Teatro dell’Opera di Roma Stagione Lirica 2024/25
“LUCREZIA BORGIA”
Melodramma in un prologo e due atti
Libretto di Felice Romani da Victor Hugo
Musica di Gaetano Donizetti
Alfonso I d’Este ALEX ESPOSITO
Lucrezia Borgia LIDIA FRIDMAN
Gennaro ENEA SCALA
Maffio Orsini DANIELA MACK
Don Apostolo Gazella ARTURO ESPINOSA
Ascanio Petrucci ALESSIO VERNA
Oloferno Vitellozzo EDUARDO NIAVE*
Gubetta ROBERTO ACCURSO
Rustighello ENRICO CASARI
Astolfo ROCCO CAVALLUZZI
Usciere GIUSEPPE RUGGIERO
*diplomato “Fabbrica”, Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Roberto Abbado
Maestro del Coro Ciro Visco
Regia Valentina Carrasco
Scene Carles Berga
Costumi Silvia Aymonino
Luci Marco Filibeck
Nuovo allestimento del Teatro dell’Opera di Roma
Roma, 16 febbraio 2025
Assente dalle scene dall’ormai lontano 1980 quando fu rappresentata con un cast ed un allestimento che fecero epoca, torna al Teatro dell’Opera di Roma la Lucrezia Borgia di Donizetti per la direzione del maestro Roberto Abbado e la regia affidata a Valentina Carrasco. L’opera, eseguita in edizione critica e senza tagli, viene ambientata in uno spazio in cui predominano una perenne luce fredda, le tinte scure e privo di qualsiasi connotazione temporale sia in senso storico che geografico o della successione delle ore. La perversione morale della protagonista riscattata dalla maternità che costituisce lo spirito dell’opera è indubbiamente presente ed è anzi al centro della lettura proposta ma è affidata soprattutto alla parte visiva, con un bambino, il piccolo Gennaro, che le viene sottratto dal letto e poi ricompare ad hoc, la violenza del confronto con Alfonso esibita platealmente e non lasciata esprimere alla musica ed al più che esplicito libretto. Una grande maschera troneggia al centro della scena ed è spesso presente sul volto e sulla nuca dei personaggi forse a voler suggerire che nel profondo dell’anima gli esser umani sarebbero tutti intimamente mostruosi se non fossero adeguatamente schermati. Senza voler entrare troppo nel merito, crediamo che qui ci si allontani un po’ troppo liberamente dalle intenzioni espressive di un testo per altro molto diretto e lineare, con il rischio di perdersi in vane divagazioni. Un dettaglio per tutti ma esemplificativo del tipo di lettura proposta sta nella lettera che Gennaro gelosamente custodisce e che farà sciogliere in lacrime Lucrezia che non è conservata sul cuore del ragazzo dal quale “mai si parte” ma viene assai prosaicamente estratta dalla tasca di una giacchetta di foggia moderna. Comunque a parte qualche corsetta di troppo imposta agli interpreti e qualche movimento eccessivo, lo spettacolo nell’insieme funziona e aiuta a ritrovare sia pure con qualche monotonia la “tinta” del testo e della partitura. Assai energica è parsa la direzione del maestro Roberto Abbado, accurata negli accompagnamenti e più attenta alla percussività del ritmo sempre serrato che non alla trasognata melodia dei momenti lirici. In fondo solo pochi anni separano la Borgia dal Nabucco e un po’ del piglio del primo Verdi può giovare a vivacizzare alcune parti un po’ più deboli della partitura. Eccellente la prova del coro diretto dal maestro Ciro Visco per precisione musicale, varietà di colori e omogeneità timbrica. E veniamo agli interpreti di questa serata. Trionfatore assoluto nel ruolo del duca Alfonso è stato il basso Alex Esposito per ampiezza vocale, eleganza del fraseggio, intensità espressiva e brillante disinvoltura scenica. Nel ruolo eponimo Lidia Friedman dopo un inizio cauto ha saputo restituire nel bellissimo finale la giusta commozione e la bellezza musicale della sua lunga ed onerosa parte a dispetto di una regia a volte distraente. Corretto musicalmente ma forse troppo superficiale è risultato il Gennaro interpretato dal tenore Enea Scala anche lui forse più concentrato sui movimenti di regia che non sulle intime ragioni del testo e della musica. Incolore e probabilmente privo del necessario spessore vocale è parso il Maffio Orsini di Daniela Mack ed infine tutti di un discreto livello professionale gli interpreti dei numerosi ruoli minori fra quali vogliamo ricordare Eduardo Niave diplomato del progetto Fabbrica ed Alessio Verna più volte apprezzato in passato a Roma. Alla fine lunghi e calorosi applausi per tutti e soprattutto per un’opera di assoluto interesse e che ci si augura di vedere più spesso sul nostro palcoscenico. Photocredit Fabrizio-Sansoni-Opera-di-Roma-2025
Roma, Parco Archeologico del Colosseo, Curia Iulia
DA SHARJAH A ROMA LUNGO LA VIA DELLE SPEZIE
a cura di Eisa Yousif e Francesca Boldrighini
in collaborazione tra il Parco archeologico del Colosseo e la Sharjah Archaeological Authority, promossa da Sua Altezza lo sceicco Dr. Sultan bin Al Qasimi, membro del Consiglio supremo e sovrano di Sharjah
Un dialogo tra civiltà, un crocevia di culture e commerci che attraversano il tempo e lo spazio: la mostra Da Sharjah a Roma lungo la Via delle Spezie, ospitata nella Curia Iulia nel cuore del Foro Romano, si inserisce nel solco di una ricerca archeologica e storica volta a riconsiderare il ruolo della Penisola Arabica nelle grandi rotte commerciali dell’antichità. Una narrazione che si dipana attraverso reperti, manufatti e testimonianze materiali che raccontano la complessità di scambi e interazioni tra Oriente e Occidente tra l’epoca ellenistica e i primi secoli dell’Impero Romano. Il progetto espositivo, frutto della collaborazione tra il Parco archeologico del Colosseo e la Sharjah Archaeological Authority, porta per la prima volta in Italia le straordinarie evidenze archeologiche provenienti dai siti di Mleiha e Dibba, nel territorio dell’odierno Emirato di Sharjah. Qui, lungo le vie carovaniere che collegavano la Mesopotamia all’India e alla Cina, si svilupparono insediamenti fiorenti, luoghi di transito e di incontro tra mercanti, pellegrini e viaggiatori. L’ampiezza e la qualità dei materiali rinvenuti in queste aree rivelano un panorama ricco di suggestioni, in cui l’economia e la cultura si intrecciano in una rete di influenze reciproche. Al centro della mostra si impone la narrazione del commercio delle spezie, elemento cruciale della rete economica che legava la Penisola Arabica all’Impero Romano. Tra i prodotti più richiesti vi era l’incenso, essenza preziosa utilizzata nei culti religiosi, nella medicina e nella profumeria, che attraversava le rotte terrestri e marittime fino a raggiungere Roma. L’importanza di questo commercio è testimoniata dagli Horrea Piperataria, i magazzini per il pepe e le spezie situati nelle immediate vicinanze della Curia Iulia, recentemente restaurati e restituiti alla fruizione pubblica. I reperti esposti permettono di ricostruire la portata di questi scambi attraverso oggetti che provengono da contesti residenziali e funerari. Anfore vinare da Rodi e dall’Italia attestano la diffusione del vino nel Golfo Persico, segno di un gusto acquisito dalle élite locali. La ceramica fine sigillata, gli unguentari in vetro del Mediterraneo orientale e le sculture in alabastro d’importazione indiana rivelano la diffusione di modelli estetici e tecniche artigianali proprie del mondo greco-romano. Un set da vino in bronzo e una ciotola decorata con motivi ellenistici testimoniano il radicamento di pratiche conviviali che univano idealmente società geograficamente lontane. Un altro elemento di grande interesse è rappresentato dalle monete indo-greche e romane, che non solo attestano la circolazione di valuta in un’economia altamente interconnessa, ma dimostrano anche processi di assimilazione culturale: la presenza di coniazioni ibride, realizzate localmente ma ispirate a modelli romani e greci, è un indicatore chiaro della permeabilità e dell’adattabilità delle società coinvolte nei commerci transcontinentali. Il racconto della mostra si sofferma anche sulle pratiche funerarie di Mleiha, dove le tombe monumentali documentano la stratificazione sociale e il prestigio delle famiglie dominanti. Tra le più significative, quella scoperta nel 2015, con una struttura a forma di “H” e un lungo corridoio d’accesso, ha restituito un’iscrizione bilingue in sudarabico e aramaico, datata tra il 222 e il 214 a.C., che menziona un ispettore reale del regno dell’Oman. Questo dato è di eccezionale importanza per la ricostruzione della storia politica e amministrativa dell’area, evidenziando l’esistenza di un’organizzazione statale strutturata già in epoca ellenistica. I materiali esposti, tra cui recipienti in bronzo con decorazioni africane e arabe, attestano il dialogo tra le diverse tradizioni artigianali e figurative che coesistevano lungo le vie della Via delle Spezie. L’attenzione ai dettagli decorativi e l’uso di tecniche raffinate indicano la capacità delle popolazioni locali di reinterpretare influenze artistiche esterne, integrandole in un linguaggio estetico originale e identitario. L’allestimento, impreziosito da videoproiezioni immersive e da un catalogo scientifico curato da esperti internazionali, si propone di restituire al visitatore una visione ampia e articolata della storia economica e culturale della regione. Lontano da una visione eurocentrica, l’esposizione si configura come un’occasione per ripensare il Mediterraneo non solo come fulcro della storia antica, ma come una delle molteplici rotte di un sistema più ampio e complesso, in cui la Penisola Arabica assume un ruolo di primo piano. Questa mostra non è soltanto un’esplorazione archeologica, ma un’indagine sulle connessioni globali dell’antichità, in cui il movimento di merci, idee e persone ha contribuito alla formazione di società aperte e dinamiche. Un progetto che ci invita a riflettere sulle radici di una storia condivisa, in cui l’incontro tra culture non è un’eccezione, ma la norma di un mondo che, oggi come allora, si costruisce attraverso lo scambio e la reciproca influenza. Photocredit Parco Archeologico del Colosseo