Tu sei qui

gbopera

Abbonamento a feed gbopera gbopera
Aggiornato: 2 ore 11 min fa

Torino, Teatro Regio: “L’elisir d’amore” (cast alternativo)

Lun, 03/02/2025 - 00:56

Torino, Teatro Regio Stagione d’opera 2024 – 2025
“L’ELISIR D’AMORE” 
Melodramma giocoso in due atti di Felice Romani da “Le philtre” di Eugène Scribe
Musica di Gaetano Donizetti
Adina ENKELEDA KAMANI
Nemorino VALERIO BORGIONI
Il Dottor Dulcamara SIMONE ALBERGHINI
Il sergente Belcore LODOVICO FILIPPO RAVIZZA
Giannetta ALBINA TONKIKH*
*Artista del Regio Ensemble
Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Fabrizio Maria Carminati
Maestro del coro Ulisse Trabacchin
Maestro al fortepiano Paolo Grosa
Regia Davide Menghini
Scene Davide Signorini
Costumi Nika Campisi
Luci Gianni Bertoli
Nuovo allestimento del Teatro Regio di Torino in coproduzione con Teatro Regio di Parma
Torino, 29 Gennaio 2025
 L’Elisir dovrebbe essere allestito, senza patemi, come un’opera semplice e lineare. La collocazione potrebbe giocarsi nell’alternativa tra la piazza di un piccolo borgo o, in campagna, entro un cortile al centro di un agglomerato di cascine. Nel corrente allestimento del Teatro Regio, la collocazione è in una attrezzatissima falegnameria che affianca un teatro di marionette. Vige la confusione più totale: lo spazio è ingombrato da un tavolone da falegname, dal pagliericcio di Nemorino, ci sono pure un pc portatile e il frigorifero per la cocacola. Si è costretti a ricorrere alle interviste degli ideatori dello spettacolo e ai pretenziosi “Appunti di regia” per raccapezzarcisi. In conclusione: scena assai confusa, artefice Davide Signorini; costumi cervellotici di Nika Campisi, si fanno indossare alle popolane di cui al libretto crinoline e parrucche, come per balli chez Adriana o Fedora. Davide Menghini, il regista, mette poi sù un gran caos in cui si mescolano alla rinfusa, ad aumentar la confusione, nani, ballerine, soldataglia, marionette, pinocchi e grilli parlanti. Le luci di Gianni Bertoli, pur adempiendo alla funzione principale che è illuminare, sono sparate a caso sul gran caravanserraglio in scena. Reso indistinguibile, tra i tanti figuranti, in questo gran bailamme, il Coro del Teatro Regio di Torino se la cava egregiamente potendo dar sfogo a sonorità che, in un clima più composto, urterebbero. Ulisse Trabacchin ha comunque fatto tesoro della situazione per far sfogare tutte l’energia che il suo complesso possiede e deve, in altre circostanze, mortificare. Né si mostra dissimile quanto realizza l’espertissimo Maestro Fabrizio Maria Carminati. La frequentazione pluridecennale della buca l’ha certamente ben dotato della capacità di adattamento ad allestimenti e interpreti assolutamente non lineari. Qui l’eccellente Orchestra del Teatro Regio pare non voler perseguire un prefissato disegno complessivo, ma, dopo un brillantissimo Preludio, riesce a rendere plausibile quanto si vede e quanto si sente. Non è stata certo impresa da poco adattarsi alle due compagnie di cantanti, in campo a sere alterne, che si caratterizzano come assai dissimili. Enkeleda Kamani, giovane ed avvenente soprano albanese, dà ad Adina tutta la verve della soubrette di rango. Il timbro è asprigno, poco il peso sonoro, come scarsi gli armonici. La vivacità come il carattere civettuolo e dispettoso, vengono sicuramente promossi e garantiti sia dalla cura della pronuncia italiana che dall’eccellente tecnica di canto. La vocalità della Kamani non promuove comunque l’aspetto più lirico del personaggio. Simone Alberghini, Dulcamara di lusso di questa compagnia, viene ridimensionato nella sua esuberante prestazione dalla confusione scenica generale. Quando è tutto un viavai caotico, anche l’entrata del carattere chiave dell’opera passa in sott’ordine. La voce sfida bellamente le insidie del tempo, quali un vibrato evidente e una certa fissità d’emissione. L’espansione sonora, la perizia tecnica e il colore, così come le doti attoriali, si mostrano intatte. Il personaggio gode di una innata simpatia che Alberghini sa, con efficacia sorprendente, trasmettere allo strabocchevole pubblico della pomeridiana infrasettimanale. Belcore, lo spaccone che, inesorabile, non se ne fa scappare una si realizza nei panni e nella magnifica voce di Lodovico Fabrizio Ravizza, forse il reale punto di forza del cast odierno. Voce, sana, giovanile ed esuberante. Bel colore e bella flessibilità. Per quanto Belcore sia già vivacemente estroverso, Ravizza si mostra ben pronto ad affrontare anche altri personaggi di peso, sia del repertorio buffo che drammatico. Voce e personalità che senz’altro promettono molto e da seguire con attenzione. Albina Tonkhik, artista del Regio Ensemble, è una squisita Giannetta a cui bastano i pochi interventi, previsti dalla parte, a introdurre quella nota di lirismo che latita nella protagonista. Valerio Borgioni, per essere un prototipo di Nemorino ha tutto: bella presenza, età, spigliatezza e timbro mascolinamente carezzevole. Sfrutta doti naturali che però non paiono ancora sufficientemente modellate dallo studio e da una musicalità innata. La sua vocalità, bella e prorompente, non si mostra ancora lavorata a sufficienza, né pare al momento sfruttare a pieno le risorse di un canto sul fiato. Legati e forcelle sono spesso colti di striscio, così come molti altri segni dinamici. È una vocalità che all’atto può anche affascinare ma che potrebbe pur rivelarsi, nel tempo, precaria. La Furtiva Lacrima è ottimamente eseguita, nel “larghetto” molto largo che gli concede Carminati, anche al confronto col tempo più stretto che, con altro interprete, lo stesso direttore stacca la sera successiva. Gli indugi e le pause, arricchite da colori ben calibrati, ne ricreano comunque il fascino che da sempre la caratterizza. Gli applausi e le grida entusiaste, lanciate da un manipolo di giovani appassionati, hanno contagiato in pieno la compassata platea. Paolo Grosa, al fortepiano, in buca, ha, con gran classe, sorretto le voci nei recitativi e interludiato con fantasia nei passaggi di scena. Al Regio sono quasi assenti, da decenni, i titoli drammatici del repertorio donizettiano, il solo Elisir gode di una ricorrenza costante e comunque si mostra sempre di grande richiamo e di successo assicurato. Ciononostante, ci si rammarica, a ragione, che né per le Tre Regine, né per Favorita non si prospetti neppure vagamente una qualche ipotesi di approdo.

Categorie: Musica corale

Torino, Teatro Regio: “L’elisir d’amore”

Dom, 02/02/2025 - 21:08

Teatro Regio Torino, stagione d’opera e balletto 2024-25
“L’ELISIR D’AMORE”
Melodramma giocoso in due atti su libretto di Felice Romani da “Le philtre” di Eugene Scribe
Musica di Gaetano Donizetti
Adina FEDERICA GUIDA
Nemorino VALERIO BORGIONI
Dott. Dulcamara PAOLO BORDOGNA
Belcore DAVIDE LUCIANO
Giannetta YULIA TKACHENKO
Orchestra e coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Filippo Maria Carminati
Maestro del coro Ulisse Trabacchin
Maestro al fortepiano Paolo Grosa
Regia Daniele Menghini
Scene Davide Signorini
Costumi Nika Campisi
Luci Gianni Bertoli
Torino,  1 febbraio 2025
I meriti di questo “Elisir d’amore” con cui comincia il 2025 musicale torinese vanno ricercati soprattutto sul versante musicale dove – nonostante qualche tiro mancino dovuto alla stagione – le cose funzionano nel complesso assai bene mentre maggiori perplessità suscita la parte scenica. Filippo Maria Carminati ha una lunga frequentazione sia con Donizetti sia con i complessi torinesi e palese è l’ottima sintonia tra il direttore e le masse. Quella di Carminati è una lettura attenta e puntuale che dell’opera coglie sia il carattere più giocoso sia i ripiegamenti lirici e patetici. Non si lascia trascinare dalla foga e opta per tempi spesso ampi e per un’attenta tenuta delle dinamiche. Attento conoscitore del canto sostiene al meglio le necessità dei cantanti. Altro merito a favore di Carminati è l’esecuzione praticamente integrale dell’opera, con la riapertura di tutti i tagli di tradizione e un uso – seppur parco – di variazioni nei da capo. Paolo Grosa fornisce un impeccabile contenuto al fortepiano non limitandosi ad accompagnare i recitativi ma inserendo citazioni e rimandi musicali – da Mozart alla colonna sonora del Pinocchio televisivo di Comencini, che funziona teatralmente molto bene e che rientrano pienamente in quel gusto per l’improvvisazione che era una delle cifre degli esecutori del basso continuo.
Ottima come sempre la prova del coro guidato da Ulisse Trabacchin in questo caso particolarmente impegnato anche sul piano scenico. La compagnia di canto sconta l’improvvisa indisposizione di René Barbera costretto a rinunciare alla recita. Valerio Borgioni si è fatto carico della parte di Nemorino impegnandosi in un tour de force non indifferente con tre recite in tre giorni. Un po’ di prudenza – specie all’inizio – è quindi perfettamente comprensibile mentre con il prosieguo dell’opera la voce si scalda acquisendo sempre più sicurezza. La voce è prettamente lirica, con un bel colore caldo e solare molto coinvolgente. L’emissione e morbida e sempre ben controllata, gli acuti eseguiti con sicurezza. Il versante interpretativo ci mostra un Nemorino di “vecchia scuola”, che guarda allo stile di alcuni interpreti storici – Tagliavini e Valletti in primis – anche in virtù di una vocalità che sembra già indirizzarlo verso ruoli di lirico pieno. Federica Guida ha una voce ricca e sonora per un soprano lirico-leggero e a colpire è soprattutto la robustezza dei centri. Gli acuti tendono invece un po’ a indurirsi nonostante non manchino di pienezza. Sul piano interpretativo tratteggia un’Adina insolitamente seria, viene quindi un po’ a mancare il lato civettuolo e malizioso del personaggio in questo non agevolata da una regia che poco concedeva in tal senso. Paola Bordogna possiede tutto il talento istrionico per rendere al meglio il personaggio di Dulcamare. La voce un po’ chiara nella sua natura schiettamente baritonale ma non va a scapito delle qualità del cantante e soprattutto dell’interprete. Un fraseggio raffinatissimo, una comicità coinvolgente ma sempre misurata, senza “gigionate”, lo straordinario senso della parola e delle sue valenze espressive fanno di Bordogna un Dulcamare semplicemente irresistibile. Un imbroglione in fondo bonario e di buon cuore che l’impeccabile gioco scenico completa alla perfezione. Davide Luciano è un Belcore esemplare. Bella voce ricca e squillante e interprete misurato, perfettamente calato nel personaggio e nella sua stucchevole prosopopea ma mai sguaiato ed eccessivo, sempre pienamente controllato sia sul versante vocale sia su quello interpretativo.
Yulia Tkachenko subentrata all’indisposta Albina Tonkikh è una Giannetta funzionale che s’inserisce senza problemi nei meccanismi dello spettacolo. I maggiori dubbi vengono dalla parte scenica che vede alla regia Daniele Menghini affiancato da Davide Signorini (scene) e Nika Campisi (costumi): Si tratta di uno spettacolo curato, molto ben realizzato e nel complesso visivamente non privo di suggestione ma in cui troppo evidente e lo stridere tra le ragioni drammaturgiche dell’opera e una regia calata dall’alto e imposta senza riguardo per queste.
La regia di Menghini ci porta in uno spazio metateatrale. Nemorino è l’unico personaggio reale, un ragazzo dei nostri tempi, forse un solitario incapace di integrarsi nel mondo esterno che trovata una vecchia bottega di marionette decide di crearsi il suo mondo. Tutti i personaggi non sono che pupazzi creati dallo stesso Nemorino e che da lui ricevono la loro vita. Nello svolgersi della vicenda i piani si confondono, reale e costruito si fondono finché nel finale la forza dell’amore trasforma Adina in una ragazza reale e i due fuggono da quel mondo fittizio per rituffarsi nella vita reale rappresentata dalla platea. Il tema dei burattini mette al centro dell’immaginario registico la storia di Pinocchio. I protagonisti arrivano a identificarsi con quelli di Collodi (Nemorino/Pinocchio, Adina/Fata, Dulcamara/Mangiafuoco) e da Pinocchio deriva un certo gusto macabro e inquietante (i conigli becchini, il pupazzo di Pinocchio alter ego di Nemorino smembrato dal coro come Orfeo dalle baccanti, una figura insettiforme – il Grillo Parlante? – che apre il secondo atto con la testa mozza di Pinocchio quasi fosse Agave con quella di Penteo) che uniti a dettagli come agli organi umani lignei in scala gigante inseriscono una vena di macabro umorismo che abbiamo trovato decisamente stridente rispetto alla fiaba donizettiana.
Molto curati i costumi e ben riuscite alcune scene come quella invero poetica di Nemorino trasformato lui stesso in burattino durante “Una furtiva lagrima”, altrove abbiamo notato invece una tendenza eccessiva a riempire il palco di figuranti e controscene che finivano per disturbare la musica. Uno spettacolo che quindi non manca di elementi suggestivi ma in cui la forzatura dell’approccio complessivo risulta troppo stridente per convincere. Ndr. Nelle fotografie la parte di Nemorino è interpretata da René Barbera. Foto Mattia Gaido

Categorie: Musica corale

Roma, Sala Umberto: “Mistero Buffo” solo 03 febbraio 2025

Dom, 02/02/2025 - 18:38

Roma, Sala Umberto
MISTERO BUFFO
di Dario Fo e Franca Rame
con Matthias Martelli
regia Eugenio Allegri
aiuto regia Alessia Donadi
produzione Teatro Stabile di Torino
distribuzione Terry Chegia
Mistero Buffo è considerato il capolavoro di Dario Fo. Eugenio Allegri dirige Matthias Martelli nella riproposizione di quest’opera straordinaria: l’attore è solo in scena, senza trucchi, con l’intento di coinvolgere il pubblico nell’azione drammatica, passando in un lampo dal lazzo comico alla poesia, fino alla tragedia umana e sociale. Un linguaggio e un’interpretazione nuova e originale, nel segno della tradizione di un genere usato dai giullari medievali per capovolgere l’ideologia trionfante del tempo dimostrandone l’infondatezza. Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Argentina: “Guerra e pace” dal 04 al 23 febbraio 2025

Dom, 02/02/2025 - 16:54

Roma, Teatro Argentina
GUERRA E PACE
di Lev Tolstoj
adattamento Gianni Garrera e Luca De Fusco
regia Luca De Fusco
con in ordine di apparizione
Pamela Villoresi, Federico Vanni, Paolo Serra, Giacinto Palmarini, Alessandra Pacifico Griffini, Raffaele Esposito, Francesco Biscione, Eleonora De Luca, Mersila Sokoli, Lucia Cammalleri
scene e costumi Marta Crisolini Malatesta
disegno luci Gigi Saccomandi
musiche Ran Bagno
creazioni video Alessandro Papa
coreografia Monica Codena
produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Teatro Biondo di Palermo, Teatro Stabile di Catania
Detesto la parola “attuale” collegata al teatro. Il teatro non è una trasmissione televisiva o un sito. Il grande teatro e la grande letteratura non sono attuali, sono eterni. In questa messa in scena teatrale di Guerra e pace non si troveranno quindi immagini della guerra in Ucraina o in Medio Oriente. In questo dittico che fa il paio con Anna Karenina del 2023 l’unica scelta di politica culturale è quella di soffermarsi sulla cultura russa per non creare assurdi ostracismi alla straordinaria cultura di un popolo che nulla a che fare con la politica, a mio avviso esecrabile, di un governo. Ovviamente però non è un caso se mettiamo in scena uno dei maggiori titoli sulla guerra di tutti i tempi nel momento in cui ben due guerre devastano la vita di tante persone e la coscienza di tutti noi. Il problema è che non c’è bisogno di attualizzare il classico di Tolstoj. La convivenza tra guerra e pace, amore e morte, tiranni e popolo, parla già alla nostra coscienza contemporanea. Altro tema che ci parla è quello dei giovani. Il romanzo intreccia la vita della giovane impulsiva, contraddittoria Nataša con quella del grande eroe romantico Andrei, del problematico Pierre, un giovane che sembra uscito da pagine a noi molto più vicine, con quelle della straordinaria Marja che si sdoppia in due contraddittorie persone, del fragile, tenero, appassionato Nikolai, della bellissima e perversa Helene. Su queste figure giovanili piene di contraddizioni regna la ironica saggezza di Annette e quella disincantata e acuta del generale che sconfigge Napoleone, Kutuzov. Kutuzov e Annette sembrano impersonare le due parole del titolo Guerra e pace e della loro ironica saggezza sentiamo più che mai il bisogno. Questa storia straordinaria proveremo a raccontarla con ritmo e continui capovolgimenti di fronte. Il libro è uno di quei classici che ti impediscono di andare a dormire perché non riesci a staccarti dalle sue pagine. Se riusciremo a trasmettere almeno un poco della sua travolgente passione non lasceremo indifferente il nostro pubblico. Luca De Fusco Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Ambra Jovinelli: “Vicini di casa” dal 05 al 16 febbraio 2025

Dom, 02/02/2025 - 16:40

Roma, Teatro Ambra Jovinelli
VICINI DI CASA
dalla commedia Sentimental di Cesc Gay
traduzione e adattamento Pino Tierno
con Amanda Sandrelli, Gigio Alberti, Alessandra Acciai, Alberto Giusta
regia Antonio Zavatteri
regista assistente Matteo Alfonso
scene Roberto Crea
costumi Francesca Marsella
luci Aldo Mantovani
sarta Marisa Mantero
foto Laila Pozzo
service audio/luci Fonal di Federico Pennazzato
co-produzione CMC/Nidodiragno, Cardellino srl, Teatro Stabile di Verona
in collaborazione con Festival Teatrale di Borgio Verezzi
Anna e Giulio stanno insieme da molti anni. Hanno un lavoro, una bambina, qualche interesse e molte frustrazioni. Lui avrebbe voluto fare il musicista ma si è dovuto accontentare dell’insegnamento e si rifugia in terrazza a guardare le stelle. Lei avrebbe voluto un altro figlio ma ha dovuto accettare la resistenza di lui e cerca conforto nei manuali di auto aiuto. Una coppia come tante, al confine fra amore e abitudine, in equilibrio precario. Ma pur sempre in equilibrio. A scardinare questa apparente stabilità ci pensano Laura e Toni, i vicini di casa, che, invitati per un aperitivo, irrompono nel loro appartamento e nella loro vita. Anna e Giulio sanno poche cose sul loro conto: sono stati cortesi durante i lavori di ristrutturazione, aprono educatamente la porta dell’ascensore per farli passare e… Fanno di continuo l’amore, rumorosamente! Giulio li considera incivili, Anna ha il coraggio di ammettere che, in fondo, invidia la loro vivace vita erotica. Così, fra un bicchiere di vino e una fetta di Pata Negra, le due coppie si confrontano, sempre meno timidamente, sul terreno scivolosissimo della sessualità. Laura e Toni si rivelano molto più spregiudicati del previsto; Anna e Giulio finiscono per confessare fantasie, vizi e segreti che non avevano mai avuto il coraggio di condividere. Forte del successo riscosso in Spagna, approda per la prima volta in Italia Vicini di casa, adattamento della pièce Los vecinos de arriba di Cesc Gay. Una commedia, libera e provocatoria, che indaga con divertita leggerezza inibizioni e ipocrisie del nostro tempo. In scena, affiancati dai talentuosissimi Alessandra Acciai e Alberto Giusta, due fra gli interpreti più versatili e sensibili della scena non soltanto teatrale italiana: Amanda Sandrelli e Gigio Alberti. Un quartetto affiatato e irresistibile, che invita lo spettatore a riflettere su pregiudizi e tabù e, soprattutto, a chiedersi: faccio l’amore abbastanza spesso? Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Eugène Godecharle (1742-1798): “Sei Quartetti per Harpa o sia Cimbalo Violino Viola e Basso opera IV”

Dom, 02/02/2025 - 14:38

Eugène Godecharle (1742-1798): Quartetto I in A Major; Quartetto II in F Major; Quartetto III in B-flat Major; Quartetto IV in C Major; Quartetto V in G Major; Quartetto VI in E-flat Major. Société Lunaire. Maximilian Ehrhardt (Arpa). Péter Barczi (Violino). Nadine Henrichs (Viola). Jule Hinrichsen (violoncello). Registrazione: 6-9 novembre 2022 presso lo Studio Ölbergkirche, Berlin, Germany. T. Time: 74′ 1CD Ramée RAM2207
“A Bruxelles ho ascoltato una giovane donna suonare molto bene sull’arpa a pedali alcuni graziosi pezzi, composti da Godecharle, un tedesco, che allo stesso modo suona un buon violino e accompagnava la giovane in questi pezzi; lei era la sua allieva”. Da questo ricordo, contenuto nello scritto The Present State of Music in Germany, The Netherlands and United Provinces di Charles Burney, si arguisce la fama raggiunta, a Bruxelles, da Eugène-Charles-Jean Godecharle, che, però, non era tedesco, come affermato dallo storico della musica inglese, ma belga. Godecharle era, infatti, nato a Bruxelles il 15 gennaio 1742 da Jacques-Antoine Godecharle, all’epoca direttore musicale nella chiesa parrocchiale Saint-Nicola, che gli impartì le prime lezioni di musica.

Dopo essere stato ammesso, allo stesso modo dei suoi tre fratelli maggiori prima di lui, come corista, nel corso della cappella, si distinse per le sue eccezionali doti musicali soprattutto nel suonare il violino tanto che il principe Carlo di Lorena lo inviò a Parigi a perfezionarsi. Ritornato a Bruxelles, Godecharle fu assunto come secondo violino nell’orchestra della cappella di corte a Bruxelles, dove avrebbe, in seguito, organizzato anche suoi propri concerti e dove sarebbe diventato direttore musicale della chiesa di Saint-Géry. Nel 1786, alla morte di Henri-Jacques de Croes, maestro della cappella di corte, Godecharle avanzò senza successo la sua candidatura, in quanto gli fu preferito Ignaz Vitzthumb, Quattro anni prima di morire, nel 1794, sotto il successore di Vitzthumb, Doudelet, riuscì ad ottenere il posto di primo violino. Il programma di questa interessante proposta discografica dell’etichetta Ramée è costituito dai Sei Quartetti per Harpa o sia Cimbalo Violino Viola e Basso opera IV, dedicati alla Contessa d’Ursel Principessa d’Aremberg nel cui salotto l’arpa, alla quale era applicato il nuovo, per l’epoca, sistema dei pedali, aveva un posto di tutto rispetto.

Del resto sembra che anche il nostro Godecharle fosse un virtuoso di questo strumento che, insieme con il violino, costituisce il vero solista di questi “graziosi”, per dirla con Burney, Quartetti, in tre movimenti (Musette, Allemande,  Rondeau e piccole fughe), il cui ascolto non fa certo gridare alla riscoperta di capolavori ritrovati, ma, comunque, permette di conoscere le interessanti fasi iniziali dello sviluppo della letteratura per arpa che, comunque, si integra molto bene con gli strumenti. Ottima l’esecuzione da parte dell’ensemble Société Lunaire, composta da Maximilian Ehrhardt (Arpa), Péter Barczi (Violino), Nadine Henrichs (Viola)  Jule Hinrichsen (violoncello) che si integrano a perfezione senza che nessuno prevarichi sull’altro e sono particolarmente espressivi nei movimenti lenti. 

Categorie: Musica corale

Le cantate di Johann Sebastian Bach: Festa della Presentazione del Signore (Candelora)

Dom, 02/02/2025 - 09:07

Per la Festa della Purificazione di Maria (Presentazione di Gesù al Tempio) del 1727 che in quella circostanza coincideva  con la quarta domenica dopo l’Epifania, Bach predispose la Cantata “Ich habe genug” BWV 82, su un testo di Anonimo totalmente esente da riferimenti biblici letterali. Si tratta di una Cantata solistica, affidata per la prima versione in do minore (2 febbraio 17127) alla voce di basso e poi trasportata in mi minore per la voce di soprano (2 febbraio 1731) e poi per mezzosoprano nel 1735. La Cantata fu ancora ripresa tra il 1745 e il 1748. Le prime versioni adottano un medesimo apparato strumentale, con un oboe in veste concertante, archi e Continuo, fatto unico nella produzione bachiana. I recitativi sono “secchi” ma con passi in stile “Arioso”. Un tono individuale, in prima persona, che possiamo definire “intimo”, pervade la partitura nel segno di quanto aveva detto Simone “Perchè i miei occhi hanno visto la tua salvezza” essendogli stato preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia. Di tutto l’episodio Evangelico della presentazione di Gesù al tempio è questo l’unico elemento raccolto e considerato, non diversamente da quanto era già accaduto nella Cantata BWV 125, che abbiamo già preso in esame. Anche qui abbiamo una contemplazione della morte, considerata come liberazione dalle afflizioni del mondo e come riunione dell’Anima con il suo Salvatore.
Nr.1 – Aria (Basso)
È quanto mi basta,
ho preso il Salvatore, la speranza dei giusti,
tra le mie braccia che l’attendevano;
è quanto mi basta!
Ho potuto vederlo,
la fede ha impresso Gesù sul mio cuore;
ora desidero, anche oggi stesso,
andarmene con gioia.
Nr.2 – Recitativo
È quanto mi basta.
Il mio solo conforto è
che Gesù è con me ed io con lui.
Nella fede gli appartengo,
già vedo qui, come Simeone,
la gioia della vita futura.
Uniamoci a quest’uomo!
Ah! Se il Signore mi liberasse
dalla prigione del mio corpo;
ah! se il mio addio fosse ora,
direi con gioia a te, mondo:
è quanto mi basta.
Nr.3 – Aria
Dormite, occhi affaticati,
chiudetevi dolcemente e serenamente!
Mondo, non resterò ancora qui,
non c’è più niente in te
che la mia anima possa apprezzare.
Qui si accumula infelicità,
ma là potrò contemplare
dolce pace, sereno riposo.
Nr.4 – Recitativo
Mio Dio! Quando verrà lo stupendo: ora!
quando me ne andrò in pace
e riposerò nella fredda terra
accanto a te, nel tuo petto?
Il mio addio si è compiuto,
mondo, buonanotte!
Nr.5 – Aria
Gioisco della mia morte,
ah, se solo fosse già venuta.
Allora sarò libero da tutte le sofferenze
che ancora mi legano alla terra.
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Ich habe genug” BWV 82

 

 

 

Categorie: Musica corale

Milano, MTM – Teatro Leonardo: “Questo… non sa da fare”

Sab, 01/02/2025 - 15:39

Milano, MTM – Teatro Leonardo, Stagione 2024/25
“QUESTO … NON S’HA DA FARE”
di Valeria Cavalli tratto da “I promessi sposi” di Alessandro Manzoni
con DANIELE GAGGIANESI e FLAVIA MARCHIONNI
Regia Claudio Intropido
Collaborazione didattica Simonetta Muzio
Scenografia Marco Muzzolon
Costumi Francesca Biffi
Produzione Manifatture Teatrali Milanesi
Milano, 31 gennaio 2025
L’iniziativa di “Questo… non sa da fare” ha avuto un buon successo la scorsa stagione, oltre che in questa, tra gli istituti milanesi, per il quale, francamente, sembra essere stato scritto – e infatti si avvale della consulenza di una professoressa di liceo, Simonetta Muzio;bene così, se non fosse che lo spettacolo si propone, per il secondo anno di seguito, anche al “grande pubblico”, ed è piuttosto evidente che questa non sia la scelta più saggia, soprattutto per una sostanziale mancanza di identità drammaturgica dello spettacolo: non è una parodia, non è una rilettura, e, soprattutto, non è un omaggio – giacché quando si scomoda un gigante come Manzoni o lo si omaggia o ci si prende la briga di distruggerlo dalle fondamenta. Ci troviamo di fronte a una sorta di annacquato “Bignami”, una (per una volta) comprensibile reductio ad opera di Valeria Cavalli che nulla aggiunge e nulla toglie alla vicenda e alla sua più popolare interpretazione. Anche sul piano scenico, curato da Claudio Intropido, il testo è una semplice ibridazione tra teatro di parola e teatro di narrazione, con l’inserto dei molto visti sketch di interazione (tiepidissima) col pubblico oppure di momenti di riflessione sul presente di natura ben più che peregrina (davvero è il caso di parlare della tragedia dei migranti nel momento in cui Renzo e Lucia fuggono uno a Milano e l’altra a Monza? Si rischia di superare la soglia del ridicolo…). Non aiuta alla digestione della recita nemmeno il tono da “Albero Azzurro“ per cercare di fare appeal sugli studenti più giovani, che, nonostante la replica serale non specificamente intesa per le scuole, saturano di costante brusio e odore di spogliatoio la sala del teatro – peraltro, abbastanza indifferenti a quanto avviene sulla scena, lasciano che a ridere delle deboli battute e trovate dei due interpreti siano le loro prof in stato menopausale e tinta color mogano. Infine, anche dei due interpreti non si può dire incarnino i più fulgidi talenti della generazione: per quanto vocalmente e fisicamente molto presenti a se stessi, Daniele Gaggianesi e Flavia Marchionni caratterizzano i loro “personaggi” in maniera piuttosto stereotipata – lei una Lucia sentimentale tutta spasimi, lui un Manzoni sminuito, un Renzo sprovveduto, un Innominato di prammatica (ma nessun Fra Cristoforo all’orizzonte) –, oltreché entrambi affetti da distinguibili difetti di pronuncia della esse. In fin dei conti, si potrebbe rispondermi, se è uno spettacolo pensato per le scuole, cosa vuole, che scomodassimo D’Annunzio e la Duse? Ebbene, sì, per lo meno: i ragazzi infatti hanno percepito la povera portata culturale dell’operazione, distraendosi di continuo; quanti di loro avranno pensato “vorrei andare un’altra volta a teatro”? Temiamo di scoprire l’effettiva bassezza di quel numero.

Categorie: Musica corale

Milano, MTM – Teatro La Cavallerizza: ” 5 centimetri d’aria. Storia di Cristina Mazzotti e dei figli rapiti”

Sab, 01/02/2025 - 15:33

Milano, MTM – Teatro La Cavallerizza, Stagione 2024/25
“5 CENTIMETRI D’ARIA. Storia di Cristina Mazzotti e dei figli rapiti”
un progetto di Nando Dalla Chiesa su testo di Paola Ornati
con LUCIA MARINSALTA
Regia Marco Rampoldi
Produzione Rara Produzione / Manifatture Teatrali Milanesi
Milano, 28 gennaio 2025
Piccola avvertenza iniziale: questa è probabilmente la più difficile recensione che io mi trovi a scrivere, perché, contrariamente a una regola che ho rispettato sempre nel valutare uno spettacolo, sarà un pezzo inevitabilmente piuttosto personale. “5 centimetri d’aria”, infatti, in scena alla Cavallerizza di Milano, parla dei sequestri di persona in Lombardia degli anni Settanta, e specialmente del sequestro – finito tragicamente – di Cristina Mazzotti, adolescente nel 1975, tenuta segregata tra novarese e varesotto e poi (accidentalmente?) uccisa con un mix di tranquillanti, sebbene il padre avesse provveduto al pagamento di un riscatto. Io, in questo spettacolo, ci sono: c’è la mia famiglia, alcuni amici di famiglia e alcune famiglie di amici; in questo spettacolo c’è un’atmosfera che mi riguarda, un passato, una serie di luoghi, persino un accento. Io ci sono, in “5 centimetri d’aria”, ma non dalla parte dei Torrielli, dei Rossi, degli Alemagna, dei Campari, né dei Mazzotti. Sono dall’altra parte: sono in quel varesotto, sono in quella Calabria, sono in quella cosa che si chiama ‘ndrangheta, sono in quei versamenti di migliaia di banconote da diecimila lire in Svizzera. Sono anche in un paio di nomi pronunciati, ma molto di più in un paio omessi dall’autrice – e le sono grato. Per questo non posso essere obiettivo riguardo questo spettacolo, ma soprattutto non sento di doverlo essere: “5 centimetri d’aria” parla di un dolore indicibile e inimmaginabile che anche la mia gente ha inflitto a tante famiglie; famiglie convinte di stare al sicuro, lontane dal Sud, a volte anche lontane dall’Italia; famiglie come tante che hanno avuto l’unica colpa di emanciparsi economicamente probabilmente in maniera più vistosa di altre. Ne parla attraverso la forma più diretta e semplice di teatro, il monologo, su una piattaforma delle esatte dimensioni della cella di detenzione, a Castelletto Ticino, di Cristina Mazzotti. Per questo Lucia Marinsalta (formidabile interprete unica) non si alza mai in piedi, perché in 145 cm non si poteva stare in piedi, ma al limite contorcersi, piegarsi, esattamente come fa la protagonista. Eppure non importa quanto sia grande il talento dell’attrice, non importa la bellezza e l’efficacia della messa in scena, e nemmeno l’esattezza dei molti dati che vengono sibilati, gridati, snocciolati durante lo spettacolo: importa il silenzio assurdo che ancora accompagna queste vicende, dettato da benaltrismo, da una piccola dose di cinismo, e, soprattutto, da una scioccata, incredula vergogna, che ancora oggi le accompagna. La mafia , d’altronde, in Lombardia non esiste, anzi no: esiste, ma da poco, ha infilato i suoi gangli nella funzione pubblica, nelle turbative d’asta, nella corruzione dei politici; roba da XXI secolo. Ecco perché, ancora oggi, a dieci anni dal suo debutto, a cinquant’anni dalla morte di Cristina Mazzotti, “5 centimetri d’aria“ è quello che si definisce un testo necessario, soprattutto alla Lombardia. La scoperta che ho fatto stasera è che è senza dubbio ancor più necessario a quei lombardi di prima generazione, come me, cresciuti nel mito di una stirpe di braccianti che al Nord hanno saputo emanciparsi col lavoro, con la fatica, contro insulti e discriminazione quotidiana, ma che ha avallato, contribuito, o perlomeno taciuto sul sequestro, la tortura, a volte la morte, di più di 600 persone. Foto Laila Pozzo

Categorie: Musica corale

Milano, Teatro Carcano: “L’Empireo”

Sab, 01/02/2025 - 15:27

Milano, Teatro Carcano, Stagione 2024/25
“L’EMPIREO” (The Welkin)
di Lucy Kirkwood
Traduzione Monica Capuani e Francesco Bianchi
Elisabeth ARIANNA SCOMMEGNA
Sally VIOLA MARIETTI
Helen ANAHÌ TRAVERSI
Peg Carter ARIANNA VERZELETTI
Sarah Smith MATILDE FACHERIS
Charlotte MARIA PILAR PEREZ ASPA
Ann VIRGINIA ZINI
Kitty GIULIA AGOSTA
Hannah MARIKA PENSA
Mary FRANCESCA MUSCATELLO
Judith CHIARA STOPPA
Sara Hollis SANDRA ZOCCOLAN
Emma VALERIA PERDONO
Mr. Coombs ALVISE CAMOZZI
Regia Serena Sinigaglia
Dramaturg Monica Capuano
Produzione Teatro Carcano, Teatro Nazionale di Genova, Teatro Stabile di Bolzano, LAC – Lugano Arte Cultura, Teatro Bellini di Napoli
Milano, 26 gennaio 2025
Contrariamente ad altri generi letterari, la drammaturgia europea gode di un momento piuttosto fortunato, un trentennio che ha prodotto importanti autori e testi già diventati capitali. Il mondo anglofono, manco a dirlo, detiene senz’altro una certa supremazia, dovuto probabilmente a una cultura dell’entertainment in sostanza diversa da quella delle altre nazioni: andare a Londra e non andare a teatro non è solo un peccato, ma è un’idiozia che può capitare solo a un ragazzino in gita. Lucy Kirkwood è dunque una degna esponente di questo universo drammaturgico, che non ricusa la parola come mezzo d’elezione, ma si pone in maniera ferocemente critica nei confronti dell’umanità che l’ha stimolata. “The Welkin” – tradotto da Monica Capuano come “L’Empireo“ – si pone poi in aperto dialogo con un grande classico del Novecento, “Il crogiolo“ di Arthur Miller: siamo infatti in un simile contesto storico e giudiziario, nel quale un gruppo scelto di cittadine di un villaggio è chiamato a giudicare se una ragazza “perduta”, già prossima all’impiccagione, sia veramente incinta e quindi possa ottenere salva la vita almeno per alcuni mesi. Quello che naturalmente c’è in Kirkwood e manca Miller è il female touch: il drammaturgo americano, infatti, non ha mai pensato che un consenso di sole donne, in una società repressiva e che proprio sulla donna si accanisce specificatamente, possa trasformarsi in un irripetibile occasione di incontro, confronto, riconoscimento. Questo è “L’empireo”: la rosa dei santi che in terra sono sovente stati perseguitati, in questo caso è il teatro delle donne che riscoprono la propria autenticità di fronte alla legge, al giudizio superiore. Passare in rassegna ogni singola interprete delle tredici (più un unico maschio) in scena, praticamente tutte allo stesso livello, è impensabile: ci basti dire che in più di due ore di spettacolo non c’è stato offerto nulla che non fosse perfetto e perfettamente congegnato per la più totale e profonda fruizione di questo testo magnifico; naturalmente, tuttavia, non possiamo esimerci dal constatare come Arianna Scommegna sia ormai diventata un punto di riferimento imprescindibile per la nuova generazione di attrici: la sua Elizabeth, protagonista poiché levatrice del paese, quindi più esperta del caso in questione, è una forza trascinante, che sa passare repentinamente dai ritmi più comici alla disperazione più annichilente, offrendo un range vocale e mimico tanto vasto quanto naturale; è chiaro non solo che la Scommegna sia ormai un’interprete matura ed autorevole, ma che le si prospettino gli anni della meritata gloria, e ci auguriamo che nessuno la ostacoli in alcun modo. L’altra interprete che inevitabilmente spicca dal gruppo è Viola Marietti, nella parte di Sally, cattiva ragazza prossima alla forca: la fisicità androgina, la voce contraltile, i capelli arruffati, le movenze che sembrano non conoscere vergogna, delineano un personaggio straordinario, eppure così frequente ancora oggi nelle piccole comunità, cioè il capro espiatorio, la cattiva in quanto geneticamente tale, la cui riprovazione diventa un elemento unificante della comunità, e che a sua volta si adegua a interpretare la parte che le è stata affibbiata. Ultima, immancabile, menzione va alla regista Serena Sinigaglia, non più una giovane promessa, ma una solidissima realtà del nostro teatro: le regia di Sinigaglia hanno sempre il merito di tenere in perfetto equilibrio tradizione e sperimentazione, prediligendo comunque sempre il teatro di parola contestualizzato in un progetto estetico altamente significativo; “L’empireo” non fa eccezione: la scelta del semicerchio di sedie nere e dell’impostazione da “lettura scenica” che si evolve in una regia vera e propria sono vincenti, proprio perché supportate da un solido lavoro sul testo e l’interpretazione. In conclusione, non possiamo che augurarci che nella tournée che si prospetta (qui per le date) questo testo sappia conquistarsi il più vasto consenso possibile, e diventi anch’esso un nuovo classico contemporaneo. Foto Serena Serrani

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro dell’Opera: “Carmen”

Sab, 01/02/2025 - 15:15

Roma, Teatro dell’Opera, Stagione 2024/2025
“CARMEN”
Balletto in due atti da Prosper Mérimée
Musica Georges Bizet, Manuel De Falla, Isaac Albéniz, Mario Castelnuovo-Tedesco, Gabriele Bonolis
Elaborazioni e orchestrazioni Gabriele Bonolis
Direttore Manuel Coves
Coreografia Jiří Bubeníček
Assistenti alla coreografia Allister Madin, Lienz Chang
Scene e luci Gianni Carluccio
Costumi Anna Biagiotti
Orchestra, Étoiles, Primi ballerini, Solisti e Corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma
Carmen Federica Maine
Don José Claudio Cocino
Lucas Simone Agrò
Scrittore Giuseppe Schiavone
Roma, Teatro Costanzi, 30 gennaio 2025
Commissionata originariamente da Eleonora Abbagnato a Jiří Bubeníček nel 2018, la produzione coreografica dedicata alla leggendaria Carmen è tornata in scena in questi giorni al Teatro dell’Opera di Roma. «Carmen nel mio balletto è una donna forte e attraente, è uno spirito libero, simile a un cavallo che non si può domare. Non appartiene a niente e nessuno – spiega il coreografo –. Ho iniziato questo lavoro leggendo Prosper Mérimée e mi sono reso conto che il personaggio della novella è molto più ricco di quello che ho potuto cogliere dal libretto dell’opera». In effetti, la dimensione narrativa è nello spettacolo molto potente, e si incarna nel personaggio dello scrittore, interpretato nella recita di oggi da Giuseppe Schiavone, presente sia all’inizio che alla fine dello spettacolo. Quasi a voler suggerire che la storia di cui siamo venuti a rintracciare i noti elementi di indomita passione e di crudezza estrema sia una semplice invenzione, destinata forse a restare in secondo piano rispetto alla realtà quotidiana della vita degli spettatori, o magari meglio a imprimersi nelle loro menti, donando loro una guida nei momenti di quiete e riflessione. A chiedere giustizia narrativa è però qui la figura di Don José, oggi interpretato dal Primo ballerino Claudio Cocino, che si rivolge a Mérimée in attesa di essere impiccato. La nostra Federica Maine nelle vesti di Carmen è un personaggio intento ad esplorare la propria leggiadra sensualità ora attraverso uno sguardo fugace ora attraverso la lascivia della scia del fumo di una sigaretta. La sua personalità inizia ad emergere nel confronto con il contornante corpo di ballo delle sigaraie, che nei loro fluidi movimenti convertono il ripetitivo lavoro in una metafora musicale pregna della cifra coreografica di Bubeníček, formatosi come danzatore nella compagnia di John Neumeier, e dedicatosi successivamente a tempo pieno alla coreografia dal 2015. Se Carmen inizia ad acquisire un’aura di fatale ribellione nella rissa con le compagne, Don José invece acquista in romantico lirismo, quando ripensa al primo duetto con Carmen una volta in prigione. A guidarci nella lettura dello spettacolo è soprattutto la redazione della partitura musicale che accosta l’originale di Bizet a varie interpolazioni. I momenti più accesi sono dedicati alla passione, agli scontri, alle gelosie, ma di fondo è presente un certo languore che conduce lo spettatore verso il godimento visivo della corporeità dei danzatori. La scena è spoglia ed essenziale. Pochi i richiami scenici alla temporalità del racconto, e l’arrivo di un enorme cavallo in scena sembra quasi il segno di un lieve scadere nella pura letteralità. Il primo atto si era concluso con l’omicidio furioso del Tenente (Valerio Marisca). Nel secondo l’elemento chiave è il trio che accosta alla Bianchi e a Cocino un incisivo Simone Agrò nel ruolo di Lucas. Grande è la forza che si sprigiona. Cocino rivela al meglio le sue potenzialità attoriali nello scontro con il valido antagonista. La Maine cerca di dirimere il contrasto, ma finisce per essere colpita a morte alla fine del balletto. A Don José non rimane che il suicidio. Come già detto, il finale addolcisce il tutto, a nostro avviso per dare maggiore enfasi al lato lirico della musica, anche se tale soluzione toglie forza espressiva alla storia dei personaggi. Foto Fabrizio Sansoni-Teatro dell’Opera di Roma

Categorie: Musica corale

Deutsche Oper Berlin: “Die frau ohne schatten”

Sab, 01/02/2025 - 09:29

Deutsche Oper Berlin, season 2024/2025
“DIE FRAU OHNE SCHATTEN”
Opera in three acts. Libretto by Hugo von Hofmannsthal
Music by Richard Strauss
The Emperor CLAY HILLEY
The Empress DANIELA KÖHLER
The Nurse MARINA PRUDENSKAYA
The Messenger of Keikobad PATRICK GUETTI
Barak, the Dyer JORDAN SHANAHAN
The Dyer’s Wife CATHERINE FOSTER
The One-eyed Man PHILIPP JEKAL
The One-armed Man PADRAIC ROWAN
The Hunchback THOMAS CILLUFFO
The Voice of a Falcon NINA SOLODOVNIKOVA
The Apparition of a Youth CHANCE JONAS-O’TOOLE
The Guardian of the Threshold HYE-YOUNG MOON
The Voice From Above STEPHANIE WAKE-EDWARDS
Chor der Deutschen Oper Berlin, Kinderchor und der Junge Chor der
Orchester der Deutschen Oper Berlin
Statisterie (background actors) der Deutschen Oper Berlin
Conductor Sir Donald Runnicles
Chorus Jeremy Bines
Children’s choir Christian Lindhorst
Production Tobias Kratzer
Stage, costumes Rainer Sellmaier
Light Olaf Winter
Video Janic Bebi, Manuel Braun, Jonas Dahl
Berlin, 26th January 2025
The highly-acclaimed Richard Strauss soprano Lotte Lehmann who sang the Dyer’s Wife in the Viennese premiere of Die Frau ohne Schatten in 1919, was later sorry that she had not done more to popularise the challenging work. Its dense orchestration between chamber music such as in Ariadne auf Naxos for the scenes in Keikobad’s spirit realm and an Elektra-related large orchestra for the human realm, the symbolism beneath Hugo von Hofmannsthal’s libretto, and demanding vocal lines may have limited its immediate appeal. It was first performed in a non-German speaking country by the Wiener Staatsoper in Venice in 1934. After World War II, it started to spread by productions in Buenos Aires, Munich, Vienna, San Francisco, New York and London. The Deutsche Staatsoper Berlin followed suit in 1971 with a legendary production by the young Harry Kupfer and Otmar Suitner conducting, which ran until the early 1980s (a friend of mine is still raving about it). It was successfully staged at the Deutsche Oper Berlin by Philippe Arlaud in 1998 with Christian Thielemann conducting, and by the former director of the opera house Kirsten Harms in 2009. The curtain rose to the third production by Tobias Kratzer on 26th January. Generalmusikdirektor Sir Donald Runnicles does not fill Thielemann’s shoes who eventually established himself as a first-rate Strauss conductor in 1998. Runnicles’ interpretation is not a world of rich and sumptuous sound he relies on but he pushes the Orchester der Deutschen Oper Berlin to a fierce confrontation of lyricism and transcendence. His tempi are often slow and his dynamics tend to thundering noises, he avoids a sonic feast for the sake of a harshness that might go with the rough and unromantic production but does not have much to do with Strauss’s poetic fairy-tale music. Even the Deutsche Oper Berlin can’t easily pull together a production of FroSch as Strauss himself used to call it (“Frosch” means “frog” in German), the more so as two of the main parts had to be replaced at short notice. Daniela Köhler instead of Jane Archibald sings the Empress very well, her even soprano is able to negotiate an entrance including coloraturas, a trill and a skimpy high D as well as support the high tessitura, and unfold some dramatic power for the galvanising “Vater, bist du’s” in Act three. Clay Hilley has stepped in for David Butt Philip as the Emperor. After his breakthrough as Siegfried a couple of years ago, he tackles the challenging part with stentorian potency at first to handle the passages in uppermost range impeccably, especially in the extended falconry scene of Act two. Catherine Foster as the Dyer’s Wife is nothing short of first-class quality. Her limitless dramatic soprano blasts into the space with abandon, her musical performance may be comparable with Christel Goltz’s in Vienna in 1955. Barak, the Dyer is sung by Jordan Shanahan whose basically lyrical baritone falls shorter than that of his wife, even though his voice stays sonorous throughout and provides a well-needed counterpart to her high reaches. Marina Prudenskaya’s career started at the house twenty years ago in contralto roles such as Gaea in Daphne by Strauss, carried on at the Staatsoper Stuttgart and Staatsoper Unter den Linden Berlin where she has been in the ensemble since 2013 to take on dramatic mezzosoprano roles of the German, Russian and Italian repertoires. Her Nurse is the temporary highlight of her career with some demands on her lower range and frequent leaps above the stave, which she performs with ease. It’s a crying shame that she can’t show the more fiendish side of the role due to the production that reduces her to the Empress’s mother-in-law. As a well-to-do couple, the Emperors long for a child who they want to get by surrogate motherhood from the humble Dyers. Kratzer’s reading of the plot comes along as an interesting approach in Act one but he clings to it so much that he neglects all the other aspects of the highly complex story line, first and foremost that Emperor and Empress are separated throughout the opera until the Empress refuses to drink from the Fountain of Life and the Emperor is saved from being petrified. He stages the scene as a baby shower thrown by Keikobad who plays the piano while a pregnant friend, the Guardian of the Threshold beautifully sung by Hye-young Moon, offers the Empress the fountain water to drink. Rainer Sellmaier’s single unifying set on the revolving stage shows the Emperors’ stylish apartment and the Dyers’ mean laundry in turns while his costumes underline the social difference. An elaborate video by Janic Bebi, Manuel Braun and Jonas Dahl suggests in Act two that a doctor inseminates the Dyer’s Wife artificially who seems to lose the child in the finale of the act, illogically singing “Barak, ich hab’ es nicht getan!” (Barak, I haven’t done it). Act three starts with a couples therapy for the Dyers, Stephanie Wake-Edwards’ dark contralto Voice From Above is the therapist. The Nurse is arrested by the police after having tried to steal a baby from an obstetrics ward, the Dyers get divorced in the end, and the single father Barak shows up at a kindergarten to call for his daughter in the closing scene. The costly production, including the many background actors and the excellently singing Chor, Kinderchor and Junge Chor der Deutschen Oper Berlin, seems to be a completely different story from the libretto and short novel by Hugo von Hofmannsthal. It has the potential for the cuts of the cultural budget the Berlin Senate decided recently. But there is a truth in it, what psychologists and psychiatrists are good for: destroy relationships.

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Brancaccio: “Mare Fuori: Il Musical”

Sab, 01/02/2025 - 00:59

Roma, Teatro Brancaccio
MARE FUORI: IL MUSICAL
scritto da Cristiana Farina, Maurizio Careddu, Alessandro Siani
regia di Alessandro Siani
con Andrea Sannino, Maria Esposito, Antonio Orefice, Mattia Zenzola, Giuseppe Pirozzi, Enrico Tijani, Antonio D’Aquino, Giulia Luzi, Carmen Pommella, Emanuele Palumbo, Leandro Amato, Antonio Rocco, Christian Roberto, Giulia Molino, Bianca Moccia, Angelo Caianiello, Yuri Pasquale Brunetti, Pascale Langer, Sveva Petruzzellis, Anna Capasso, Fabio Alterio, Benedetta Vari
direzione musicale Adriano Pennino
coreografie Marcello e Mommo Sacchetta
scenografo Roberto Crea
light design Carlo Pastore
costumi Eleonora Rella e Lisa Casillo
Roma, 31 gennaio 2025
Ci sono spettacoli che fanno riflettere, spettacoli che emozionano, spettacoli che segnano un’epoca. E poi c’è Mare Fuori – Il Musical, che sembra aver scelto deliberatamente la via del naufragio, galleggiando in un mare di compromessi e scelte artistiche quantomeno discutibili. Diciamolo subito: l’idea di trasporre sul palco un fenomeno televisivo di tale portata era rischiosa, ma non impossibile. Peccato che la resa scenica sembri più un esercizio di nostalgia seriale che un’opera con una propria dignità teatrale. La trama – o quel che ne resta – cerca di condensare tre stagioni in un susseguirsi di episodi incollati con lo scotch, senza un reale sviluppo narrativo. Il ritmo è schizofrenico: a momenti di frenesia ingiustificata si alternano pause dilatate al punto da far pensare che qualcuno si sia dimenticato di dare il via alla scena successiva. Dove la serie TV riusciva a costruire tensione e profondità emotiva, il musical si accontenta di un collage di momenti iconici, privati però di qualsiasi impatto drammaturgico. La regia di Roberto Crea sembra affidarsi ciecamente all’utilizzo dei Ledwall, nella convinzione che basti una proiezione ad alta definizione per supplire alla mancanza di una vera scenografia. Il risultato? Più che teatro, uno screensaver gigante. Certo, l’effetto visivo in alcuni momenti funziona, ma a lungo andare il tutto assume la staticità di una videoconferenza su Zoom. E se la scena della morte di Viola nella serie lasciava il pubblico con il fiato sospeso, qui l’unica tensione palpabile è quella degli spettatori che cercano di trattenere uno sbadiglio. E qui veniamo al capitano di questa nave alla deriva: Alessandro Siani. L’attore e regista, solitamente a suo agio con il linguaggio comico cinematografico e televisivo, sembra aver smarrito qualcosa di essenziale nel passaggio al teatro. Forse una direzione scenica coerente, forse una visione artistica, forse – e più semplicemente – il concetto stesso di teatro. La messa in scena si muove con la grazia di un camion in retromarcia, priva di organicità e incapace di fornire agli attori un supporto reale. Il problema si acuisce con l’uso sconsiderato del playback: non un semplice escamotage, ma un vero e proprio abuso che priva lo spettacolo dell’unica cosa che il teatro dovrebbe garantire al pubblico – la verità dell’interpretazione dal vivo. È vero che in alcune parti il canto è eseguito dal vivo, ma la resa è talmente incerta da far sorgere il dubbio che, forse, il playback sia la soluzione migliore. Un paradosso affascinante: ci si aspetta che il canto live aggiunga autenticità, ma invece finisce per persuadere il pubblico che forse, in alcuni casi, l’illusione digitale sia meno dolorosa. Il sincronismo tra labiale e audio, poi, è così precario che in certi momenti sembra di assistere al doppiaggio di un vecchio film giapponese, con il suono che arriva sempre un secondo prima o dopo. Ma il vero dramma si consuma nella recitazione, un curioso esperimento tra la declamazione forzata e il puro dilettantismo. Ogni battuta è pronunciata con la stessa sottigliezza di un megafono in una biblioteca, ogni gesto è calcato con foga, come se gridare fosse sinonimo di emozionare. Il risultato? Un melodramma involontario in cui il dolore diventa spettacolarizzazione e il disagio si traduce in pura retorica. Ciò che nella serie era costruito con sottigliezza qui diventa una gara a chi strilla più forte, in un crescendo che potrebbe tranquillamente essere sostituito da una sirena d’allarme antincendio. E poi c’è l’amplificazione. Se esiste un inferno sonoro, Mare Fuori – Il Musical ha trovato il modo di ricrearlo. Il volume è così esasperato che a tratti il pubblico viene investito da ondate di suono che lo lasciano tramortito. Ma il vero capolavoro è l’involontario concerto parallelo che si consuma nei microfoni aperti: tra respiri affannati e sospiri fuori sincrono, si ha l’impressione di essere catapultati in una seduta collettiva di iperventilazione. Sul fronte delle interpretazioni, il panorama è altrettanto disomogeneo. Maria Esposito (Rosa Ricci) si distingue per energia e presenza scenica, riuscendo almeno a dare un po’ di sostanza al proprio personaggio. Ma per il resto, la situazione è più confusa di una fuga in un labirinto. Mattia Zenzola, pur essendo un ballerino di talento, non riesce a dare a Carmine Di Salvo la profondità necessaria, mentre Christian Roberto, nei panni di O’ Chiattillo, sembra essersi smarrito tra il grottesco e il caricaturale. L’unico a emergere con autenticità è Yuri Pascal Langer , il solo a dimostrare una reale esperienza teatrale e una presenza scenica che va oltre la pura imitazione televisiva. Il problema principale, però, è proprio nella caratterizzazione dei personaggi: mentre la serie offriva una stratificazione emotiva e una crescita individuale, qui tutto viene appiattito, lasciando poco spazio all’evoluzione e riducendo i protagonisti a sagome bidimensionali. In definitiva, Mare Fuori – Il Musical si presenta come un’operazione più commerciale che artistica. Una celebrazione della serie che, però, si ferma alla superficie, senza mai scavare davvero nelle tematiche che avevano reso Mare Fuori un fenomeno di culto. L’effetto finale è quello di una copia sbiadita, un’esibizione che, invece di trovare una propria identità teatrale, si accontenta di una trasposizione annacquata e priva di autentico respiro drammaturgico. Il pubblico, o almeno i coraggiosi che non sono fuggiti al primo atto con la scusa di una sigaretta, sembra entusiasta di ritrovare i riferimenti alla serie. Ma per chi cerca vero teatro, l’esperienza è un naufragio annunciato: più che spettacolo, un’operazione promozionale affondata ben prima del gran finale.

 

Categorie: Musica corale

RAI 5. Opera e balletto di Febbraio 2025

Ven, 31/01/2025 - 10:26

Sabato 1 febbraio
Ore 07.48
“ATALIA”
Musica Francesco Gasparini
Direttore Emmanuel Resche-Caserta
Interpreti: Emmanuelle de Negri, Fabien Hyon, Lisadro Abadie,  Mélodie Ruvio
Roma, 2023
Ore 10.11
“IL MONDO DELLA LUNA”
Musica Franz Joseph Haydn
Direttore Bruno Nicolai
Regia Ugo Gregoretti
Interpreti: Carmen Lavani, Ugo Benelli, Benedetta Pecchioli…
Benevento, 1980
Ore 18.50
Concerto Vincitori Concorso Tebaldi 2024
La Fondazione Renata Tebaldi presenta il Concerto dei Vincitori della IX edizione del Concorso Internazionale di Canto Renata Tebaldi, tenutosi al Teatro Concordia di Borgo Maggiore – Repubblica di San Marino – il 20 dicembre 2024.
Domenica 2 febbraio / Sabato 8 febbraio
Ore 10.0 / 09.40

“LE NOZZE DI FIGARO”
Musica Wolfgang Amadeus Mozart
Direttore Gérard Korsten
Regia Giorgio Strehler
Interpreti: Ildebrando D’Arcangelo, Diana Damrau, Pietro Spagnoli, Marcella Orsatti Talamanca, Monica Bacelli…
Milano, 2006
Ore 18.10
“MEDÉE”

Musica Luigi Cherubini
Direttore Michele Gamba
Regia Damiano Michieletto
Interpreti: Marina Rebeka, Stanislas de Barbeyrac, Nahuel di Pierro, Martina Russomanno, Ambroisine Bré…
Milano, 2024
Lunedì 3 febbraio
Ore 10.00
“LA STRADA”
Musica Nino Rota
Direttore Armando Gatto
Coreografia Mario Pistoni
Interpreti: Carla Fracci, Aldo Santambrogio, Mario Pistoni…
Milano, 1967
Martedì 4 febbraio
Ore 10.00

“RENARD”
Ater Balletto nel balletto Renard di Igor Stravinsky.
Coreografie di Amedeo Amodio
Montepulciano, 1982
Ore 10.15
“OTELLO”
Musica Giuseppe Verdi
Direttore Riccardo Muti
Regia Graham Vick
Interpreti: Placido Domingo, Barbara Frittoli, Leo Nucci...
Milano, 2001
Mercoledì 5 febbraio
Ore 09.40
“PULCINELLA AFFAMATO IN PALESTINA”
Balletto su musiche di Gioachino Rossini/Benjamin Britten
Coreografie di Ugo Dell’Ara
Interpreti: Ugo Dell’Ara, Wanda Sciaccaluga, Jones Metafuni, Umberto Raho, Milena Odoli, Paolo Bartoluzzi, Paolo Grange, Vittorio Congia, Toni Harlem, Clara Stabilini.
RAI, 1956
Ore 10.11
“FEDORA”
Musica Umberto Giordano
Direttore Bruno Bartoletti
Regia Mario Lanfranchi
Interpreti: Renata Heredia Capnist, Mafalda Micheluzzi, Davide Poleri, Mario Borriello, Sergio Mazzola, Valiano Natali, Glauco Scarlini
RAI, 1956
Giovedì 6 febbraio
Ore 09.57

“LA PICCOLA VOLPE ASTUTA”
Musica Leos Janacek
Direttore Seiji Ozawa
Regia Laurent Pelly
Firenze, 2011
Venerdì 7 febbraio
Ore 10.00
“La tarantella di Pulcinella”
Musica Silvano Spadaccino
Regia di Norman Paolo Mozzato.
Interpreti: Anna Casalino, Silvano Spadaccino, Emanuele Luzzati.
Domenica 9 febbraio
Ore 10.00
“CECCHINA, OSSIA LA BUONA FIGLIOLA”
Musica Niccolò Piccinni
Direttore Franco Caracciolo
Regia Virginio Puecher
Interpreti: Mirella Freni, Sesto Bruscantini, Werner Hollweg, Rita Talarico, Valeria Mariconda, Gloria Trillo, Bianca Maria Casoni.
Ore 18.10
“ADRIANA LECOUVREUR”
Musica Francesco Cilea
Direttore Gianandrea Gavazzeni
Regia Lamberto Puggelli
Interpreti: Mirella Freni, Peter Dvorsky, Fiorenza Cossoto, Alessandro Cassis…
Milano, 1989
Lunedì 10 febbraio
Ore 10.00
“CAPPUCCETTO ROSSO”
Giorgio Albertazzi presenta il balletto ispirato alla favola Cappuccetto rosso (su musiche di Ellington-Strayhorn, Grouya e Tizol), con The Joyce Trisler Danscompany di New York, coreografia di J. Trisler.
Spoleto, 1979
Ore 10.40
“L’ELISIR D’AMORE”
Musica Gaetano Donizetti
Direttore Mario Rossi
Regia Alessandro Bissoni
Interpreti: Mirella Freni, Renzo Casellato, Sesto Bruscantini, Mario Basiola, Elena Zilio.
RAI, 1968
Martedì 11 febbraio
Ore 11.55
“LA BOTTEGA FANTASTICA”
Balletto su musiche di Ottorino Respighi da  Gioachino Rossini.
Coreografie Ugo Dell’Ara
Direttore Santi Di Stefano
Interpreti: Giuliana Barabaschi, Antonietta Daviso, Paolo Bortoluzzi e Riccardo Duse…
Bologna 1975
Ore 10.35
“RAFFA IN THE SKY”
Musica Lamberto Curtoni
Direttore Carlo Boccadoro
Regia Francesco Micheli
Interpreti: Chiara dello Iacovo, Dave Monaco, Gaia Petrone, Carmela Remigio…
Bergamo, 2023
Mercoledì 12 febbraio
Ore 10.00

“LO SCHIACCIANOCI”
Musica Pëtr Il’c Čajkovskij
Direttore Jean Doussard
Coreografia  Joseph Lazzini
Interpreti: Annie Savouret, Jean-Pierre Laporte, Estela Erman, Attilas Silvester, Ekaterina Maximova,  Vladimir Vassiliev.
Spoleto, 1978

Categorie: Musica corale

Napoli, Teatro di San Carlo: “Velluti: l’ultimo castrato”

Gio, 30/01/2025 - 23:59

Napoli, Teatro di San Carlo
VELLUTI: L’ULTIMO CASTRATO
Controtenore 
Franco Fagioli
Dirige 
George Petrou
Napoli, 30 gennaio 2025
“Quando canto, non sono più io: sono un respiro che si innalza verso il cielo.” Così Farinelli definiva l’atto sublime del canto, un’arte capace di trascendere la fisicità e di elevare l’animo umano verso una dimensione quasi divina. Questa visione trova una perfetta corrispondenza nell’esperienza offerta dal concerto-evento “Velluti: L’Ultimo Castrato”, recentemente andato in scena al Teatro di San Carlo di Napoli. In questa cornice storica, il dialogo tra memoria e interpretazione si è espresso con straordinaria intensità, richiamando l’età d’oro del belcanto, un periodo in cui la vocalità dei castrati rappresentava l’apice di una tecnica raffinata e di una sensibilità espressiva unica. La figura del castrato, emblema di un’arte tanto sublime quanto controversa, nasceva da una pratica medica e sociale che prevedeva la castrazione di giovani ragazzi dotati di voci promettenti, al fine di preservare la loro tessitura acuta durante la maturità. Questa trasformazione consentiva di ottenere voci di straordinaria potenza, estensione e agilità, capaci di affrontare passaggi virtuosistici ineguagliabili. Tra i più celebri esponenti di questa tradizione, oltre al leggendario Farinelli, si annoverano nomi come Senesino, Gaetano Majorano detto Caffarelli e Antonio Bernacchi, ognuno dei quali ha lasciato un segno indelebile nella storia della musica e del teatro. Giovan Battista Velluti, ultimo grande castrato e protagonista di questo omaggio musicale, è figura emblematica del XIX secolo. Nato nel 1780 a Corridonia, nelle Marche, fu avviato giovanissimo alla carriera musicale, affinando una vocalità che univa potenza, flessibilità ed espressività drammatica. Velluti non fu solo un interprete straordinario, ma anche un innovatore: i suoi interventi nel repertorio operistico, come nell’ “Aureliano in Palmira” di Gioachino Rossini, dimostrano la sua capacità di piegare la scrittura musicale alle peculiarità della propria voce, introducendo variazioni di straordinario virtuosismo. Questo spirito creativo e indomito lo consacrò sui palcoscenici più prestigiosi d’Europa, rendendolo una figura cardine nel tramonto di questa tradizione. Sotto la bacchetta del direttore George Petrou, musicista dalla profonda sensibilità stilistica, e grazie all’interpretazione magistrale del controtenore argentino Franco Fagioli, si è aperto un universo sonoro di rara bellezza. Fagioli ha saputo coniugare un controllo impeccabile della tecnica vocale con una capacità espressiva che ha lasciato il pubblico profondamente coinvolto. La sua vocalità, che si distingue per un’estensione eccezionale e una straordinaria omogeneità timbrica, è capace di affrontare con sicurezza le più ardue colorature del repertorio barocco e rossiniano, donando ad ogni frase musicale una chiarezza cristallina e una carica emotiva palpabile. Il timbro caldo e denso di armonici, capace di alternare dolcezza e brillantezza, ha saputo restituire pienamente la complessità emotiva del repertorio affrontato. Tuttavia, il vibrato marcato e la teatralità enfatica che contraddistinguono le sue interpretazioni non mancano di suscitare opinioni contrastanti: se da un lato amplificano l’impatto drammatico, dall’altro possono apparire eccessivi per i puristi della filologia barocca. Fagioli, tuttavia, utilizza questi elementi con intenzione precisa, facendo della sua voce uno strumento che sfida le convenzioni e ridefinisce il ruolo del controtenore nel panorama contemporaneo. La sinergia tra voce e orchestrazione è stata uno degli aspetti più notevoli della serata. Petrou ha saputo bilanciare con maestria l’accompagnamento orchestrale, valorizzando le linee vocali senza mai sovrastarle. Gli archi hanno creato un tessuto sonoro avvolgente, caratterizzato da una cantabilità espressiva e una precisione negli attacchi, mentre i fiati, intagliati con delicatezza, hanno offerto colori timbrici che dialogavano con la voce solista. La scelta di tempi calibrati e dinamiche ben ponderate ha dato vita a un equilibrio perfetto tra l’orchestra e il controtenore, garantendo una resa musicale di straordinaria raffinatezza. Il programma del concerto ha offerto un viaggio attraverso celebri pagine rossiniane e gemme meno note di compositori come Paolo Bonfichi, Giuseppe Nicolini, Nikolaos Mantzaros, Johann Simon Mayr e Saverio Mercadante. Ogni brano è stato affrontato con una cura filologica e un’espressività che hanno illuminato la ricchezza di un repertorio spesso relegato ai margini della memoria musicale. Tra i momenti più significativi della serata, l’esecuzione della Sinfonia di “Tancredi” e la scena di Arsace da “Aureliano in Palmira” hanno rappresentato vertici di perfezione formale ed espressiva, mentre i brani di Bonfichi e Nicolini hanno offerto un’affascinante scoperta, rivelando la varietà e l’originalità della scrittura musicale per castrati. Il Teatro di San Carlo, con la sua acustica sontuosa e la sua storia secolare, è stato il luogo ideale per questa celebrazione. Non si è trattato solo di un omaggio a una tradizione lontana, ma di un atto d’amore verso un repertorio che, nelle mani di interpreti come Petrou e Fagioli, continua a pulsare di vitalità e a parlare al presente. La serata, lungi dall’essere un esercizio accademico, ha riaffermato la capacità della musica di trascendere il tempo, restituendo al pubblico la bellezza e la conoscenza di un patrimonio senza tempo. A suggellare questa rinascita musicale, Franco Fagioli ha recentemente pubblicato il disco The Last Castrato. Arias for Velluti (Château de Versailles Spectacles), uscito il 21 gennaio 2025. Affiancato dall’Orchestre de l’Opéra Royal e dal Chœur de l’Opéra Royal sotto la direzione di Stefan Plewniak, Fagioli esplora con maestria il repertorio dedicato all’ultimo grande castrato, offrendone una lettura moderna che combina rigore filologico e intensa espressività. Questo lavoro, già destinato a diventare un punto di riferimento per gli appassionati, è una celebrazione definitiva di un’epoca irripetibile e dell’arte sublime di un interprete unico nel suo genere.

Categorie: Musica corale

Entretien avec le Maestro Michele Spotti

Gio, 30/01/2025 - 23:17
Un moment de partage avec le maestro Michele Spotti qui retrouve l’orchestre de l’Opéra de Marseille, dont il  est le directeur musical depuis 2023, pour interpréter La Messe de Requiem de Giuseppe Verdi. Un monument musical ! Notre précédent entretien date du 16 octobre 2021 lors de votre premier engagement à l’Opéra de Marseille pour diriger l’œuvre de Gioacchino Rossini “Guillaume Tell” donnée pendant la période troublée du Covid. Que nous racontez-vous de ce laps de temps qui nous amène à aujourd’hui ? Il est vrai que depuis cette horrible période où tout semblait s’être arrêté la vie a repris ses droits petit à petit et les contrats signés en amont ont pu être honorés. La vie est faite de rencontres, des liens se créent et des projets prennent forme. Ma rencontre avec Maurice Xiberras, Directeur général de l’Opéra de Marseille, a été déterminante. Bien avant le Covid il m’avait proposé la direction de “Guillaume Tell” l’opéra de Gioacchino Rossini. Nous étions loin d’imaginer alors qu’il serait joué dans des conditions spéciales. Ce premier contact avec l’Opéra de Marseille a donné lieu à une proposition qui ne se refuse pas. Et c’est avec un immense plaisir que j’ai accepté le poste de directeur musical, succédant au maestro Lawrence Foster. J’ai tout de suite aimé cette ville avec l’énergie, le soleil, la convivialité qui me rappellent l’Italie et avec ce théâtre qui m’a séduit d’emblée. Je suis très sensible aux ambiances et j’ai trouvé dans cette maison des atmosphères particulières venant de la direction, de l’orchestre, de toutes les équipes mais aussi du public. Un accueil chaleureux qui donne envie de poser ses valises et de travailler ensemble. Evidemment cette nomination a un peu bouleversé mon programme mais je pense pouvoir respecter mes engagements tout en étant le plus possible à Marseille. Vous dites avoir tout de suite aimé cet orchestre. Qu’est-ce qui vous a séduit ? C’est vrai. Une réceptivité, un investissement dans le travail et un accueil chaleureux tout d’abord. Nous avons dû jouer “Guillaume Tell” dans des conditions très particulières; l’orchestre étant placé dans la salle directement près du public, il a fallu aménager les sonorités pour ne pas être trop fort, placer les cuivres un peu en contrebas, un peu comme à Bayreuth (sourire) mais chacun s’est adapté et tout s’est bien passé. Depuis nous avons donné des concerts, d’autres opéras dans des répertoires différents avec ” Le Nozze di Figaro” ou “Norma” en début de saison, mais toujours dans une recherche de l’excellence et le respect du texte et du compositeur. Que recherchez-vous plus spécialement dans un orchestre ? Tout d’abord la sonorité. Avant, l’on disait que chaque orchestre avait sa sonorité propre; c’est sans doute un peu moins vrai actuellement alors que les musiciens voyagent beaucoup et que l’on trouve au sein des orchestres diverses nationalités. Mais peut-être chaque chef d’orchestre a-t-il la sensation du son qu’il voudrait entendre et qu’il cherche à obtenir. C’est mon cas. Il y a ce son fondamental et une certaine souplesse qui autorise les fluctuations. Cette recherche sur le son est un travail de longue haleine qui demande une grande écoute des musiciens entre eux. Chaque instrumentiste a sa propre compréhension de l’œuvre et c’est au chef d’orchestre d’insuffler sa vision personnelle dans la cohérence du souffle et des sonorités. Cela est plus difficile lorsque l’on est chef invité avec peu de répétitions. Avec l’orchestre de Marseille il y a maintenant une grande compréhension. Je connais les musiciens et ils connaissent mes désirs, cela va donc beaucoup plus vite. La réceptivité est aussi une chose importante. Depuis quelques années vous voyagez souvent et dirigez des orchestres très différents. Est-ce un apport pour vous ? Certes, l’apport se fait dans les deux sens. J’apporte mais je reçois aussi. Je ne suis pas là pour toujours imposer, il faut une certaine souplesse de part et d’autre, savoir s’adapter et pouvoir contourner les difficultés. Passer du lyrique au symphonique avec des orchestres différents n’est pas toujours chose aisée mais la souplesse, l’ouverture aux choses diverses et l’adaptation à certaines situations réussissent à arrondir les angles et donnent des résultats assez fantastiques. Être chef d’orchestre est un long apprentissage et c’est en cela que c’est passionnant. L’on arrive devant un orchestre de nationalité différente, l’on travaille ensemble et on le quitte en ayant quelque chose de changé. Vous aimez alterner concerts et opéras. Y a-t-il des compositeurs qui vous touchent plus personnellement ? En concert j’aime beaucoup diriger des œuvres avec chœur. C’est pourquoi travailler le Requiem de Verdi m’a enchanté. L’on retrouve la patte du compositeur bien entendu mais dans une autre dimension. Il y a une force que l’on ne trouve nulle pas ailleurs, sonore sûrement, mais aussi spirituelle qui ne laisse personne indifférent ; il faut un certain temps pour s’extraire de cette œuvre. J’aime beaucoup diriger les symphonies de Gustave Mahler, et pas uniquement celles avec chœur qui sont aussi des monuments d’intensité, Richard Strauss qui est d’une richesse musicale plus complexe, et pourquoi pas Igor Stravinsky avec son “Pulcinella” un peu spécial que nous avons donné en 2023 à l’Auditorium du Pharo. Mais quel plaisir de diriger les œuvres d’un Mozart habité qui permet de revenir à la clarté et la pureté du son. La musique est une source infinie d’inspirations et pourquoi pas le baroque comme un retour aux fondamentaux mais qui autorise une certaine liberté. Vous nous aviez-dit n’envisager certains compositeurs que plus tardivement. Richard Wagner par exemple. C’est exact. A cette époque les opéras de Richard Wagner me paraissaient demander une grande maturité, comme une apothéose dans certaines expressions, je le pense toujours. Actuellement je me sens assez proche de certaines de ses œuvres “Le Vaisseau fantôme” par exemple et pourquoi pas “Lohengrin” d’où se dégage une réelle poésie avec les deux préludes que j’ai dirigés ici même lors du concert du Centenaire. Les apports de la vie vous font changer plus vite que l’on ne croit. Maintenant que je suis père de deux enfants, je comprends beaucoup mieux le rôle de Rigoletto avec ses déchirements, cette volonté de protection envers sa fille Gilda, je ne le dirigerai pas de la même façon, question de tempo, de respirations sans doute. Berlin, Munich, Vienne, Tokio, Valence, Paris, Toulouse, Florence et son Maggio musicale pour n’en citer que quelques-uns, tous ces orchestres de renommée internationale jalonnent maintenant votre parcours. Rétrospectivement, qu’en pensez-vous ? Evidemment je suis très heureux de ce parcours que je vis comme une reconnaissance et qui me procure d’immenses joies avec des rencontres intéressantes et des aventures humaines parfois inattendues. En France, je ne parle pas de Marseille qui est maintenant ma maison, l’orchestre de l’Opéra de Paris, par exemple, m’a donné de grands moments de plaisir avec sa puissance et son investissement, je dois d’ailleurs y retourner bientôt, ou l’orchestre du Capitole de Toulouse d’une grande précision et d’une grande technique aussi avec Idoménée, entre autres, un Mozart audacieux, humain et révolutionnaire qui m’a beaucoup marqué. Chaque fois que je voyage en Europe ou bien plus loin, les contacts se font assez facilement, la musique est un vecteur extraordinaire dans un langage différent. Evidemment parler la même langue est un plus et diriger un opéra dont je ne maîtriserais pas la langue serait une frustration. L’anglais, le français, l’allemand ouvrent déjà bien des portes mais, bien que je sois attiré par les compositeurs russes, le moment n’est peut-être pas encore venu d’en diriger un opéra. Que pensez-vous des opéras donnés en version concertante ? Vous venez de diriger Simon Boccanegra au Théâtre San Carlo de Naples en version concertante justement qui a obtenu un grand succès. Dans un premier temps, je préfère toujours respecter la version originale, c’est à dire avec mise en scène si cela est le cas. D’un autre côté, je suis un esthète en toutes choses, en musique aussi bien entendu. J’ai souvent des craintes par rapport à certaines mises en scène qui vont à l’encontre de l’idée du compositeur, de la musique même, et je m’aperçois que le public réagit très bien à ces représentations sous forme de concert. L’on aurait pu penser que la durée de certains ouvrages pourrait dissuader les auditeurs ; il n’en est rien. L’attention reste constante, captée par la musique et les voix. C’est aussi une économie pour les théâtres qui ont ainsi la possibilité de programmer plus d’ouvrages dans la saison. Est-ce dommage ? Le public décidera. Aux metteurs en scène de faire un peu attention. Il est vrai que le Simon Boccanegra donné à Naples a été un réel succès. La musique a encore de beaux jours à venir avec un public toujours enthousiaste. Ph. Grzesiek Mart
Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Vascello: “Il grande vuoto”

Mer, 29/01/2025 - 23:59

Roma, Teatro Vascello
IL GRANDE VUOTO
uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli
regia Fabiana Iacozzilli
drammaturgia Linda Dalisi, Fabiana Iacozzilli
dramaturg Linda Dalisi
con Ermanno De Biagi, Francesca Farcomeni, Piero Lanzellotti, Giusi Merli e con Mona Abokhatwa per la prima volta in scena
progettazione scene Paola Villani
luci Raffaella Vitiello
musiche originali Tommy Grieco
suono Hubert Westkemper
costumi Anna Coluccia
video Lorenzo Letizia
produzione CranpiLa Fabbrica dell’Attore-Teatro Vascello Centro di Produzione TeatraleLa Corte Ospitale, Romaeuropa Festival
con il contributo di MiC – Ministero della Cultura, Regione Emilia-Romagna
con il sostegno di Accademia Perduta / Romagna TeatriCarrozzerie n.o.tFivizzano 27Residenza della Bassa SabinaTeatro Biblioteca Quarticciolo
Roma, 29 gennaio 2025
La scena teatrale contemporanea è attraversata da un’esigenza sempre più pressante di interrogarsi sulla memoria, sulla perdita e sulla percezione del tempo. “Il Grande Vuoto”, ultimo capitolo della Trilogia del Vento di Fabiana Iacozzilli, in scena al Teatro Vascello, si pone con forza in questo solco di ricerca, costruendo un dispositivo scenico in cui il teatro diventa non solo rappresentazione, ma esperienza immersiva e sensoriale. La regia di Iacozzilli si conferma come una delle più incisive e rigorose della scena italiana attuale, capace di fondere una precisione compositiva assoluta con una tensione emotiva che si trasmette al pubblico senza mai scadere nel patetismo. Al centro della scena, una piccola automobile rossa introduce immediatamente una dimensione domestica, evocando uno spazio della quotidianità familiare che diventa, nel corso dello spettacolo, terreno di esplorazione delle dinamiche della memoria e della sua erosione. La messa in scena si sviluppa attraverso un raffinato equilibrio tra realismo e astrazione: gli oggetti di uso comune – occhiali, arance, buste della spesa – sono disposti e manipolati con estrema cura, trasformandosi gradualmente in elementi perturbanti che scandiscono il progressivo sfaldarsi del tempo e dell’identità.La drammaturgia, firmata da Linda Dalisi, si nutre di un profondo lavoro di ricerca su testimonianze raccolte in RSA, dando vita a una polifonia di voci che restituisce con autenticità il processo di smarrimento cognitivo e affettivo. L’andamento testuale non segue una linearità narrativa, ma procede per frammenti, costruendo un dialogo disarticolato tra passato e presente, tra consapevolezza e oblio. Ne emerge una scrittura scenica in cui la parola si alterna a lunghi momenti di silenzio, utilizzati come autentiche cesure drammaturgiche che accentuano il senso di vuoto evocato dal titolo dello spettacolo. Gli attori offrono interpretazioni di straordinaria intensità. Giusi Merli incarna con profondità e rigore una madre intrappolata nelle pieghe della propria mente, in un continuo slittamento tra lucidità e disorientamento. La sua performance si distingue per una delicatezza struggente, in cui ogni gesto, ogni espressione del volto diventa un segnale di resistenza alla dissoluzione. Accanto a lei, Francesca Farcomeni e Piero Lanzellotti interpretano i figli con una recitazione che alterna stati di tensione, disperazione e rassegnazione, restituendo con rara autenticità il carico emotivo e psicologico che accompagna chi assiste impotente all’inevitabile deterioramento di una persona cara. Mona Abokhatwa, nel ruolo della badante, è una presenza silenziosa e misurata, il cui distacco apparente si rivela invece una forma di accoglienza e comprensione profonda della fragilità umana. La regia di Iacozzilli costruisce un impianto visivo che rifugge ogni didascalismo, privilegiando un dialogo serrato tra luci, suoni e proiezioni video. La scenografia curata da Paola Villani compone uno spazio essenziale, ma altamente evocativo, in cui ogni oggetto sembra appartenere a un fragile equilibrio tra presenza e assenza. Il lavoro sulle luci, affidato a Raffaella Vitiello, modula chiaroscuri e bagliori improvvisi per scandire il flusso temporale ed emotivo della pièce. Le proiezioni video di Lorenzo Letizia amplificano il senso di scissione tra presente e ricordo, tra realtà e percezione interiore. Anche il paesaggio sonoro, con il suono curato da Hubert Westkemper e le musiche originali di Tommy Grieco, contribuisce in modo decisivo alla costruzione dell’atmosfera dello spettacolo: il ticchettio di un orologio, il fruscio delle buste, il rumore lontano di un motore non sono semplici elementi accessori, ma veri e propri strumenti di evocazione del vissuto e della sua progressiva dissolvenza. I costumi di Anna Coluccia, con la loro sobrietà e leggerezza, sottolineano la vulnerabilità dei personaggi, imprimendo un ulteriore strato di delicatezza alla messinscena. La scena finale rappresenta il culmine di questa indagine teatrale sulla memoria e sullo scorrere del tempo. Giusi Merli, avvolta in una tovaglia che si trasforma in un mantello, recita frammenti del Re Lear, in una commistione tra parola shakespeariana e sussurri frammentari, mentre una pioggia dorata cade su di lei. Il teatro si fa qui metafora dell’estrema resistenza dell’individuo di fronte al nulla, un ultimo baluardo contro l’oblio. “Il Grande Vuoto” non è solo uno spettacolo, ma un’esperienza di rara potenza emotiva e intellettuale. La scrittura scenica di Iacozzilli riesce a rendere tangibile ciò che per definizione sfugge: la natura impalpabile della memoria, la fatica del ricordo, il senso di spaesamento che accompagna la perdita. Il pubblico, travolto dalla potenza della messinscena, ha risposto con una standing ovation, in un silenzio carico di commozione che si è rotto solo nel fragore degli applausi finali. C’è qualcosa di universale in questo spettacolo, un dolore che tutti riconosciamo, una malinconia che ci attraversa e ci accomuna. Uscendo dal teatro, ci si porta dentro un nodo alla gola e una domanda aperta: quanto di ciò che amiamo può resistere al tempo? Forse, come suggerisce Il Grande Vuoto, non è solo l’arte a darci un barlume di eternità, ma anche l’amore. L’amore per chi abbiamo perso fisicamente o per chi, pur essendo ancora in questa vita, abbiamo perso nel contatto. Ed è proprio in questo spazio sospeso tra presenza e assenza che l’eco dei sentimenti continua a risuonare, offrendoci un fragile, ma inestimabile, senso di continuità.

 

Categorie: Musica corale

“L’elisir d’amore” al Teatro Regio di Torino dal 28 gennaio al 5 febbraio 2025.

Mer, 29/01/2025 - 20:03

Al Teatro Regio, dal 28 gennaio al 5 febbraio 2025, va in scena L’elisir d’amore, melodramma giocoso in due atti di Gaetano Donizetti su libretto di Felice Romani. L’opera è presentata nel nuovo allestimento firmato da Daniele Menghini in coproduzione con il Teatro Regio di Parma. Sul podio dell’Orchestra e del Coro del Teatro Regio sale il maestro Fabrizio Maria Carminati, Ulisse Trabacchin istruisce il Coro. Protagonisti sono: Federica Guida (Adina), René Barbera (Nemorino), Paolo Bordogna (Dulcamara), Davide Luciano (Belcore) e Albina Tonkikh (Giannetta). L’Anteprima Giovani – dedicata al pubblico under 30 – è sabato 25 gennaio alle ore 20, i biglietti saranno in vendita a partire da venerdì 10 gennaio ore 11, seguono la Prima, martedì 28 gennaio e sette recite fino a mercoledì 5 febbraio.
 L’elisir d’amore di Gaetano Donizetti esplora il tema della gioventù attraverso i suoi protagonisti e le loro esperienze di amore, ambizione e crescita personale. Nella visione di Daniele Menghini, Nemorino, fragile e puro, si rifugia in un mondo di marionette. L’allestimento, unendo tradizione e raffinata inventiva, trasforma il percorso di Nemorino in un racconto di formazione universale e il racconto d’amore in una fiaba onirica, popolata da burattini e marionette, reinventando il mondo di Nemorino come un “mondo di legno” in cui il protagonista scolpisce con la sua fantasia i personaggi della storia.
Tra le novità assolute di questo allestimento, la presenza in scena dei burattini della Fondazione Marionette Grilli di Torino, che creano un dialogo intimo e costante tra i personaggi inanimati e i cantanti. In scena prenderanno vita ben 30 burattini e marionette, “manovrati” da Augusto Grilli. Alcuni esemplari provengono dalla prestigiosa collezione storica del ’700, mentre altri sono stati realizzati appositamente per questa produzione, distinguendosi dall’originale andata in scena a Parma. Alcuni burattini raggiungono il metro di altezza, mentre il teatrino dei burattini è stato ricostruito nei nostri Laboratori artistici in una versione ampliata, adattata alle dimensioni del nostro palcoscenico.
Nei ruoli principali de L’elisir d’amore, brilla un cast d’eccezione: Federica Guida, giovane e talentuoso soprano, interpreta Adina; René Barbera, tenore di fama internazionale, è Nemorino; Paolo Bordogna, celebre per il suo talento comico e vocale, veste i panni di Dulcamara; Davide Luciano, baritono di grande versatilità, dà vita a Belcore; infine, Albina Tonkikh – Artista del Regio Ensemble – arricchisce il cast nel ruolo di Giannetta, completando una squadra di interpreti di altissimo livello. Nei ruoli dei protagonisti si alternano: Enkeleda Kamani (Adina), Valerio Borgioni (Nemorino), Simone Alberghini (Dulcamara), Lodovico Filippo Ravizza (Belcore). Le scene sono di Davide Signorini, i costumi di Nika Campisi e luci di Gianni Bertoli.
Fabrizio Maria Carminati è uno dei più apprezzati interpreti del repertorio operistico italiano. Diplomato in pianoforte e direzione d’orchestra, ha iniziato la sua carriera proprio al Regio di Torino, dove ha diretto numerosi titoli d’opera e concerti sinfonici. Direttore artistico del Teatro Donizetti di Bergamo (2000-2004) e della Fondazione Arena di Verona (2004-2006), è stato Primo Direttore ospite dell’Opéra de Marseille fino al 2015, dove ha diretto acclamate produzioni e concerti sinfonici. Esperto del belcanto e interprete donizettiano di riferimento, ha un repertorio che spazia da Paisiello a Puccini, con incursioni nel ’900 e nella musica contemporanea. Ha diretto in teatri prestigiosi come La Fenice, il Maggio Musicale Fiorentino, il Festival Puccini e l’Opéra de Nice.

Link: https://www.teatroregio.torino.it/opera-e-balletto-2024-2025/lelisir-damore

Categorie: Musica corale

Roma, Museo del Corso – Polo Museale: “Picasso lo straniero” dal 27 febbraio al 29 giugno 2025

Mer, 29/01/2025 - 16:11

Museo del Corso – Polo Museale
PICASSO LO STRANIERO
A cura di Annie Cohen-Solal
con un intervento di Johan Popelard del Musée national Picasso-Paris
Organizzata da Fondazione Roma con Marsilio Arte
Al Museo del Corso – Polo Museale dal 27 febbraio 2025 apre la seconda tappa italiana della mostra “Picasso lo straniero”.
A Roma oltre 100 opere con un nucleo inedito dedicato alla primavera romana del 1917. Dipinti, disegni, ceramiche, fotografie, documenti, che presentano il percorso di Picasso straniero in Francia. Organizzata da Fondazione Roma con Marsilio Arte, Picasso lo straniero apre al Museo del Corso – Polo Museale dal 27 febbraio 2025 ed è realizzata grazie alla collaborazione con il Musée national Picasso-Paris (MNPP), principale prestatore, il Palais de la Port Dorée di Parigi, il Museu Picasso Barcelona, il Musée Picasso di Antibes, il Musée Magnelli – Musée de la céramique di Vallauris e importanti e storiche collezioni private europee. L’idea originale del progetto è nata da Annie Cohen-Solal, curatrice della mostra con un intervento di Johan Popelard del Musée national Picasso-Paris. Picasso lo straniero presenta più di 100 opere dell’artista, oltre a documenti, fotografie, lettere e video: un progetto che si arricchisce – per la seconda tappa italiana dopo Palazzo Reale di Milano e Palazzo Te a Mantova – di un nucleo di opere inedite, selezionate dalla curatrice esclusivamente per il percorso espositivo del Museo del Corso – Polo Museale. La mostra presenta in particolare un’importante sezione dedicata alla primavera romana del 1917 trascorsa da Pablo Picasso con Jean Cocteau, Erik Satie, Serge de Diaghilev e Leonid Massine. Pablo Picasso, nato nel 1881 a Málaga in Spagna, si stabilisce a Parigi definitivamente nel 1904. Anche se la Francia lo ospiterà fino alla sua morte e la sua fama crescerà oltre i confini nazionali, l’artista non otterrà mai la cittadinanza francese: la mostra segue la traiettoria estetica e politica di Picasso, per illustrare come abbia plasmato la propria identità vivendo nella difficile condizione di immigrato. «La primavera romana di Picasso nel 1917 rimane un momento storico di rinascita per l’artista “straniero”, dopo la confisca (dicembre 1914) delle sue opere cubiste dal governo francese» commenta Annie Cohen-Solal curatrice e autrice del libro Picasso. Una vita da straniero (Prix Femina Essai, 2021) già tradotto in 10 lingue e pubblicato in Italia da Marsilio Editori. Il percorso della mostra, arricchito dai prestiti di importanti musei e collezioni private europee, sarà quindi un modo per approfondire ulteriormente come l’artista, maestro dell’arte del Novecento, si sia affermato, straniero in Francia, e abbia imposto le sue rivoluzioni estetiche. Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Milano, Teatro del Borgo: “Vania”

Mer, 29/01/2025 - 15:22
Milano, Teatro del Borgo, Stagione 2024/25 “VANIA” Drammaturgia collettiva da Anton Cechov Ivan FABIO ZULLI Sonia FRANCESCA GEMMA Elena VANESSA KORN Dottore UMBERTO TERRUSO Regia Stefano Cordella Scene e Costumi Stefania Coretti e Maria Barbara de Marco
Disegno luci Marcello Falco Produzione Oyes Milano, 24 febbraio 2025

Il secondo Cechov cui abbiamo assistito la settimana passata è per alcuni versi molto simile e per altri diametralmente opposto al primo. “Vania“ è una drammaturgia collettiva, ossia gli attori hanno scritto le loro stesse parti ispirandosi all’opera del drammaturgo russo; il pericolo, in casi come questo, è che l’attore, vuoi per ignoranza, vuoi per protagonismo, attinga sempre più al proprio vissuto e alla propria personalità, tenendosi lontano dal modello proposto, ma questo non è il caso dei quattro della Compagnia Oyes: ci troviamo di fronte, infatti, a un testo di rara corrispondenza drammaturgica e, allo stesso tempo, di notevole originalità. I cinque ruoli aderiscono perfettamente alle fisicità, alle vocalità, alle prossemiche dei loro interpreti, e non è superfluo specificarlo, giacché la scrittura è un formidabile mezzo di mistificazione del sé; Zulli, Gemma, Korn e Terruso, invece, sanno tenere bene le redini del difficile mezzo espressivo scelto, mantenendo una via di onestà a se stessi e al personaggio degna di lavori drammaturgici ben più illustri. Fabio Zulli è un Ivan come tutti, nella vita, ne abbiamo conosciuti: un uomo piccolo, insignificante, ma comunque a contatto con i propri sentimenti, il proprio lato oscuro, che si esprimono a prescindere da quello che accade – e nelle movenze, nella falsificazione della voce, ricorda davvero il lešij di Cechov, ossia lo spirito briccone e smargiasso che l’antica mitologia russa ricollegava, però, a una vita originaria boschereccia. Francesca Gemma della Sonia originale ci ripropone, in primis, la complessità di una ragazza allo stesso tempo felice e non felice, in difficile equilibrio tra ciò che le è stato dato e ciò che vorrebbe prendersi; l’interpretazione è naturalmente ben caratterizzata, anche nei momenti più bruschi o sofferti, senza dubbio aiutata da una cosciente gestione di un’estesa vocalità, che ci mostra nei momenti in cui canta “Mad World“. Vanessa Korn è, considerato il personaggio di Elena, quella su cui è più difficile esprimere un giudizio, giacché l’enigmaticità e l’introiezione dell’emotività sono i caratteri principali del personaggio; la fisicità con cui Korn decide di contraddistinguere il suo ruolo ne tradisce l’algore, poiché è severa e torreggiante nel suo abitino azzurro, spesso mossa da fremiti ed istinti selvaggi. Umberto Terruso, infine, è un dottore che si esprime senza dubbio più in profondità che in esteriorità: i suoi monologhi sono taglienti, il suo carattere conosce sia la complessità di Sonia sia l’incomunicabilità di Elena, ma anche il desiderio di leggerezza di Ivan, diventando l’oggetto del desiderio di tutta la famiglia, ma non sapendosi concedere davvero a nessuno dei tre come questi desiderano. Di fronte a ruoli così accuratamente viscerali, la regia di Stefano Cordella sa comunque trovare una cifra stilistica, un gesto unificante, ed è proprio il costringere gli interpreti ad entrare e uscire dal personaggio a scena aperta, per far sì che le luci (efficacemente disegnate da Marcello Falco) e le musiche dello spettacolo siano direttamente gestite da loro, ma anche il ridurre ai minimi termini le uscite vere e proprie dal palco, tenendo sempre a vista sia chi parla sia di chi si parla, in un gioco efficace di rispecchiamenti. Lo spettacolo si risolve così in un esito affascinante e strettamente coeso, perfettamente in equilibrio tra teatro di parola, drammaturgia di scena e postdrammatico: una piccola gemma che merita di continuare a riscuotere successi. Foto Matteo Gilli 

Categorie: Musica corale

Pagine