Roma, Casa Museo Hendrik Christian Andersen
“SALVARTI”
Roma, 16 ottobre 2024
Il 16 ottobre 2024, la Casa Museo Hendrik Christian Andersen di Roma ha accolto l’anteprima della mostra “SalvArti. Dalle confische alle collezioni pubbliche”, un evento di grande significato simbolico e culturale. Questa esposizione, che sarà aperta fino al 21 novembre 2024, presenta una collezione di 25 opere d’arte contemporanea, tutte sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata e ora restituite alla collettività. Non si tratta soltanto di un’esposizione artistica, ma di un progetto di valenza civile che intende riaffermare la centralità del patrimonio culturale quale strumento di promozione della legalità e della coscienza collettiva. All’inaugurazione erano presenti figure istituzionali di rilievo, tra cui il Sottosegretario di Stato alla Cultura, On. Gianmarco Mazzi, e il Sottosegretario all’Interno, On. Wanda Ferro, oltre al Direttore dell’Agenzia Nazionale per i Beni Sequestrati e Confiscati, Prefetto Maria Rosaria Laganà, e al Sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, affiancato dall’Assessore alla Cultura del Comune di Milano, Tommaso Sacchi. Durante i loro interventi, è emerso come la mostra SalvArti rappresenti il frutto di una collaborazione virtuosa tra diverse istituzioni, unite nello sforzo di restituire alla società un patrimonio artistico strappato alla criminalità. “La mostra SalvArti” – ha spiegato il Direttore generale Musei, Massimo Osanna – “rappresenta una prassi virtuosa, che va dalla valorizzazione del patrimonio culturale alla promozione della legalità, e si propone come un’opportunità di riflessione collettiva sui valori civici e sulla responsabilità sociale, soprattutto nei confronti delle giovani generazioni”. L’iniziativa non si ferma a Roma: dopo la tappa nella capitale, la mostra si sposterà al Palazzo Reale di Milano (2 dicembre 2024 – 26 gennaio 2025) e al Palazzo della Cultura di Reggio Calabria (8 febbraio – 27 aprile 2025). Il progetto più ampio, denominato “Arte per la cultura della legalità”, è stato organizzato dalla Direzione generale Musei del Ministero della Cultura in collaborazione con l’Agenzia Nazionale Beni Sequestrati e Confiscati, il Comune di Milano e la Città Metropolitana di Reggio Calabria, e vede il supporto del Ministero dell’Interno. Obiettivo principale è restituire alla collettività opere che per lungo tempo sono state invisibili, reinserendole in un contesto museale accessibile e sottolineando il ruolo determinante delle istituzioni coinvolte nel processo di recupero e verifica del loro valore artistico. Conclusa la tappa di Reggio Calabria, alcune delle opere confluiranno in istituti museali di prestigio come la Pinacoteca di Brera e Palazzo Citterio a Milano, la Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea a Roma, e il Museo del Novecento a Napoli. In particolare, una selezione delle opere restituite tornerà al Palazzo della Cultura “P. Crupi” di Reggio Calabria, un simbolo del riscatto culturale e civile in un territorio da sempre impegnato nella lotta contro la criminalità organizzata. La mostra offre al pubblico un articolato percorso nell’arte contemporanea, con opere di grafica, pittura, scultura, installazioni e fotografie, organizzate secondo criteri sia cronologici che tematici. Sono rappresentati movimenti come il gruppo “Novecento”, la Metafisica di Mario Sironi e Carlo Carrà, la Transavanguardia di Sandro Chia e la Nuova scuola Romana, fino a esperienze più sperimentali come il New Dada e l’arte murale di Keith Haring. Questa eterogeneità permette di cogliere la ricchezza dei linguaggi artistici che hanno attraversato la seconda metà del Novecento, toccando temi quali l’identità, la resistenza e la critica sociale. La visita a “SalvArti” è un viaggio che, oltre a coinvolgere gli occhi, interroga la coscienza. Le opere, ciascuna con una storia di recupero e riscatto, diventano simbolo di una riflessione più ampia sulla funzione dell’arte nella società: non mero ornamento, ma potente mezzo di denuncia e strumento di aggregazione civica. In questo senso, il progetto non è solo un’operazione culturale, ma un vero e proprio atto politico, che ribadisce il ruolo delle istituzioni e della cultura nella lotta contro la criminalità e nella costruzione di un futuro basato su valori di giustizia e partecipazione. Il significato più profondo di questa iniziativa risiede proprio nella restituzione alla collettività di ciò che è stato sottratto: non si tratta solo di opere d’arte, ma di pezzi di memoria e identità collettiva, che ora tornano a essere fruibili da tutti. In questo contesto, il linguaggio artistico assume una dimensione etica e politica, unendo passato e presente in un dialogo che coinvolge le istituzioni, gli artisti e il pubblico. “SalvArti” non è solo una mostra, ma un manifesto di resistenza culturale e di rinascita collettiva.
Milano, Teatro Menotti, Stagione 2024/25
MEDEA
di Euripide
Medea ROMINA MONDELLO
Giasone GIANLUIGI FOGACCI
Nutrice DEBORA ZUIN
Creonte PAOLO COSENZA
Coro CAMILLA BARBARITO, NICOLAS ERRICO, CLAUDIO PELLEGRINI
Regia Emilio Russo
Scenografia Dario Gessati
Musiche Andrea Salvadori
Costumi Pamela Aicardi
Produzione Tieffe Teatro
Milano, 12 ottobre 2024
La “Medea” di Emilio Russo, in scena al teatro Menotti di Milano, è uno spettacolo formalmente quasi ineccepibile: la scena, i costumi, i movimenti dei personaggi sono tutti tesi a una ponderata classicità, che trova un’efficace contraltare nei canti del Mediterraneo che sostituiscono gli stasimi del coro (suggestivamente interpretati da Camilla Barbarito e ben intessuti nel malioso progetto sonoro di Andrea Salvadori). C’è anche la ricerca di un patinato manierismo, con posizioni estremamente studiate, luci di taglio che accentuano le volumetrie, uso accademico della voce da parte di tutti gli interpreti, e questo non è di per sé un male, anzi: in un panorama a tratti stancamente postdrammatico, com’è la prosa meneghina, sorprende che un teatro di ricerca produca una “Medea” così demure, per usare un termine recentemente divenuto caro al popolo della rete; questo spettacolo è esattamente come dovrebbe essere e probabilmente come vorrebbe. Ma – doveva esserci un “ma” – questo classicismo, che abbiamo trovato perfettamente condivisibile per quanto riguarda gli aspetti visuali, si esaspera invece nella recitazione dei personaggi, specialmente in Romina Mondello: la sua è una Medea gelida, che snocciola un eloquio lentissimo e nel quale ogni parola è pesata, riflettuta; questo, contrariamente a quello che si può credere, è un errore, giacché se pesiamo e riflettiamo ogni parola il risultato che otteniamo è come se non ne pesassimo né riflettessimo alcuna; e infatti la Mondello cade più di una volta anche nella trappola di questo modus operandi, cioè la cantilena, nel suo caso una cadenza vagamente da hostess di volo, incapace di gridare, di arrabbiarsi, di alzare la voce per qualsivoglia motivo, e semmai che si rifugia nel mormorio, nel sussurro (tanto tutti gli interpreti sono microfonati). Accanto a lei Gianluigi Fogacci mostra una verve ben diversa, ma che spesso si trattiene, proprio per assecondare il registro della protagonista. Apprezzabile, invece, Debora Zuin, proprio grazie a una maggiore naturalezza del fraseggio, per quanto con un ruolo di lato (la Nutrice). Il risultato è che un testo che sarebbe dovuto durare un’ora (visti i larghi taglie effettuati sull’originale euripideo) dura più di due, lentamente dissanguando il pubblico. Questo è il vero rischio di una messa in scena tanto estetizzante: la noia, cui nessuno, dal critico più feroce al ragazzino portato per la prima volta a teatro, è immune. Questa “Medea” è visivamente splendida, ma piuttosto noiosa sul piano performativo, e, per di più, senza un’apparente ragione (giacché lo stesso spettacolo funzionerebbe sicuramente meglio cambiando unicamente il ritmo). Peccato, poiché più di una volta ci siamo professati strenui sostenitori delle messe in scena di teatro classico, ma queste devono fare i conti con una ricevibilità da parte del pubblico, che non significa snaturarne per forza la radice antica, ma nemmeno trattare questa materia con un’archeologica, per quanto commovente, riverenza. Foto Roberto De Biasio
la Stagione Lirica di Padova 2024 entra nel vivo del suo appassionante viaggio tra le emozioni più profonde dell’animo umano: la gioia, la speranza e il trionfo del bene sul male. Tra le tre opere iconiche che compongono questa stagione, brilla la struggente bellezza di Madama Butterfly di Giacomo Puccini, che andrà in scena venerdì 18 ottobre alle ore 20.45 e domenica 20 ottobre alle ore 16.00 al Teatro Verdi di Padova.
Personaggi e interpreti
Madama Butterfly (Cio-Cio-San) VITTORIA YEO (18/10); FRANCESCA DOTTO (20/10)
B.F. Pinkerton GIORGIO BERRUGI
Suzuki FRANCESCA DI SAURO
Sharpless JORGE NELSON MARTINEZ
Goro ROBERTO COVATTA
Lo zio Bonzo CRISTIAN SAITTA
Il Principe Yamadori WILLIAM CORRÒ
Kate Pinkerton ALEKSANDRA METELEVA
Il commissario imperiale FRANCESCO MILANESI
L’ufficiale del registro FRANCESCO TOSO
Coro Lirico Veneto
Maestro del Coro: MATTEO VALBUSA
ORCHESTRA DI PADOVA E DEL VENETO
Maestro Concertatore e Direttore d’orchestra: FRANCESCO ROSA
Regia, Scene, Costumi: FILIPPO TONON
Airat Ichmouratov (b. 1973): Piano Concerto, Op. 40 (2012 – 13, revised 2021). Piano part edited by Jean-Philippe Sylvestre To Jean-Philippe Sylvestre. Concerto No. 1, Op. 7 (2004, revised 2021) in G minor for Viola and Orchestra. Viola part edited by Elvira Misbakhova. Elvira Misbakhova (viola). Jean-Philippe Sylvestre (pianoforte). London Symphony Orchestra. Carmine Lauri (direttore). Natalia Lomeiko (direttore ospite). Registrazione: LSO St Luke’s, Londra 19-20 Aprile (Concerto per pianoforte), 5 maggio (Concerto per viola n. 1). T. Time: 75′ 53″. 1 CD CHANDOS CHSA 5281
Il Concerto n. 1 per viola e orchestra e il Concerto per pianoforte e orchestra del compositore russo, naturalizzato canadese Airat Ichmouratov, che non ha mai nascosto la sua preferenza per una scrittura ancorata al sistema tonale, costituiscono il programma di una recente proposta discografica della Chandos, come dimostrato anche da questi due lavori composti in tempi diversi, ma rivisti di recente. Il primo fu scritto, infatti, nel 2004 per la violista Elvira Misbakhova, che aveva chiesto a Ichmouratov, allora studente di direzione d’orchestra a Montreal, un concerto che avrebbe dovuto essere da lei eseguito in occasione del suo esame di dottorato e nel quale convivessero elementi virtuosistici e momenti lirici, mentre il secondo, composto nel 2012-2013, è rimasto per quasi una decina d’anni nel cassetto dal quale è stato tratto grazie al contributo del pianista Jean-Philippe Sylvestre il quale ha apportato alla parte del solista anche modifiche, necessarie soprattutto in considerazione del fatto che Ichmouratov è un clarinettista e non un pianista. In tre movimenti, entrambi i lavori si riallacciano alla grande tradizione tardo-romantica di questa forma e, pur segnalandosi per la bellezza di alcune melodie e per la ricca tavolozza orchestrale utilizzata da Ichmouratov, che sicuramente dimostra un’ottima padronanza dei mezzi espressivi, destano dubbi e perplessità sulla validità e l’interesse che possa suscitare una scrittura che nel 2023 appare alquanto anacronistica se non del tutto superata. All’ascolto, infatti, si ha l’impressione di trovarsi di fronte a composizioni che rivelano un solido mestiere, senza far gridare al capolavoro. Ottima comunque l’esecuzione da parte di Elvira Misbakhova che, come Sylvestre, ha dato anche lei il suo contributo alla parte solistica e che evidenzia una splendida e calda cavata nei passi maggiormente espressivi, come il secondo movimento del Concerto per viola, e una solida tecnica nei momenti virtuosistici. Stesso discorso va fatto anche per il pianista Jean-Philippe Sylvestre, anche lui dotato di una solida tecnica e di un tocco veramente espressivo. Ottima anche la prova della London Symphony Orchestra, ben diretta da Carmine Lauri nel Concerto per pianoforte e da Natalia Lomeiko in quello per viola
Milano, Teatro alla Scala, Stagione 2023/24
“LA DAME AUX CAMÉLIAS”
Balletto in tre atti dal romanzo di Alexandre Dumas figlio
Coreografia e Regia John Neumeier
Musica Fryderyk Chopin
Marguerite Gautier ALINA COJOCARU
Armand Duval CLAUDIO COVIELLO
Monsieur Duval EDOARDO CAPORALETTI
Nanine CHIARA FIANDRA
Le Duc MASSIMO GARON
Prudence CAMILLA CERULLI
Le Comte de N. SAÏD RAMOS PONCE
Manon MARTINA ARDUINO
Des Grieux NICOLA DEL FREO
Olympia AGNESE DI CLEMENTE
Gaston Rieux GIOACCHINO STARACE
Un pianista MARCELO SPACCAROTELLA
Corpo di ballo e Orchestra del Teatro alla Scala di Milano
Direttore Simon Hewett
Scene e Costumi Jürgen Rose
Milano, 14 ottobre 2024
Come avevamo anticipato, siamo tornati al Teatro alla Scala per la replica del 14 ottobre de La dame aux camélias. Ci siamo già dilungati sulla coreografia la scorsa volta (qui la recensione della serata dell’8 ottobre). Aggiungiamo soltanto qualche considerazione legata ai commenti che siamo riusciti a captare in sala tra chi chiacchierava con il vicino nelle pause. Qualcuno ha notato una difficoltà a seguire la trama senza la lettura preventiva del soggetto. Pur essendo consci che ciò ha la significatività di tutte le cose che casualmente capitano, e quindi non si tratta di un’indagine strutturata, questa osservazione ci ha fatto ragionare sul fatto che noi non abbiamo colto questa difficoltà pur non avendo letto il soggetto. O meglio, una volta letto abbiamo notato che non tutto quello che il soggetto voleva comunicare ci è arrivato, ma ogni momento dello spettacolo ci appariva parlante. Non avremmo letto il soggetto se in sala non avessimo colto questa osservazione, e ci siamo chiesti il perché. Forse per la conoscenza del romanzo, com’è ad esempio per il rapporto della protagonista con Manon, che è colonna portante della drammaturgia di questa coreografia? O forse perché siamo riusciti a cogliere dei dettagli e sfumature che altri non sono riusciti a cogliere per una disattenzione, minore sensibilità o semplicemente a causa della posizione in cui si era seduti? Ci siamo effettivamente accorti che questa coreografia fonda molto sui particolari: un’espressione, un cartello (quello che annuncia il balletto di Manon effettivamente è scritto con una dimensione tale che non da tutte le posizioni è chiaramente leggibile: se non si riesce a leggere il cartello non si riesce a capire a quale balletto i protagonisti stanno assistendo, e quindi il riferimento al rapporto Margherita-Manon, ammesso che uno spettatore lo conosca…), oppure la coesistenza sul palco di due piani temporali che si sovrappongono e sono legati da un dettaglio, com’è per il finale: Margherita sta scrivendo in secondo piano sul palco il diario che Armand sta leggendo in primo piano, in un momento in cui lei è già morta nel “deserto del cuore” (o, se vogliamo, nel “popoloso deserto che appellano Parigi”, seguendo una celebre citazione de La Traviata). Tutto ciò è forse legato alle evoluzioni estetiche che il repertorio ha visto nel corso del tempo. Semplificando molto, bisogna sicuramente considerare che il rapporto controverso che la danza ha con il libretto dello spettacolo è cosa nota già alla settecentesca disputa Angiolini-Noverre. Inoltre, se il balletto romantico è passato da Giselle al grand ballet à la Marius Petipa, dove la trama era sostanzialmente in funzione della danza e delle sue abilità e i personaggi erano innanzitutto danzatori, con questi nuovi balletti narrativi successivi a Cranko nasce una nuova attenzione alla rappresentazione della vicenda, che a volte dà l’impressione di essere quasi cinematografica. Ma il cinema non è il teatro. Sta qui il nodo? Ma lasciamo qui la questione aperta. Non abbiamo soluzione. Passando ai protagonisti di questa serata, l’interpretazione di Margherita da parte di Alina Cojocaru ci è apparsa molto intima, fatta di pochi nervosismi tout court, ma piuttosto aleggiava una sorta di disagio perenne, una psicologia molto minuta e fatta di sguardi che lasciano solo intuire quel che sta dietro. Claudio Coviello è stato un Armand appassionato, ma anche con la capacità di essere cattivo nel momento necessario: per chi lo conosce, le sue capacità interpretative oltre a quelle di danzatore non sono una sorpresa, e maturano sempre, non vengono lasciate poi ai manierismi che si sono in passato rivelati efficaci. Lo spettacolo si chiude sul sipario che cala nel buio e nei suoi occhi lucidi. L’intero cast è stato all’altezza, e segnaliamo in special modo: Martina Arduino e Nicola Del Freo, nei ruoli di Manon e Des Grieux; Agnese Di Clemente, un’Olympia ricca di mossette e sfumature che ci confermano le capacità emerse durante il suo debutto nel ruolo di Giulietta tempo fa; Gioacchino Starace, che con la sua allure da divo dl cinema era molto azzeccato nel ruolo di Gaston (seppure con qualche sbavatura tecnica). Approfittiamo di questo spazio per commentare velocemente la musica, tutta di Chopin, musicista scelto da Neumeier per affinità biografiche con la donna a cui il romanzo è ispirato, e diretta da Simon Hewett. Anche se la principale protagonista è la pianista Vanessa Benelli Mosell, che ha suonato da protagonista durante tutto lo spettacolo, e da sola per tutto il secondo atto con grande sensibilità ma anche attenzione alla danza senza sminuire l’esecuzione musicale. Ultima replica il 16 ottobre con lo stesso cast, non perdetela! Foto Brescia & Amisano
Roma, Teatro Vascello
ALTRI LIBERTINI
di Pier Vittorio Tondelli
regia Licia Lanera
Compagnia Licia Lanera
con Giandomenico Cupaiuolo, Danilo Giuva, Licia Lanera, Roberto Magnani
luci Martin Palma
sound design Francesco Curci
costumi Angela Tomasicchio
aiuto regia Nina Martorana
tecnico di Compagnia Massimiliano Tane
Prodotto da Compagnia Licia Lanera con il sostegno di Ravenna Teatro
Romaeuropa Festival 2024 – In corealizzazione con la Fabbrica dell’Attore Teatro Vascello
Roma, 15 Ottobre 2024
“Ogni vita è un esperimento e se non si cade almeno una volta, non si può dire di aver vissuto veramente.” P. V. Tondelli
Tondelli, il suo stile di scrittura e l’esegesi del suo romanzo “Altri Libertini” rappresentano un’odissea letteraria e generazionale. L’opera è il manifesto di una gioventù che, tra gli anni Settanta e Ottanta, si ribellava a ogni convenzione, spinta da un desiderio febbrile di scoperta e di libertà. Con il suo linguaggio crudo, volutamente scomposto e spesso poetico, Tondelli tratteggia i contorni di un’umanità ai margini, esaltandone le fragilità e l’anelito di assoluto. In “Altri Libertini“, pubblicato nel 1980, l’autore racconta con vividezza la vita di giovani sradicati, tra viaggi, speranze, disillusioni e tentativi di riscatto. Una narrazione episodica, apparentemente frammentaria, che tuttavia costruisce un affresco coerente e potentemente evocativo di un’Italia in transizione, ancora sospesa tra modernità e conservatorismo. L’adattamento teatrale di questa raccolta per la regia di Licia Lanera, si inserisce perfettamente in questo contesto, riportando sulla scena le pulsioni vitali e le angosce dei personaggi tondelliani. Fin dall’apertura del sipario, la struttura narrativa, avvolta in un’apparente ambiguità drammaturgica, si disvela gradualmente, come se il testo si disciogliesse sotto l’azione performativa degli attori, veri demiurghi di senso. L’incertezza iniziale, frutto di una tensione voluta tra parola e azione, si trasforma in un percorso ermeneutico che, come un filo d’Arianna, conduce lo spettatore verso una comprensione più profonda. Gli attori, con il loro corpo e la loro voce, incarnano un processo di decostruzione e ricostruzione del racconto, intrecciando le proprie biografie artistiche alle suggestioni metatestuali, che trovano echi nelle opere di Pier Vittorio Tondelli. Non è, quindi, un semplice omaggio letterario. Il pubblico, che inizialmente si attendeva di assistere a una lineare parafrasi del mondo tondelliano, si trova di fronte a un ribaltamento di aspettative. La delusione, prima latente, si dissolve per lasciare spazio alla consapevolezza che lo spettacolo è ben altro: è un organismo vivo, che trascende la pagina scritta e dialoga con l’epoca evocata. La scena si radica in un contesto storico preciso: sono gli anni della droga, dell’AIDS, dei primi movimenti omosessuali che, in un’Italia ancora sospesa tra modernità e retaggi conservatori, iniziano a reclamare la propria visibilità e legittimità. Bologna, in quel decennio, emerge come la città più aperta e trasgressiva d’Italia, un crogiolo di sperimentazioni artistiche e politiche. Umberto Eco inaugurava il DAMS, mentre le aule dell’Alma Mater Studiorum ospitavano alcuni dei più grandi pensatori e artisti del tempo, rendendo la città un epicentro di una rivoluzione culturale. Le note di Vasco Rossi, icona ribelle di un’epoca in cui l’individualismo era strumento di affermazione, si fondono con i cori di protesta, configurando un paesaggio sonoro che diventa metafora di lotta esistenziale e collettiva. Licia Lanera, la prima regista a ottenere i diritti per la messa in scena teatrale di “Altri Libertini”, riesce a tradurre l’irriverenza e la disperata vitalità dei personaggi di Tondelli in una performance fisica ed emotiva. La regista sceglie tre racconti della raccolta – “Viaggio”, “Altri Libertini” e “Autobahn” – per creare un’unica narrazione drammatica che segue il filo conduttore della ricerca di libertà e identità in un contesto sociale asfissiante. Sul palco, gli attori Giandomenico Cupaiuolo, Danilo Giuva, la stessa Licia Lanera e Roberto Magnani interpretano le ansie, le passioni e le sconfitte di questi giovani, dando vita a un mondo frammentato e caotico, ma terribilmente autentico. Dal punto di vista scenografico, lo spettacolo è un esempio di minimalismo simbolico. La scena è volutamente spoglia, quasi sterile, a richiamare il vuoto esistenziale dei protagonisti. I personaggi si muovono in uno spazio indefinito, dove l’unico elemento di concretezza è la loro stessa fisicità. I movimenti coreografati degli attori, che attraversano la scena con energia e dinamismo, sono al centro della rappresentazione, mentre le luci, curate da Martin Palma, scandiscono i momenti emotivi più intensi. L’uso di fasci di luce netti e taglienti crea un contrasto visivo che accentua il senso di alienazione, illuminando solo frammenti di realtà, proprio come la narrazione frammentaria di Tondelli. Il sound design, firmato da Francesco Curci, è un altro elemento chiave che accompagna lo spettatore nel mondo caotico e disordinato di “Altri Libertini”. Al termine della rappresentazione, il grande trasporto del pubblico è stato evidente, con lunghi applausi e ovazioni. Gli attori, visibilmente commossi, hanno condiviso con il pubblico un momento di catarsi collettiva, una commozione liberatoria che ha attraversato la sala. E, nel contesto di tutto questo, emerge forte la consapevolezza di quanto manchi una figura come Tondelli nel panorama letterario odierno: un autore capace di raccontare senza filtri le ombre e le luci di una generazione, di dare voce a chi non ne aveva. La sua assenza si sente, ma la sua eredità continua a pulsare, viva e potente, grazie a opere come questa.
L’arte esce dai musei: la Dea Roma accoglie i visitatori all’Hotel Mediterraneo
Il progetto “Arte fuori dal Museo” porta capolavori nascosti negli alberghi romani, inaugurando una nuova sinergia tra cultura e turismo
Roma, 15 Ottobre 2024
Nel suggestivo contesto dell’Hotel Mediterraneo a Roma, ha preso vita un ambizioso progetto che unisce arte e turismo in una simbiosi innovativa e audace. “Arte fuori dal Museo” si configura come una felice espressione di quella crescente volontà, da parte delle istituzioni culturali e degli operatori del settore turistico, di superare i confini tradizionali dei luoghi espositivi per avvicinare il grande pubblico alle meraviglie del patrimonio storico-artistico italiano. Grazie all’accordo siglato tra la Direzione generale Musei del Ministero della Cultura, Federalberghi Lazio e l’associazione LoveItaly, è stato avviato un programma di valorizzazione che vede protagoniste opere d’arte e reperti archeologici finora custoditi nei depositi museali, ora resi visibili in spazi non convenzionali, come gli alberghi. La statua della Dea Roma, opera risalente al II secolo d.C., rappresenta la prima testimonianza concreta di questa iniziativa, esposta nella grande hall dell’Hotel Mediterraneo. Il marmo bianco, che fino a poco tempo fa giaceva nei depositi del Museo Nazionale Romano, è stato sottoposto a un accurato restauro grazie al contributo del gruppo Bettoja Hotels, che ha anche finanziato il trasporto e l’allestimento della statua in una teca protettiva. Questo esemplare raffigurante la Dea Roma o Virtus, con i tratti vigorosi del viso e l’imponente portamento militare, si inserisce armoniosamente negli interni dell’Hotel Mediterraneo, arricchiti da marmi e mosaici ispirati alla mitologia e alla romanità, conferendo all’intero progetto un significato ancora più profondo. Il progetto “Arte fuori dal Museo” nasce da una visione lungimirante che, come sottolineato dal direttore del Museo Nazionale Romano Stéphane Verger, mira non solo a rendere accessibili opere altrimenti inaccessibili al pubblico, ma a sperimentare nuovi modi di fruizione del patrimonio culturale. Questa collaborazione tra pubblico e privato si configura come una risposta pragmatica alle esigenze di valorizzazione dei tesori nascosti nei depositi museali, che spesso, per ragioni di spazio o di rotazione delle esposizioni, non trovano collocazione permanente all’interno dei musei stessi. La possibilità di esporre questi capolavori in ambienti inusuali, come le prestigiose sale degli alberghi, rappresenta una duplice opportunità: da un lato, consente ai visitatori e agli ospiti degli hotel di vivere un’esperienza unica di contatto diretto con la storia e l’arte; dall’altro, conferisce agli stessi alberghi un nuovo prestigio, legato alla loro capacità di custodire e rendere accessibile il bello. Le parole del presidente del gruppo Bettoja Hotels, Maurizio Bettoja, riflettono pienamente questa visione. La statua della Dea Roma, con il suo elmo ornato da un pennacchio e la corta tunica che lascia scoperto il seno destro, si integra perfettamente con l’estetica dell’Hotel Mediterraneo, il cui design razionalista, con richiami alla mitologia classica e alla grandezza della civiltà romana, trova in questo marmo una sintesi visiva e concettuale del proprio spirito. L’esposizione della statua, che resterà visibile per dodici mesi, è solo il primo passo di un progetto che, nelle intenzioni dei suoi promotori, potrebbe estendersi ad altri alberghi di Roma e del Lazio, arricchendo l’offerta culturale e turistica della regione. L’idea di rendere fruibili opere d’arte in spazi così particolari, come ha sottolineato Massimo Osanna, Direttore generale Musei, risponde a una precisa esigenza: esplorare strategie innovative per diffondere il patrimonio culturale e renderlo accessibile a un pubblico sempre più vasto. La collaborazione tra musei e hotel, come quella avviata tra il Museo Nazionale Romano e il gruppo Bettoja Hotels, si inserisce perfettamente in questa visione, garantendo non solo la tutela delle opere esposte, ma anche una loro maggiore visibilità e apprezzamento da parte di visitatori provenienti da ogni parte del mondo. L’iniziativa “Arte fuori dal Museo” non si limita alla semplice esposizione di opere d’arte. Il progetto mira a creare una nuova narrazione del patrimonio culturale, in cui arte e turismo si fondono in un dialogo continuo. Questa innovativa sinergia tra l’ambito culturale e quello ricettivo trova un equilibrio perfetto, permettendo a reperti archeologici e capolavori artistici di vivere una nuova stagione di visibilità, mentre gli alberghi diventano luoghi in cui il tempo si dilata e la storia si manifesta in ogni dettaglio architettonico, offrendo ai visitatori l’opportunità di immergersi in un’esperienza unica di bellezza e memoria. Ai promotori dell’iniziativa spetta il merito di aver intuito come questa convergenza tra arte e ospitalità possa generare un beneficio condiviso, capace di arricchire l’esperienza del viaggiatore e, al contempo, contribuire alla diffusione della cultura italiana, valorizzando non solo il patrimonio conservato nei musei, ma anche quei luoghi che, come gli alberghi, rappresentano da sempre un punto di riferimento per chi visita la Città Eterna. PhVirginiaBettoja
Roma, Teatro Vascello
RomaEuropa Festival 2024
CIME TEMPESTOSE
di Emily Brontë un progetto di Martina Badiluzzi
regia e drammaturgia Martina Badiluzzi
con Arianna Pozzoli e Loris De Luna
dramaturg Giorgia Buttarazzi
collaborazione alla drammaturgia Margherita Mauro
scene Rosita Vallefuoco
suono e musica Samuele Cestola
luci Fabrizio Cicero
drammaturgia del movimento Roberta Racis
produzione Cranpi, CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, Romaeuropa Festival
in corealizzazione con La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello
con il contributo di MiC – Ministero della Cultura
con il sostegno di Teatro Biblioteca Quarticciolo
Il potere trasformativo della scrittura femminile si manifesta attraverso autrici come Emily Brontë che hanno ridefinito il panorama letterario e plasmato l’immaginario di generazioni. Attraverso romanzi come “Cime tempestose”, la scrittrice ha saputo esprimere il fervore per l’emancipazione che ha permeato la sua esperienza nella brughiera dello Yorkshire vittoriano. Cresciuta in un contesto che mescolava la selvaggia natura della regione con i fermenti della rivoluzione industriale, costretta a celare la sua attività di autrice sotto uno pseudonimo maschile, Brontë rifletteva profondamente sull’alienazione emergente nella società capitalistica dell’epoca. Non è quindi un caso se la regista Martina Badiluzzi si sia rivolta a questo romanzo e alla sua autrice per il quarto capitolo del suo ciclo sulle identità femminili (“Cattiva sensibilità”, “The making of Anastasia” – vincitore del bando Biennale di Venezia Registi Under 30 nel 2019 – e “Penelope” – co-prodotto da Romaeuropa Festival 2022). Il suo “Cime Tempestose” è un dialogo tra interiore ed esteriore, una riflessione sull’ambivalenza della natura umana. Trasportando gli spettatori al centro dell’universo tormentato di Catherine e Heathcliff (qui interpretati da Arianna Pozzoli e Loris De Luna), Badiluzzi rende omaggio alla potenza intrinseca della letteratura e dell’arte, concludendo il suo percorso sulle identità con due figure tragiche del contemporaneo «mito fondante della nostra società, racconto del profondo fraintendimento tra femminile e maschile, tra natura e civiltà». Qui per tutte le informazioni.
Roma, Teatro Brancaccio
PETER PAN: IL MUSICAL
Luca Nencetti nel ruolo di Peter Pan
Martha Rossi nel ruolo di Wendy
Renato Converso nel ruolo di Spugna
e con la partecipazione straordinaria di Claudio Castrogiovanni nel ruolo di Capitan Uncino
musiche Edoardo Bennato
scenografie Rinaldo Rinaldi, Rino Silveri
direzione musicale Davide Magnabosco
vocal coach Alex Procacci
coreografia Rita Pivano
tecnica acrobatica Olga Nuraliyeva
laboratorio scenografico Materico
design luci Amilcare Canali
video designer Virginio Levrio
costumi Annunziata – Nunzia – Aceto
parrucche Francesca Scalera
Tratto dal romanzo di James Matthew Barrie che ha conquistato generazioni di ragazzi e non, Peter Pan – Il Musical non è un semplice spettacolo teatrale, ma un vero e proprio sogno da condividere con gli amici e la famiglia. “Il rock di Capitan Uncino”, “La fata”, “Viva la mamma”, “Sono solo canzonette”, la celeberrima “L’Isola che non c’è” e molti altri brani del famoso cantautore ti accompagneranno in questo straordinario viaggio che è anche un meraviglioso viaggio in musica. 20 performer in scena, diretti dal regista Maurizio Colombi, animano un mondo magico arricchito da grandi effetti speciali come il volo di Peter. Le scenografie realizzate con grande maestria faranno da sfondo agli immancabili duelli tra Peter e Capitan Uncino e i suoi pirati, alle avventure di Peter, Wendy e i suoi fratelli con la fatina Trilli, il simpatico Spugna, la vivace compagnia dei Bimbi Sperduti, Giglio Tigrato e il sinistro ticchettio dell’astuto Coccodrillo che terrorizza Uncino. Dopo il debutto assoluto nel 2006 al Teatro Augusteo di Napoli, è stato riallestito diverse volte negli anni fino all’ultima produzione del 2019. La sua eterna fama e i prestigiosi premi ricevuti, hanno contribuito a espandere la sua popolarità anche all’estero, fino ad arrivare nel 2018 anche alla Royal Opera House Muscat in Oman. Preparati. Solo chi sogna può volare! Qui per tutte le informazioni.
Roma, Museo di Roma In Trastevere
ROMA CHILOMETROZERO
Dal 16 ottobre 2024 al 9 marzo 2025 il Museo di Roma in Trastevere ospita “Roma ChilometroZero”, un progetto fotografico che ha l’ambizioso obiettivo di raccontare la città di Roma attraverso gli occhi di quindici fotografi romani. Si tratta di una ricerca di straordinaria profondità, capace di cogliere la complessità, i cambiamenti e le particolarità di una città che non smette mai di stupire e affascinare. L’iniziativa nasce con l’intento di offrire una prospettiva inedita, esplorando le sfumature più intime di Roma, che spesso sfuggono all’immaginario collettivo fatto di monumenti iconici e bellezze conosciute in tutto il mondo. I fotografi coinvolti, ognuno con il proprio stile e sensibilità, hanno dato vita a un mosaico di immagini che mostrano una città dalle mille facce: non solo il centro storico ma anche i quartieri periferici, i dettagli nascosti, gli sguardi delle persone, gli angoli che raccontano storie dimenticate o appena emerse. “Roma ChilometroZero” è più di una semplice esposizione: è un metodo di indagine alternativa, una raccolta di punti di vista diversi e spesso lontani dalla narrazione consueta della capitale. Ogni fotografo ha scelto un tema, un percorso, una chiave interpretativa che ha trasformato in un racconto visivo. Gianluca Abblasio, Linda Acunto, Andrea Agostini, Matteo Capone, Clelia Carbonari, Alfredo Corrao, Alessio Cupelli, Nicoletta Leni Di Ruocco e Massimiliano Pugliese, Simona Filippini, Sara Nicomedi, Lavinia Parlamenti, Valerio Polici, Gianni “Gianorso” Rauso, Paolo Ricca e Francesca Spedalieri: ognuno di loro ha contribuito a creare un ritratto inedito di Roma, fatto di storie intime e coraggiose, capaci di sorprendere e emozionare. Il progetto, oltre a offrire una lettura diversa della città, rappresenta un’occasione di scoperta e riscoperta del territorio, permettendo al pubblico di osservare con occhi nuovi ciò che è da sempre sotto i loro sguardi, ma che spesso viene ignorato. Si tratta di un incontro tra due leggende: la città eterna, con la sua storia millenaria, e la fotografia, linguaggio contemporaneo in grado di raccontare e reinterpretare il reale. La mostra conclusiva, che raccoglierà le immagini più significative del progetto, sarà una celebrazione di questo lavoro corale, offrendo al pubblico una panoramica sulla Roma di oggi, con le sue contraddizioni, i suoi colori, le sue ombre e le sue luci. Le immagini selezionate saranno inoltre raccolte in un volume edito da Contrasto, in concomitanza con l’esposizione, e parte delle stampe realizzate verranno donate all’Archivio fotografico del Museo di Roma, garantendo così che questo importante lavoro di documentazione rimanga a disposizione delle future generazioni. “Roma ChilometroZero” è un invito a perdersi nella città, a lasciarsi sorprendere dai suoi dettagli, a scoprire una Roma che non è solo quella dei turisti e delle cartoline, ma è anche quella vissuta ogni giorno dai suoi abitanti, fatta di vite comuni e straordinarie allo stesso tempo. Un progetto che – come la città che racconta – non è mai uguale a se stesso, ma è in continua evoluzione, in un dialogo costante tra passato e presente, tra memoria e contemporaneità.
Roma, RomaEuropa Festival 2024
“DEAR SON”
Coreografia Simone Repele & Sasha Riva
Danzatori Anne Jung, Sasha Riva, Simone Repele
Musiche Gino Paoli, Claudio Villa, Fabrizio de André, Ólafur Arnalds, Arvo Pärt
Disegni Gu Jiajun (con l’aiuto di Adèle Vettu)
Disegno luci Alessandro Caso
Produzione Riva & Repele, Le Voisin
Coproduzione Orsolina 28, Centre des Arts Geneve, Romaeuropa Festival, Daniele Cipriani Entertainment
Roma, Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, 10 ottobre 2024
Uno spettacolo intimo, drammatico, familiare, piuttosto distaccato dal resto degli spettacoli di danza visti quest’anno a RomaEuropa Festival, è stato ai nostri occhi Dear Son, presentato sere fa nella Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica. Ad attrarci due nomi di rilievo della coreografia contemporanea, quali Simone Repele e Sasha Riva, già danzatori del Balletto di Amburgo e del Balletto di Ginevra e fondatori nel 2020 di una propria compagnia che si è imposta all’attenzione per una particolare sensibilità poetico-teatrale fin dalla prima produzione, Lili Elbe Show. Nel loro linguaggio la danza neoclassica si fonde perfettamente con il contemporaneo, distinguendosi per una particolare energia figurativa. Mesi fa ne avevamo ammirato la levità evocativa capace di infondere una certa giocosità finanche al tema della morte per amore, trasposto dalla tradizione del balletto alla contemporanea quotidianità, nel lavoro I Died for Love presentato in febbraio nella stagione del Teatro dell’Opera di Roma in una serata dedicata ai giovani coreografi. In quell’occasione importante era stato il confronto con il corpo di ballo del teatro e con le scene di Michele Della Cioppa, nonché con i costumi di Anna Biagiotti. A RomaEuropa adesso ci confrontiamo con un trio di interpreti formato dagli stessi coreografi supportati dall’intensa presenza scenica di Anne Jung e una scena molto più spoglia e ridotta all’essenziale. Grande importanza hanno qui le luci di Alessandro Caso e la scelta delle musiche. Dei frastuoni elettronici iniziali nel buio, con i danzatori a terra echeggiano il tema della guerra. Poi un tavolino laterale in un’atmosfera illuminata da una luce soffusa, con la danzatrice di spalle che osserva una foto. È questo il pretesto per una serie di flashback, destinati a mettere insieme passato, presente e futuro. Di nuovo un rimando alla guerra, ma più ironico, grazie alle strofe di Bella ciao, che inneggiano alla Resistenza. Di origini torinesi è del resto Simone Repele, e lo spettacolo è stato ideato presso la Fondazione Orsolina 28 a Moncalvo, in Piemonte. La musica leggera italiana apporta un clima leggermente vintage e nel suo fondersi con brani più contemporanei ben si presta all’idea dei vari sfasamenti temporali. Ad infondere un particolare tocco lirico è Il cielo in una stanza di Gino Paoli, che fin dal titolo comunica l’assenza di peso nel trattamento del tema. Dear Son è difatti la lettera di una madre al figlio perduto in guerra, l’esperienza più atroce che possa capitare ad un genitore. Nello sguardo della madre però il dolore è mitigato dalla dolcezza del ricordo dei primi tempi d’amore, di quando il figlio era ancora in grembo e di quando la famiglia era stata felice. Gli interpreti si alternano in espressivi passi a due, che attraverso incisivi movimenti neoclassici alternati al contemporaneo permettono di esplorare la potenza dei sentimenti osservati dall’esterno. L’interpretazione è radicata nella performatività del corpo. I gesti e le espressioni del viso anche quando calcati servono a fissare momenti di vita che appaiono distanti. I quadri coreografici si alternano senza appesantire in alcun modo lo spettatore che forse a volte desidererebbe una maggiore corposità. Uno sbriciolare di farina richiama alla mente ancora una volta la guerra, ma anche la sopravvenuta vecchiaia e la perdita della freschezza di un tempo. Con delicatezza lo spettacolo si chiude grazie ai disegni di Gu Jiajun, che simbolizzano un legame familiare che mai si estingue, va oltre passato e presente, la vita e la morte. Spettacolo più di nicchia del solito per Romaeuropa, ma penetrante nella sua ispirata drammaticità. Foto Angelina Bertrand
Roma, Villa Borghese
PROGETTO D’ARTE LAVINIA
Nel cuore pulsante di Villa Borghese, uno dei più illustri tesori architettonici della Capitale, si assiste a una rinascita culturale di notevole portata. Il 18 ottobre verrà presentata la conclusione del primo lotto di restauro della storica Loggia dei Vini, un raffinato padiglione per banchetti edificato tra il 1609 e il 1618 per volere di Papa Paolo V Borghese. Questo luogo, un tempo fulcro di riunioni e feste conviviali durante le calde serate estive, riapre finalmente le sue porte al pubblico, svelando nuovi splendori e antiche meraviglie. Il restauro, eseguito con meticolosa cura da R.O.M.A. Consorzio sotto la supervisione scientifica della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, è stato reso possibile grazie alla generosa donazione della società Ghella. Il progetto prevede tre fasi di lavorazione, ciascuna mirata a restituire alla Loggia la sua originaria magnificenza. La prima fase, appena conclusa, ha interessato la volta interna, l’affresco centrale e i pilastri del padiglione, precedentemente compromessi da insidiose infiltrazioni d’acqua. Gli interventi hanno permesso di recuperare preziosi dettagli architettonici e pittorici, riportando alla luce colori e forme che il tempo aveva offuscato. A partire dal 19 ottobre, la riapertura della Loggia dei Vini sarà ulteriormente arricchita dal progetto d’arte contemporanea LAVINIA, curato da Salvatore Lacagnina. Concepito per instaurare un dialogo armonioso tra lo spazio storico della Loggia e le moderne espressioni artistiche, LAVINIA si propone di avvicinarsi silenziosamente alla quotidianità dei visitatori, rivolgendosi a chiunque percorra i viali del parco senza imporre alcuna forma di “auctoritas“. Il progetto sfida le convenzionali nozioni di arte pubblica e tradizione, esplorando il sottile rapporto tra arte e architettura e aprendo nuove prospettive attraverso il potenziale dello storytelling. Gli artisti coinvolti – Ross Birrell & David Harding, Enzo Cucchi, Piero Golia, Virginia Overton, Gianni Politi e Monika Sosnowska – hanno realizzato opere site-specific che dialogano con l’ambiente circostante, invitando il pubblico a una riflessione profonda sull’interazione tra passato e presente. Il nome LAVINIA è un omaggio a Lavinia Fontana, tra le prime artiste riconosciute nella storia dell’arte e figura di spicco nel panorama artistico del XVI secolo. Presente nella collezione Borghese sin dai primi del Seicento, Lavinia Fontana rappresenta un simbolo di talento e determinazione femminile, e il progetto ne celebra la memoria attraverso una contemporanea rilettura del suo lascito culturale. L’iniziativa rappresenta un connubio straordinario tra conservazione del patrimonio storico e promozione dell’arte contemporanea. La Loggia dei Vini, con la sua architettura elegante e la sua storia secolare, offre uno scenario ideale per ospitare opere che interrogano e reinterpretano lo spazio, creando un dialogo vivo e stimolante tra le diverse epoche. Ross Birrell & David Harding esplorano tematiche legate al viaggio e alla migrazione, mentre Enzo Cucchi porta avanti una ricerca sul simbolismo e la metafisica dell’arte. Piero Golia sfida le percezioni comuni attraverso interventi concettuali, e Virginia Overton utilizza materiali recuperati per creare installazioni che riflettono sulla sostenibilità e sull’interazione con l’ambiente. Gianni Politi rivisita la tradizione pittorica italiana con uno sguardo contemporaneo, e Monika Sosnowska trasforma elementi architettonici in sculture che giocano con lo spazio e la forma. LAVINIA non è solo un’esposizione, ma un’esperienza immersiva che invita il pubblico a riscoprire la Loggia dei Vini sotto una luce nuova, stimolando una consapevolezza maggiore del valore storico e culturale del luogo. Il progetto è promosso da Ghella, azienda da sempre attenta alla valorizzazione del patrimonio artistico e culturale, in collaborazione con Roma Capitale, Assessorato della Cultura e Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. L’organizzazione e la promozione dell’evento sono affidate a Zètema Progetto Cultura, che ha contribuito a coordinare le diverse realtà coinvolte, garantendo una sinergia efficace e produttiva. La riapertura della Loggia dei Vini rappresenta un passo significativo nella valorizzazione di Villa Borghese come polo culturale di eccellenza. Grazie a interventi come LAVINIA, il parco non è solo uno spazio verde nel cuore di Roma, ma anche un luogo dove storia e contemporaneità si incontrano, offrendo ai cittadini e ai visitatori un’esperienza ricca e stratificata. La partecipazione attiva di enti pubblici, aziende private e artisti internazionali testimonia l’importanza della collaborazione nel promuovere iniziative culturali di alto profilo. È attraverso queste sinergie che è possibile preservare il patrimonio storico, renderlo accessibile al grande pubblico e al contempo stimolare la creatività e l’innovazione artistica. La rinascita della Loggia dei Vini e il progetto LAVINIA segnano un momento di grande rilevanza per la vita culturale di Roma. Invitando il pubblico a esplorare nuovi orizzonti artistici all’interno di un contesto storico di rara bellezza, l’iniziativa si pone come esempio virtuoso di come l’arte possa fungere da ponte tra passato e presente, tra tradizione e modernità. Non resta che attendere il 19 ottobre per immergersi in questa esperienza unica, dove ogni dettaglio è pensato per affascinare, ispirare e coinvolgere. Un invito aperto a tutti coloro che desiderano lasciarsi sorprendere dalla magia dell’arte in uno dei luoghi più suggestivi della città eterna. Crediti fotografici Daniele Molajoli, courtesy Ghella
Roma, Gianicolo
RIAPRE IL SANTUARIO SIRIACO
Scoperto nel 1906, il Santuario Siriaco del Gianicolo rappresenta un tesoro archeologico unico nel panorama romano. Situato nel rione Trastevere, alle falde di Villa Sciarra, questo complesso ha attratto l’interesse di archeologi e storici per oltre un secolo, offrendo un importante sguardo sui culti antichi che caratterizzavano la vita spirituale della Roma tardoantica. Costruito nel IV secolo d.C. sui resti di edifici preesistenti risalenti al I-II secolo d.C., il santuario fu a lungo considerato un luogo dedicato ai culti siriaci, ipotesi che ne ha dato il nome attuale. Tuttavia, studi recenti suggeriscono una destinazione più complessa, forse legata al culto di Osiride, come indicato dalla scoperta di una statuetta in bronzo di una figura maschile avvolta nelle spire di un serpente. Il Santuario Siriaco del Gianicolo ha rappresentato un punto focale per comprendere la persistenza dei culti pagani durante il periodo tardoantico. Inizialmente, gli studiosi lo associarono ai culti siriaci per la sua posizione e il contesto archeologico, che sembravano suggerire la presenza di divinità orientali nel cuore della Roma del IV secolo. Tuttavia, dal 2000, grazie a nuove indagini archeologiche e studi più approfonditi, è stata avanzata l’ipotesi che il santuario fosse in realtà dedicato a Osiride, una delle divinità più venerate del pantheon egizio. La statuetta in bronzo di una figura maschile avvolta da un serpente, oggi conservata al Museo Nazionale Romano, rappresenta un elemento chiave per sostenere questa nuova interpretazione. Trovata in un ambiente sotterraneo, questa figura richiama l’iconografia di Osiride, soprattutto nella sua forma legata alla rinascita e alla rigenerazione, tipica dei culti misterici. La presenza di tale oggetto suggerisce che il complesso potesse ospitare rituali connessi al ciclo di morte e rinascita, particolarmente significativi nel contesto dei culti iniziatici egizi. Il responsabile del sito, Rocco Bochicchio, ha recentemente sottolineato come il Santuario Siriaco rappresenti non solo un luogo di culto, ma anche un nodo vitale collegato all’attività commerciale e produttiva della Roma antica. Situato vicino agli scali fluviali e ai mercati, il santuario si trovava in una zona che era una vera e propria porta verso il Mediterraneo, permettendo lo scambio di merci, persone e, evidentemente, anche idee religiose. Questa posizione privilegiata facilitava la diffusione dei culti orientali e dei rituali misterici che erano diffusi tra la popolazione romana, in particolare tra le classi mercantili e artigiane. La riapertura del santuario, come spiegato dalla Soprintendente Speciale di Roma, Daniela Porro, è un momento molto atteso, poiché permetterà al pubblico di accedere a questa area archeologica dopo cinque anni di chiusura. La riapertura coincide con l’avvio di interventi finanziati dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) che includono la messa in sicurezza del sito, il restauro delle strutture e la creazione di un’area espositiva e di accoglienza nella ex casa del custode. Questo progetto intende non solo valorizzare il sito archeologico, ma anche renderlo fruibile al grande pubblico, sottolineando l’importanza del patrimonio culturale come elemento di identità e coesione sociale. La riapertura del Santuario Siriaco del Gianicolo rappresenta un’opportunità unica per immergersi nella complessità della Roma tardoantica, un’epoca in cui il cristianesimo e i culti pagani convivevano e si influenzavano reciprocamente. La possibilità di visitare questo sito archeologico offre al pubblico uno sguardo diretto su un’area che riflette la stratificazione culturale e religiosa di Roma, testimoniando l’incontro tra culti orientali e pratiche locali. Le visite libere e gratuite si terranno nei giorni 27 ottobre e il 10 novembre, con intervalli di trenta minuti dalle 9:30 alle 12:30. La prenotazione è obbligatoria, scrivendo a ss-abap-rm.santuariosiriaco@cultura.gov.it. L’ingresso avverrà in via Dandolo 47. Questa iniziativa, volta a favorire la conoscenza e la valorizzazione di un patrimonio spesso poco noto, testimonia la volontà della Soprintendenza Speciale di Roma di promuovere una più ampia fruizione del nostro ricco passato archeologico. Con il restauro e la futura apertura di uno spazio espositivo, il Santuario Siriaco potrebbe diventare un punto di riferimento non solo per gli studiosi, ma anche per tutti coloro che sono interessati alla storia delle religioni e all’archeologia della capitale. L’attenzione al contesto culturale e alla connessione con le attività economiche dell’epoca aggiunge una dimensione ulteriore alla comprensione del sito, rendendo evidente come la religione e l’economia fossero intrecciate nella vita quotidiana dell’antica Roma. Questa riapertura è, dunque, un passo significativo verso una migliore comprensione del nostro patrimonio e una più profonda valorizzazione della storia millenaria di Roma.
Roma, Castel Sant’ Angelo
MASTROIANNI. IERI, OGGI, SEMPRE
Curata da Gian Luca Farinelli
Marcello Mastroianni, simbolo di un’epoca del cinema italiano, vive ancora oggi attraverso le immagini e i racconti che hanno saputo catturarne la profonda essenza. Nato nel piccolo paese di Fontana Liri nel 1924, Mastroianni ha rappresentato un vero e proprio mito del Novecento, un attore capace di incarnare la leggerezza e la malinconia di una generazione, ma anche l’ironia e l’eleganza che sono divenute le sue caratteristiche distintive. Non era solo il protagonista della “Dolce Vita“, ma un interprete capace di conferire umanità e introspezione ad ogni suo personaggio, rendendolo indimenticabile. L’arte di Marcello Mastroianni, in effetti, non consisteva solo nella sua bellezza e nel suo fascino indiscutibile, ma nella capacità di trasmettere qualcosa di più profondo: una tenerezza malinconica che ha fatto breccia nel cuore del pubblico internazionale. Nel centenario della sua nascita, la città di Roma ha voluto celebrare il suo illustre figlio con una mostra intitolata “Mastroianni. Ieri, Oggi, Sempre” allestita presso Castel Sant’Angelo, una cornice suggestiva e carica di storia. Inaugurata il 12 ottobre 2024, la mostra proseguirà fino al 12 gennaio 2025, e rappresenta un evento centrale della diciannovesima Festa del Cinema di Roma. Curata da Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna, l’esposizione raccoglie cento immagini per cento anni di vita: un viaggio visivo che ripercorre la carriera e la vita privata dell’attore, esplorando le sfumature della sua personalità e dei suoi personaggi. La mostra, suddivisa in due sezioni principali, accompagna i visitatori sia “on set” sia “off set“: da un lato, scatti che immortalano Mastroianni mentre lavora, dall’altro, immagini che lo ritraggono nella sua dimensione più intima e privata. Attraverso queste foto, il pubblico ha l’opportunità di riscoprire non solo l’attore, ma anche l’uomo dietro le quinte, quel Marcello che aveva un rapporto complesso e sincero con la sua arte, privo di artifici e ammantato da un’autoironia unica. “Il mio mestiere è far finta di essere qualcun altro, ma in fondo è proprio facendo finta che si scopre molto di sé stessi“, amava dire Mastroianni, sintetizzando così il suo rapporto con la recitazione. Le immagini esposte provengono da archivi pubblici e privati, tra cui quelli dell’Istituto Luce, della Biblioteca Museo Teatrale SIAE, e di Rai Teche. Si tratta di una selezione attenta e curata che punta a raccontare la carriera di Mastroianni dai suoi esordi teatrali sotto la direzione di Luchino Visconti fino ai grandi film della commedia all’italiana e ai capolavori di Federico Fellini. “Federico mi faceva sentire libero, mi dava l’opportunità di improvvisare, di essere me stesso davanti alla macchina da presa“, ricordava spesso Mastroianni parlando del suo rapporto con Fellini. La mostra diventa così non solo un omaggio alla carriera di un grande attore, ma anche un viaggio nella storia del cinema italiano, in cui si riscoprono gli anni d’oro di Cinecittà, quelli in cui Mastroianni portava sullo schermo la leggerezza del vivere quotidiano e la complessità delle emozioni umane. La scelta di Castel Sant’Angelo come location non è casuale. Questo luogo, con la sua storia millenaria e la sua imponenza, è perfetto per rendere omaggio a una figura tanto iconica come quella di Marcello Mastroianni, capace di rappresentare un’intera epoca del cinema. Questa mostra è il frutto di un progetto corale, reso possibile grazie alla collaborazione di numerose istituzioni e alla volontà di valorizzare la cultura italiana. Un’iniziativa che non vuole soltanto celebrare il mito, ma anche fare riflettere su ciò che Mastroianni ha rappresentato per l’immaginario collettivo, un uomo che ha saputo parlare al mondo senza mai perdere la sua identità. “Non ho mai cercato di fare l’attore per diventare un mito, volevo solo divertirmi e fare qualcosa che mi appassionasse“, dichiarava Mastroianni con la sua solita modestia. “Mastroianni. Ieri, Oggi, Sempre” è un viaggio nostalgico, ma anche un’occasione per apprezzare quanto il suo talento sia ancora vivo e presente. Mastroianni è stato molto più di un semplice attore: è stato il simbolo di una cultura, un rappresentante dell’eleganza e dell’empatia italiana, e il suo ricordo continua a ispirare e a emozionare. Visitare questa mostra significa non solo immergersi nella magia del cinema, ma anche scoprire l’uomo che, con il suo sguardo ironico e malinconico, ha saputo rendere grande il cinema italiano.
Roma, Palazzo Braschi
ROMA PITTRICE. ARTISTE AL LAVORO TRA XVI E XVIII SECOLO
Le tante artiste donne che dal XVI al XIX secolo hanno fatto di Roma il loro luogo di studio e di lavoro con una produzione ricca, variegata e di assoluto rilievo artistico, spesso relegate una sorta di “silenzio” storiografico, sono al centro della mostra “Roma Pittrice. Artiste al lavoro tra XVI e XVIII secolo”, ospitata al Museo di Roma a Palazzo Braschi dal 25 ottobre 2024 al 23 marzo 2025. L’esposizione, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, è curata da Ilaria Miarelli Mariani (direttrice della Direzione Musei Civici Sovrintendenza capitolina) e Raffaella Morselli (Sapienza, Università di Roma), con la collaborazione di Ilaria Arcangeli (Università di Chieti). Organizzazione Zètema Progetto Cultura. Catalogo Officina Libraria. Protagoniste le artiste presenti nelle collezioni capitoline, come Caterina Ginnasi, Maria Felice Tibaldi Subleyras, Angelika Kaufmann, Laura Piranesi, Marianna Candidi Dionigi, Louise Seidler ed Emma Gaggiotti Richards, oltre a una selezione significativa di altre importanti artiste attive in città come Lavinia Fontana, Artemisia Gentileschi, Maddalena Corvina, Giovanna Garzoni, e di molte altre il cui corpus si sta ricostruendo in questi ultimi decenni di ricerca. I diversi linguaggi, generi e tecniche, sono evidenziate nel percorso di mostra da tappe e figure rappresentative Attraverso circa 130 opere, il percorso espositivo descrive il progressivo inserimento delle pittrici nel mercato internazionale, con il faticoso conseguimento del pieno accesso alla formazione e alle più importanti istituzioni della città, quali l’Accademia di San Luca e l’Accademia dei Virtuosi al Pantheon.
La seconda delle tre Cantate per la ventesima domenica dopo la Trinità è Schmücke dich, o liebe Seele BWV 180 eseguita la prima volta a Lipsia il 22 ottobre 1724. Anche in questo caso ci troviamo ad avere a che fare con una Cantata su Corale e precisamente sull’inno (1649) che da il titolo alla composizione ad opera di Johann Franck (1618-1677) che era intonato nel corso della Comunione perché come abbiamo parlato in occasione della precedente Cantata (BWV 162) prevedeva al Vangelo un passo tratto dal Vangelo secondo Matteo, cap.22 vers. 2-13 e che parla del banchetto nuziale e quindi l’utilizzo del lied di Franck è pienamente giustificata per via analogica. Il carattere intimistico di quel testo poetico viene utilizzato da Bach, con riferimento al passo evangelico domenicale cercando di realizzare una sorta di “Musica da tavola” eucaristica ma non immune da caratteri profani, in particolare di danza, nei ritmi di “Giga” (nr.1) di “Bourréè” (Nr.2) e di “Polonaise” (Nr.5). Questa Cantata trovò poi un altro motivo di interesse nel fatto che, a nostra conoscenza, è la prima in cui viene impiegato il violoncello “piccolo”.
Nr.1 – Coro
Preparati, cara anima,
lascia l’oscuro pozzo del peccato
per venire in piena luce
e risplendere nella gloria;
poiché il Signore, colmo di salvezza e di grazia,
ora ti invita come suo ospite.
Lui che potrebbe governare in cielo
vuole trovare in te la sua dimora.
Nr.2 – Aria (Tenore)
Alzati: il tuo Salvatore bussa,
apri subito le porte del tuo cuore!
Anche se per l’emozione
riusciresti a parlare al tuo Gesù
solo con voce rotta di gioia.
Nr.3 – Recitativo e Corale (Soprano)
Quanto sono preziosi i doni della santa cena!
Non se ne trovano uguali.
Tutte le altre cose che il mondo
considera preziose
sono solo inezie e vanità;
un figlio di Dio vuole avere questo tesoro
e dice:
Ah, il mio spirito ha tanta fame
della tua bontà, amico dell’uomo!
Ah, con quante lacrime
ho desiderato questo nutrimento!
Ah, sono ormai abituato ad aver sete
della bevanda del Principe della vita!
Spero costantemente che le mie membra
per mezzo di Dio possano unirsi a Dio.
Nr.4 – Recitativo (Contralto)
Il mio cuore sente timore e gioia;
il timore affiora
quando ammira la sua grandezza,
quando non trova la via nel mistero, né con
la ragione può comprendere questo esaltante lavoro.
Solo lo Spirito di Dio può insegnarci con la sua Parola
come qui si nutrono tutte le anime
che hanno accolto la fede.
Eppure la nostra gioia si rafforza
quando guardiamo il cuore del Salvatore
e percepiamo la grandezza del suo amore.
Nr.5 – Aria (Soprano)
Sole della vita, luce dei sensi,
Signore, tu che sei tutto per me!
Vedrai la mia fedeltà
e non disprezzerai la mia fede
che è ancora debole e timorosa.
Nr.6 – Recitativo (Basso)
Signore, fà che il tuo fedele amore per me,
che ti ha spinto ad uscire dal cielo,
non sia stato vano!
Infiamma il mio spirito d’amore
affinché si rivolga nella fede
solamente verso le cose celesti
e pensi sempre al tuo amore.
Nr.7 – Corale
Gesù, vero pane di vita,
aiutami, perché non sia vano
o addirittura a mio pregiudizio
che io venga invitato alla tua mensa.
Attraverso questo cibo per l’anima, consentimi
di apprezzare nel modo giusto il tuo amore
affinché io possa, come qui sulla terra,
essere invitato come ospite anche in cielo.
Traduzione Emanuele Antonacci
Roma, Teatro Parioli Maurizio Costanzo
CONVERSAZIONI DOPO UN FUNERALE
di Yasmina Reza
con Simone Guarany, Andrea Ottavi, Andrea Venditti, Francesca Antonucci, Valeria Zazzaretta, Lucia Rossi
regia Filippo Gentile
Yasmina Reza esordisce a Teatro con questo testo, che le vale ben presto il Premio Molière come miglior autrice. Una grande capacità di far intuire allo spettatore, mediante gesti minimi e scambi di occhiate, gli stati d’animo dei personaggi e le dinamiche che si stabiliscono tra loro. Come si può intuire dal titolo, Conversazioni dopo un funerale riunisce il tragico e il comico, il serio e il frivolo, la morte e l’amore, la parola e il silenzio. Il giorno del funerale del padre, i tre figli si ritrovano nella tenuta di famiglia, dove l’uomo ha scelto di farsi seppellire. Insieme a loro lo zio, la sua nuova moglie e l’ex fidanzata di uno dei fratelli. Quello a cui assisteremo sarà l’affiorare di conflitti latenti, antiche gelosie, dolori e rancori la cui rimozione ha provocato piaghe mai rimarginate. Il velo sui segreti di famiglia si solleva a poco a poco davanti agli occhi dello spettatore, fino alla catarsi. Qui per tutte le informazioni.
Roma, Museo Bilotti Aranciera di Villa Borghese
FRACTURAE
dedicata all’opera di Sandro Visca
promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali
organizzata dalla Fondazione Pescarabruzzo
curata da Generoso Bruno
Una selezione di oltre cento opere presenta la produzione più recente dell’artista. Grandi tele, opere installative e un’ampia selezione su carta documentano i suoi sessant’anni di attività
Dal 12 ottobre al 12 gennaio 2025 il Museo Carlo Bilotti Aranciera di Villa Borghese ospiterà la mostra FRACTURAE dedicata all’opera di Sandro Visca, un’occasione unica per esplorare la produzione dell’artista abruzzese con particolare attenzione al suo continuo dialogo tra la materia e la sua messa in forma. L’esposizione, promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali è organizzata dalla Fondazione Pescarabruzzo e curata da Generoso Bruno. Servizi museali di Zètema Progetto Cultura. Le opere esposte si inseriscono nel solco della ricerca che Visca porta avanti da decenni. Attraverso le serie dei Teatrini e delle Silhouette, l’artista, indagando la potenza espressiva della materia, esplora il rapporto tra il frammento e l’oggetto. La sua poetica si manifesta nella volontà di preservare la vita che emana dai più disparati elementi di materia, i cui frammenti sono elevati a simbolo di una condizione umana precaria e sfuggente. Il Museo Carlo Bilotti, con la sua articolata struttura, si presta come spazio ideale per accogliere la produzione artistica complessa e stratificata di Sandro Visca, offrendo al pubblico un’esperienza immersiva e stimolante. Lo spettatore sarà immerso in un percorso che riflette la complessità compositiva e concettuale delle opere. Il gioco di giustapposizioni, dove elementi eterogenei si fondono per creare un insieme potente e vibrante, rivela il suo intento di far emergere relazioni profonde, talvolta nascoste, tra la materia e la sua percezione. Le grandi sale al pianterreno, ospitando un’accurata selezione di tele, sculture e installazioni, immergono il visitatore nella produzione più recente di Visca, confermandone la poetica, le scelte compositive e le strategie espressive maturate nell’ultimo decennio. Per la prima volta, assieme ad altri inediti, sarà esposta l’installazione parietale AMORE AMORE del 2024, l’opera, su supporti in ferro e ceramica al terzo fuoco, STERCUS DIABOLI del 2018 e la grande tela FRACTURE che lo ha impegnato l’artista tra il 2018 e il 2021. Tra le sculture si segnala _ORO_ del 2017 e la recentissima Esplodenti del 2024 e tra le opere nelle salette al primo piano, FRAGILE 1 e FRAGILE 2 del 2015. La mostra è completata da un’ampia selezione di lavori su carta sviluppati dall’artista in anticipo o in contemporaneità ai grandi quadri e alle sculture. Questi lavori, oltre a documentare i sessant’anni dell’attività di Sandro Visca, consentono, dal segno, di intuire la prassi, la stratificazione e la complessità operativa messa in campo. Il catalogo della mostra è edito da Fondazione Pescarabruzzo – Gestioni Culturali Srl per la Collana ARTE E CULTURA.
Roma, Sala Umberto
BIDIBIBODIBIBOO
con Francesco Alberici, Maria Ariis, Salvatore Aronica, Andrea Narsi, Daniele Turconi
aiuto regia Ermelinda Nasuto
scene Alessandro Ratti
luci Daniele Passeri
tecnica Fabio Clemente, Eva Bruno
si ringraziano Alessandra Ventrella, Davide Sinigaglia e Ileana Frontini
una coproduzione SCARTI Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione • CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia • Ente Autonomo Teatro Stabile di Bolzano
Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa con il sostegno di La Corte Ospitale
Testo creato nel corso dell’Ecole des Maîtres 2020/21 diretta da Davide Carnevali. Finalista alla 56° edizione del Premio Riccione per il Teatro.
Drammaturgia e Regia FRANCESCO ALBERICI
Con grande tenerezza e dissacrante ironia Bidibibodibiboo racconta le scelte e le rinunce, i sogni e le grandi paure di una generazione alle prese con un mondo del lavoro drammaticamente spietato. Francesco Alberici (Premio Ubu 2021 Miglior attore/performer under 35 e protagonista della serie web Educazione Cinica) traccia un ritratto al vetriolo della disastrosa situazione in cui versa il mondo del lavoro ai giorni nostri. Bidibibodibiboo, testo finalista alla 56a edizione del Premio Riccione per il Teatro, racconta le traversie di un giovane impiegato: assunto a tempo indeterminato da una grande azienda, e forse preso di mira da un superiore, il ragazzo precipita lentamente in una spirale persecutoria che trasforma in un incubo le ore trascorse sul posto di lavoro. La giuria della 56a edizione del Premio Riccione per il Teatro ha sottolineato come «con un’efficace e misurata composizione, l’autore, racconti con asciutta verosimiglianza ed efficacia, la caduta agli inferi aziendali del protagonista: attacchi, vergogna, licenziamento, omissione, liberazione.»
Roma, Carcere di Rebibbia
Arte e Cultura in Carcere con Laboratori artistici, incontri e spettacoli rivolti alla popolazione detenuta e aperti anche al pubblico della città.
Il Centro Studi Enrico Maria Salerno, diretto da Laura Andreini Salerno e Fabio Cavalli, lavora dal 2003 alla promozione delle attività culturali presso il Teatro del Carcere di Rebibbia N.C., coinvolgendo i cittadini reclusi in un progetto di crescita culturale, artistica e professionale, aperto anche al pubblico della città.
Laboratori, retrospettive, anteprime ed arti digitali continuano ad animare un penitenziario che, in vent’anni, si è trasformato in una vera Accademia, riconosciuta a livello internazionale. Il Progetto si realizza in collaborazione con il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e il sostegno del Comune di Roma.
Appuntamenti di ottobre
Arti Figurative e Teatro
16 ottobre 2024 ore 16.00 – Sala Meta e Cortile Passeggio Reparto G8
Presentazione “Rebibbia Graffiti”
“Rebibbia Graffiti” prevede un intervento di rigenerazione urbana attraverso la Street Art. Coinvolge i detenuti del Laboratorio di Arti Visive, condotto da Alessandro De Nino nella realizzazione di un grande affresco murale, in collaborazione con i detenuti e le detenute transgender. I carcerati di ogni epoca e luogo adottarono il graffito come forma di comunicazione per lasciare traccia del loro doloroso passaggio. “Rebibbia Graffiti” dà nuovo corso a quell’idea antica, con tutta la illimitata libertà creativa che la contemporaneità offre, anche attraverso il digitale. Il 16 ottobre verrà mostrato al pubblico il percorso creativo del Progetto con una sessione di live painting degli allievi e allieve transgender del Laboratorio che stanno realizzando un affresco di ben 250 mq. nel cortile interno del penitenziario. L’opera è ispirata alla relazione fra il mondo della civiltà e quello della natura, fra il paesaggio urbano e marino mediterraneo e la foresta pluviale profonda, tanto presente nella memoria delle allieve provenienti dal Sudamerica.
Apertura speciale per il pubblico esterno. Prenotazione obbligatoria all’indirizzo rebibbiafestival@gmail.com.
Cinema
La Sezione Cinema del Rebibbia Festival 2024 prevede anteprime esclusive rivolte alla popolazione detenuta, in gemellaggio con la Festa del Cinema di Roma.
23 ottobre 2024 ore 16.00 – Omaggio a Enrico Maria Salerno – 1994-2024
A 30 anni dalla scomparsa di Enrico Maria Salerno, il Rebibbia Festival rende omaggio al grande Maestro del Teatro, del Cinema e della Televisione. Il 23 ottobre amici e collaboratori si riuniscono nella Sala di Rebibbia a lui dedicata per condividere la memoria comune: Estratti video dalla sua carriera artistica a cura della vedova Laura Andreini Salerno. Interviene la regista Barbara Pozzoli.
24 ottobre 2024 ore 16.00, Sala Meta – U.S. PALMESE – regia dei Manetti Bros.
Anteprima del nuovo film dei fratelli Manetti in gemellaggio con la Festa del Cinema di Roma. Saranno presenti i fratelli Manetti.
Palmi: cittadina nell’area metropolitana di Reggio Calabria, 18.000 abitanti, una squadra di calcio, la U.S. Palmese, quattro volte in serie C e ventuno in serie D. Ma un giorno a un tifoso viene in mente di fare una colletta in paese per ingaggiare Etienne Morville, giovane campione francese di colore che viene dalla banlieu parigina e che ha un carattere tanto brutto da essere stato cacciato dal Milan. Parte dall’esuberante entusiasmo di Rocco Papaleo, che va in giro con il suo Ape a lanciare volantini e raccogliere firme per le donazioni, la commedia sportivo-romantica dei Manetti Bros. ambientata a Palmi, con digressioni a Milano e a Parigi, dove caratteri, sport, amore, affetti, difetti, ripicche e dispetti collidono e finiscono per rimescolarsi e trovare un equilibrio. Nel cast Claudia Gerini, Massimiliano Bruno e i giovani Blaise Alfonso e Giulia Maenza.
25 ottobre 2024 ore 16.00, Sala Meta – EROICI! 100 ANNI DI PASSIONE E RACCONTI DI SPORT – regia di Giuseppe Marco Albano. Sarà presente l’autore.
Partendo dalla prestigiosa ricorrenza dei cento anni di storia del Corriere dello Sport, uno dei quotidiani più letti in Italia, il documentario esplora l’essenza profonda dello sport, vero e proprio collettore sociale e culturale, e l’evoluzione del modo in cui viene vissuto e raccontato. Il racconto si srotola attraverso una doppia prospettiva: da un lato, dà voce ai grandi atleti e ai protagonisti dello sport italiano; dall’altro, documenta la nascita, la produzione e la distribuzione del quotidiano, vero e proprio archivio della memoria collettiva del nostro Paese. Il risultato è una testimonianza potente e avvincente in cui convivono storie e aneddoti destinati a rimanere eterni, capaci di plasmare il modo in cui gli italiani vivono e celebrano le loro passioni sportive. Il programma potrebbe subire variazioni