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Aggiornato: 2 ore 21 min fa

Roma, Teatro India: “Fratellina” di Spiro Scimone

Ven, 16/02/2024 - 23:59

Roma, Teatro India
FRATELLINA
di Spiro Scimone
tratto da Soli al Mondo, presentazione di Jean-Paul Manganaro
regia Francesco Sframeli
con Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Gianluca Cesale, Giulia Weber
scena Lino Fiorito
costumi Sandra Cardini
disegno luci Gianni Staropoli
In collaborazione con Istituzione Teatro Comunale Cagli
produzione Teatro Metastasio di Prato, Compagnia Scimone Sframeli
Roma, 18 Febbraio 2024
“Noi, adesso, come grazia, vorremmo avere un semplice tocco…vorremmo avere un tocco leggero, come una carezza” (da “Fratellina”)
In un palcoscenico sospeso tra il reale e l’assurdo, due anime erranti, Nic e Nac, si risvegliano in un mondo sconvolto dai colpi drammatici del destino. Dai confini di due grandi letti a castello, osservano con occhi sgomenti la commedia umana che si dipana davanti a loro. Desiderosi di un riscatto, sognano una realtà che risplenda dei veri valori dell’umanità, ormai perduti nell’oblio dei tempi. Ecco che l’incontro con Fratellino e Sorellina, tra risate scomposte e paradossi sferzanti, diviene l’antidoto contro l’ansia e la disperazione che li assediano. In questo teatro della vita, tra le pieghe della commedia e del tragico, trovano la forza di ridere di sé stessi e delle loro fragilità, abbracciando l’ironia come baluardo contro il naufragio dell’anima. E così, tra il denunciare le miserie umane e l’abbracciare la bellezza delle piccole cose dimenticate, Nic e Nac danzano sulla corda tesa della vita, con la speranza di ritrovare la luce che illumini il loro cammino smarrito. La Compagnia Scimone Sframeli è nota per il suo stile di scrittura unico, caratterizzato da dialoghi vivaci e densi di riferimenti e modi espressivi che si sono radicati nell’immaginario collettivo degli spettatori nel corso degli anni. Opere come “Nunzio”, “Bar”, “Pali”, “Giù” e “Amore” hanno accompagnato il pubblico sin dal 1984, offrendo un racconto continuo che richiama le atmosfere di Samuel Beckett e il realismo magico, con un mondo al margine della società, ma mai giudicato con sufficienza da Spiro Scimone e Francesco Sframeli. La loro visione è permeata da una dolcezza infinita, punteggiata da momenti di grottesca autoironia, richiamando persino i toni pasoliniani de “La terra vista dalla luna”. Il loro lavoro, “Fratellina“, presentato al Teatro India Di Roma, non fa eccezione. Il palcoscenico si trasforma in un mondo derelitto, diviso in due parti, ricreato con la consueta semplice grazia da Lino Fiorito. Qui incontriamo Nic e Nac, i protagonisti che decidono di intraprendere un viaggio alla ricerca di un luogo dimenticato, dove le cose perdute possano essere ritrovate. Durante il loro percorso, Nic e Nac si imbattono in Fratellino e Sorellina, anch’essi confinati su due letti a castello. Fratellino, interpretato da Gianluca Cesale, e Sorellina, interpretata da Giulia Weber, fungono da contraltare, manifestando un desiderio costante di esistere attraverso il continuo richiamo reciproco dei loro nomi. Nonostante la loro apparente ritrosia e l’autoisolamento, anche Fratellino e Sorellina si confrontano con sentimenti di inadeguatezza e repulsione verso se stessi, rivelando una profonda umanità. Sono esseri respinti dal mondo esterno, desiderosi di essere accolti e amati, ma costretti a confrontarsi con la propria fragilità e l’impossibilità di realizzare pienamente i loro desideri. L’arrivo improvviso di un vecchio armadio, misteriosamente riapparso e con un uomo intrappolato al suo interno, potrebbe essere il colpo di scena che cambierà per sempre il destino dei protagonisti: Nic, Nac, Fratellino e Sorellina. O forse saranno le semplici carezze che potranno scambiarsi reciprocamente a segnare la svolta nelle loro vite? Qualunque sia la risposta, l’importante è che possano finalmente uscire e guardare di nuovo le stelle, quelle autentiche. Le scene curate da Lino Fiorito  compongono l’ambientazione dello spettacolo, un raro arcipelago di suggestioni minimaliste che si riflette nei dialoghi essenziali tra Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Gianluca Cesale e Giulia Weber. Le performance dei quattro attori , infatti, sono un vero spettacolo per gli occhi e per l’anima, con un gioco serrato e impeccabile nei tempi, arricchito da risposte che possono sembrare superficiali ma che nascondono un’intensità bruciante. Nella messa in scena, le luci curate da Gianni Staropoli assumono un ruolo cruciale nel delineare la realtà dei personaggi, proiettandoli in un’atmosfera diffusa di chiarezza che non lascia spazio per zone oscure, ma in cui le sfumature di ombra sono sempre in agguato. La metafora del sole di cartapesta e della falce di luna sbilenca serve a rafforzare il tema centrale della ricerca di una realtà alternativa, da raddrizzare come la luna stessa. La rappresentazione, pur nella sua apparente semplicità, si muove con maestria nelle atmosfere di Beckett e Kafka, svelando una profondità inesplorata. Nonostante la scarna trama dei dialoghi, è proprio il vuoto e ciò che non viene esplicitamente detto a trasmettere una ricchezza di significati: un accenno fugace alla prigionia del cognato rivela l’esistenza di una forza antagonista, ponendo lo spettatore nell’orbita della distopia. Il disinteresse meticoloso dei personaggi nel confrontarsi con queste forze latenti, tacitamente accettate come inevitabili, trasforma la quarta parete in uno specchio improvviso in cui ci si ritrova a contemplare la propria immagine riflessa solo dopo un istante di riconoscimento. Le tematiche di isolamento, ricerca di realtà alternative e conflitto tra apparenza e realtà hanno affascinato il pubblico, offrendo un’esperienza teatrale che va al di là della superficie per toccare le corde più profonde dell’animo umano. Da non perdere. PhotoCredit Gianni Fiorito. Qui per le altre date.

Categorie: Musica corale

Jordi Savall ed Hespèrion XXI al Teatro Niccolini di Firenze

Ven, 16/02/2024 - 08:26

Firenze, Teatro Niccolini, Stagione Concertistica degli Amici della Musica di Firenze 2024
Hesperion XXI
Chitarra Xavier Díaz-Latorre
Arpa barocca spagnola  Andrew Lawrence-King
Percussioni David Mayoral
Viola da gamba soprano, viola da gamba bassa e direzione Jordi Savall
Folías & Canarios – Dall’Antico al Nuovo Mondo: Diego Ortiz (1510 – 1576): Recercadas sobre Tenores: Folia IV – Passamezzo antico I – Passamezzo Moderno III,Ruggiero IX – Romanesca VII – Passamezzo moderno II.
Le antiche tradizioni basche e catalane: Anonimo (Euskal Herria) / Jordi Savall (1941): Aurtxo Txikia Negarrez; Anonimo (Catalogna) / Jordi Savall, El Testament d’Amèlia, La Filadora; Gaspar Sanz (1640-1710) Jácaras & Canarios (Chitarra), Pedro Guerrero (1520 ca-1600 ca), Moresca; Anonimo Greensleeves to a Ground; Tradizionale di Tixtla / Improvvisazione Guaracha, Antonio Martín y Coll (1650 ca -1734) (& improvvisazione) Diferencias sobre las Folías, Santiago de Murcia (1673-1739) Fandango (arpa & chitarra).
The Lancashire Pipes (The Manchester Gamba Book):A Pointe or Preludium – The Lancashire Pipes – The Pigges of Rumsey – Kate of Bardie – A Toy; Francisco Correa de Arauxo (1584-1654) Glosas sobre “Todo el mundo en general”; Anonimo / Improvvisazione Canarios; Antonio Valente (1520 ca-1601ca) / Improvvisazione Gallarda napolitana – Jarabe loco (jarocho).
Firenze, 12 febbraio 2024
Al Niccolini, il più antico teatro fiorentino, già Teatro del Cocomero, risalente alla metà del XVII secolo, si è tenuto un concerto che per la sua singolarità esprimeva le caratteristiche di un ‘incontro’ di valori e di linguaggi musicali tra Occidente e Oriente, compresi influssi dal mondo culturale popolare di provenienza araba, messicana, caraibica, ecc., che trovarono accoglienza nella penisola iberica. In sostanza sono state eseguite musiche antiche europee di area mediterranea fino al XVIII secolo che, nel loro excursus sonorum, trovano espressione in autori nati e/o attivi in Spagna, Inghilterra ed Italia. Considerando la notorietà del gruppo e del direttore era prevedibile la presenza di cultori e appassionati di questi generi musicali che attendevano di lasciarsi coinvolgere nell’ascolto di opere che, pur sembrando lontane, sono accomunate dal desiderio di reciprocità e contaminazioni. Quattro interpreti specialisti della musica cosiddetta ‘antica’ i quali – per il loro modo di suonare, la varietà, la natura (anche bellezza) dei loro strumenti – restituivano sonorità suggestive con letture quasi ermeneutiche. L’obiettivo del gruppo era quello di offrire un’interpretazione pur rispettosa delle prassi esecutive, moderna e portatrice di ‘maraviglia’. A tenere acceso l’interesse del pubblico è stata la varietas insita nei diversi aspetti dell’esecuzione. Se all’occhio colpiva l’alternanza degli organici oscillanti tra quello completo, come per esempio all’inizio, al solo di chitarra accompagnato dalla percussione, all’orecchio esperto di questi repertori era concesso il ‘godimento’ delle variazioni intorno alla linea del melos. Pertanto se la velocità di Savall nel tirare l’arco e il muovere su e giù la mano sinistra sulla tastiera altro non era che percezione di puro virtuosismo (spesso improvvisativo), la varietà timbrica nel solo di chitarra creava autentico stupore. La varietà era espressa anche attraverso l’individualità dei componenti del gruppo che, accomunati dagli stessi intenti, riuscivano a restituire un mondo ove caleidoscopicamente si potevano scorgere aspetti diversi di una musica dallo sguardo bifronte (Occidente-Oriente). A favorire ciò da un lato occorreva riferirsi ad una valenza linguistica, ma bisognava rimanere legati all’espressività e ai valori provenienti sia dall’antico che dal basso. Quest’ultimo, grazie alla sua accezione polisemica, va inteso sia con riferimento alle terre che si affacciano sul Mediterraneo da cui si sono sviluppate molte popolazioni, che come suono grave (basso) dal quale far ‘nascere’ il cantus. Ecco allora come dal basso della Follia presente in Ortiz o in quello di Greensleeves to a Ground, ‘germinavano’ melodie concepite all’interno della variatio e la differenziazione tra Passamezzo Antico e Passamezzo Moderno evidenziava altresì l’imprescindibile legame tra ‘antico ‘e ‘moderno’. Ogni composizione raccontava molte cose e, mentre il pubblico era conquistato dal modo interpretativo, il ‘viaggio’ tra i suoni presentava connotazioni sempre più sorprendenti. L’elemento coreutico era assai coinvolgente in diversi brani come nel Fandango, con inserimento delle nacchere e alcune dichiarazioni di Casanova sulla danza “più seducente e voluttuosa che si possa immaginare”. Un’attenzione particolare va riservata a Savall, voce autorevole nel campo della musica antica, in veste di direttore e virtuoso della viola da gamba bassa (Pellegrino Zanetti, Venezia 1553) e soprano (Barak Norman, Londra 1690). Nei suoi oltre cinquant’anni di attività musicale ha fondato insieme a Montserrat Figueras alcuni importanti gruppi (Hespèrion XXI, La Capella Reial de Catalunya e Le Concert des Nations) registrando oltre 230 dischi e ricevendo prestigiosi premi. Illustrando le musiche al pubblico ha citato codici, prassi esecutive, tanto che, per il suo modo coinvolgente di esporre, per alcuni aspetti sembrava ricordare Diogene. Pur sotto i riflettori, Savall utilizzava la lanterna per cercare la bellezza insita negli antichi repertori. Nell’Improvvisazione Canarios Savall più che far suonare la viola (soprano) riusciva a farla cantare con una tale ed incredibile espressione da rendere perfettamente la vivacità e l’allegria dei canarini. L’onomatopea, resa ancora più eclatante grazie agli altri interpreti, era così evidente che talvolta bastava il percuotere due semplici legnetti, per ‘vedere con le orecchie’ il fascinoso mondo dell’ornitologia tanto esplorato dai compositori barocchi che preparano alla ricezione del colore e della passione per il canto degli uccelli in Messiaen. A chiudere il programma non poteva mancare il riferimento al nostro paese con le musiche di Antonio Valente, attivo particolarmente a Napoli, in cui il gruppo omaggiava l’Italia e la sua storia musicale e culturale. Se il ritmo invitava alla danza, la luminosità dell’esecuzione ricordava in particolare il sole del sud il quale, anche quando tramonta, è sempre in grado di stupire ed emozionare. Un bellissimo concerto, teatro gremitissimo, e al pubblico sono state offerte altre due ‘perle’ musicali in cui si ribadiva il bisogno del ritorno all’antico.

Categorie: Musica corale

Roma, Sala Umberto: “Buonanotte Mamma” regia di Francesco Tavassi

Gio, 15/02/2024 - 23:59

Roma, Sala Umberto
BUONANOTTE MAMMA
di Marsha Norman
con Marina Confalone, Mariangela D’Abbraccio
Regia di Francesco Tavassi
Scene Alessandro Chiti
Costumi Maria Rosaria Donadio
Musiche Davide Cavuti
Luci Marco Palmieri
Produzione Stefano Francioni produzioni SRL
Roma, 15 Febbraio 2024
Due donne, madre e figlia, si trovano a confrontarsi, a scontrarsi, tra le pareti di un ambiente domestico che pare soffocante. Il testo “Buonanotte mamma” si dispiega come un atto unico, con soli due personaggi in scena: Jessie Cates, una donna quarantenne divorziata e malata, e sua madre vedova, Thelma. Fin dalle prime battute, la figlia annuncia alla madre le sue intenzioni suicidarie: dopo averle augurato la buonanotte, si rinchiuderà nella stanza e si toglierà la vita. Non è un gesto minaccioso né una richiesta di aiuto; è una decisione lucida e irreversibile. Nonostante la disperazione della madre, che cerca in ogni modo di dissuaderla, raccontando i suoi dolori e le sue amarezze, la figlia rimane ferma nella sua determinazione. Man mano che la storia si dipana, i vecchi fantasmi della vita familiare emergono, svelando un’altra realtà, ma la figlia non vacilla. La tragedia si annuncia con fermezza, e tutti si chiedono fino all’ultimo: riuscirà la madre a fermarla? Il testo, firmato da Marsha Norman e pluripremiato (Pulitzer nel 1983), oscilla tra leggerezza e drammaticità, narrando le due determinazioni: quella di una figlia che vede la sua esistenza come un fallimento e sceglie di porre fine alla propria vita, e quella di una madre che lotta disperatamente per impedirlo. Senza alcun dubbio la drammaturgia del testo la regia di Francesco Tavassi sono coinvolgenti. La resa minimalista e scarna del testo, con l’eliminazione delle introduzioni e delle voci fuori campo ed anche le figlio di Jessie , accelera il ritmo e accentua la sensazione di soffocamento delle due protagoniste. Tutto si svolge entro le pareti domestiche di una casa ricca di dettagli: oggetti domestici, arredi, lampade descrivono l’interno di una abitazione borghese . Mobili, soprammobili  ingombrano la scena eccellentemente strutturata da Alessandro Chiti. In questa apparente tranquillità, le parole colpiscono come pugni nello stomaco.  Un grande orologio in movimento scandisce il tempo che resta, il tempo che scorre ed il tempo che verrà. Il tema del testo è estremamente attuale, considerando l’incremento dei suicidi, specialmente tra le persone disoccupate, in precarie condizioni economiche o affette da depressione. La recitazione delle due donne è intensa e convincente. Marina Confalone si distingue nel ruolo della madre, esplorando con maestria ogni sfumatura emotiva attraverso la propria voce. Dal cinismo all’incredulità, dalla determinazione alla rabbia, passando per la paura, la disperazione, la pietà e infine la rassegnazione, l’attrice offre un’interpretazione magistrale che cattura l’attenzione del pubblico. Mariangela D’Abbraccio porta cuore e intelligenza nel personaggio di Jessie. La sua interpretazione, priva di virtuosismi e ostentazioni tecniche, è caratterizzata da generosità, autenticità e coinvolgimento, senza mai cadere nella retorica. Constatiamo che, sebbene talvolta la proiezione della voce in sala possa risultare insufficiente per garantire una piena comprensione dei passaggi, le intenzioni e la mimica delle due attrici riescono nondimeno a suggerire con chiarezza il filo conduttore della narrazione. Applausi sinceri per le due interpreti. La felicità non è sempre evidente, a volte si nasconde dietro veli sottili che richiedono uno sguardo attento. Bisogna saper riconoscere la magia nelle piccole cose, come fa la madre nel testo. È difficile restare indifferenti durante lo spettacolo, quando il teatro ci spinge a riflettere sulla nostra stessa esistenza. Solo con questa consapevolezza condivisa si può tornare ad apprezzare il senso di comunità e di condivisione. Perché in fondo la vita è meravigliosa come diceva “qualcuno”. Assolutamente da vedere. Qui per tutte le altre recite.

Categorie: Musica corale

Verona, Teatro Filarmonico: “La rondine” di Puccini in scena dal 18 al 25 febbraio

Gio, 15/02/2024 - 18:26

Fondazione Arena dà il via alle celebrazioni pucciniane con quella che forse fu l’opera più amata dal compositore italiano. La nuova produzione debutta al Teatro Filarmonico domenica 18 febbraio (ore 15.30), con repliche il 21 (ore 19), 23 (Ore 20) e 25 febbraio (Ore 15,30). Magda è Mariangela Sicilia, alla guida di un cast di ventuno giovani artisti internazionali di pregio, tra cui Galeano Salas, Eleonora Bellocci, Matteo Roma, Gëzim Myshketa. I complessi artistici areniani sono diretti da Alvise Casellati, mentre Stefano Vizioli firma lo spettacolo in coproduzione col Teatro Coccia di Novara, con scene di Cristian Taraborrelli, costumi di Angela Buscemi, luci di Vincenzo Raponi e coreografie di Pierluigi Vanelli.  Numerose parti di fianco affidate ad altri  giovani e artisti di talento: Gillen Munguia, Renzo Ran, Carlo Feola, Yao Bohui, Anna Bordignon, Arianna Cimolin, Giuseppe Di Giacinto, Enrico Iviglia, Gianluca Moro, Nicola Pamio, Cecilia Rizzetto, Pierre Todorovitch, Francesco Tuppo. L’Orchestra della Fondazione Arena di Verona e il Coro preparato da Roberto Gabbiani saranno diretti dal maestro Alvise Casellati. Biglietti, abbonamenti e nuovi carnet sono disponibili al link https://www.arena.it/it/teatro-filarmonico, alla Biglietteria dell’Arena e, due ore prima di ogni recita, alla Biglietteria stessa del Teatro in via Mutilati.

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Brancaccio: “La Divina Commedia Opera Musical”

Mer, 14/02/2024 - 22:45

Roma, Teatro Brancaccio
LA DIVINA COMMEDIA Opera Musical
Regia di Andrea Ortis
Dante ANTONELLO ANGIOLILLO
Virgilio ANDREA ORTIS
Beatrice MYRIAM SOMMA
Caronte, Ugolino, Cesare, San Bernardo GIPETO
Francesca, Matelda VALENTINA GULLACE
Pier delle Vigne, Arnaut Daniel ANTONIO SORRENTINO
Ulisse, Catone, Guido Guinizzelli LEONARDO DI MIMMO
Pia de’ Tolomei, La Donna SOFIA CASELLI
Voce Narrante GIANCARLO GIANNINI
Musiche Marco Frisina
Prodotto da MIC International Company
Roma,13 Febbraio 2024
Il Teatro Brancaccio di Roma ospita  uno spettacolo assai coinvolgente: “La Divina Commedia Opera Musical”, tratto dal capolavoro di Dante Alighieri e prodotto dalla Mic International Company. La regia è firmata da Andrea Ortis, che porta sul palco un cast preparato ed abbastanza eterogeneo per talento vocale e scenico. La storia ci catapulta nell’animo smarrito di Dante, che, dopo un incontro traumatico con le belve del peccato, si ritrova guidato dal suo mentore, il poeta Virgilio, in un viaggio attraverso Inferno, Purgatorio e Paradiso. Lungo il cammino, Dante affronta le sue paure e le sue incertezze, mentre Virgilio lo incita a essere coraggioso. Nel Inferno, incontriamo Paolo e Francesca, condannati per la loro passione peccaminosa, e Pier Delle Vigne, che ha rinunciato al futuro suicidandosi. Nel Purgatorio, le anime si dedicano alla preghiera e alla penitenza, tra cui spiccano Pia de’ Tolomei e i poeti Guinizzelli e Daniel. Ma il vero obiettivo del viaggio è il Paradiso, dove Dante spera di incontrare Beatrice, l’amore mai confessato. Sarà l’abbraccio con lei a dare finalmente pace al suo tormentato animo. Lo spettacolo si snoda attraverso una serie di ambientazioni sceniche curate da Gabriele Moreschi altamente suggestive, trasportando il pubblico da scenari di tormento e fuoco nella Città di Dite, alle tempeste emotive che avvolgono Francesca, fino a mari impetuosi come quello che inghiotte Ulisse, e foreste pietrificate o laghi ghiacciati che fungono da sfondo per gli incontri di Dante con Pier delle Vigne e Ugolino. Ma le scenografie da sole non bastano. Sulla scena, il dinamismo è alimentato anche dalle coreografie eseguite da un corpo di ballo di discreto livello. Le sofisticate elaborazioni grafiche multimediali e in 3D, integrate con maestria nell’opera, hanno innegabilmente contribuito a elevare il  valore estetico dello spettacolo , conferendo una dimensione suggestiva particolarmente pronunciata nei momenti più impegnativi da portare in scena, come la resa del paradiso tramite la rappresentazione di un cielo stellato. Tuttavia, è opportuno sottolineare che, sebbene costituiscano elementi di notevole impatto, l’eccessivo ricorso a tali risorse può talvolta prevalere sulla narrativa teatrale, trasformando l’esperienza complessiva in una predominante performance visiva. È pertanto auspicabile un miglioramento delle proiezioni attraverso un attento studio dell’illuminazione, al fine di mitigare il fenomeno della “proiezione sul personaggio”. Troppo spesso, ci si è accorti che Dante e Virgilio vengono oscurati dalla luce proiettata, con conseguente appiattimento della resa scenica.  Le coreografie curate da Massimiliano Volpini, predominantemente moderne e contemporanee, mantengono un legame con le radici del balletto classico, sebbene la qualità tecnica non risulti uniforme in tutti i ballerini, manifestando talvolta delle disomogeneità che possono risultare evidenti agli occhi più attenti. L’adattamento della Divina Commedia ha richiesto una raffinata sensibilità nel bilanciare i toni e le atmosfere dei diversi regni ultraterreni. Questo complesso incarico è stato affidato al talento di Monsignor Marco Frisina per il libretto musicale. Nel primo atto, il cui fulcro è l’inferno, fatta eccezione per l’intensa vicenda di Paolo e Francesca, si è assistito a un graduale crescendo musicale caratterizzato da percussioni incisive e penetranti, veicolando il messaggio struggente delle anime dannate e la disperazione di Dante che si aggira tra i vari gironi. Nel passaggio al purgatorio, si è notata una significativa attenuazione dell’intensità, con una transizione fluida resa possibile anche dal racconto di Catone che fungeva da raccordo. Purgatorio e Paradiso, uniti nel secondo atto, sono stati concepiti come una progressione coesa, con un rapido crescendo che spinge verso l’epilogo finale in Paradiso. Tuttavia, è un peccato che, per esigenze di sintesi, le due dimensioni siano state amalgamate, con il monologo di Virgilio e l’arrivo di Beatrice a fungere da connettivo, nonostante la loro distinta natura. Nella messa in scena di Dante, curata da Andrea Ortis, emerge una varietà di linguaggi comunicativi che arricchiscono il percorso del protagonista. Il Dante Viaggiatore, interpretato con maestria dalla voce fuori campo di  Giancarlo Giannini, diventa la materializzazione scenica della voce interiore del poeta, incarnando la sua maturità artistica e spirituale. Giannini offre un’interpretazione magistrale della narrativa, dando vita a un Dante che, nel bel mezzo della sua esistenza, trova nella scrittura una via di fuga creativa dalla profonda depressione. L’interpretazione vocale del personaggio di Dante da parte di Antonello Angiolillo attraversa una trasformazione che va dall’inizio incerto e stentato a una sicurezza progressivamente crescente, tuttavia non del tutto soddisfacente. Nonostante mantenga una presenza costante sul palco, Angiolillo sembra lottare per sostenere le lunghe ore di spettacolo, affrontando una parte ricca di sfide con una certa mancanza di tranquillità e determinazione instabile. La sua voce mostra incertezze, la tecnica vacilla e spesso si nota un calo nel rendimento. D’altra parte, Andrea Ortis nel ruolo di Virgilio e Myriam Somma nel ruolo di Beatrice incarnano i rispettivi personaggi con fervore, anche se talvolta sembrano trattenersi, lasciando il pubblico in attesa di un crescendo vocale e interpretativo che raramente si materializza.  Al contrario, Valentina Gullace e Sofia Caselli  riescono a emozionare e coinvolgere grazie alla loro timbrica e alla profondità della loro interpretazione. I ruoli di Caronte (Gipeto) e Conte Ugolino (Antonio Sorrentino) soffrono di una mancanza di profondità timbrica e vocale, impoverendo spesso la fortezza dei loro personaggi e appiattendoli rispetto alla ricchezza che la scrittura richiede. Lo spettacolo promette molto sopratutto grazie ad  una scrittura corale intensa, ma manca ancora di una direzione compiutamente soddisfacente e l’uso del termine “opera” accanto a “musical” sembra attualmente un’accostamento troppo ambizioso per questo spettacolo. La reazione del pubblico, poco convinto, si manifesta con un applauso tiepido e un rapido abbandono della sala, come se volesse tornare a cercare ispirazione altrove, “a riveder le stelle”. Qui per tutte le date.

Categorie: Musica corale

Deutsche Staatsoper Berlin: “Rusalka”

Mer, 14/02/2024 - 08:23

Deutsche Staatsoper Berlin, season 2023/2024
“RUSALKA“
Lyrical Fairy-tale in three acts, libretto by Jaroslav Kvapil 
Music by Antonin Dvořák
Rusalka CHRISTIANE KARG
The prince PAVEL ČERNOCH
The foreign princess ANNA SAMUIL
Vodník, the water goblin TUOMAS PURSIO/MIKA KARES
Ježibaba ANNA KISSJUDIT
Gamekeeper ADAM KUTNY
Kitchen boy CLARA NADESHDIN
First wood sprite REGINA KONCZ
Second wood sprite REBECKA WALLROTH
Third wood sprite EKATARINA CHAYKA-RUBINSTEIN
Hunter TAEHAN KIM
Staatskapelle Berlin & Staatsopernchor
Conductor Robin Ticciati
Chorus Gerhard Polifka
Director Kornél Mundruczó
Stage, costumes Monika Pormale
Light Felice Ross   
Video Rudolfs Baltins   
Choreography Candas Bas   
Berlin, 11th February 2024
Rusalka by Antonin Dvořák from 1901, the most famous Czech opera, had been staged at the Deutsche Staatsoper Berlin only once in 1968 by Erhard Fischer, conducted by Arthur Apelt with the deserving Ingeborg Wenglor leading the premiere cast until Kornél Mundruczó’s new production on 4th February 2024. Probably knowing that staging fairytale opera is fraught with pitfalls, he transfers the plot from a romantic Bohemian landscape, picturesque lake and medieval castle included, to three floors of an apartment building in Berlin in view of the TV tower. Vodník, the water goblin, is a sort of eternal student in his fifties who lives in a shared flat on the ground floor with the three wood sprites and Rusalka who prefers lying in the bathtub to partying with the others. The witch Ježibaba is a neighbour who is constantly throwing eels around. She visits Rusalka in the bathroom to make her change into a tight black party dress. Like that Rusalka is taken by another neighbour, the Prince, to his posh penthouse where he lives with the Foreign princess who he turns to again as soon as he cannot cope with Rusalka’s muteness any more. She returns to the bath, pulls her hair out to end up in the cellar as an eel with a long black tail. The final duet kills the neighbour and redeems her. Enough. The technically elaborate stage by Monika Pormale is visually most striking. Mundruczó’s attempt to stage a social drama rather than a fairytale leaves the singers alone as characters, and unlike in other productions, the audience feels like they are in a fantastic comedy or a horror film. Conductor Robin Ticciati seems to adore the music and makes the Staatskapelle Berlin play Dvořák’s score vividly with a touch of modernity by evoking moments of both impressionism and verismo. He is inclined to linger a little too long and he sometimes fails to balance the orchestra and the voices so that the singers are drowned, above all Rusalka. Christiane Karg’s light Mozart soprano can hardly manage the dramatic requirements. She throws herself into the title role by acting intensely, including the Salome-like dance during the Polonaise of act 2, which cannot outweigh the lacking corpo in the middle of her register and hard sounding upper notes that tend to an unpleasant vibrato. Pavel Černoch is an idiomatic Prince whose tenor does not sound typically Czech with its baritone-like timbre and amazing legato but he turns out to be perfectly cast for the taxing part of Wagnerian strength in the ardent declaration of love at the end of act 1. Both social characters seem to be weak in Mundruczó’s drama, Rusalka is restlessly pushed around and the Prince comes along as a middle-class person. Tuomas Pursio sings the Vodník from the side instead of Mika Kares who is only able to act because of an incurred bronchitis. Tuomas Pursio sings beautifully with soaring power up top to make a vocal highlight out of the aria in act 2. Also neglected by the director as a character, Mika Kares shows little authority and plays something between a flatmate and a fatherly friend. Anna Kissjudit’s impressivley big contralto struggles with the higher middle register of the witch neighbour Ježibaba. Anna Samuil brings Wagnerian heft to her frantic Foreign princess by sound volume which nearly turns into Sprechgesang for lower notes. Adam Kutny is strong as the Gamekeeper but Clara Nadeshdin’s soprano suffers a little from the low tessitura of the female Kitchen boy. The production is blessed by Regina Koncz, Rebecka Wallroth and Ekaterina Chayka-Rubinstein as a vivid trio of Wood sprites who, along with the Vodník, turn into alien monsters in act 3. This production presents Rusalka as a sequence of exclusively ugly pictures, sad and desperate moments and as a last impression, there is an ugly, eternal curse. Death really seems the best solution for such terrible being. It can be staged differently, which is proved by other productions.Photos by Gianmarco Bresadola

Categorie: Musica corale

Roma, Sala Umberto: “Buonanotte Mamma” dal 15 al 25 Febbraio 2024

Mer, 14/02/2024 - 08:00

Roma, Sala Umberto
BUONANOTTE MAMMA
di Marsha Norman
con Marina Confalone, Mariangela D’Abbraccio
Regia di Francesco Tavassi
Scene Alessandro Chiti
Costumi Maria Rosaria Donadio
Musiche Davide Cavuti
Luci Marco Palmieri
produzione Stefano Francioni produzioni SRL
Premio Pulitzer nel 1983 Buona notte mamma (Night, mother) della autrice americana Marsha Norman fu reso famoso dalla versione cinematografica del 1986 con Anne Bancroft e Sissy Spacek per la regia di Tom Moore e fu portato in scena per la prima volta in Italia dal Piccolo Teatro nel 1984 con protagoniste Lina Volonghi e Giulia Lazzarini per la regia di Carlo Battistoni. La scena rappresenta uno scorcio della casa di Thelma; su una parete, ben visibile un orologio scandirà in tempo reale il conto alla rovescia che conduce, in un alternarsi di emozioni e di suspense, protagoniste e pubblico verso l’epilogo. La vicenda si snoda in una sola serata, durante la quale Jessie Cates annuncia con lucida calma alla mamma Thelma che di lì a poco si suiciderà, per questo inizierà ad organizzarle scrupolosamente il futuro, curando tutto quanto di quotidiano e pratico le servirà in sua assenza dopo l’ultima “buonanotte, mamma”. Thelma tenterà disperatamente e con ogni mezzo di distogliere la figlia dal drammatico intento replicando “colpo su colpo”, agli argomenti della figlia preda di un insopportabile mal di vivere e decisa a compiere quest’ultimo atto in estrema libertà e autodeterminazione. Da questo disperato confronto, emerge l’impietoso racconto della loro esistenza e del loro fallimentare rapporto affettivo, sebbene, a tratti, la disperazione di Thelma e la lucida determinazione di Jessie, nel paradosso della situazione, generino momenti tragicomici rendendo ancora più dolorosa ed emozionante la narrazione. In scena, tenerezza e morte si intrecciano in un surreale quotidiano all’amore tra una madre ed una figlia. In questa edizione, due superbe attrici, Marina Confalone e Mariangela D’Abbraccio, daranno voce, corpo e soprattutto anima a madre e figlia, sostenute da una messa in scena attenta a porle sempre in primissimo piano; così da regalare al pubblico la sensazione di averle sempre sotto controllo per poterne carpire le emozioni in ogni sguardo, in ogni respiro. Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman: “Assassinio nella Cattedrale”

Mar, 13/02/2024 - 23:59

Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman
Stagione 2023 2024
ASSASSINIO NELLA CATTEDRALE
(MURDER IN THE CATHEDRAL)
di Thomas Stearns Eliot
regia Guglielmo Ferro
Con Moni Ovadia, Marianella Bargilli
e con Agostino Zumbo, Alice Ferlito, Viola Lucio, Rosario Minardi, Pietro Barbaro, Giampaolo Romania, Giovanni Arezzo, Plinio Milazzo, Giuseppe Parisi
musiche Massimiliano Pace
scene Salvo Manciagli
costumi Sartoria Pipi
Produzione ABC produzioni in collaborazione con Teatro Quirino di Roma
Roma, 13 Febbraio 2024
“Debbo io, che tengo le chiavi Del cielo e dell’inferno, solo supremo in Inghilterra, Che lego e sciolgo, con il potere del Papa, Abbassarmi a desiderare un potere più meschino? Delegato a lanciar la condanna della dannazione, Condannare i Re, non servire fra i loro servitori, È mio chiaro ufficio.”
(T.S.Eliot, Murder in the cathedral)
Il capolavoro di Eliot del 1935, ispirato dall’assassinio dell’Arcivescovo di Canterbury Thomas Becket nel 1170, ci trasporta nel cuore delle tragedie antiche con una struttura drammatica che promette eventi misteriosi e terribili.
Con un’unica figura centrale, Becket stesso, alle prese con il suo tormento interiore di fronte alla morte imminente, e cori di sacerdoti, tentatori, cavalieri e donne di Canterbury che agiscono come voci della sua coscienza, questa rappresentazione offre un’esperienza teatrale avvincente. L’azione scenica è essenziale, concentrandosi sul crescendo drammatico e lasciando spazio alla contemplazione della sofferenza, al dibattito psicologico e all’evocazione di parole ed immagini potenti. Questo dramma, carico di significati politici, si staglia come una critica sfumata ma potente contro i regimi autoritari del suo tempo, soprattutto nell’era in cui il fascismo guadagnava terreno in Europa centrale. Nato dall’assassinio dell’Arcivescovo Thomas Becket avvenuto nella Cattedrale di Canterbury nel lontano 1170, si trasforma in una metafora poetica che sfida apertamente il regime nazifascista, soprattutto per quanto riguarda il suo rapporto con la Chiesa cattolica. Becket viene ucciso da quattro cavalieri al servizio del re Enrico II d’Inghilterra, ma la diretta responsabilità del sovrano non è mai stata provata, poiché sembra che i quattro abbiano agito per propria iniziativa. Diviso in due parti separate da un interludio, il dramma si svolge in modo quasi rituale, con un coro che richiama i modelli del teatro greco e con un discorso centrale che assume la forma di un’omelia pronunciata dall’arcivescovo poco prima del suo assassinio. Questo allestimento si distingue per il suo straordinario fascino emotivo e creativo, ponendo poca enfasi sulle aggiunte musicali o di costume e quasi ignorando la ricostruzione storica in favore di una ricerca più profonda nei recessi dei nostri timori più oscuri, quelli che da sempre ci accompagnano tra terra e cielo, tra materia e spirito, tra tempo ed eternità. Nel suggestivo scenario di questo spettacolo teatrale, infatti, la scena si presenta essenziale: gli attori, vestiti con abiti d’epoca, sono gli unici a popolare il palcoscenico, trasportandoci immediatamente in un preciso contesto temporale. L’impianto scenico ideato da Salvo Manciagli ci avvolge in un classico intreccio di archi gotici, dove volute e rosoni si intrecciano creando un’atmosfera drammatica e suggestivo. E’ però grazie alla magia delle luci che lo spazio prende vita: esse conferiscono profondità al palco, espandendo o restringendo gli ambienti a seconda delle necessità, e aggiungono un tocco di verticalità ai momenti più intensi e lirici, creando un corridoio privilegiato per i versi recitati, dove le emozioni si esprimono con tutta la loro potenza. Il dramma di Thomas Stearns Eliot vede Moni Ovadia e Marinella Bargilli come protagonisti, sotto la sapiente direzione di Guglielmo Ferro. Moni Ovadia si cala nel ruolo con il canto struggente dell’eroe inglese attraversato dalla fede cristiana. Si tratta del lamento profondo di un uomo diviso tra la rinuncia e l’incarnazione del Cristo, tra il desiderio di potere e la fede incondizionata in Dio. L’interpretazione di Moni Ovadia ha dato nuova luce a un’idea già affascinante: quella di un attore ebreo che si immedesima nel ruolo di un cristiano assassinato. L’eroismo, espresso attraverso questa dualità tra l’uomo comune e l’uomo di chiesa, ha raggiunto vette emozionali, soprattutto durante uno splendido intermezzo in cui un sermone toccante e attuale ha descritto la ricerca eterna e drammatica della pace divina e umana, una ricerca che per molti ancora oggi rimane insoddisfatta. La bravissima Marinella Bargilli, invece, offre una doppia interpretazione: quella di una Corifea e del Quarto Visitatore, ovvero il Demonio. Nel doppio ruolo del coro e della tentazione, infatti, si manifesta un’anima irrazionale, nutrita da sensazioni viscerali e enigmatiche. La scelta del regista di affidare questo complesso ruolo alla straordinaria attrice toscana non è casuale, poiché solo una donna in grado di bilanciare sensibilità e razionalità avrebbe potuto interpretare con successo questa dimensione liminare. Il resto del cast ha brillato sul palcoscenico, con particolare rilievo per le performance di Agostino Zumbo, Giovanni Arezzo e Rosario Minardi nei rispettivi ruoli di tentatori. Il pubblico ha risposto con calorosi applausi, riconoscendo l’impegno e il talento degli attori. Qui per le altre recite.

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Roma, Festival Equilibrio: “Closer/On the Other Side

Mar, 13/02/2024 - 23:38

Roma, Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, Sala Petrassi
“CLOSER / ON THE OTHER SIDE”
Musica Philip Glass
Coreografie Benjamin Millepied
Costumi Camille Assaf
Luci Masha Tsimring
Corpo di Ballo dell’Opera di Roma
Co-realizzazione Teatro dell’Opera di Roma e Fondazione Musica per Roma
Roma,  9 febbraio 2024
Dopo l’anteprima di fine gennaio al Teatro Argentina dedicata all’ultima creazione di Peeping Tom, si è aperta ufficialmente il 9 febbraio presso l’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone la XVIII edizione del Festival Equilibrio, volto nelle intenzioni del Direttore Artistico Emanuele Masi a proporre “una brillante costellazione di forme ed estetiche coreografiche”. Ciò che distingue in particolare la presente edizione è la sinergia con le principali realtà della capitale, tra cui il Teatro di Roma ed Orbita Spellbound. Ad inaugurare il Festival in Sala Petrassi è una serata nata dalla nuova partnership con il Teatro dell’Opera di Roma, il cui Corpo di Ballo si esibisce all’Auditorium per la prima volta. Si tratta di un dittico incentrato su coreografie neoclassiche di Benjamin Millepied ispirate dalla musica di Philip Glass. Millepied, noto al grande pubblico per le coreografie del film Black Swan di D. Aronofsky (2010), possiede un background artistico molto solido. Dopo aver studiato al Conservatorio Nazionale di Lione, ha completato la sua formazione alla Scuola dell’American Ballet di New York ed è stato principal del New York City Ballet. Non stupisce quindi che l’impronta balanchiniana abbia suscitato in lui il desiderio di un pieno confronto con la musica. Dal minimalismo di Philip Glass prende vita nel 2005 il pezzo Closer, un racconto intimo sull’amore di coppia. Va detto che il legame tra Millepied e l’Opera di Roma non è nuovo. Tra il 2014 e il 2016 il coreografo è stato direttore del corpo di ballo dell’Opéra di Parigi, e l’étoile dello stesso teatro Eleonora Abbagnato aveva inserito e danzato proprio tale duetto sulla partitura pianistica di Mad Rush in una delle prime produzioni realizzate dopo aver preso le redini della compagnia romana (Serata Grandi Coreografi, febbraio-marzo 2016). Adesso presentano Closer al pubblico del Festival Equilibrio l’étoile Rebecca Bianchi e il primo ballerino Michele Satriano, animandone con armonia, precisione, purezza di linee e penetrante presenza scenica il gioco di pesi, contrappesi, slanci, tensioni. Il bianco dei costumi e delle scene dona luce alle scultoree pose nello spazio, e la musica dal vivo del pianoforte accompagna voli e cadute dei protagonisti, che dopo aver riposto piena fiducia l’una nell’altro possono infine riposare vicini. Dal dittico presentato all’Auditorium Millepied appare quindi un abile architetto-narratore, capace di costruire sulla ripetitività ipnotica di Philip Glass strutture coreografiche che calamitano l’attenzione dello spettatore. È questo anche il caso di On the Other Side, presentato come “il terzo capitolo della trilogia Gems, una rivisitazione di Diamonds di Balanchine”. Il rapporto con Jewels non è in realtà così evidente, ma è molto apprezzabile il rimodellamento sugli interpreti della compagnia del Teatro dell’Opera di tale lavoro, creato originariamente per la compagnia L.A. Dance Project. Tra il dinamico movimento delle forme dei danzatori in tute ed abiti casual, emergono la danza sfavillante di Alessio Rezza in coppia Federica Maine, il magnetismo di Claudio Cocino in duo con Giacomo Castellana, l’intensità degli assoli di Marta Marigliani, l’amalgamarsi delle energie di Federica Maine, Annalisa Cianci e Sara Loro. L’”universo di luminose galassie” di cui parla il curatore Emanuele Masi si incarna dunque in giovani volti chiamati a infondere negli spettatori sentimenti di “gioia, bellezza e ironia”. Foto Fondazione Musica per Roma/MUSA

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Roma, Museo di Trastevere: “Rino Gaetano” dal 16 Febbraio al 28 Aprile 2024

Mar, 13/02/2024 - 12:24

Roma, Museo di Trastevere
RINO GAETANO
A cura di Alessandro Nicosia e Alessandro Gaetano
Organizzata e realizzata da C.O.R. Creare Organizzare Realizzare, con il patrocinio del Ministero della Cultura e la media partner di Rai, con la collaborazione di Universal Music Publishing Group
A oltre quarant’anni dalla sua morte un omaggio a Rino Gaetano.
La prima mostra dedicata al cantautore vuole raccontare a chi lo ha amato e alle nuove generazioni, la contemporaneità e l’originalità del suo pensiero e della sua proposta musicale. L’esposizione presenta materiali inediti (foto, cimeli artistici, oggetti) che insieme agli strumenti musicali, ai vestiti di scena e alla raccolta dei suoi dischi, illustreranno la personalità e l’attualità di un artista unico e amato dal pubblico prematuramente uscito di scena. Un percorso emozionante e suggestivo che farà rivivere il ricordo di una delle più belle voci della canzone italiana che con ironia e sguardo poetico ha conquistato e continua a conquistare il cuore di tutti. Qui per tutte le informazioni.

 

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Roma, Teatro Sistina: “Natale in casa Cupiello” dal 15 Febbraio al 10 Marzo 2024

Mar, 13/02/2024 - 09:00

Roma, Teatro Sistina
NATALE IN CASA CUPIELLO
di Eduardo De Filippo
Regia di Vincenzo Salemme
con Vincenzo Salemme, Antonio Guerriero, Fernanda Pinto, Franco Pinelli, Teresa Del Vecchio
Produzione Chi è di scena e Teatro Diana 
Natale in casa Cupiello andò in scena per la prima volta al Teatro  Kursaal di Napoli il 25 dicembre del 1931 ed era un atto unico al quale si aggiunsero successivamente altri due atti che compongono la versione definitiva conosciuta oggi. La commedia, inizialmente incentrata sul pranzo natalizio durante il quale ha luogo il dramma della gelosia, viene in un secondo momento rimaneggiata da Eduardo che la fa iniziare due giorni prima durante i quali descrive i personaggi che compongono la famiglia, ognuno con le sue peculiarità e il proprio mondo interiore. La sera di Natale del 1977, la commedia registrata viene trasmessa dalla Rai diventando più di un classico televisivo, un vero e proprio rito degli Italiani. Qui per tutte le informazioni.

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Torino: il debutto di Krzysztof Urbański con l’orchestra RAI. Solista Jan Lisiecki

Mar, 13/02/2024 - 08:48

Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, di Torino,Stagione Sinfonica 2023-24.
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore Krzysztof Urbański
Pianoforte Jan Lisiecki
Wojciech Kilar (1832-2013): “Orawa”, per orchestra d’archi. Sergej Prokof’ev: Concerto n.2 in sol minore per pianoforte e orchestra, op16. Pëtr Il’ič Čajkovskij: Sinfonia n.4 in fa minore op.36.
Torino, 9 febbraio 2024
Con Orawa, pezzo che introduce la serata, il direttore polacco Krzysztof Urbański ci serve un assaggio della musica del compatriota Wojciech Kilar. Poco meno di 10 minuti che impegnano gli archi, tutti in piedi, in un coinvolgente intensificarsi e attenuarsi di suono. Non ci sono temi definiti e riconoscibili che durino più dello spazio di una battuta o di un suggerimento di ritmo. L’esperienza d’ascolto non è spiacevole e soprattutto non è urtante come sovente accade coi prodotti degli ex adepti dei corsi estivi di Darmstadt. Urbański che sfoggia un piglio comunicativo assai teatrale che incanta orchestra e pubblico, guida positivamente in porto un pezzo che avrebbe anche potuto suscitare incomprensione e rifiuto. Il non vasto pubblico ha applaudito, apparentemente, senza riserve. Il solista che si appresti a suonare il secondo concerto di Prokof’ev, viste le difficoltà tecniche che vi troverà, deve possedere un grande coraggio e una sconfinata fiducia nei propri mezzi. Jan Lisiecki, il pianista canadese, ma il nome tradisce le origini polacche, le possiede ambedue in abbondanza. Prokof’ev scrisse il concerto, tra l’Europa e la Russia, intorno al 1913, in una temperie culturale ovunque molto effervescente. Fu tacciato e rifiutato, alle prime esecuzioni pubbliche, come eccessivamente “futurista”. La partitura risultò poi dispersa e forse anche bruciata negli anni della rivoluzione e della guerra, Prokof’ev la ricostruì, a memoria, una decina d’anni dopo la creazione. C’è il forte sospetto che la ricostruzione sia stata addomesticata per ovviare a quanto ne aveva segnato il fallimento originario. L’autore, oltre che nella composizione, eccelleva nella tecnica pianistica e concepì quindi l’opera in modo funzionale per poterla eseguire lui stesso, mettendosi a disposizione una scrittura virtuosistica spettacolare che lo promuovesse per ulteriori commesse ed esibizioni. Jan Lisiecki, con tecnica e sensibilità straordinarie, ha catturato l’interesse ed ha suscitato l’entusiasmo del pubblico, coadiuvato anche dal fascino giovanile di una figura slanciata ed elegante. L’intesa con Urbański, confermata da precedenti incontri professionali, anche in sala di registrazione, pare perfetta. Il maestro si volge sovente al solista per cercarne l’accordo nei punti focali e gli lascia assoluta libertà di fraseggio nei molti tratti in cui è il pianoforte a condurre il cammino. Due lunghissime cadenze solistiche esaltano ulteriormente la tastiera. Non ci sono pause romanticheggianti o meditative ma, ugualmente, il pianista evita un’esecuzione eccessivamente percussiva privilegiando giocosità e vivacità dello spartito. L’esito, viste le premesse, non poteva che essere travolgente e vincente. Paolo Borciani, il grande primo violino del Quartetto Italiano, in un suo libro/manuale degli anni ’70, raccomandava assertivamente “è buona norma annunciare l’opera … che si esegue fuori programma”, accadendo ciò molto di rado, si diffonde nel pubblico la distrazione per le incertezze collegate al “totobis”. Lisiecki non annuncia il suo che, se per alcuni, fin dalle prime note, è il ben conosciuto Preludio op.23 n.5 di Rachmaninov, per altri moltissimi rimarrà non identificato a vita, niente registrazione RAI della serata, quindi niente RAIPLAY e Susanna Franchi a sciogliere l’enigma. Come per il Concerto, Lisiecki fa miracoli e quindi: applausi scroscianti ! Krzysztof Urbański sconcerta una buona parte del pubblico per il taglio che dà alla Quarta sinfonia di Čaikovskij. Pare infatti concentratissimo sulla bellezza del particolare ed assolutamente disinteressato al quadro complessivo. Il gesto, manifestamente autocompiaciuto, teatrale e modellato con bruschezza contrasta con il suono soffuso degli archi, quasi un soffice sfondo per legni e ottoni. Pare si tratti non di una sinfonia ma di un concerto-grosso barocco. Non sono balalaike contadine quelle pizzicate nello Scherzo, ma eleganti e discreti mandolini da posteggiatore. L’estetica e l’eleganza dominano per tutta l’esecuzione e i colpi di grancassa sono istantanee sorprese da fiera e lasciano momentaneamente Fato e Destino fuori dal recinto. Il pubblico, forse decimato dal maltempo, applaude.

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Milano, Teatro alla Scala: “Alcina”

Lun, 12/02/2024 - 21:23

Milano, Teatro alla Scala, stagione 2023/2024
“ALCINA”
Dramma per musica in tre atti su libretto anonimo da “L’isola di Alcina”
musicata da Riccardo Broschi (1728)
Musica di Georg Friedrich Handel
Alcina MAGDALENA KOŽENÁ
Ruggiero ANNA BONITATIBUS
Morgana ERIN MORLEY
Bradamante ELISABETH DESHONG
Oronte VALERIO CONTALDO
Melisso ALEX ROSEN
Oberto ALOIS MÜHLBACHER
Les Musiciens du Louvre
Direttore Marc Minkowski
esecuzione in forma di concerto
Milano, 8 febbraio 2024
Scala gremitissima, pochissimi buchi in platea, i last minute, particolarmente invoglianti, dimostrano così la loro efficacia. Le gallerie, come al solito, sono stipatissime, esauriti da settimane tutti i posti. Tutto ciò grazie a Handel e ad Alcina, pur se in esecuzione concertante e senza nomi clamorosi in locandina. Les Musiciens du Louvre, col loro fondatore e leader Marc Minkowski, sono sempre al vertice tra gli artefici odierni del Barocco, nonostante ciò, dubitiamo che sia bastata la loro fama a stipare il Piermarini. Handel e l’Opera Barocca si confermano, se ce ne fosse ancora il bisogno, la vera attrattiva e stupisce quindi che rimangano al margine delle attuali programmazioni dei nostri teatri. Passa con qualche frequenza Giulio Cesare in Egitto soprattutto ove si trovi positivo sfruttare l’odierna abbondanza e qualità di sopranisti e contraltisti. Gli altri 41 titoli della produzione handeliana vengono ancora sostanzialmente ignorati. La stessa Scala, in questa circostanza, ha usufruito, non prodotto, di una recita isolata, in forma concertante, che Les Musiciens du Louvre e Marc Minkowski periodicamente ripropongono in tour. Il cast per l’occasione ha, come punta di forza e di richiamo, nel ruolo del titolo, un’intensa e appassionata Magdalena Koženà; la cui voce, dal timbro umbratile e vellutato, ben abita i centri e si sfoga convincendo nel patetismo di “Ah mio cor!”, pagina emblematica dell’opera, esaltata poi, in questa recita bipartita, con una forte collocazione a chiusura della prima parte. Le pagine d’ira, le invettive e i recitativi sono affrontati di slancio e con carattere; l’irruenza e la nettezza dell’accento mascherano le difficoltà linguistiche e delle incertezze vocali. Anna Bonitatibus è Ruggiero; la cantante gode del favore del pubblico che la omaggia, dopo ogni intervento, con nutriti applausi. La voce ha un bellissimo timbro e colora magnificamente i centri, cauta nelle agilità, soffre delle dimensioni della sala e di una certa sonorità esuberante dell’orchestra. Bella svettante e finalmente divertente, Morgana, la disinibita sorellina. Ha la voce e il timbro brillante di Erin Morley. L’aria “Tornami a vagheggiar”, per molti aspetti, contraltare del “Ah mio cor!” della sorella e come questa, grazie alla Sutherland (che se ne era appropriata come Alcina), altrettanto conosciuta, è risultata penetrante e sicura, siglando, a ragiona, il successo dell’esecutrice. Più in ombra la Bradamante di Elizabeth DeShong che, come Ruggiero, pur vantando un timbro fascinoso e tecnica del pari agguerrita, si è trovata a competere con le dimensioni della sala e l’esuberanza orchestrale. Gli interventi di Valerio Contaldo, il tenore che interpreta il generale Oronte, unico del cast, oltre alla Bonitatibus, italiano di madrelingua, sono stati efficaci. Ha cantato le sue tre arie con buona fluidità e proprietà stilistica, tanto da ricavarne applausi spontanei. La voce del basso americano Alex Rosen (Melisso),  si è mostrata di natura meno generosa, pur destreggiandosi sempre dignitosamente nei recitativi e nell’aria “Pensa a chi geme”, sfrutta abilmente la valida copertura e il buon sostegno dell’orchestra. Il giovane controtenore Alois Mühlbacher, applauditissimo dopo ogni intervento, indossa i panni di Oberto, il figlio dell’introvabile Paladino Astolfo, vittima delle magie di Alcina. Le sue due bellissime arie che, benché cantate con una voce piccola e piuttosto povera di armonici, riescono ugualmente corrono e superare l’arduo muro eretto dall’accompagnamento orchestrale. Tutti i solisti, uniti ad una manciata di titolari, compartecipano ai due brevi interventi corali che, come sempre nelle opere di Handel, sfiorano il sublime nella finale meditazione “Dopo tante amare pene”. Les Musiciens du Louvre e Marc Minkowski sono stati, a tutti gli effetti, i grandi protagonisti della serata. Forse la collocazione “in buca”, in luogo dello schieramento sul prolungamento del palco verso la platea, avrebbe attenuato l’effetto travolgente che lo strumentale ha assunto, conferendo così più equilibrio all’intera esecuzione e agevolando gli sforzi dei cantanti. Minkovski ha promosso, con più di 200 minuti di musica, una versione completamente integrale dell’opera: non ha tralasciato né un da-capo né un recitativo. Sono stati pure eseguiti degli interventi solistici del violino di spalla Alice Piérot e del violoncello di Gauthier Broutin, quest’ultimo, oltre ad essere concertante in alcune arie, unito a due clavicembali e alla tiorba, ha sostenuto ineccepibilmente il Basso Continuo nei molti recitativi. Il successo è stato prolungato ed unanime. Sono state premiate sia le voci che gli strumentisti, con particolare calore ed affetto il pubblico ha gratificato Minkowski, grande e geniale artefice della lunga serata.

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Venezia, Teatro La Fenice: “La Bohème”

Lun, 12/02/2024 - 18:52

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Lirica e Balletto 2023-2024
LA BOHÈME”
Scene liriche in quattro quadri.Libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, dal romanzo “Scènes de la vie de bohème” di Henri Murger.
Musica di Giacomo Puccini
Rodolfo CELSO ALBELO
Marcello ALESSIO ARDUINI
Schaunard ARMANDO GABBA
Colline ADOLFO CORRADO
Benoît, Alcindoro MATTEO FERRARA
Mimì CLAUDIA PAVONE
Musetta MARIAM BATTISTELLI
Parpignol Dionigi MASSIMO SQUIZZATO
Un venditore ambulante SALVATORE DE BENEDETTO
Un sergente dei doganieri GIAMPAOLO BALDIN
Un doganiere ENZO BORGHETTI
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Piccoli Cantori Veneziani
Direttore Stefano Ranzani
Maestro del Coro Alfonso Caiani
Voci bianche dirette da Diana D’Alessio
Regia Francesco Micheli
Scene Edoardo Sanchi
Costumi Silvia Aymonino
Light designer Fabio Barettin
Allestimento Fondazione Teatro La Fenice nel 100° anniversario della morte di Giacomo Puccini
Venezia, 8 febbraio 2024
La vita sregolata di alcuni giovani squattrinati – nella quale lo squallore dell’indigenza si sublima nella poesia delle piccole cose, l’incosciente allegria si alterna alla più profonda tristezza, l’estasi d’amore cede alla gelosia o al decadimento fisico – ha conquistato ancora una volta il pubblico della Fenice, dove viene ripresa da tredici anni. Ci riferiamo, ovviamente, a La bohème di Puccini, che nel centenario della morte dell’autore, è tornata in laguna nello storico, fortunato allestimento, firmato da Francesco Micheli (regia), Edoardo Sanchi (scene), Silvia Aymonino (costumi) e Fabio Barettin (light designer). Come non vedere nelle piccole “cose”, di cui si parla nel capolavoro pucciniano, un riflesso della “buone cose di pessimo gusto” di gozzaniana memoria? Del resto, un’assonanza tra il mondo del musicista lucchese e quello del poeta subalpino è testimoniata dal fatto che quest’ultimo confessò di aver posto mano a un libretto espressamente concepito per la musica di Puccini. Ma anche l’intuito critico di Montale, ebbe a sottolineare analogie tra i due artisti, pur così distanti fra loro per ragioni anagrafiche e ambientali: tra esse quel misto di ironia e commozione che accomuna le prove migliori di entrambi.
E all’importanza che assumono nella Bohème gli oggetti – prima fra tutti la cuffietta rosa, che rappresenta metonimicamente Mimì – e i luoghi della vita quotidiana non è certo insensibile l’allestimento, ideato dal regista e dai suoi collaboratori, che sottolinea, tra l’altro, un aspetto essenziale del capolavoro pucciniano, vale a dire il ruolo fondamentale svolto dalla Ville Lumière. Così nel primo quadro, la romantica soffitta si apre all’interno di una cornice luminosa che rappresenta i luoghi-simbolo della capitale – Tour Eiffel, Moulin Rouge, Arco di Trionfo, Chiesa del Sacro Cuore, grande ruota panoramica – variando la sua intensità a seconda del carattere della scena, sulla quale talora incombe una grande luna, pallida e maculata, testimone impassibile delle vicende di cui sono protagonisti i paradigmatici bohémiens. Alcuni luoghi di Parigi dominano anche nei quadri successivi: un animato Quartiere Latino alla vigilia di Natale nel secondo, con edifici su cui campeggiano colorate immagini pubblicitarie e nel sottosuolo un’affollatissima stazione del Métro; la Barriera d’Enfer nel terzo, dove si erge – tra la neve, gli spazzini e le lattaie – l’edificio girevole dell’osteria che ospita Marcello e Musetta. Nell’ultimo quadro, avviene un suggestivo passaggio di scena: sullo sfondo della silhouette degli edifici del Quartiere Latino, gli spazzini spalano la neve, prima che compaia di nuovo la soffitta, dove il clima prima nostalgico e poi brillante si muta in tragedia con l’arrivo di Mimì. Encomiabili la direzione e la concertazione di Stefano Ranzani, che ha sapientemente guidato l’orchestra e i cantanti, mettendo in valore le raffinatezze di una partitura, che in anni ormai lontani fu guardata con sufficienza da certi seriosi difensori delle italiche sorti musicali, e che invece continua a rivelare la statura di un musicista assolutamente geniale e perfettamente aggiornato su quanto stava avvenendo nel panorama musicale dell’Europa fin-de-siècle. Ci pare che il direttore milanese abbia messo in particolare evidenza la corda tragica di questa musica, senza indulgere in “romanticherie” o impennate veristiche, le une e le altre oggi francamente fuori luogo, potendo contare – oltre che su un Cast di prim’ordine – su una compagine strumentale, perfettamente a proprio agio nel restituirci tutta la raffinatezza della scrittura pucciniana. Ricordiamo la sigla d’apertura, che rappresenta la tumultuosa vita “bohémienne” col suono grave di fagotti, celli e contrabbassi; il motivo che risuona al primo ingresso di Mimì, introdotto dal clarinetto e poi ripreso dagli archi in un lento “crescendo” tra intervalli diatonici e cromatici; la fanfara delle trombe, con cui si apre il quadro del Quartiere Latino; il motivo staccato a quinte vuote di flauti e arpa su un pedale basso dei violoncelli in apertura del quadro successivo; per concludere con il motivo di Rodolfo in “Che gelida manina” e con il lacerante finale dell’opera, con la morte di Mimì, entrambi momenti in cui ha brillato l’intera orchestra. Quanto agli interpreti sul palcoscenico, Celso Albelo, al suo debutto nei panni di Rodolfo, è apparso forse troppo “generoso” nelle sue espansioni liriche, come si è colto anche in “Che gelida manina”; il che ha comportato una minore attenzione alle sfumature. Comunque si è trattato di una prestazione nel complesso positiva per quanto riguarda la prestanza sia vocale che scenica. Umbratile era il Marcello di Alessio Arduini, che ha dato voce e gesto a un personaggio allegro e cupo, innamorato e geloso. Apprezzabile – sul piano gestuale e vocale – la Mimì di Claudia Pavone, dal timbro omogeneo e corposo, che si è fatta apprezzare per la sua capacità di esprimere la condizione esistenziale di una fanciulla, in bilico tra realtà e illusione, con accenti ora tragici ora lirici: intensa ma mai leziosa in “Mi chiamano Mimì”. Una vocalità di pregnante leggerezza, insieme a un’encomiabile spigliatezza sulla scena, ha sfoggiato Mariam Battistelli, nei panni di una capricciosa – ma anche sensibile – Musetta. Spiritosi e vivaci, anche nella gestualità, Adolfo Corrado (Colline, toccante in “Vecchia zimarra”), Armando Gabba (Schaunard), Matteo Ferrara (Benoît/Alcindoro). Dignitosi tutti gli altri. Positiva la prova del Coro, istruito da Alfonso Caiani, e dei Piccoli Cantori Veneziani preparati da Diana D’Alessio. Successo pieno con numerose chiamate.

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Roma, Teatro India: “Fratellina” dal 13 al 18 Febbraio 2024

Lun, 12/02/2024 - 08:00

Roma, Teatro India
FRATELLINA
di Spiro Scimone
tratto da Soli al Mondo, presentazione di Jean-Paul Manganaro
regia Francesco Sframeli
con Francesco Sframeli, Spiro Scimone, Gianluca Cesale, Giulia Weber
scena Lino Fiorito
costumi Sandra Cardini
disegno luci Gianni Staropoli
Fratellina è un testo che racconta una realtà che sta capitolando sotto i colpi drammatici del nostro tempo, che sembra aver completamente dimenticato i veri valori dell’umanità. Nella scena composta da due grandi letti a castello Nic e Nac, una mattina, al risveglio, sperano di vivere in una nuova realtà, dove tutte le cose dimenticate si possono di nuovo ritrovare. Il desiderio di Nic e Nac, di scoprire un’altra realtà che va oltre i confini visibili della scena, si concretizza con l’apparizione del Fratellino e della Sorellina, due personaggi che con i loro dialoghi mescolano ilarità e paradosso, denuncia e sconforto. La sofferenza, lo stato d’ansia e il sentimento di delusione, dei quattro protagonisti di “Fratellina”, lasciano spesso spazio al sorriso e all’ironia. L’atmosfera lieve e giocosa dell’opera, nasce dalla musicalità dei dialoghi, dal ritmo, dalle ripetizioni delle parole, dalle attese e dall’ascolto del silenzio. C’è in questo lavoro l’accorata denuncia di un mondo sempre più vuoto e crudele, dove il senso comune ha perso ogni punto di vista o di riferimento e che lascia così isolati e perduti i propri personaggi costretti a rifare il mondo “a parole” su dei lettini che mimano più i giacigli delle prigioni che i tappeti volanti su cui sognarsi in viaggio. Qui per tutte le informazioni.

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Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman: “Assassinio nella cattedrale” dal 13 al 18 Febbraio 2024

Lun, 12/02/2024 - 08:00

Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman
Stagione 2023 2024
ASSASSINIO NELLA CATTEDRALE
(MURDER IN THE CATHEDRAL)
di Thomas Stearns Eliot
regia Guglielmo Ferro
Con Moni Ovadia, Marianella Bargilli
CTB Centro Teatrale Bresciano Progetto Teatrando
“Mai come oggi, il capolavoro di Eliot, rappresenta una testimonianza senza tempo sul rapporto fra opposti, nel cuore della civiltà occidentale: Potere Temporale e Potere Spirituale, Ragione e Fede, Individuo e Stato. Libertà e Costrizione. Nella vicenda così complessa (e di difficilissima analisi storica) fra Enrico II e colui che sarà – alla fine di un percorso politico e personale complicato e sofferto – Arcivescovo di Canterbury leggiamo il dramma e l’esizialità delle scelte che oggi si compiono davanti ai nostri occhi. Di più: vi leggiamo lo iato fra la micro e la macro Storia; fra la grande vicenda dell’Umanità e la vicenda privata, piccola – a volte inutile, quasi sempre insignificante – di ciascuno di noi. Persino nella nebulosità dei sicari, materialmente difficili da ricondurre con certezza alla responsabilità di Enrico quale mandante certo, leggiamo l’ambiguità del Potere e del suo Sistema nel rapporto con gli individui: manipolatorio, ricattatorio, inafferrabile. In questa ambiguità di fondo, sembrano rispecchiarsi tutte quelle precedenti e quelle a seguire: dalla “conferenza di Wansee” all’ “Irangate”. Una costante dell’infingimento, della manipolazione – appunto – del Sistema, che indirizza i destini di interi popoli senza – apparentemente – esercitare coercizione, ma, anzi, promuovendo libertà e democrazia. Non a caso, rappresentato nel ’35 proprio nei luoghi della vicenda reale, il dramma sembra raccontare più l’ascesa ed il pericolo del nazismo, che le vicende dei Plantageneti. Oggi, il nostro allestimento, la nostra versione del dramma, mira appunto a questa “trasversalità” storica; a questa “atemporalità”, orientata a togliere la matrice specifica a questo conflitto, restituendola ad una dimensione più generalmente estesa. Una rotta precisa, un percorso fatto di convincimenti profondi. Una scelta confermata anche dalla presenza di un Maestro del Teatro Civile più genuino che il nostro Paese esprime in questo momento: Moni Ovadia. Artista, attore, “cantore dell’impegno”, che – anche – nella sua appartenenza alla cultura “yddish”, suggerisce una polifonia di linguaggi ed istanze antropologiche, oltre che storiche, civili e sociali.” Guglielmo Ferro Qui per tutte le informazioni.

 

 

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Roma, Teatro dell’Opera : “Il Trittico Ricomposto: Gianni Schicchi e L’ Heure Espagnole”

Dom, 11/02/2024 - 21:51

Teatro dell’Opera di Roma – Stagione Lirica 2023/2024
SECONDA PARTE DEL PROGETTO TRIENNALE “TRITTICO RICOMPOSTO”
GIANNI SCHICCHI
Opera in un atto
Libretto di Giovacchino Forzano
ispirato a un episodio del canto XXX della Commedia di Dante Alighieri
Musica di Giacomo Puccini
Gianni Schicchi  CARLO LEPORE
Lauretta  VUVU MPOFU
Zita detta la vecchia  SONIA GANASSI
Rinuccio  GIOVANNI SALA
Gherardo  YA-CHUNG HUANG
Nella VALENTINA GARGANO
Gherardino  LEONORADO GRAZIANI
Betto di Signa  ROBERTO ACCURSO
Simone  NICOLA ULIVIERI
Marco  DANIELE TERENZI
La Ciesca  EKATERINA BUACHIDZE*
Maestro Spinelloccio  DOMENICO COLAIANNI
Ser Amantio di Nicolao  MATTIA ROSSI*
Pinellino  ALESSANDRO GUERZONI
Guccio  DANIELE MASSIMI
*dal progetto Fabbrica Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
L’HEURE ESPAGNOLE
Comédie musicale in un atto
Libretto di Franc-Nohain
Dalla propria omonima commedia
Musica di Maurice Ravel
Torquemada YA-CHUNG HUANG
Concepciòn KARINE DESHAYES
Gonzalve GIOVANNI SALA
Ramiro MARKUS WERBA
Don Inigo Gomez NICOLA ULIVIERI
Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma con la partecipazione della Scuola Corale del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Michele Mariotti
Regia e scene Ersan Mondtag
Regista collaboratore Ariane Kareev
Costumi Johanna Stenzel
Luci Sascha Zauner
Video Luis August Krawen
Drammaturgia Till Brieglab
Nuovo allestimento del Teatro dell’Opera di Roma
Roma, 07 febbraio 2024
La seconda parte del trittico pucciniano ricomposto andata in scena al Teatro dell’Opera di Roma nell’ambito di un progetto triennale era costituita dal Gianni Schicchi seguito da L’Heure Espagnole di Ravel, affidate alla direzione del maestro Michele Mariotti ed alla regia e alle scene di Ersan Mondtag acclamato regista tedesco di origini turche al suo atteso debutto in Italia. Molto attento ai temi ambientalisti e sulle discriminazioni, colloca i due atti unici in un edificio un tempo molto ricco ma ora dèlabrè sullo sfondo del quale un continuo gioco di proiezioni nella commedia di Ravel sottolinea il passare del tempo con una grafica che simpaticamente ricorda le enciclopedie per ragazzi in uso in Italia negli anni sessanta. Il tema della famiglia dovrebbe essere il filo conduttore che unisce i due atti, come era avvenuto per la prima parte del trittico vista nella scorsa stagione. In questo caso da un lato infatti c’è una folla di parenti cinici e rapaci alle prese con l‘eredità di Buoso Donati e dall’altra una moglie insoddisfatta a voler porre l’accento sulla crisi e la disgregazione della famiglia borghese.  Inoltre per restare sempre fedeli alle tematiche irrinunciabili di oggi, la “gente nova” in Gianni Schicchi è probabilmente più caratterizzata dalla scelta di una Lauretta di colore che non dai modi o dal vestire del protagonista. Fin qui tutto bene o quasi, qualsiasi percorso di lettura anche se non proprio originale può presentare aspetti di interesse. Dove lo spettacolo viceversa funziona meno e soprattutto in Puccini, ma va detto sempre senza scendere mai al di sotto del livello della sufficienza, è nell’assoluta scarsa importanza data al testo di Forzano al quale è invece affidata una intensa forza espressiva tutta toscana. Gli interpreti sembrano più preoccupati di come muoversi che non di che cosa stiano dicendo. Il libretto è apparso spesso detto in modo meccanico e stereotipato con la principale preoccupazione di andare musicalmente a tempo e senza lasciare troppo spazio a quella creatività che contribuisce a rendere vivo il teatro. Se può esser vero che il risultato finale è dato da un lavoro di insieme nel quale i protagonisti devono passare in secondo piano è altrettanto certo che la storia esecutiva dello Schicchi, restando al solo Costanzi, è stata fatta da nomi che hanno lasciato una impronta non lieve nella storia del teatro e dell’interpretazione. Inoltre in diversi momenti di Gianni Schicchi il volume dell’orchestra era troppo alto e tale da impedire la comprensione delle numerose e brevi battute che vivificano la vicenda e caratterizzano i vari personaggi. Meglio è andata sotto questo profilo nell’ Heure Espagnole probabilmente favorito anche per una differente scrittura orchestrale. E veniamo brevemente ai numerosi interpreti vocali della serata. Autorevole protagonista è stato Carlo Lepore nei panni di Gianni Schicchi per ampiezza vocale e chiarezza di dizione come pure ottimi sono apparsi Nicola Ulivieri e Domenico Colaianni rispettivamente Simone e Maestro Spinelloccio. Il tenore Giovanni Sala è parso più a suo agio nei panni di Gonzalve che non in quelli di Rinuccio in diversi momenti coperto dall’orchestra. Splendido per presenza scenica e musicalità il Ramiro interpretato da Markus Werba e assolutamente efficace la Concepciòn creata da Karine Deshayes. Tutti gli altri comunque erano su un piano di più che corretta professionalità e si sono mostrati funzionali alle scelte della regia. Alla fine il pubblico ha applaudito con convinzione ma con la sensazione di essersi divertito probabilmente meno di quanto non avrebbe immaginato. Qui per le altre date.

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Alasdair Beatson: “Aus Wien”

Dom, 11/02/2024 - 09:07

Robert Schumann (1810-1856): Faschingsschwank aus Wien, Op. 26; Arnold Schoenberg (1874-1951): 6 Kleine Klavierstücke, Op. 19; Maurice Ravel (1875-1937): Valses nobles et sentimentales; Erich Wolfgang Korngold (1897-1957): Piano Sonata No. 3 in C Major, Op. 25; Franz Schubert (1797-1828): Waltz in G-flat Major, D.Anh.I/14 “Kupelwieser-Walzer”. Alasdair Beatson (pianoforte). 1 CD Pentatone PCT 5186871
La città di Vienna è protagonista di un immaginario viaggio nel tempo caratterizzato da alcune tappe musicali che vanno dal Romanticismo di Robert Schumann e di Franz Schubert ad alcuni capolavori pianistici di compositori della prima metà del Novecento e in particolare di Schoenberg, Ravel e Korngold. Come spiegato dal pianista Alasdair Beatson nel Booklet del CD,
“questa incisione è stata pensata nel 2020 a Londra, sotto le ombre gemelle della pandemia di Covid-19 e la Brexit. Forse io nel mio subconscio stavo tramando una fuga, che mi trasportasse lontano dalle preoccupazioni del giorno. Ho certamente tratto molto beneficio da un’immersione in questa musica, una musica che sembra evocare un tempo spensierato e ottimista. Il programma che ho progettato è generalmente festoso nello spirito, colorato ed esuberante come la città stessa, e costituisce un’esplorazione giocosa piuttosto che completa della Vienna del XIX e del XX sec.”

Il programma si apre con Faschingsschwank aus Wien, Op. 26 (Carnevale di Vienna. Quadi fantastici op. 26)  che, composto da Schumann in un arco di tempo piuttosto lungo che va dal mese di aprile del 1839, coincidente con gli ultimi giorni del soggiorno viennese, al 1840, è, a detta del compositore, una “grande sonata romantica” in cinque movimenti. Dall’appassionato romanticismo di Schumann si passa all’esplorazione del mondo interiore dei 6 Kleine Klavierstücke, Op. 19 (Sei piccoli pezzi per pianoforte, op. 19), composti nel 1911 da Schönberg prima che venisse elaborato il metodo dodecafonico, e al modello schubertiano delle Valses nobles et sentimentales di Ravel, una raccolta di sette valzer conclusi da un Epilogue, che alla prima esecuzione andò incontro a un clamoroso fiasco, alla Sonata n. 3 in do maggiore, op. 25 di Erich Wolfgang Korngold, sicuramente il lavoro meno noto del CD, e infine al Waltz in sol bemolle maggiore, D.Anh.I/14 “Kupelwieser-Walzer, nella trascrizione di Richard Strauss. In questo repertorio vario, il cui unico denominatore è costituito dalla città di Vienna, Alasdair Beatson si muove con grande disinvoltura grazie alla sua solida tecnica che gli consente di superare i passi più impervi e a un tocco veramente curato che esalta i colori e il fraseggio dei brani lirici. Si tratta, in definitiva, di un bel viaggio musicale nella Vienna del XIX e dalla prima metà del XX. sec.  

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Le cantate di Johann Sebastian Bach: Domenica di Quinquagesima

Dom, 11/02/2024 - 00:06

Al concorso per il posto di Kantor alla at Thomasschule di Lipsia. resosi vacante nel giugno del 1722 per la morte di Johann Kuhnau (1660-1722), aveva preso parte come abbiamo scritto in precedenza,  anche il compositore Christoph Graupner (1683-1750) che aveva presentato 2 cantate. È quindi assai probabile che anche Bach si sia fatto valere presentando 2 lavori, la prima delle quali fu certamente la Cantata nr.22 che abbiamo trattato, l’altra partitura fu quasi sicuramente la Cantata nr.23 (“Du wahrer Gott und Davids Sons”) composta probabilmente tra il 1717 e il 1723 e a noi pervenuta in una versione riferita alla domenica di Quinquagesima del 20 febbraio 17124 e nella quale Bach apportò dei ritocchi alla parte strumentale e che presenta, in conclusione l’elaborazione del Corale  Christe, du Lamm Gottes, l’Agnus Dei tedesco che Bach utilizzò anche nella seconda versione della Passione secondo  Giovanni, sempre come finale, poi eliminato nella terza versione della stessa Passione. Anche se condotta in modo più severo rispetto la nr.22, questa composizione risulta ambientata nella stessa situazione spirituale. Due opere “gemelle” che godono anche della stessa intensità espressiva, entrambe impostate  su un vigoroso contrappunto che esprime quanto sia perfetto il dosaggio tra arte costruttiva e concentrazione spirituale, interiore. Appena accennati i riferimenti alla lettura evangelica della domenica di Quinquagesima tratta dal Vangelo di Luca (cap.18 vers.35-43):“Or avvenne che com’egli si avvicinava a Gerico, un certo cieco sedeva presso la strada, mendicando; e, udendo la folla che passava, domandò che cosa fosse. E gli fecero sapere che passava Gesù il Nazareno. Allora egli gridò: Gesù figliuol di Davide, abbi pietà di me! E quelli che precedevano, lo sgridavano perché tacesse; ma lui gridava più forte: Figliuol di Davide, abbi pietà di me! E Gesù, fermatosi, comandò che gli fosse menato; e quando gli fu vicino, gli domandò: Che vuoi tu ch’io ti faccia? Ed egli disse: Signore, ch’io ricuperi la vista. E Gesù gli disse: Ricupera la vista; la tua fede t’ha salvato. E in quell’istante ricuperò la vista, e lo seguiva glorificando Iddio; e tutto il popolo, veduto ciò, diede lode a Dio”. Troviamo questo riferimento nel recitativo del tenore (nr.2), mentre più evidente è il richiamo alla prima lettera ai Corinzi (cap.13):”…La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta… ” Sull’onda di questa dichiarazione, al centro di questa Cantata c’è l’invocazione della misericordia divina, la salvezza e la consolazione da ogni male.Il ciclo delle Cantate bachiane riprende con quella che era denominata la “Dominica Oculi” e che coincide con la terza domenica del tempo di Quaresima che, in questo 2024 cade il 3 marzo.
Nr.1 – Aria/Duetto (Soprano, Contralto)
Dio vero e figlio di Davide,
tu che dal fondo dell’eternità
hai già contemplato l’afflizione del mio cuore
e le sofferenze del mio corpo, abbi pietà di me!
E con la tua mano miracolosa,
che ha scacciato tanto male,
concedimi soccorso e consolazione.
Nr.2 – Recitativo (Tenore)
Ah, non passare ignorandomi;
tu, Salvatore di tutti gli uomini,
ti sei manifestato
per soccorrere i malati, non i sani. 1
Per questo partecipo della tua onnipotenza;
ti vedo su questo cammino
lungo il quale
sono stato abbandonato,
anche se cieco.
Mi afferro a te
e non ti lascio andare
senza aver avuto la tua benedizione.
Nr.3 – Coro
Gli occhi di tutti sono rivolti a te,
Signore, Dio onnipotente,
ed i miei in particolare.
Dona a loro forza e luce,
non lasciarli
mai più nelle tenebre!
I tuoi segni nel futuro siano
il punto di riferimento
di tutte le loro opere,
finché un giorno, con la morte,
tu deciderai di chiuderli di nuovo.
Nr.4 – Corale
Cristo, Agnello di Dio,
che togli i peccati del mondo,
abbi pietà di noi!
Cristo, Agnello di Dio,
che togli i peccati del mondo,
abbi pietà di noi!
Cristo, Agnello di Dio,
che togli i peccati del mondo,
dona a noi la pace. Amen.
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Du wahrer Gott und Davids Sons” BWV 23

 

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Roma, Teatro Brancaccio: “La Divina Commedia Opera Musical” dal 13 al 25 Febbraio 2024

Sab, 10/02/2024 - 14:40

Roma, Teatro Brancaccio
LA DIVINA COMMEDIA Opera Musical
Regia di Andrea Ortis
con
Dante ANTONELLO ANGIOLILLO
Virgilio ANDREA ORTIS
Beatrice MYRIAM SOMMA
Caronte, Ugolino, Cesare, San Bernardo GIPETO
Francesca, Matelda VALENTINA GULLACE
Pier delle Vigne, Arnaut Daniel ANTONIO SORRENTINO
Ulisse, Catone, Guido Guinizzelli LEONARDO DI MIMMO
Pia de’ Tolomei, La Donna SOFIA CASELLI
Voce Narrante GIANCARLO GIANNINI
Musiche Marco Frisina
Testi Gianmario Pagano, Andrea Ortis
Coreografie Massimiliano Volpini
Scene Gabriele Moreschi
Luci Valerio Tiberi
Video Virginio Levrio
Prodotto da MIC International Company
All’inizio dello spettacolo, Dante si ritrova solo nella selva, assalito da dubbi e incertezze. Maria anima il mondo. La relazione tra la donna e l’uomo dà un senso alle perplessità intime e che dà inizio al viaggio del poeta. Il suo cammino però viene interrotto bruscamente dall’incontro con le fiere. È Virgilio, consegnato alla scena da un’apparizione carica di mistero a prendere per mano Dante, conducendolo, con fermezza e protezione paterne, all’interno del Purgatorio. Insieme vengono traghettati dall’eccentrico Caronte, uomo grottesco e visibilmente folle che schernisce malamente le anime che traghetta verso le sponde opposte dell’Acheronte. La sua enorme barca in scena color petrolio è mortifera, immersa in una palude dai riflessi color petrolio. È Caronte che apre le porte a una sequela di straordinari incontri. Dante conoscerà Francesca da Rimini, incarnazione formidabile della passione amorosa che nel peccato di lussuria trova la propria dannazione, costretta a vivere nella tempesta infernale e irrimediabilmente abbracciata all’amato Paolo. Alla compassione per chi morì d’amore, segue il terrificante passaggio attraverso la città di Dite, in cui l’aggressione di demoni infernali, volanti, o striscianti, minaccia l’avanzata di Dante. Sempre al fianco del suo amato Maestro Virgilio, il poeta fiorentino approda nella mortifera foresta dei suicidi, che allo spettatore appare pietrificata, lugubre. Qui avviene l’incontro con Pier delle Vigne, altro personaggio storico, accusato in vita di tradimento: suicidatosi a causa di un onore irrimediabilmente compromesso, si presenta a Dante come tronco, impressionante immagine di sterilità e negazione della vita. Solo Dante riuscirà ad animarlo, anche se per poco, dandogli la possibilità di raccontare col canto la propria pena. Dante, profondamente scosso dalla crudeltà dei destini con cui entra in contatto, acquisisce una nuova consapevolezza. Poco dopo incontrerà sul proprio cammino Ulisse. Il loro incontro sarà reso in scena da contenuti visual animati in 3D. È il ghiaccio a chiudere il cerchio del passaggio infernale: con Ugolino, Dante raccoglie la disarmante testimonianza di un padre che divora i propri figli e ne rimane scosso e raggelato, tanto quanto la landa desolata all’interno della quale si consuma l’incontro con l’ultimo dannato. Dopo le immagini a tratti opprimenti, dalle forti tinte emotive del primo atto, Dante si ritrova immerso in uno scenario più rarefatto. Sulla spiaggia del Purgatorio incontra Catone, che con il proprio racconto canta la forza morale di chi non cedette al compromesso e si batté in modo integerrimo, in difesa della propria libertà di pensiero contro Cesare. Tra sfumature cangianti e paesaggi carichi di magia, Dante si imbatte in una processione di anime in preghiera, tra cui vi è Pia de’ Tolomei, vittima di femminicidio ad opera del marito. Dopo un malinconico canto notturno che incornicia Dante e Virgilio nell’unico momento di sosta lungo il viaggio, l’Angelo della Penitenza permette il passaggio attraverso la Porta del Purgatorio. Così Dante e Virgilio incontrano gli amici poeti Guido Guinizzelli e Arnaut Daniel. A illuminare come un faro nella notte il percorso, le brevi e topiche apparizioni di Beatrice rinfrancano la fiducia di Dante, che adesso più che mai percepisce prossimo l’avvicinamento, come spinto da una felicità ancora incosciente. Sarà proprio Beatrice a distrarlo dal momento solo il viaggio. Da solo Dante approda dunque nel paradiso terrestre, in cui la stravagante e leggiadra figura di Matelda lo conduce al fatidico Incontro con l’amata. Una solenne processione introduce e sancisce il momento emozionante in cui Beatrice diventa luce che rischiara e guarisce dalle tenebre, simbolo di quell’ Amor che move il sole e l’altre stelle, unica possibile chiave di accesso alla felicità: solo nell’incontro con la donna e con l’amore, Dante – o meglio – l’uomo, ritrova se stesso, scioglie i nodi della selva, e trova Dio. Qui per tutti i dettagli.

 

 

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