedicato alla sua collega, la compositrice Isadora Zebalijan che morì proprio a causa del Covid. Si tratta di una pagina di carattere meditativo che, in questo Cd, è presentata in prima incisione assoluta. Ottima l’esecuzione di questi brani, più volte eseguiti in concerto dal duo Bruno Monteiro (Violino) e João Paulo Santos (pianoforte) che mostrano un grande affiatamento dovuto al lungo lavoro insieme e che si manifesta in una perfetta integrazione tra i due strumenti. Anche in quest’occasione, come in altri Cd da noi recensiti, è possibile apprezzare, infine, la splendida cavata di Monteiro e anche le sue doti virtuosistiche e tecniche che gli consentono di fornirci delle interpretazioni di indubbio valore.

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Roma, Teatro Argentina: “Mostra su Adelaide Ristori e il Suo Teatro: il Valle”

gbopera - Sab, 01/06/2024 - 08:00

Roma, Teatro Argentina
ADELAIDE RISTORI: LA REGINA DEL VALLE
Esposizione di una riproduzione del costume per la Medea di Ernest Legouvé (1856)
reinterpretato da Francesca D’Angelo e Maria Bruni, alle allieve dello IED Istituto Europeo di Design
a cura di Ufficio attività culturali del Teatro di Roma
ideazione Sandro Piccioni
progetto grafico Alfredo Favi
produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale
Roma, 30 Maggio 2024
Adelaide Ristori, anche a più di duecento anni dalla sua nascita, continua a essere una figura eccezionale. Fu un’attrice di grandissima popolarità, ma anche una pioniera nella direzione e gestione imprenditoriale dei suoi spettacoli. In questa piccola mostra allestita al Teatro Argentina è possibile ammirare su grandi pannelli luminosi dei ritratti fotografici e scatti di alcuni oggetti che ricordano la grande attrice. Ristori fu la prima nella storia del teatro a comprendere l’impatto della comunicazione e dell’immagine personale. Ogni sua azione aveva un’eco immediata e vasta, frutto di una strategia ben pianificata nei minimi dettagli, inclusa la vendita di souvenir e gadget al termine delle rappresentazioni. Particolare rilevanza avevano i suoi abiti di scena, creati dal più grande sarto dell’epoca, Charles Frederick Worth, noto per vestire regine e donne di spicco in tutta Europa. Ogni sua apparizione in scena suscitava ammirazione tra le signore presenti in sala, pronte a imitare i dettagli, i colori e le forme delle sue toilettes. Adelaide Ristori nacque nella piccola e imperiale Cividale, proveniente da una povera famiglia d’arte. Celebratissima artista del pieno Ottocento, la sua vita e il suo matrimonio tumultuoso furono definiti da George Sand “degni di un romanzo”. In quegli anni, gli attori erano considerati socialmente poco rilevanti e si spostavano in gruppi familiari da una compagnia teatrale all’altra attraverso un’Italia ancora divisa in molti piccoli Stati. Tuttavia, il teatro contava, e alcuni regnanti avevano creato compagnie stabili. Nella più famosa di queste, la Compagnia Reale Sarda di Torino, Adelaide entrò a quindici anni. La primattrice, Carlotta Marchionni, la prese sotto la sua ala, riservandole sempre un’ammirazione incondizionata. Adelaide Ristori lasciò la Reale Sarda nel 1841 per farvi ritorno nel 1853 come prima attrice assoluta con un contratto favoloso. A quell’epoca era diventata moglie del Marchese Giuliano Capranica del Grillo, un incontro determinante anche per la sua carriera artistica. Il marito le portò non solo un blasone ma anche uno spirito imprenditoriale estraneo alla conduzione familiare del teatro dell’epoca: aveva capito che il vero tesoro di famiglia era il talento della moglie ed era così diventato l’organizzatore occulto, ma non troppo, della sua carriera. Nacque così la trionfante tournée a Parigi nel 1855 durante l’Esposizione Internazionale. Poco prima, il governo piemontese aveva inviato truppe in Crimea, preludio all’ammissione del Regno Sardo al tavolo delle grandi potenze europee per i negoziati di pace. A Parigi, la Ristori debuttò con “Francesca da Rimini” di Silvio Pellico e trionfò con “Mirra” di Vittorio Alfieri. Critica e pubblico la preferirono alla loro gloria nazionale, Rachel, e la capitale francese la acclamò come una grande tragica. Lì conobbe e frequentò personalità illustri come Alexandre Dumas, Alphonse de Lamartine, George Sand, l’accademico Ernest Legouvé e i potenti fratelli Pereire. I suoi ammiratori includevano teste coronate d’Europa e una società che a teatro faceva sfoggio d’eleganza. Nel marzo 1856, Adelaide Ristori tornò a Parigi, dove il Congresso stava chiudendo la guerra di Crimea. L’8 aprile, Camillo Cavour riuscì a richiamare l’attenzione sul problema italiano. Quella sera, Adelaide Ristori portò al successo “Medea” di Legouvé, tradotta da Giuseppe Montanelli. Subito dopo, in tournée a Londra, la Regina Vittoria trovò la Ristori “una cosa sublime”, accogliendola con un calore inconsueto per un’artista. A Liverpool e Manchester, il pubblico la salutò gridando “viva l’Italia” e sventolando nastri tricolore. Scene analoghe si verificarono anche altrove in quel periodo. Un’attrice che da umili origini era riuscita non solo a elevarsi socialmente ma a diventare famosa presso le Corti europee divenne un simbolo per coloro che sognavano la redenzione della Patria. Daniele Manin e Giuseppe Mazzini capirono l’importanza della sua notorietà per la causa nazionale, e Camillo Cavour le affidò, nel 1860, una missione diplomatica presso la corte dello Zar durante la sua prima tournée a San Pietroburgo. Adelaide Ristori affrontò per la prima volta l’Oceano per calcare le scene degli Stati Uniti nel 1866, al termine della guerra di secessione americana. Gli incassi furono enormi, e disse che Parigi l’aveva resa famosa in tutto il mondo, ma New York le aveva ridonato la vita. Incontrò molte personalità eminenti, tra cui il generale Ulysses Grant, il presidente Andrew Johnson, il generale William Sherman e il presidente argentino Domingo Faustino Sarmiento. Coltivò una lunga amicizia con Pedro II, imperatore del Brasile. Ristori affrontò viaggi lunghissimi e spesso pericolosi per mare e terra, come il Giro del Mondo iniziato il 9 maggio 1874. Ritornò a Roma il 13 gennaio 1876. Non recitò solo in italiano. Nel 1861 rappresentò “Beatrix” all’Odéon di Parigi in francese, e nel 1868 all’Avana interpretò l’”Addio di Giovanna d’Arco” in spagnolo. Nel 1882 a Londra iniziò una serie di rappresentazioni in inglese con “Macbeth” di Shakespeare, recitando al fianco del celebre attore americano Edwin Booth. Nel 1885, dopo aver viaggiato e recitato in continuazione, lasciò definitivamente le scene. Aveva recitato in 334 città, 33 stati, 5 continenti, con 3546 apparizioni. Ristori era anche una persona dal carattere forte e determinato. Amava profondamente il marito e i figli, rispettava i genitori e aiutava i fratelli e sorelle. Pur non dando confidenza ai propri scritturati, mantenne sempre il ruolo di capocomica. Ammirava Camillo Cavour al punto che, alla sua morte, voleva sospendere uno spettacolo in segno di lutto, un gesto proibito dal Ministro Walewski. Nel 1902, quando compì 80 anni, ricevette la visita di Vittorio Emanuele III e onori dal governo francese e da altre personalità internazionali. Morì serenamente a Roma nel 1906, lasciando due figli e tre nipoti. La sua presenza scenica e la sua voce furono ammirate anche da Verdi, e molti la paragonarono a una statua greca vivente. La sua eredità è quella di un’artista che, partendo da umili origini, seppe elevare il teatro italiano a livelli internazionali, diventando un simbolo di riscatto e gloria nazionale.

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Roma, Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese: “Genius Loci Ttozoi” dal 06 giugno al 15 settembre 2024

gbopera - Sab, 01/06/2024 - 08:00

Roma, Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese
GENIUS LOCI TTOZOI
a cura di Gianluca Marziani
promossa da Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali
organizzata da WEM Gallery
Il duo artistico Stefano Forgione (1969) e Giuseppe Rossi (1972), che opera sotto lo pseudonimo TTOZOI, arriva al Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese dal 6 giugno al 15 settembre 2024 con la mostra Genius Loci TTOZOI, promossa da Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e organizzata da WEM Gallery. Servizi museali di Zètema Progetto Cultura. L’esposizione, a cura di Gianluca Marziani, presenta al pubblico la produzione di carattere sperimentale che il duo ha realizzato durante le sessioni di lavoro all’interno di tre Siti Unesco, simboli della cultura italiana nel mondo: la Reggia di Caserta (novembre 2017), l’Anfiteatro del Complesso archeologico di Pompei (dicembre 2017) e il Colosseo (giugno 2022). In ognuno di questi luoghi storici, attraverso un metodo di lavoro di trasformazione geneticamente modificata nella pittura, gli artisti hanno posto delle tele grezze lasciando che su di esse si depositasse la polvere e proliferassero microrganismi (muffe), per poi bloccarne la formazione con appositi reagenti nel momento in cui l’atto creativo si fosse ritenuto compiuto. Attraverso questo processo realizzato a quattro mani, tra casualità e controllo, gli artisti intendono “catturare” l’anima del luogo, l’humus, la sua essenza vitale unica e irripetibile, trasferendola sul supporto e lasciando che le trame ne siano liberamente e spontaneamente pervase, fino a diventare cromie percettibili dall’osservatore. In questo modo, la natura interviene sulla tela come nuovo, imprevedibile creatore, divenendo, tela e natura insieme, elementi apparentemente “semplici” attraverso la cui forza è possibile cristallizzare l’essenza stessa della realtà. Saranno presentate al pubblico 30 opere. Inoltre saranno presenti delle teche lungo il percorso espositivo, dove si potrà vedere il processo creativo e di sviluppo che seguono le opere delle serie Genius Loci, con la creazione che avverrà proprio all’interno del Museo Carlo Bilotti.

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Presentata la Programmazione 2024-2025 del Teatro la Fenice di Venezia

gbopera - Sab, 01/06/2024 - 01:03

La Programmazione per il biennio 2024-2025 della Fondazione Teatro La Fenice è stata presentata giovedì 30 maggio presso le Sale Apollinee dal Sovrintendente e direttore artistico Fortunato Ortombina, coadiuvato dal responsabile delle attività di danza Franco Bolletta, dal direttore generale Andrea Erri e dalla Consigliera Delegata delle Attività Teatrali del Comune di Venezia Giorgia Pea.
La Stagione relativa a Lirica e Balletto 2024-2025 partirà con Otello di Giuseppe Verdi: nuovo allestimento di Fabio Ceresa, direzione musicale – come per altri titoli verdiani che hanno inaugurato le scorse stagioni – di Myung-Whun Chung, debutto nel ruolo eponimo di Francesco Meli. In occasione del suo ventennale verrà riproposto lo spettacolo che aprì la prima Stagione Lirica della Fenice dopo l’incendio, La traviata con la regia di Robert Carsen e le scene di Patrick Kinmonth: sul podio – graditissimo ritorno! –, Diego Matheuz; al suo debutto nel ruolo di protagonista, Marina Monzò. Saranno ripresi anche Rigoletto – nell’allestimento di Damiano Michieletto: direzione musicale di Daniele Callegari; protagonista, Luca Salsi in alternanza con Dalibor Janis – e, per Carnevale, Il barbiere di Siviglia di Rossini con la regia di Bepi Morassi e la direzione di Renato Palumbo. Capolavoro di comicità, sarà rappresentato Il trionfo dell’onore di Alessandro Scarlatti, per i trecento anni dalla morte del compositore: regia di Stefano Vizioli e direzione musicale di Enrico Onofri. Una sorta di debutto in epoca moderna – l’ultimo allestimento veneziano risale al 1857 – sarà il ritorno sulla scena fenicea di Anna Bolena di Gaetano Donizetti, che vedrà come responsabili dello spettacolo un gigante del teatro, quale Pier Luigi Pizzi, e sul podio Renato Balsadonna: al debutto nel ruolo della protagonista, Lidia Fridman. Il teatro musicale del Novecento sarà rappresentato da due capolavori degli anni Venti, entrambi diretti da uno specialista del repertorio come Markus Stenz: Der Protagonist, esordio operistico di Kurt Weill – per la regia di Ezio Toffolutti – e, a cent’anni dalla prima assoluta, Wozzeck di Alban Berg, in italiano – regista, Valentino Villa; interpreti principali, Roberto De Candia (Wozzek) e Lidia Fridman (Marie) –. Ancora Verdi sarà presente con un nuovo allestimento di Attila, affidato al regista Leo Muscato: protagonista, Michele Pertusi. Titolo di spicco del repertorio francese novecentesco, si proporranno i Dialogues des carmélites di Francis Poulenc con la regia di Emma Dante e la direzione musicale di Frédéric Chaslin, in una messinscena coprodotta insieme al Teatro dell’Opera di Roma: interpreti principali, Julie Cherrier-Hoffmann, Vanessa Goikoetxea e Anna Caterina Antonacci. Tra le opere più amate dal pubblico, Tosca di Giacomo Puccini sarà in scena in un nuovo allestimento con la regia di Joan Anton Rechi e la direzione musicale di Daniele Rustioni. Nell’ambito della programmazione Educational, ritornerà Acquaprofonda di Giovanni Sollima, mentre debutta il nuovo allestimento dell’Arcifanfano re dei matti di Baldassare Galuppi, in coproduzione con l’Accademia di Belle Arti e con il Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia.
Quattro saranno gli spettacoli di danza: Romeo e Giulietta di John Neumeier con l’Hamburg Ballet; La Cenerentola di Jean-Christophe Maillot, con Les Ballets de Monte-Carlo; España della Compagnia Larreal – Real Conservatorio Profesional de Danza Mariemma, che porterà in scena colori e ritmi della danza bolera; e Hashtag di Riyad Fhgani con la Pockemon Crew, una delle compagnie hip hop tra le più titolate al mondo.
La Stagione Sinfonica sarà aperta da Hervé Niquet con il Te Deum di Charpentier, oltre a brani di Dauvergne e Méhul. Dopo il concerto di Christian Arming – con musiche di Johann Strauss e Richard Strauss – tornerà alla Fenice Charles Dutoit con la London di Haydn e la Sinfonia Dal nuovo mondo di Dvorak, precedendo Enrico Onofri, che proporrà musiche “illuministiche” di Haydn, Sacchini, Kraus, Sammartini e Boccherini. Molti – e particolarmente attesi – gli artisti che torneranno in laguna: oltre a Dutoit, Alpesh Chauhan (Renana di Schumann e pagine di Mendelssohn, Milhaud e Farrenc), Rudolf Buchbinder (Primo, il Secondo e il Quarto Concerto per pianoforte e orchestra di Beethoven, a completare l’esecuzione dei Concerti beethoveniani, iniziata nella precedente Stagione), Ton Koopman (Passione secondo Matteo di Bach), Myung-Whun Chung (Seconda Sinfonia di Mahler), Ivor Bolton (Scozzese di Mendelssohn e suite da Pulcinella di Stravinskij), Stanislav Kochanovsky (musiche di Prokof’ev e Čajkovskij), Daniele Rustioni (Quarta di Mahler), Markus Stenz (Sinfonia Militare di Haydn e Prima di Brahms). Si rinnoveranno inoltre il Concerto di Natale nella Basilica di San Marco e nel Duomo di Mestre, con Marco Gemmani e la Cappella Marciana impegnati nell’esecuzione di una Messa con musiche di Francesco Cavalli; il Concerto di Capodanno con la direzione di Daniel Harding; e il concerto sinfonico in Piazza San Marco, in piena estate, con Orchestra e Coro del Teatro La Fenice. Debutteranno a capo dell’Orchestra della Fenice Giuseppe Mengoli (Sesta Sinfonia di Mahler) e Kent Nagano (Terza di Schubert e musiche, legate al Borghese gentiluomo di Molière, di Lully e Richard Strauss). Orchestra ospite sarà la Cappella Musicale Pontificia, che eseguirà musiche di Palestrina in occasione dell’anno giubilare e del cinquecentesimo anniversario della morte del compositore. Di particolare prestigio i prossimi impegni della Fenice in tournée: l’Orchestra del Teatro La Fenice diretta da Markus Stenz, con il violinista solista Vikram Francesco Sedona, si esibirà ad Amburgo, presso la Grosser Saal della Elbphilarmonie in occasione del Festival musicale dello Schleswig-Holstein 2024; mentre nell’ottobre 2024 la compagine fenicea sotto la direzione musicale di Myung-Whun Chung, insieme al soprano Ol’ga Peretjat’ko e al tenore John Osborn, sarà impegnata in una serie di concerti in Corea del Sud.
Questo incontro con il pubblico e la stampa ha offerto l’occasione a Ortombina di annunciare – visibilmente commosso – la conclusione del suo “ventennio” in Fenice e l’inizio di una nuova fase lavorativa come Sovrintendente del Teatro alla Scala. Il suo invito a “dimenticarlo” indirizzato, con modestia, ai presenti crediamo resterà inascoltato: anzi si ricorderanno sempre con rimpianto e gratitudine l’oculata gestione del massimo teatro veneziano, il sincero amore per Venezia, l’estrema vivacità culturale, che in questi anni hanno contraddistinto il suo operato, contribuendo a fare della Fenice una delle massime istituzioni musicali al livello internazionale.

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Roma, Museo Ebraico : La mostra “Bellissima Ester. Capolavori per una regina” incanta la Capitale

gbopera - Ven, 31/05/2024 - 22:38

Roma, Museo Ebraico
BELLISSIMA ESTER. CAPOLAVORI PER UNA REGINA
Curata da Olga Melasecchi, Amedeo Spagnoletto e Marina Caffiero
Roma, 30 Maggio 2024
La Comunità Ebraica di Roma e la Fondazione per il Museo Ebraico di Roma, in sinergia con il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara (MEIS), hanno allestito una bellissima e ben curata mostra dal titolo “Bellissima Ester. Capolavori per una Regina”. L’esposizione presso il Museo Ebraico di Roma, ubicato in via Catalana, propone un itinerario culturale composto da 40 pezzi tra cui pergamene miniate, opere pittoriche, schizzi, manoscritti, volumi d’epoca e fotografie. Alcune di queste preziose opere, prodotte in un contesto di marginalizzazione culturale e sociale, rappresentano un’affermazione tenace dell’identità ebraica. Nonostante la repressione e l’isolamento imposti dalle mura del ghetto, gli artisti ebrei continuarono a produrre opere che non solo rispecchiavano la loro realtà quotidiana ma erano anche un’espressione della loro resilienza e resistenza culturale. La rassegna si propone di esplorare l’evoluzione storico-artistica della figura di Ester, una delle icone più potenti e risonanti del patrimonio culturale ebraico, che ha ispirato una vasta gamma di espressioni artistiche: dalla letteratura ai film, passando per le arti sceniche fino alle grandi tele. Curata da Olga Melasecchi, Amedeo Spagnoletto e Marina Caffiero, la mostra offre un’occasione unica per ammirare alcune delle più antiche e preziose Meghillot Estèr, i rotoli di pergamena che raccontano le vicende di Purim. Questa esposizione rappresenta quindi non solo un evento culturale di primo piano, ma anche un ponte tra passato e presente, mostrando la continuità e la vivacità della tradizione ebraica attraverso l’arte. All’interno di una sala impreziosita da pannelli bianchi e illuminata da luci meticolosamente bilanciate, si dispiega un dialogo artistico ricco e profondamente storico. L’esposizione si apre con “Il Forziere di Ester e Assuero” di Jacopo del Sellaio, una splendida opera conservata nella Galleria degli Uffizi di Firenze. Realizzato verso il 1490, questo trittico a tempera su tavola è un magnifico esempio di come l’artigianato e le arti visive fossero intricatamente legati nella Firenze del tardo Quattrocento, spesso destinati a celebrare le unioni matrimoniali. I tre pannelli, dipinti con una maestria che trae ispirazione sia da Domenico Ghirlandaio sia da Bartolomeo di Giovanni, illustrano la “Morte della regina Vasti”, il “Banchetto di Assuero” e il “Trionfo di Mardocheo“, integrando dettagli narrativi e ornamentali in scenografie architettoniche prospettiche. Non distante da questa narrazione rinascimentale, emerge un pezzo di eccezionale importanza storica: un disegno di Michelangelo, che segna la prima apparizione dell’opera di uno dei giganti del Rinascimento all’interno di un museo ebraico. Questo studio, raffigurante “La punizione di Aman” dalla volta della Cappella Sistina, non è solo testimone della straordinaria abilità tecnica e creativa di Michelangelo, ma serve anche come ponte culturale, collegando periodi storico-artistici diversi attraverso un dialogo visivo che traversa secoli. La presenza di questa opera in un contesto dedicato alla cultura ebraica aggiunge un nuovo strato di interpretazione, esplorando temi universali di giustizia e destino che riecheggiano tanto nel Libro di Ester quanto nella vasta produzione artistica del Rinascimento. La mostra offre , poi, un viaggio insolito e affascinante attraverso alcune delle più belle e pregiate Meghillot Estèr, i rotoli di pergamena che narrano la storia di Purim. Per la prima volta, questi capolavori di arte ebraica sono esposti insieme, arricchiti dalle loro meravigliose miniature, molte delle quali hanno recentemente beneficiato di un accurato restauro conservativo. Le opere in mostra provengono da varie fonti, inclusi alcuni rotoli che sono stati letti tradizionalmente all’interno delle Cinque Scole dell’antico ghetto di Roma, altri commissionati privatamente e conservati nelle famiglie per anni prima di essere donati al Museo Ebraico di Roma. Tra gli esemplari più notevoli figura la Meghillà Momigliano, un pezzo unico proveniente dal Museo di Arte e Storia Antica Ebraica di Casale Monferrato e datato alla metà del Seicento. Questa pergamena miniata e colorata rappresenta un esempio emblematico del ricco patrimonio artistico e storico che la mostra intende valorizzare. La mostra si propone di esplorare non solo come la vicenda biblica di Ester sia stata rappresentata all’interno della tradizione ebraica, ma anche la sua risonanza e le sue interpretazioni nel mondo esterno, in particolare nel contesto cristiano e nelle sue celebrazioni simili, come il carnevale. L’analisi dei modelli iconografici mostrati, che sono diventati canonici nell’immaginario collettivo anche attraverso le interpretazioni cinematografiche, offre una nuova prospettiva sulla figura di Ester e su tutti i personaggi della storia di Purim. Questa mostra non solo celebra un’eredità artistica straordinaria, ma stimola anche un dialogo culturale più ampio, esaminando le connessioni e le differenze tra le narrazioni ebraiche e cristiane, permettendo ai visitatori di apprezzare la profondità e la varietà della rappresentazione religiosa e storica in un contesto artistico evocativo e riccamente documentato.  La storia di Purim, quindi, non è solo un racconto di oppressione e liberazione, ma anche un’esplorazione della capacità ebraica di svelare e confrontarsi con il nascosto, di riscoprire la propria identità anche nei periodi più bui. La bellissima mostra è resa possibile grazie all’intesa con il Centro Romano di Studi sull’Ebraismo (CeRSE) dell’Universita’ degli Studi di Roma Tor Vergata e attraverso un’accurata selezione di materiali conservati presso Casale Monferrato – Museo di Arte e Storia Antica Ebraica, l’Archivio Paolo Ravenna, la Galleria degli Uffizi, la Casa Buonarroti, la Biblioteca Nazionale di Firenze, la Biblioteca Universitaria di Genova, il Museo della Padova, l’Archivio di Stato di Roma, l’Archivio Storico della Comunita’ Ebraica di Roma, la Galleria d’Arte l’Occhio e il Museo Ebraico di Roma. Bellissimo il catalogo della mostra edito da SilvanaEditoriale. Da non perdere.

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RAI 5: Opere e balletti di giugno 2024

gbopera - Ven, 31/05/2024 - 12:01

Sabato 1 giugno
Ore 10.25
“SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE”

Musica Felix Mendelssohn
Direttore Nir Kabaretti
Coreografia George Balanchine
Interpreti: Alessandra Ferri, Roberto Bolle, Massimo Murro…
Ore 12.09
“CANTATES”
Dal Teatro Romano di Spoleto, in occasione del 30° Festival dei Due Mondi, il Ballet Eddy Toussaint de Montreal esegue Cantates su musiche di J.S. Bach, con la coreografia di Eddy Toussaint
Spoleto, 2023
Ore 12.30
“LA MORTE E LA FANCIULLA”
Dal XXXI Festival dei Due Mondi di Spoleto, di scena la danza del Balletto di Toscana con “La morte e la fanciulla” su musiche di Franz Schubert eseguite dal Binneas Quartet. Coreografia e costumi di Robert North. Con Armando Santin (La morte), Isabel Rincon (La fanciulla), Nicole Brice (L’amica).
Domenica 2 giugno /Sabato 8 giugno
Ore 09.43 / 10.30
“LA BOHEME”
Musica Giacomo Puccini
Direttore Daniel Oren
Regia Giuseppe Patroni Griffi
Interpreti: Luciano Pavarotti, Mirella Freni, Nicolai Ghiaurov, Lucio Gallo, Anna Rita Taliento, Pietro Spagnoli.
Torino, 1996
Ore 18.21
“LE COMTE ORY”
Musica Gioachino Rossini
Direttore Diego Matheuz
Regia Hugo De Ana
Interpreti: Juan Diego Flórez, Andrzej Filonczyk, Nahuel Di Pierro, Julie Fuchs, Monica Bacelli.
Pesaro, 2022
Lunedì 3 giugno
Ore 10.00

“I VESPRI SICILIANI”
Musica Giuseppe Verdi
Direttore Gianandrea Noseda
Regia Davide Livermore
Interpreti: Maria Agresta, Gregory Kunde, Ildar Abdrazakov, Franco Vassallo…
Martedì 4 giugno
Ore 10.00

“CIRO IN BABILONIA”
Musica Gioachino Rossini
Direttore Will Crutchfield
Regia Davide Livermore
Interpreti: Jessica Pratt, Ewa Podles, Michael Spyres…
Pesaro, 2012
Mercoledì 5 giugno
Ore 10.00

“ELISABETTA, REGINA D’INGHILTERRA”
Musica Gioachino Rossini
Direttore Evelino Pidò
Regia Davide Livermore
Interpreti: Karine Deshayes, Sergey Romanovsky, Salome Jicia, Marta Pluda, Barry Banks, Valentino Buzza.
Pesaro, 2021
Giovedì 6 giugno
Ore 10.00

“IL BARBIERE DI SIVIGLIA”
Musica Gioachino Rossini
Direttore Donato Renzetti
Regia Davide Livermore
Interpreti: Chiara Amarù, Edgardo Rocha, Florian Sempey, Ildebrando D’Arcangelo, Simone Del Savio, Vincenzo Nizzardo, Eleonora de la Pena, Sax Nicosia
Roma, 2017
Venerdì 7 giugno
Ore 10.00
“NORMA”
Musica Vincenzo Bellini
Direttore Fabrizio Maria Carminati
Regia Davide Livermore
Interpreti: Stefan Pop, Dario Russo, Marina Rebeka, Annalisa Stroppa, Tonia Langella, Saverio Pugliese
Catania, 2021
Domenica 09 giugno
Ore 10.00 / 11.05
“ADRIANA LECOUVREUR”
Musica Francesco Cilea
Direttore Gianandrea Gavazzeni
Regia Lamberto Puggelli
Interpreti: Mirella Freni, Peter Dvorsky, Fiorenza Cossoto, Alessandro Cassis…
Milano, 1989
Lunedì 10 giugno
Ore 10.00

“JULIUS CAESAR”
Musica Giorgio Battistelli
Direttore Daniele Gatti
Regia Robert Carsen
Interpreti: Clive Bayley, Elliot Madore, Julian Hubbard, Dominick Sedwick…
Roma, 2021
Martedì 11 giugno
Ore 09.59

“EVGENIJ ONEGIN”
Musica Pëtr Il’c Čajkovskij,
Direttore James Conlon
Regia Robert Carsen
Interpreti: Markus Werba, Maria Bayankina, Yulia Matochkina, Saimir Pirgu, John Relyea, Andrea Giovannini
Roma, 2020
Mercoledì 12 giugno
Ore 10.00

“DON GIOVANNI”
Musica Wolfgang Amadeus Mozart
Direttore Daniel Barenboim
Regia Robert Carsen
Interpreti: Peter Mattei, Anna Netrebko, Giuseppe Filianoti, Barbara Frittoli, Bryn Terfel…
Milano, 2011

Categorie: Musica corale

Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia: “Riapre Villa Poniatowski”

gbopera - Gio, 30/05/2024 - 08:00
Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia  RIAPRE VILLA PONIATOWSKI: LA RESIDENZA NOBILIARE NASCOSTA NEL CUORE DI ROMA E CUSTODE DI ANTICHITA’ E TESORI   Da venerdì 31 maggio, ogni fine settimana, riapre al pubblico Villa Poniatowski, storica residenza nobiliare di Roma e sede delle collezioni permanenti del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia provenienti dal Latium vetus e dall’Umbria. Un luogo straordinario e ancora poco conosciuto nel panorama delle ville storiche e dei luoghi della cultura della nostra città, entrato a far parte dei beni dello Stato italiano con una procedura di acquisizione avviata nel 1972. La villa attraversa i secoli passando dalla famiglia Cesi ai Sinibaldi, questi ultimi ne sono proprietari per tutto il XVIII secolo, fino a quando non entra negli interessi del principe Stanislao Poniatowski, nipote dell’ultimo re di Polonia. È il 28 febbraio del 1800 quando il principe la acquista e incarica l’architetto Giuseppe Valadier della ristrutturazione. Poniatowski era venuto in Italia già nel 1781, pochi anni prima che J. W. Goethe intraprendesse il suo celebre Grand Tour (1786-88), e rimase catturato anche lui dal grande fascino che l’arte italiana aveva su quanti vi si recavano. Le decorazioni delle sue sale, recuperate dopo un lungo lavoro di restauro e riconducibili alla fine del ‘500, ai rifacimenti operati nel ‘700 e alla sistemazione di inizio ‘800, mostrano contemporaneamente le tre principali fasi decorative della villa, legate rispettivamente ai nobili Cesi, Sinibaldi e Poniatowski. Fra le sale di maggior fascino, la Sala Indiana e la Sala Egizia per gli insoliti affreschi che le decorano, in bilico fra realtà e illusione. Uno sguardo aperto sul mondo, verso paesi lontani, segno evidente di una cultura europea che nell’Ottocento volge lo sguardo verso Oriente, evocando mondi lontani, terre di esploratori e di pochi, arditi viaggiatori. Nel 1800, quando il Principe Stanislao Poniatowski acquista la villa, il mondo sta lentamente cambiando. Dal 2001 Villa Poniatowki è parte integrante del percorso espositivo del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia e ospita le “antichità preromane”, non propriamente etrusche, provenienti dai centri del Latium vetus, come Gabii, Segni, Lanuvio, Satricum, Palestrina, e dell’Umbria, come Todi e Terni. Di particolare interesse le tombe principesche Barberini e Bernardini di Palestrina, con i sontuosi corredi funebri di oggetti in oro e avorio, vasi e coppe in bronzo finemente decorate, testimonianze fondamentali dell’Orientalizzante (VII sec. a. C.), periodo caratterizzato da intensi scambi tra Mediterraneo occidentale e Vicino Oriente. In occasione della riapertura, venerdì 31 maggio, alle ore 17.00, visita guidata alle collezioni di Villa Poniatowski con la curatrice, la dott.ssa Antonietta Simonelli. Visita compresa nel biglietto di ingresso. Prenotazione obbligatoria all’indirizzo mail mn-etru.comunicazione@cultura.gov.it
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Roma, Istituto Centrale per il Restauro: ” Presentate 600 opere rimpatriate dagli Stati Uniti”

gbopera - Gio, 30/05/2024 - 08:00

Roma, Istituto Centrale per il Restauro
CARABINIERI TPC: PRESENTATE 600 OPERE RIMPATRIATE DAGLI STATI UNITI

Sono state presentate, a Roma, all’Istituto Centrale per il Restauro, 600 opere d’arte rimpatriate dagli Stati Uniti d’America dai Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC), dal valore economico stimato in circa 60 milioni di euro. Si tratta in prevalenza di opere di antiquariato, beni archivistici, numismatici e soprattutto archeologici del periodo che va dal IX secolo a.C. al II secolo d.C., oggetto di scavi clandestini nel centro-sud d’Italia e furti a danno di chiese, musei e privati. I beni sono stati riportati in Italia grazie alle numerose indagini condotte dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale con diverse Procure della Repubblica nazionali, coadiuvate dal New York District Attorney’s Office e dall’Homeland Security Investigations statunitense. Per le attività di indagine il TPC si avvale di un importante strumento tecnologico, la “Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti”, che costituisce il più grande archivio al mondo di beni d’arte rubati, con informazioni su oltre 7 milioni di oggetti censiti, di cui 1.315.00 da recuperare. Attualmente è attivo un innovativo strumento che sfrutta l’Intelligenza Artificiale, denominato “Stolen Works Of Art Detection System” (S.W.O.A.D.S.) che elabora la ricerca nel web e social networks, senza soluzione di continuità, di opere d’arte trafugate. Secondo l’ultimo rapporto sull’attività svolta nel 2023, diffuso nei giorni scorsi dal TPC, sono stati recuperati 105.474 mila beni d’arte dal valore stimato di oltre 264 milioni di euro.  L’allestimento temporaneo delle opere è stato curato dalla Direzione generale Musei, insieme ai Carabinieri TPC. Oggi è una bellissima giornata per il patrimonio culturale della Nazione per il rientro in patria di centinaia di opere d’arte sottratte ed esportate illecitamente all’estero. Grazie all’insostituibile azione dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, una vera eccellenza investigativa della Nazione, insieme alla preziosa collaborazione delle autorità statunitensi, registriamo un ulteriore successo su questo fronte. Riportare in Italia questi beni permetterà anche di sanare tante ferite che si sono aperte negli anni nei territori dove sono stati trafugati, privando le comunità di pezzi importanti della loro identità. Fondamentale, anche in questa lunga e articolata attività, è stata la ‘Banca dati dei beni culturali illecitamente sottratti’ del MiC, che rappresenta il più grande archivio al mondo di beni d’arte rubati, con informazioni su oltre 7 milioni di oggetti censiti, di cui oltre 1.3 milioni di opere da ricercare”, ha dichiarato il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. “Il rientro in Italia di beni culturali di tale importanza, sia per la loro consistenza numerica che per il valore storico-artistico, è un altro traguardo significativo. Oltre ad essere opere d’arte di inestimabile valore rappresentano l’alta espressione della nostra storia, della nostra cultura e della nostra identità nazionale – afferma il Sottosegretario alla Cultura, Gianmarco Mazzi – la cerimonia di oggi è, inoltre, una testimonianza concreta della forza della cooperazione internazionale con gli Stati Uniti d’America”.Si scrive oggi grazie allo straordinario lavoro del Comando dei Carabinieri TPC, un nuovo capitolo nell’appassionante storia dei recuperi dei beni culturali. La Direzione generale Musei sarà orgogliosa di poter accompagnare, insieme alla Direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio, il viaggio di queste opere straordinarie fino agli istituti museali che ne saranno la nuova casa. Dal grande calderone bronzeo di epoca orientalizzante decorato con teste di grifo alle lastre etrusche dipinte, dalla ceramica figurata di produzione ateniese ad oggetti preziosi quali la corona in oro e le coppe cesellate in argento, dalla straordinaria statua in bronzo di principe ellenistico al mosaico romano, di epoca imperiale, con Orfeo e gli animali, queste suggestive testimonianze costituiscono un racconto variegato della nostra eredità culturale nei suoi molteplici e affascinanti aspetti. Nei prossimi giorni gli studenti di alcuni istituti scolastici potranno visitare l’esposizione temporanea dei reperti allestita presso l’ICR, per continuare a stimolare la sensibilità dei giovani nei confronti di temi fondamentali quali la legalità e il valore del nostro patrimonio”, ha aggiunto Massimo Osanna, Direttore generale Musei.  L’operazione “Symes”, grazie alla serrata attività in stretta sinergia dal Comando Carabinieri TPC e la Direzione generale ABAP, con il supporto giuridico dell’Avvocatura dello Stato fin dal 2007, ha consentito il recupero e il rimpatrio di una moltitudine di reperti archeologici di inestimabile valore provento di attività illecita di scavo clandestino. Si tratta di un vero e proprio tesoro di circa 900 pezzi tra i quali sculture, gioielli, bronzetti, ceramiche a figure rosse e nere, riconducibile alla figura di Robin Symes, noto trafficante internazionale di reperti antichi, di cui una parte considerevole recuperata negli Stati Uniti grazie alla collaborazione con la Procura di New York. Nonostante la distruzione della documentazione commerciale relativa alla attività di commercio internazionale di materiale archeologico, le Autorità coinvolte hanno ricostruito la mappa del traffico clandestino del materiale scavato ed esportato dal territorio italiano, oggetto dello straordinario recupero a favore del Ministero della cultura. Un nuovo importante recupero di opere d’arte antica che dopo la consegna alla Direzione Generale Abap e quindi al Ministero della cultura saranno assegnate agli istituti museali dei luoghi di provenienza e restituiti alla fruizione pubblica”, ha sottolineato Luigi La Rocca, Direttore generale Archeologia, belle arti e paesaggio. Celebriamo oggi un nuovo successo conseguito dai Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale con il rimpatrio in Italia di centinaia di opere d’arte di pregevole valore, frutto della consolidata cooperazione investigativa, giudiziaria e diplomatica tra il TPC, la magistratura e le autorità di polizia federali e statali degli Stati Uniti”, ha affermato il Gen. Gargaro, Comandante del TPC. “L’Italia possiede un incredibile patrimonio culturale e artistico.  La sua tutela richiede cura e sorveglianza.  Gli Stati Uniti sono fortemente impegnati per la salvaguardia e la conservazione del patrimonio culturale in tutto il mondo.  Dal 2001, gli Stati Uniti adempiono ad un accordo bilaterale con l’Italia per combattere il traffico di antichità, e insieme continuiamo a lavorare per proteggere, preservare e promuovere la cultura e le arti”, ha dichiarato l’Ambasciatore americano Markell.

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Roma, Teatro Argentina: “Diari d’amore” regia di Nanni Moretti

gbopera - Mar, 28/05/2024 - 23:59

Roma, Teatro Argentina
DIARI D’AMORE
due commedie di Natalia Ginzburg
regia di Nanni Moretti
con Valerio Binasco, Daria Deflorian, Alessia Giuliani, Arianna Pozzoli, Giorgia Senesi
scene Sergio Tramonti
luci Pasquale Mari
costumi Silvia Segoloni
produzione Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Carnezzeria, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, LAC Lugano Arte e Cultura, Châteauvallon-Liberté scène nationale, TNP Théâtre National Populaire à Villeurbanne
La Criée – Théâtre National de Marseille, Maison de la Culture d’Amiens in collaborazione con Carrozzerie n.o.t
coordinamento Aldo Miguel Grompone
Roma, 28 Maggio 2024
Nanni Moretti esordisce come regista teatrale con “Diari d’amore,” un dittico che raccoglie due commedie di Natalia Ginzburg: “Dialogo” e “Fragola e Panna”. Attraverso una narrazione ironica, Moretti esplora nuclei familiari disarmonici e intimità domestiche ormai rassegnate, dove il conflitto si trasforma in indifferenza, rivelando la futilità di personaggi emotivamente e moralmente inetti. Ginzburg, con maestria, gioca con i valori cardine della società borghese come il matrimonio, la fedeltà, la maternità e l’amicizia, trattandoli con una leggerezza che ne svela tutte le fragilità. Questa delicatezza diventa una lente di ingrandimento, trasformando in commedia eventi che, nella vita dei protagonisti, sarebbero altrimenti tragici. Al contempo, rappresenta una critica incisiva di una società apatica, che non partecipa realmente e rimuove ogni residuo di senso di colpa. La scelta di Moretti di portare in scena il “teatro delle chiacchiere” di Ginzburg ci pone di fronte a uno specchio che riflette la nostra inadeguatezza e la nostra indifferenza di fronte alla complessità e alle tragedie della vita. “Fragola e Panna,” scritta nel 1966, un anno dopo “Ti ho sposato per allegria,” presenta una protagonista che ha già vissuto un matrimonio fallimentare e vede la sua felicità confinata al ricordo di un gelato lontano nel tempo. Quattro anni più tardi, con “Dialogo,” Ginzburg cattura i cambiamenti sociali dell’Italia di quegli anni, presentando una protagonista che esprime apertamente le proprie insoddisfazioni matrimoniali e critica il marito, affrontando con coraggio svolte esistenziali. Entrambi i testi si chiudono con epiloghi amari, suggerendo che, nonostante il passare del tempo, il cinismo maschile continua a prevalere nelle relazioni sentimentali e nella vita di coppia. In “Dialoghi,” la scenografia di Sergio Tramonti mette al centro un letto matrimoniale, con una finestra chiusa alle spalle e uno spazio arboreo ai lati. Qui Marta (Alessia Giuliani) tenta di comunicare con il marito Francesco (Valerio Binasco), mentre discutono di Michele, un amico scrittore, assente ma centrale nelle loro tensioni coniugali. Tutto si svolge in quel letto: i movimenti inquieti di Francesco, le preoccupazioni di Marta per la figlia, e una quotidianità sospesa che non esplode, ma viene vissuta passivamente. In “Fragola e Panna,” la scena è dominata da due divani separati e una parete che riflette una fredda giornata invernale. Al centro, Barbara (Arianna Pozzoli), una giovane diciottenne, cerca aiuto dall’avvocato Cesare (Valerio Binasco). Viene accolta dalla serva Tosca (Daria Deflorian), mentre la padrona di casa, Flaminia (Alessia Giuliani), vive solitaria e consapevole dei tradimenti del marito. Barbara, fuggita da un marito violento, si rivela nel primo atto, mentre nel secondo è Cesare a dominare la scena, affrontando la questione di Barbara. La narrazione speculare mostra relazioni spezzate e congelate nel tempo. Queste due opere, riunite in “Diari d’amore,” offrono una riflessione sugli amori in crisi nell’intimità domestica. Riproposti da Moretti, i testi di Ginzburg rivelano la potenza del suo teatro, caratterizzato da un linguaggio secco e un ritmo vivace di battute. “Diari d’amore” emerge come un delicato documento storico, definito dai liceali del Gobetti un allestimento corretto, omogeneo, elegante e un po’ datato. Il pubblico ride amaramente, forse per la disperazione di personaggi discutibili, ma viene inevitabilmente spinto alla riflessione, anche a causa della drammatica attualità di opere scritte oltre cinquant’anni fa. Tutto appare chiaro, nitido ed evidente, svolgendosi nella rassicurante cornice domestica, luogo in cui si consumano le peggiori tragedie, spesso senza sfociare in violenza fisica. Per Moretti, la regia diventa uno strumento per enfatizzare questa problematica ordinaria, ma ancora estremamente attuale, illuminando con precisione le dinamiche familiari e le sofferenze emotive che vi si celano. Photocredit @LuigiDePalma

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Genova, Opera Carlo Felice: “Il Corsaro”

gbopera - Mar, 28/05/2024 - 23:23

Genova, Teatro Carlo Felice, Stagione d’Opera 2023-24.
“IL CORSARO”
Melodramma tragico in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave dal poemetto di George Byron.
Musica di Giuseppe Verdi
Corrado FRANCESCO MELI
Medora IRINA LUNGU
Seid MARIO CASSI
Gulnara OLGA MASLOVA
Selimo SAVERIO FIORE
Giovanni ADRIANO GRAMIGLI
Un eunuco EMILIO CESAR LEONELLI
Uno schiavo MATTEO MICHI
Orchestra e Coro dell’Opera Carlo Felice Genova
Direttore Renato Palumbo
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Regia Lamberto Puggelli
Scene Marco Capuana
Costumi Vera Marzot
Maestro d’armi Renzo Musumeci Greco
Luci Maurizio Montobbio
Allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova in coproduzione con il Teatro Regio di Parma.
Genova 26 maggio 2024.
Per il teatro, gli antichi prescrivevano di attenersi a tre unità: tempo, luogo e azione; nel Corsaro, Francesco Maria Piave le disattende tutte. Se le 180 pagine del poemetto di Byron sono unificate dalla febbre romantica dell’eroe solitario, non altrettanto riesce al nostro librettista che lascia a Verdi di trovare un bandolo unificatore del racconto. Sono “gli anni di galera”, quelli in cui il musicista assomma impegni per soddisfare contratti e rimpinguare la borsa. Il fuoco dell’artista di genio c’è sempre, deve comunque scontrarsi con un soggetto che forse non lo convince appieno e con la routine che lo rimanda ai successi nazional-popolari degli inizi carriera. Non mancano comunque gli esperimenti che traghettano verso Luisa Miller e Macbeth. Le recite genovesi hanno il loro autentico punto di forza e la vera giustificazione della scelta del titolo, nella voce di Francesco Meli, il formidabile tenore “di casa”. Il timbro ha lasciato, almeno in parte, il fascino ammagliatore delle origini e la variegata tavolozza di colori, ma ha decisamente acquistato in forza e baldanza. Il Corrado di Meli è un eroe a tutto tondo, tagliato per duelli e arrembaggi. Lo squillo del forte la vince sui piani, dribblati con cura ed intelligenza. Non stupisce che per lui si parli, sempre con più insistenza, di Otello che è assolutamente alla portata delle sue attuali caratteristiche. Irina Lungu, penalizzata da un personaggio che la relega a due interventi, seppur vocalmente determinanti, negli atti estremi, cerca di ovviare col mestiere ad alcune precarietà vocali. Le intenzioni sono sempre ottime e di sfumature e colori è sempre molto generosa. Peccato che gli anni di carriera e di palcoscenico abbiano inciso sullo smalto e sul velluto del suo generoso fraseggio che pur si mostra sempre attentamente consapevole della temperie del personaggio. Non altrettanto si può affermare della Gulnara di Olga Maslova, grande voce ma, a tratti, maldestra. Si direbbe che i problemi le derivino direttamente dal tipo di impostazione. La sua è una prestazione che, pur con una certa efficacia, appare “rozza”, forzata.  La sua voce riempie il teatro e, come un torrente turbinoso, precarizza gli argini. Contraltare di Gulnara dovrebbe essere il Pascià Seid, qui Mario Cassi, la cui prestazione gode, rispetto alla collega russa, di indubbi vantaggi: un affascinante timbro naturale di vero baritono, l’accurata preparazione tecnica e la naturalezza del fraseggio italiano che gli consente, molto appropriatamente, di accentare e legare. L’ottimo basso Saverio Fiore è il corsaro compagno d’azzardi e d’avventure di Corrado; Selimo, anch’egli un basso, ne è il corrispondente alla corte del bascià, e trova nella voce di Saverio Fiore, il meritevole interprete. Due tenori: Emilio Cesar Leonelli come eunuco e Matteo Michi come schiavo, completano onorevolmente la locandina. Altro personaggio chiave dell’opera è l’ottimo coro del Teatro Carlo Felice: quello maschile nei panni dei corsari e dei guerrieri turchi; quello femminile veste le fastose sete delle ospiti dell’harem. Pur non avendo il coro gli interventi emblematici che hanno segnato altre opere verdiane, sotto la guida di Claudio Marino Moretti si fa comunque apprezzare con un’emozionante ed intensa partecipazione. L’esperienza e la sagacia di Renato Palumbo incendiano l’intera partitura con l’accentuarne il carattere arditamente gagliardo e fiammeggiante, in buona sintonia con la visione baldanzosa del Corrado di Meli. Lo spettacolo è una ripresa di quanto già visto, nel 2018, nei teatri del circuito emiliano. La regia di Lamberto Puggelli mantiene la vivace freschezza originaria e fa guadagnare al Teatro Carlo Felice il merito di non avere, in questi tempi difficili per tutti i teatri, sprecato preziose risorse. Le azzeccatissime scene di Marco Capuana, coadiuvate dalle luci di Maurizio Montobbio, hanno un momento di autentica genialità quando si colorano, nel secondo atto, del rosso fuoco dell’incendio dell’harem. I bei costumi di Vera Marzot sono funzionali allo spettacolo e illustrano con efficace semplicità i due campi avversi, arricchendosi pure di sete sgargianti per rivestire Gulnara e le altre ospiti del serraglio. Da sottolineare con forza l’ottimo lavoro condotto dal Maestro d’armi Renzo Musumeci Greco che, con la spettacolare collaborazione del suo gruppo di mimi, ha realizzato, nel corso del secondo atto, un combattimento all’arma bianca, mai visto così veritiero ed efficace fuori dallo schermo cinematografico. Sempre molto preparato e competente il pubblico genovese! La platea si è colmata anche per i molti rinforzi della provincia e dei fuori regione. Gli applausi non sono mancati e per Meli si sono levate, a buona ragione, ovazioni.

 

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Roma, Spazio WeGil: “Emilio Leofreddi” dal 31 Maggio al 31 agosto 2024

gbopera - Mar, 28/05/2024 - 11:39

Roma, Spazio WeGil
EMILIO LEOFREDDI
curata da Giuseppe Stagnitta
con la collaborazione dell’Archivio Emilio Leofreddi
In occasione del primo anniversario della scomparsa dell’artista romano Emilio Leofreddi (1958-2023), si celebrerà la sua opera attraverso una grande mostra al WeGil di Roma (Trastevere – Largo Ascianghi, 5), che aprirà al pubblico il 31 maggio prossimo. La mostra, curata da Giuseppe Stagnitta, con la collaborazione dell’Archivio Emilio Leofreddi e con il contributo di Amnesty International Italia, è patrocinata dalla Regione Lazio, in collaborazione con LAZIOcrea, e viene prodotta dalla Clode Art Gallery con la partecipazione della Fondazione Terzo Pilastro – Internazionale e Poema. La mostra prevede l’esposizione di oltre 150 opere – tele, disegni, installazioni, video, appunti, fotografie – che racconteranno, attraverso un percorso tematico ed informale, in ordine cronologico, la vita e l’opera dell’artista, il cui fil rouge è rinvenibile nel tema del viaggio, inteso non come fuga e allontanamento dalla realtà, bensì, al contrario, come strumento di conoscenza del mondo e di condivisione, anche in chiave politica. 

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Roma, Teatro Argentina: “Mostra e Incontri su Adelaide Ristori e il Suo Teatro: il Valle”

gbopera - Mar, 28/05/2024 - 10:27

Roma Teatro Argentina
ADELAIDE RISTORI
Esposizione di una riproduzione del costume per la Medea di Ernest Legouvé (1856)
reinterpretato da Francesca D’Angelo e Maria Bruni, alle allieve dello IED Istituto Europeo di Design
a cura di Ufficio attività culturali del Teatro di Roma
ideazione Sandro Piccioni
progetto grafico Alfredo Favi
produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale
in collaborazione con Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali
in collaborazione con IED Istituto Europeo di Design
Dopo aver ricordato le origini legate all’opera buffa e ai suoi protagonisti Rossini, Cimarosa e Donizetti, la mostra dedicata al Teatro Valle, “300 anni di spettacoli”, si arricchisce di un nuovo capitolo dedicato ad Adelaide Ristori. Ancora oggi, a più di duecento anni dalla sua nascita, Adelaide Ristori appare senza dubbio una figura eccezionale. Fu un’attrice di grandissima popolarità, ma anche direttrice e imprenditrice dei suoi spettacoli. Per prima nella storia del teatro, aveva compreso la forza di impatto della comunicazione e dell’immagine di sé stessa. Tutto ciò che faceva aveva un’eco immediata e assoluta, secondo una precisa strategia da lei curata in ogni dettaglio, persino nella vendita di souvenir e gadget a fine spettacolo. Soprattutto, i suoi abiti di scena, creati dal più grande sarto dell’epoca, il primo vero stilista della storia, Charles Frederick Worth, abituato a vestire le regine e le donne più in vista di tutta Europa. Insomma, la Ristori si potrebbe definire una delle prime “influencer” della storia. Ogni sua apparizione in scena creava un brivido tra le signore presenti in sala, pronte a copiare dettagli, colori e forme di quelle toilettes. Il Teatro Valle era il suo teatro di casa. Nel 1847, infatti, sposò il marchese Giuliano Capranica del Grillo, con un matrimonio che fece scalpore in tutta l’aristocrazia romana, poiché il mestiere dell’attore non era certo considerato dignitoso. Con Giuliano, Adelaide gestì tutta la sua attività artistica, curandone con grande attenzione gli aspetti pubblicitari. Una targa ricorda la nobildonna sul palazzo in cui abitò in via dei Redentoristi, a pochi passi da un altro edificio di famiglia, quello in cui si trova il Valle. Proprio su quel palcoscenico, la Ristori interpretò molti dei suoi grandi successi. Ma l’attrice va ricordata anche per aver messo la sua popolarità al servizio di una causa politica di particolare importanza: l’Unità d’Italia. Era in corrispondenza con Mazzini e con Cavour e tutte le sue rappresentazioni in territori all’epoca sotto il dominio austriaco o borbonico, e persino a Vienna, Parigi o Londra, divenivano occasioni per perorare la causa nazionale, tra incidenti con le autorità locali e vere e proprie azioni diplomatiche tessute durante le tournée. In sala verrà esposta una riproduzione del costume per la “Medea” di Ernest Legouvé (1856), progettato insieme al pittore Ary Scheffer e reinterpretato dalle allieve dello IED Istituto Europeo del Design. Nella mostra verranno ricostruiti i vari aspetti della vita artistica, pubblica e privata di Adelaide Ristori attraverso abiti, carteggi, materiali di lavoro e musiche di scena, molte delle quali furono commissionate dalla stessa attrice e per lei composte.

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Milano, Teatro alla Scala: “Don Pasquale”

gbopera - Mar, 28/05/2024 - 10:20

Teatro alla Scala, Stagione Lirica 2023/2024
“DON PASQUALE”
Dramma buffo in tre atti – Libretto di Giovanni Ruffini
Musica di Gaetano Donizetti
Don Pasquale AMBROGIO MAESTRI
Dottor Malatesta
MATTIA OLIVIERI
Ernesto
LAWRENCE BROWNLEE
Norina
ANDREA CARROLL
Un notaro
ANDREA PORTA
Direttore Evelino Pidò
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Maestro del coro Alberto Malazzi
Regia Davide Livermore
Scene Davide Livermore, Giò Forma
Costumi Gianluca Falaschi
Luci Nicolas Bovey
Video D-WOK
Produzione Teatro Alla Scala
Milano, 25 maggio 2024
Don Pasquale torna in Scala nel brillante allestimento di Davide Livermore e il suo collaudato team composto da Giò Forma per le scene e video design firmato D-WOK, con gli eleganti costumi di Gianluca Falaschi. Un Donizetti rivisitato con gusto ed intelligenza, immerso in un’inedita e suggestiva atmosfera cinematografica anni cinquanta già raccontata nel dettaglio nella nostra precedente recensione relativa al debutto di questa fortunata produzione, debuttata sei anni fa qui al Piermarini. Il cast è parzialmente comune al cartellone del 2018, annoverando nuove eccellenti voci nelle parti principali che contribuiscono a garantire ancora una volta anche l’alta qualità musicale dello spettacolo nel suo complesso. Ritroviamo un Ambrogio Maestri in grande spolvero nel ruolo del titolo, imponente nella vocalità ma soprattutto raffinato nel fraseggiare un protagonista dalle mille sfumature: la stizza, la malinconia, la ruvidità, l’ironia, l’ingenuità. In bilico costantemente tra il buffo e il drammatico, il baritono pavese tratteggia un Don Pasquale a tutto tondo, con inappuntabile musicalità e intelligenza interpretativa. Altro mattatore della scena è Mattia Olivieri, che nonostante l’eccellente prova precedente riesce oggi a superarsi dimostrando ulteriore maturità scenica e vocale. Un Malatesta istrionico e magnetico in grado di unire all’attitudine attoriale grande padronanza tecnica nell’emissione del suono, modulata su sapiente gestione del recitar cantando, con una resa del ruolo avvincente e a trecentosessanta gradi. Ottima anche la Norina di Andrea Carroll, sicura nelle colorature e sempre espressiva nel fraseggio. Civettuola e ben caratterizzata sin dalla cavatina “So anch’io la virtù magica”, si destreggia con disinvoltura nei pezzi chiusi più melodici, ma delinea con altrettanta personalità anche i recitativi più concitati nelle scene di confronto con Don Pasquale, pungente al punto giusto. L’Ernesto di Lawrence Brownlee ha voce anche fin troppo chiara per coprire tutti gli impervi e variegati passaggi richiesti dal ruolo, ma la sua grande esperienza in ambito belcantistico non può che stupire per eleganza e buon gusto. Sublime in particolare l’apporto del tenore americano nel romantico duetto “Tornami a dir che m’ami”, con preziose modulazioni a fil di voce. Inappuntabili gli interventi di Andrea Porta nel ruolo del Notaro, incisivo teatralmente ma mai sopra le righe. Composta la concertazione di Evelino Pidò, che con estrema attenzione guida un’Orchestra del Teatro Alla Scala in ottima forma e porta avanti lo sviluppo della partitura con attenta gestione della sinergia tra buca e palcoscenico. Una resa musicale che non spettina, ma efficace nel trasmettere nella giusta misura la brillantezza della partitura senza trascurarne le venature nostalgiche e più drammatiche. Efficaci gli apporti del Coro, istruito da Alberto Malazzi. Al termine successo di pubblico senza riserve, con ovazioni per Maestri e Oliveri. Foto Brescia & Amisano

Categorie: Musica corale

Parma, Teatro Regio: “Tosca”

gbopera - Lun, 27/05/2024 - 18:14

Parma, Teatro Regio, Stagione Lirica 2024
“TOSCA”
Melodramma in tre atti su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa.
Musica di Giacomo Puccini
Floria Tosca ERIKA GRIMALDI
Mario Cavaradossi BRIAN JAGDE
Scarpia LUCA SALSI
Cesare Angelotti LUCIANO LEONI
Il Sagrestano ROBERTO ABBONDANZA
Spoletta MARCELLO NARDIS
Sciarrone EUGENIO MARIA DEGIACOMI
Un carceriere LUCIO DI GIOVANNI
Un pastore SOFIA BUCARAM
Filarmonica Arturo Toscanini
Coro del Teatro Regio di Parma
Coro di Voci Bianche del Teatro Regio di Parma
Direttore Daniel Oren
Maestro del Coro Martino Faggiani
Maestro del Coro di Voci Bianche Massimo Fiocchi Malaspina
Regia Joseph Franconi Lee da un’idea di Alberto Fassini
Scene e costumi William Orlandi
Luci Andrea Borelli
Allestimento del Teatro Regio di Parma
Parma, 25 maggio 2024
Curioso: due baroni, uno siciliano, Vincenzo Speziale, e uno salernitano, Gerardo Curcio detto Lo Sciarpa, ispirano un personaggio, d’invenzione ma più di loro vero, e questo personaggio trova interpreti epocali in cantanti emiliani: dopo Ruggero Raimondi, Luca Salsi. Il suo Scarpia seguita a stupire per le impressionanti inventiva e varietà d’accenti, che continuamente rinnovano la tensione drammatica. Il trionfo della parola spazza via le scivolose patine dell’abitudine, quelle che soffocano i titoli più grandi, i più rappresentati. E allora vien da pensare che forse, talvolta, benché vestito come il solito Scarpia e dotato della più tipica attrezzeria scarpiana, insomma anche nel più (cosiddetto) tradizionale degli allestimenti, per far del teatro, e di alto livello, può bastare l’intelligenza d’un interprete. E di un direttore. Se altrove si possono ascoltare Tosche intellettualmente affascinanti d’un Puccini che sta fra Mahler e Strauss, qui, con Daniel Oren, nume tutelare della migliore tradizione italiana, l’impressione è quella di ascoltare la Tosca: quella rovente e romana, fervente e violenta. Il balsamo del canto la avvolge tutta, s’intende, e non è solo per via del magnifico legato: il fraseggio è vasto, ampio, aquilino, che sa leggere e svelare (o creare) rapporti, relazioni a largo raggio. Lo spettacolo, s’è già accennato, è classico di un classicismo che non può stancare mai e funziona sempre, creato da Alberto Fassini e qui ripreso da Joseph Franconi Lee. Il taglio visivo, scene e costumi di William Orlandi, è improntato ad una sobria eleganza, tutta novecentesca, fin scarna nell’uso del colore: popolata com’è di vaste riproduzioni di protagonisti della storia dell’Arte, ma a grisaglia. Gli elementi sono i più semplici del teatro: tela dipinta, tulle dipinto, scalinate, quinta specchiata. Ma utilizzati con veramente alta maestria. La coppia degli amanti è vocalmente gloriosa. Lui è Brian Jagde, per il quale un ritorno di indisposizione significa niente più che qualche piccola sbavatura a margine di una cascata di voce. Il volume è impressionante, la dizione resta newyorkese ma ha una sua cifra espressiva che rende vivo il fraseggio, e così pure sulla scena ha una sua efficacia. Lei è Erika Grimaldi, in sostituzione dell’annunciata Anastasia Bartoli. Sembra che desideri più sonorità nel registro grave, per risultare forse ancora più incisiva in quelle battute che potrebbero essere scambiate per concessioni al gusto verista e che invece sono solo concessioni al teatro di parola (vedi Salsi). Ecco, chi la ascolti non ha certo questo desiderio, la voce essendo perfetta così: timbratissima, morbidissima, rotonda, florida, sonora e ricca di armonici ma sempre dolce e squisitamente femminile, qualità quest’ultima tanto più preziosa dopo il “virileggiare” sopranile imperante nel secolo scorso in risposta al pigolare delle micette ottocentesche (luogo comune che cela la sua parte di verità). Arzillo e di gran classe il sagrestano esperto di Roberto Abbondanza. Luciano Leoni è un Angelotti saldo e sonoro. Completano degnamente il cast lo Spoletta di Marcello Nardis e lo Sciarrone di Eugenio Maria Degiacomi. Ovazioni e delirio più che giustificati per i protagonisti e per il mitico Oren.

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Olga Mykytenk: “I vespri siciliani. Verdi Arias”

gbopera - Dom, 26/05/2024 - 23:09

Giuseppe Verdi: “Dall’infame banchetto…Tu del mio Carlo al seno…Carlo vive?” (“I masnadieri”), “Morrò, ma prima in grazia” (“Un ballo in maschera”), “Ne’ tornei! V’apparve…Tacea la notte placida…Versi di prece, ed umile…Di tale amor” (“Il trovatore); “Arrigo! ah! parli a un core”, “Mercé, dilette amiche” (“I vespri siciliani”), “Egli non riede ancora!… Non so le tetre immagini” (“Il corsaro”), “Santo di patria…Allor che i forti corrono…Da te questo or m’è concesso”, “Liberamente or piangi…Oh! Nel fuggente nuvolo” (“Attila”), “Surta è la notte, e Silva non ritorna…Ernani!… Ernani, involami…Tutto sprezzo, che d’Ernani” (“Ernani”), “Nel dì della vittoria io le incontrai…Vieni! T’affretta! Accendere…Or tutti sorgete ministri infernali”, “Una macchia è qui tuttora” (“Macbeth”), “Tu puniscimi, o signore” (“Luisa Miller”), “È strano!… è strano!.. A quell’amor ch’è palpito…Sempre libera” (“La traviata”). Olga Mykytenko (soprano), Bournemouth Symphony Orchestra, Kirill Karabits (direttore).  1 CD Chandos 20144Cd
Il mondo dei recital lirici è al limite della saturazione e sempre più difficile è riuscire a dire qualcosa di significativo con prodotti di questo tipo, ancora più difficile se si sceglie di affrontare un repertorio popolare come quello verdiano. Una scelta di questo tipo impone una qualità esecutiva e una visione interpretativa veramente non comune. Il CD Chandos con protagonista il soprano ucraino Olga Mykytenko non presenta nessuna di queste caratteristiche e non apporta nulla alla storia interpretativa dei brani proposti.
Un primo aspetto negativo viene anche dalla modestia della direzione di Kirill Karabits alla guida della Bournemouth Sympkony Orchestra. Una direzione metronomica, spesso pesante al limite dell’insostenibile – il brio de “La traviata” ha il passo di una marcia militare nel fango, povera di colori e dinamismo. La registrazione tradisce poi i sistematici tagli degli interventi corali e dei personaggi minori.
La Mykytenko è una solida professionista che ormai da anni sta svolgendo una buona carriera in patria e all’estero e che nel repertorio slavo avevano apprezzato. Qui però si scontra con una storia interpretativa ben diversa e le sue spalle non sembrano in grado di reggerne il peso. La cantane dispone di una voce di buona robustezza, con un settore medio-acuto di notevole presenza mente maggiore sforzo si nota sugli estremi sia acuti sia gravi. Il timbro è metallico e manca di morbidezza, la dizione buona considerando la scarsa presenza della Mykytenko sui palcoscenici italiani ma l’accento è spesso piatto e monocorde. In un contesto più curato avrebbe potuto dare impressione migliore ma qui tende a farsi travolgere dalla complessità dei brani.

L’aria di Amalia da “I masnadieri” posta in apertura di programma è pensata per una voce agile e brillante. La Mykytenko ha avuto un passato da soprano più leggero e questo emerge. Se si nota una certa prudenza nelle colorature e il timbro e un po’ aspro ma la prova è nel complesso superata. La successiva “Morrò ma prima in grazia” da “Un ballo in maschera” manca sia del corpo sia dell’intensità d’accento richiesti dalla parte. Il resto del programma scorre più o meno su questi binari. Tra gli estratti de “I vespri siciliani” – opera scelta per dare il titolo all’album e rappresentata da due arie – rende di certo meglio il lirismo di “Arrigo! Ah parli a un core” rispetto al Bolero dove si notano non poche difficoltà nei passaggi di coloratura e dove i tempi staccati dalla direzione non aiutano.
Molto anonima anche se nel complesso corretto l’aria di Medora da “Il corsaro”,  discutibile anche la cavatina di Elvira da “Ernani” con le colorature di forza assai faticose e le discese al grave inutilmente forzate da risultare volgari mentre l’orchestra che stacca la cabaletta con tempi da valzer da operetta.

Vanno meglio per questione di temperamento le arie di “Attila” e “Macbeth”. La cavatina di Odabella non è esente da imprecisioni e forzature. Vi è però uno slancio, una convinzione che riescono a cogliere il carattere del brano nonostante qualche imprecisione vocale. Discorso simile vale per la cavatina di Lady Macbeth dove la Mykytenko sfoggia un temperamento invero notevole che compensa qualche pecca vocale mentre una certa asprezza di timbro qui si presta bene alla caratterizzazione del personaggio. Qualità d’interprete che emergono con ancor maggior forza in una scena del Sonnambulismo di grande intensità e in cui anche la voce sembra più centrata che in altri brani.

Con “Tacea la notte placida” ritroviamo i limiti già esposti: le difficoltà nel settore grave e un taglio espressivo fin troppo superficiale. La grande scena di Violetta di “La traviata” chiude alquanto tristemente l’album. Al netto della pesantezza orchestrale il tutto manca di vitalità, le agilità faticose. Fortunatamente la cantante evita il  rischio del mi bemolle acuto. Una chiusura spenta per un prodotto  assai deludente.

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Roma, Parco di Villa Borghese, Casino dell’orologio: “Il rilievo del cavaliere”

gbopera - Dom, 26/05/2024 - 15:50

Roma, Parco di Villa Borghese, Casino dell’orologio
IL RILIEVO DEL CAVALIERE
curata da Angela Napoletano
promossa da Roma Capitale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con Sport e Salute S.p.A. e FISE
In occasione del Concorso Ippico sarà esposta al pubblico, presso il Casino dell’Orologio a Villa Borghese, una scultura in marmo di grande pregio: “Il Rilievo del cavaliere”. L’opera, che appartiene al nucleo seicentesco della Collezione Borghese, rappresenta un giovane cavaliere con corazza a squame e stivali decorati da leontè, che tiene con la mano destra le redini di un cavallo, raffigurato solo nella sua parte anteriore, di profilo e nell’atto di incedere. La testa, rivolta verso il cavallo, pur essendo antica, non è pertinente. È probabile che la testa originaria fosse coperta da un elmo. L’animale, caratterizzato da un’accurata resa dei tendini e dei fasci muscolari, è rappresentato in altorilievo, a eccezione della zampa anteriore sinistra. L’esposizione è promossa da Roma Capitale – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, in collaborazione con Sport e Salute S.p.A. e FISE (Federazione Italiana Sport Equestri) ed è curata da Angela Napoletano. L’elevata qualità, le notevoli dimensioni del rilievo (altezza metri 1,98; larghezza metri 1,60; spessore massimo metri 0,30), il tipo di corazza a squame indossata generalmente da soggetti militari di alto rango, la ricca bardatura del cavallo costituita da briglie, morso, nonché pettorale e fiancali decorati da due pantere affrontate, consentono di ipotizzare l’appartenenza del personaggio raffigurato alla Cavalleria personale dell’imperatore (Equites singulares Augusti) e indicano la sua originaria provenienza da un importante monumento ufficiale, probabilmente dell’età traianea-adrianea (prima metà del II sec. d.C.). Composto da undici frammenti, il rilievo fu murato al centro della Prospettiva di Levante nel Parco dei Daini, una parete artistica realizzata, insieme all’adiacente Prospettiva di Tramontana e alla vicina Prospettiva del Teatro, da Giovanni Vasanzio nel 1618-1619. Gli scalpellini Bernardino e Agostino Radi, oltre a ricomporre e integrare il rilievo, lo inserirono in una ricca cornice in stucco, secondo un gusto decorativo che prevedeva la commistione di marmi diversi e di elementi antichi e moderni uniformati da una patina antichizzante. Rimosso nel 1989 per essere ricoverato in deposito, è stato restaurato e sostituito sul luogo da una copia moderna.

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Le cantate di Johann Sebastian Bach: Domenica della SS.Trinità

gbopera - Dom, 26/05/2024 - 00:57

Sono cinque le Cantate per la Domenica in cui si celebra la SS.Trinità che già abbiamo iniziato a trattare lo scorso anno, con la Cantata BWV 165 del 1715. In ordine cronologico la seconda è Höchsterwünschtes Freudenfest BWV 194 che però altro non è se non un adattamento di una Cantata composta nel 1723 per la dedicazione e inaugurazione dell’organo di Störmthal, un villaggio della Municipalità di Großpösna nei pressi di Lipsia. L’elemento parodistico, ossia di adattamento da composizione preesistenti è già evidente dal Coro  d’apertura (Nr.1) una pagina che potremmo defiinire “tripartita”, data da una sezione A,  un’ ampia parte strumentale in stile ouverture “alla francese”, segue una parte centrale, affidata al Coro in stile fugato, con una strumentazione che appare quasi indipendente dalla parte iniziale. Viene quindi la ripresa del ritornello  che ha una breve coda corale. Anche le due arie sono tripartite e quindi ampie. La nr.3 (cantata dal tenore) ha le caratteristiche di una pastorale, mentre la nr.5 (affidata al soprano) ha il ritmo di  gavotta.
Nr.1 – Coro
Festa gioiosa a lungo attesa
che il Signore, per la sua gloria,
nel santuario che ha costruito
lietamente ci permette di celebrare
Festa gioiosa a lungo attesa!
Nr.2 – Recitativo (Tenore)
Dio infinitamente grande, volgiti
verso di noi, tuo popolo scelto,
e alle preghiere dei tuoi servi!
Ah, concedici di portarti
con un canto fervente
l’offerta delle nostre labbra!
Ti consacriamo i nostri cuori aperti
sull’altare del ringraziamento.
Tu, che nessun edificio o tempio può contenere,
perché non hai limiti né confini,
gradisci questa casa, che sia per te
un vero seggio di grazia, una luce di gioia.
Nr.3 – Aria (Tenore)
Ciò che è riempito dallo splendore dell’Altissimo
non sarà mai oscurato da alcuna notte,
ciò che la santa presenza dell’Altissimo
ha scelto come sua dimora,
non sarà mai oscurato da alcuna notte,
ciò che è riempito dallo splendore dell’Altissimo.
Nr.4 – Recitativo (Soprano)
Come puoi, o sguardo supremo,
la cui luce infinita e splendente
scruta le fondamenta più oscure,
accontentarti di una casa?
La vanità si può nascondere dappertutto.
Quando la tua gloria entra
la dimora deve essere pura
e degna di tale ospite.
Qui nessuna forza umana è efficace,
siano i tuoi occhi aperti 1
e guardaci con misericordia;
allora con gioia santa
il vitello grasso e l’offerta dei nostri canti
deponiamo di fronte al tuo trono
portandoti devotamente le nostre speranze.
Nr.5 – Aria (Soprano)
Aiutaci, Dio, a riuscire nella nostra opera
e che il tuo fuoco penetri in noi,
poiché in quest’ora
come nella bocca di Isaia 
il suo potere ci dia forza
e ci renda puri al tuo cospetto.
Nr.6 – Corale
Spirito Santo sul trono celeste,
entità divina per l’eternità
con il Padre ed il Figlio,
conforto e gioia per gli afflitti!
Tutta la fede che possiedo
tu l’hai accesa in me,
guardami con misericordia
e da ora sostienimi con la tua grazia.
Inviami il tuo aiuto,
o nobile ospite del mio cuore!
E porta a compimento questo buon lavoro
che hai già iniziato.
Accendi in me una piccola scintilla
così al termine della corsa
sarò come gli eletti
perché avrò conservato la fede.
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Er rufet seinen Schafen mit Namen” BWV 175

 

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Venezia, Palazzetto Bru Zane: Fauré e le sue “Discendenze” con l’Ensemble da camera dell’Accademia Teatro alla Scala

gbopera - Sab, 25/05/2024 - 18:55

Venezia, Palazzetto Bru Zane, Festival “Il Filo di Fauré”, 23 Marzo-23 Maggio 2024
DISCENDENZE”
Ensemble da camera dell’Accademia Teatro alla Scala
Violino Chiara Rollini
Viola Yanina Prakudovich
Violoncello Andrea Cavalazzi
Pianoforte Riccardo Stiffone
Gabriel Fauré: Quatuor avec piano en sol mineur n° 2; Léon Boëllmann: Quatuor avec piano en fa mineur
Venezia, 23 maggio 2024
Si è felicemente conclusa anche quest’ultima avventura musicale, promossa dal Palazzetto Bru Zane-Centre de Musique Romantique Française, con lo scopo di ridefinire ed arricchire il ritratto di un compositore come Gabriel Fauré – la cui notorietà è tradizionalmente limitata al Requiem e a poche altre composizioni –, attingendo al mondo intimista e raffinato della musica da camera, del pianoforte e della mélodie, dove il musicista francese sviluppò gli aspetti più innovativi del suo stile. Protagonisti della serata finale del Festival, sotto l’aspetto interpretativo, erano i componenti dell’Ensemble da camera dell’Accademia Teatro alla Scala, che si sono recentemente impegnati nello studio dei quartetti con pianoforte di Gabriel Fauré e dei suoi eredi, riservando – tra questi ultimi – un posto speciale a Léon Boëllmann, che come Fauré studiò presso l’École Niedermeyer, per poi intraprendere la carriera di organista. Forse anche per questo comune percorso i quartetti con pianoforte del compositore alsaziano mostrano un’innegabile affinità con quelli del musicista dedicatario di questo festival. È quello che si proponeva di dimostrare il concerto di cui ci occupiamo, ponendo a confronto due lavori coevi: il Quartetto con pianoforte in sol minore n. 2, op. 45 di Gabriel Fauré con il Quartetto con pianoforte in fa minore, op. 10 di Léon Boëllmann.
Della genesi del Secondo Quartetto con pianoforte di Fauré non si sa quasi nulla, anche perché il compositore non ne parlò mai prima di presentarlo al pubblico (1887), dimostrando un insolito riserbo. Probabilmente composto da Fauré nel 1885 o nel 1886 – subito dopo essersi aggiudicato il Premio Chartier dell’Accademia di Belle Arti per la musica da camera –, questo lavoro, di superba fattura e grande ricchezza melodica – tra l’altro dedicato a Hans von Bülow –, costituisce uno dei vertici della sua produzione cameristica, sicché risulta difficile comprendere perché non abbia mai raggiunto la popolarità del primo Quartetto, a cui peraltro è abbastanza simile, sia per le tessiture spesso sinfoniche sia per lo Scherzo capriccioso. Diversamente il suo linguaggio armonico dimostra una notevole evoluzione..
Quanto all’esecuzione di questo Quartetto – che come certe composizioni di Franck rivela una forma ciclica –, una forte intensità espressiva si è colta nel primo movimento, Allegro molto moderato, aperto da un’ardente melodia all’unisono degli archi, dalla quale, nel prosieguo della composizione, derivano numerosi temi; seducente la coda con le sue raffinate armonie, tipiche del Fauré della maturità. Caratteri decisamente contrastanti hanno rivelato i due movimenti intermedi: veemente lo Scherzo in do minore, dove il pianoforte si è imposto con un tema sincopato e affannoso, mentre gli archi si sono prodotti in vivaci pizzicati, generando un senso di inquietudine; sereno l’Adagio, aperto da un motivo dolcemente ondeggiante del pianoforte, ispirato – come il compositore stesso confessò alla moglie – dal ricordo delle campane che, da bambino, ascoltava la sera a Montgauzy, una località presso Bordeaux, dove trascorse l’infanzia, in quanto, all’epoca, il padre vi lavorava in qualità di funzionario della pubblica istruzione. Nel Finale, Allegro molto, i quattro concertisti – formidabili per l’affiatamento e il piglio vigoroso – hanno dato ancora una volta libero sfogo alla passione e all’energia, mantenendo alta la tensione fin nella coda: un crescendo elettrizzante, concluso dall’imponente ripresa – con l’indicazione: Più mosso – del secondo tema, in una manifestazione di puro piacere.
Passando al Quartetto con pianoforte in fa minore op. 10 di Boëllmann, si tratta di uno dei primi lavori conosciuti dell’autore, all’interno di un catalogo incompleto di quaranta titoli. Composto probabilmente nel 1886, fu pubblicato l’anno successivo e vinse il concorso della Société des Compositeurs de Musique. Autorevole l’Ensemble scaligero anche nell’esecuzione del secondo brano in programma. Particolarmente suggestivo è risultato l’inizio del primo movimento, Allegro un poco moderato, con un ondeggiante mormorio degli archi, al di sopra del quale il pianoforte, assumendo il ruolo di solista, ha dispiegato un tema risoluto ma intriso di tenera nostalgia, ripreso poi dal violoncello e – dopo una sequenza di scambi tormentati – anche dalla viola, ben presto raddoppiata dal violino. Un tema energico e ostinato agli archi, punteggiato dai commenti, prima staccati e poi arpeggiati, del pianoforte, è risuonato nel secondo movimento, Scherzo. Presto, percorso da passaggi molto concitati in terzine. Le dolci fantasticherie del violoncello – che intona un bel tema lirico cantabile –, riecheggiate dal violino nel registro acuto, hanno incantato nel terzo movimento, Andante, mentre un tono diffusamente brioso si è colto nell’ultimo movimento, Allegro, in cui – dopo alcune iniziali strappate degli archi – l’Ensemble ha brillato nell’intessere un discorso concertante, che ha impegnato il pianoforte e gli altri strumenti, prima all’unisono e poi in un intreccio, alla maniera di un fugato. Caloroso successo alla fine del concerto e di questa affascinante avventura, targata “Palazzetto Bru Zane”.

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Milano, Teatro alla Scala: Spettacolo della scuola di ballo

gbopera - Sab, 25/05/2024 - 09:48

Milano, Teatro alla Scala, stagione 2023/24
Spettacolo della Scuola di Ballo
“PRESENTAZIONE”
Ideata da Frédéric Olivieri
Musica Carl Czerny
Orchestrazione Knudage Riisager (Edizioni Boosey & Hawkes, rappresentante per l’Italia Edizioni Ricordi)
“WINTER”
Coreografia Demis Volpi, ripresa da Damiano Pettenella
Musica Antonio Vivaldi
Costumi Thomas Lampertz
Violino Francesco De Angelis
Interpreti: CHIARA FERRAIOLI, BRUNO GARIBALDI
“NEW SLEEP (DUET)”
Coreografia William Forsythe
Musica Thom Willems
Regia, luci e costumi William Forsythe, ripresa da Noah Gelber
Technical & lighting Supervisor Tanja Rühl
Sound Supervisor Marco Paderni
Interpreti BENEDETTA GIULIANO, ALFONSO GUERRIERO
“ALLEGRO BRILLANTE”
Coreografia George Balanchine © The George Balanchine Trust, ripresa da Patricia Neary
Musica Pëtr Il’ic Cajkovskij
Pianoforte Takahiro Yoshikawa
Coppia principale SIENNA BINGHAM, BRUNO GARIBALDI
Quattro Coppie FABIANA LANEVE, SERGIO NAPODANO, HARUNA NAGATAKE, FRANCESCO DELLA VALLE, HIMARI TAKAZAWA, FRANCESCO MEZZOLI, MARIA VITTORIA BANDINI, ENRICO FARINA
“LA STRADA (SUITE)”
Coreografia Mario Pistoni, ripresa da Guido Pistoni
Musica Nino Rota
Gelsomina LAURA FARINA
Il Matto DAVIDE ALPHANDERY
Coppia di sposi DAISY LIBERO, SERGIO NAPODANO
Zampanò MICK ZENI (partecipazione)
Orchestra del Teatro alla Scala di Milano
Direttore David Coleman
Milano, 18 maggio 2024
Come di consueto il cartellone del Teatro alla Scala ha proposto uno spettacolo con protagonista la Scuola di ballo della sua Accademia, ma quest’anno è andato in scena solo per una serata. Accompagnati dagli allievi dei corsi di musica, i giovani danzatori hanno prima sfilato nella Présentation sugli Études di Carl Czerny ideata da Frédéric Olivieri, direttore del Corpo di Ballo della Scala, in relazione al proprio corso ed età; poi, sono stati portati in scena vari pezzi, concludendo con una suite tratta dal balletto anni ‘50 ispirato a La Strada di Federico Fellini su musica di Nino Rota. Nella ripresa di Winter di Demis Volpi sono stati protagonisti Chiara Ferraioli e Bruno Garibaldi. In quella nel duetto di New Sleep di William Forsythe, Benedetta Giuliano e Alfonso Guerriero. Nell’Allegro Brillante di Balanchine, ripreso dalla onnipresente Patricia Neary, Sienna Bingham e di nuovo Bruno Garibaldi. Tutti validi allievi, che hanno dimostrato versatilità di stile, soprattutto da parte di Bruno Garibaldi, perché fin qui coinvolto in due diverse coreografie stilisticamente distanti. Dopo un intervallo, la serata è ripresa con una suite che ha ripercorso in breve il balletto La Strada coreografato da Mario Pistoni. Protagonista è Gelsomina, una ragazza fragile e gravemente indigente (nel film nientemeno che Giulietta Masina, alla prima del balletto Carla Fracci), interpretata qui molto bene da Laura Farina, la quale si lega suo malgrado a Zampanò, rozzo saltimbanco che ha visto ospite Mick Zeni, intento a portare in giro i suoi spettacoli circensi. In questo modo Gelsomina viene a contatto con le realtà più disparate, come una coppia di sposi, qui Daisy Libero e Sergio Napodano, che apre questo spettacolo con un tango, o con “il Matto”, Davide Alphandery. È proprio con quest’ultimo personaggio, nel loro passo a due, che la vicenda tocca le corde più profonde, pur apparendo di estrema giovialità – un obiettivo qui raggiunto da Farina e Alphandery. Per quanto riguarda la drammaturgia, bisogna comunque sottolineare che questa ripresa del balletto, ad opera del nipote di Pistoni, evita le scene più drammatiche (la morte del Matto, ad esempio), finendo oniricamente in maniera sospesa con i tre Pierrot, anche questi portati in scena con gran successo. Ma portare in scena lo spettacolo completo forse avrebbe giovato ancor di più a questi giovani danzatori, perché forse sono qualcosa più che allievi. Allievi lo sono di certo dal punto di vista tecnico, in vista delle sfide del repertorio che necessita una perizia virtuosistica massima. Danzatori hanno dimostrato di esserlo in questo spettacolo, e fanno pensare al fatto che in un passato neanche tanto lontano ragazzi di questa età erano già massimi protagonisti dei palcoscenici. Solo per fare pochissimi esempi, abbiamo in mente Giuseppina Bozzacchi, morta di vaiolo nel giorno del suo diciassettesimo compleanno, poco tempo dopo aver esordito con grande successo nel ruolo di Coppelia nella prima assoluta di questo balletto del 1870; ma anche una oggi poco nota Vittoria Peluso, conosciutissima nel ‘700, detta “la Pelusina”, che esordì bambina e concluse la propria carriera a soli sedici anni nella compagnia del grande Gasparo Angiolini. Tutto ciò non per dire che dovrebbe essere come in quel passato, ma che dare questo spazio sulle scene ai giovanissimi li arricchisce e li rende più consapevoli di ciò che devono affrontare in quanto danzatori. Concludiamo con la speranza di rivedere La Strada di nuovo in Scala nella sua versione integrale, perché manca da quasi vent’anni!

 

 

 

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