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Musica corale

Roma, Teatro Parioli: “Fara’ giorno”

gbopera - Mer, 31/01/2024 - 23:59

Roma, Teatro Parioli
Stagione 2023 2024

FARÀ GIORNO 
commedia in due atti di Rosa A. Menduni e Roberto De Giorgi
con Antonello Fassari, Alvia Reale, Alberto Onofrietti 
regia Piero Maccarinelli
scene Paola Comencini
musiche Antonio Di Pofi 
produzione Teatro Franco Parenti
Roma, 31 Gennaio 2024
“Farà giorno”
, la ormai collaudata pièce ideata da Rosa A. Menduni e Roberto De Giorgi, attualmente in scena al Teatro Parioli di Roma, si configura innanzitutto come una magistrale lezione di teatro. Tale affermazione, tutt’altro che banale e priva di trionfalismo, acquista ancor più risonanza in considerazione della partecipazione di attori di talento , ma soprattutto capaci di trasmettere il testo del dramma con una forte empatia e credibile partecipazione. Il testo, ancorato al contesto del 2007, riesce a esplorare significative contraddizioni della società italiana senza evitare momenti di profonda commozione. Inoltre, conserva le tipiche caratteristiche di una commedia, conferendo ai tre protagonisti una forte personalità, un’ironia spigliata e dialoghi vivaci e brillanti. Il tessuto drammaturgico del testo richiama in vari aspetti la struttura di “Visiting Mr. Green” dello statunitense Jeff Baron, portato in scena molti anni fa a Roma. Tuttavia, gli autori decidono di discostarsi dal contesto ebraico, ambientando l’azione nella società italiana contemporanea, con particolare attenzione alle sue contraddizioni e senza evitare momenti di commozione. I dialoghi, serrati e ben scritti, presentano un tono divertente. La suddivisione in quadri è scandita da suoni metropolitani, curati da Antonio di Pofi, mentre la scenografia realistica di Paola Comencini presenta una modesta stanzetta dalle pareti azzurre senza finestre, con il ritratto di Gramsci in primo piano, un letto con spalliera, una poltrona sfondata, foto di famiglia e libri disposti sul comò. Il protagonista, Antonello Fassari, attraverso la sua impareggiabile presenza scenica, abilmente permeata di leggerezza e ironia, e con una raffinata capacità di analisi di ogni parola e gesto trasmette al pubblico una straordinaria esperienza teatrale. La sua sensibilità nel delineare il personaggio, la profonda intelligenza nel contemplare la realtà scenica come uno strumento di comprensione della vita, vanno oltre il talento richiesto, suscitando un’apprezzamento tangibile da parte del pubblico che lo ringrazia con prolungati e affettuosi applausi a scena aperta. “Farà giorno”, attraverso una scrittura sapiente e ben costruita, offre una prospettiva avvincente sulla storia italiana, esplorandola attraverso tre generazioni. La prima generazione, rappresentata dal personaggio di Renato Battiston, un anziano ex tipografo partigiano, mantiene intatto l’orgoglio delle sue esperienze passate. La sua solitudine è permeata dalla lettura costante delle “Lettere dal carcere di Antonio Gramsci”. Pur nutrendo amarezza per il fallimento dei suoi ideali, Battiston si presenta come un toccante interprete delle contraddizioni del proprio percorso. La terza generazione è invece incarnata da Manuel, un giovane violento di borgata, con una parlata romanesca stretta e tendenze neonaziste. Il loro incontro, involontario e ravvicinato, avviene quando Manuel, durante una manovra di retromarcia nervosa, investe e ferisce l’ex tipografo. Nonostante la violenza iniziale, si sviluppa un patto tra i due: Battiston non denuncerà Manuel, e quest’ultimo si prenderà cura del vecchio fino alla sua guarigione. La relazione che nasce tra loro rappresenta un toccante percorso di crescita per Manuel, che, grazie alla guida di Battiston, abbandona progressivamente la violenza e scopre nuove prospettive di vita. In scena, questa connessione autentica è resa credibile non solo grazie alla straordinaria interpretazione di Fassari, ma anche al talento di Alberto Onofrietti, che incarna con maestria il personaggio di Manuel. La regia di Piero Maccarinelli contribuisce ulteriormente a dare vita a questa esperienza teatrale autentica, grintosa e persino affettuosa. La seconda generazione, rappresentata da Aurora, figlia di Battiston e ex membro delle Brigate Rosse, svolge il ruolo di ponte tra le altre due generazioni. Interpretata con misura da Alvia Reale, la sua storia di riconciliazione con il padre, segnata dalla denuncia e dal successivo allontanamento, costituisce un elemento drammatico che aggiunge profondità allo spettacolo. Il suo ritorno inaspettato e le sue riflessioni contribuiscono a dare senso alle trasformazioni avvenute nel corso della trama. Farà giorno” si configura quindi come uno spettacolo intenso, capace di coniugare con maestria momenti drammatici e umoristici, coinvolgendo profondamente il pubblico in una narrazione avvincente. Qui per le altre date.

 

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RAI 5 a febbraio 2024

gbopera - Mer, 31/01/2024 - 19:41

Giovedì 1 febbraio
Ore 10.00
“AIDA”
Musica Giuseppe Verdi
Direttore Zubin Mehta
Regia Ferzan Ozpetek
Interpreti: Hui He, Marco Berti, Luciana D’Intino, Ambrogio Maestri, Giacomo Prestia…
Firenze, 2011
Venerdì 2 febbraio
Ore 10.00
“JERUSALEM”

Musica Giuseppe Verdi
Direttore Michel Plasson
Regia Pier Giorgio Gay
Interpreti: Alain Fondary, Carlo Colombara, Veronica Villaroel, Ivan Momirov, Giorgio Casciarri, Federica Bragaglia
Genova, 2000
Sabato 3 febbraio
Ore 11.00
“AL GRAN SOLE CARICO D’AMORE”
Musica Luigi Nono
Direttore Claudio Abbado
Regia Jurij Ljubimov
Interpreti: Slavka Taskova-Paoletti, Luisella Ciaffi Ricagno, Eleonora Jankovic, Saverio Porzano, Claudio Desderi, Federico Davià…
Milano, 1975
Domenica 4 febbraio
Ore 10.00

“GIANNI SCHICCHI”
Musica Giacomo Puccini
Direttore James Conlon
Regia Mario Monicelli
Interpreti:Rolando Panerai, Chiara Angella, Eleonora Jankovich, Pietro Ballo…
Firenze, 1998
Ore 10.55 replica Sabato 10 febbraio
Ore 10.35

“SOCRATE IMMAGINARIO”
Musica Giovanni Paisiello
Direttore Franco Caracciolo
Regia Corrado Pavolini
Interpreti:  Jolanda Gardino, Sesto Bruscantini, Lidia – Marimpietri, Elena Rizzieri, Luigi Alva, Italo Tajo, Renato Capecchi.
Napoli, 1961
Lunedì 5 febbraio
Ore 10.00
“LA FILLE DU REGIMENT”
Musica Gaetano Donizetti
Direttore Donato Renzetti
Regia Franco Zeffirelli
Interpreti: Mariella Devia, Paul Austin Kelly, Bruno Praticò, Ewa Podles…
Milano, 1996
Martedì 6 febbraio
Ore 10.00
“SANCIA DI CASTIGLIA”
Musica Gaetano Donizetti
Direttore Roberto Abbado
Regia Filippo Crivelli
Interpreti: Antonella Bandelli, Adriana Cicogna, Franco De Grandis, Giuseppe Costanzo…
Bergamo, 1984
Mercoledì 7 febbraio
Ore 10.00
“LUISA MILLER”
Musica Giuseppe Verdi
Direttore Gianandrea Gavazzeni
Regia Filippo Crivelli
Interpreti: Cecilia Gasdia, Anna Maria Fichera, Nazareno Antinori, Simone Alaimo…
Giovedì 8 febbraio
Ore 10.02
“RIGOLETTO”
Musica Giuseppe Verdi
Direttore Luciano Rosada
Regia Filippo Crivelli
Interpreti:Gianni Iaia, Peter Glossop, Margherita Rinaldi, Giovanni Foiani, Seta Palulian, Lina Rossi, Enrico Fissore
Parma, 1965
Venerdì 9 febbraio
“SIMON BOCCANEGRA”
Musica Giuseppe Verdi
Direttore Alberto Erede
Regia Filippo Crivelli
Interpreti: Peter Glossop, Rita Orlandi Malaspina, Raffaele Ariè, Gianfranco Cecchele,Walter Monachesi…
Parma, 1965
Domenica 11 febbraio
Ore 10.00
“L’ELISIR D’AMORE”
Musica Gaetano Donizetti
Direttore Piero Bellugi
Regia Frank De Quell
Interpreti: Melanie Holliday, Miroslav Dvorsky, Armando Ariostini, Alfredo Mariotti, Bozena Plonyova.
Ore11.20
“LA CENERENTOLA”
Musica Giochino Rossini
Direttore Piero Bellugi
Regia Frank de Quell e  Wolfgang Nagel
Interpreti: Bianca Maria Casoni, Ugo Benelli, Sesto Bruscantini, Alfredo Mariotti, Federico Davià, Giovanna di Rocco, Teresa Rocchino.
Lunedì 12 febbraio
ore 10.00
“LA PICCOLA VOLPE ASTUTA”
Musica Leos Janacek
Direttore Seiji Ozawa
Regia Laurent Pelly
Firenze, 2011
Ore 11.45
“MAVRA”
Musica Igor Stravinskij
Direttore Ettore Gracis
Regia  Tatiana Pavlova
Interpreti:  Edda Vincenzi, Fernanda Cadoni, Oralia Dominguez, Alvinio Misciano.
RAI, 1957
Martedì 13 febbraio
Ore 10.02
“LE CONVENIENZE ED INCONVENIENZE TEATRALI”
Musica Gaetano Donizetti
Direttore Lorenzo Viotti
Regia Laurent Pelly
Interpreti: Laurent Naouri, Patrizia Ciofi, Charles Rice…
Lyon, 2017

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Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman: “Racconti disumani”

gbopera - Mar, 30/01/2024 - 23:59

Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman
RACCONTI DISUMANI
da Franz Kafka
uno spettacolo di Alessandro Gassman
Con Giorgio Pasotti
adattamento Emanuele Maria Basso
musiche Pivio e Aldo De Scalzi
scene Alessandro Gassmann
costumi Mariano Tufano
light designer Marco Palmieri
videografie Marco Schiavoni
aiuto regia Gaia Benassi
sound designer Massimiliano Tettoni
trucco Serena De Pascali
Teatro Stabile d’Abruzzo
in coproduzione con Stefano Francioni Produzioni

Roma, 30 gennaio 2024
I romanzi dell’Assurdo, inclusi quelli di Franz Kafka, sono notoriamente considerati letture impegnative, e tale complessità si manifesta vividamente nei capolavori del noto autore. Al termine de “La Metamorfosi”, numerosi lettori, tra cui studenti e appassionati, si ritrovano sconcertati dalla profonda mancanza di senso e realismo che permea le vicende narrate. Ironicamente, è proprio l’assenza di significato a connettere in modo peculiare le opere di Kafka alla realtà. Sia attraverso la dissociazione e il disgusto verso se stessi presenti nella Metamorfosi, l’immobilità dei processi nel “Processo”, o l’alienazione e il mistero che caratterizzano il “Castello”, Kafka abilmente distilla in ogni sua opera una sensazione di confusione che si configura come l’essenza stessa della vita. La condizione umana va ben oltre il tragico o il depresso; è “Assurda”, e tutta l’umanità è semplicemente il prodotto di “uno dei brutti giorni di Dio.” Non c’è un “significato” per dare senso alle nostre vite. Paradossalmente questa assenza di senso ci permette di leggere dentro ai racconti di Kafka qualsiasi senso ci vada di trovare. Ma qualsiasi “significato” si cerchi di dare, esso crolla, perché non vi è una base di senso e di significato a sorreggere i testi di Kafka. Allo stesso tempo la letteratura dell’assurdo ha una missione; affermare che la letteratura è, come qualsiasi altra cosa, senza senso. La disciplina di Kafka e le opere di Samuel Beckett ne sono una dimostrazione: “lo scrittore non ha nulla per esprimersi, non ha nulla da cui esprimersi, non ha potere di esprimersi, non ha desiderio di esprimersi; tutto ciò insieme all’obbligo di esprimersi”. Alessandro Gassmann, attraverso una reinterpretazione della scrittura kafkiana, ha scelto Giorgio Pasotti come strumento per affrontare e rappresentare due racconti meno noti dell’autore – “Una relazione per un’accademia” e “La tana” – collocandoli sotto il titolo di “Racconti disumani”, cercando così di infondere nuova vitalità a tali narrazioni attraverso l’espressione teatrale. Nel primo monologo, l’attore dà vita a una scena intensa, incarnando una scimmia umana vestita con frac porpora e gilet di lustrini su un trespolo illuminato nel buio assoluto. Il palco, dominato da un leggio e da un velo trasparente, proietta videografie della giungla e ricordi della vita da scimmia. In “Una relazione per un’Accademia,” si esplora soprattutto la propensione umana a uniformarsi e confondersi, simile a scimmie ammaestrate. Il tormento della scimmia addomesticata emerge attraverso versi naturali che occasionalmente emergono, esprimendo il rimpianto per la perdita dell’identità ed incarna una sorta di Socrate che mette in discussione le certezze comuni, affermando l’ignoranza profonda riguardo a noi stessi. Nel secondo capitolo, intitolato “La tana”, il protagonista assume la forma di un roditore che elabora una complessa dimora sotterranea, concepita per sfuggire a potenziali minacce esterne. Il suo stato d’agitazione è manifestato attraverso l’utilizzo di un dialetto del settentrione italiano, caratterizzato da un tono chiuso e teso, con discorsi nevrotici e veloci indirizzati sia al pubblico che a sé stesso. La scenografia sottolinea l’inquietudine derivante dal suo isolamento autoimposto e dalla paura dell’ignoto, incorporando un telo ben illuminato che rappresenta gli ingressi delle tane nel terreno. Le luci si concentrano sulle aperture da cui il roditore emerge, coinvolgendosi in una corsa estenuante attraverso il complesso sistema di cunicoli sotterranei. Gli sguardi ansiosi degli spettatori seguono attentamente luci, movimenti e passaggi, immergendosi in una sensazione di affanno condivisa dal protagonista. La scenografia e l’impatto visivo si fondono con le evocative musiche di Pivio e Aldo De Scalzi, contribuendo a delineare le storie in modo simbolico. Le composizioni musicali si rivelano particolarmente significative nei momenti chiave di entrambi i monologhi. In “Una relazione per l’accademia” i suoni seguono l’evoluzione della scimmia ammaestrata, trasportandoci nei ricordi della sua vita in cattività. La musicalità sanguigna e carnale risuona quando l’anima animalesca prende vita. Quando il suono si trasforma in parole di senso compiuto, si manifesta come una conquista, un’ascesa a uno stato potenzialmente più consapevole, esplodendo in un trionfo di toni alti dal forte impatto. Nella sezione dedicata a “La tana”, l’ansia e la paura del roditore si trasmettono allo spettatore. In silenzio, si tendono le orecchie per percepire indizi soffusi di una possibile minaccia esterna. Piccole incursioni sonore forniscono leggeri input, preparando il terreno per il pericolo imminente che si annuncia senza preavviso, cercando di cogliere di sorpresa. L’equilibrio tra la visione registica e la grandiosità scenografica risulta cruciale. Se nella prima parte il regista si manifesta come guida assertiva, nella seconda parte sembra sussistere un rischio di essere sopraffatti dall’elaborato scenario, compromettendo l’armonia complessiva della produzione. Un meticoloso lavoro di equilibrio tra regia e scenografia potrebbe migliorare sensibilmente l’esperienza complessiva dello spettacolo. Questa riflessione, tuttavia, non intende sminuire il successo generale dell’esperimento. Anzi, la regia di Gassman si configura come un risultato apprezzabile e, nonostante le sfide riscontrate, si profila come un pioniere per future esplorazioni teatrali di natura simile. Giorgio Pasotti si distingue notevolmente in questa pièce teatrale . L’attore, infatti, rivela una sorprendente maestria nell’affrontare le due figure animalesche ognuna dalle caratteristiche sfaccettate. Dotato di una versatilità sia fisica che vocale, Pasotti incarna con convinzione l’umano dalle peculiarità rozze e animalesche, narrando con distacco la sua metamorfosi. Attraverso una performance coinvolgente, esprime la rabbia iniziale, la successiva rassegnazione e, infine, l’accettazione dell’unica via di fuga. Nel corso dello spettacolo, si distingue per la sua abilità nel ridicolizzare e accusare gli umani e le loro abitudini, conferendo al racconto un tono critico e satirico. La rapidità con cui l’attore si trasforma, tanto fisicamente quanto emotivamente, rivela l’onestà della sua interpretazione. Questa versatilità ha contribuito in modo significativo a creare un’esperienza teatrale coinvolgente e poliedrica per il pubblico che ha saputo premiarlo con applausi  più che calorosi. Recite sino al 04 Febbraio 2024.

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Arezzo: per la Fonsapresso Auditorium Guido D’Arezzo, l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino diretta da Ion Marin

gbopera - Mar, 30/01/2024 - 10:36

Arezzo, Caurum Hall -Auditorium Guido d’Arezzo: secondo concerto del cartellone sinfonico 2024
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Ion Marin
Wolfgang Amadeus Mozart (1756- 1791): Sinfonia n. 38 in re maggiore K. 504 “Praga”; Pëtr Il’ič Čajkovskij (1840-1893): Sinfonia n. 4 in fa minore op. 36
Arezzo, 27 gennaio 2024
Nel gremitissimo Caurum Hall-Auditorium Guido d’Arezzo ha avuto luogo il secondo appuntamento della Stagione concertistica aretina 2024 organizzata dalla Fondazione Guido d’Arezzo sezione teatri. In programma due splendide partiture del repertorio sinfonico a cura dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino diretta da Ion Marin. Il clima era quello dei grandi eventi, le aspettative lasciavano presagire il desiderio di entrare subito in medias res tanto che i brevi saluti istituzionali, del sindaco e del direttore artistico, sembravano risentire del monito mozartiano che indica prima la musica e poi le parole. La particolare acustica dell’Auditorium, restituendo ogni minimo dettaglio dell’esecuzione, viene più incontro al pubblico che ai musicisti. Va sottolineato il ruolo di Konzertmeister del violino di spalla il quale, tramite tra il direttore e l’orchestra, ha attirato lo sguardo degli altri musicisti ottenendo la ‘complicità’ necessaria per fare musica insieme. La Prager Symphonie, dal nome della città ove il 19 gennaio del 1787 avvenne la prima, è un’opera di Mozart tra le più conosciute come la “Haffner” (stessa tonalità), la “Linz” (presenza dell’Adagio introduttivo) e la “Jupiter”: tutte accomunate dall’inizio all’unisono distribuito su diverse ottave. Colpiva la collocazione, rispetto al direttore, dei violini (a sinistra i primi e a destra i secondi) i violoncelli e le viole al centro e i contrabbassi dietro i violoncelli. Il pubblico, nelle prime file a destra, poteva percepire la musica dal basso e ‘vedere’ edificare armonie, contrappunti, il melos e quant’altro generato da Mozart. A completare l’organico, una coppia di legni (flauti, oboi) al centro e in fila dietro agli archi, due corni a sinistra, due trombe e timpani più centrali e distanti. Dopo la grandiosa introduzione (Adagio) con alternanza di forti e piani nella tonalità d’impianto (re maggiore) e appena ‘fermati’ sull’ultimo accordo di dominante, il volgersi del direttore verso i primi violini annunciava l’Allegro nella consueta forma sonata con l’eterna dialettica tematica qui intesa come arte del dialogo. Dopo l’esordio degli archi (sincopato dei violini primi cui segue, negli altri, il canto omoritmico a voce bassa) è emersa un’alternanza tra leggerezza e trasparenza contrappuntistica. È bastato il gesto essenziale di Marin per assistere ad una compattezza fonica riconoscibile dagli interventi dei fiati e timpani. Nella sezione del piano e cantabile (inizio della seconda idea nella tonalità di la maggiore), la gestualità elegante e funzionale ha restituito una bella espressività mentre nella sezione dello “sviluppo”, per la scrittura in imitazione tra i violini, il direttore doveva ricorrere all’utilizzo distinto delle mani. La scelta poco scorrevole dell’Andante in 6/8 (sol maggiore), emersa dalla direzione in sei invece che in due, sembrava ispirarsi all’Andante ma un poco sostenuto 6/8 anziché, citando Harnoncourt, «nel senso di in avanti». Ma il canto era valorizzato, fin dall’esordio dei violini primi, mentre l’incontro tra strumentini ed archi era occasione per nuove e suggestive sonorità. Nel Finale (Presto) si è goduta ed apprezzata la scrittura a doppio coro ove all’alternanza archi-fiati si percepivano momenti in cui si compattava l’orchestra. Da un ascolto superficiale si era semplicemente ‘avvolti’ dai suoni, ma con una maggiore attenzione si coglieva una serie di dettagli significativi come: il movimento sincopato nell’Allegro, il ritorno alla tonalità d’impianto e la convivenza dell’eleganza formale con l’espressività. Con la sinfonia čajkovskiana si manifestano i segni del linguaggio tardo-romantico per le peculiari caratteristiche della scrittura e l’ampliamento dell’organico orchestrale. A chiarire descrizione e architettura formale di quest’opera basterebbe riferirsi alla lettera del compositore alla mecenate Nadežda Filaretovna von Meck, dedicataria della sinfonia cui viene esplicitata l’intenzione «per quanto è possibile [di] esprimere con parole ciò che significa». Tutto diventa rintracciabile in stati di malinconia e ricordi tanto da far dichiarare a Čajkovskij che «è dolce immergersi nel passato». L’Andante sostenuto – Moderato con anima corrisponde a «L’introduzione [e] contiene il germe di tutta una vita» diventando altresì una constatazione che non esiste un “porto” «Dobbiamo navigare su questo mare finché esso non ci inghiotte e non ci sommerge nelle sue profondità». La fanfara, nel triplo fortissimo con lo squillo delle trombe, arricchito dal contrappunto di altri strumenti (anche nelle reiterate apparizioni e soprattutto nell’amplificazione agitata degli archi), in una dimensione plurisignificativa stimolata dal rapporto simbolico interno all’effetto sonoro, inondava l’Auditorium di vibrazioni quasi ‘apocalittiche’. Nel Moderato assai, quasi Andante è bastato ascoltare il solo del primo fagotto (Alexander Grandal, dal bel suono e grande espressività), giovane musicista di origini danesi, per rendersi conto dell’eccellenza dell’orchestra anche in presenza di musicisti ospiti. Con l’Andantino in modo di canzona, con il solo del primo oboe accompagnato dal pizzicato degli archi, ripetuto dai violoncelli (molto bello anche nel cantabile del fagotto e delle viole e reiterato con la sostituzione di quest’ultimo con i violini primi), il pubblico veniva traghettato verso «quella sensazione melanconica che ci prende quando di sera siamo ormai del tutto soli e stanchi». In questa parte della sinfonia e nello Scherzo. Pizzicato degli archi («arabeschi capricciosi») l’espressività della sinistra del direttore faceva immaginare la fruttuosa concertazione in cui si apprezzava il divertissement dei legni nel Trio (Meno mosso) così intrigante (dopo la ripresa del pizzicato), riuscendo a coinvolgere con molta naturalezza le diverse sezioni orchestrali. Nel Finale. Allegro con fuoco l’orchestra esprimeva lo spirito della festa popolare in cui viene affermata la contagiosa gioia della vita che, pur fatta di salite e discese (come le stesse numerose scale diffuse in tutta la sinfonia), Čajkovskij ricorda che nonostante tutto «la vita è bella!».

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Venezia, Teatro La Fenice: ritorna “Il barbiere di Siviglia” di Rossini

gbopera - Mar, 30/01/2024 - 08:04

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Lirica e Balletto 2023-2024
IL BARBIERE DI SIVIGLIA”
Melodramma buffo in due atti su libretto di Cesare Sterbini, dalla commedia “Le Barbier de Séville” di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais.
Musica di Gioachino Rossini
Il conte d’Almaviva/Lindoro NICO DARMANIN
Bartolo OMAR MONTANARI
Rosina MARINA COMPARATO
Figaro ALESSANDRO LUONGO
Basilio FRANCESCO MILANESE
Berta GIOVANNA DONADINI
Fiorello WILLIAM CORRÒ
Un ufficiale CARLO AGOSTINI
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Renato Palumbo
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Maestro al fortepiano Roberta Ferrari
Regia Bepi Morassi
Scene e costumi Lauro Crisman
Light designer Andrea Benetello
Allestimento Fondazione Teatro La Fenice
Venezia, 26 gennaio 2024
Ennesima ripresa alla Fenice dello storico allestimento del Barbiere di Siviglia, firmato da Bepi Morassi, la cui prima realizzazione risale al lontano 2002: uno spettacolo dall’impostazione di base tradizionale – e proprio per questo oggetto di qualche critica, forse un tantino snobistica –, che si arricchisce o comunque parzialmente si modifica ogni volta che viene riproposto. Del resto, è implicito che l’inevitabile cambiamento di parte degli interpreti induca a porre in maggiore evidenza particolari aspetti della drammaturgia rossiniana rispetto ad altri, assecondando nuove sensibilità e abilità a livello vocale e gestuale. Comunque sia, anche nell’attuale messinscena del Barbiere – come quelle in quelle precedenti – si coglie l’intimo legame tra la più nota opera buffa del Pesarese e l’antica tradizione della Commedia dell’Arte, intesa dal regista non in senso deteriore o riduttivo, bensì come grande scuola di virtuosismo interpretativo. Ai cantanti-attori, dunque, lo spettacolo ideato da Morassi – degno allievo di Giovanni Poli, cui tanto si deve proprio per la riscoperta della Commedia dell’Arte, insieme a Strehler e Fo – richiede, aldilà di una sicura prestanza vocale, una scaltrita padronanza dell’arte istrionica, per dar vita a un intrigante gioco scenico in parallelo con il grande “concertato” musicale, creato dal genio indiscusso di Rossini. Per il regista veneziano – come si apprende da una sua intervista – riproporre, negli anni, questo Barbiere rappresenta sempre una sfida con se stesso e con la propria capacità di apportare allo spettacolo quei ritocchi che si rendano necessari. È, altresì, un’occasione per valutare la sua personale evoluzione artistica, prendendo come riferimento il progredire nel tempo dell’allestimento di un capolavoro assoluto, nell’ambito del genere buffo, che come tutti i grandi titoli consente diversi livelli di lettura, impegnando particolarmente il regista. Anche in quest’occasione – come si è detto – la macchina scenica costruita da Morassi, coadiuvato da Lauro Crisman (scene e costumi) e Andrea Benetello (Light designer), si è confermata un omaggio alla grande tradizione della Commedia dell’Arte, non senza qualche riferimento al varietà e qualche trovata abbastanza originale, che ha divertito il pubblico: ad esempio, quando, nel corso del duetto “All’idea di quel metallo”, Figaro accenna qualche passo di danza, imitando Fred Astaire con tanto di bastone; o quando Basilio, intonando “La calunnia”, gioca a carte con Bartolo (evidentemente barando, visto che, alla fine, mostra beffardamente una serie di assi nascosti dentro il soprabito). Particolarmente riuscito – a proposito di trovate originali – appare il personaggio di Berta, che ha l’aria di una pazzerella, che talora esplode in astiose risate, simili a quelle della strega di Biancaneve nel celebre cartoon disneyano. Gradevoli i costumi di foggia piuttosto tradizionale (emblematica la mise scarlatta del “diabolico” Figaro) al pari delle scene (dalla piazzetta, su cui si affaccia il balcone di Rosina, chiuso da una grata, con sullo sfondo la skyline di Siviglia, si passa alla stanza della casa di Bartolo con le pareti rosse a righe gialle su cui campeggiano i ritratti di famiglia); efficace l’uso delle luci, che assumono un tono infuocato in certe scene di più accesa emotività. Un raffinato equilibrio ha caratterizzato la direzione e la concertazione di Renato Palumbo, che ha accompagnato con sensibilità e autorevolezza le voci, instaurando un proficuo rapporto tra buca e palcoscenico, col sostegno di un’orchestra, come sempre encomiabile, che lo ha perfettamente assecondato sia nell’insieme che negli interventi solistici. Un suono brillante ma anche di mozartiana leggerezza si è apprezzato fin dalla vivace Sinfonia. Di prim’ordine il giovane Cast, che in generale ha saputo coniugare espressività, prestanza vocale, incisivo fraseggio e presenza scenica. In particolare, il tenore Nico Darmanin (Lindoro/Il Conte d’Almaviva) col suo timbro omogeneo, appena venato di nobile metallo, si è dimostrato giustamente enfatico negli squarci lirici e sicuro negli acuti quanto nei passaggi d’agilità, a partire da “Ecco ridente in cielo”. Adorabilmente spregiudicata ma anche animata da buoni sentimenti era la Rosina delineata dalla brava Marina Comparato che, dotata di una vocalità scevra da ogni pesantezza, si è dimostrata particolarmente agile anche nelle più ardue colorature, come si è pienamente apprezzato in “Una voce poco fa” dal concitato finale mozzafiato. Un’attitudine rocambolesca, insieme a una vulcanica energia, caratterizzava il personaggio di Figaro, che Alessandro Luongo, con voce estesa e timbrata, oltre che con una gestualità talora quasi acrobatica, ha proposto in modo suggestivo ma nel contempo credibile, fin dalla cavatina, “Largo al factotum”. Un bel timbro baritonale si è apprezzato in Omar Montanari (Bartolo) che, senza esagerare in espedienti comici, ha divertito nella parte del vecchio tutore alla mercé della sua tutt’altro che ingenua pupilla, destreggiandosi con onore nell’ardua “A un dottor della mia sorte” (anche nello scioglilingua finale). Un’espressività caricaturale ma non stucchevole si coglieva, analogamente, nel Don Basilio, interpretato con voce profonda da Francesco Milanese, come si è apprezzato nell’immortale “La Calunnia è un venticello” col suo impressionante crescendo finale. Spiritosa Giovanna Donadini nei panni di Berta, che ha sfoggiato verve e leggerezza interpretando “Il vecchiotto cerca moglie”.Valide le prestazioni di William Corrò e Carlo Agostini, rispettivamente Fiorello e Un ufficiale, nonché quella del coro, istruito da Alfonso Caiani. Successo vivissimo con diverse chiamate per gli interpreti vocali e gli altri responsabili dello spettacolo.

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Malta, XII° Valletta Baroque Festival: “Rediscovering Abos”

gbopera - Mar, 30/01/2024 - 00:12

Tarxien (Malta), Chiesa S. Maria Assunta, XII Valletta Baroque Festival
REDISCOVERING ABOS”
Abos Project and Consort
Direttori musicali Marco Mencoboni, Gillian Zammit
Girolamo Abos (1715-60): “Lezione Terza del Giovedì Santo” per soprano e strumenti (Prima esecuzione in tempi moderni) – versione di Monaco; “Te Deum Laudamus” (Prima esecuzione in tempi moderni);” Litanie Lauretane” per due voci e strumenti (Prima esecuzione in tempi moderni); “Tantum Ergo” per soprano e violino (Prima esecuzione in tempi moderni); “Lezione Terza del Giovedì Santo” per soprano e strumenti – versione di Parma; “Veni creator spiritus” (Prima esecuzione in tempi moderni)
Tarxien (Malta), 26 gennaio 2024
Il secondo appuntamento vocale cui partecipiamo nell’ambito del Valletta Baroque Festival èun progetto specifico fortemente voluto dal direttore artistico Kenneth Zammit-Tabona, e che non si esaurisce certo nell’arco di pochi anni: l’Abos Project prevede infatti in primis un lavoro filologico, che poi abbia come esito delle esibizioni pubbliche della non esigua produzione del compositore maltese Girolamo Abos (1715-60). A muovere questa riscoperta non è un semplice spirito patriottico, ma l’effettiva grande qualità delle composizioni di Abos, che merita un ascolto moderno e una grande diffusione; per fare questo si è composto un vero team scientifico-artistico di studiosi, musicisti e un coro. La scelta del concerto di quest’anno cade su un repertorio di musica sacra specifico: la Lectio Tertia per il Giovedì Santo tratta dal profeta Geremia, un tempo recitata proprio nel primo giorno del triduo pasquale e accompagnata dallo spegnimento di quattordici candele su quindici, alla lettura di ciascun versetto – rito gentilmente riproposto per il pubblico da Padre Chris, giovane parroco di Tarxien, ove è avvenuto il concerto. La formazione musicale diretta dal maestro Marco Mencoboni si avvale per lo più di clavicembalo e archi (giacché in quaresima l’organo non poteva suonare) e nella sua semplicità risulta l’efficace supporto alle parti vocali, vere protagoniste: sia con i solisti che con l’esigua formazione corale (dieci elementi) riscontriamo piena coesione ed è evidente che la preparazione con due maestri (il soprano Gillian Zammit, oltre che Mencoboni) abbia avuto come obiettivo un attento lavoro di cesello, pulitura delle linee vocali, perfezionamento. Le cinque soliste sono state tutte pienamente all’altezza dell’occasione; anzi: se dalla Zammit ci aspettavamo – dopo la performance in San Giovanni di qualche sera fa – una prova di grande spessore ed intensità (che ha puntualmente fornito), due giovani artiste hanno davvero sorpreso i presenti, cioè Maria Grazia Grech e Raisa Marie Micallef. La prima, soprano lirico, ha eseguito da solista il Tantum Ergo, rivelando un suono tondo, naturalmente luminoso, ricco di armonici, e una notevole padronanza tecnica; la seconda, contralto di soli ventidue anni, caldo e brunito, pienamente proiettato anche nei gravi, si è distinta in duetto con l’altro buon soprano Analise Mifsud nelle Litanie Lauretane. Il pubblico rimane estasiato, e a ben ragione, anche per la splendida coerenza del progetto – la musica di Abos è ricca di scuola napoletana, ma ha una sua affascinante peculiarità, fatta di sincopi frequenti, contrappunto semplice e preciso, un’omogeneità che riesce a non trasformarsi in ripetitività e linee di canto solide, chiare, senza forzature ma ben organizzate, specie nelle armonizzazioni; la cattedrale di Tarxien è magnifica espressione barocca, imponente e avvolgente allo stesso tempo; le voci dal pulpito riccamente scolpito sembrano quelle di angeli discesi a parlarci. Si ricrea per qualche minuto un vero e proprio silenzio mistico, pieno tuttavia di quell’anelito trascendente che queste pagine vorrebbero suscitare. Missione compiuta. Foto Darryl Farrugia

Categorie: Musica corale

Bologna, Comunale Nouveau: “Manon Lescaut”

gbopera - Lun, 29/01/2024 - 00:52

Bologna, Comunale Nouveau, Stagione Opera 2024
MANON LESCAUT
Dramma Lirica in quattro atti su libretto di Domenico Oliva e Luigi Illica, dal romanzo Histoire du chevalier des Grieux et de Manon Lescaut di A.F. Prevost
Musica di Giacomo Puccini
Manon Lescaut ERIKA GRIMALDI
Lescaut CLAUDIO SGURA
Renato Des Grieux LUCIANO GANCI
Geronte di Ravoir GIACOMO PRESTIA
Edmondo PAOLO ANTOGNETTI
Il maestro di ballo BRUNO LAZZARETTI
Un musico ALOISA AISEMBERG
Un lampionaio CRISTIANO OLIVIERI
Un comandante di Marina COSTANTINO FINUCCI
L’oste/Un sergente degli arcieri KWANGSIK PARK
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttrice Oksana Lyniv
Maestro del Coro Gea Garatti Ansini
Regia Leo Muscato
Scene Federica Parolini
Costumi Silvia Aymonino
Luci Alessandro Verazzi
Nuova Produzione del Teatro Comunale di Bologna
Bologna, 26 gennaio 2024
Terzo e fatidico titolo del catalogo pucciniano, trascurato talvolta perché oscurato dalla popolarità del quarto (La Bohème), è il lavoro che per la sua irruente originalità, a dispetto degli auto imprestiti, ha consacrato Puccini fra i massimi operisti di tutti i tempi. E Puccini l’ha ricambiato dedicandogli infinite rifiniture: finite soltanto dalla morte, di cui quest’anno ricorre il centenario. I complessi del Comunale sono ideali per questo Autore: un’orchestra dal suono magmatico, denso, lucente, muscolare, che guarda alla Mitteleuropa; ma con una sensibilità alla tenerezza melodica, alla cantabilità, intimamente italiana. E il coro duttile e pastoso che non delude mai. La direzione di Oksana Lyniv è appassionata e lucida; certo, nell’equilibrio fra buca e palcoscenico favorisce la prima. La protagonista è Erika Grimaldi, a Bologna già ascoltata come Maddalena di Coigny e Leonora di Vargas, e sempre lodata per la voce di grande bellezza, rotonda, piena, morbidissima, e per il gusto sobrio dell’espressione. Accanto a lei sta Luciano Ganci: tenore di gran  squillo, timbro lucentissimo, e un turgore che conosce tuttavia alcune sfocature, specie d’intonazione, che talvolta sa mascherare riconducendole a ragioni espressive. Ha accenti drammatici molto convincenti, che possono ricordare Di Stefano, e poi alcune appassionatissime scivolate, che di nuovo possono ricordare Di Stefano: e piacciono terribilmente al godereccio pubblico bolognese. Lescaut è l’ottimo Claudio Sgura, che scopre a tratti un’insospettabile oscillazione nella messa di voce. Impeccabile invece il Geronte di Giacomo Prestia, fuori classe assoluto, esempio di stile ben al di là delle notevoli e note doti vocali. Bene le parti di fianco, specialmente il luminoso e saldo Edmondo di Paolo Antognetti. La regia di Leo Muscato si concentra sull’ultimo atto, lo stesso cui Puccini rimette mano poco prima di morire, come si diceva all’inizio, nel ‘24. E quest’ultimo atto veramente funziona. Il profilo del deserto americano, sezionato da abili tagli di luce, scandisce lo spazio inusuale del Comunale Nouveau come non era mai stato fatto nella sua breve storia. Il boccascena cinemascope si presta ottimamente a questo orizzonte così vasto e schiacciato nell’altezza, disegnato dalla scenografa Federica Parolini, e poi moltiplicato ai lati dalle quinte specchianti. I protagonisti cadono a terra prostrati dalle fatiche del dramma, ma tentano infine di ricongiungersi trascinandosi faticosamente. Questa scena, all’apparenza così vuota, è la più piena di teatro. Negli altri atti interviene l’attrezzeria a ricreare i vari ambienti, il pavimento del deserto non prestandosi a cambi scena. La storia viene raccontata con semplicità e sapienza, in uno spostamento temporale non molto convincente in verità (segnalato principalmente dai bei costumi curati da Silvia Aymonino), ma con qualche idea brillante. Ad esempio. Il pubblico dei minuetti di Manon è composto di eleganti signori invece che di abati adusi ad adorare in silenzio: perdendosi così il malizioso sorrisetto anticlericale. Di questi, però, uno si attarda ad uscire di scena: è Des Grieux, che così camuffato è riuscito ad introdursi nella casa di Geronte, e ora fa giustamente trasalire Manon che se lo vede alle spalle, riflesso nello specchio. Il clima generale di questa serata, che pure è l’inaugurazione della stagione, sconsiglia il ricorso ad espressioni enfatiche quali entusiasmo, euforia, acclamazione, e simili: le paillettes non mancano, ma vincono il nero e la sobrietà. Foto Andrea Ranzi

Categorie: Musica corale

Luigi Cherubini (1760 – 1842): “Messe solennelle n. 2 in re minore”

gbopera - Dom, 28/01/2024 - 18:52

Luigi Cherubini (1760 – 1842): “Messe solennelle n. 2 in re minore”. Ruth Ziesak (Soprano). Iris-Anna Deckert (Soprano II). Christa Mayer (Contralto). Christoph Genz (Tenore). Robert Buckland (Tenore II). Thomas E. Bauer (Basso). Kammerchor Stuttgart. Klassische Philharmonie Stuttgart. Frieder Bernius (direttore). Registrazione dal vivo: Deutsches Haus, Flensburg, 21.07.2001. T. Time: 75′ 41″. 1CD Carus 83512
Le incisioni della Messe solennelle n. 2 in re minore di Luigi Cherubini si contano sulle punte delle dita anche a causa della monumentalità di questa partitura che richiede un grande organico orchestrale (flauti, oboi, clarinetti, fagotti, corni, trombe, tromboni, timpani e naturalmente archi) oltre ai solisti e al coro. Delle difficoltà esecutive di questa Messa è testimonianza, del resto, il fatto che, pur essendo stata composta nel 1811, sia stata eseguita a Parigi un decennio più tardi. In effetti, in base a recenti studi si ritiene che Cherubini abbia concepito questa Messa non per la capitale francese, ma per la cappella di Nicola II Esterházy nella speranza di ottenere lo stesso incarico che in passato aveva ricoperto Haydn. Monumentale per quanto attiene all’organico, questa Messa non lo è da meno per quanto riguarda le dimensioni a partire dal Gloria, che è sicuramente il brano più ampio, attorno al quale ruota l’intera opera di Cherubini che si segnala, oltreché per l’altissimo magistero contrappuntistico, per un senso di maestosità e forza espressiva di alcune delle sue parti.

La presente incisione, pubblicata dall’etichetta Carus, crediamo riproponga, visto che è datata, una registrazione dal vivo risalente all’edizione del 2001 del Festival dello Schleswig-Holstein con il Kammerchor Stuttgart e la Klassische Philharmonie Stuttgart, molto ben diretti da Frieder Bernius, autore di un’ottima concertazione, non solo per i tempi e le sonorità, ma soprattutto perché attenta ad esaltare la scrittura contrappuntistica della partitura facendo ben emergere le voci ed evidenziando i passi di carattere imitativo. Funzionale la prova delle voci soliste: Ruth Ziesak (Soprano), Iris-Anna Deckert (Soprano II), Christa Mayer (Contralto), Christoph Genz (Tenore), Robert Buckland (Tenore II), Thomas E. Bauer (Basso).

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Parioli: “Farà giorno” dal 31 Gennaio al 11 Febbraio 2024

gbopera - Dom, 28/01/2024 - 09:00

Roma, Teatro Parioli
Stagione 2023 2024

FARÀ GIORNO 
commedia in due atti di Rosa A. Menduni e Roberto De Giorgi
con Antonello Fassari, Alvia Reale, Alberto Onofrietti 
regia Piero Maccarinelli
scene Paola Comencini
musiche Antonio Di Pofi 
produzione Teatro Franco Parenti 
Tutto si svolge in un interno, la stanza di Renato, mentre fuori la città con il suo caotico e bruciante ritmo consuma energie. Ma non c’è nulla di minimalista, perché nella stanza di Renato l’incontro e lo scontro verte sulle differenti posizioni morali dei tre personaggi o sull’accettazione indotta di uno di loro, sul loro passato e il loro presente in una società sempre più disgregata, dove sembra sempre più difficile trovare principi fondanti comuni. Il testo vive sulle rimozioni del passato, sui sensi di colpa e su un orgoglio troppo superficialmente esibito. Renato, vecchio partigiano e medaglia d’oro al valore della Resistenza, si trova sulla strada di Manuel, teppista di periferia con spiccate simpatie nazifasciste. Manuel, uscendo dal garage condominiale, in una manovra scellerata, investe con l’auto Renato e “tratta” con lui un periodo di assistenza domiciliare solo per evitare una denuncia. Comincia così una sfida senza esclusione di colpi, anzi, una partita a due che tra azzardi, bluff ed inganni assumerà poco per volta i contorni di un confronto tra due opposte visioni della vita e del senso della Storia. In questo percorso ora aspro e diffidente, ora scanzonato e ironico, la comune ricerca di umanità e di verità li aiuterà a vincere le rispettive diffidenze rivelando le proprie debolezze e paure: il bilancio di una vita intera per l’uno, la mancanza di prospettive per il futuro per l’altro. L’inaspettato e improvviso ritorno a casa di sua figlia Aurora è, per Renato, l’evento che riapre la strada a dolorosi ricordi, ma anche alla speranza di una riconciliazione in cui ormai non credeva quasi più: li hanno separati trent’anni di silenzio e di lontananza ma, ancora prima di questo, la scelta di vita di Aurora e la decisione più difficile che un padre possa prendere.  Nell’ultimo e più importante confronto della sua vita, Renato si trova a trasmettere a due generazioni così diverse e distanti tra loro un’eredità che oggi sembra ormai dispersa, fatta dei più alti ideali di libertà e di responsabilità.  Renato, Aurora e Manuel con le loro storie, le loro sconfitte, le loro illusioni e la loro voglia di riscatto sembrano diventare figure simboliche di un Paese che cerca di ritrovare il senso di sé. Il testo, mantenendo l’ambientazione nel 2007, pur affrontando alcune importanti contraddizioni della società italiana e non censurando i momenti di commozione, ha tutte le caratteristiche della commedia, dotando i tre protagonisti di grande personalità, disincantata ironia e dialoghi vivaci e brillanti. Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman: “Racconti disumani” di Alessandro Gassman dal 30 gennaio al 04 febbraio 2024

gbopera - Dom, 28/01/2024 - 09:00

Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman
RACCONTI DISUMANI
da Franz Kafka
uno spettacolo di Alessandro Gassman
Con Giorgio Pasotti
adattamento Emanuele Maria Basso
musiche Pivio e Aldo De Scalzi
scene Alessandro Gassmann
costumi Mariano Tufano
light designer Marco Palmieri
videografie Marco Schiavoni
aiuto regia Gaia Benassi
sound designer Massimiliano Tettoni
trucco Serena De Pascali
Teatro Stabile d’Abruzzo
in coproduzione con Stefano Francioni Produzioni
Musicisti:
Aldo De Scalzi synth, chitarra acustica
Pivio synth, percussioni
Luca Cresta piano, fisarmonica,
Claudio Pacini synth, percussioni cromatiche
Edmondo Romano clarinetto
Daniele Guerci violino, viola
Arianna Menesini violoncello
Dado Sezzi percussioni
Due straordinari artisti come Alessandro Gassmann e Giorgio Pasotti si misurano con le parole di Franz Kafka, due “racconti disumani” per parlare, Pasotti interpretando e Gassmann dirigendo, agli uomini degli uomini. “Una relazione per un’Accademia” e “La tana”, due storie di animali, sembrerebbero, una che mette a nudo la superficialità di un modo di essere attraverso comportamenti stereotipati e facili, l’altro che racconta quel bisogno di costruirsi il riparo perfetto che ci metta al sicuro da ogni esterno. Una relazione per un’Accademia e stato pubblicato la prima volta nel 1917, protagonista una scimmia che racconta come, in cinque anni, si adegua al sistema umano per uscire dalla gabbia nella quale l’hanno rinchiusa dopo la cattura e guadagnare un fac-simile di libertà. La narrazione in prima persona, divertita e distaccata, ripercorre lo studio delle abitudini degli uomini che con sorprendente facilità possono essere imitate e replicate. “La prima cosa che ho imparato è stata la stretta di mano; una stretta di mano dimostra franchezza; ora che sono al vertice della mia carriera, possa anche una parola franca raggiungere quella prima stretta di mano. Una tale parola non aggiungerà novità essenziali e rimarrà molto al di sotto di ciò che mi si richiedeva, ma deve mostrare quale sia la linea di sviluppo di chi, un tempo scimmia, e riuscito a entrare e a stabilirsi saldamente nella comunità umana. Non potrei tuttavia dire io stesso quel poco che seguirà se non fossi pienamente sicuro di me stesso e se la mia posizione su tutti i palcoscenici di varietà del mondo civilizzato non fosse ormai incrollabile.” La tana e uno degli ultimi racconti dell’autore boemo Franz Kafka, è stato scritto durante la sua permanenza a Berlino nel 1923, e pubblicato postumo ed incompiuto per la prima volta nel 1931. Racconta del continuo, disperato sforzo intrapreso dal protagonista, per metà roditore e per metà architetto, di costruirsi un’abitazione perfetta, un elaborato sistema di cunicoli costruiti nel corso di un’intera vita, per potersi proteggere da nemici invisibili. E, nel tentativo di lasciare tutto fuori, costruisce passaggi e corridoi, e nuovi tunnel che portano al niente dei vicoli ciechi, una ricerca della sicurezza ossessiva che genera solo ansia e terrore. Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Malta, XII° Valletta Baroque Festival: “Farándula Castiza“

gbopera - Dom, 28/01/2024 - 08:31

Valletta (Malta), The Malta Chamber, XII La Valletta Baroque Festival
FARÁNDULA CASTIZA”
Forma Antiqva
Direttore Aarón Za
José de Nebra (1702-1768): Obertura de “Iphigenia en Tracia” (Allegro); Bernardo Álvarez Acero (1766-1821): Fandango; José Castel (1737-1807): Sinfonía nº 3 (Allegro); Nicolás Conforto (1718-1793): Sinfonía de “La Nitteti”; Vicente Baset (1719-1764): Sinfonia a più stromenti Bas-3; Luigi Boccherini (1743-1805): Tempo di Minuetto (Op VI); Juan Bautista Mele (ca.1701-1752): Sinfonía de Angelica e Medoro; Nicolás Conforto: Fandango; Vicente Baset: Apertura a più stromenti Bas-7; Santiago de Murcia (1673-1739): Cumbées; Nicolás Conforto: Sinfonía de “Siroe”; Francisco Corselli (1705-1778): Obertura de “La cautela en la amistad”; José de Nebra: Obertura de “Iphigenia en Tracia” (Minué, Allegro); José Castel: Sinfonía nº 3 (Minuetto); Vicente Baset: Apertura a più stromenti Bas-5.
Valletta (Malta), 24 gennaio 2024
L’offerta strumentale del Valletta Baroque Festival si articola principalmente in due direzioni: ripresa dei classici e riscoperta di autori e tradizioni musicali più rare. Proprio a questo secondo filone pertengono i due spettacoli strumentali cui assistiamo, a cominciare dalla “Farándula Castiza“ di Forma Antiqva, formazione barocca spagnola affacciatasi ormai da circa un ventennio sulla scena internazionale. Il concerto si apre con pezzi che il gruppo ha già affrontato in studio nell’ultimo album “La caramba” (su etichetta Winter & Winter): si tratta di quelle composizioni che non prevedono l’intervento vocale del soprano Maria Hinojosa – che nell’album punta a far rivivere proprio “La Caramba” Maria Antonia Vallejo, la più celebre delle dive del melodramma alla corte spagnola; a questi si aggiungono anche alcune composizioni di Vicente Baset presenti nell’album eponimo pubblicato nel 2020 per la stessa etichetta; tuttavia, sono i brani che affrontano per la prima volta quelli più interessanti, tratti dal repertorio di Francisco Corselli e Nicolás Conforto, al secolo “Francesco” e “Nicola”, italianissimi che si avvicendarono quali maestri di cappella della corte madrilena del secondo XVIII secolo, e lasciarono un ampio e variegato repertorio operistico e da camera. Per spezzare la naturale continuità stilistica che intercorre da José de Nebra, predecessore di Corselli, fino a Conforto, si inseriscono pezzi da ballo di natura anche smaccatamente popolare, giacché la nuova corte borbonica dell’epoca godeva proprio della commistione dei generi, dell’alto del basso, quasi volendo procrastinare l’inevitabile virata al classicismo che quegli anni stavano imponendo: ecco allora il Fandango di Bernardo Álvarez Acero, imperfetto e spumeggiante come ci aspetteremmo fosse eseguito all’epoca, il Tempo di Minuetto Op. VI di Luigi Boccherini, distantissimo dal modello originale (che proprio Boccherini piegò e rinverdì molte volte) e godibilmente destrutturato, le Cumbées di Santiago de Murcia, dall’andamento più decisamente folk e intrise di sapore bambocciante secentesco. Il grande equilibrio della struttura del concerto restituisce anche l’intesa pressoché perfetta che corre tra i membri della formazione: i tre fratelli Zapico, Pablo (chitarra barocca), Daniel (tiorba) e Aarón (clavicembalista e direttore dell’ensemble), assieme ai due violini di Jorge Jimenez e Daniel Pinteño e al violoncello di Ruth Verona, suonano con grande brio e trasporto, caratteri che forse non ci si aspetterebbe dall’esecuzione barocca, ma che questo repertorio invece richiede; guardarli significa penetrare silenziosamente anche un’armonia di sguardi, sorrisi, piccoli ammiccamenti, che comunicano sì la familiarità, ma anche il reciproco profondo rispetto e senso dell’ascolto – specie durante i frequenti assoli della chitarra. Questo il merito maggiore di questa “Farándula castiza”: non solo il coraggio di riproporre un repertorio quasi caduto nell’oblio; non solo l’intelligenza di scegliere un repertorio barocco “spiazzante”, ossia lontano sia dalle geometrie bachiano-vivaldiane sia dagli abbandoni larmoyant di scuola napoletana, espressione del Settecento più giocondo e pittoresco; ma, soprattutto, un’interpretazione che segue questa linea franca e gioiosa, probabilmente non prossima alla perfezione esecutiva (ogni tanto qualche quarto di tono “scappa”, qualche variazione o abbellimento salta) ma del tutto aderente allo zeitgeist che ha visto fiorire e furoreggiare questo genere nella Spagna post-asburgica. Un’esperienza difficilmente ripetibile. Foto Elisa Von Brockdorff

Categorie: Musica corale

Le cantate di Johann Sebastian Bach: terza domenica dopo l’Epifania

gbopera - Dom, 28/01/2024 - 00:20

Herr, wie du willt, so schick’s mit mir BWV 73 (Signore, sia fatto di me secondo la tua volontà) è la cantata prevista per la terza domenica dopo l’Epifania, eseguita a Lipsia il 23 gennaio 1724. Sul piano del testo così come su quello musicale, la cantata poggia su un Corale di Kaspar Bienemann (1540-1591) del 1582, che da il titolo alla composizione e ne costituisce “l’incipit”, qui spezzato in 4 segmenti, con l’inserimento di 3 interventi delle voci soliste in stile recitativo. A sostegno o a completamento di questi interventi gli strumenti propongono 2 incisi tematici che vengono utilizzati come vere e proprie figure “ostinate”. Tutta la condotta risulta fortemente influenzata da continui richiami alla struttura melodica del Corale, sicchè i 2 elementi portanti del discorso, la melodia del lied ed il rivestimento contrappuntistico, si fondono in una singolare unità, tenace e sostanziosa. La cantata il cui testo potrebbe essere uscito dalla mani di Solomo Franck, segna il ritorno a quel senso della morte, abbandonato durante il ciclo natalizio, che pervade gran parte della liturgia e che il luteranesimo oppone dialetticamente, in modo modo molto vigoroso, quasi compiacendosi al senso della vita. Così questa partitura, prende le mosse da un evento gioioso: la guarigione del lebbroso e del servo del centurione e l’inno di ringraziamento dei fedeli miracolati e si trasforma in un sentimento di rassegnazione e di fede. Al peccatore il luteranesimo impone per prima cosa di credere fortemente e di rimettersi alla volontà di Dio. Un sentimento che viene tradotto da Bach in un modo quasi drammatico, spezzando la continuità del Corale con le suppliche dei recitativi e sottolineando il versetto conclusivo “Signore come tu vuoi”, ripetuto 3 volte. L’oboe, che è lo strumento dominante di questa partitura è e una frase meravigliosamente melodiosa nella bellisima aria bipartita afidata al tenore (Nr.2). Il recitativo seguente del basso (Nr.3) sfocia direttamente nell’aria (Nr.4), dai toni semplici, intimi che descrive la disponibilità dell’anima alla morte. La frase “Signore, se lo vuoi” è l’elemento ricorrente di quest’aria.
Nr.1 – Coro e recitativo (Tenore, Basso, Soprano)
Coro
Signore, sia fatto di me secondo
la tua volonà, nella vita e nella morte!
Tenore
Ah! Ma ahimè! Quanta sofferenza
mi provoca la tua volontà!
La mia vita è bersaglio della sfortuna,
dolore e avversità
mi torturano da quando vivo,
e il mio tormento non mi abbandonerà
se non in punto di morte.
Coro
Il mio desiderio è rivolto a te solo,
Signore, non farmi perire!
Basso
Tu sei mio soccorso, consolazione, rifugio,
tu che conti le lacrime degli afflitti
e non spezzi
la fragile canna della loro fede;
e poiché mi hai scelto,
pronuncia una parola di conforto e di gioia!
Coro
Custodiscimi solo nella tua grazia,
e qualsiasi cosa vuoi, donami pazienza,
poiché la tua volontà è per il meglio.
Soprano
La tua volontà è un libro sigillato che
la saggezza degli uomini non comprende; 
la benedizione ci sembra spesso maledizione,
il castigo una furiosa punizione,
il riposo a cui ci destini un giorno
nel sonno della morte,
ci sembra la soglia dell’inferno.
Ma il tuo Spirito ci libera da questi errori
e ci mostra che la tua volontà è salvezza.
Coro
Signore, sia fatta la tua volontà!
Nr.2 – Aria (Tenore)
Fà dunque che lo spirito di gioia
penetri nel mio cuore!
Spesso nel mio spirito debilitato
gioia e speranza vacillano
e si scoraggiano.
Nr.3 – Recitativo (Basso)
Ah, la nostra volontà è fallace,
ora ostinata, ora paurosa,
non accettando mai di pensare alla morte;
solo un cristiano educato nello Spirito di Dio
sa sottomettersi alla sua volontà
e dire:
Nr.4 – Aria (Basso)
Signore, se lo vuoi,
le sofferenze della morte spremano
dal mio cuore gli ultimi sospiri,
se ascolti la mia preghiera.
Signore, se lo vuoi,
deponi nella polvere
e nella cenere le mie membra,
immagine corrotta del peccato.
Signore, se lo vuoi,
suonino dunque le campane funebri,
le seguirò senza timore,
il mio dolore sarà per sempre placato.
Nr.5 – Corale
Questa è la volontà del Padre
che ci ha creato;
il suo Figlio ci ha elargito
la pienezza di beni e di grazia;
anche lo Spirito Santo
ci guida nella fede,
conducendoci al Regno dei cieli.
A lui lode, onore e gloria!
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata Herr, wie du willt, so schick’s mit mir BWV 73

 

 

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Al Nuovo di Verona, dal 30 gennaio al 4 febbraio nell’ambito del Grande Teatro, è di scena la commedia di Carlo Goldoni “Gl’innamorati”

gbopera - Sab, 27/01/2024 - 11:02

Dopo il grande successo di “Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese, la rassegna “Il Grande Teatro” organizzata dal Comune di Verona e dal Teatro Stabile di Verona – Centro di Produzione Teatrale prosegue con “Gl’innamorati” di Carlo Goldoni nell’adattamento di Angela Demattè. Lo spettacolo, in programma da martedì 30 gennaio a sabato 3 febbraio alle 20.45 e domenica 4 febbraio alle 16.00 al Nuovo, è prodotto dal Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale. Diretti da Andrea Chiodi, sono in scena Gaspare Del Vecchio (Fabrizio), Elisa Grilli (Eugenia), Ottavia Sanfilippo (Flamminia),Cristiano Parolin (Fulgenzio), Francesca Sartore (Clorinda), Leonardo Tosini (Roberto), Gianluca Bozzale (Ridolfo), Alessia Spinelli (Lisetta) e Riccardo Gamba (servitore). Le scene sono di Guido Buganza, i costumi di Ilaria Ariemme, le musiche di Daniele D’angelo, i movimenti scenici di Marco Angelilli, le luci di Nicolò Pozzerle.
Mercoledì 31 gennaio (e non giovedì come al solito) alle 18.00 gli attori incontreranno il pubblico. Condurrà l’incontro Piermario Vescovo, direttore artistico dello Stabile di Verona nonché segretario scientifico dell’Edizione nazionale delle Opere di Carlo Goldoni, incarico affidatogli dal Ministero della Cultura per sovrintendere l’intera opera goldoniana. L’ingresso è libero.
Biglietti in vendita al Teatro Nuovo, a Box Office e on line su
www.boxofficelive.it e www.boxol.it/boxofficelive

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Roma, Museo Ebraico: “Degenerata” per clarinetto e pianoforte

gbopera - Sab, 27/01/2024 - 10:36

Roma, Museo Ebraico
DEGENERATA
Concerto di Musica classica ebraica italiana per clarinetto e pianoforte.
Eseguita da Davide Casali e Pierpaolo Levi
La musica classica ebraica italiana “Degenerata” ha un ruolo molto importante nel panorama musicale internazionale, ma purtroppo per via delle leggi razziste molta di questa musica non venne mai eseguita. Il duo nasce proprio con l’intento di far conoscere e rinascere questa musica bellissima e spesso sconosciuta. Compositori quali Leone Sinigaglia, Emilio Russi, Alberto Gentili, Aldo Finzi, Mario Castelnuovo Tedesco saranno i protagonisti di questo concerto. Il duo è composto da Davide Casali clarinettista, direttore d’orchestra e direttore artistico del Festival “Viktor Ullmann”, e da Pierpaolo Levi, pianista di caratura internazionale ed esperto della musica “Degenerata” e “Concentrazionaria”. Il concerto, organizzato dalla Fondazione per il Museo Ebraico di Roma in collaborazione con il Centro di Cultura Ebraica e la Fondazione Museo della Shoah, avrà luogo sabato 27 gennaio al Museo Ebraico e rientra anch’esso negli eventi in programma per la settimana della Memoria. Qui per il programma.

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il violinista Matthias Lingenfelder in concerto per gli Amici della Musica di Padova

gbopera - Sab, 27/01/2024 - 08:30

Prosegue il 31 gennaio 2024, alle ore 20.15 all’Auditorium Pollini di Padova, la 67a Stagione Concertistica degli Amici della Musica di Padova, con il ritorno del grande violinista Matthias Lingenfelder, negli anni scorsi più volte ospite dell’associazione come componente dell’ormai sciolto Quartetto Auryn. Al suo fianco questa volta il pianista Oliver Triendl, in un concerto che vuole essere un omaggio ad uno dei più grandi violinisti del 19° secolo, Joseph Joachim (1831- 1907). Joachim fu un compositore, collaborò con Johannes Brahms, Robert e Clara Schumann, ebbe grande fama e contribuì alla riscoperta delle composizioni per violino di Beethoven e Bach. Il concerto sarà dunque un’immersione nella tradizione della scuola violinistica tedesca durante il Romanticismo. In programma Stücke op. 2 di Joachim, la sonata F.A.E. scritta in collaborazione da R. Schumann, J. Brahms e A. Dietrich e dedicata proprio a Joachim, la Sonata n. 1 op. 78 di J. Brahms e una selezione da “Bunte Reihe” op. 30 di F. David, un altro compositore dell’epoca. Matthias Lingenfelder, dopo quarant’anni di attività con il Quartetto Auryn, continua a suonare come solista in diverse formazioni di musica da camera. Nella primavera del 2023 ha registrato l’integrale delle opere per violino e pianoforte di Gabriel Fauré con Peter Orth per l’etichetta Tacet. Matthias suona uno strumento Stradivari del 1722, appartenuto in precedenza a Joseph Joachim.

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Parioli: “In ogni vita la pioggia deve cadere” con Leo Gullotta e Fabio Grossi

gbopera - Ven, 26/01/2024 - 23:59

Roma, Teatro Parioli
Stagione 2023 2024
IN OGNI VITA LA PIOGGIA DEVE CADERE 
con Leo Gullotta, Fabio Grossi
regia Fabio Grossi
Teatro Stabile d’Abruzzo/ Stefano Francioni Produzioni /Argot produzioni
Roma, 26 gennaio 2024
Sotto la regia di Fabio Grossi, il palcoscenico ha ospitato una straordinaria e toccante pièce che ha visto protagonisti lo stesso Grossi ed il suo patner nella vita , l’acclamato attore teatrale e cinematografico Leo Gullotta
. Con sessant’anni di carriera nel mondo dello spettacolo, Gullotta è stato il volto di molti film di successo diretti da maestri del calibro di Giuseppe Tornatore, Nanni Loy, Ricky Tognazzi, Carlo Vanzina, Aurelio Grimaldi, Christian De Sica e Ficarra e Picone. “In ogni vita la pioggia deve cadere” narra le vicende di due persone che condividono una vita, supportandosi e amandosi reciprocamente. La storia si dipana negli anni Novanta, un periodo in cui i diritti civili non erano ancora una realtà nel nostro Paese, e il fulcro di questo racconto è la casa, un rifugio che accoglie e protegge questa unione. Papi e Piercarlo, due uomini di età diversa, lontani dalla classica definizione di bellezza ma autentici nella loro umanità, affrontano le gioie e i dolori, le fantasie e le passioni della vita. I protagonisti vivono la loro esistenza con tranquillità e serenità fino a quando, un giorno, la pioggia arriva, stravolgendo la loro vita ideale. Di fronte ai problemi, inevitabilmente, ci si trova impreparati, ma è un confronto che deve essere affrontato. La commedia esplora temi di amore, verità e condivisione, portando in scena due attori, una casa e due vite che si fondono in un’unica esistenza. La pioggia, in una vita intera, arriva inevitabilmente. In questo caso, si abbatte sulla vita di una coppia che condivide quarant’anni di storia. Raccontiamo la giornata di due uomini maturi, che si amano, scherzano e si trovano ad affrontare una pioggia che porta con sé problemi che suscitano riflessioni importanti: che cosa è l’amore? Qual è l’amore solido e convinto? Che significato hanno il rispetto, la fantasia e il gioco? Si cerca di esplorare serenamente il concetto di amore e di riflettere sulla vita, sulla morte e sui diritti. Le scene si delineano con essenzialità, dove gli oggetti in scena si ergono come veri protagonisti, sufficienti a suggerire che lo spettatore si trova non in una semplice ambientazione, bensì all’interno di una sorta di nido. I divani, le coperte, e la delicatezza dei colori trasmettono un’atmosfera intima, evocando la sensazione di calore e affetto. Con passo leggero, il pubblico fa il suo ingresso silenziosamente in questo spazio scenico che, al di là di ogni altro dettaglio, potrebbe benissimo rappresentare la dimora di chiunque abbia condiviso un lungo periodo di relazione e amore. Ciò che colpisce immediatamente è la sottile linea che separa la recitazione dalla realtà autobiografica in scena, un confine talmente tenue da risultare a tratti inesistente. La passione con cui entrambi gli attori affrontano temi così personali si traduce in una commistione di emozioni che ha commosso più di una persona in sala. Lo sguardo rivolto al partner, la bellezza dei gesti, e la parola, pronunciata con eleganza e autenticità, regalano al pubblico un’esperienza indimenticabile, carica di talento e verità. La questione sottesa è che, spesso, l’opinione pubblica associa immediatamente l’omosessualità esclusivamente alla sfera sessuale, trascurando la complessità e la ricchezza delle dinamiche affettive e amorose coinvolte. Sarebbe opportuno avviare una riflessione più ampia, orientata verso la comprensione dell’omoaffettività, al fine di apprezzare appieno la gamma di esperienze umane coinvolte in questo contesto. L’incanto dell’amore tra individui si svela nel delicato intreccio di rispetto e solidarietà, radicato nella volontà sincera di sostegno reciproco e nella dolce necessità di protezione. È un sentimento che si esprime attraverso la condivisione di idee, passioni, principi e valori, manifestandosi con diverse sfumature di intensità e modalità. Questo straordinario legame può sbocciare tra genitori e figli, nonni e nipoti, fratelli e sorelle, amici, donne e uomini, donne e donne, uomini e uomini. Ogni connessione è unico capitolo di una storia d’amore che si dipana attraverso la trama variegata delle relazioni umane.  Il pubblico ha accolto la performance con partecipazione e commozione, tributando un caloroso applauso che più che meritato. In scena sino al 28 gennaio 2024.

 

Categorie: Musica corale

Roma, Palazzo Merulana: “Nuotatori d’inverno” Personale di Vittorio Marella dal 27 Gennaio al 03 Marzo 2024

gbopera - Ven, 26/01/2024 - 23:46

Roma, Palazzo Merulana
NUOTATORI D’INVERNO
Personale di Vittorio Marella
Da sabato 27 gennaio a domenica 3 marzo 2024
Palazzo Merulana, sede della Fondazione Elena e Claudio Cerasi, gestito e valorizzato da Coopculture, è lieto di presentare “Nuotatori d’Inverno”, personale di Vittorio Marella, a cura di Giovanna Zabotti. Nuotatori d’inverno è la mostra di Vittorio Marella, ventisettenne artista veneziano, autentica promessa nel panorama artistico nazionale. Il percorso rappresenta una sorta di migrazione silenziosa. Un viaggio che termina in posti in cui si cerca un contatto con la natura e in ultima analisi con la propria interiorità. L’artista compie sulla tela, con un talento straordinario, il suo personalissimo viaggio alla scoperta di un altro punto di vista. Lo fa partendo dai disegni, in mostra nella prima parte del percorso espositivo, vere e proprie annotazioni del mondo, dai tratti precisi e allo stesso tempo pieni di vita. Un mondo che l’artista non si stanca di osservare, studiandolo nei minimi particolari quasi a volerlo non solo rappresentare ma addirittura migliorare. Quando poi il suo sguardo passa dai disegni alle tele, alcune di grandissime dimensioni, ecco la sua capacità di creare atmosfere alla Hopper, di usare sapientemente colori, luci e ombre percorrendo una strada che ricollega i suoi quadri ai dipinti dei grandi maestri veneziani di cui è concittadino ed erede, come  Tintoretto e  Tiepolo, ma senza mai restare ancorato al passato.  La seconda parte del percorso espositivo comprende, infatti, 7 quadri ad olio che catturano attimi della vita quotidiana, rappresentati in un gioco di prospettive che uniscono la percezione bidimensionale a quella tridimensionale. Altra sua fonte di ispirazione sono le opere del realismo magico, in particolare i quadri di Antonio Donghi, artista presente a Palazzo Merulana nella Collezione Elena e Claudio Cerasi. Un’ispirazione che consiste più in un legame affettivo che in un punto di partenza dello studio di Marella, i cui dipinti sono sospesi tra realtà e sogno alla ricerca di “quella consapevolezza del mondo e della natura che oggi manca in ognuno di noi”, come egli stesso sostiene. Costante, poi, è la ricerca del contatto con la natura. Non è un caso che in molti dei suoi lavori sia presente il mare. “Vittorio racconta Venezia, la città di tutti e la città di nessuno, attraverso lo sguardo insolito di un veneziano – scrive la curatrice Giovanna Zabotti –  Lontano dai negozi di souvenir e dai gondolieri di San Marco, raffigura i canali silenziosi, abitati da personaggi emblemi di un’umanità alla deriva. La città fragile, minacciata dal mare, culla le figure che si muovono nella loro solitudine latente, negli scorci umidi ed inquietanti e nelle stanze private. nostre solitudini e dei tempi sospesi”. In questa sua prima mostra a Roma Vittorio Marella si confronterà con una città che lo attrae per la grandezza della sua storia e che, nelle magnifiche testimonianze archeologiche e artistiche, esprime l’invito a non aver paura di osare, a superare i propri limiti.  Un’aspirazione che Vittorio Marella ha profondamente voglia di fare sua. Il giovane artista dipinge con maestria un messaggio intrinseco, un invito a ritirarsi nella natura, in una dimensione pacifica, in cui poter sfuggire alle asperità e alle brutture dei tempi contemporanei. Le sue creazioni raffigurano personaggi che fungono da eroi e, al contempo, guardiani in un atto di azione rivoluzionaria. I volti nascosti all’osservatore conferiscono un’aura di anticipazione, indicando una prontezza nel rivelare la dimensione risolutiva a tutto questo dolore, senza indulgere in intenti narcisistici ed egoici.  Partendo dalla premessa che la Terra costituisce un sistema vivente e gli esseri umani ne sono parte integrante non è così folle sostenere la presenza di una relazione sinergica tra il benessere personale e quello del Pianeta. Le necessità di entrambi sono interconnesse, e da questa prospettiva emerge una stretta correlazione tra la crisi ecologica e le crisi interiori, psicologiche e spirituali. Ristabilire un legame ancestrale con la Madre Natura, sincronizzando i propri ritmi di vita con quelli naturali, si configura come un mezzo per migliorare l’umore, stimolare la creatività, ridurre lo stress e potenziare l’attenzione, rendendoci più energici ed efficienti. Come sottolineato dall’antropologo culturale Wolf-Dieter Storl nel suo libro “Faccio parte della foresta: l’ambasciatore delle piante racconta la sua vita”, spesso dimentichiamo la nostra dipendenza dal suolo, dal sole, dalle condizioni atmosferiche e dalle piante, elementi fondamentali con i quali abbiamo evoluto in una co-evoluzione. L’arte di questo giovane crea una sintonia con il risveglio del nostro amore per la vita, incarnando la biofilia, l’innata propensione a concentrare l’interesse sulla vita e sui processi vitali. Non sorprende, dunque, che, soprattutto dopo l’esperienza del lockdown causato dalla pandemia di Covid-19, un numero crescente di individui cerchi di riconnettersi con la natura attraverso passeggiate in luoghi incontaminati o attraverso la riconsiderazione e la centratura di se stessi. Qui per tutte le informazioni.

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Roma, Parco Archeologico del Celio ed il nuovo Museo della “Forma Urbis”

gbopera - Ven, 26/01/2024 - 20:00

Roma, Parco Archeologico del Celio
Museo della “Forma Urbis”
Viale del Parco del Celio 20

Viale del Parco del Celio 22
Clivo di Scauro 4
PARCO ARCHEOLOGICO DEL CELIO E MUSEO DELLA “FORMA URBIS”
Il Parco e Museo, inaugurati grazie a una serie di interventi sotto la guida scientifica della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali di Roma Capitale, costituiscono un elemento fondamentale di un ambizioso progetto di valorizzazione dell’intera area del Celio. Questa iniziativa è parte integrante di un programma più ampio di riqualificazione denominato Centro Archeologico Monumentale (CArMe), promosso da Roma Capitale. Il Parco del Celio si configura come il risultato di una complessa serie di interventi e trasferimenti di proprietà che si sono succeduti nel corso del tempo. Inizialmente costituito dalla Vigna Cornovaglia nel Cinquecento, l’area ha subito notevoli trasformazioni a seguito dei depositi di terra provenienti dagli scavi napoleonici nelle vicinanze del Colosseo e del Foro Romano. Sulla piattaforma artificiale così ottenuta si è sviluppata un’ampia zona alberata e verde, in prossimità del Colosseo, trasformata in giardino e nota come Orto Botanico. Questo progetto è emerso come una “passeggiata pubblica” commissionata da papa Gregorio XVI all’architetto Gaspare Salvi nel 1835. Salvi ha progettato un edificio adiacente al Tempio del Divo Claudio, destinato a fungere da punto di ristoro per la passeggiata pubblica. La Casina del Salvi, ispirata alla “coffee-house” del Pincio progettata da Valadier, ha influenzato l’orientamento dei viali all’interno dell’area. Recentemente, ricerche archeologiche hanno documentato le testimonianze dell’acquedotto claudio-neroniano e altre opere idrauliche sulla terrazza della Casina del Salvi. Tanto la Casina del Salvi quanto il Parco circostante sono diventati patrimonio comunale per decisione di Pio IX nel 1847. L’edificio Ex Palestra della Gioventù Italiana del Littorio, situato nella parte meridionale dell’area, completato nel 1929, ha sostituito tre capannoni in muratura del 1901, anch’essi divenuti parte del patrimonio comunale nel medesimo anno. All’interno di questo edificio in particolare è stato possibile sistemare i frammenti della Forma Urbis, in un nuovo allestimento che permette di apprezzare al meglio la monumentale pianta marmorea di età severiana, fornendo una lettura cartografica di immediata comprensione. La “Forma Urbis” originariamente adornava la parete di un’aula nel Foro della Pace, successivamente inglobata nel complesso dei SS. Cosma e Damiano nell’area del Foro Romano. Questa imponente mappa marmorea, incisa su 150 lastre di marmo e fissata con perni di ferro, occupava uno spazio di circa 18 metri per 13. Dopo la sua scoperta nel 1562, molti frammenti andarono persi, ma alcuni sono stati fortunosamente ritrovati nel corso del tempo. Attualmente, soltanto circa un decimo della pianta originale è conservato presso i Musei Capitolini dal 1742. Il nuovo allestimento del Museo della Forma Urbis consente ai visitatori di apprezzare appieno la mappa marmorea, migliorando la comprensione di un documento che, per le sue dimensioni e le condizioni frammentarie, risultava di difficile interpretazione. I frammenti della Forma Urbis sono disposti sul pavimento della sala principale del museo, sovrapposti come base planimetrica alla Pianta Grande di Giovanni Battista Nolli del 1748. All’interno dell’edificio museale sono inoltre ben esposti numerosi elementi architettonici e decorativi provenienti dall’ex Antiquarium Comunale. Il Parco, attraversato dalla linea tranviaria post-seconda guerra mondiale, si presenta attualmente diviso in due grandi aree da viale del Parco del Celio. Nell’area settentrionale si trova l’Ex Antiquarium Comunale, originariamente un Magazzino Archeologico Comunale nel 1884, poi trasformato in un museo Antiquarium dal 1929 al 1939, quando divenne inagibile a causa di gravi problemi strutturali causati dai lavori sulla metropolitana. Il Giardino ospita una ricca varietà di reperti archeologici, architettonici ed epigrafici, risultato degli scavi dell’Ottocento per la creazione di Roma Capitale. Questi reperti, organizzati in nuclei tematici, offrono al visitatore una panoramica approfondita della vita quotidiana nell’antica Roma, toccando aspetti sociali, funerari, sacri, amministrativi e architettonici. Le testimonianze esposte nel giardino includono cippi sepolcrali, tombe monumentali, templi pubblici e privati, elementi di edifici pubblici, frammenti di statue onorarie e cippi amministrativi. Inoltre, sono presenti numerosi manufatti che illustrano il gusto architettonico dell’antichità, le tecniche di costruzione e decorazione degli edifici, nonché il fenomeno del reimpiego e della rilavorazione attraverso le diverse epoche storiche della città. Questo passo iniziale di riqualificazione archeologica dell’area è parte integrante del progetto ambizioso e complesso denominato CarMe, il quale si prefigge di rendere il cuore di Roma più accessibile, fruibile e esteticamente apprezzabile. La fase iniziale prevede la riqualificazione della Passeggiata Archeologica, con il già avviato processo di anastilosi della Basilica Ulpia. La nuova fermata della metro C a Colosseo diventerà un ingresso “archeologico”, trasformandosi in un museo prima ancora dell’accesso ai Fori, e accoglierà, tra le altre opere, la celebre zanna di elefante. Il Parco Archeologico del Celio si può visitare tutti i giorni a ingresso gratuito. Il Museo della Forma Urbis resta invece chiuso il lunedì e prevede un biglietto d’ingresso, salvo per i possessori della MIC Card che possono accedere gratuitamente anche allo spazio museale. I servizi museali sono a cura di Zètema Progetto Cultura. Qui per tutte le informazioni.

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La Valletta, XII° Valletta Baroque Festival: “San Giovanni Battista” di Alessandro Stradella

gbopera - Ven, 26/01/2024 - 01:26

La Valletta (Malta), Co-cattedrale di San Giovanni Battista, XII Valletta Baroque Festival
SAN GIOVANNI BATTISTA”
Oratorio su libretto di Ansaldo Ansaldi
Musica di Alessandro Stradella
San Giovanni Battista FILIPPO MINECCIA
Erodiade la Figlia GILLIAN ZAMMIT
Erode ALBERT BUTTIGIEG
Erodiade la Madre ALESSANDRA VAVASORI
Consigliere d’Erode CLIFF ZAMMIT STEVENS
Valletta Baroque Ensemble
Direttore Steven Devine
La Valletta (Malta), 23 gennaio 2024
Da ormai diversi anni Malta ospita nella sua capitale uno dei più importanti appuntamenti per la musica barocca, il Valletta Baroque Festival, che intende creare un preciso dialogo tra il ricco patrimonio Sei e Settecentesco della città e l’universo musicale del medesimo periodo. Il fitto calendario d’eventi si snoda nel mese di gennaio, sebbene già in autunno alcune manifestazioni lo anticipino (nel 2023 la messa in scena di “Apollo e Giacinto“ di Mozart). Abbiamo avuto la fortuna di poterci recare a Malta in questi giorni e testimonieremo quattro eventi che ben incarnano lo spirito di questa splendida iniziativa, a cominciare dalla proposta in forma di concerto dell’oratorio “San Giovanni Battista” di Alessandro Stradella, compositore che negli ultimi anni sta giustamente venendo riscoperto, splendido rappresentante di quel periodo che va da Monteverdi a Scarlatti e dal quale – a torto – ancora poco attingono i teatri. Questo oratorio ha tutte le carte in regola per entrare nel grande repertorio barocco: parti vocali scritte mirabilmente e ben variate, una partitura estremamente equilibrata, né troppo scarna né pretenziosa, che si nutre dell’interessante mélange tra strumenti a corde (siano essi archi, cembalo o tiorba), e una tensione drammatica che potrebbe benissimo favorire la messa in scena. Questa è probabilmente l’unica pecca della recita cui abbiamo assistito: se si fosse lavorato nella direzione di una drammatizzazione probabilmente avremmo goduto ancora di più della gemma stradelliana. Anche perché attenta alla resa drammatica è stata in primis la conduzione del maestro Steven Devine, che dalla partitura ha chiaramente ricavato le molte sfumature che caratterizzano i personaggi – e le ha comunicate con diverse rese strumentali nei recitativi. Devine imprime il suo appassionato tocco a entrambe le formazioni che ha davanti, sia quello di Concertino che quello di Ripieno, costruendo linee musicali coese e coerenti con le linee di canto dei solisti. Fra di essi, tutti di livello alto, spiccano i fulgidi talenti di Gillian Zammit e Albert Buttigieg, soprano e basso: la prima è la vera star della serata, sia in quanto autoctona, sia per il ruolo assai impegnativo di Erodiade la Figlia (giacché il libretto non riporta il nome di Salomè, forse in ottemperanza alla tradizione strettamente evangelica, che ne omette il nome); con una bella vocalità, piacevolemente piena, associata all’assoluta precisione nell’intonazione, anche nelle agilità più ardite, la Zammit conferisce all’interpretazione un che di malioso, distante dalla solita – e spesso poco opportuna – espressività barocca. Accanto a lei Buttigieg ha da affrontare l’altrettanto difficile ruolo di Erode che si estende su quasi tre ottave: l’emissione è vigorosa e l’attenzione a una varietà della resa coloristica sono gli assi nella manica di questo interprete locale che ci auguriamo di poter risentire anche fuori dalla sua isola, giacché meriterebbe senza dubbio di essere apprezzato in altre sedi teatrali e concertistiche. Accanto a loro l’italiano Filippo Mineccia, nel ruolo eponimo, certo non sfigura, sebbene la parte smaccatamente contraltile del Battista lfaccia emergere un certo disagio proprio nella zona più centrale della voce, rispetto al regstro acuto ben sostenuto e dal piacevole smalto; in ogni caso la linea di canto è elegante e la bella gamma espressiva garantisce il pieno apprezzamento della sua performance. Ad Alessandra Vavasori è toccato il “cerino corto” di Erodiade la Madre, la parte più breve dell’oratorio, che comunque il mezzosoprano rende correttamente; esprimiamo invece qualche riserva sul tenore maltese Cliff Zammit Stevens, che, per quanto attento al fraseggio e dotato di una vocalità tutto sommato piacevole, non sembra del tutto a suo agio nel registro acuto, con suoni si sfilacciano e talvolta perdono forza o intonazione. Il bel successo delle due repliche di questo oratorio è sancito dal chiaro e caloroso apprezzamento del pubblico, ammaliato dalle vertiginose geometrie stradelliane tanto quanto dai due Caravaggio mozzafiato ed enormi di fronte ai quali si è tenuta l’esecuzione, a loro volta nel contesto sontuoso della Co-cattedrale di San Giovanni Battista, vero gioiello d’arte barocca affrescato, tra gli altri, da Mattia Preti. Un luogo che parla – anzi, che canta – da sé. Foto Rob Matthew

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Genova, Teatro Carlo Felice: “Madama Butterfly”

gbopera - Gio, 25/01/2024 - 23:20

Genova, Teatro Carlo Felice, Stagione d’Opera 2023-24.
“MADAMA BUTTERFLY”
Tragedia giapponese in due atti.Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa dalla tragedia di David Belasco.
Musica di Giacomo Puccini
Madama Butterfly (Cio-cio-san) JENNIFER ROWLEY
F. B. Pinkerton MATTEO LIPPI
Sharpless ALESSANDRO LUONGO
Suzuki CATERINA PIVA
Goro MANUEL PIERATTELLI
Il principe Yamadori PAOLO ORECCHIA
Lo zio bonzo LUCIANO LEONI
Il commissario imperiale CLAUDIO OTTINO
Kate Pinkerton ALENA SAUTIER
La madre di Cio-cio-san DANIELA ALOISI
Lo zio Yakusidé LUCA ROMANO
L’ufficiale del registro FRANCO RIOS CASTRO
La zia LUCIA SCILIPOTI
La cugina ADELAIDE MINNONE
Orchestra e coro del Teatro Carlo Felice di Genova
Balletto Fondazione Formazione Danza e Spettacolo “for Dance”ETS
Direttore Fabio Luisi
Maestro del Coro Claudio Marino Moretti
Regia e Scene Alvis Hermanis
Costumi Kristine Juriàne
Coreografia Alla Sigalova
Luci Gleb Filshtinsky
Video Ineta Sipunova
Allestimento della Fondazione Teatro Carlo Felice Genova.
Genova, 20 gennaio 2024
Chi non fosse soccorso da una buona memoria, con la sola lettura della locandina, potrebbe non avvedersi che lo spettacolo, parte visiva e regia, è quello andato in scena a Milano, alla Scala, il 7 dicembre del 2016. Ottima e lodevole l’iniziativa del teatro genovese che pare abbia così sottratto al macero un allestimento, al tempo, apprezzato e lodato. In tempi di magre finanze è più che mai apprezzabile, soprattutto quando si tratti di allestimenti di qualità. Rimane comunque ambiguo come sia avvenuto questo recupero che la locandina parla di “Allestimento Fondazione Teatro Carlo Felice di Genova” e non vi è accenno ad alcun tipo di “ripresa” registica; si danno quindi per scontate le presenze di Alvis Hermanis per la regia, di Kristine Jurjàne per i costumi, di Alla Sigalova, Gleb Filshtinsky e Irina Sipunova rispettivamente per coreografia, luci e video. La parte musicale è nelle abili ed esperte mani di Fabio Luisi, genovese illustre universalmente apprezzato, che, per la prima volta, in Italia, dirige un’opera di Puccini. L’esito della prova è sicuramente positivo. Le poche battute d’inizio sono appassionate e disperate quasi a riassumervi l’intera tragica vicenda. Una regia e delle scene più concentrate sui fatti, più crude e meno floreali, come una protagonista più saldamente lirica avrebbero sicuramente aiutato Luisi, grande straussiano, a mantener costante la tensione dell’avvio e ad evitare le discontinuità, seppur di minimo impatto, che qua e là si sono colte. Eccellenti, come sempre nelle prove recenti, le prestazioni dell’Orchestra del Carlo Felice e del Coro del teatro guidato da Claudio Marino Moretti. Il soprano Jennifer Rowley, Cio-Cio-San, ha debuttato nel ruolo lo scorso anno a Palm Beach e qui, a Genova, nella nostra pomeridiana, è alla prima recita. Può sicuramente essere dovuto a queste circostanze un certo impaccio scenico e qualche incertezza vocale. Il suono in alto svetta ma mostra qualche sforzo, ma tutta la linea di canto ci appare affievolita, priva di una reale proiezione e povera di colori. Magnifico e commovente, “l’Abramo Lincoln”, il riconoscimento della nave, per noi l’acme emotivo dell’opera, per il resto, la Rowley corre sempre il rischio di essere soverchiata. Così succede con l’ottima Caterina Piva, Suzuki pregevole sia scenicamente che nel canto. Peccato che il suo agire venga impacciato dai, sicuramente imposti, passettini giapponesi. Il vederla muoversi in quel modo, assolutamente innaturale, è fastidioso e certo troppo penalizzante per una prestazione musicale peraltro superlativa. Il Pinkerton di Matteo Lippi è più che convincente. È un personaggio che gli si addice alla perfezione, come già constatammo, a Torino, la scorsa stagione. Una impavida vocalità tenorile, sfogata senza risparmio, che ben disegna il bullo del Bronx o dell’Ohio, che, nella penosa circostanza in cui si trova, non si trattiene dall’espandersi con un troppo baldanzoso “addio fiorito asil”. Il bel timbro lo aiuta poi a disegnare un personaggio, per quanto odiabile, a tutto tondo. Alessandro Luongo è il console Sharpless, appropriato nella correttezza del canto e nella recitazione. La volgarità, espressa nel primo atto, che lo mette alla pari dell’incosciente sventatezza di Pinkerton, fa sperare in un taglio registico innovativo, ma la compitezza mostrata negli atti successivi e la voce molto ben educata gli affibbiano la consueta strisciante e ossequiente seconda linea d’ambasciata. Nel duetto con Butterfly è vocalmente assai efficace e la proprietà linguistica ne fa il protagonista. Manuel Pierattelli come Goro e Paolo Orecchia, Yamadori, fanno bene e illustrano i loro personaggi. Allo stesso modo la sfilza dei comprimari: a cominciare dalla Kate Pinkerton di Alena Sautier per proseguire con Luciano Leoni, lo zio Bonzo; Claudio Ottino, Commissario imperiale; Franco Rios Castro, Ufficiale del registro; Luca Romano, Yakusidé; Daniela Aloisi, Lucia Scilipoti e Adelaide Minnone, rispettivamente madre, zia e cugina di Butterfly. Cast complessivamente ben assortito che testimonia il buon operato della direzione artistica e dello staff del Carlo Felice. La recita di sabato 20 gennaio scontava un assoluto “tutto esaurito”, così come la prima del venerdì. Pare che i biglietti di Butterfly siano andati a ruba e che il pienone della sala sia assicurato per tutte le sei date previste dal cartellone. Oltre alle presenze, era tangibile anche l’apprezzamento del pubblico che si è palesato con grandi e prolungati applausi tributati indistintamente, a chiusura dello spettacolo, all’insieme dei protagonisti e ai singoli. Successo personale per Luisi!

 

 

 

 

 

 

 

 

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