Venezia, Palazzetto Bru Zane, Festival “Passione violoncello”, 21 settembre-24 ottobre 2024
“IL BEETHOVEN FRANCESE”
Quatuor Dutilleux
Violini Guillaume Chilemme, Matthieu Handtschoewercker
Viola David Gaillard
Violoncello Thomas Duran
Altro violoncello Victor Julien-Laferrière
George Onslow: Quintette avec deux violoncelles n° 21 en sol mineur, op. 51; Théodore Gouvy: Quintette avec deux violoncelles n° 3 en ré mineur
Venezia, 25 settembre 2024
Prosegue con successo il Festival d’autunno del Palazzetto Bru Zane, che quest’anno indaga il violoncello nelle sue diverse sfaccettature. Nel concerto, di cui ci occupiamo, sono stati presentati due quintetti, nei quali al canonico violoncello, presente nel quartetto per archi, se ne aggiunge un altro, che svolge prevalentemente la funzione di primo strumento. Aleggiava, nella deliziosa sale dei concerti del Palazzetto veneziano, la figura di George Onslow, a suo tempo definito da un editore il “Beethoven francese”. Fu l’interesse per le forme “classiche”, rivisitate dal maestro di Clermont-Ferrand nelle sue composizioni, a collocarlo vicino a Beethoven e, più in generale, al mondo tedesco. Una posizione, che lo distinse nel panorama musicale francese dell’epoca. Per altri versi, certe combinazioni strumentali utilizzate da Onslow – in primis i numerosi quintetti con due violoncellli – attirarono degli emulatori, tra cui addirittura Franz Schubert con il suo Quintetto D. 956. Più tardi, Théodore Gouvy seguì le orme del suo conterraneo con sei quintetti per archi composti tra il 1869 e il 1880, anche se, nel frattempo, l’influenza proveniente da oltre Reno era diventata inaccettabile. Onslow e Gouvy erano gli autori dei due quintetti con violoncello, in programma nella serata, davvero intrigante, che ha visto come esecutori i solisti del Quartetto Dutilleux, insieme al violoncellista Victor Julien-Laferrière. Purezza del suono, assoluta intonazione, varietà di accenti, perfetta intesa hanno reso veramente straordinaria l’interpretazione offerta dagli strumentisti. Per quanto riguarda il Quintetto di Onslow (1834), senza dubbio una delle sue opere più riuscite ed eseguite – che risente dell’insegnamento di Reicha e richiede notevole abilità nella ditteggiatura –, impeto ed energia hanno caratterizzato l’esecuzione del primo movimento, che ha prodotto un senso di eccitazione, interrotta solo da una parentesi lirica. La frenesia, che ha percorso il primo movimento è cresciuta con lo Scherzo: presto, il cui rapido staccato ha dato l’idea di una corsa mozzafiato, che è rallentata solo nel Trio dal carattere corale. Nel movimento seguente, Andante non troppo lento, si sono messi in luce il violoncello e la viola, per presentare una pacata melodia popolare, creando un senso di calma, che ha attraversato il movimento, con l’eccezione di due sezioni drammatiche. Un potente primo tema ha aperto l’emozionante finale, Presto agitato, composto da climax in successione e segnato dall’alternarsi di pianissimo e fortissimo, per sfociare in un Presto finale, costellato di momenti folgoranti. In puro piacere si è tradotto l’ascolto del Quintetto di Gouvy, terminato nel 1879, anche se il terzo movimento risale a sei anni prima. Piena di sfumature e finezze interpretative è risultata la performace offerta dai solisti, affrontando i vari movimenti: l’Allegro moderato di fattura tradizionale, che rivela un importante uso del cromatismo; l’ Andante patetico, un movimento dal tono di marcia funebre, il cui secondo tema si presenta in forma di canone; l’Intermezzo. Allegretto grazioso, una pagina adorabile, che si è fatta particolarmente apprezzare (ed è stata riproposta come bis); il Finale adagio e allegro con brio, aperto da un’introduzione lenta, seguita da una pagina frenetica e concisa. Scroscianti applausi con qualche “bravi!”
Firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino – Stagione lirica “Autunno 2024”
“LA CENERENTOLA”
Melodramma giocoso in due atti su libretto di Jacopo Ferretti, dalle opere di Perrault, Étienne e Fiorini.
Musica di Gioachino Rossini
Don Ramiro PATRICK KABONGO
Dandini WILLIAM HERNANDEZ
Don Magnifico MARCO FILIPPO ROMANO
Clorinda MARIA LAURA IACOBELLIS
Tisbe ALEKSANDRA METELEVA
Angelina TERESA IERVOLINO
Alidoro MATTEO D’APOLITO
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Gianluca Capuano
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia Manu Lalli
Scene Roberta Lazzeri
Costumi Gianna Poli
Luci Vincenzo Apicella (riprese da Valerio Tiberi)
Allestimento del Maggio Musicale Fiorentino
Firenze, 24 settembre 2024
Aspettando una promettente stagione 2025, che vedrà anche il ritorno del balletto, “La Cenerentola” di Rossini inaugura la sezione d’opera della proposta autunnale. Se a inizio Ottocento la protagonista non avrebbe di certo potuto scoprire la caviglia per calzare la famosa scarpetta, da sempre non contemplata nell’opera, è altrettanto vero che gli spettatori arrivano in teatro con l’immaginario della Disney negli occhi. Così, la regia di Manu Lalli recupera sapientemente la componente magica della fiaba, senza ridurne il potenziale attuativo. Non è un caso che scintillanti fatine danzino intorno alla protagonista durante le sue letture; le stesse consegneranno ad Angelina la coppia di bracciali in vece delle scarpette o, al ballo, spingeranno il principe a imbattersi in lei, per poi prontamente ricordare lo scadere della mezzanotte. Fa da sfondo la barocca cornice francese delle scene di Roberta Lazzeri, plasmate con spezzoni di pareti rotanti, combinate a comporre i vari ambienti e abilmente dilatate da una fusione prospettica col pavimento a scacchiera del palco. Anche i costumi di Gianna Poli, in bilico tra Settecento e Ottocento, fanno la loro parte, mentre le luci di Vincenzo Apicella (riprese da Valerio Tiberi) ben enfatizzano il temporale che bloccherà la carrozza del principe davanti alla casa di Cenerentola. Un’atmosfera fiabesca che è ben lontana dall’essere fine a se stessa, poiché la componente magica è qui solamente il tramite per realizzare il trionfo delle virtù della protagonista, germogliate tra la luce fatata dei libri della biblioteca materna e progressivamente messe in pratica nel mondo reale, fino all’epilogo. Ed è qui che assistiamo a una piccola sorpresa: nel finale i riflettori sono puntati sul pas de deux dei due novelli sposi, ma appena prima della chiusura di sipario la giovane resta un attimo da sola, con lo sguardo rivolto verso il pubblico… ecco a voi una Cenerentola moderna ed emancipata: c’è davvero bisogno del principe? Complessivamente di buon livello anche la compagine musicale, a partire dalla direzione di Gianluca Capuano, che è parso piuttosto ferrato nella conduzione, a meno di qualche disomogeneità nell’agogica. Intensa la sinergia col motivato coro di Lorenzo Fratini e con l’orchestra del Maggio, che ha reso possibile suoni compatti e di notevole nitore, all’interno di una direzione vivace e spigliata negli inserti più buffi, impavida di fronte a fulminei sillabati e duttile nella ricerca di spunti coloristici. Nel ruolo principale, Teresa Iervolino dà prova di consolidata esperienza, restituendo appieno l’evoluzione del personaggio. Con particolare predilezione per gli staccati, il mezzosoprano esordisce con timidi toni flemmatici in “Una volta c’era un re”, per poi dare sfoggio del brunito timbro dei centri, un po’ meno robusto sui gravi, particolarmente malleabile nel risolvere le rapide volatine e le impervie agilità che saggiano l’intera gamma dell’estensione. Il portamento ben si distingue da quello delle sorellastre e più che presentarsi al ballo per “imprinciparsi”, i toni elegiaci ricercano una sincera predisposizione al rispetto, all’amore e alla bontà. L’impulso lirico e lo spirito interpretativo sbocciano nel rondò finale e nelle variazioni virtuosistiche della cabaletta, di spiccato senso ritmico, sebbene si avverta qualche suono acuto più sfuggente. Accanto a lei, faceva da protagonista il sensazionale Don Magnifico di Marco Filippo Romano, in strabiliante coesione col personaggio e capace di fiutare i più minuziosi appigli espressivi della parte. Lo scavo vocale e dinamico nell’alternanza di accenti, rimarchi, chiusure di frase, falsetti e rapidità di sillabati, è sorretto dalla dovuta gestione della respirazione e da un buon sostegno, che gli consentono un sicuro effetto sui rapidissimi sillabati. Decisamente a suo agio con la tessitura, il cantante mantiene il caldo colore timbrico e la perlopiù nitida ed efficace proiezione anche sulle frasi di maggiore spinta e tenuta, per un’interpretazione davvero a tutto tondo. A chiudere il quartetto familiare, Aleksandra Meteleva (Tisbe) e Maria Laura Iacobellis (Clorinda) sono due sorellastre scenicamente goffe e credibili, chiamate a fare i conti con coreografie impegnative, che (al pari dei loro colleghi) sono costate loro qualche asincronia. Se per la prima il riscatto da un registro grave talora ristretto non è contemplato in partitura, la seconda ha potuto esibire il suadente timbro sopranile e le proprie doti virtuosistiche nel suo momento solistico, costellato da pirotecniche variazioni di squillante sonorità. A palazzo, il “falso” principe di William Hernandez ben si confà a una certa difficoltà del baritono nel sostenere i tempi ampi delle frasi più aristocratiche, dove l’emissione risulta meno limpida, dimostrandosi più conforme ai panni del cameriere, risolto con brillantezza di fraseggio e verve comica. Più controverso, invece, l’Alidoro di Matteo d’Apolito, che si conferma un deus ex machina molto abile nell’interagire con le danzatrici incantate, ma a tratti un po’ approssimativo nell’uso della parola e sui passi di coloratura, a fronte di un’emissione non sempre a fuoco. Chiudeva il quadro il Don Ramiro di Patrick Kabongo, il cui soave timbro di tenore lirico-leggero, unito a una certa equilibratezza nel porgere le frasi, tratteggia con gusto il carattere del “vero” principe, anche se rimane un po’ sullo sfondo nei momenti di maggiore impeto, sfogati in un registro acuto sicuro, ma poco svettante. Caloroso l’applauso del pubblico in sala al termine della lunga rappresentazione. Foto Michele Monasta
Roma, Parco Archeologico del Colosseo
CYPREA: LA RETE DI AFRODITE
curata da Giorgio Calcara
direzione artistica Stefania Pennacchio
La mostra internazionale “Cyprea: La rete di Afrodite”, ospitata dal Parco archeologico del Colosseo dal 26 settembre al 26 novembre 2024, rappresenta un evento di straordinaria importanza culturale e artistica. Il titolo stesso richiama alla mente la conchiglia Cypraea, simbolo della dea Afrodite, divinità della bellezza, dell’amore e della fertilità nel pantheon greco, e richiama i profondi legami tra il Mediterraneo e la figura mitologica della dea. Afrodite è una figura centrale della mitologia greca, associata alla bellezza, all’amore e alla seduzione, con radici che affondano nell’antica religione della Mesopotamia e dei culti fenici. La leggenda vuole che sia nata dalla schiuma del mare vicino a Cipro, e non sorprende che proprio questa isola, crocevia di influenze culturali e commerciali tra Oriente e Occidente, sia stata eletta luogo di culto primario per la dea. Cipro, da sempre nodo strategico nel Mediterraneo, rappresenta un punto cardine nella storia antica, e il culto di Afrodite riflette l’importanza dell’isola nel tessuto culturale del mondo antico. Il mito di Afrodite non è solo legato alla bellezza fisica, ma anche al concetto di kalokagathia, tema centrale dell’esposizione, che unisce l’ideale di bellezza (kalos) a quello di bontà ed eccellenza morale (agathos). Questo concetto, nato nella cultura greca classica, ha attraversato i secoli influenzando la filosofia, l’arte e la morale dell’antica Grecia fino ai giorni nostri. L’elemento innovativo di questa mostra risiede nell’incontro tra l’arte contemporanea e l’archeologia. Il curatore, Prof. Giorgio Calcara, e la direttrice artistica, Stefania Pennacchio, hanno orchestrato un dialogo fra antiche iconografie e moderne interpretazioni del mito di Afrodite. L’obiettivo è esplorare come i valori estetici e morali incarnati dalla dea abbiano influenzato non solo l’antichità, ma anche la cultura visiva contemporanea. Gli artisti partecipanti, italiani e ciprioti, sono stati selezionati per la loro capacità di esplorare, attraverso vari media, temi come l’amore, la bellezza e la fertilità, con un approccio che combina la tradizione artistica classica con la sensibilità moderna. Tra questi troviamo Nicola Verlato, noto per le sue opere di iperrealismo che uniscono una rigorosa tecnica pittorica con tematiche mitologiche e simboliche, e Rosa Mundi, le cui installazioni riflettono la complessità delle emozioni umane attraverso l’uso di materiali e simboli antichi e moderni. La partecipazione di artisti provenienti da due regioni geograficamente e culturalmente legate come l’Italia e Cipro rafforza il messaggio della mostra, sottolineando la continuità culturale e l’influenza reciproca tra questi due paesi. L’Italia, con la sua eredità romana e rinascimentale, e Cipro, con la sua posizione storica come avamposto della cultura greca nel Mediterraneo orientale, diventano protagonisti di un dialogo simbolico che trascende il tempo e lo spazio. La mostra non si limita a un’esposizione circoscritta, ma si estende a creare una rete culturale che unisce simbolicamente città come Roma, Taormina/Naxos, Pafos e Nicosia, luoghi che condividono una forte eredità classica e mitologica. Roma, centro del potere e della cultura nell’antichità, e Taormina, con le sue radici greche e il famoso teatro antico, diventano nodi essenziali di questa rete mediterranea. Allo stesso modo, Pafos, luogo di culto primario di Afrodite a Cipro, e Nicosia, capitale dell’isola, rappresentano l’altro polo di questo legame culturale e storico. Questo percorso geografico sottolinea il concetto di kalokagathia, che non è solo un’idea astratta, ma una filosofia di vita incarnata nelle opere d’arte, nell’architettura e nella letteratura delle città coinvolte. Il viaggio ideale tra queste città invita i visitatori a riflettere su come la bellezza del passato continui a influenzare le interpretazioni contemporanee dell’arte e della vita stessa. La mostra si inserisce anche in un contesto più ampio: quello della rinascita culturale del bacino del Mediterraneo, visto non solo come crocevia di popoli, ma come fucina di idee, filosofie e valori. Questo mare, che unisce e separa allo stesso tempo, ha sempre rappresentato un legame simbolico tra le civiltà europee, africane e asiatiche. Attraverso i millenni, il Mediterraneo è stato teatro di incontri culturali, scambi commerciali e scontri militari, ma anche di fioriture artistiche e filosofiche che hanno plasmato la nostra identità culturale. La mostra “Cyprea: La rete di Afrodite” vuole sottolineare questa dimensione storica e culturale del Mediterraneo, proponendo una riflessione su come i valori e le estetiche classiche possano essere rigenerati e reinterpretati nell’arte contemporanea. Coniugando il passato con il presente, l’eterno con il temporaneo, l’esposizione rappresenta una celebrazione della bellezza e dei valori che uniscono l’umanità attraverso il tempo. Questo evento dunque non è solo un omaggio ad Afrodite, ma un invito a riflettere sulla continuità culturale e sulla rilevanza del mito nella nostra società contemporanea. La kalokagathia, l’ideale di bellezza morale e fisica, emerge come un concetto atemporale che continua a ispirare artisti e pensatori, dimostrando come l’antico e il moderno possano convivere e arricchirsi reciprocamente.
Cinquant’anni di storia, di musica e opera. 1975-2025. Fondazione Arena di Verona festeggia mezzo secolo di storia al Teatro Filarmonico. E celebra con la città l’anniversario della riapertura del Teatro Filarmonico, ricostruito dopo i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.
Il cartellone 2025 offre una proposta raffinata e varia, tanto per le 6 opere liriche quanto per i 12 concerti sinfonici con solisti di fama internazionale. Ben 3 le nuove produzioni, numerosi anniversari, appuntamenti straordinari e collaborazioni con i principali teatri del Veneto, per oltre 50 alzate di sipario. Dal 1° ottobre si potranno rinnovare gli abbonamenti, confermate le tariffe 2024.
Il cartellone della Stagione Lirica prenderà il via in gennaio (dal 19 al 26), con un allestimento tutto nuovo di Falstaff di Antonio Salieri, l’opera che riaprì il Teatro cinquant’anni fa. Alla guida della nuova produzione, inserita nel Festival Mozart a Verona, sarà Paolo Valerio. Dal 16 al 23 febbraio per la prima volta nell’ultimo mezzo secolo di spettacoli al Teatro Filarmonico: La Wally del poco ricordato ma valoroso Alfredo Catalani, nell’allestimento dei teatri lirici emiliani, con interpreti di pregio quali Maria José Siri, Carlo Ventre, Youngjun Park. Dal 16 al 23 marzo tornerà Elektra di Richard Strauss. Una nuova produzione, a ventitré anni dall’unica programmazione nei cartelloni di Fondazione Arena, firmata da Yamal Das Irmich, con Lise Lindstrom, Ewa Vesin e Anna Maria Chiuri. Dopo la primavera sinfonica e il 102° Festival areniano, dal 26 ottobre al 2 novembre proseguirà la riscoperta dei titoli meno noti di Giacomo Puccini: anche Le Villi sarà una prima volta per le scene di Fondazione Arena, qui nell’allestimento del Regio di Torino. Dal 16 al 23 novembre, altro debutto, il pubblico scoprirà un capolavoro buffo di Rossini, Il Turco in Italia, nell’applaudita coproduzione guidata da Rovigo con Carlo Lepore e Sara Blanch. Infine, dal 14 al 21 dicembre, il Verdi giovanile (anch’esso rappresentato una sola volta al Filarmonico, e una sola in Arena nel ‘72) con Ernani, in una nuova produzione di Stefano Poda con Amartuvshin Enkhbat, Angelo Villari e Alexander Vinogradov. I cast vocali e i team creativi coinvolgeranno il meglio dei giovani e del panorama attuale, offrendo prestigiosi debutti al Filarmonico. Fra i direttori, ritorneranno i maestri Antonio Pirolli, Michael Balke, Francesco Ommassini, Alessandro Cadario, Lü Jia, Paolo Arrivabeni.
La Stagione sinfonica conferma ben 10 appuntamenti in abbonamento, a cui si aggiungono due concerti straordinari. La programmazione abbraccerà oltre tre secoli di musica, inaugurando il 31 gennaio con la Grande Messa in do minore di Mozart e proseguendo con importanti anniversari di grandi compositori come Šostakovič, Ravel e lo stesso Antonio Salieri, a cui sarà dedicato il concerto straordinario di Pasqua nel 200° della morte, che sarà eccezionalmente replicato anche a Legnago, città natale del maestro. Proseguiranno le integrali intraprese negli ultimi anni da Fondazione Arena: i concerti di Rachmaninov (il leggendario Terzo), le composizioni di Richard Strauss, le sinfonie di Beethoven (la Pastorale) e quelle di Mahler (la Settima, complessa e affascinante, mai eseguita dai complessi veronesi).
In allegato tutti la stagione in dettaglio
Venezia, Palazzetto Bru Zane, Festival “Passione violoncello”, 21 settembre-24 ottobre 2024
“VIOLONCELLI IN CORO”
Violoncelli Anne Gastinel, Xavier Phillips, Lila Beauchard, Leonardo Capezzali
Marie-Joseph Erb: Trois Pièces pour quatre violoncelles, op. 63; Jacques Offenbach: Cours méthodique de duos pour deux violoncelles, op. 53 (extraits); Quatuor pour quatre violoncelles; Auguste Franchomme: Trois Préludes de Frédéric Chopin transcrits pour quatre violoncelles; Hélène-Frédérique de Faye-Jozin: Suite sylvestre pour quatre violoncelles (extraits); Florent Schmitt: Andante religioso pour quatre violoncelles
Venezia, 22 settembre 2024
Secondo appuntamento nell’ambito del Festival “Passione violoncello”, che il Palazzetto Bru Zane dedica al nobile strumento, focalizzandosi soprattutto sul periodo storico – l’Ottocento, ma anche oltre –, in cui raggiunge il culmine della sua evoluzione, sia sul piano tecnico che su quello espressivo, divenendo, anche grazie alla sua timbrica, una delle “voci” più espressive del romanticismo musicale in Francia e non solo. Inizialmente legato alle esigenze didattiche, come testimoniano i brani per ensemble di violoncelli di Jacques Offenbach e di Auguste Franchomme, il corpus di partiture si è un po’ ampliato a cavallo del Novecento, uscendo dai confini della scuola. Non furono, peraltro, insegnanti o virtuosi dello strumento a comporre questi brani, ma artisti, come Marie-Joseph Erb, Hélène-Frédérique de Faye-Jozin o Florent Scmitt, che utilizzano un ensemble di violoncelli per esplorare nuove sonorità. A proporre i brani in programma erano quattro validi strumentisti: Anne Gastinel e Xavier Phillips – entrambi concertisti affermati a livello internazionale –, insieme a Lila Beauchard e Leonardo Capezzali – già loro rispettivi allievi –, all’inizio di un carriera decisamente promettente. Nella loro esecuzione si è apprezzato, in particolare l’affiatamento, quel guardarsi l’un l’altro, che ha loro permesso di interpretare i vari brani in prefetta sintonia, traendo dai loro strumenti sonorità armoniose e un’articolazione del discorso musicale nitida e coerente, nel loro dialogare, di volta in volta pacato o concitato, sussurrato o gridato. L’ensemble si è fatto apprezzare a partire dai Tre pezzi per quattro violoncelli di Marie-Joseph Erb (Ave Maria – Menuet – Berceuse), pubblicati nel 1903, la cui fonte d’ispirazione è l’Ave Maria di Schubert, come attesta, nella seconda battuta, una citazione delle prime note della celebre preghiera schubertiana, seguita da variazioni di stampo neopalestriniano, a parte un passaggio contrastante, che guarda al corale tedesco. I violoncellisti hanno sfoggiato le loro doti in Ave Maria come nel pomposo Minuetto, che ha una sezione costellata di pizzicati, e nella Berceuse, improntata alla semplicità di una melodia popolare. Più oltre nella serata, Anne Gastinel e Xavier Phillips hanno affrontato autorevolmente due pagine dal Cours méthodique de duos pour deux violoncelles di Jacques Offenbach che, essendo un eccellente violoncellista, fu autore di vari cicli di opere didattiche per il proprio strumento. I pezzi del Corso, che sono stai proposti – dalla lettera E: n. 2 (Duo – Andante – Allegro) e n. 3 (Duo – Andante – Rondò) –, si segnalano per l’inesauribile flusso melodico, che già preannuncia il compositore di melodie di successo, ma anche per il trattamento equilibrato dei due strumenti, che assegna a maestro ed allievo parti di uguale difficoltà. Sempre di Offenbach è stato eseguito il Quartetto per quattro violoncelli – composto nel 1849 – formato da un movimento in tempo Moderato seguito da uno Scherzo. Una certa teatralità si è colta nel primo movimento, dove il primo violoncello ha reso da par suo il tema cantabile d’apertura, accompagnato da interventi sincopati degli altri tre strumenti. Dopo una minorizzazione, il secondo violoncello ha preso la parola, per esporre col giusto accento un tema più tormentato, sostenuto da un accompagnamento dal ritmo agitato. Poi i primi due violoncelli hanno suonato all’ottava nel registro acuto , creando un surplus di tensione. E ancora successivamente un tema cantabile è stato degnamente intonato dal terzo e dal quarto violoncello. Estroverso lo Scherzo d’ispirazione popolare, caratterizzato da agitazione ritmica, contrasti di colori armonici, pizzicati, imitazioni ravvicinate, scrittura omofonica. La giusta leggerezza, unita ad adeguate scelte di tempi, si è colta nei Tre Preludi di Chopin, trascritti per quattro violoncelli da Auguste Franchomme. Rimasti sotto forma di manoscritto non datato, gli arrangiamenti dei tre Préludes op. 28 di Chopin furono probabilmente realizzati da Auguste Franchomme dopo la morte del compositore polacco, per rendergli omaggio come peraltro fece con analoghe trascrizioni. Dei ventiquattro Preludi dell’op. 28, Franchomme ne sceglie tre relativamente lenti, da eseguire ricorrendo al rubato. Al brevissimo Preludio n. 9 seguiva il celebre n. 15, meglio conosciuto come “della goccia d’acqua” per il suo ostinato, quest’ultimo affidato al terzo violoncello. Che anche nel n. 13 ha sostenuto ritmicamente i compagni, mentre intonavano una melodia lenta e querula. Intensamente espressiva – tra “estasi” ed “esaltazione”,“sospiri e “singhiozzi” come prescrive l’autrice – è risultata l’esecuzione della Suite sylvestre per quattro violoncelli di Hélène-Frédérique de Faye-Jozin – emozionata rievocazione della foresta di Rambouillet in autunno, percorsa da un sentimento panico –, di cui si sono ascoltati il primo, il terzo e il quarto pezzo: Salut au bois, Bourrasque en forêt, Adieux au bois, che sembrano delineare un percorso, lungo il quale la musicista entra in comunione con la natura. Le quattro parti sono di pari difficoltà e solo occasionalmente il primo violoncello ha svolto un ruolo solistico. Suggestive in Bourrasque en forêt le folate del vento brillantemente imitate dai violoncelli scandendo, a turno, una serie di terzine: un effetto rafforzato da passaggi in glissando del primo strumento. La serata si è conclusa con l’Andante religioso per quattro violoncelli di Florent Schmitt. Un pezzo intriso di misticismo – risalente all’immediato dopoguerra –, che è la trascrizione, ad opera dell’autore stesso, di un movimento del suo Quartetto per tromboni e tuba op. 109, datato 1946. Encomiabile il coordinamento tra gli esecutori nell’affrontare questa partitura, in cui si concentra l’arte polifonica di Schmitt e dove l’elementare cromatismo di una sequenza discendente di tre note – come un rapido sguardo nelle profondità dell’anima – è sostenuto armonicamente dalle voci più basse, prima che il movimento segua una linea ascendente, per proseguire tra affannosi respiri. Reiterati applausi soprattutto a fine serata.
Roma, Museo di Roma
LAUDATO SIE: NATURA E SCIENZA
Nell’ottavo centenario della composizione del Cantico delle Creature di san Francesco di Assisi, che si celebra nel 2025, il Museo di Roma a Palazzo Braschi ospita la mostra “Laudato Sie: Natura e Scienza”. L’eredità culturale di frate Francesco. Prendendo le mosse dal più antico manoscritto del Cantico di frate Sole o Cantico delle creature – tra i primi testi poetici in volgare italiano giunti a noi – si propone un itinerario, costantemente accompagnato da una narrazione multimediale, attraverso 93 opere rare del Fondo antico della Biblioteca comunale di Assisi conservate presso il Sacro Convento. La Mostra lungo il suo percorso, cadenzato dalle diverse sezioni, racconta la profonda dimensione filosofica e spirituale che da sempre guida l’Ordine francescano e, allo stesso tempo, ne illustra l’impegno intellettuale espressosi nell’ambito della riflessione scientifica, come attestato dai numerosi trattati tramandati nei preziosi manoscritti esposti. Il visitatore può, quindi, soffermarsi, seppur brevemente, sulla sintesi filosofico-teologica dei primi pensatori francescani, filosofi e teologi, sul tema della natura, fino a focalizzare l’attenzione sulla maniera nelle quali le singole scienze hanno, nei secoli, portato ad osservare il mondo e su come gli stessi francescani abbiano favorito questo sguardo. Dopo le due sezioni introduttive –Laudato sie: lo stupore riconoscente di fronte al Creato e L’ispirazione delle origini: Bibbia, teologia e filosofia – le vere e proprie radici sulle quali poggia l’intero impianto della Mostra, prendono forma le altre sezioni espositive: I francescani e il sapere enciclopedico; Sora luna e le stelle: l’astronomia; Del numero e della visione: matematica e ottica; Nel mondo tutto è in movimento: la fisica; Gli elementi, i minerali, i metalli e la loro trasformazione: l’alchimia; La Fabrica del corpo: medicina, anatomia e chirurgia. L’esposizione si chiude con una sezione riassuntiva, che ricollega lo sguardo olistico e celebrativo della ricchezza del mondo proprio del Cantico declinato secondo l’ottica propria delle scienze della vita: Cum tucte le tue creature: piante, animali e uomini. La mostra ci permette di toccare con mano come nei secoli vi sia stata sempre la presenza nell’Ordine francescano di una “curiosità” intessuta di senso religioso e meraviglia in linea con l’intuizione poetico-mistica del Cantico di frate Sole, accompagnata però dal rigore critico, dall’attenzione per il dato concreto e dall’assunzione di metodologie coerenti, di volta in volta, con gli sviluppi della scienza del proprio tempo. Soprattutto, si consente di comprendere come il Cantico della Creature, vero e proprio “manifesto” di un approccio empatico e fraterno nei confronti della Natura, possa, ancor oggi, trovare consonanza con le aspirazioni di moltissimi uomini e donne al di là della distanza cronologica e culturale con il Santo di Assisi che lo compose. St. Francis Day Foudation è stata istituita sotto gli auspici del Santo Padre, volta alla diffusione degli insegnamenti del Santo di Assisi, delle sue parole e valori fondanti, ispiratori per tanti uomini e donne del mondo.
Roma, Nuovo Teatro Ateneo
LA NUOVA STAGIONE SPERIMENTALE
Uno dei luoghi più rilevanti e iconici della storia del teatro italiano riapre ufficialmente le sue porte e lo fa con un cartellone di grande pregio culturale, consono alla sua storia straordinaria. Il Nuovo Teatro Ateneo presenta dal 26 settembre al 19 dicembre 2024 la sua Stagione teatrale sperimentale. Il Nuovo Teatro Ateneo è un’istituzione culturale di grande rilevanza che si inserisce nella lunga tradizione teatrale e accademica della città di Roma e di tutta la storia del teatro italiano. Il Teatro Ateneo fu costruito nel 1935. Nel 1954 fu fondato l’Istituto del Teatro, con il compito primario di programmare l’attività del Teatro Ateneo. Ad esso si appoggiò l’insegnamento di Storia del teatro e dello spettacolo della Facoltà di Lettere e filosofia, tenuto prima da Giovanni Macchia e poi da Ferruccio Marotti. Successivamente, dal 1980 al 2014, il Centro Teatro Ateneo ha contribuito a tutti gli effetti a fare del Teatro Ateneo un luogo noto a livello internazionale. La nascita del Teatro Ateneo è il frutto di un’idea di valorizzazione della cultura teatrale all’interno dell’università, con uno spazio dedicato a produzioni artistiche e ad eventi che possano coinvolgere non solo gli studenti, ma anche il pubblico cittadino. Durante gli anni, il Teatro Ateneo ha visto esibirsi numerosi artisti di fama, contribuendo così a consolidare la reputazione del teatro come un crocevia di talenti emergenti e affermati. Il Teatro Ateneo ha saputo adattarsi ai mutamenti sociali e culturali, affrontando tematiche attuali e rilevanti e rimanendo al passo con le esigenze del pubblico moderno. Questo approccio dinamico ha contribuito a rendere il Teatro Ateneo non solo un luogo di spettacolo, ma anche un’importante fucina di idee e di creatività. Oggi, il Nuovo Teatro Ateneo ambisce ad essere nuovamente un faro di cultura a Roma, rappresentando un esempio di come l’arte possa integrare e arricchire le esperienze della comunità accademica e cittadina, promuovendo il dialogo e la condivisione attraverso la magia del palcoscenico. Forte della sua grande e prestigiosa storia – che ha visto passare sulle tavole del palcoscenico i più grandi nomi del teatro italiano ed europeo – il Nuovo Teatro Ateneo propone la sua prima Stagione sperimentale, che si distingue per una programmazione che spazia dal teatro classico alla drammaturgia contemporanea e alla danza. Dopo un lungo periodo di chiusura terminato nel 2020, il Nuovo Teatro Ateneo intende riproporsi sulla scena culturale romana con un cartellone formato da quattordici spettacoli di prosa e di danza di richiamo nazionale e internazionale. La scelta degli spettacoli è stata effettuata dai docenti delle discipline dello spettacolo di Sapienza – in particolare, dai proff.ri Vito Di Bernardi, Guido Di Palma, Stefano Locatelli e Sonia Bellavia – ed è stata coordinata dal Centro Sapienza Crea-Nuovo Teatro Ateneo, diretto dal prof. Marco Benvenuti. “La prima stagione teatrale sperimentale del Nuovo Teatro Ateneo vuole segnare, concretamente, la riapertura del nostro Teatro a tutta la Comunità Sapienza e al territorio, con un calendario di appuntamenti che mira a ricollocarlo nel panorama culturale del Paese. – dichiara la Rettrice Antonella Polimeni. – Andremo a proporre un programma di quattordici spettacoli di prosa e di danza, opere che affrontano grandi questioni del nostro tempo e che vedono coinvolti anche molti giovani artisti della scena nazionale e internazionale. L’obiettivo è rendere la programmazione del Nuovo Teatro Ateneo fedele al motto di Sapienza “IL FUTURO È PASSATO QUI”, onorando quindi la tradizione del nostro Teatro e dei Maestri che lo hanno reso grande, Gigi Proietti, Carmelo Bene, Eduardo De Filippo per citarne solo alcuni, conciliandola con le nuove correnti culturali e artistiche che stanno segnando il panorama internazionale. Vogliamo, inoltre, offrire uno spazio in cui giovani talenti possono proporre, e condividere con il grande pubblico, la propria arte. Unendo così, ancora di più, la tradizione all’innovazione, il passato al futuro, vivendo il presente”. “La stagione teatrale sperimentale del Nuovo Teatro Ateneo, che presentiamo oggi, è una grande sfida sul piano culturale – dice il Direttore del Centro Sapienza Crea-Nuovo Teatro Ateneo Marco Benvenuti – che dimostra la vitalità e la capacità di innovare da parte di un’istituzione pubblica qual è Sapienza. Sono certo che i quattordici spettacoli di prosa e di danza che ospiteremo nell’autunno di quest’anno sapranno raccogliere l’interesse di un vasto pubblico, interno ed esterno all’Ateneo, e costituiranno il punto di partenza per nuove e più ampie iniziative non solo sul piano delle arti performative, ma anche su quello della musica, del cinema e dei media digitali”. In concomitanza con l’avvio della stagione teatrale sperimentale, Sapienza ha anche deciso di selezionare un Direttore artistico per il Nuovo Teatro Ateneo. La procedura è pubblica e sarà possibile presentare la propria domanda di partecipazione accendo al sito del Centro Sapienza Crea-Nuovo Teatro Ateneo. La stagione – presentata al pubblico il 26 settembre alle ore 15.00 – alla presenza della Rettrice Antonella Polimeni, proporrà alle ore 20.30 l’anteprima di Eraclidi di Euripide, con la traduzione a cura di Anna Maria Belardinelli, coordinatrice del progetto Theatron. Teatro antico alla Sapienza, e con l’ideazione e la regia di Adriano Evangelisti, direttore artistico.
Roma, Teatro Sistina
I SETTE RE DI ROMA
scritto da Gigi Magni
musicato da Nicola Piovani
Con Enrico Brignano,Pasquale Bertucci, Lallo Circosta, Giovanna D’Angi, Ludovica Di Donato, Michele Marra, Michele Mori, Ilaria Nestovito, Andrea Perrozzi, Andrea Pirolli, Emanuela Rei ed Elisabetta Tulli
Scene di Mauro Calzavara
disegno luci di Marco Lucarelli
costumi di Paolo Marcati
coreografie di Thomas Signorelli
regista assistentePierluigi Iorio
prodotto da Vivo Concerti & Enry B. Produzioni
A 35 anni dalla prima messa in scena di una rappresentazione che ha fatto la storia del teatro italiano, Enrico Brignano riporta sul palco lo spettacolo scritto da Gigi Magni e musicato da Nicola Piovani: “I 7 re di Roma” (prodotto da Vivo Concerti & Enry B. Produzioni), uno show della grande tradizione targata “Garinei e Giovannini” e che vide protagonista in scena Gigi Proietti. Sarà il Teatro Sistina di Roma (e non poteva essere altrimenti) a ospitare il debutto de ‘I 7 Re di Roma’ (dall’8 ottobre 2024) che però girerà per tutta Italia, toccando Torino (Teatro Alfieri dall’11 dicembre), Padova (Gran Teatro Geox dal 18 dicembre), Bologna (Europaditorium dal 9 gennaio 2025), Bari (Teatro Team dal 22 gennaio), Napoli (Teatro Augusteo dal 30 gennaio), Milano (Teatro Arcimboldi dal 19 febbraio), Firenze (Teatro Verdi dal 6 marzo) e Catania (Teatro Metropolitan dal 23 marzo). L’attore rilegge coraggiosamente questo grande classico cercando un equilibrio tra la tradizione e i tempi moderni, rispettando la versione precedente, ma con un’attenzione ad una fruizione più adatta al pubblico odierno, abituato alla rapidità e a durate più contenute (l’adattamento al testo è curato da Manuela D’Angelo). I mitici sette re all’origine della fondazione di Roma si susseguiranno, in un rocambolesco alternarsi di travestimenti di Brignano, tra canzoni, balli e vicende più e meno note, riconducibili agli albori della storia. Tra mito e realtà, Brignano ci riporterà indietro nel tempo insieme a una compagnia giovane e brillante, per mostrare che in fondo, per quanto i tempi cambino, la natura dell’uomo resta sempre la stessa e, a distanza di secoli, ciò che persegue è ancora l’ideale di libertà che rende una vita degna di essere vissuta. “Questo spettacolo, che reputo il più impegnativo della mia carriera interpretando 11 personaggi diversi e mantenendo la regia originale di Garinei, è un omaggio a Proietti, a Magni, a Piovani, a Garinei, alla Capitale”, spiega Brignano che definisce i ‘I 7 Re di Roma’ (di cui cura la messa in scena) come il suo “spettacolo del cuore. Ricordo che noi giovani attori del Laboratorio di Gigi, appunto 35 anni fa, eravamo estasiati da questo show e lo imparammo tutti a memoria, in una vera fase di innamoramento del teatro e del nostro Maestro. Certo oggi i tempi sono cambiati da allora: “E difatti questa rappresentazione vuole essere sì un omaggio, ma non una copia, a partire da una mia rilettura personale delle scene e dei contenuti. Alcuni riferimenti andati in scena 35 anni fa oggi non sono più percorribili, o magari ce ne sono altri da aggiornare”. Tra gli obiettivi di Brignano, poter dare l’occasione anche ai più giovani di poter far rivivere loro l’emozione di uno show come questo: “Mi fa ben sperare il fatto che i miei figli, che hanno 7 e 3 anni, conoscono a memoria tutti brani dello spettacolo: li cantano e se io sbaglio, mi correggono perché il pubblico dei bambini è implacabile. Quando a casa ripassavo i testi e loro mi chiedevano di raccontare una favola la sera, gli ho descritto le gesta di personaggi come Romolo, Numa Pompilio, Anco Marzio, del gigante Caco e di Ercole. E le hanno recepite con grande attenzione”. Sul palco, insieme a Brignano, Pasquale Bertucci, Lallo Circosta, Giovanna D’Angi, Ludovica Di Donato, Michele Marra, Michele Mori, Ilaria Nestovito, Andrea Perrozzi, Andrea Pirolli, Emanuela Rei ed Elisabetta Tulli. Scene di Mauro Calzavara, disegno luci di Marco Lucarelli, costumi di Paolo Marcati, coreografie di Thomas Signorelli, regista assistente Pierluigi Iorio.
Venezia, Scuola Grande San Giovanni Evangelista, Festival “Passione violoncello”, 21 settembre-24 ottobre 2024
“PASSIONE VIOLONCELLO”
Quatuor Cambini-Paris
Violini Julien Chauvin, Karine Crocquenoy
Viola Pierre-Éric Nimylowycz
Violoncello Atsushi Sakai
Altro violoncello Marion Martineau
Charles-Nicolas Baudiot: Quintette avec deux violoncelles no 1, op. 34; Auguste Franchomme: Romance pour violoncelle et quatuor à cordes, op. 10; Théodore Gouvy: Quintette avec deux violoncelles no 1 en mi mineur
Venezia, 21 settembre 2024
Anche quest’anno la Sala Capitolare della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista ha fatto da sontuosa cornice al concerto inaugurale del festival d’autunno – organizzato dal Palazzetto Bru Zane-Centre de Musique Romantique Française – divenuto ormai un’attesa consuetudine veneziana, che richiama un pubblico sempre più numeroso. L’attuale rassegna, Passione violoncello – apertasi il 21 settembre, per concludersi il 24 ottobre 2024 – è dedicata, come indica il titolo, non a un autore o a un periodo della storia musicale francese, bensì ad uno strumento: il violoncello. Considerato il portavoce, forse per eccellenza, della sensiblerie romantica, il violoncello raggiunge il culmine della propria evoluzione nell’Ottocento, coniugando l’affinamento tecnico, gradatamente raggiunto, a una vocazione espressiva incline al sentimento, grazie anche alla ricchezza avvolgente del timbro, che lo caratterizza. Valorizzato dai compositori dell’epoca, tra cui vari violoncellisti – che esplorano nelle pagine da loro scritte le potenzialità dello strumento, allargandone i confini tecnico-espressivi –, lo strumento si emancipa definitivamente dal tradizionale ruolo di accompagnamento.
È all’interno dei salotti che, nell’ottocento si sperimentano le formazioni strumentali più svariate. Grande entusiasmo – per quanto momentaneo – fu suscitato, in questi luoghi, dove si riuniva la mondanità, il quintetto con due violoncelli, dimostrando quanto il pubblico fosse attratto dal virtuosismo del violoncello principale, trattato come solista, cedendo nel contempo al fascino emanato dal suono prettamente romantico dello strumento. Fiorì, dunque, in Francia un ricco repertorio per questa formazione, ancora tutto da riscoprire, con buona pace di Schubert e del tuo celebre Quintetto.
Interpreti dei titoli in programma erano i solisti del Quartetto Cambini-Paris – che si dedica al repertorio musicale celebre, eseguito su strumenti d’epoca, e contemporaneamente alla riscoperta di compositori francesi dimenticati – composto da Julien Chauvin e Karine Crocquenoy (violini), Pierre-Éric Nimylowycz (viola), Atsushi Sakai (violoncello), ai quali si è unita, per l’occasione, Marion Martineau (altro violoncello) che, in duo con Atsushi Sakai, affronta un repertorio sei-settecentesco e contemporaneo.
Equilibrio, senso dell’insieme, eleganza e rotondità del suono, adeguatezza rispetto al codice estetico relativo ai pezzi proposti: queste le caratteristiche salienti della performace offerta dagli esecutori, le cui indubbie doti interpretative erano complementari ad una preparazione tecnica superlativa.
Questo si è colto nel quintetto di Bodiot – uno dei violoncellisti-compositori, cui si è fatto cenno – probabilmente pubblicato nel 1837, quando il maestro si ritirò dal Conservatorio di Parigi. Un’esecuzione, in cui il primo violino ha svolto egregiamente il proprio ruolo di solista, ma anche gli altri stumentisti hanno affrontato con bravura i passaggi virtuosistici, che l’autore loro affida.
Virtuosismo e cantabilità hanno caratterizzato Romance di Auguste Franchomme – primo violino dell’Opéra Italien –, che qui si confronta con un genere all’epoca di gran moda, partendo con una linea melodica chiara dal carattere pastorale, che privilegia i valori lunghi e ricorre alla ripetizione di certi ritmi (come il motivo semiminima puntata-croma-semiminima), per poi dare spazio al virtuosismo del violoncello principale e concludere con doppie corde ed espressivi arpeggi. Ottimo bilanciamento delle parti e inappuntabili interventi da parte dei singoli strumentisti, cui Gouvy richiede un impegno notevole, hanno caratterizzato l’esecuzione del quintetto di Gouvy, un lavoro, che guarda a Boccherini, Schubert, Onslow e forseconsiderato troppo “tedesco” all’epoca in cui nacque. Calorosissimo successo con numerose chiamate.
Mike Bongiorno 1924-2024: Un Viaggio Immersivo Nella Storia della Televisione Italiana
La mostra al Palazzo Reale celebra il centenario della nascita del leggendario presentatore, raccontando la sua carriera straordinaria e il suo impatto profondo sulla cultura popolare italiana.
La mostra “Mike Bongiorno 1924-2024”, ospitata a Palazzo Reale di Milano dal 17 settembre al 17 novembre 2024, è un’esposizione che celebra la vita e la carriera di uno dei più importanti protagonisti della storia della televisione italiana. Realizzata in occasione del centenario della nascita di Mike Bongiorno, questa mostra rappresenta un viaggio immersivo nella vita di un uomo che ha segnato profondamente la cultura e la società italiana per oltre sei decenni. Curata dal figlio Nicolò Bongiorno, insieme ad Alessandro Nicosia e con la consulenza di Daniela Bongiorno, l’esposizione è organizzata dal Comune di Milano – Cultura, con il patrocinio del Ministero della Cultura e la collaborazione di importanti partner come Rai, Mediaset e altri sponsor di spicco come Barilla e DR Automobiles. La mostra si distingue per un allestimento scenografico coinvolgente che permette ai visitatori di attraversare diverse epoche della carriera di Mike, grazie a ricostruzioni fedeli di ambienti e momenti iconici, come lo studio radiofonico americano degli anni ’40 e la celebre cabina del quiz Rischiatutto. Il percorso espositivo è arricchito da una serie di filmati di repertorio Rai e Mediaset, insieme a video biografici che raccontano non solo la storia di Bongiorno, ma anche le trasformazioni della società italiana dagli anni ’20 fino ai giorni nostri. L’intera esposizione è pensata per offrire ai visitatori un’esperienza interattiva, in cui possono rivivere dal vivo il mondo dei quiz e immergersi nella cultura popolare che Mike Bongiorno ha contribuito a creare. La mostra sottolinea anche il ruolo cruciale che Bongiorno ha avuto nella formazione dell’identità televisiva italiana e nel consolidamento della memoria collettiva del Paese, grazie alla sua capacità di comunicare con semplicità e immediatezza, raggiungendo un vasto pubblico. Mike Bongiorno è stato uno dei volti più iconici della televisione italiana, con una carriera che si è estesa per oltre sessant’anni. Nato il 26 maggio 1924 a New York da genitori italiani, Bongiorno si trasferì in Italia da giovane. Durante la Seconda Guerra Mondiale, partecipò alla Resistenza come staffetta partigiana, venendo arrestato dai nazisti e imprigionato per sette mesi nel campo di concentramento di Mauthausen. Dopo la guerra, iniziò la sua carriera giornalistica e radiofonica negli Stati Uniti, per poi rientrare in Italia dove debuttò nel 1955 con Arrivi e partenze, il primo programma di intrattenimento della neonata Rai. Il suo linguaggio diretto e semplice conquistò subito il pubblico. Tuttavia, fu con i quiz televisivi che Bongiorno raggiunse la vera celebrità, contribuendo a fare di questo genere un fenomeno di massa. Programmi come Lascia o raddoppia?, Rischiatutto e TeleMike lo consacrarono come il “Re dei quiz”, confermandolo come pioniere dell’intrattenimento televisivo in Italia. Un tratto distintivo del suo successo fu la capacità di instaurare un rapporto empatico con il pubblico. Il suo stile, apparentemente spontaneo e colloquiale, era concepito per coinvolgere tutta la famiglia, tanto che veniva spesso definito “uno di famiglia”. L’approccio semplice, unito ai suoi celebri lapsus e gaffe, lo rese una figura amabile e immediatamente riconoscibile. La carriera di Bongiorno si sviluppò parallelamente ai grandi cambiamenti della società italiana, attraversando la ricostruzione del dopoguerra, il boom economico e l’avvento della televisione commerciale. Bongiorno fu una delle poche personalità a lavorare con successo sia per la Rai che per Mediaset, contribuendo all’affermazione della televisione privata negli anni ’80. Oltre ai quiz, presentò il Festival di Sanremo undici volte, consolidando ulteriormente il suo ruolo di figura chiave della televisione italiana. Mike Bongiorno lavorò attivamente in televisione fino alla fine della sua vita, dimostrando una capacità unica di restare rilevante per il pubblico attraverso i decenni. Morì l’8 settembre 2009 a Monte Carlo, lasciando un’eredità indelebile nella cultura popolare italiana, tanto che il suo nome è diventato sinonimo di televisione stessa. La sua abilità nel mantenere un legame autentico con il pubblico, senza mai prendersi troppo sul serio, ha fatto di lui una delle personalità più amate della storia della TV italiana. Un catalogo appositamente pubblicato da Silvana Editoriale accompagna l’esposizione, offrendo ai visitatori ulteriori dettagli storici, documenti e testimonianze su Mike Bongiorno e il suo impatto duraturo sulla cultura italiana. Questa mostra non è solo una celebrazione della vita di Mike Bongiorno, ma anche un tributo al suo impatto culturale e al ruolo cruciale che ha avuto nella definizione dell’identità televisiva italiana, contribuendo alla formazione della memoria collettiva del Paese. Photocredit @2003 Archivio Fondazione Mike Bongiorno
Vol. 1: Harpsichord Concerto No.1 in D minor, BWV 1052; Harpsichord Concerto No.5 in F minor, BWV 1056; Harpsichord Concerto No.8 in D minor, BWV 1059R (Reconstruction by Masato Suzuki); Harpsichord Concerto No.2 in E major, BWV 1053. Bach Collegium Japan. Masato Suzuki (clavicembalo e direzione). Registrazione: Luglio 2018 presso la Yamaha Hall, Tokyo, Giappone. T. Time: 66′ 34″ 1CD BIS Records Bis-2401
Vol. 2: Harpsichord Concerto No.6 in F major, BWV 1057; Harpsichord Concerto No.4 in A major, BWV 1055; Harpsichord Concerto No.7 in G minor, BWV 1058; Harpsichord Concerto No.3 in D major, BWV 1054. Bach Collegium Japan Masato Suzuki (clavicembalo e direzione). Registrazione: 22-26 luglio 2019 presso la Yamaha Hall, Tokyo, Giappone. T. Time: 60′ 03″ 1CD BIS Records Bis-2481
Composti dopo il 1729, anno in cui Bach assunse la direzione del Collegium Musicum di Lipsia, i Concerti per clavicembalo e archi nacquero fondamentalmente come trascrizioni di cantate scritte in precedenza. Questi concerti, che ci sono stati tramandati da un manoscritto autografo conservato presso la Biblioteca di Stato di Berlino che ne contiene 7 oltre ad un frammento, consistente in 9 battute, di un ottavo concerto, costituiscono il programma di un doppio album dell’etichetta BIS Records nella quale è possibile ascoltare anche la ricostruzione dell’Ottavo concerto realizzata da Masato Suzuki, il quale, basandosi sul fatto che le battute del frammento erano quasi identiche a quelle iniziali della Sinfonia della Cantata N. 35 Geist und Seele wird verwirret, ha trascritto altri due altri movimenti, uno lento e uno veloce, della suddetta cantata mantenendo solo un oboe, al quale ha affidato una parte preponderante nel secondo movimento, dei tre presenti nella partitura originale. Autentici capolavori, questi lavori, che risentono dal punto di vista formale dei concerti vivaldiani, alcuni dei quali, peraltro, Bach trascrisse per clavicembalo solo, differiscono dalle cantate, di cui sono delle trascrizioni per il fatto che Bach adattò mirabilmente la parte vocale, soprattutto, a uno strumento come il clavicembalo, incapace di tenere a lungo il suono, per il quale è necessario operare delle diminuzioni ornamentali alle melodie che diventano, nei tempi lenti, in particolare, delle gemme del lirismo barocco. Di ottimo livello l’esecuzione da parte del Bach Collegium Japan diretto da Masato Suzuki il quale interpreta questi concerti anche da solista su un clavicembalo costruito nel 1987 da Willem Kroesbergen basandosi su un Couchet. Dotato di un’ottima tecnica che gli consente di superare con facilità le agilità di queste partiture, Masato Suzuki risulta particolarmente espressivo nei movimenti lenti dove trova anche un ottimo affiatamento con gli altri strumentisti soprattutto nei rubati. Del resto la performance è connotata tutta da un ottimo equilibrio tra il solista e l’ensemble d’archi, ai quali si aggiungono ora l’oboe ora i flauti (Concerto n. 6), che non lo sovrasta mai e che anzi lascia ad esso lo spazio che gli compete.
Ercolano, Parco Archeologico
ERCOLANO DIGITALE: L’Innovazione al Servizio della Storia
Al Parco Archeologico di Ercolano, il nuovo progetto digitale offre un’esperienza immersiva tra passato e futuro, con strumenti interattivi che arricchiscono la visita e la gestione del patrimonio archeologico.
Al Parco Archeologico di Ercolano mondo reale e mondo virtuale si fondono grazie a Ercolano Digitale: è online la nuova piattaforma costruita a partire dai dati scientifici, nata per gestire, condividere e promuovere lo straordinario patrimonio di culturale del sito archeologico di Ercolano. Con Ercolano Digitale, il Parco si è dotato di efficaci e innovativi “strumenti digitali” in grado non solo di assicurare il monitoraggio e la conservazione dei reperti e fornire uno straordinario supporto per orientare in modo strategico le attività di conservazione ma anche per promuovere e condividere la ricchezza del suo patrimonio archeologico attraverso nuove forme di fruizione sia online che direttamente nell’area archeologica. Il Parco mira così a instaurare e consolidare con i visitatori rapporti più durevoli e di beneficio reciproco – prima, durante e dopo la visita. La piattaforma consente di ottimizzare e migliorare tutti quei processi interni tipici di luogo della cultura, come quelli connessi alle attività di inventariazione, catalogazione e di conservazione, condividendo con le comunità scientifiche di riferimento e con il grande pubblico di tutto il mondo quel bagaglio unico di conoscenza e bellezza rappresentato dalla straordinaria collezione archeologica dei reperti ercolanesi, che restituiscono uno spaccato veramente unico della vita quotidiana dei Romani nel I secolo d.C. Sono stati catalogati oltre 10.000 reperti, tutti già consultabili, in open-data, nell’apposita sezione dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione. Attraverso lo studio dei Giornalie Diari di scavo risalenti all’epoca dei grandi scavi condotti daAmedeo Maiuri, è stato possibile individuare per oltre il 90% dei reperti il luogo in cui essi emersero nel corso delle indagini archeologiche nella prima metà del ‘900, ricollocandoli idealmente nel contesto di ritrovamento. Mettere a disposizione questi dati aprirà nuove chiavi di lettura della storia del sito e restituirà la naturale vocazione di Ercolano come vera e propria “città museo e laboratorio” a cielo aperto. Nuove ricostruzioni virtuali tridimensionali di interi contesti, oltre 1500 modelli digitali 3D, migliaia di immagini organizzate in gallerie tematiche e tour virtuali consentono oggi al visitatore di godere di una visita a 360° attraverso il nuovo sito web del Parco (https://ercolano.cultura.gov.it/). Il Web Day del 24 settembre fissa il momento a partire dal quale i visitatori potranno viaggiare virtualmente tra le strade dell’antica città, studiare ed osservare dal proprio computer le meraviglie ercolanesi. Inoltre i più giovani, ma non solo, potranno conoscere i personaggi che hanno reso Herculaneum, uno dei siti archeologici più importanti al mondo, attraverso un videogioco che li condurrà indietro nel tempo e a più di 25 metri sotto terra! “Amplifichiamo gli effetti della visita che diventa custom designed e smart – dichiara il Direttore Francesco Sirano – i visitatori e gli eternauti, grazie a un set di strumenti digitali interattivi, potranno personalizzare la loro visita partendo dal nuovo sito web ufficiale. L’obiettivo non è sostituire il mondo fisico, bensì andare verso approccio più immersivo attraverso il Web, per offrire all’esperienza di visita un mix di elementi digitali e oggetti reali. Diverse le opportunità di esplorazione del sito, con molteplici registri comunicativi e più livelli di approfondimento degli aspetti unici e caratterizzanti dell’antica Ercolano, che tengono conto delle fasce di età e di interesse, così come delle diverse abilità di chi visita il sito. Avviamo un percorso di rilascio progressivo di ulteriori contenuti che saranno via via disponibili in numerose lingue e in versione audio per i non vedenti, ampliando significativamente l’inclusività del percorso di visita. Oltre all’applicazione per disabili cognitivi “Avventura ad Ercolano”, già disponibile, ci aspettano ancora ulteriori ampliamenti nel prossimo futuro: si sta concludendo la fase di testing della nuova APP che sarà messa a disposizione gratuitamente per tutti i visitatori i quali potranno dialogare con la città antica attraverso una rete bluetooth fisica installata nel sito. Ciascuno potrà così costruire la sua propria personale esperienza in base ai suoi interessi o sfruttando gli itinerari tematici. E a breve renderemo disponibile il portale open data che completerà la condivisione di questa vera e propria rivoluzione che proietta Ercolano nel futuro. “Ercolano Digitale rappresenta un punto di svolta per il Parco di Ercolano – dichiara l’archeologo Simone Marino, funzionario responsabile del progetto – Uno sforzo corale senza precedenti di tutto il personale che ci ha consentito di portare a termine un progetto estremamente complesso nell’arco di meno di due anni con risultati straordinari. Più di 80 persone coinvolte tra personale interno e appaltatori, tra cui archeologi, restauratori, esperti di grafica 3D, fotografi, consegnatari, addetti alla vigilanza e all’accoglienza, e non da ultimo personale amministrativo. Ercolano Digitale non è soltanto una piattaforma ma un vero e proprio nuovo “strumento digitale”, fondamentale per la gestione di un sito complesso come quello di Ercolano”. Alla base dell’idea progettuale vi è la consolidata e pluriennale collaborazione istituzionale pubblico-privata con il Packard Humanities Institute, ente filantropico statunitense che da oltre vent’anni, attraverso l’Istituto Packard per i Beni Culturali, sostiene le attività dell’Herculaneum Conservation Project. “Si tratta del coronamento di oltre 20 anni di attività ad Ercolano – dichiara Ascanio D’Andrea, data-manager dell’Herculaneum Conservation Project e progettista di Ercolano digitale – che vede la luce a valle di una intensa e continua collaborazione multidisciplinare tra il partner pubblico e quello privato per la cura del sito. Restituire in forma organizzata, accessibile e secondo i più moderni standard di digitalizzazione l’immenso patrimonio ercolanese ci permette di guardare al futuro con maggiore serenità ed in maniera più consapevole. Sono in fase di ottimizzazione i protocolli di interoperabilità per la condivisione dei dati raw che consentiranno, nelle prossime settimane, di rendere accessibile, attraverso un portale open-data dedicato, migliaia di informazioni inedite sulla storia e le attività di questo straordinario sito archeologico che è Ercolano.” Il progetto multidisciplinare è stato realizzato con fondi PON Cultura e Sviluppo FESR 2014-2020.
Roma, Sala Umberto
dal 27 Settembre al 29 Settembre 2024
INIMITABILI:MAZZINI – D’ANNUNZIO – MARINETTI
drammaturgia Angelo Crespi
musiche originali Sergio Colicchio
tratto dall’omonimo programma di Rai Cultura
produzione Teatro della Toscana • Società per Attori s.r.l. • RG Produzioni
Regia di Edoardo Sylos Labini
Tre italiani inimitabili, le loro vite straordinarie, i loro pensieri, le loro azioni. Tutto questo racconta il nuovo spettacolo di Edoardo Sylos Labini (drammaturgia di Angelo Crespi), uno spettacolo unico, ma diviso in tre capitoli che saranno messi in scena singolarmente in tre giorni diversi. Sylos Labini accompagnato in scena dalle musiche originali del maestro Sergio Colicchio e da video e immagini di repertorio farà viaggiare gli spettatori dentro la vita di questi uomini coraggiosi e controcorrente che hanno contributo a costruire l’immaginario culturale del nostro Paese. Lo spettacolo Gli Inimitabili prende spunto da una trasmissione televisiva di Rai3, in onda da marzo 2024, in cui Edoardo Sylos Labini porta in video le vite di Mazzini, d’Annunzio e Marinetti. Un esperimento nuovo — in termini contemporanei si definirebbe crossmediale — in cui la scrittura televisiva diventa la sinopia di un testo teatrale che, a sua volta, non ha paura, sostenuto da un complesso gioco drammaturgico, di perlustrare le frontiere e le potenzialità narrative del video. Su tutto aleggia la parola e il desiderio di parola, che accomuna, pur nelle diversità, l’opera dei tre protagonisti.
Venerdì 27 Settembre GIUSEPPE MAZZINI -> Acquista i biglietti
Sabato 28 Settembre GABRIELE D’ANNUNZIO -> Acquista i biglietti
Domenica 29 Settembre FILIPPO TOMMASO MARINETTI -> Acquista i biglietti
Roma, Museo Storico della Fanteria
ANTONIO LIGABUE. I MISTERI DI UNA MENTE.
Al Museo Storico della Fanteria, l’arte del pittore e scultore interprete del lato oscuro della psiche umana nella mostra “Antonio Ligabue ‒ I misteri di una mente”
L’autunno 2024 segna il grande ritorno dell’arte di Antonio Ligabue a Roma, città che, nel 1961, gli tributò la prima importante personale che lo consacrò tra i più importanti artisti italiani del XX secolo. Dal 28 settembre, al Museo Storico della Fanteria, la mostra Antonio Ligabue ‒ I misteri di una mente prodotta da Navigare srl con il patrocinio di Regione Lazio e Città di Roma, celebrerà l’arte del pittore e scultore nativo di Zurigo, con oltre 60 opere provenienti da collezioni private italiane in un progetto espositivo curato da Micol Di Veroli, Dominique Lora e Vittoria Mainoldi. La mostra racconta il percorso artistico di Antonio Ligabue attraverso 64 opere tra sculture, dipinti a olio, disegni e puntesecche, con l’obiettivo di offrire una nuova lettura del suo lavoro, che lo affranchi dall’abusata etichetta di artista Naïf, per analizzare la sua produzione alla luce del dato biografico di una personalità complessa, originale e geniale, e mostrare a pieno l’unicum che Ligabue rappresenta nella storia dell’arte. Con un percorso cronologico e un allestimento composto da 5 aree: Animali da cortile, Animali selvaggi, Cani, Animali da bosco, e Autoritratti, fiori e campagne, la mostra dà la possibilità di analizzare il lavoro dell’artista nella sua evoluzione, attraversata dalla ricerca e dalla continua tensione sperimentatrice, accompagnate da una singolare intensità emotiva, riflesso della sua lotta personale per la sopravvivenza e la comprensione del mondo che lo circonda. La mostra è una iniziativa di Difesa Servizi SpA, realizzata in coproduzione con Diffusione Cultura Srl. Partner del progetto: AICS – Associazione Italiana Cultura e Sport di Roma. Produzione: Navigare Srl
Roma, Palazzo Massimo, Palazzo Altemps, Castel Sant’Angelo
ROMA FOTOGRAFIA FUTURE
Dal 30 settembre al 30 novembre 2023, ROMA FOTOGRAFIA – FUTURE sarà il fulcro di una rassegna dedicata all’immagine, aprendo le porte a eventi accessibili a tutti. Il mondo visivo, nelle sue molteplici forme, diventerà il protagonista indiscusso della manifestazione, guidando i visitatori attraverso suggestive installazioni multimediali. Grazie all’uso di schermi LED Panel, questi contenuti prenderanno vita nei luoghi più emblematici della Capitale: dal Museo Nazionale Romano, con le sedi di Palazzo Massimo e Palazzo Altemps, fino all’iconico Castel Sant’Angelo. ROMA FOTOGRAFIA 2023 – FUTURE trasforma Roma in un vasto palcoscenico urbano, offrendo un’occasione unica per esplorare, attraverso il potente linguaggio della fotografia e dei visual, temi centrali legati agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030. Concetti fondamentali come Ambiente, Innovazione, Inclusione, Sostenibilità e Rigenerazione culturale saranno al centro dell’attenzione, proponendo una riflessione profonda e visivamente coinvolgente. L’iniziativa è promossa da Roma Fotografia in collaborazione con il Ministero della Cultura, e co-progettata insieme al Municipio I Roma Centro, con il patrocinio della Regione Lazio. A sostenere l’evento ci sono prestigiosi partner come il Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, il Museo Nazionale Romano, Leica Camera Italia, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), Aeroporti di Roma e Building Communication. Per maggiori dettagli e per consultare il programma completo, è possibile visitare il sito ufficiale della manifestazione all’indirizzo roma-fotografia.it.
Roma, Teatro Vascello
DE PROFUNDIS
Di Oscar Wilde
traduzione di Camilla Salvago Raggi
versione teatrale di Glauco Mauri
voce del prologo Marco Blanchi
Con Glauco Mauri
musiche Vanja Sturno
luci Alberto Biondi
allestimento scenico Laura Giannisi
produzione Compagnia Mauri Sturno
Il “De Profundis” è una lunga lettera dedicata al suo giovane amico Alfred Douglas con il quale ebbe per qualche anno un’intima relazione. Ma in due anni di carcere Alfred non gli scrisse mai una sola riga. Verso la fine della sua condanna Oscar Wilde ebbe il permesso di scrivere una lettera. Al mattino gli veniva consegnato un foglio e alla sera quel foglio gli veniva ripreso riempito dalle parole di solitudine, di angoscia ma anche dalla speranza che la maturazione del dolore può dare ad un’anima disperata. Solo alla fine della prigionia gli furono consegnati tutti i fogli da lui scritti. È una lettera di dura verità e di dolcissimo dolore. Poesia, poesia di vita vera, tra le più vere che ho avuto la gioia di incontrare nei miei lunghi anni. Spero sia così anche per voi. È uno spettacolo particolare dove so di correre dei rischi, lo so e di questo ne sono entusiasta perché umilmente convinto di proporre al teatro qualcosa di nuovo. Glauco Mauri
Glauco Mauri, uno dei più grandi artisti teatrali italiani, porta in scena “De Profundis” di Oscar Wilde, sua la versione teatrale della lunga lettera, quasi una autobiografia, che Wilde con la sua arte arguta e intelligente ha trasformato in una parabola universale della sofferenza, del valore dell’arte e dell’amore. Mauri con il suo lavoro di elaborazione ha mirato innanzi tutto a eliminare le parti troppo letterarie, le non poche imperfezioni (dovute alle pesanti restrizioni carcerarie), le omissioni e gli spazi temporali non rispettati nell’epistola, per renderla “scenicamente più efficace”. Non un romanzo, ma una lunghissima lettera indirizzata al giovane Bosie (Alfred Douglas) che Wilde scrisse durante gli ultimi mesi della prigionia nel carcere di Reading. Con l’arrivo del nuovo direttore, più sensibile nei suoi riguardi, gli fu concesso l’uso di carta e penna, severamente proibito dal durissimo regime carcerario a cui erano sottoposti gli omosessuali. Tuttavia Wilde poté leggere per intero quanto aveva scritto solo all’uscita dal carcere, quando gli furono consegnati tutti i fogli. Nel 1895 Oscar Wilde, notissimo scrittore e commediografo all’apice del successo (tre sue commedie erano contemporaneamente rappresentate nei teatri londinesi) fu condannato a due anni di lavori forzati, il massimo della pena per i reati legati all’omosessualità. Al carcere duro, che minò fortemente il suo fisico, si unirono la bancarotta finanziaria (i suoi libri non si vendettero più e le commedie ritirate dei cartelloni), la perdita dei due figli, che non rivide mai più, e la sua casa e i suoi beni sequestrati. Oscar Wilde che aveva incantato i salotti letterari e mondani di Londra e Parigi fu messo al bando e sarebbe morto in miseria tre anni dopo l’uscita dal carcere, lontano dall’Inghilterra. Qui per tutte le informazioni.
Roma, Parco Archeologico del Colosseo
PENELOPE: Astuzia e Resilienza Femminile in Mostra al Parco Archeologico del Colosseo
Un percorso immersivo tra mito, arte e psicoanalisi che esplora la figura della regina di Itaca, attraverso oltre cinquanta opere e un allestimento che celebra il potere simbolico della tessitura e la profondità del sogno.
Roma, 19 Settembre 2024
Inaugurata il 19 settembre 2024, la mostra “Penelope” presso il Parco Archeologico del Colosseo rappresenta una straordinaria occasione per esplorare la figura mitologica di Penelope, uno dei personaggi più complessi e affascinanti dell’Odissea. Curata da Alessandra Sarchi e Claudio Franzoni, e organizzata da Electa, l’esposizione si sviluppa negli spazi storici delle Uccelliere Farnesiane e del Tempio di Romolo, aperta al pubblico fino al 12 gennaio 2025. Attraverso oltre cinquanta opere, tra dipinti, sculture, rilievi e manoscritti, la mostra getta nuova luce sul mito di Penelope e sulla sua evoluzione nelle arti e nella letteratura, attraversando i secoli fino a oggi. L’allestimento della mostra è stato progettato per immergere il visitatore in un viaggio tra mito e realtà, ricreando le atmosfere di attesa e malinconia che caratterizzano il personaggio di Penelope. Le scelte curatoriali hanno puntato su una narrazione visiva intima e contemplativa: l’uso sapiente delle luci soffuse, in particolare, evoca l’ambiente domestico e segreto in cui Penelope tesseva e disfaceva la sua tela, creando un’aura di sospensione temporale. L’illuminazione fioca e direzionale su alcune opere chiave, come lo skyphos etrusco del Museo Nazionale di Chiusi e la lastra “Campana” del Museo Nazionale Romano, fa emergere dettagli della sua iconografia, come la postura malinconica e il telaio, che simboleggia la sua astuzia e resistenza. Il visitatore è accompagnato lungo un percorso fatto di ombre e chiaroscuri, in cui le luci sembrano voler sottolineare i momenti di riflessione e attesa che definiscono la figura di Penelope. Le opere esposte riflettono la fortuna iconografica e letteraria di Penelope: accanto a manufatti archeologici, trovano spazio dipinti rinascimentali e incisioni moderne, che ritraggono Penelope con le sue caratteristiche pose di malinconia e saggezza. Uno dei temi centrali della mostra è il telaio, simbolo del suo ingegno e della sua capacità di tenere sotto controllo il proprio destino in un mondo governato da forze maschili. La scelta di curatela ha voluto enfatizzare questo strumento come un ponte tra il mito e la condizione femminile attraverso i secoli: non più solo un oggetto di lavoro, ma una metafora del potere creativo e intellettuale di Penelope. Un altro punto focale dell’esposizione è il rapporto tra Penelope e il sogno. Nel XIX canto dell’Odissea, Penelope discute la differenza tra sogni veritieri e ingannevoli, quelli che escono dalle porte di corno e di avorio, un concetto che ha avuto grande influenza nella tradizione psicoanalitica, a partire dagli studi di Sigmund Freud. Freud vedeva in Penelope non solo un simbolo di fedeltà, ma anche un’archetipo di astuzia psicologica, capace di muoversi tra realtà e illusione con una padronanza rara. Questo aspetto viene rappresentato in mostra attraverso opere che ritraggono Penelope addormentata o nell’atto di svegliarsi, suggerendo l’importanza del sogno come elemento chiave per la sua interpretazione. Un omaggio speciale viene dedicato a Maria Lai, l’artista sarda che ha posto al centro della sua ricerca creativa il tema della tessitura. Le sue opere esposte nella mostra, in collaborazione con l’Archivio e la Fondazione Maria Lai, dialogano direttamente con il mito di Penelope, offrendo una riflessione contemporanea sul significato del tessere come atto di creazione, memoria e resistenza. Lai, conosciuta per installazioni come Legarsi alla montagna (1981), ha esplorato il rapporto tra l’individuo e la comunità, tra il gesto creativo e il legame con la terra e la cultura. La sua interpretazione della tessitura come strumento di narrazione la collega indissolubilmente alla figura di Penelope, trasformando il telaio in un simbolo di emancipazione femminile. L’allestimento si arricchisce anche di materiali tattili e tessili, con tessuti che evocano la trama di una tela in continuo divenire, una metafora del tempo che Penelope manipola con il suo astuto stratagemma. L’uso di superfici morbide e filamenti di tessuto che attraversano gli spazi espositivi fa emergere la dimensione materica e simbolica del telaio, richiamando l’idea di creazione e distruzione ciclica che tanto caratterizza la figura di Penelope. Ogni dettaglio dell’allestimento è pensato per evocare la dimensione domestica e onirica in cui Penelope vive e agisce, con una cura particolare per gli elementi tattili e sensoriali, che rendono il percorso espositivo una vera e propria immersione nel mito. Questa mostra, che inaugura una trilogia espositiva dedicata alle grandi figure femminili dell’antichità (seguiranno Antigone e Saffo), offre una riflessione profonda e ricca di sfumature su un mito che continua a parlare al presente. Penelope, con la sua determinazione e astuzia, rappresenta un modello di resilienza femminile, capace di attraversare i secoli e di porre interrogativi ancora attuali sul ruolo e la condizione delle donne nella società. ph Studio Zabalik
Le Cantate relative alla diciassettesima Domenica dopo la Trinità, sono tre, la seconda delle quali in ordine cronologico è Bringet dem Herrn Ehre seines Namens BWV 148 eseguita la prima volta a Lipsia il 19 settembre 1723. La Cantata è costruita su un testo poetico di 6 strofe dovuto a Christian Friedrich Henrici (Picander), con l’aggiunta di un versetto biblico all’inizio e di un Corale alla fine. Il versetto biblico è tratto dal Salmi 28: “Date al Signore la gloria del suo nome, prostratevi al Signore in santi ornamenti.” la trasposizione musicale che Bach dall’alto della sua rigorosa architettura, ci presenta la voce tonante di Dio attraverso una tromba solista svettante sugli archi e che impone la sua presenza anche all’interno del tessuto contrappuntistico al punto di figurare come un vero elemento dominante nella “fuga” Corale. Preparato da una introduzione strumentale il Coro intona due volte omofonicamente il primo emistichio per poi aprirsi in due esposizioni in stile di fuga, ciascuna delle quali riservata alle due sezioni del versetto salmistico. Il materiale per questo duplice sviluppo polifonico è già interamente presente nell’introduzione e questo risulterà ripreso con l’inserimento massiccio del coro che rileva ciò che era affidato agli strumenti nella parte conclusiva. Delle due arie tripartite, la prima (Nr.2) cantata dal tenore, vede la presenza di un violino concertante con il solo Basso Continuo, mentre la seconda (Nr.4) affidata al contralto è un mirabile quadro dall’atmosfera bucolica con la partecipazione di tre oboi.
Nr.1 – Coro
Date al Signore la gloria del suo nome,
prostratevi al Signore in santi ornamenti.
Nr. 2 – Aria (Tenore)
Mi affretto ad ascoltare
l’insegnamento di vita
e cerco con gioia la santa casa.
Con che bellezza risuonano
i felici canti
dei beati a lode dell’Altissimo!
Nr.3 – Recitativo (Contralto)
Come la cerva anela all’acqua fresca,
così io anelo a te, o Dio.
Poiché tutta la mia pace
è nulla senza te.
Quanto benedetta e preziosa,
o Altissimo, è la tua festa del Sabbat!
Allora loderò la tua potenza
in compagnia dei giusti.
Oh! Se i figli di questa notte
pensassero a tale tenerezza,
poiché Dio stesso dimora in me.
Nr. 4 – Aria (Contralto)
Bocca e cuore restano aperti per te,
Altissimo, discendi dentro di me!
Io in te, tu in me;
fede, amore, pazienza, speranza
saranno il letto del mio riposo.
Nr.5 – Recitativo (Tenore)
Mio Dio, resta in me
e donami il tuo Spirito
che mi guidi secondo la tua parola,
affinchè io segua come in pellegrinaggio
ciò che è a te gradito
e dopo la mia ora,
nella tua gloria,
mio caro Dio, con te
io possa meritare il grande Sabbat.
Nr.6 – Corale
Nel mio caro Dio
io credo nella paura e nel bisogno;
egli può liberarmi in ogni istante
dal dolore, dalla paura e dalle pene;
egli può cambiare la mia sventura,
tutto è nelle sue mani.
Traduzione Emanuele Antonacci