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Musica corale

Michele Mariotti e il giovanissimo violoncellista Ettore Pagano con l’orchestra sinfonica nazionale della RAI

gbopera - Lun, 15/01/2024 - 22:25

Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, di Torino. Stagione Sinfonica 2023-24.
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Michele Mariotti
Violoncello Ettore Pagano
Pëtr Il’ič Čajkovskij:”Romeo e Giulietta”. Ouverture fantasia in si minore per orchestra; Aram Il’ič Chačaturjan: Concerto-Rapsodia per violoncello e orchestra. Igor Stravinskij: “Jeu de Cartes”. Musiche da balletto in tre mani.
Torino, 12 gennaio 2024
L’ottimo impaginato di questo concerto svela il felice accostamento di due geni del panorama musicale russo, che ne risultano molto più accostabili di quanto, pigramente, siamo portati a pensare: Čajkovskij e Stravinskij. Nei due lavori presentati sono colti in svolte problematiche delle loro vite creative. Nel 1880, anno dell’Ouverture Giulietto e Romeo, Čajkovskij, quarantenne, tenta nuove vie che lo emancipino sia dall’accademismo filo-occidentale professato dei Conservatori delle due capitali russe, recentemente fondati dai fratelli Rubinstein, sia dal “richiamo della foresta” del gruppo dei 5. Gli sono sicuramente da suggerimento e stimolo, l’omonima Sinfonia Drammatica di Berlioz, che la precede di pochi mesi, e le fantastiche elaborazioni dei poemi orchestrali di Liszt. Opere di cui Pëtr Il’ič era a conoscenza, oltre che per la circolazione delle partiture, grazie ai suoi numerosi viaggi culturali attraverso i paesi dell’ovest europeo. Stravinskij nel 1936 vive a Parigi, ha ormai abbandonato da quasi due decenni la fase “barbarica” dei Ballets Russes e ormai anche quella neo-classica, è alla ricerca di altri mondi e altri stimoli. A breve si risposerà e andrà a vivere in America. Balanchine, migrante russo, creatore dell’American Ballet, gli commissiona un nuovo lavoro per il MET e lo mette in condizione di riallacciare dei legami oltreoceano che l’aiutino a preparare il terreno per stabilirvisi. Le varie biografie annoverano l’avidità di denaro e il gioco d’azzardo come le passioni che più hanno presa sul compositore; l’emolumento promesso e l’argomento della nuova commissione le soddisfano ambedue. Caratteristiche che accomunano i due spartiti sono la manifesta teatralità e lo splendore orchestrale dato dalla sovrana maestria dell’orchestrazione. Berlioz e Liszt, per un verso, Rimskij-Korsakov per l’altro hanno profondamente pesato sull’innata capacità e sensibilità dei due russi di manipolare timbri, tempi e sonorità dell’orchestra. Michele Mariotti, sul podio di un’Orchestra Sinfonica Nazionale RAI, al massimo dello spolvero, con Roberto Ranfaldi violino di spalla, conferisce un taglio decisamente drammatico e teatrale ad ambedue le pagine. Tempi che tendono ad estremizzarsi agli opposti, così come le sonorità. Ad un lento-lento e piano-piano dell’avvio, in vero dal suono un po’ troppo sgranato, del Romeo e Giulietta, segue un rapinoso forte fortissimo, della parte centrale che poi si lascia ripiombare nell’appassionato spegnersi del finale. Nel Gioco di carte, l’autore immagina tre mani al poker, il balletto non c’è ma comunque Mariotti ce lo mostra con un danzare elegante delle braccia e un sinuoso muoversi della figura. L’Orchestra, galvanizzata, lo segue stretto-stretto in tempi e ritmi mobilissimi. Dei fortissimo contundenti irrompono comunque anche quando potrebbero meglio risultare se cautamente attenuati, ma la perizia nei contrasti di Mariotti, navigato operista, non si fa domare docilmente. Vale poi, per tanta parte del pubblico, che lo sottolinea con l’intensità degli applausi, quanto Susanna afferma ai riguardi di Cherubino … in verità egli fa tutto ben quello ch’ei fa.  Chačaturjan e il suo Concerto-Fantasia per Violoncello e Orchestra, risultano estranei allo stretto rapporto tra gli autori e le opere di cui sopra. La presenza del Concerto per violoncello si giustifica solamente con la brillante prova di Ettore Pagano, formidabile ventenne violoncellista romano, che esalta l’opera al massimo grado. Lo strumento che imbraccia, di paternità ignota, le note di sala, difformemente dalla consuetudine, non ne fa cenno, ha un suono potente, bello e “rotondo” per ricchezza di armonici, suono che corre e copre completamente gli spazi dell’Auditorio RAI. Le virtù che, in modo inappropriato, qui si attribuiscono allo strumento sono certamente da ascriversi soprattutto al polso, alle dita e alla sensibilità di chi lo imbraccia. Il Concerto, dopo un avvio orchestrale sommesso, lascia spazi al solista per alcune pagine di eccitante virtuosismo. Seguono pochi minuti di dialogo strumento-tutti per poi ulteriormente acconsentire al violoncello una lunga parentesi di fraseggio virtuosistico e appassionato. Il pezzo si chiude poi con una pagina di concorde e collettiva animazione. Mariotti ha tenuto saldamente la linea orchestrale su un percorso coeso che avrebbe potuto, se mal governato, tralignare in una serie di episodi sconnessi. Ne sarebbe uscita eccessivamente penalizzata una composizione che nei fatti non brilla per l’accattivante inventiva. Legni, ottoni, percussioni hanno potuto dare all’orchestra di Chačaturjan quella verve supplementare che forse sarebbe difficoltoso ricavare dalla sola pagina scritta. Come sempre accade, con un solista formidabile, il pubblico “esige” dei fuori programma, nell’occasione Pagano ne ha concessi due, da lui stesso annunciati, purtroppo in modo inintelligibile: una lamentosa cantilena armena in cui, alla malinconica suggestione del pianto del violoncello, si unisce il triste vocalizzare del solista; segue e conclude un’indiavolata pagina in pizzicato, che riecheggia ritmi e vibrazioni di sapore esotico. Il successo è stato convinto, pur se il pubblico, forse vittima degli stravizi festivi o dei sintomi della sempre incombente influenza, si mostrava falcidiato da abbondanti defezioni.

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Gli “Oblivion” dal 16 al 19 gennaio in scena al Teatro Nuovo di Verona

gbopera - Lun, 15/01/2024 - 18:00

Arrivano al Teatro Nuovo, nell’ambito di “Divertiamoci a teatro”, gli Oblivion con il loro nuovo spettacolo “Tuttorial” in scena da martedì 16 a venerdì 19 gennaio con inizio alle ore 21.00. Lo spettacolo – una “guida contromano alla contemporaneità”, un “anti musical carbonaro a metà tra avanspettacolo e dj set”, o anche una “guida galattica per autostoppisti moderni adatta a tutti” – si avvale della regia di Giorgio Gallione e ha per protagonisti i cinque Oblivion: Graziana Borciani, Davide Calabrese, Francesca Folloni, Lorenzo Scuda e Fabio Vagnarelli. In una scena piena di oggetti tra cui tanti strumenti percussivi, “L’ombelico del mondo” di Jovanotti è parafrasata nel “mestiere più antico del mondo”, quello di vendere la propria arte per stare sul mercato. In un mondo senza tempo dei social, personaggi di oggi e celebri personaggi del passato, da Galileo Galilei a Giuseppe Verdi, si ritrovano insieme a confrontarsi e a rapportarsi con il mondo tramite Internet. A Galilei, superstar di TikTok, tutti chiedono consigli. Verdi, dal canto suo, abbandona l’opera tradizionale e le orchestrazioni canoniche e propone un “Rigoletto” con l’accompagnamento dell’ukulele. E mentre Bell e Meucci litigano sull’invenzione del telefono, ecco arrivare le creature tipiche delle modernità come l’infaticabile rider e il pavido leone da tastiera più codardo di quello del “Meraviglioso mondo di Oz”. In questa folle playlist non poteva mancare una vecchia conoscenza degli Oblivion: il caro Alessandro Manzoni che questa volta vuole ambientare i suoi “I promessi sposi” nelle serie TV più famose di tutti i tempi. “Tuttorial” diventa così un vero e proprio strumento di orientamento grazie al quale in poche e semplici note, i grandi interrogativi umani hanno risposte alla portata di tutti. Gli spettatori potranno uscire dal teatro più saggi di Siri, più fluidi di D’Annunzio, più caldi del riscaldamento globale. Le scene di “Tuttorial”, spettacolo prodotto da Agidi, sono di Lorenza Gioberti, i costumi di Erika Carretta, il disegno luci di Andrea Violato.
Mercoledì 17 gennaio alle 18.00 gli Oblivion incontrano il pubblico in teatro. L’incontro, organizzato in collaborazione con il quotidiano “L’Arena”, è a ingresso libero ed è condotto dal caporedattore Luca Mantovani.

BIGLIETTI

platea € 2

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Recital di Arcadi Volodos per gli Amici della Musica di Firenze

gbopera - Dom, 14/01/2024 - 23:07

Firenze, Teatro della Pergola, Amici della Musica, stagione 2023-2024
Pianoforte Arcadi Volodos
Franz Schubert (1797-1828): Sonata n. 16 in la minore, D. 845; Robert Schumann (1810-1856): Davidsbündlertänze, op. 6
Firenze, 13 gennaio 2024
Ascolto per la prima volta Arcadi Volodos che, dal suo debutto a New York nel 1996, continua a registrare successi come nel Volodos Plays Schubert che gli è valso l’Edison Classical Award 2020. Ciò che colpisce dell’artista russo è l’etichetta di “virtuoso” che può essere condivisa pur con qualche precisazione. In effetti Volodos è un pianista da annoverare tra i virtuosi alludendo al significato etimologico del termine (virtus), ovvero musicista dotato di buone virtù, diversamente dalla tendenza, già intuita da Busoni, dal contenuto “peggiorativo”. In sostanza, per la continua ricerca di un chiaro fraseggio, senso di razionalità, individuazione e valorizzazione di ogni elemento della scrittura e per il proiettarsi verso la ‘maraviglia’, il pianista ricorda molto il virtuosismo del XVIII secolo poi accolto nel Romanticismo ad opera e in modelli di musicisti come Paganini o Listz, individuabili in una specie di figura bifronte. ovvero interprete e compositore. Volodos è un musicista che colpisce per il suo rapporto dialettico ed intimo con lo spartito, sempre alla ricerca dell’inesprimibile e a costo di uscire da certi clichés, inabissandosi in pianissimi di raro ascolto. Venendo al concerto non è sfuggito il binomio Schubert-Schumann. È noto il grande apprezzamento di quest’ultimo per le musiche del collega. La Sonata schubertiana n. 16 in la minore D. 845, in qualche modo sembrava voler dichiarare la frequentazione del pianista con l’autore, evidenziando l’espressione romantica anche attraverso le caratteristiche dialettiche della forma-sonata, smentendo così una certa critica che lo accostava al melodizzare sic et simpliciter con rimandi al lied che ancora lo vede un modello insuperabile. Il melos iniziale, grazie alla chiarezza espositiva del pianista, pian piano assumeva i contorni del primo gruppo tematico evidenziando ogni elemento di una scrittura cangiante finché, dopo l’articolato ponte, si lasciava traghettare al secondo tema che, pur diverso e nella sua relativa tonalità di do maggiore, a un ascolto più attento mostrava di cogliere, da parte dell’esecutore, gli elementi tematici ‘trasformati’ e già presentati all’inizio. Particolarmente impegnativa è apparsa la parte centrale dello sviluppo in cui Volodos aveva il compito di restituire ogni motivo musicale, non sempre facile da individuare, considerando ancora una volta la modifica degli elementi della scrittura per poi rientrare nella più rassicurante ripresa. L’ Andante con moto, pagina attraente in do maggiore, è stata l’ulteriore occasione per ascoltare con chiarezza il tema con relative variazioni impegnando il pianista in una raffinata interpretazione. Il terzo movimento (Scherzo con un Trio), nella sua dualità tonale (la minore e poi maggiore) portava all’Allegro vivace (Rondò) in cui all’ascoltatore, aspettando il reiterato refrain, non rimaneva che percepire il carattere leggero della godibile pagina pianistica. La seconda parte del programma ha presentato i Davidsbündlertänze op. 6 di Schumann, raccolta di 18 brani per pianoforte risalenti ad un periodo in cui il compositore tedesco nel 1834 fonda la rivista «Neue Zeitschrift fur Musik», ‘antidoto’ alle voci prive di fondamenti della dottrina musicale e nello stesso tempo spazio ideale per pubblicare saggi di carattere musicologico. Nel progetto schumanniano appaiono, con degli pseudonimi, delle persone corrispondenti alla «Lega dei compagni di David» (personalità che si propongono di combattere, scrivendo sulla rivista, i filistei) capeggiati da Florestano ed Eusebio, due figure che convivono nello spirito di Schumann. L’opera costituisce, come suggerito dallo stesso compositore, l’espressione dell’eterna alternanza di gioia e dolore. Ad unire i vari brani è il movimento di danza caratterizzato da una certa varietà tonale e la percezione di luci e ombre. Volodos ha evidenziato una trasparente chiarezza tanto che, nella successione dei singoli brani, si poteva cogliere il carattere dell’intero ciclo nel modo più aderente allo spirito schumanniano. Successo meritato e all’ovazione del numeroso pubblico il pianista ha risposto generosamente con i seguenti fuori programma: Listz/Volodos, Rapsodia n. 13; Schubert, Minuetto D600 e Mompou, El lago. Prima di concludere non posso tacere altre peculiarità di questo musicista che, nel panorama internazionale, lo rendono interessante e singolare. Dopo averlo ascoltato nei tre fuori programma, l’impressione è stata quella di trovarsi di fronte ad un artista capace di affrontare con naturalezza il grande repertorio che necessita di raffinata tecnica e allo stesso tempo di singolare musicalità. Si è potuto apprezzare un’espressione ed una cantabilità talmente bella tanto da immaginarlo tra i pianisti più ‘lirici’ e, più in particolare, nella Rapsodia le dita sembravano volare pur di raggiungere l’ineffabile. Dulcis in fundo, Volodos, quasi ‘concertatore’ del pianoforte, è riuscito ad ottenere una gamma di colori così raffinata ed ispirata tanto che il concerto, nel suo insieme, lascia il ricordo di una ricchezza di sentimenti, unito ad un’autentica silloge poetica.

 

 

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Le cantate di Johann Sebastian Bach: seconda domenica dopo l’Epifania

gbopera - Dom, 14/01/2024 - 00:17

“Ach Gott, wie manches Herzeleid” BWV 3, eseguita a Lipsia il 14 gennaio 1725, è la seconda, in ordine di tempo delle Cantate che Bach ha predisposto per la seconda domenica dopo l’Epifania. Una partitura che presenta i caratteri del “Lamento”. L’Anonimo autore del testo, tratto da un inno di  Martin Moller (1547-1606)  del 1587 che aveva come fonte il testo latino “Jesus Dulcis Memoria”, ha tratto dall’episodio delle nozze di Cana l’espressione dello sconforto e del dolore. Nell’interpretazione di Bach, la pagina iniziale, un Coro che affida alle voci dei bassi, con il raddoppio di un trombone, la melodia del Corale. Una circostanza che si verifica solo 2 volte nell’opera di Bach. È un “lamento” dalle tinte tenui, malinconico, avviato da un sospiroso disgno degli oboi d’amore. Il nr.2 della partitura, è un anomalo Corale intonato nel normale stile omofono, ma con l’inserimento, fra un versetto e l’altro, di alcuni versetti liberi in stile di recitativo affidati alle voci di tenore, contralto, soprano e basso. Due sono le arie: la prima, tripartita, è affidata al basso, sostenuta dal solo Basso Continuo, in stile “ostinato” e presenta una linea di canto ricca di colorature. La seconda aria è in realtà un ampio duetto tra soprano e contralto, tripartito, con una parte strumentale che vede oboe d’amore e violino primo, all’unisono, con la presenza, anche qui, di una figurazione ostinata del Continuo, ben scandita.
Nr.1 – Coro
Ah Dio, che angoscia
affronto in questo momento!
Di quanti dolori è seminata la via stretta
che mi conduce in Cielo.
Nr.2 – Recitativo e Corale (Coro, Tenore, Contralto, Soprano, Basso)
Coro
Con quanta difficoltà la carne e il sangue
Tenore
che aspirano solo alle vanità terrene
senza rispetto di Dio né del Cielo,
Coro
si sforzano di raggiungere il bene eterno!
Contralto
Da quando, o Gesù, sei diventato il mio tutto,
la mia carne resta recalcitrante.
Coro
Dove dirigerò i miei passi?
Soprano
La carne è debole, ma lo spirito è volenteroso;
aiutami dunque, tu che conosci il mio cuore.
Coro
I miei pensieri, o Gesù, sono rivolti a te!
Basso
Chi confida nel tuo consiglio e nel tuo aiuto
non ha mai costruito su cattivo terreno,
poichè sei venuto a consolare il mondo intero
e hai rivestito la nostra carne
per cui la tua morte ci salva
dalla rovina eterna.
Così un’anima credente può gustare
la bontà e l’amicizia del Salvatore.
Nr.3 – Aria (Basso)
Pur sperimentando l’angoscia e i tormenti dell’inferno,
il mio cuore sia sempre colmo
di un’autentica gioia celeste.
Mi basta pronunciare il nome di Gesù
per dissipare smisurate sofferenze
come una inconsistente foschia.
Nr.4 – Recitativo (Tenore)
Il mio corpo e il mio spirito possono consumarsi,
ma se tu sei mio, o Gesù,
e io sono tuo
non mi curo di nulla.
La tua parola fedele
e il tuo amore senza fine
che rimangono sempre immutati
conservano intatta l’antica alleanza,
che riempie il mio petto d’allegria
e acquieta la paura della morte, l’orrore della tomba.
Se i bisogni e le difficoltà mi assalgono da ogni parte,
il mio Gesù sarà mio tesoro e mia ricchezza.
Nr.5 – Aria-Duetto (Soprano, Contralto)
Quando le preoccupazioni mi opprimono
voglio con gioia
cantare al mio Gesù.
Gesù mi aiuta a portare la croce,
per questo voglio affermare con fede:
opera sempre per il meglio.
Nr.6 – Corale
Conserva il mio cuore nella purezza della fede
così vivrò e morirò per te solo.
Gesù, mia consolazione, ascolta la mia preghiera,
o mio Salvatore, vorrei essere con te.
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach:Cantata “Ach Gott, wie manches Herzeleid” BWV3

 

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Roma, Museo Storico della Fanteria: “Andy Wharol. Universo Warhol”

gbopera - Ven, 12/01/2024 - 18:30

Museo Storico della Fanteria di Roma
Piazza di S. Croce in Gerusalemme, 9 – Roma
ANDY WARHOL. UNIVERSO WARHOL
Curata da Achille Bonito Oliva
con una sezione musicale a cura di Red Ronnie
coordinamento artistico di Vincenzo Sanfo
Dal 21 Ottobre 2023 – 17 Marzo 2024
«Non pensare di fare arte, falla e basta. Lascia che siano gli altri a decidere se è buona o cattiva, se gli piace o gli faccia schifo. Intanto mentre gli altri sono lì a decidere tu fai ancora più arte». (Andy Warhol)
Andy Warhol emerge come una delle figure più intriganti e versatili che la storia abbia mai consegnato al mondo dell’arte. La sua psicologia complessa si manifesta attraverso un’apparente assenza di una soggettività chiaramente definibile, un enigma che contribuisce a rendere ancora più affascinante la sua figura. Ciò che rende questa mancanza di soggettività così unica è la sua inconcludenza apparente, un’elusività che, tuttavia, trova una spiegazione nella connessione intrinseca di Warhol con il suo tempo. Come pochi altri artisti nella storia dell’arte occidentale, tra cui Fidia e Raffaello, Warhol si erge come l’artista intrinsecamente intrecciato alla contemporaneità. Questa caratteristica distintiva, da non confondere con un’approvazione universale della sua opera, eleva Warhol al ruolo di creatore artistico più vibrante, controverso, sensuale ed emblematico della sua epoca. La sua capacità di catturare l’energia pulsante del suo tempo si traduce in opere che non solo riflettono la società circostante, ma che la plasmano attivamente, diventando una parte integrante del tessuto culturale e artistico dell’epoca. In un panorama artistico spesso caratterizzato da conformismo o ribellione radicale, Warhol si distingue come un’icona dell’innovazione, sfidando le convenzioni con la sua estetica unica e il suo approccio alla creazione artistica. La sua eredità controversa e intramontabile è testimone di un genio che, sebbene possa apparire enigmatico e privo di una chiara soggettività, è, in realtà, il riflesso più nitido e audace del suo tempo.  L’arte di Warhol diviene intrigante grazie alla fusione di narrazione, stile e creatività unica. Le sue rappresentazioni si concentrano sull’America avvolta nel fervore filosofico del consumismo. Warhol crea opere totalmente integrate in questo mondo, concepite per essere consumate come prodotti.  Il padre del pop abbraccia il sentimento borghese dell’epoca, reinterpretandolo con genialità anziché copiarlo. La sua narrativa è una raffinata armonizzazione dei fondamenti estetici della moda del tempo. Warhol, nel suo alternarsi tra creatività e mimesi, sfugge a una dimensione privata o intima.  Curata da Achille Bonito Oliva, con una sezione musicale a cura di Red Ronnie e il coordinamento artistico di Vincenzo Sanfo, la rassegna presenta a Roma, dal 21 ottobre al marzo 2024, ben duecentocinquanta opere del “re” della Pop Art. Inserita nelle iniziative di Difesa Servizi, l’esposizione mira a promuovere e valorizzare il ricco patrimonio museale militare. Non solo tramite procedure ad evidenza pubblica, ma anche attraverso mostre, concerti, dibattiti e presentazioni di libri. Questa è la prima mostra a Roma in uno dei 15 musei militari gestiti direttamente dalle Forze Armate, e vanta la partecipazione di un artista di tale calibro. La fusione del contesto militare, rappresentato dal Museo della Fanteria che ospita l’esposizione, con l’immagine di un artista così eccentrico e opere che si discostano dalle rigide leggi della disciplina, spesso morale, costituisce il fulcro affascinante di questa mostra. L’ingresso austero del museo, caratterizzato da una formalità e simmetria sfacciatamente istituzionali, si trasforma internamente in un’esposizione che esplode con una forza persino giocosa. La mostra si sviluppa attraverso cinque stanze e alcuni corridoi, offrendo una completa esplorazione delle molteplici sfaccettature del talento poliedrico di Warhol e si distinguono per un’accoglienza impattante, dove le opere sono disposte con una logica impeccabile, senza trascurare l’eccentrica bellezza e un senso di straordinaria sorpresa visiva. L’illuminazione, attentamente calibrata, conferisce una tridimensionalità sorprendente sia agli elementi illuminati che allo spazio espositivo nel suo complesso. Tale cura nella gestione della luce non solo valorizza ogni singolo pezzo, ma regala al contesto una forza e un impatto notevoli, rendendo l’esperienza per il pubblico non solo interessante, ma anche coinvolgente. La decisione di limitare le informazioni o didascalie su ogni singola opera è intenzionale: l’attenzione è focalizzata sull’impatto e sulla trasformazione dell’oggetto, dal comune all’archetipico, che costituisce la chiave di lettura più profonda. Questo approccio mira a suscitare uno stimolo potente, invitando il visitatore a una riflessione personale senza sovraccaricarlo di dettagli. Le immagini proposte catturano piacere, erotismo, fascino, temerarietà, bellezza, avventura, pace e possesso. L’interrogativo sotteso è: quale significato si cela dietro la comprensione e l’indicizzazione di tali rappresentazioni? Nessuno. Nell’ambito della sua produzione artistica più rinomata, la mostra presenta oltre 70 serigrafie, tra cui spiccano 24 opere “After Andy Warhol”. Tra le opere in esposizione, emergono le celebri serigrafie delle Campbell’s Soup, un tuffo nelle suggestioni delle Campbell’s Soup e il collage delle 12 Marilyn Monroe. Oltre a queste, sono presenti opere come Electric Chairs, Mao, Flowers, Fish, Gems e Halston, insieme a una serie dedicata alle favole di Andersen e a quelle del libro “Cats”. La mostra offre l’opportunità di ammirare le ceramiche Rosenthal bianche, dipinte in oro, e una pioggia di polaroid, definizione di Warhol per “l’arte più istantanea”.  Un’apposita sezione è dedicata alla musica, curata da Red Ronnie, che espone 60 vinili originali con copertine disegnate da Andy Warhol, divenute iconiche nella cultura contemporanea. La mostra propone anche una galleria di circa 20 copertine, tra cui si evidenziano i volti di personaggi come Jack Nicholson, Salvador Dalì, Annie Lennox, Jacqueline Bisset e Angelica Houston. La mostra si conclude con un omaggio a Lucio Amelio, rinomato gallerista e figura di spicco nel panorama artistico italiano. Questo omaggio è un doveroso tributo a colui che ha contribuito a rendere celebre Warhol in Italia, promuovendo le sue opere e valorizzando il panorama artistico, culturale e dell’arte d’oltreoceano di quel periodo. Un’esposizione da esplorare in un ambiente affascinante, con la speranza di coinvolgere la curiosità dei visitatori a indagare ulteriormente il Museo della Fanteria quando aprirà nuovamente le sue porte. Quest’ultimo, degno di una visita separata, indipendentemente dalle sensibilità individuali riguardo agli oggetti militari e alla storia dell’esercito.  @Photo Credit: Stefano Renna. Qui per tutte le informazioni.

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Roma, Teatro Ambra Jovinelli: “Sesto potere: nascita di una democrazia violata dall’odio, dal danaro e dalla vendetta”

gbopera - Gio, 11/01/2024 - 23:59

Roma, Teatro Ambra Jovinelli
SESTO POTERE: NASCITA DI UNA DEMOCRAZIA VIOLATA DALL’ODIO, DAL DENARO E DALLA VENDETTA
scritto e diretto da Davide Sacco
con Francesco Montanari, Cristiano Caccamo, Matteo Cecchi, Nina Torresi
con la partecipazione in video di Lorenzo Gioielli
con la voce di Antonio Zavatteri
scene Luigi Sacco
costumi Valeria Pacini
musiche Davide Cavuti
disegno luci Luigi Della Monica
progettazione video Igor Renzetti
grafiche e animazione video Elio Di Paolo e Francesco Rufini
aiuto regia Danilo Capezzani
assistente alla regia Elisa Gabrielli
direttori di produzione Marica Castiello e Luigi Cosimelli
ufficio stampa Carla Fabi & Roberta Savona
produzione Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro – LVF – Teatro Manini di Narni – Teatro Comunale di Sulmona “Maria Caniglia”
Roma,10 Gennaio 2024
La vigilanza si erge come una dimensione cardine del nostro universo contemporaneo, un teatro in cui incessantemente siamo oggetto di scrutinio, sottoposti a incessanti valutazioni e giudizi, persino nei dettagli più effimeri della nostra routine quotidiana. Paradossalmente, siamo noi stessi, gli osservati, a fornire il maggior flusso di informazioni personali, imbevendo i meandri dei social network con il nostro intimo, tracciando percorsi digitali con la carta di credito e cedendo a ricerche online. Il desiderio di preservare la nostra solitudine si è inesorabilmente arreso alla speranza di un’eterna compagnia, mentre la gioia di essere notati ha soppiantato la paura di essere svelati e confinati. Oggi, i custodi della sorveglianza si differenziano notevolmente dagli osservatori antiquati, intenti a vegliare sulla monotonia di una routine costrittiva. Piuttosto, si dedicano a cacciare gli effimeri schemi dei desideri e dei comportamenti da essi ispirati, in una danza estremamente volatile. La collaborazione, anzi l’entusiasmo, dei manipolati emerge come la loro risorsa preminente. Davide Sacco affronta un tema che, giorno dopo giorno, accresce il suo dominio sulle nostre esistenze: cosa comporta essere oggetto di osservazione incessante e osservare senza tregua, e quali conseguenze politiche e morali scaturiscano da questa condizione. In un garage sconosciuto, tre giovani operano al servizio del partito di destra, orchestrando la diffusione di notizie false per manipolare l’andamento della campagna elettorale. Nella frenesia dell’ultima sera prima del periodo di silenzio elettorale, i sondaggi sorridono al partito, ma la situazione cambia drasticamente quando un influente giornalista di nome Malosi demolisce il vicesegretario del partito in diretta. I ragazzi, rendendosi conto che la soluzione non è più generare fake news sulla sinistra, ma screditare il giornalista, investono rapidamente migliaia di euro per diffondere la notizia che Malosi avrebbe accettato denaro dalla sinistra per influenzare la campagna elettorale. La loro strategia sembra funzionare quando il presidente della rete televisiva sospende la trasmissione di Malosi, raggiungendo così il loro obiettivo. Tuttavia, questo successo arriva a un costo elevato, poiché il loro budget si esaurisce. I tre ragazzi, caratterizzati da motivazioni diverse – rabbia politica, ricerca di profitto e odio personale nei confronti di Malosi – iniziano a discutere animatamente quando si rendono conto di aver esaurito le risorse finanziarie a loro disposizione. La struttura scenografica di Luigi Sacco si presenta senza fronzoli, una tavolozza asettica accesa dalle luci fluorescenti e dalle attente proiezioni di Igor Renzetti con grafiche e animazione video di Elio Di Paolo e Francesco Rufini. Qui, i personaggi danzano come in un balletto televisivo, apparendo e scomparendo con una coreografia sincronizzata. Ma ciò che si dipana sotto questa luce fredda è tutto tranne che fittizio. I drammi che prendono vita sono terribilmente reali, e il dialogo procede incalzante, senza dare respiro a nessuno. Le luci di Luigi Della Monica, come potenti pennellate, dipingono forza e tensione in questa atmosfera teatrale. La recitazione è attenta, vibrante, con ritmi ben cadenzati che lasciano lo spettatore costantemente in uno stato di tensione, sospeso nell’attesa di raggiungere un apice narrativo apocalittico. Il cast brilla con due talenti incredibili: Cristiano Caccamo e Francesco Montanari, una coppia già ben collaudata nel mondo del teatro. Sempre attenti alla parola, padroni dei tempi e con una fisicità tanto presente quanto coinvolgente. Ma anche il resto del cast non è affatto da meno. Il pubblico, totalmente conquistato ed entusiasta, ha tributato onore allo spettacolo con applausi scroscianti.  Qui per tutte le informazioni.

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Roma, Teatro Argentina: “Clitennestra” da “La Casa dei nomi “di Colm Tòibìn

gbopera - Mer, 10/01/2024 - 23:59

Roma, Teatro Argentina
CLITENNESTRA

da La casa dei nomi di Colm Tóibín
adattamento e regia Roberto Andò
con Isabella Ragonese, Ivan Alovisio, Arianna Becheroni, Denis Fasolo
Katia Gargano, Federico Lima Roque, Cristina Parku, Anita Serafini
coro Luca De Santis, Eleonora Fardella, Sara Lupoli, Paolo Rosini, Antonio Turco
scene e luci Gianni Carluccio
costumi Daniela Cernigliaro
musiche e direzione del coro Pasquale Scialò
suono Hubert Westkemper
coreografie Luna Cenere
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Campania Teatro Festival – Fondazione Campania dei Festival
Roma, 10 gennaio 2024
L’ardua impresa di reinventare i classici, ancor più quando si tratta di miti, si presenta come una sfida molto spesso titanica. L’operazione di amplificare ciò che originariamente è sintetico raramente giunge a compimento con successo, e spesso comporta rischi di considerevole portata. La genialità nella penna di Colm Tóibín si dispiega in maniera avvincente e leggera, quasi come gli accenti distintivi di fumettisti che, con pochi tratti, danno vita a mondi magici e con la sua abilità narrativa, riesce a tessere nuove prospettive e interpretazioni dei miti, mantenendo un equilibrio delicato tra innovazione e rispetto per la tradizione. Sa riscrivere gli scenari classici, creando nuovi drammi senza perdersi nei meandri della complessità. Con la penna maneggiata con parsimonia, ma con un impatto straordinario, Tóibín riesce a catturare l’essenza dei miti, rivisitandoli in un contesto contemporaneo senza snaturarne mai la potenza originaria. In questo delicato equilibrio tra antico e moderno, l’autore conferisce nuova vita e significato alle storie tramandate attraverso i secoli, rivelando la sua maestria nel reinventare il patrimonio letterario con un tocco tanto raffinato quanto innovativo. L’arte di Tóibín dona vita a personaggi mitologici così in modi inaspettati. La sua scrittura è un viaggio, una traversata attraverso il misterioso territorio della condizione umana. Con una delicatezza inebriante, incanta gli spettatori, attirandoli nell’incantesimo di un linguaggio che si fa gesto, movimento, vita. Roberto Andò nell’adattamento teatrale e nella regia ben comprende queste dinamiche e le sposa  con coraggio e senza censure. Nel cuore dell’azione drammatica, Clitennestra emerge inizialmente come vittima del proprio dolore, una protagonista avvolta in una complessità emotiva che si dispiega con forza fin dal primo capitolo. Tuttavia, questa intensità si sgretola quasi istantaneamente, lasciando spazio a un ritratto di madre che si trasforma in una figura sconosciuta. Un’entità potente, ma contaminata negativamente dalle piccolezze dell’amante e da un istinto materno distorto nel corso del tempo. Ciò che svanisce con la stessa rapidità è il panorama immaginifico e simbolico, quello delle figure astratte che di solito orientano la vita terrena e conferiscono significato agli eventi più feroci. Gli Dei, o se preferiamo, la rappresentazione del grande Altro, si eclissa dalla scena, lasciando un vuoto che si fa sentire. Il dramma perde così il suo ancoraggio nel mito e nell’immaginario collettivo, cedendo il passo a una trama terrena intrisa di meschinità e dettagli umani distorti. La lacerazione emotiva iniziale di Clitennestra, che prometteva di essere il filo conduttore di un’epica personale, si dissolve troppo presto, tradendo le aspettative dell’audience che si aspettava di immergersi in un mondo intriso di simbolismo divino. La transizione da una figura dalle sfumature mitiche a una donna di potere delusa e contorta crea una frattura nel tessuto drammatico, trascinando lo spettatore in una realtà terrena e grezza, sprovvista della profondità e della guida simbolica degli Dei. Il palcoscenico, una volta abitato da forze cosmiche e archetipi, si trasforma in un teatro di umanità distorta, priva di riferimenti mitologici. Il risultato è un dramma che perde la sua dimensione epica, relegando la tragedia personale di Clitennestra a una storia di potere e debolezza umana, priva della grandiosità e dell’eternità che solo gli Dei possono conferire. Le luci e le scenografie di Gianni Carluccio, in sintonia con la visione registica, si rivelano non solo esteticamente affascinanti ma anche coerenti con il percorso drammaturgico. La maestria di Carluccio emerge nella capacità di creare ambienti senza tempo, tanto da trasportare il pubblico al di là di una precisa collocazione geografica. L’ universalità del suo linguaggio strutturale agisce come un ponte, distogliendo gli spettatori da contingenti realtà e immergendoli in un mondo teatrale senza confini. La scelta luminosa poi, studiata con cura, non solo enfatizza gli elementi visivi ma si integra armoniosamente con la narrazione. Isabella Ragonese, la talentuosa attrice palermitana, si distingue per la straordinaria capacità di incarnare il suo personaggio con una credibilità che penetra nell’anima, esplorando con maestria ogni sfumatura della disperazione di una madre consapevole della tragica inevitabilità di perdere la propria figlia. Dal momento dell’incredulità, attraverso la disperazione e la rabbia, fino ad arrivare all’odio cieco, la sua interpretazione si muove con una maestria straordinaria. Ciò che colpisce particolarmente è la sua capacità di mantenere un equilibrio anche quando le emozioni raggiungono il culmine. Il desiderio di vendetta, che diventa la motivazione primaria del personaggio, è interpretato con una forza che impressiona, senza mai oltrepassare la soglia della perdita di senso. L’attrice riesce a infondere nella sua recitazione un’intensità che trascina lo spettatore attraverso il viaggio emotivo del personaggio, mantenendo salda la bussola della verosimiglianza. Il resto del cast dimostra una brillante interpretazione, e tra di essi spicca Ivan Alovisio, il cui Agamennone si presenta più autoritario nel contesto familiare che autorevole con l’esercito. La sua performance è credibile, specialmente nel dipanarsi della disperazione innocente. Arianna Becheroni (Ifigenia), offre un’interpretazione toccante e piena di veridicità. I momenti di danza, orchestrati con maestria, coinvolgono sia il coro che i protagonisti, con coreografie di Luna Cenere, su pezzi dei Prodigy e toccate e fughe di Bach. La fusione di stili musicali e coreografici aggiunge un elemento dinamico e contemporaneo alla rappresentazione, conferendo alla produzione un tocco di freschezza e innovazione. L’applauso caloroso del pubblico è un tributo meritato alla qualità delle performance e all’efficacia delle scelte artistiche. Photo: @Lia Pasqualino. Qui per le altre date.

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Roma, Teatro dell’Opera: “Die Zauberflöte” dal 12 al 21 Gennaio 2024

gbopera - Mer, 10/01/2024 - 09:00

Roma, Teatro dell’Opera
DIE ZAUBERFLOTE
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Singspiel in due atti
su libretto di Emanuel Schikaneder
Prima rappresentazione assoluta Theater auf der Wieden, Vienna, 30 settembre 1791
Prima rappresentazione al Teatro Costanzi 16 marzo 1937
Per la prima volta nella Capitale, il Teatro dell’Opera di Roma ospita il celebre Singspiel di Wolfgang Amadeus Mozart con la regia di Damiano Michieletto, in un allestimento del Teatro la Fenice di Venezia in coproduzione con il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino. Nella visione del regista veneziano, il capolavoro del compositore austriaco è ambientato in una scuola, dove Sarastro, la Regina della Notte Papageno si muovono in un’atmosfera sospesa tra ragione e  dogmatismo, e i giovani Tamino e Pamina sono alla ricerca della propria crescita e della propria individualità. In scena, un cast straordinario, tra cui Juan Francisco Gatell (Tamino), Emőke Baráth (Pamina), Markus Werba (Papageno), Olga Pudova (Regina della Notte) e John Relyea (Sarastro), accompagnati dall’Orchestra del Teatro dell’Opera diretta da Michele Spotti, Direttore musicale dell’Opéra di Marsiglia, al suo debutto capitolino. Prova generale venerdì 12 gennaio ore 20.00, aperta al pubblico a favore di Medici Senza Frontiere. Prima il 13 gennaio in diretta su Radio3. Qui per tutte le informazioni.

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Johann Sebastian Bach (1685-1750): “Partite” BWV 825-830

gbopera - Mar, 09/01/2024 - 10:00

Partita No.1 in si bemolle maggiore BWV825; Partita No.2 in do minore BWV826; Partita No.3 in la minore BWV827; Partita No.4 in re maggiore BWV828; Partita No.5 in sol maggiore BWV829; Partita No.6 in mi minor BWV830. Wolfgang Rübsam (liuto-cembalo). Registrazione: novembre 2020, presso la Immanuel Lutheran Church, Valparaiso IN, USA. T. Time: 76′ 29″ (CD 1) e 74′ 46″ (CD2). 2CD Brilliant Classics LC09421
Delle Partite di Bach non mancano certo le incisioni a partire da quelle pianistiche (ahimè!), a volte poco rispettose dello stile e della prassi esecutiva dell’epoca,  a quelle clavicembalistiche tra le quali si collocano sicuramente alcune edizioni di riferimento, come quella storica del grande clavicembalista Scott Ross o quella più recente dell’altrettanto grande Ton Koopman, per citarne soltanto due. Di fronte a una nuova incisione, verrebbe da chiedersi: cosa si può dire di nuovo su una produzione musicale così frequentata? L’ascolto di questo doppio album, del quale è protagonista Wolfgang Rübsam,  dimostra, invece, come sia possibile essere raffinati e originali interpreti di questa produzione qui, tra l’altro, eseguita non su un normale clavicembalo, ma su un liuto-cembalo, del quale abbiamo parlato nella recensione di un altro Cd riguardante le Sonate di Silvius Leopold Weiss. Anche in quest’occasione l’artista ci regala un’edizione di assoluto valore, nella quale questi capolavori del genio bachiano sono eseguiti con profonda espressione e attenzione allo stile e alla prassi esecutiva. Come per le Suite francesi, Rübsam stacca dei tempi leggermente più lenti rispetto ad altre pur pregevoli esecuzioni per esaltare i valori espressivi di queste pagine. Ne è un esempio la fuga a due voci conclusiva della Sinfonia della seconda partita nella quale l’artista, lungi dal fare uno sterile sfoggio di tecnica, come certe volte capita di ascoltare in alcune esecuzioni pianistiche, pone in rilievo le entrate del soggetto respirando e indugiando leggermente e sempre con equilibrio. In quest’incisione che si propone come autentica edizione di riferimento, questo è solo un esempio di come il purissimo e magico lirismo di queste perle del genio di Bach è esaltato da Rübsam grazie ad un espressione realizzata attraverso un approccio al tempo sempre vario e mai meccanico.
 

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Roma, Teatro Brancaccio: “Peter Pan: Il Musical” dal 16 al 21 Gennaio 2024

gbopera - Mar, 09/01/2024 - 09:00

Roma, Teatro Brancaccio
Stagione 2023 2024
PETER PAN: IL MUSICAL
Peter Pan LEONARDO CECCHI
Wendy MARTHA ROSSI
Capitan Uncino GIO’ DI TONNO
Giglio Tigrato MARTINA ATTILI
Spugna RENATO CONVERSO
Peter Pan (Secondo cast) GIOACCHINO INZIRILLO
Musiche Edoardo Bennato
Regia di Maurizio Colombi
Dal 16 al 21 Gennaio 2024
Grande attesa per il ritorno di uno dei musical più amati e longevi del panorama teatrale italiano: PETER PAN – Il Musical sarà nuovamente in tour nei principali teatri. Nel ruolo di Capitan Uncino un interprete dal carisma straordinario e dalla voce potente come Giò Di Tonno che si calerà nei panni del temibile e perfido nemico di Peter Pan. Presentato da Alveare Produzioni Gli Ipocriti Melina BalsamoPETER PAN – Il Musical è un sorprendente successo lungo 17 anni. Dal 2006, quando debuttò per la prima volta, lo spettacolo ha già affascinato oltre un milione di spettatori con più di 950 repliche ed è stato insignito di prestigiosi premi come il Premio Gassman e tre Biglietti d’Oro Agis. Riconoscimenti che testimoniano l’affetto del pubblico per questa fortunata produzione. Lo show vanta la regia di Maurizio Colombi e le musiche indimenticabili di Edoardo Bennato che trasportano gli spettatori in un percorso emozionante e coinvolgente, in cui la fantasia si mescola con la realtà, regalando momenti di pura meraviglia. Cuore pulsante dello spettacolo è proprio la colonna sonora: uno straordinario viaggio in musica nel mondo fantastico di Peter Pan, con alcune tra le più famose canzoni di Edoardo Bennato tratte dal mitico album del 1978 Sono solo canzonette e con altri brani come “Il rock di Capitan Uncino“, “La fata“, “Viva la mamma” e molte altre, fino alla celeberrima “L’isola che non c’è“. I brani sono stati riarrangiati dallo stesso cantautore per lo spettacolo teatrale, oltre all’inserimento dell’inedito “Che paura che fa Capitan Uncino“. Altro punto di forza dello spettacolo sono i 21 artisti in scena, diretti da Maurizio Colombi, che animano un mondo magico arricchito di effetti speciali come il volo di Peter. Sullo sfondo, la fatina Trilli, gli immancabili duelli con Capitan Uncino e i suoi pirati, il simpatico Spugna, la vivace compagnia dei Bimbi Sperduti, Giglio Tigrato e il sinistro ticchettio dell’astuto Coccodrillo che terrorizza Uncino. Il cast, capeggiato da Giò Di Tonno nuovamente in un ruolo da protagonista dopo il tour, ovunque sold out, del ventennale di Notre Dame de Paris, sarà annunciato nelle prossime settimane. In scena dal 2006, quando debuttò per la prima volta al Teatro Augusteo di Napoli e poi al Teatro Arcimboldi di MilanoPETER PAN – Il Musical è stato riallestito negli anni molte volte fino all’ultima produzione del 2019. A dimostrare la sua eterna fama sono le centinaia di repliche, lo sconfinato entusiasmo del pubblico e i prestigiosi premi ricevuti che hanno contribuito a espandere la sua popolarità anche all’estero fino a portarlo nel 2018 alla Royal Opera House Muscat in Oman. PETER PAN – Il Musical in Italia è andato in scena nei maggiori teatri: dal Teatro Arcimboldi di Milano all’Arena di Verona, dal Teatro Sistina di Roma al Teatro Antico di Taormina e ora si prepara a volare nuovamente sul suolo italiano per un nuovo entusiasmante tour 2023-2024. Tratto dal romanzo di James Matthew Barrie che ha conquistato generazioni di ragazzi e non, PETER PAN – Il Musical è un’esperienza teatrale unica e coinvolgente da condividere con tutta la famiglia: un viaggio verso “l’isola che non c’è”, per vivere tante emozioni con i protagonisti dello spettacolo. Qui per tutte le informazioni.

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Opéra Municipal de Marseille: “La veuve joyeuse”

gbopera - Lun, 08/01/2024 - 22:50
Marseille, Opéra Municipal, saison 2023/2024 “LA VEUVE JOYEUSE” Opérette en 3 actes, livret de Viktor Léon et Leo Stein d’après la comédie de Henri Meilhac Musique Franz Lehár Missia Palmieri  CATHERINE GILLET Nadia, baronne Popoff  PERRINE MADOEUF Olga Kromski  PERRINE CABASSUD Sylviane Bogdanovitch SIMONE BURLES Preiskovia / Grisette  ELENA FUR Grisettes  MIRIAM ROSADO /FRANSCESCA CAVAGNA/ALINA SYNELNYKOVA Danilo  REGIS MENGUS Popoff  MARC BARRARD Camille de Coutençon  LEO VERMONT-DESROCHES Figg  JEAN-CLAUDE CALON D’Estillac  MATTHIEU LECROART  Lérida  ALFRED BIRONIEN Kromski  JEAN-MICHEL MUSCAT Bogdanovitch  JEAN-LUC EPITALON Pritschitch  CEDRIC BRIGNONE Orchestre et Chœur de l’Opéra de Marseille Direction musicale Didier Benetti Chef de Chœur Florent Mayet Mise en scène Jean-Louis Pichon
Décors et costumes Jérôme Bourdin Lumières Michel Theuil Chorégraphie Laurence Fanon
Marseille, le 4 janvier 2024 Pour les fêtes de fin d’année “La Veuve joyeuse”, l’opérette de Franz Lehár, était à l’affiche à l’Opéra de Marseille. Créée en 1905 au Theater an der Wien, cette opérette connut un succès international phénoménal. Viennoise, certes par son compositeur, mais dans un esprit français car adaptée du vaudeville de Henri Meilhac “L’Attaché d’ambassade”. Jouée 20 000 fois avant d’être créée à Paris quatre ans plus tard, pourquoi ce succès ? Une certaine légèreté qui renvoie à la belle époque, une élégance tout autrichienne, des airs faciles à retenir et une musique enlevée teintée de romantisme… Cette production créée à Saint-Etienne en 2022 casse un peu les codes. Moins festive, moins folklorique peut-être, mais un peu plus poétique. En mettant l’accent sur le couple vedette, Jean-Louis Pichon rend la pièce plus intimiste. Les lumières conçues par Michel Theuil nous transportent dans un univers bleuté propice aux romances laissant, dans un halo de lumière, ressortir les pas d’une valse lente et sentimentale. Le style Revue a-t-il inspiré Jean-Louis Pichon ? Les décors de Jérôme Bourdin pourraient le laisser croire : une estrade et une large descente d’escalier. L’ai-je bien descendu ? pourrait s’exclamer Cécile Sorel comme dans la Revue “Vive Paris” du Casino de Paris. Une grande cage dorée remplie de fleurs ouvrira sa porte au petit pavillon complice. Peu de décors donc, mais qui empêchent tout de même l’évolution des choristes confinés derrière l’escalier et c’est dommage. C’est aussi à Jérôme Bourdinque nous devons les costumes. Il ne semble avoir été inspiré que par ceux de Missia. Originaux, peut-être, élégants sans doute. Redingote noire laissant traîner une longue jupe couverte de fleurs colorées et chapeau haut de forme dès son apparition et fleurs encore pour la longue robe rose du dernier acte, mais très joli corsage blanc sur une ample jupe colorée au deuxième acte, qui laisse à Missia l’aisance nécessaire pour danser le Kolo, cette danse populaire de Moldave. Robe bleue élégante aussi pour l’ambassadrice Nadia. Et, puisque les dames du chœur sont cachées, pourquoi les vêtir de robes de réceptions ? Des costumes noirs d’ambassadeurs seront suffisants. L’accent n’est mis ici que sur les solistes. La mise en scène bien réglée épouse le rythme de la musique et procède de cette ambiance intimiste. La chorégraphie de Laurence Fanon intelligente, amusante apporte gaîté et animation avec un ballet de grooms tout de rose vêtus. Le succès du spectacle viendra sans doute des interprètes, bien dans leur rôle, bien dans leur voix. Anne Catherine Gillet est une superbe Missia qui séduit aussi bien le prince Danilo que le public. De l’allure, de la prestance et une voix colorée au timbre lumineux. Son léger vibrato laisse ce qu’il faut de vibrations à ses aigus tout en gardant la musicalité du phrasé. On se laisse entraîner dans sa chanson “Vilya Ô Vilya” tout en fredonnant “Heure exquise…” La Nadia de Perrine Madoeuf est élégante jusque dans ses hésitations ; cèderai-je ou non au charme de Camille de Coutançon ? Hésitations qui donnent à entendre de jolis duos avec son interprète, le ténor Léo Vermont-Desroches aux aigus percutants. Nous rêvons avec eux : “Rêvons, oui, rêvons…” avant d’entrer dans ce Joli pavillon sur cet air fameux empreint de fraicheur. Cèdera, ne cèdera pas, c’est la question que l’on se pose en écoutant la voix de baryton de Régis Mengus, ce Danilo noceur au cœur tendre, à l’aise et charmeur, drapé dans son manteau blanc qu’il porte avec négligence. Et l’on est bien soulagé lorsqu’enfin il prononce le “Je vous aime” que Missia attendait après avoir succombé à cette Heure exquise murmurée d’une voix chaude. Il faut signaler le jeu et la diction de Marc Barrard pour ce Popoff sous le charme des “P’tit’s femmes frivoles” après avoir chanté “Ah ! Les femmes…” dans un septuor très rythmé. Tous les artistes étant bien dans leur rôle, il faut citer le fougueux Lérida d’Alfred Bironien, le D’Estillac de Matthieu Lécroart à la voix sonore et bien placée, ainsi que Jean-Michel Muscat dans un Kromski toujours à la recherche de sa femme, Jean-Luc Epitalon (Bogdanovitch) ou Cédric Brignone (Prischitch). Une mention particulière pour l’amusant Figg de Jean-Claude Calon qui apporte une note de légèreté sans exagération. Ces dames, Perrine Cabassud (Olga Kromski), Elena Le Fur (Preiskovia), malgré leurs costumes noirs font ressortir une frivolité de bon ton à cette époque. N’oublions pas la Sylviane Bogdanovitch interprétée par la pétulante Simone Burles dans ce rôle de composition amusant. Sans doute revenons-nous, dans cette production plus épurée, à la tradition viennoise de sa création en enlevant certaines réparties qui ne pouvaient amuser que le public français mais que nous trouvions drôles et qui donnaient un certain relief aux personnages. C’est donc Didier Benetti, à la tête de l’Orchestre de l’Opéra de Marseille, qui donnera le rythme, les envolées et les couleurs contenues dans la partition orchestrale dans les intermèdes ou l’accompagnement des solistes avec les belles sonorités du violon et du violoncelle pour des solos langoureux. Et comme souvent, ici tout finit par un Cancan endiablé animé par des danseurs de talent. Une fin d’année très joyeuse… Photo Christian Dresse
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Le cantate di Johann Sebastian Bach: prima domenica dopo l’Epifania

gbopera - Dom, 07/01/2024 - 01:11

Per la prima domenica dopo l’Epifania, Bach ci ha lasciato 4 Cantate, la seconda, in ordine di tempo porta il numero di catalogo BWV 124, con il titolo Meinen Jesum laß ich nicht es eseguita per la prima volta a Lipsia il 7 gennaio del 1725. Il testo  si  basa su  un inno del 1658 di Christian Keymann (1607-1662) e vuole esprimere le regole che il fedele deve seguire per vivere cristianamente attraverso una semplice dichiarazione di fedeltà a Gesù. Bach realizza questi concetti con altrettanta semplicità. In questa che è una delle più brevi, se non la più breve Cantata del compositore, non vi sono episodi drammatici ma, come avviene spesso anche nel più mistico dei Bach, troviamo movenze galanti. Ne è protagonista l’oboe che si esprime in un tema di Minuetto nell’introduzione del Coro iniziale. Un motivo danzante caratterizza anche l’aria-duetto tra soprano e contralto (nr.5).
Nr.1 – Coro
Non lascerò andare il mio Gesù,
poiché lui si è donato per me,
è mio dovere dunque
stringermi a lui.
Egli è la luce della mia vita,
non lascerò andare il mio Gesù.
Nr.2 – Recitativo (Tenore)
Finchè una sola goccia di sangue
circolerà nelle vene e nel mio cuore,
Gesù solo sarà
la mia vita ed il mio tutto.
Il mio Gesù ha fatto grandi cose per me:
non posso far altro che offrire il mio corpo
e la mia vita come dono per lui.
Nr.3 – Aria (Tenore)
E quando il crudele soffio di morte
indebolisce i miei sensi, colpisce le mie membra,
quando il giorno detestato dalla carne
porta con sé solo paura e terrore,
allora una convinzione mi rassicura:
non lascerò andare il mio Gesù.
Nr.4 – Recitativo (Basso)
Eppure ahimè!
Che pesante tormento
deve ancora sopportare la mia anima?
Il mio petto seriamente ferito
non diventerà terra e rifugio della sofferenza
con la dolorosa perdita di Gesù?
Il mio spirito alza lo sguardo con fiducia
nel luogo in cui fede e speranza risplendono,
laddove, completato il cammino,
ti abbraccerò, Gesù, per sempre.
Nr.5 – Aria/Duetto (Soprano, Contralto)
Allontanati subito dal mondo, mio cuore,
troverai in cielo la tua vera gioia.
Quando i tuoi occhi potranno contemplare il
Salvatore, allora il tuo cuore sarà riconfortato,
allora sarai realizzato in Gesù.
Nr.6 – Corale
Non lascerò andare il mio Gesù,
camminerò sempre al suo fianco;
Cristo mi guiderà per sempre
alle sorgenti della vita.
Benedetto chi ripete con me:
non lascerò andare il mio Gesù.
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Meinen Jesum laß ich nicht es” BWV 124

 

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Le Cantate di Johann Sebastian Bach: Epifania del Signore

gbopera - Sab, 06/01/2024 - 00:10

Per la festa dell’Epifania del Signore sono giunte a noi 3 Cantate. La seconda, in ordine di tempo, è Liebster Immanuel, Herzog der Frommen BWV 123 eseguita per la prima volta a Lipsia il 6 gennaio 1725. La partitura trae sviluppo su un inno di Ahasverus Fritsch (1679) che appare però distaccato dal contesto della Festività in oggetto. La prima e la sesta strofa sono citate ne numeri di apertura e chiusura della partitura, i recitativi e le arie risultano essere una parafrasi delle  rimanenti parti dell’inno. Per il  Coro iniziale Bach utilizza un movimento di Courant, una danza francese, dove emergono subito gli oboi d’amore e i flauti all’unisono che creano un contrasto ritmico con la dolcezza mistica del Coro che esalta il desiderio dell’assemblea perchè Gesù venga da loro. Dopo un recitativo secco (Nr.2) affidato al Contralto, che ribadisce la gioia di far parte di un popolo eletto, si si prova nell’essere uno degli eletti, si passa alla prima aria tripartita  (Nr.3) cantata dal Tenore che, con i suoi contrasti ritmici, traduce in immagini musicali quanto espresso dal testo.mente le immagine trasmesse dal testo. sem. Alla voce di basso sono affidati il recitativo (Nr.4) e l’aria tripartita (Nr.5). Nell’aria, anche qui nella forma A-B-A, spicca il contrasto tra il brillante e speranzoso motivo strumentale espresso da un flauto traverso concertante mentre la linea di canto esprime la malinconia del testo, spicca il silenzio strumentale sulla frase “Inn betrübter Einsamkeit! (In triste solitudine) che sottolinea la solitudine del peccatore. Nella parte centrale dell’aria fa emorgono note di speranza in particolare sulla parola “bleibet” (resterà) riferita alla vicinanza di Gesù. Il ritmo di Courant ritorna anche nel Corale conclusivo. Il tono è ancora più sommesso visto che nel nella parte finale del testo si parla di pace nella sepoltura.
Nr.1 – Coro
Carissimo Emmanuele, sovrano dei giusti,
salvatore della mia anima, vieni, vieni presto!
Supremo tesoro, hai preso il mio cuore
che brucia d’amore e anela a te.
Niente sulla terra
può essermi più caro
che custodire il mio Gesù per sempre.
Nr.2 – Recitativo (Contralto)
La dolcezza del cielo, la gioia degli eletti
riempiono il cuore nel mio petto già sulla terra,
quando pronuncio il nome di Gesù
e riconosco la sua manna nascosta:
come la rosa rinfrescata in una terra arida,
così il mio cuore
persino nel pericolo e nel dolore
è rapito nella gioia grazie al potere di Gesù.
Nr.3 – Aria (Tenore)
Anche il duro cammino della croce
e l’amaro nutrimento delle lacrime
non mi spaventano.
Se infuria la tempesta,
Gesù mi invia dall’alto
salvezza e luce.
Nr.4 – Recitativo (Basso)
Nessun demonio dell’inferno può divorarmi,
la mia lamentosa coscienza tace.
Che fare se i nemici mi circondano?
La morte stessa non ha potere,
la vittoria è già assicurata,
poiché Gesù, il mio Salvatore, me l’ha mostrata.
Nr.5 – Aria (Basso)
Lasciami, mondo meschino,
in triste solitudine!
Gesù, che si è fatto carne
e ha accettato la mia offerta,
resterà con me ogni giorno.
Nr.6 – Corale
Allora andate via per sempre, vanità,
tu, Gesù, sei mio, ed io sono tuo;
mi preparerò per te abbandonando il mondo;
tu sarai nel mio cuore e nella mia bocca.
La mia intera vita
sarà consacrata a te,
fino al giorno in cui sarò deposto nella tomba.
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Liebster Immanuel, Herzog der Frommen” BWV 123

 

 

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Milano, Teatro Elfo Puccini: “L’importanza di chiamarsi Ernesto”

gbopera - Gio, 04/01/2024 - 22:51

Milano, Teatro Elfo Puccini, Stagione 2023/24
L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI ERNESTO”
Commedia leggera per persone serie di Oscar Wilde
Algernon Moncrieff RICCARDO BUFFONINI
Jack Worthing GIUSEPPE LANINO
Gwendolen Fairfax ELENA RUSSO ARMAN
Lady Augusta Bracknell IDA MARINELLI
Reverendo Chasuble LUCA TORRACA
Miss Prism CINZIA SPANÒ
Cecily Cardew CAMILLA VIOLANTE SCHELLER
Merriman/ Lane NICOLA STRAVALACI
Regia, scene e costumi di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia
Luci Nando Frigerio
Suono Giuseppe Marzoli
Produzione Teatro dell’Elfo con il sostegno di Fondazione Cariplo
Spettacolo sostenuto nell’ambito di NEXT 2017/18
Milano, 27 dicembre 2023
Si ripropone all’Elfo – con la forza del riconoscimento di immortalità (un intero mese di repliche) – la produzione che quasi sette anni fa vi prese vita de “L’importanza di chiamarsi Ernesto”, e che gode e ha goduto del plauso di diversi colleghi, oltre che del pubblico. La messa in scena in questione, di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia, punta a una rilettura estetica della commedia, trasposta in un non-luogo pop dalle venature camp fuori dal tempo, nel quale si vorrebbe di forza leggere Andy Warhol, ma in realtà è solo parzialmente anni Sessanta (negli arredi in scena, per lo più), e non abbastanza chic – persino l’esagerata e magniloquente Lady Bracknell è vestita più o meno come la mia vicina di casa. Tuttavia, vuoi la forza del pastiche, vuoi che una resa non vittoriana ci intriga, l’assetto scene-costumi ha il suo perché, che magari non incontra del tutto il nostro gusto (i grandi poster in cui si vuole sdoganare Wilde come una popstar, ad esempio, ci paiono fuori luogo), ma che funziona e appaga l’occhio. È l’aspetto più chiaramente recitativo che desta, invece, più di un dubbio, giacché crediamo che Wilde tragga la sua forza testuale e la sua modernità, per così dire, dal contrasto paradossale tra ciò che si dice e come lo si dice – concetti giganteschi sciorinati come pettegolezzi e amenità scioccherelle proclamate come assolute verità. Questa è ciò che tecnicamente si definisce wit, concetto di difficile traduzione, ma che grossomodo implica sia eccentricità del contenuto che sprezzatura nella forma. La messa in scena di Bruni e Frongia, invece, gioca su un pericoloso ribaltamento di questa non scritta regola: eccentricità nella forma e nonchalance per il contenuto, che, francamente, non ci pare un sentiero rispettoso dell’intento autorale. Per capirci meglio: che Riccardo Buffonin (Algernon Moncrieff) reciti tutto saltellando, sbracciandosi e col tono di una televendita, non ci pare una gran trovata registica – peraltro ammiccando di continuo al pubblico, attitudine sia assolutamente estranea al teatro wildiano, sia alla lunga fastidiosa; men che meno che Elena Russo Arman costruisca una Gwendolen Fairfax in là con gli anni, lamentosa e ciecata (un omaggio ad Anna Marchesini, forse), o che Camilla Violante Scheller faccia di Cecily Cardew una teenager sfacciata, sgraziata e in crisi ormonale. Dato che si parla di tre dei quattro protagonisti, è evidente che non si tratti del problema di un interprete, ma di una diminutio voluta: il suo perché ci risulta ignoto, possiamo solo immaginare che questo voglia “alleggerire” il tono fin-de-siècle con dialettiche più attuali, sebbene rimaniamo dell’idea che se uno va a vedere Wilde voglia vedere Wilde, e non altro – e qui, di Wilde, se ne vede poco. Ribilanciano in parte la situazione gli altri interpreti, le cui prove rientrano in un alveo maggiormente classico, a cominciare da Giuseppe Lanino, un Jack costruito col giusto mestiere e fascino, talvolta anch’egli piegato alla regia, altre più libero di esprimere la propria intensa personalità attorale. Azzeccate le performance vagamente passé di Cinzia Spanò e Luca Toracca, rispettivamente una Miss Prism e un Reverendo Chasuble ben caratterizzati nella loro pruderie, e senza dubbio commovente la prova di Ida Marinelli, una Lady Bracknell probabilmente imperfetta, ma dotata dello specifico charme che la grande interprete ha saputo conferire a ciascuno dei ruoli che nella sua carriera ha affrontato, tutto giocato sul delicato equilibrio di classicità e divergenza, coraggio e aplombe. Infine, Luca Stravalaci mette a disposizione la sua nota verve comica nei ruoli del maggiordomo Merrimen e del valletto Lane, entrambi piuttosto caricati dall’impostazione registica. Il pubblico ricopre di applausi anche questa ripresa, sebbene probabilmente non del tutto consapevole di ciò che ha visto e di ciò che avrebbe dovuto/potuto vedere – dal momento che Wilde è un autore ancora poco conosciuto nel nostro Paese, legato a un paio di titoli e alle sue sfortunate vicissitudini personali. Si replica fino al 14 gennaio. Foto Laila Pozzo

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Roma, Domus Romane di Palazzo Valentini :”Restauro tecnologico del percorso immersivo” dal 03 Gennaio al 04 Marzo 2024

gbopera - Gio, 04/01/2024 - 18:13

Roma, Palazzo Valentini
Via Foro Traiano,84 Roma
DOMUS ROMANE DI PALAZZO VALENTINI
Fino al 2004 giaceva nascosta nei sotterranei di Palazzo Valentini un’importante area archeologica di oltre 1800 metri quadrati, testimonianza dell’incessante capacità di Roma di riservare sorprese di inestimabile valore. A distanza di quasi vent’anni, l’area archeologica delle Domus Romane di Palazzo Valentini, situata in via Foro Traiano 84, conferma la sua attrattiva per i numerosi visitatori locali e stranieri che affollano quotidianamente i suoi spazi. Oggi, grazie a un accordo di partenariato pubblico-privato tra la Città Metropolitana di Roma Capitale e Civita Mostre e Musei, l’area è stata sottoposta ad un restauro tecnologico dell’originario progetto immersivo/multimediale ideato da Piero Angela e Paco Lanciano. Questa iniziativa, che costituisce uno dei più importanti partenariati in ambito culturale in Italia, ha integralmente preservato le volontà narrative e divulgative del noto giornalista scientifico scomparso nel 2022, migliorando e potenziando le capacità immersive, multimediali e tecnologiche dell’esperienza di visita. Il progetto, basato sull’impiego di sistemi di video proiezione di nuova generazione e ad alta definizione, ha consentito di rendere ancora più profonda ed emozionale la visita all’interno degli scavi. Anche il sistema di diffusione audio, che gioca un importante ruolo nella costruzione di un’esperienza immersiva, è stato completamente ristrutturato, introducendo l’ascolto individuale mediante cuffie che riproducono i vari commenti e la colonna sonora dell’esperienza in alta qualità disponibili in italiano, francese, inglese, tedesco e spagnolo, permettendo ad un vasto pubblico internazionale di godere appieno dell’esperienza multimediale. L’effetto combinato delle nuove tecnologie di proiezione e del nuovo sistema di diffusione audio coinvolge profondamente il visitatore delle Domus facendogli vivere un’esperienza immersiva memorabile, da adesso anche multilingua. Nella versione italiana il racconto delle Domus è narrato dalla voce di Piero Angela, mentre per le altre lingue – inglese, francese, tedesco, spagnolo – il testo è tradotto e interpretato da doppiatori professionisti. Una parte del percorso è disponibile anche in giapponese e russo. Il visitatore vede “rinascere” strutture murarie, ambienti, peristilii, terme, saloni, decorazioni, cucine, arredi, compiendo così un viaggio virtuale dentro una grande Domus dell’antica Roma. Un esempio unico e prezioso di come il patrimonio artistico dell’antichità, riconsegnato da un’opera attenta e rigorosa di restauro e riqualificazione, possa essere valorizzato attraverso l’integrazione delle nuove tecnologie.  La visita ampia delle Domus di Palazzo Valentini comprende tre zone archeologiche: gli ambienti di rappresentanza delle Domus, dove il padrone di casa riceveva i suoi ospiti; il settore delle Terme che erano all’interno di una delle Domus; i resti di un edificio pubblico, forse un tempio dedicato dall’Imperatore Adriano a Traiano e Plotina Divi. Un filmato accompagna il visitatore nella ricostruzione della storia e delle vicende narrate sulla Colonna di Traiano.  All’interno del museo, sale destinate alla esposizione di reperti archeologici si alternano alla visita multimediale. Nell’ultima area di visita è inoltre possibile vedere parte del bunker costruito nel sotterraneo del Palazzo durante la Seconda Guerra Mondiale, che ha mantenuto la sua struttura originaria. Palazzo Valentini fu edificato a partire dalla fine del Cinquecento su iniziativa del Cardinale Michele Bonelli, nipote del Papa Pio V, che aveva promosso una vasta operazione di bonifica della zona dei Fori imperiali. A questa fase di costruzione, diretta forse dal frate Domenico Paganelli che impostò l’impianto trapezoidale dell’edificio, chiuso verso la piazza SS. Apostoli da un’elegante facciata, seguirono nel XVII sec. una serie di ristrutturazioni e ampliamenti su committenza del card. Carlo Bonelli.  Nei primi del Settecento il Palazzo venne dato in affitto ai principi Ruspoli che vi ospitarono, tra gli altri, il compositore G.F. Haendel. Alla metà del secolo, l’intero stabile fu acquistato dal cardinale Giuseppe Spinelli, cui si deve la sistemazione nel Palazzo di una ricchissima biblioteca – composta da oltre ventiquattromila volumi – destinata alla pubblica fruizione.  Nel 1827 il banchiere Vincenzo Valentini acquistò l’edificio, stabilendovi la sua dimora e promuovendo il completamento dei lavori verso i Fori. Nel 1873, dopo che il Palazzo passò alla Deputazione Provinciale di Roma, furono realizzati ulteriori ampliamenti e trasformazioni per renderlo idoneo ad ospitare i propri uffici e il Consiglio provinciale. Oggi è sede della Città Metropolitana di Roma Capitale, ove si trova, fra l’altro, l’Aula Consiliare. In occasione del rilancio del sito delle Domus Romane di Palazzo Valentini, la Città Metropolita di Roma Capitale dal 18 dicembre ha lanciato una campagna per promuovere la memorabile esperienza immersiva che l’importante intervento di restauro del sistema tecnologico, oggi consente. I sistemi di video proiezione e diffusione audio di nuova generazione e ad altissima definizione, garantiscono infatti un impatto sui visitatori ancora più profondo ed emozionale. Proiezioni, tecnologia aumentata, colonna sonora e, nella versione italiana, l’inimitabile voce di Piero Angela rendono tutta l’esperienza unica e indimenticabile.  Grazie alla tecnologia sarà possibile immergersi nell’antica Roma e rivivere tutto lo splendore della Roma Imperiale. Apertura: tutti i giorni, escluso il martedì, dalle 10.00 alle 17.00 (la biglietteria chiude un’ora prima). Il costo della visita è di 12,00 euro (biglietto intero); 8,00 euro (ridotto – per i cittadini UE e dei Paesi SEE maggiori di 65 anni residenti nell’area metropolitana di Roma, ragazzi dai 6 ai 17 anni, titolari di apposite convenzioni attive con l’Amministrazione Provinciale). Ridotto scuole e dipendenti di Città metropolitana di Roma Capitale 6,00 euro. Gratuito per minori di 6 anni, insegnanti accompagnatori di scolaresca, disabili, un accompagnatore per disabile. Diritto di prenotazione 1,50 euro. Per maggiori informazioni e prenotazioni: Telefono +39 0687165343; e-mail Infocivita@tosc.it; sito web www.palazzovalentini.it. Qui per tutte le informazioni.

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Napoli, Teatro di San Carlo: “Don Chisciotte”

gbopera - Gio, 04/01/2024 - 00:48

Napoli, Teatro di San Carlo, Stagione d’Opera e Balletto 2023/24
DON CHISCIOTTE”
Balletto in un prologo e tre atti dal romanzo El ingenioso hidalgo Don Quijote de la Mancha di Miguel de Cervantes
Musica Ludwig Minkus
Orchestrazione e adattamento John Lanchbery
Kitri/Dulcinea CLAUDIA D’ANTONIO
Basilio DANILO NOTARO
Mercedes ANNALINA NUZZO
Espada DANIELE DI DONATO
Don Chisciotte GIUSEPPE CICCARELLI
Sancho Panza DANILO DI LEO
Gamache FERDINANDO DE RISO
Lorenzo RAFFAELE DE MARTINO
Due Amiche CANDIDA SORRENTINO, GIORGIA PASINI
Regina delle Driadi MARTINA AFFATICATO
Cupido CANDIDA SORRENTINO
Orchestra, Étoiles, Solisti, Corpo di Ballo del Teatro di San Carlo, con la partecipazione degli allievi della Scuola di Ballo del Teatro di San Carlo
Direttore Jonathan Darlington
Coreografia e Produzione Rudol’f Nureyv da Marius Petipa ripresa da Clotilde Vayer, Charles Jude
Scene e Costumi Nadine Baylis
Luci John B Read
Produzione della Royal Swedish Opera
Napoli, 29 dicembre 2023
A pochi passi dal fervore natalizio del passeggio in via Toledo, nel teatro che prese il nome dal Re Carlo III di Borbone, va in scena un gioioso allestimento del Don Chisciotte di Marius Petipa nella versione Nureyev, scelta e ripresa dalla Direttrice del Balletto Clotilde Vayer in collaborazione con The Rudolf Nureyev Foundation rappresentata da Charles Judes. La Spagna qui presentata ha però un particolare colore andaluso, sottolineato dalla suggestiva rilettura che diede John Lanchbery alla musica di Ludwig Minkus quando invitato da Nureev ad arrangiare il balletto per la produzione che andò originariamente in scena nel 1966 all’Opera di Vienna, ma divenne famosa soprattutto grazie alla versione filmata nel 1972 con il corpo di ballo dell’Australian Ballet. L’estetica ottocentesca riflessa nella creazione di Marius Petipa imponeva la predominanza della figura femminile, ma avendo assorbito la lezione sovietica del drambalet e volendo senz’altro lasciar fuoriuscire la sua dirompente personalità scenica, in Occidente Nureev rielaborò la figura di Basilio e donò nuove sfumature al corpo di ballo. L’importante compagine partenopea si confronta dunque con un vero e proprio banco di prova. Dopo la prima scena riservata alla figura di Don Chisciotte sbeffeggiato nella sua visionarietà allucinatoria dai servitori che si divertono a gettare i suoi misteriosi libri nel camino e ad adagiarlo maldestramente su un vistoso letto rosso, ci ritroviamo in una piazza di Barcellona con abitazioni dai dettagli arabeggianti che si stagliano sull’azzuro del cielo. Tra il giallo-arancio del corpo di ballo risplende l’entrée di Kitri, eseguita da Claudia D’Antonio (nominata étoile nella sera della prima del balletto) con una speciale attenzione alle linee, al dinamismo e alle impeccabili sospensioni in posa. Durante l’atto, la cura dei dettagli tecnici si affianca nell’interpretazione della D’Antonio alla resa espressiva, sottolineata da incisivi particolari pantomimici, quali il sollevare la gonna all’indietro e l’apertura del ventaglio nel bel mezzo di un’arabesque penchée. Grande tecnica, precisione nel lavoro di gambe, e flessibilità della schiena anche per l’entrée di Basilio/Danilo Notaro (nominato étoile nel dicembre 2022), aperta da un imponente grand écart. Diversa dalla tradizione russa è nella versione Nureev la danza di Mercedes, interpretata il 29 da Annalina Nuzzo. Il ritmo più lento si accompagna a una maggiore interazione lirica con il ruolo di Espada danzato da Daniele Di Donato, molto abile nel fare ondeggiare il caratteristico mantello. Il contrasto del viola e del nero dei costumi si unisce al giocoso contrappunto coreografico dei toreri. Solo accenni alla danza dei pugnali e meno spazio alle due amiche di Kitri (Candida Sorrentino e Giorgia Pasini) che in compenso si rapportano di più ai protagonisti. Pomposa l’entrata a cavallo di Don Chisciotte (Giuseppe Ciccarelli), ma ancor più interessante la resa di Sancho Panza (Danilo Di Leo) sollevato in aria dalla folla, nonché la pantomima di Gamache (Ferdinando De Riso), in viola con boccoli biondi. Smaglianti i duetti tra Kitri e Basilio e rifinita la variazione di quest’ultimo celebre per gli assemblés all’italiana, che – come suggerito nelle note di sala di Maria Venuso – ricordano l’importanza dello stile grottesco napoletano nella storia della danza europea. Del secondo atto ambientato tra i mulini a vento evidenziamo l’avvincente danza gitana con i disinvolti giri sulle gambe piegate, per passare al delizioso giardino incantato di Dulcinea in cui il verde dei tutù delle Driadi si armonizza con la scenografia, lasciando emergere il grigio perla dei costumi delle tre soliste. Elegante, ma algida la variazione della Regina delle Driadi (Martina Affaticato). Scattante la variazione di Cupido (Candida Sorrentino). Eccellente la variazione di Dulcinea eseguita da Claudia D’Amato, che ha suscitato grandi applausi già da metà diagonale nei sautés en pointe cesellati con grande cura. Tra i drappeggi rosa del terzo atto avviene la sfida tra Gamache e Don Chisciotte e la finta morte di Basilio. L’unione in matrimonio dei due amanti Kitri e Basilio è infine concessa. Siamo di nuovo nella piazza di Barcellona, dove spicca la sfavillante esecuzione del fandango. E sempre qui, nel Grand Pas de Deux finale Kitri e Basilio danno sfogo ai più complicati tecnicismi, amplificati dallo smalto dell’orchestra diretta da Jonathan Darlington. Il pubblico esclama “Bravo!”. Foto Luciano Romano

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Roma, Teatro Vascello: “Hybris” di Antonio Rezza e Flavia Mastrella

gbopera - Mer, 03/01/2024 - 23:59

Roma, Teatro Vascello Stagione 2023 2024
HYBRIS
di Antonio Rezza Flavia Mastrella
con Antonio Rezza
e con Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara Perrini, Enzo Di Norscia, Antonella Rizzo, Daniele Cavaioli e con la partecipazione straordinaria di Maria Grazia Sughi
(mai) scritto da Antonio Rezza
habitat Flavia Mastrella
assistente alla creazione Massimo Camilli
disegno luci Daria Grispino
luci e tecnica Alice Mollica
organizzazione generale Tamara Viola, Stefania Saltarelli
macchinista Andrea Zanarini
produzione RezzaMastrella, La Fabbrica dell’Attore Teatro Vascello, Teatro di Sardegna
coproduzione Spoleto, Festival dei Due Mondi
Roma, 03 Gennaio 2024
Nella mitologia greca, il termine “Hybris” assume il significato di tracotanza, rappresentando un amalgama di eccesso, prevaricazione, superbia e orgoglio. Il culmine dell’Hybris si raggiunge quando l’uomo, perdendo il senso dei propri limiti, sfida gli dei in virtù di un potere smisurato. Questa concezione trova riscontro anche nella tradizione cristiana, incarnando il fulcro del peccato originale, definito come l’atto di “farsi simile a Dio”. Chi si lascia guidare dall’Hybris si lascia inebriare dal potere, assumendosi il ruolo di un superuomo con il desiderio di plasmare il corso della storia e delle vite altrui. Questo atteggiamento si traduce spesso in diffidenza, paura e gelosia del potere, rendendo l’individuo impermeabile alle critiche e incapace di collaborare con gli altri. L’origine del potere è spesso motivata dalla genuina volontà di aiutare il prossimo e servire la società. Talvolta, si è convinti che la propria visione sia la migliore e che conquistare il potere significhi realizzare soluzioni risolutive per numerosi problemi, cadendo nella “tentazione del bene”, dove il bene stesso diventa l’origine del male. Questo fenomeno è riscontrabile in molte ideologie politiche. In ogni caso, la gestione del potere, anche in ruoli minimi o formali, diventa problematica, subentrando l’Hybris greco o il peccato originale cristiano. Ogni forma di potere, dal politico al presidente di un’associazione, può generare questo effetto, conducendo l’individuo a liberarsi dalla condizione di “esseri finiti” e a cercare di assaporare un po’ di immortalità durante l’esercizio delle proprie funzioni. Questo processo psicologico, sebbene semplice in sé, si complica con l’aumentare delle responsabilità ed è amplificato dalla rispettabilità sociale associata a un ruolo specifico. Più riconoscimento il ruolo offre, più l’Hybris è in agguato, trasformando le persone in mere rappresentazioni del proprio ruolo, con la perdita dell’identità personale.  In un’epoca moderna che sembra aver ridotto la presenza di Dio nella vita umana, emerge l’interessante riflessione su chi possa essere considerato Dio, se non l’Io. Questo porta alla conclusione del processo di umanizzazione del divino con la definitiva divinizzazione dell’umano, amplificando il peccato di Hybris al massimo livello. Un paradosso si manifesta quando è l’essere umano stesso, nei suoi rapporti con gli altri, a peccare di superbia verso sé stesso. Queste riflessioni emergono  nell’anarchico lavoro “Hybris” di Antonio Rezza e Flavia Mastrella in scena al Teatro Vascello di Roma. In scena, una porta con il suo telaio si erge come elemento centrale, diventando il fulcro di una coreografia teatrale che la vede trasportata, aperta e richiusa innumerevoli volte. La porta, più che uno strumento quotidiano, è il confine dinamico tra il mondo esterno e la dimensione domestica, incarnando il volto stesso della casa. Il suo gesto, che oscilli tra l’apertura e la chiusura, assume un significato preciso e profondo nelle nostre vite. Al di là dell’aspetto puramente fisico, l’ atto di “varcare una soglia” si configura come un momento teatrale, raffigurando la separazione o la comunicazione tra due sfere. Questo gesto non si limita alla demarcazione dello spazio fisico tra interno ed esterno, ma si estende a un passaggio tra due livelli distinti: il noto e l’ignoto, il profano e il sacro. Come nella casa, dove la porta definisce il confine tra il mondo estraneo e quello domestico, la porta di un tempio o di una chiesa assume il ruolo di identificare il passaggio tra il mondo profano e quello sacro. A seconda che si schiuda o si richiuda, diventa un simbolo eloquente di separazione o comunicazione, contribuendo a plasmare e distinguere questi due universi scenici. “HỲBRIS” si focalizza interamente sulla figura scenica di Rezza, dove i corpi degli altri attori diventano semplici sparring partner, sfidati dalla carica verbale e dal confronto psicofisico del “performer” (Dice Rezza in merito a questa espressione: ” Quindi io sono Antonio Rezza nell’esercizio delle mie funzioni, perché il termine performer è stato abusato e se ne appropria anche chi non ne ha alcun diritto.” Maria Grazia Sughi interpreta la madre, Chiara Perrini la fidanzata, mentre Ivan Bellavista, una presenza storica nei palchi rezziani, assume il ruolo di un uomo in nero con occhiali scuri, incapace di conformarsi e, quindi, soggetto a essere trattato con disprezzo e annientamento. Nonostante Rezza e Mastrella mantengano salda la loro identità distintiva e il loro percorso sia più un incessante girovagare intorno a sé stessi, è doveroso elogiare la loro capacità di rimanere comunicativi ed efficaci. Rezza, abile giocoliere psico-linguistico, utilizza neologismi e barbarismi per disintegrare i personaggi e i loro nomi, colpevoli di adagiarsi nella quiete apparente del focolare domestico, che, in realtà, isola e spegne le differenze individuali, cancellando così la personalità di ognuno. Non ci sono compromessi: o lo si ama o lo non si ama. I temi sono tantissimi e toccati con forte impatto.  Le bestemmie nell’ultimo tratto dello spettacolo, esposte attraverso un assordante fischietto, rivelano la vera essenza di questa Hybris: la ribellione a Dio che ci rende divini. Il pubblico di Rezza si presenta come una corte di devoti, conoscenti e ammiratori affezionati, disposti persino ad acquistare i suoi libri al termine della rappresentazione in un apposito banchetto. Nel corso dello spettacolo, il pubblico dimostra di possedere un’apprezzabile dimestichezza con le battute, anticipando le risate con un cinismo condiviso. Gli applausi fragorosi e l’entusiastica partecipazione durante l’esibizione sono il risultato di una connessione consolidata, ma, onestamente, senza alcuna sorpresa; sembra che qui il copione sia già ben noto, e la platea non fa che confermare il proprio ruolo di complice in questo affascinante gioco teatrale. Qui per le altre date.

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Roma, Teatro Brancaccio: “Elvis: The Musical” dall’ 11 al 14 Gennaio 2024

gbopera - Mer, 03/01/2024 - 09:00

Roma, Teatro Brancaccio
ELVIS: THE MUSICAL
Regia di Maurizio Colombi
Quella di Elvis Presley è la figura della musica moderna che ha segnato più profondamente arte, musica e stile di ogni epoca successiva. Non esiste un cantante fra tutte le star della musica dagli anni ‘50 in avanti che non si sia ispirato o sia stato indirettamente condizionato da quello che viene universalmente riconosciuto come the King of Rock’n’Roll. Elvis the Musical è uno spettacolo incalzante e ritmato, all’insegna degli indimenticabili successi di Presley a partire dagli anni ‘50 fino al 1977, quando la leggenda scomparve. Lo spettacolo, attraverso le canzoni di Elvis e il racconto di vari personaggi che hanno vissuto intorno a lui, svela i retroscena di una vita consacrata alla musica e sacrificata allo show- business. La tragica morte di Elvis ridusse in lacrime e disperazione in milioni di persone in tutto il mondo, fan adoranti che lo amavano e continuano ad amarlo stregati da un carisma fatto di fascino, ribellione, dolcezza e sfrontatezza che attraversa i decenni con la stessa forza dirompente dalla quale è nato. Lo spettacolo è suonato da una band che accompagna dal vivo, per poco meno di due ore, un cast di 18 performer, attraverso un periodo storico di oltre quattro generazioni fino agli anni ‘70, i più significativi per la musica. La scenografia è arricchita da video che ci permettono di ripercorrere, come fosse attuale, l’esperienza unica della tragedia umana e del successo incontenibile vissuti della più grande star di tutti i tempi, the King of Rock’n’Roll Elvis Presley. Il primo tempo inizia con un video a 360° che mostra i telegiornali di tutto il mondo che annunciano la morte di Elvis il 16 agosto 1977, fino al suo funerale a Memphis con oltre 150.000 persone in lacrime. Questo momento, scolpito nella leggenda, dà il via al racconto dell’ascesa del Re del Rock’n’Roll, dal momento in cui un Elvis ancora con i capelli biondo naturale e camionista per necessità si ferma in un estemporaneo studio di registrazione su una highway qualunque, per registrare un disco istantaneo, un cosiddetto demotape, da regalare alla madre per il compleanno imminente. Non fa in tempo a rivelare la sorpresa, che il suo incontenibile talento è già esploso, dando il via all’ascesa vertiginosa della prima vera e unica rockstar planetaria. Elvis il Musical, infatti, racconta la fiaba di un ragazzo che diventa re, anche se si tratta di una fiaba con un finale triste, forse perché testimonia una vita reale seppur incredibile. Molti miti sono scomparsi o sono stati dimenticati, ma ancora oggi le nuove generazioni sanno chi è Elvis: The King è tuttora riconosciuto come un’icona assoluta e indimenticabile Canzoni come Jailhouse Rock, It’s now or never, Suspicious Mind, My Way, That’s all right mama, Always on my mind e le tante altre indimenticabili colonne sonore di un’epoca lunga 4 decenni e ancora viva e contemporanea accompagnano il pubblico dello spettacolo, che non potrà fare ameno di appassionarsi alla storia e ai suoi protagonisti. Qui per tutte le informazioni.

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Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman: “Ginger e Fred” dal 09 al 21 Gennaio 2024

gbopera - Mar, 02/01/2024 - 09:00

Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman
GINGER E FRED
di Federico Fellini, Tonino Guerra, Tullio Pinelli
Con
Monica Guerritore, Pietro Bontempo
e con (in o. a.)
Alessandro Di Somma, Mara Gentile, Nicolò Giacalone,Francesco Godina
Diego Migeni, Lucilla Mininno, Valentina Morini, Claudio Vanni
scenografia Maria Grazia Iovine
costumi Walter Azzini
coreografie Alberto Canestro
light design Pietro Sperduti
regista assistente Leonardo Buttaroni
direttore allestimento Andrea Sorbera
adattamento e regia Monica Guerritore
È la vigilia di Natale. Nel piazzale deserto entra in scena un gruppo personaggi spaesati. Chi regge la testina con la parrucca, chi la valigia con l’abito di scena, chi un cilindro da frac avvolto in carta velina, gli attrezzi del mestiere. Sullo sfondo s’intravede la vetrata di un albergo e l’insegna luminosa di una discoteca anni ‘80, qualche lampadina colorata ricorda una festa che è finita. I nostri protagonisti, tra loro Ginger e Fred, scritturati come ospiti per lo show di Natale di una televisione privata, sono emozionati per la serata che li porterà sotto le luci dei riflettori. Quello che non sanno è che, derubricati alla voce “materiale di varia umanità”, sono necessari a mandare avanti l’ingranaggio spietato della televisione commerciale, riempiendo i buchi tra una pubblicità e l’altra. Nella notte, e poi in sala trucco, prima che il teatro stesso, pubblico compreso, diventi lo studio dello show e il Presentatore, come il Domatore di un circo, faccia entrare le bestie ammaestrate, questa piccola umanità fatta di personaggi bizzarri e imperiosi, pavidi e coraggiosi, si imporrà, intenerendo il pubblico per la realtà delle loro vite fatte di solitudine, piccole ambizioni e basse aspirazioni, menzogne e confessioni improvvise, tutto comico e tragico allo stesso tempo, nell’esaltazione di un giorno “straordinario”. Per Amelia e Pippo, Ginger e Fred, è diverso: era il loro talento a essere ammirato, a brillare sotto le luci dei riflettori, erano loro a emanare luce. Sono qui per ritrovare quel filo nascosto che aveva tessuto la trama della loro coppia artistica e forse anche intima a cui, per l’età, per le convenzioni, Ginger ha voluto rinunciare lasciando Fred solo e ferito. Si ritrovano qui e cercheranno di riannodare quel filo, ritrovare la luce ma forse quello che troveranno sarà la solidarietà umana; una vicinanza che in quella notte, e poi nell’attesa del grande momento, lega tra loro la gente semplice. E poi, sì, balleranno, e per un momento saranno di nuovo insieme… come nel ricordo, in quel tempo passato che non c’è più. Qui per tutte le informazioni.

 

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Roma, Teatro Ambra Jovinelli: “Sesto Potere” dal 10 al 21 Gennaio 2024

gbopera - Mar, 02/01/2024 - 09:00

Roma, Teatro Ambra Jovinelli
SESTO POTERE: NASCITA DI UNA DEMOCRAZIA VIOLATA DALL’ODIO, DAL DENARO E DALLA VENDETTA
scritto e diretto da Davide Sacco
con Francesco Montanari, Cristiano Caccamo, Matteo Cecchi, Nina Torresi
con la partecipazione in video di Lorenzo Gioielli
con la voce di Antonio Zavatteri
scene Luigi Sacco
costumi Valeria Pacini
musiche Davide Cavuti
disegno luci Luigi Della Monica
progettazione video Igor Renzetti
grafiche e animazione video Elio Di Paolo e Francesco Rufini
aiuto regia Danilo Capezzani
assistente alla regia Elisa Gabrielli
direttori di produzione Marica Castiello e Luigi Cosimelli
ufficio stampa Carla Fabi & Roberta Savona
produzione Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro – LVF – Teatro Manini di Narni – Teatro Comunale di Sulmona “Maria Caniglia”
In un capannone isolato, tre ragazzi vengono pagati da un partito estremista per inventare fake news e manipolare le elezioni politiche imminenti. La notte prima del silenzio elettorale, un noto conduttore televisivo intervista il vicesegretario del partito per cui lavorano i ragazzi, mettendolo in difficoltà e facendogli fare una pessima figura davanti a tutto il paese. I ragazzi stanno casualmente assistendo alla diretta televisiva e, preoccupati che questo possa compromettere il loro lavoro, decidono che non creeranno più fake news contro il partito avversario, ma che diffameranno direttamente il conduttore televisivo. Da quel momento la situazione inizia a degenerare…Qui per tutte le informazioni.

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