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Roma, Teatro India: “Meno di due” dal 26 novembre al 01 dicembre 2024

gbopera - Lun, 25/11/2024 - 18:30

Roma, Teatro India
MENO DI DUE
scritto e diretto da Francesco Lagi
con Anna Bellato, Francesco Colella, Leonardo Maddalena
Alcune migliaia di anni fa qualcuno disegnava sulle pareti di una grotta. Lasciava segni di animali, di insetti e di mammiferi. Poi disegnava un fuoco. E intorno al fuoco il ritratto di due persone. Sembra l’immagine di un rito magico, religioso, propiziatorio. Quelle due persone ballano. Forse però parlano. Sicuramente gesticolano. Tentano di dirsi delle cose, provano a conoscersi. E alcune migliaia di anni dopo eccole lì quelle due persone, che ci provano ancora. Li ritroviamo oggi, un uomo e una donna che si incontrano per la prima volta. Dopo essersi scritti, mandati foto, conosciuti a distanza per alcune settimane, forse mesi. Hanno deciso di vedersi per davvero, lui per raggiungere lei ha fatto un lungo viaggio, entrambi sono pervasi da una leggera trepidazione. QUI PER TUTTE LE INFORMAZIONI.

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Ambra Jovinelli: “Dioggene” dal 27 novembre al 08 dicembre 2024

gbopera - Lun, 25/11/2024 - 18:22

Roma, Teatro Ambra Jovinelli
DIOGGENE
con Stefano Fresi
Scritto e diretto da Giacomo Battiato
Musiche Germano Mazzocchetti
Costumi Valentina Monticelli
Scultore Oscar Aciar
Luci Marco Palmieri
Decoratore Bartolomeo Gobbo
Produzione Teatro Stabile d’Abruzzo, Stefano Francioni Produzioni, Argot Produzioni
Lo spettacolo, di una durata complessiva di circa 90 minuti, è diviso in tre parti (tre quadri) e ruota intorno a un unico personaggio, un attore famoso che si chiama Nemesio Rea. Nel primo quadro, HISTORIA DE ODDI, BIFOLCHO, Nemesio interpreta un proprio testo, scritto in autentico volgare duecentesco. È la storia di un contadino toscano che ha partecipato alla tremendissima battaglia di Montaperti in cui Siena e Firenze si sono scontrate. Nel secondo quadro, L’ATTORE E IL BUON DIO, troviamo Nemesio nel suo camerino, mentre si veste, apprestandosi ad andare in scena. Ma non è dello spettacolo che ci parla, bensì della appena avvenuta rottura violenta con la moglie, tra pianti, grida e insulti. Nel terzo quadro, ER CANE DE VIA DER FOSSO D’A MAIJANA, troviamo Nemesio che vive felice in un bidone dell’immondizia. Ha lasciato tutto, la sua professione e la sua vecchia vita. Ha deciso, come il filosofo greco Diogene, di rifiutare ogni ambizione e possesso per essere libero di parlare del vero senso della vita. Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Vascello: ” Syro Sadun Settimino” 25 novembre 2024

gbopera - Lun, 25/11/2024 - 18:15

Roma, Teatro Vascello
SYRO SADUN SETTIMINO
Operina Monodanza in un atto di notte
Di Sylvano Bussotti
Poema di Dacia Maraini (1974 rev. 2024)
Voce recitante Manuela Kustermann
Danzatore Carlo Massari della C&C Company
Ensemble Roma Sinfonietta
Direttore M° Marcello Panni
EVO Ensemble
Filmati e proiezioni da Sylvano Bussotti, RARA (film) 1968/ 1970) nell’edizione restaurata dalla Cineteca Nazionale di Bologna
Tema dell’Opera: la sessualità fluida di un giovane settimino che vuole diventare ballerino. Compositore, scenografo, costumista, pittore, direttore artistico di vari teatri italiani come la Fenice di Venezia, il Festival Puccini di Torre del Lago, la Biennale Musica, Bussotti ha scritto numerose opere liriche, balletti, pagine orchestrali e una ricca produzione di musica da camera e solistica. Tra le opere ricordiamo Passion selon Sade (Genova, Carlo Felice) Lorenzaccio (Venezia, la Fenice) Rara Requiem (Parigi, Journèes Bussotti) Cristallo di Rocca (Milano, Scala) Bergkristall e Racine (Opera di Roma). Innovativo nella musica, inventivo nella scrittura e nella pittura, che lo pone tra i più originali talenti del ‘900 italiano, si ricordano ancora le sue numerose messe in scena come regista, costumista e scenografo di opere di Verdi e Puccini (oltre alle sue stesse opere) all’Arena di Verona, alla Scala, a Roma, Genova, Palermo, etc.   A tre anni esatti dalla sua scomparsa, Nuova Consonanza intende ricordare questo grande e multiforme artista con la prima rappresentazione assoluta di una sua opera da camera del 1974 Syro Sadun Settimino, ancora ineseguita e dimenticata, dopo la presentazione in forma di concerto al Festival di Royan del 1974, curata dallo stesso Bussotti, che ne fu anche la voce recitante. Il poema di Dacia Maraini del 1969, rivisto nel 2024, forma la struttura dell’opera e ha come soggetto un tema scabroso per l’epoca e per i gusti del pubblico, un ragazzo che nasce settimino e vuole diventare ballerino. Le sue difficoltà però nascono dall’ambiguità della sua sessualità, che oggi si direbbe fluida, e oscilla tra maschio e femmina nel corso del poemetto con accenti abbastanza crudi. Nel corso della sua difficile adolescenza deve superare ostacoli famigliari e pregiudizi sociali per realizzarsi. L’operina monodanza alterna con grande originalità testo, balletto, cori a cappella (invisibili) e una parte strumentale per piccola orchestra. Per la novità del progetto e la scabrosità dell’argomento l’operina non trovò posto sulle scene di nessun teatro italiano e il cammino di Bussotti andò in altre direzioni. Solo quattro brani per 12 voci a cappella con il titolo Sadun furono riusati come base per un Ballet blanc. al Maggio Musicale Fiorentino del 1976. A cinquant’anni esatti dalla prima esecuzione in forma di concerto al festival di Royan, Syro Sadun Settimino verrà ricreato al Festival di Nuova consonanza, diretto oggi come allora da Marcello Panni, amico e interprete accreditato di altre sue prime assolute (Bergkristall all’Opera di Roma, Cristallo di Rocca alla Scala, Passion selon Sade a Genova). Questo avvenimento sarà arricchito dalla presenza di Dacia Maraini come presentatrice, dalla lettura del suo poema affidata a Manuela Kustermann, anche lei amica storica di Bussotti, da un balletto monodanza creato e interpretato dal giovane coreografo Carlo MassariProiezioni e filmati di Bussotti stesso faranno da scenografia mobile. Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Roma, Musei Capitolini: “Tiziano, Lotto, Crivelli e Guercino. Capolavori della pinacoteca di Ancona”

gbopera - Lun, 25/11/2024 - 14:17

Roma, Musei Capitolini
TIZIANO, LOTTO, CRIVELLI E GUERCINO. CAPOLAVORI DELLA PINACOTECA DI ANCONA
a cura di Luigi Gallo e Ilaria Miarelli Mariani
Roma, 25 novembre 2024
Ancona, città dall’identità complessa e stratificata, è da sempre un crocevia di culture, arti e scambi grazie alla sua posizione strategica sul mare Adriatico. La città dorica, come è soprannominata, ha vissuto epoche di grande prosperità e influenza culturale, alternate a momenti di crisi e distruzione, che ne hanno segnato profondamente il tessuto urbano e il patrimonio artistico. Oggi, attraverso iniziative culturali di rilievo, come la mostra inaugurata il 26 novembre 2024 presso i Musei Capitolini di Roma, Ancona si propone di recuperare e valorizzare il proprio passato, riaffermandosi come un centro culturale di rilievo. La mostra, organizzata nell’ambito degli eventi per il Giubileo 2025, porta nella capitale sei capolavori provenienti dalla Pinacoteca Civica Francesco Podesti, un’istituzione che custodisce alcune delle opere più importanti della tradizione pittorica marchigiana e veneta. Si tratta di un evento di eccezionale importanza, che non solo celebra il dialogo tra Ancona e Roma, ma rappresenta anche un’occasione per riscoprire la storia artistica della città, troppo spesso relegata a un ruolo marginale nel panorama culturale italiano. Le opere selezionate per l’esposizione ai Musei Capitolini rappresentano il meglio della produzione artistica di Ancona tra il XV e il XVII secolo. Tra queste spiccano la Pala Gozzi di Tiziano Vecellio, capolavoro rinascimentale del 1520, e la Crocifissione, sempre di Tiziano, proveniente dalla chiesa di San Domenico. A queste si affiancano opere di straordinaria bellezza e importanza come la Madonna con Bambino di Carlo Crivelli, un esempio di gotico internazionale arricchito da influenze venete, la Circoncisione di Olivuccio Ciccarello, e la Pala dell’Alabarda di Lorenzo Lotto, che testimonia il genio narrativo ed emotivo dell’artista. La mostra si conclude con l’Immacolata di Guercino, una delle testimonianze più alte del Barocco italiano, dove la Vergine sembra emergere dal paesaggio marino che richiama il golfo di Ancona, quasi a suggellare il legame profondo tra la città e il suo mare. Questa mostra assume un significato speciale anche per il luogo che la ospita. I Musei Capitolini, i primi musei pubblici della storia, rappresentano un simbolo di cultura e accessibilità. L’allestimento delle opere anconetane in questa sede prestigiosa permette di creare un dialogo tra i capolavori marchigiani e la collezione permanente dei Capitolini, che conserva opere di artisti come Tiziano, Lotto e Guercino. Questo confronto diretto non solo esalta le qualità individuali delle opere esposte, ma mette in evidenza le contaminazioni artistiche che hanno caratterizzato Ancona, rendendola un crocevia culturale di primo piano. Intrinsecamente legate alla storia di Ancona, le opere in mostra raccontano un percorso di influenze e contaminazioni che hanno reso la città dorica un luogo di incontro tra le principali correnti artistiche del Rinascimento e del Barocco. Le tele di Tiziano e Lotto, ad esempio, testimoniano l’influenza della scuola veneta, mentre quelle di Crivelli e Olivuccio Ciccarello esprimono un’originalità marchigiana capace di assorbire e reinterpretare stili diversi. Questo intreccio di tradizioni fa di Ancona una città unica nel suo genere, depositaria di un patrimonio artistico di inestimabile valore. Parallelamente alla mostra, Ancona è al centro di un ampio progetto di riallestimento e valorizzazione della Pinacoteca Civica Francesco Podesti. La Pinacoteca, istituita nel 1860 dopo la presa di Ancona durante il Risorgimento, rappresenta uno dei principali poli culturali delle Marche. La sua nascita è legata alla necessità di preservare il patrimonio artistico locale, che rischiava di andare disperso a causa della soppressione degli ordini religiosi e delle conseguenti requisizioni di opere d’arte. Negli anni, grazie all’impegno di figure come Pietro Zampetti e Pasquale Rotondi, la Pinacoteca è diventata un punto di riferimento per la tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico marchigiano. A oggi, la Pinacoteca è oggetto di un complesso progetto di rinnovamento che mira a rendere gli spazi espositivi più moderni e funzionali. Ma il progetto non si limita a migliorare le infrastrutture: accanto agli spazi espositivi tradizionali, saranno creati nuovi servizi, tra cui una biblioteca d’arte, aree per mostre temporanee, depositi modernizzati e spazi dedicati ad attività educative. Il nuovo percorso espositivo, elaborato dalla responsabile della Pinacoteca Maria Vittoria Carloni e dall’architetto Carla Lucarelli, in collaborazione con Stefano Zuffi e il gruppo di storici dell’arte de Le Macchine Celibi, mira a restituire alla collezione e alla sede monumentale un ruolo centrale nella vita culturale di Ancona. La proposta combina un approccio cronologico e tematico, offrendo un’esperienza di visita ricca e coinvolgente che abbraccia otto secoli di storia dell’arte, dal XIII al XX secolo. I visitatori potranno ammirare opere di artisti come Olivuccio Ciccarello, Tiziano, Lorenzo Lotto, Carlo Crivelli, Sebastiano del Piombo, Andrea Lilli, Carlo Maratti e Sassoferrato, in un percorso che mette in luce la straordinaria varietà e qualità della produzione artistica marchigiana. Un aspetto particolarmente significativo della Pinacoteca Podesti è la sua capacità di raccontare l’identità culturale di Ancona. Le opere conservate, purtroppo spesso spostate dalle loro collocazioni originarie, testimoniano il ricco passato della città, che seppe attrarre artisti di fama e diventare un centro di produzione artistica di primaria importanza. Questo patrimonio, tuttavia, ha rischiato di andare disperso in più occasioni, soprattutto durante il Settecento e l’Ottocento, quando il collezionismo privato e il mercato antiquario portarono molte opere di Carlo Crivelli e Olivuccio Ciccarello lontano dalla loro terra d’origine. Il progetto di riallestimento della Pinacoteca rappresenta quindi un atto di restituzione simbolica, volto a riunire e valorizzare quanto rimasto, restituendo alla città e ai suoi abitanti un senso di appartenenza e continuità. La mostra ai Musei Capitolini e il rinnovamento della Pinacoteca Podesti si inseriscono in un più ampio discorso sulla necessità di salvaguardare e valorizzare il patrimonio artistico italiano. Ancona, con il suo passato di ferite e rinascite, è un esempio emblematico di come l’arte possa diventare un ponte tra passato e futuro, tra locale e globale. Attraverso queste iniziative, la città non solo riafferma la propria identità, ma si pone come un modello per altre realtà italiane che desiderano riscoprire e promuovere le proprie radici culturali.

 

Categorie: Musica corale

Jake Heggie: Songs for Murdered Sisters

gbopera - Lun, 25/11/2024 - 08:52

Jake Heggie (1961-): Empty Chair – Enchantment; Anger; Dream; Bird Soul; Lost; Rage; Coda: Song. Joshua Hopkins (baritone), Jake Heggie (piano). Registrazione: 27- 29 ottobre 2020 presso Skywalker Sound (società della Lucasfilm Ltd., Marin County, California, USA). T. Time: 27’ 22” 1 CD PENTATONE 5186270
La dedica all’interno della copertina di questo lavoro discografico «to the memory of Nathalie, Carol, Anastasia, Pat Lowther and Debbie Rottman», oltre a focalizzare il tema della violenza di genere nelle sue diverse forme, sollecita l’attenzione sulla forza e sull’efficacia del pensiero creativo come contributo, attraverso la poesia, la musica e l’arte, a fondare una coscienza nuova contro ogni brutalità da parte di un’umanità disorientata. Ascoltare questi brani, nella sensibile interpretazione del baritono Joshua Hopkins e del pianista e compositore Jake Heggie, è come percepire il respiro e il dolore delle tante vittime che hanno subito sofferenze e danni di ogni tipo. È lo stesso Hopkins a raccontare nelle note del libretto – attraverso la storia straziante dell’omicidio di sua sorella Nathalie Warmerdam e di altre due donne, Carol Culleton e Anastasia Kuzyk per mano di Basil, ex fidanzato della sorella, la cruda presa d’atto del grande problema della violenza sulle donne e la successiva forza nel cercare, anche attraverso quest’opera quasi dal tono elegiaco, una concreta reazione. Trattasi di sei brevi composizioni seguite da un brano più breve (Coda: Song di 3’ 18”), che lasciano trapelare una serie di emozioni di un immaginario viandante che percorre un itinerario non privo di difficoltà. Heggie, nel dichiarare: «It is our hope that many voices will take up the call of these songs in the future – men’s and women’s voices all over the world», oltre che invitare ad una netta presa di posizione contro il femminicidio pare riferirsi anche alla speranza di far cogliere insieme identità musicale e impegno sociale. Condividendone le finalità del progetto compositivo dei brani che allude alla poetica del viandante e, più in particolare, al celeberrimo ciclo di Schubert Winterreise, ogni ascoltatore può effettuare un viaggio segnato da alcune tappe (i diversi brani che trasudano dolore) nella speranza di poter approdare ad una sana e umana convivenza. Ma se questo è il senso dell’interessante lavoro discografico, peccato che il libretto del CD sia privo dei testi di Margaret Atwood in quanto essi avrebbero costituito la bussola per non ‘smarrirsi dalla diritta via’. Proprio dall’incontro tra il linguaggio sonoro e i testi letterari si sarebbero colte con maggiore efficacia le loro relazioni, seguire in itinere, e più agevolmente, ogni tappa del ‘viaggio’ e percepire con migliore consapevolezza tutta una serie di stati d’animo e di emozioni intorno a questo tema lacerante. Si segnala altresì una buona esecuzione dei brani in cui è possibile apprezzare le caratteristiche della cantabilità e della calda voce del baritono unitamente al modo di interagire del pianista, sempre alla ricerca simbiotica fra testo poetico e musica, sfuggendo così dal ruolo di strumento che accompagna sic et simpliciter. Per concludere: ascoltando questo CD è possibile cogliere l’affascinante invenzione compositiva pur evidenziando quanto la musica cerca di esprimere nelle intenzioni dell’opera.

Categorie: Musica corale

Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica: ” Carlo Maratti e il ritratto. Papi e Principi del Barocco Romano” dal 02 dicembre 2024 al 16 Febbraio 2025

gbopera - Lun, 25/11/2024 - 08:00

Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica
CARLO MARATTI E IL RITRATTO. PAPI E PRINCIPI DEL BAROCCO ROMANO
a cura di Simonetta Prosperi Valenti Rodinò e Yuri Primarosa
quattrocento anni dalla nascita del grande Maestro del Seicento italiano, Palazzo Barberini presenta una mostra inedita dedicata all’attività di ritrattista del pittore marchigiano, narratore raffinato dei protagonisti della corte romana.
quattrocento anni dalla nascita di Carlo Maratti (Camerano 1625 – Roma 1713) e in occasione della pubblicazione del catalogo ragionato delle sue opere, le Gallerie Nazionali di Arte Antica presentano CARLO MARATTI E IL RITRATTO. PAPI E PRINCIPI DEL BAROCCO ROMANO, una mostra focus a cura di Simonetta Prosperi Valenti Rodinò e Yuri Primarosa che, dal 6 dicembre 2024 al 16 febbraio 2025porta nelle sale di Palazzo Barberini la produzione ritrattistica del Maestro marchigiano, figura centrale della pittura romana e italiana della seconda metà del Seicento. Sebbene la fortuna del pittore sia legata soprattutto ai quadri di soggetto sacro e alle numerose decorazioni eseguite per le chiese di Roma, Maratti fu un ritrattista di fama europea che, attraverso queste prove, riuscì a sancire il primato della sua bottega e il suo ruolo di arbitro del gusto artistico sulla scena capitolina per oltre mezzo secolo. Per efficacia realistica, minuziosità d’esecuzione, equilibrio ed espressività, calibrata interazione fra introspezione ed esibizione del ruolo pubblico, e naturalmente per qualità pittorica, le opere in mostra – alcune delle quali restaurate per l’occasione – reggono il confronto con quelle dei migliori specialisti dell’epoca. La fama europea di Maratti ritrattista si fondava non soltanto sulla sua capacità di coniugare la definizione dei tratti fisionomici con una penetrante indagine del carattere, ma anche nel consegnare il personaggio alla posterità, rappresentandolo tra oggetti resi con grande maestria, e scelti appositamente per svelarne il rango, la professione, il gusto, le aspirazioni e i più reconditi interessi. Nella sala dedicata alla mostra, tra i ritratti capolavoro di Maratti, spiccano i dipinti eseguiti per Clemente IX Rospigliosi e vari membri della famiglia Barberini, alcuni esposti per la prima volta. Il Ritratto di Maria Maddalena Rospigliosi Panciatichi (1664) con l’abito migliore del suo corredo, il potente ritratto ufficiale del Principe Maffeo Barberini (1670-1671 circa), il Ritratto del cardinale Giacomo Rospigliosi (1680) e, naturalmente, il ritratto del Papa Clemente IX Rospigliosi (1669) per il quale il pittore ebbe l’onore di poter rimanere seduto mentre dipingeva, perché la sua ispirazione non venisse in alcun modo turbata dalla stanchezza. L’effigie del Papa, proveniente dalla Pinacoteca Vaticana, viene qui accostata al mirabile ritratto di Giovan Battista Gaulli dello stesso pontefice, per suggellare l’incontro di due categorie apparentemente inconciliabili dell’arte seicentesca: classicismo (Maratti) e barocco (Gaulli). Maratti seppe articolare con nuovo slancio una formula collaudata nella ritrattistica romana, che alla metà del XVII secolo aveva raggiunto i suoi apici in pittura con Pietro da Cortona e Andrea Sacchi. Il maestro marchigiano, migliore allievo di quest’ultimo, diede vita a un’ideale e stratificata galleria di volti: immortalò non soltanto papi, prelati ed esponenti dell’aristocrazia, ma anche “belle” romane, i primi “milordi” del Grand Tour, professionisti, parenti e amici. Tra questi ultimi anche l’intendente Giovan Pietro Bellori (1613-1696), che del pittore fu ammiratore, protettore devoto e alter ego intellettuale.. Il suo ritratto viene realizzato da Maratti per celebrare l’uscita della sua raccolta di biografie, scritta su modello delle Vite del Vasari, in cui sanciva la preminenza del classicismo sul naturalismo e una nuova idea di Bello, condivisa con l’amico pittore, fondata sul culto dell’antichità classica.

Categorie: Musica corale

Bologna, Comunale Nouveau: “Werther”

gbopera - Dom, 24/11/2024 - 10:00

Bologna, Comunale Nouveau, Stagione d’Opera 2024
WERTHER
Dramma lirico in quattro atti su libretto di Édouard Blau, Paul Milliet e Georges Hartmann, tratto dal romanzo epistolare I dolori del giovane Werther di J.W. Goethe
Musica di Jules Massenet
Werther KAZUKI YOSHIDA
Le Bailli ALESSIO VERNA
Charlotte AOXUE ZHU
Albert  MATTEO GUERZÈ
Schmidt XIN ZHANG
Johann DARIO GIORGELÈ
Sophie SILVIA SPESSOT
Brühlmann YURI GUERRA
Kätchen GIULIA ALLETTO
Clara, Fritz, Gretel – Mimi
Hans, Karl, Max  Voci Bianche del Teatro Comunale di Bologna
Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del Coro delle Voci Bianche Alhambra Superchi
Regia Rosetta Cucchi
Scene Tiziano Santi
Costumi Claudia Pernigotti ripresi da Massimo Carlotto
Luci Daniele Naldi
In collaborazione con Scuola di Teatro di Bologna “Alessandra Galante Garrone”
Produzione del Teatro Comunale di Bologna
Bologna, 22 novembre 2024
Jules Massenet è il compositore borghese che confeziona opere come il couturier parigino confeziona abiti: con l’abilità virtuosistica del professionista e con il saldo pragmatismo del bottegaio. Mai sfiorato dalle ombre del genio, dalle sue sregolatezze e dai suoi tormentosi ripensamenti, Massenet produce i propri prodotti per il consumo di un pubblico dal gusto raffinatissimo, di autentici gourmets. I dolori del giovane Werther è invece il successone di un venticinquenne tedesco su un argomento, quello amoroso, che l’Autore avrebbe conosciuto fino in fondo (forse) solo trentasettenne fra le romanesche braccia della (mitica?) Faustina. Si aggiunga che fra i due Werther passa un secolo buono e si vedrà quanto poco abbiano in comune, se si escludano grandezza (indubbia), popolarità (relativa) e influenza (straordinaria).Che Werther sia un’opera sul potere della letteratura e che il suo contesto sia precisamente borghese la regista Rosetta Cucchi ce lo fa sapere mostrandoci una casetta fatta di libri ordinatamente disposti. Ed è proprio così: Werther legge e traduce poesie, scrive lettere, e infine scrive il messaggio in cui chiede le pistole in prestito. Sicché i momenti più toccanti della relazione fra i due sono, da parte di lei, la lettura delle lettere di lui e, da parte di lui, la traduzione di Ossian: Galeotto fu ‘l libro, e chi lo scrisse, insomma. Questa casetta, che ci mette poco a diventare una chiesetta, è vista rimpicciolirsi, sempre più lontana, dal protagonista che sprofonda nella poltrona della sua solitudine. Mentre nel domestico idillio borghese una coppia di vecchietti ha tenuto fede alla promessa del noioso amore delle piccole cose: il salotto è quello della signorina Felicita di Gozzano, dagli occhi azzurro stoviglia. La narrazione si dipana chiara, senza stravaganze o forzature, nelle scene nitide e razionali di Tiziano Santi: è l’allestimento nato nel 2016 per il Comunale, ripensato e riadattato per il Nouveau, con i costumi di Claudia Pernigotti ripresi da Massimo Carlotto. L’Orchestra del Comunale diretta da Riccardo Frizza vibra per intensità soprattutto negli ultimi due atti, laddove si snoda il dramma: l’unica azione in due ore e mezza di musica è lo sparo. Lì trova incisività e turgore che sappiano innervare di vitale tensione il discorso musicale. Mentre prima, come del resto è inevitabile e giusto, la cura principale di Frizza è per il languente sentimentalismo, per il cromatismo manierato, per le carezzevoli levigature di un lirismo coi guanti. In fondo, però, il protagonista assoluto è il francese, col suo verso dall’accento mobilissimo e spezzato, su cui la melodia s’inerpica come l’edera sugli alberi: ma invece di nasconderlo, lo esalta. Ecco allora che poco importa se il timbro tende più al chiaro o allo scuro: d’altra parte, esiste anche la variante d’Autore per Werther baritonale. Il protagonista Kazuki Yoshida ha voce che non brilla per squillo ma si pregia di brune morbidezze e corposa rotondità: nel sostegno del fiato sembra talvolta perdere la sua sicurezza, e forse l’espressione deve seguire la strada della ricerca di colori più che quella di filature e smorzature. Charlotte ha la voce splendida di Aoxue Zhu, brunita, tornita, solida, e omogenea in ogni registro, davvero senza difetti, una delizia all’ascolto, ma poco espressiva: anche il “tu frémiras!” resta senza fremito. La sua sorella minore Silvia Spessot, dall’aria “maschietta” e sbarazzina sulla scena, sguaina una bella voce chiara, svettante, snella ed elastica, brillante e luminosa.Gli altri fratellini sono divisi fra mimi bambini e l’ottimo Coro di Voci Bianche di Alhambra Superchi. Matteo Guerzè ha bel timbro pastoso e personale che sa sfruttare per tratteggiare un Albert molto tenero e umano. Alessio Verna è un podestà ben sonoro e dal bel timbro morbido; fra i suoi amici lo Schmidt sicuro di Xin Zhang e il simpatico Johann di Dario Giorgelè. Completano la locandina Yuri Guerra nel ruolo di Brühlmann e Giulia Alletto come Kätchen. Nel programma di sala, interrogata da Andrea Maioli sul problema dei giovani da attrarre all’opera, Rosetta Cucchi sostiene giustamente che non bisogna “flirtare con ciò che fa parte delle loro quotidianità” ma “invece offrire loro qualcosa di diverso”. Difficile immaginare qualcosa di più diverso dalla quotidianità volgare e violenta di oggi dal sofisticato cromatismo francese di Massenet e dal nevrotico romanticismo di Werther. Foto Andrea Ranzi

Categorie: Musica corale

Le Cantate di Johann Sebastian Bach: Ventiseiesima domenica dopo la Trinità

gbopera - Dom, 24/11/2024 - 08:19

Eseguita la prima volta a Lipsia, il 21 novembre 1723, la Cantata Wachet! betet! betet! wachet! BWV 70  è un ampiamento di una precedente Cantata destinata alla Seconda domenica di Avvento eseguita a Weimer il 6 dicembre 1716 Il tema è quello della seconda venuta di Cristo e del Giudizio Universale, e lo capiamo subito con la gloriosa introduzione delle trombe nel movimento di apertura! Dopo il ritornello orchestrale, il coro (Nr.1) entra senza accompagnamento per dare un tremendo preannuncio del Giudizio Universale.  Dopo il primo recitativo affidato al Basso (Nr.2) ancora dai toni drammatici, l’aria del contralto (Nr.3) è molto più rilassata, accompagnata da languide terzine di violoncello. L’aria di soprano (Nr.5) che segue il recitativo del tenore (Nr.4) è più vivace, con un accompagnamento di violino insistente e molto orecchiabile. Sembra che quest’aria sia stata presa da Bach da un’aria di basso dell’opera Almira di Handel, che dimostra come Bach abbia assorbito le influenze italiane nella sua musica. Un recitativo (Nr,6) e un semplice Corale (Nr.7) chiudono la prima metà della cantata. La seconda parte si apre con una bella aria del tenore (Nr.8) dal sapore vagamente  handeliano. Il recitativo del Basso (Nr.9) successivo vede il ritorno ad atmosfere più drammatiche,  un basso continuo potente, archi vibranti e la tromba che intona la melodia del Corale. Ma man mano che il testo diventa più consolante, la musica si calma. L’aria con da capo del basso (Nr.10) che segue inizia e termina con una melodia semplice e delicata, mentre l’anima contempla la beatitudine celeste, ma è interrotta nella parte centrale da accenti drammatici che ritornano a parlare del giorno del giudizio. Un semplice corale conclude la cantata.
Prima parte
1- Coro 
Vegliate! Pregate! Pregate! Vegliate!
Siate pronti
in ogni momento,
fino a quando il Signore della gloria
metterà fine a questo mondo.
2 – Recitativo  (Basso)
Temete, peccatori impenitenti!
Arriva un giorno
da cui nessuno può scampare:
si affretta per voi il severo giudizio,
o razza di peccatori,
per l’eterna tribolazione.
Ma per voi, prescelti figli di Dio,
è l’inizio della vera gioia.
Mentre tutto crolla e si distrugge,
il Salvatore vi convoca alla sua presenza;
perciò non abbiate paura!
3 – Aria (Contralto)
Quando verrà il giorno in cui partiremo
dall’Egitto di questo mondo?
Ah! Fuggiamo da Sodoma,
prima che il fuoco ci sommerga!
Svegliatevi, anime, dal vostro compiacimento
e credete, è l’ultima ora!
4 – Recitativo  (Tenore)
Anche se aspiriamo al cielo
il nostro corpo tiene prigioniero lo spirito;
con i suoi inganni il mondo
tende trappole e insidie ai giusti.
Lo spirito è pronto ma la carne è debole
e ci estorce un pietoso lamento!
5 – Aria  (soprano)
Lasciate che le lingue dei blasfemi ci
disprezzino, comunque dovrà avvenire
che noi vedremo Gesù
sulle nubi, nelle altezze celesti.
La terra e il cielo passeranno,
ma la parola di Cristo resterà per sempre.
Lasciate che le lingue dei blasfemi ci
disprezzino, comunque dovrà avvenire!
6 – Recitativo (Tenore)
In mezzo a tale generazione deviata
Dio si preoccuperà dei suoi servi,
in modo che questa stirpe malvagia
non li affligga ancora,
e li custodirà nelle sue mani
riservando un posto per loro nell’Eden celeste.
7 – Corale 
Gioisci, mia anima,
dimentica dolore e tristezza
poiché ora Cristo, tuo Signore,
ti raccoglie da questa valle di lacrime!
Potrai contemplare per l’eternità
la sua gioia e il suo splendore,
per rallegrarti con gli angeli
ed esultare per l’eternità.
Parte seconda
8 – Aria  (Tenore)
Alzate la testa
ed abbiate fiducia, giusti,
le vostre anime fioriranno!
Crescerete come fiori nell’Eden
per servire Dio in eterno.
9 – Recitativo  (Basso)
Ah, questo grande giorno,
la fine del mondo
e lo squillo della tromba,
l’inaudito colpo finale,
le parole proclamate dal Giudice,
le porte spalancate dell’inferno
risveglieranno nella mia anima
più dubbi, paura e terrore
in quanto figlio
del peccato?
Eppure dalla mia anima si eleva
un raggio di felicità, una luce di consolazione.
Il Salvatore non può celare il suo cuore
che trabocca di grazia,
il suo braccio misericordioso non mi abbandona.
Allora concludo il mio viaggio con gioia.
10 – Aria (Basso)
Giorno benedetto di rinascita,
conducimi nelle tue dimore!
Risuona, batti, ultimo colpo,
crollino il cielo e la terra!
Gesù mi condurrà alla pace,
al luogo in cui abbonda la gioia.
11 Corale
Non è alla terra, non è al cielo
che la mia anima aspira.
Io desidero Gesù e la sua luce,
egli mi ha riconciliato con Dio,
mi ha liberato dal giudizio,
non abbandonerò il mio Gesù.

Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Wachet! betet! betet! wachet!” BWV 70
Categorie: Musica corale

Mantova, Teatro Sociale, Mantova Live Theatre: “Balance of Power”

gbopera - Dom, 24/11/2024 - 00:36

Mantova, Teatro Sociale
Mantova Live Theatre
BALANCE OF POWER
PARSONS DANCE
Direttore Artistico David Parsons
Ballerini Zoey Anderson, Megan Garcia, Téa Pérez, Luke Romanzi, Joseph Cyranski, Justine Delius, Joanne Hwang, Luke Biddinger, Emerson Earnshaw
Lighting Designer Howell Binkley
Mantova, 21 novembre 2024
Spettatori in visibilio con applausi a scena aperta lungo gli intensi 70 minuti di questo spettacolo che raccoglie il favore anche del pubblico meno avvezzo alle coreografie di danza contemporanea. Infatti a David Parsons si riconosce il merito di saper orchestrare i passi di danza con la musica, opera del compositore e percussionista italiano Giancarlo De Trizio, dove anche i più piccoli movimenti dei danzatori sono in sincrono con le battute musicali. Questo binomio costituisce spettacolarità se viene poi a costituire la base di scenette, ammiccamenti e scaramucce tra i 9 ballerini della compagnia. Sono messi in scena assoli e danze di gruppo che vogliono rappresentare i rapporti interpersonali. Ben 6 le coreografie rappresentate senza soluzione di continuità, scandite dal veloce cambio di costumi eleganti e curati e di forte impatto, cambiati ad ogni scena. Nel gioco tra movimento e suono c’è la luce usata con padronanza dal pluripremiato lighting designer Howell Binkley, qui autore di atmosfere psichedeliche calde, con luci rosse e gialle. Il Balance of Power (tour 2024), pensato nel periodo della pandemia, sa valorizzare il talento di ogni singolo elemento della compagnia, espressione di una danza vibrante e radiosa che prende, emoziona e coinvolge per la sua carica di energia e positività acrobatica e comunicativa al tempo stesso. Balance of Power è il potere dell’equilibrio tra la danza e la musica, come tra il buio e il silenzio e lo si intuisce bene in Caught una coreografia di straordinaria teatralità, nonché definita dalla critica una tra le più belle degli ultimi tempi: un assolo, sulle note di Let The Power Fall, nel quale la danzatrice, con forte virtuosismo, sembra sospesa in aria grazie al gioco di luci stroboscopiche. Un classico è invece Takademe, assolo, pensato da un ex ballerino della compagnia, in cui il danzatore rappresenta movimenti acrobatici che poggiano sui ritmi e movimenti della danza indiana. A seguire Juke, che nel programma di sala si legge essere un omaggio al leggendario jazzista Miles Davis, e agli anni ’70. Qui si sfoggia il vero talento dei danzatori grazie a una commistione di composizioni coreografiche. Sempre intorno alla musica ruota The Shape of Us, l’ultima creazione di David Parsons: qui i ballerini si esplorano scoprendo i loro legami racchiusi nella loro bellezza. Chiude la serata Whirlaway, sulle note che spaziano dal Rockabilly & Twist al Blues, passando per tutta la gamma del jazz, una coreografia che è continuata sullo stage, per acclamazione del pubblico, anche dopo la chiusura del sipario. Un potpourri di assoli e di coppie che si rimescolano continuamente, un vero e proprio inno alla vita. Photocredit Rachel Neville

 

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Napoli, Teatro di San Carlo: Inaugurazione Stagione di Concerti 2024/25 “Dan Ettinger, Gabriele Pieranunzi, Pierluigi Sanarica”

gbopera - Dom, 24/11/2024 - 00:25

Napoli, Teatro di San Carlo
Direttore | Dan Ettinger
Violino | Gabriele Pieranunzi
Violoncello | Pierluigi Sanarica
Inaugurazione Stagione di Concerti 2024/25
Programma
Robert Schumann, Sinfonia n. 4 in re minore, op. 120
Johannes Brahms, Doppio concerto per violino, violoncello e orchestra in la minore, op. 102
Orchestra del Teatro di San Carlo
La stagione sinfonica 2024/2025 del Teatro San Carlo di Napoli si apre nel segno del Romanticismo musicale, incarnando le vette espressive di un’epoca che ha saputo trasfigurare il tumulto interiore in linguaggio orchestrale. Questo evento inaugurale, previsto per domenica 24 Novembre sotto la direzione dell’eminente maestro Dan Ettinger, vedrà l’Orchestra del Lirico partenopeo impegnata in un programma che celebra due colonne portanti del repertorio romantico: Robert Schumann e Johannes Brahms. La serata sarà ulteriormente impreziosita dalla presenza di due acclamati solisti, figure di riferimento del panorama musicale contemporaneo, Gabriele Pieranunzi al violino e Pierluigi Sanarica al violoncello, che offriranno una lettura personale e intimamente partecipata di due opere di grande intensità lirica. L’apertura sarà affidata alla Sinfonia n. 4 in re minore, op. 120 di Schumann, un’opera che, nella sua dimensione di sperimentazione e arditezza formale, incarna il dinamismo di un’estetica in costante tensione verso l’innovazione. Composta nell’estate del 1841, nel cosiddetto “anno sinfonico” del compositore, questa sinfonia testimonia il fervore creativo di Schumann, il quale, in una stagione particolarmente prolifica, cercava di ridefinire il linguaggio orchestrale secondo canoni di organicità e unitarietà tematica. La prima esecuzione al Gewandhaus di Lipsia, però, non ottenne il favore del pubblico, forse per l’audacia delle soluzioni adottate, percepite come eccessivamente ardite per il gusto dell’epoca. Tuttavia, nel 1852 Schumann decise di rielaborare profondamente la partitura, creando una versione che ne valorizza appieno la coerenza interna e la continuità dei materiali tematici. La peculiarità della Sinfonia n. 4 risiede infatti nella concezione unitaria della forma: i quattro movimenti sono concepiti come sezioni di un organismo unico, in cui la transizione tra una parte e l’altra avviene senza soluzione di continuità, in un fluire ininterrotto di idee musicali che, pur mutando nel carattere, mantengono una radice comune. Questo principio di unità ciclica non solo riflette il desiderio di Schumann di superare la frammentazione tipica delle sinfonie classiche, ma esprime anche una visione filosofica più ampia, legata all’idea romantica di un cosmo coerente e organico, in cui ogni parte è intimamente connessa al tutto. Attraverso l’uso di leitmotiv che si ripresentano e si trasformano, Schumann crea un tessuto musicale in cui l’ascoltatore viene condotto per mano lungo un percorso emozionale che evolve costantemente, pur restando fedele a se stesso. A seguire, il programma prevede il Doppio concerto per violino, violoncello e orchestra in la minore, op. 102 di Johannes Brahms, l’ultima opera sinfonica del compositore, scritta nel 1887. In questo lavoro, Brahms si rivolge al passato, riprendendo la forma barocca del Concerto grosso, ma la piega alle esigenze del linguaggio romantico, fondendo l’antico e il moderno in una sintesi perfettamente equilibrata. Il Doppio concerto è infatti un’opera che gioca sul dialogo, non solo tra i due strumenti solisti, ma anche tra questi e l’orchestra. Il violino e il violoncello si alternano, si rincorrono, si sovrappongono, dando vita a un tessuto musicale di straordinaria complessità, in cui ogni voce mantiene la propria individualità pur contribuendo all’insieme. Il recupero della forma concertistica barocca da parte di Brahms non è mero esercizio di stile, ma risponde a un’esigenza poetica profonda: quella di stabilire un ponte tra passato e presente, tra la tradizione e la sua rielaborazione contemporanea. Il Doppio concerto si presenta così come un esempio di neoclassicismo romantico, in cui la forma classica viene rivestita di nuove potenzialità espressive. Nei tre movimenti dell’opera, si passa da momenti di lirismo intimo, in cui il violino e il violoncello sembrano quasi cantare all’unisono, a sezioni di grande energia ritmica, in cui la scrittura orchestrale si fa densa e articolata, creando un clima di tensione drammatica che culmina nel brillante finale. Questa serata inaugurale non è solo un omaggio al Romanticismo musicale, ma rappresenta anche un tributo alla memoria di Giulia Romito, una figura di spicco nel mondo del teatro lirico partenopeo, scomparsa prematuramente all’età di 44 anni. Giulia Romito, giornalista e addetta stampa del Teatro San Carlo, è stata una presenza costante e instancabile nel dietro le quinte del teatro, contribuendo con la sua passione e il suo impegno a rendere accessibile e comprensibile la grande musica a un pubblico sempre più vasto. Dedicarle questa stagione sinfonica è un modo per onorarne la memoria e per ricordare l’importanza di coloro che, pur non essendo sotto i riflettori, contribuiscono in maniera determinante al successo di ogni rappresentazione. Sul podio, Dan Ettinger saprà certamente valorizzare le peculiarità di un programma tanto impegnativo quanto affascinante. La sua direzione, caratterizzata da una perfetta fusione di rigore tecnico e passione emotiva, è garanzia di un’interpretazione che saprà rendere giustizia alla complessità delle partiture in programma. L’Orchestra del Lirico napoletano, sotto la sua guida, si conferma una delle più raffinate formazioni del panorama musicale italiano, capace di affrontare con maestria le sfide poste da opere di grande spessore come quelle di Schumann e Brahms. I solisti della serata, Gabriele Pieranunzi e Pierluigi Sanarica, sono musicisti di straordinaria sensibilità e talento, in grado di affrontare il repertorio romantico con un’intensità interpretativa che ne valorizza ogni sfumatura. Pieranunzi, violino concertante dell’orchestra, è rinomato per il suo approccio virtuosistico, ma al tempo stesso profondamente espressivo, capace di dar voce alle emozioni più intime delle opere che interpreta. Sanarica, primo violoncello, è un artista che unisce una tecnica impeccabile a una capacità di comunicare attraverso il suono che rende ogni sua esecuzione un momento di autentica poesia. In un mondo sempre più frammentato e complesso, la musica rappresenta un linguaggio universale, capace di superare le barriere culturali e di parlare direttamente all’animo umano. Il programma proposto, con le sue profonde implicazioni emotive e intellettuali, invita il pubblico a lasciarsi trasportare dalla bellezza e a riscoprire, attraverso l’arte, quel senso di unità e di armonia che sembra spesso sfuggirci nella vita quotidiana.

Categorie: Musica corale

Napoli, Teatro di San Carlo: “Rusalka”

gbopera - Sab, 23/11/2024 - 23:27

Napoli, Teatro di San Carlo, Inaugurazione Stagione d’opera e danza 2024/25
“RUSALKA”
Fiaba lirica in tre atti di Antonín Dvořák
Libretto di Jaroslav Kvapil
Il Principe ADAM SMITH
La Principessa straniera EKATERINA GUBANOVA
Rusalka ASMIK GRIGORIAN
Vodník GABOR BRETZ
Ježibaba ANITA RACHVELISHVILI
Il guardiacaccia (nel libretto originale, Padre di Rusalka) PETER HOARE
Lo Sguattero (nel libretto originale, Madre di Rusalka) MARIA RICCARDA WESSELING
Prima ninfa JULIETTA ALEKSANYAN
Seconda ninfa IULIA MARIA DAN
Terza ninfa VALENTINA PLUZHNIKOVA
Il cacciatore ANDREY ZHILIKHOVSKY
Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo
Direttore Dan Ettinger
Maestro del Coro Fabrizio Cassi
Regia e Scene Dmitri Tcherniakov
Costumi Elena Zaytseva
Luci Gleb Filshtinsky
Video Designer Alexej Poluboyarinov
Lead Animation Artist Maria Kalatozishvili
Drammaturgia Tatiana Werestschagina
Nuova Produzione del Teatro di San Carlo
Napoli, 20 novembre 2024
È possibile osservare e vivere il teatro d’opera come un esperimento «artistico». Ciò, però, può avvenire soltanto se una rappresentazione diventa zona-esperimento, per dirla con Gilles Deleuze, di «interdisciplinarità»: uno spazio «creativo», entro cui possono convergere vari linguaggi e mezzi espressivi, anche formalmente «diversi» tra loro. L’incontro genera irrimediabili «contraddizioni», apparentemente risolvibili soltanto se lo spettatore accetta di osservare «emotivamente» l’evento teatrale, e non «razionalisticamente»; risolvibili, dunque, soltanto accettando l’inevitabile separazione del teatro d’opera (e dell’arte, in generale) dalla realtà empirica, parafrasando Theodor Adorno. Il teatro d’opera non può (e non deve, in fondo) riprodurre o restituire la realtà in un modo coerentemente realistico. Pertanto, eventuali inverosimiglianze sono strutturalmente inevitabili, soprattutto quando un’opera lirica ha già un’essenza totalmente favolistica. Parliamo di Rusalka, fiaba in tre atti composta da Antonín Dvořák nel 1900, la cui prima rappresentazione ebbe luogo il 31 marzo del 1901, al Teatro Nazionale di Praga. L’opera, che ha inaugurato la Stagione 2024/25 del Teatro di San Carlo, appare come un momento poeticamente irrealistico: il progetto registico e scenografico, firmato da Dmitri Tcherniakov, assume la forma d’un irrisolvibile teorema – perché nega a se stesso una eventuale possibilità di essere «totalmente» e definitivamente qualcosa. La natura potentemente frammentaria della rappresentazione risiede nell’ibridismo linguistico che la determina, e sembra alludere all’indefinita identità della protagonista, Rusalka: una creatura acquatica che ama come una donna, ma non ha un corpo per farlo effettivamente. Questa eterogeneità riguarda anche la struttura corporea della rappresentazione, determinata non soltanto dal linguaggio teatrale, ma anche da quello cinematografico (organizzato da Tatiana Werestschagina, autrice della drammaturgia); una rappresentazione caratterizzata da una disposizione «verticale» dei due linguaggi: immagini fumettistiche (curate anche da Alexej Poluboyarinov e Maria Kalatozishvili) proiettate su di una tenda nera che, all’occorrenza, si apre in strette forme geometriche e «finestre»; in micro spazi (determinati dalle nitide luci di Gleb Filshtinsky), entro cui i personaggi cantano soltanto, perché l’azione è totalmente demandata alle proiezioni di immagini animate. La trama del «film animato» pretende di risolvere i fatti favolistici immergendoli in una realtà contemporanea. La cosa può apparire innovativa, ma, come detto sopra, può anche creare inevitabili contraddizioni «strutturali», perché le due trame (quella operistica e quella fumettistica) non si intrecciano, ma si sovrappongono. Il taglio cinematografico dell’opera, però, è costantemente sostenuto e vivificato da un continuum sonoro romanticamente drammatico e seducente, che Dan Ettinger, alla testa dell’Orchestra del San Carlo, riesce nitidamente a governare: pura materia sonora, determinata da momenti d’estrema introspezione affettiva e da un espressionistico ricorso a scatenamenti d’una energia pressoché mitica e «primitiva»; elementi stupendamente riecheggianti non soltanto la natura graziosamente magica e fiabesca dell’opera, ma anche i «disagi» psicoanalitici, come la frantumazione dell’Io, che iniziavano a determinare le opere fin de siècle. Figure melodiche tragicamente espanse, cariche d’una disperata sensualità, conferiscono inventiva coloristica alla strumentazione; rarefatte e suggestive atmosfere sonore riescono a restituire, invece, il carattere espressivo e l’integrità compositiva di un’impostazione stilistica tardo-romantica, organicamente costituita da elementi strutturali tipicamente wagneriani (come, ad esempio, le omogenee transizioni da un motivo all’altro) e i dati poetici di matrice folclorica e popolare (boema e slava) del libretto, scritto da Jaroslav Kvapil. Esito felice per la compagnia canora. Il soprano Asmik Grigorian risolve la parte di Rusalka con un linguaggio melodico intriso di drammatica maturità. Voce teatralmente «accogliente» e morbida, soprattutto quando sfocia in un seducente e romantico sentimentalismo e in un lirismo carico d’affetto (come accade nell’aria lunare dell’Atto I). Vanta, dunque, una voce cromaticamente variegata – caratterizzata da un’interessante polivalenza drammatica, che garantisce all’attrice-cantante di restituire appropriatamente anche la disperazione d’una creatura acquatica costretta in un non-corpo che detesta. Un mirabile dinamismo vocale, determinato da omogeneità d’emissione e purezza stilistica. Lei, perdutamente innamorata del Principe, interpretato da Adam Smith. Il tenore garantisce al suo personaggio una voce potentemente declamante e un’efficace duttilità espressiva. Sfoggia un temperamento energico, vigorosamente proteso a soddisfare le esigenze drammatiche della parte, quella d’un personaggio dall’Io irrimediabilmente fratturato, perché determinato da atteggiamenti scattanti e momenti d’estrema introspezione sentimentalista. Una personalità dal carattere variegato, la cui natura riecheggia anche nell’ampio ventaglio timbrico, notevolmente governato anche nelle zone impervie della tessitura acuta. Nel ruolo di Ježibaba, invece, Anita Rachvelishvili: il mezzosoprano presta alla strega un timbro marcatamente scuro, dall’innegabile bellezza, e un’intensità di volume che l’artista utilizza teatralmente per la costruzione d’un personaggio dal temperamento sorprendentemente glaciale, determinato da accenti vigorosi e un uso «espressionistico» della voce, soprattutto nella zona grave. Parimenti ottima l’interpretazione del mezzosoprano Ekaterina Gubanova, che garantisce alla sua Principessa straniera un atteggiamento scenico intriso di febbrile sensualità, caratterizzato da solidità vocale ed efficacia interpretativa. Il baritono Gabor Bretz (Vodník) padroneggia, invece, un’energica e tonante vocalità. Validi, scenicamente e vocalmente, anche gli altri interpreti: Peter Hoare (Padre di Rusalka; nel libretto originale, Il guardiacaccia), Maria Riccarda Wesseling (Madre di Rusalka; nel libretto originale, Lo sguattero), Julietta Aleksanyan (Prima ninfa), Iulia Maria Dan (Seconda ninfa), Valentina Pluzhnikova (Terza ninfa), Andrey Zhilikhovsky (Il cacciatore). Tutti avvolti nei particolari e colorati costumi di Elena Zaytseva. Ottimo anche l’apporto del Coro del San Carlo, vocalmente inappuntabile, magistralmente preparato da Fabrizio Cassi. Al netto di contestazioni rivolte soprattutto alla «novità» rivoluzionaria dell’allestimento, la rappresentazione è stata accolta dal pubblico con vivo entusiasmo. Foto Luciano Romano

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Amici della Musica di Firenze: Concerto dell’ensemble “L’Astrée”

gbopera - Sab, 23/11/2024 - 12:51

Firenze, Teatro Niccolini, Stagione Concertistica degli Amici della Musica di Firenze 2024/25
“L’ASTRÉE”
Voci recitanti Sandro Cappelletto, Laura Torelli
Violini Francesco D’Orazio, Paola Nervi
Violoncello Daniele Bovo
Tiorba Pietro Prosser
Clavicembalo Giorgio Tabacco
Andrea Falconiero: Batalla de Barabasso y Satanas; Folias echa para mi Senora Dona Tarolilla de Caralleno; Luciano Berio: Dai “Duetti per due violini”: Peppino, Alfredo; Arcangelo Corelli: Sonata in re minore op. 5 n. 12, “La Follia”, per violino e basso continuo; Luciano Berio: Dai “Duetti per due violini”: Annie, Aldo; Marco Uccellini:La Vittoria Trionfante”, Sonata per violino e basso continuo; Antonio Vivaldi: Sonata a tre in sol maggiore, RV 71, per due violini e basso continuo; Sonata a tre in si bemolle maggiore, RV 77, per due violini e basso continuo; Sonata a tre in re minore, “La Follia”, RV 63, per due violini e basso continuo.
Firenze, 17 novembre 2024
L’ Astrée, ensemble di musica barocca, già a Firenze il 19 gennaio 2023, è ritornato per gli Amici della Musica con un’accattivante narrazione fuori dai consueti stereotipi. Il gruppo era consapevole che «chi non sa far stupir, vada alla striglia!», mentre il pubblico, visti gli interventi di Sandro Cappelletto (ideatore dei testi) e Laura Torelli, voci recitanti, si affidava alla loro guida in un percorso ove la protagonista era la musica italiana con autori barocchi inframmezzati da ‘incursioni’ su Luciano Berio di cui nel 2025 ricorre il centenario della nascita. Di quest’ultimo si sono ascoltati dei Duetti per due violini composti tra il 1979 e il 1981: Peppino (Di Giugno), Alfred (Schlee), Annie (Neuburger), Aldo (Bennici). Trattasi di musiche, secondo le intenzioni del compositore, dove sono «nascoste ragioni e occasioni personali» e che, pur attraverso linguaggi ed architetture diverse dalla musica barocca, strizzano l’occhio al ‘virtuosismo’ delle Sequenze o a Gesti (1966) concepito per flauto dolce (treble recorder) e dedicato a Frans Brüggen. Contaminazioni artistiche in cui le battaglie e le follie, tema portante del concerto, richiedevano particolare attenzione non disgiunta da un’adesione al Quaerendo invenietis di bachiana memoria. Occorreva ‘cercare’ tra testi, suoni e immagini quanto veniva proposto in itinere e per percepire la ‘follia’ si doveva attivare una vivifica immaginazione. La varietà degli strumenti utilizzati appariva reminiscenza di scene musicali di opere di Tintoretto o Tiepolo, mentre i musicisti sembravano personaggi di commedie goldoniane intenti in animate conversazioni su un programma che spaziava dalle musiche del napoletano Falconiero al veneziano Vivaldi. Se consideriamo perno del programma La Follia di Corelli (nume della sonata a tre), è stato come attraversare un periodo tra il XVII e XVIII secolo in cui si potevano percepire stili musicali e frammenti di storia e di pensieri. Il virtuosismo dei musicisti ha offerto eleganza, cantabilità e musicalità; inoltre ogni dettaglio dell’interpretazione, oltre a stupire l’ascoltatore, esprimeva lo stile e la poetica dei compositori. Nella forma della sonata violinistica e della sonata a tre barocca (non è casuale se tre dei compositori in programma erano anche violinisti), dal punto di vista esecutivo si potevano cogliere sia le qualità interpretative dell’ensemble sia il rigore nel restituire, da parte dei due violinisti e nella linea del basso, la limpida scrittura contrappuntistica. Le imitazioni, il chiaro fraseggio, i respiri, i colori e le concordi intenzioni interpretative, anche quando il gruppo era al completo, per il preciso scambio delle parti dei due violini (sovente grazie alla restituzione del melos in contrappunto all’ottava e al rapporto musicale simbiotico tra Francesco D’Orazio e Paola Nervi), facevano percepire un unico cantus e bassus ben articolato ed espressivo grazie al bel fraseggio di Daniele Bovo (violoncello), di Pietro Prosser (tiorba) e di Giorgio Tabacco (clavicembalo) con il compito di realizzare il basso continuo ed esprimere strutture armoniche, anche se in certi casi stereotipate, ma pur sempre affascinanti. Nella magnificenza della retorica barocca e in riferimento al tema della battaglia non poteva mancare la figura del vincitore che, per assurdo, può trasformarsi in perdente. Se con La Vittoria Trionfante si presuppone la resa dell’avversario, nell’intonazione del testo tassiano (tratto dalla Gerusalemme liberata) da parte di Monteverdi con il Combattimento di Tancredi e Clorinda, può accadere di uccidere la donna amata. Lo ha sottolineato Cappelletto insieme a Tabacco che intonava l’incipit del madrigale rappresentativo accompagnandosi al clavicembalo. Poteva sembrare un fuori programma ma invece era coerente con le idee del progetto. Il tema del concerto, grazie alla redazione dei testi che ha preso l’avvio dal 1609, anno in cui Galileo si reca a Venezia con il suo cannocchiale, è stato talmente scandagliato che poteva essere recepito come mancanza di senno di un’umanità smarrita. In realtà, grazie all’inventio dei compositori e alla bella interpretazione dell’ensemble, si è compreso quanto la reiterazione di accordi su cui si edifica il tema musicale di otto battute de La Follia possa rappresentare la lanterna di Diogene alla ricerca dell’uomo, nonché il viatico necessario per trasformare le avversità della vita in cimento, armonia, estro e quant’altro. Sono tutti elementi presenti nel brano finale di Vivaldi ove – nonostante i rimandi del tema del concerto agli orrori di guerre, battaglie e follie – la musica e le ammalianti ‘virtù’ interpretative de L’Astrée, hanno convinto il pubblico della potenza e bellezza di un programma in cui l’ascolto non poteva dissociarsi da un pensiero critico e pur sempre creativo. Foto di Luisa Santacesaria

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Gioacchino Rossini (1792 – 1868): “Ermione” (1819)

gbopera - Sab, 23/11/2024 - 08:17

Azione tragica in due su libretto di Leone Tottola. Serena Farnocchia (Ermione), Aurora Faggioli (Andromaca), Moisés Marín (Pirro), Patrick Kabongo (Oreste), Chuan Wang (Pilade), Junsung Gabriel Park (Fenicio), Mariana Poltorak (Cleone), Katarzyna Guran (Cefisa), Bartosz Jankowski (Attalo). Kraków Philharmonic Chorus, Marcin Wróbel (maestro del coro), Kraków Philharmonic Orchestra, Antonino Fogliani (direttore). Registrazione. Bad Wildbad. Trinkhalle, 16 e 23 giugno 2023. 2 CD NAXOS
La collaborazione tra la casa editrice Naxos e il festival di Bad Wildbad è ormai rodata e ha fornito anche ottime registrazioni. Questa volta oggetto di pubblicazione è “Ermione” , l’opera seria di Rosini allestita per l’edizione 2022 del festival. “Ermione” è uno dei lavori più originali e al contempo più complessi del pesarese. Quintessenza della tragedia neoclassica da un lato si arricchisce di una cura orchestrale in cui è evidente la conoscenza delle esperienze viennesi e più ampliamente mitteleuropee – qui Rossini comincia a essere quel “tedeschino” che sarà pienamente in “Zelmira”, opera che per molti versi è il compimento di quanto seminato con “Ermione” – dall’altro è il cimento della più estrema vocalità belcantista chiamata a esaltare le doti di una compagnia di fuoriclasse – Colbran, David, Nozzari – spinti fino al limite delle loro possibilità.
Un piccolo festival con possibilità ridotte come quello tedesco compie sicuramente un azzardo non da poco ad allestire un titolo così impegnativa ma bisogna riconoscere che il risultato finale risulta migliore di quanto le premesse lasciassero presagire.
Direttore di lunga esperienza rossiniana e presenta abituale sul podio del festival Antonino Fogliani fornisce una prestazione altalenante. Sicuramente il direttore ha mestiere e riesce a far rendere al meglio e con buon rigore stilistico complessi dignitosi ma di certo non di primissimo livello come quelli della Filarmonica di Cracovia. Non aiuta a riguardo la registrazione che se concede una bella presenza alle voci risulta un poco sorda per quanto riguarda l’orchestra. Lasciamo invece qualche perplessità le scelte agogiche non nei momenti più lirici e distesi, colti nel giusto clima e con belle sonorità, ma in quelli più concitati dove il direttore sembra dominato da una smania di forzare i ritmi rischiando più volte di far scivolare la concitazione drammatica di molti momenti in toni da opera buffa. Si ascoltino le strette così rapide e caricate da perdere di coerenza drammatica sostituita da eccessi sonori e dinamici poco in linea con l’atmosfera generale.
Il cast non può contare su autentiche stelle come quelle per cui vennero pensati i singoli ruoli ma può contare su professionisti volenterosi e attenti che riescono a portare in porto i loro cimenti quasi oltre le loro possibilità. Unica veterana del cast Serena Farnocchia affronta il ruolo della protagonista con una voce solida e sicura, capace di reggere con professionalità una tessitura ampia e non certo agevole. Il timbro non manca di asprezza ma per fortuna il ruolo concede non poco al riguardo specie quando l’interprete può far valere un temperamento ardente e un accento drammatico e intenso. Sul piano prettamente vocale si nota qualche durezza mentre su quello interpretativo la Farnocchia, cantante dal repertorio ecclettico in cui il bel canto non gioco un ruolo centrale, manca un po’ di aplomb stilistica virando il personaggio verso moduli espressivi che saranno dei repertori a venire.
Il congolese Patrick Kabongo ci era parso fuori ruolo nella “Lucie de Lammermoor” bergamasca, qui ci appare più in parte e regge con sicurezza la tessitura acutissima della parte di Oreste. La voce non è grande ma la buona ripresa sonora lo favorisce al riguardo, il timbro piacevole, gli acuti falici e squillanti. La cavatina “Reggia abborrita” è cantata con gusto e in modo più che convincente anche nei passaggi di coloratura in zone acute e nei duetti con Ermione trova anche un interessante accento drammatico. Non può competere con i mostri sacri che hanno in passato affrontato il ruolo ma gli va riconosciuto di uscirne con onore.
La parte di Pirro con la sue tessitura amplissima da autentico baritenore è forse ancor più impegnativa. Il giovane tenore spagnolo Moisés Marin l’affronta con slancio e facendo affidamento su una voce robusta nei centri e timbricamente ben distinta da quella di Kabongo. Gli acuti sono ricchi e svettanti mentre il settore grave non ha sempre la ricchezza di suono che si vorrebbe. La prestazione risulta però più che sufficiente anche sul piano interpretativo dove riesce a trasmettere l’autorità regale del personaggio.
Andromaca è Aurora Faggioli giovane mezzosoprano dal timbro morbido e scuro, assai interessante. Ancora un po’ acerba sul versante espressivo – il ruolo nella sua passivita tende naturalmente a ridursi alla sola dimensione musicale – è però molto musicale e risolve con precisione tutte le difficoltà delle parte.
Tra i ruoli di contorno spicca lo squillante Pilade di Chuan Wang, giovane tenore cinese che avevamo già apprezzato nelle sue esibizioni rossiniane a Novara. Solido ed efficacie il Fenicio di Jungsung Gabriel Park, nel complesso funzionali il Cleone di Mariana Potronak e la Cefisa di Katarzyna Guran, abbastanza sgraziato Bartosz Jakowski come Attalo.

 

Categorie: Musica corale

Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia: ” Miti greci per principi dauni”

gbopera - Ven, 22/11/2024 - 20:18

Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia
Miti Greci per Principi Dauni: Una Restituzione di Prestigiosi Reperti Archeologici all’Italia
La diplomazia culturale tra Italia e Germania celebra il ritorno di venticinque reperti di inestimabile valore, restituiti grazie a un’intesa internazionale e alla cooperazione delle più alte istituzioni di tutela del patrimonio culturale.
Roma, 22 novembre 2024
Oggi a Roma, presso il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, si è tenuta l’inaugurazione della mostra “Miti greci per principi dauni”, un evento di altissimo pregio culturale che sancisce la restituzione all’Italia di venticinque reperti archeologici di inestimabile valore. Alla cerimonia, presieduta dal Ministro della Cultura Alessandro Giuli, hanno preso parte eminenti personalità nel campo della tutela e della valorizzazione del patrimonio culturale. Tra questi, la direttrice del Museo, Luana Toniolo; il Direttore generale Musei e curatore della mostra, Massimo Osanna; il Capo Dipartimento per la tutela del patrimonio culturale e co-curatore Luigi La Rocca; il Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica di Roma, Giovanni Conzo; il Comandante dei Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale, Generale Francesco Gargaro; il Capo Dipartimento per la valorizzazione del patrimonio culturale, Alfonsina Russo, e l’Ambasciatore tedesco in Italia, Lucas Hans-Dieter. La mostra celebra il ritorno di un prestigioso gruppo di vasi apuli e attici a figure rosse, rinvenuti in contesti funerari e rappresentativi delle raffinate tradizioni pittoriche del IV secolo a.C., realizzati da ceramografi di acclamata maestria quali il Pittore di Dario e il Pittore dell’Oltretomba. Tali reperti, originariamente parte delle collezioni dell’Altes Museum di Berlino, sono stati restituiti all’Italia grazie a una sofisticata operazione di diplomazia culturale e di cooperazione giuridica, condotta dal Ministero della Cultura italiano in sinergia con i Carabinieri del Comando Tutela del Patrimonio Culturale. La restituzione è il frutto di un’intesa siglata il 13 giugno scorso tra i Ministeri della Cultura italiano e tedesco, la Fondazione per l’Eredità Culturale della Prussia (SPK) e l’Altes Museum di Berlino. L’accordo si inserisce in una più ampia strategia di contrasto al traffico illecito di beni archeologici, facilitato dalle indagini coordinate dalle Procure della Repubblica di Roma e Foggia. Grazie a tale sinergia, è stato possibile ricostruire le intricate vicende di esportazione illecita che coinvolsero i reperti, inizialmente acquisiti dal noto trafficante d’arte Giacomo Medici e successivamente venduti all’Altes Museum nel 1984, tramite il commerciante di antichità Christopher Leon, per la somma di 3 milioni di marchi. La collezione comprende anche vasi attici e lucani, testimonianze della complessità degli scambi culturali tra la Grecia e le popolazioni indigene della Penisola Italica. Il progetto espositivo – curato da Luigi La Rocca, Massimo Osanna e Luana Toniolo – rappresenta un esempio virtuoso di collaborazione tra istituzioni italiane e tedesche, ed è stato concepito con un allestimento immersivo e didattico, capace di restituire al pubblico la dimensione mitologica delle rappresentazioni figurate, nonché di narrare il contesto rituale e sociale in cui i vasi furono originariamente utilizzati. I materiali dauni, dopo l’esposizione a Villa Giulia, faranno ritorno in Puglia, dove saranno destinati all’istituendo Museo di Foggia presso Palazzo Filiasi, una volta completati i lavori di restauro e adeguamento funzionale in corso, che mirano alla realizzazione di un museo dedicato al contrasto allo scavo clandestino e alla tutela del patrimonio archeologico.

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Roma, Teatro Anfitrione: ” Il Favoloso Viaggio ” dal 21 al 24 novembre 2024

gbopera - Ven, 22/11/2024 - 17:38

Roma, Teatro Anfitrione
IL FAVOLOSO VIAGGIO
di e con Cinzia Grande e Andrea Lattari
Prod. Maner Manush, Roma
Lo spettacolo Il Favoloso Viaggio racconta la storia e le avventure dei commedianti Isabella Canali e Francesco Andreini, capocomici della Compagnia dei Gelosi, creatori di lazzi, storie, maschere e celebri personaggi: l’Innamorata Isabella e Capitan Spavento da Vall‘Inferna. Nel Rinascimento, attori girovaghi, viaggiando in carovane dall‘Italia in tutta Europa, presentarono nuovi personaggi in maschera.
I comici, attraversando paesi sconosciuti, incontrando differenti popoli e culture, si raccolsero nelle prime Compagnie professionistiche del Teatro, inventando un nuovo linguaggio, in seguito chiamato Commedia dell‘Arte. Francesco Andreini fu uno dei primi drammaturghi del Teatro Moderno e il suo personaggio, Capitano, ispirò attori e scrittori. Isabella Canali, talentuosa attrice e poetessa, incantò un pubblico internazionale, in tempi in cui recitare su un palcoscenico era ancora prerogativa esclusiva degli uomini, rappresentando un‘icona femminile rivoluzionaria. Dalla nascita delle prime compagnie di attori professionisti in Italia, continua il lungo viaggio del Teatro di Maschera sino ad oggi. Il Favoloso Viaggio percorre le tracce delle carovane dei comici, entrando nella vita degli attori, nel loro profondo rapporto con maschere e personaggi. Lo spettacolo mette in scena lazzi, canovacci antichi e originali, raccontando una storia reale e contemporanea di Teatro e attori. Qui per tutte le informazioni.

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La stagione del Teatro Regio di Torino apre nel segno di Mozart. “Le nozze di Figaro” in scena dal 23 novembre al 1 dicembre 2024.

gbopera - Ven, 22/11/2024 - 16:56

L’inaugurazione della Stagione d’Opera e di Balletto 2024/2025 del Regio è sabato 23 novembre alle ore 19 con “Le nozze di Figaro” di Wolfgang Amadeus Mozart. Sul podio dell’Orchestra e del Coro del Regio debutta il maestro Leonardo Sini, il Coro del Regio è istruito da Ulisse Trabacchin. I protagonisti sono artisti carismatici e affermati: Vito Priante (già Conte nell’edizione del 2015) e Monica Conesa sono il Conte e la Contessa, Giorgio Caoduro è Figaro, Giulia Semenzato Susanna, Josè Maria Lo Monaco (già apprezzata Rosina sul palcoscenico torinese) è Cherubino. Monica Conesa per indisposizione non potrà prendere parte alle prime due recite e sarà sostituita da Ruzan Mantashyan.
L’allestimento – per la prima volta in Italia – è del Teatro Regio di Torino e si basa sulla produzione originale del Teatro Real di Madrid (2009) in coproduzione con Asociación Bilbaína de Amigos de la Ópera (A.B.A.O.) la regia è di Emilo Sagi  con scene di Daniel Bianco e costumi di Renata Schussheim.
Torino e il Teatro Regio si confermano protagonisti della scena culturale, alternando due eventi di spicco: il 22 novembre il Teatro ospiterà l’inaugurazione del Torino Film Festival, collocata tra l’Anteprima Giovani e l’apertura della Stagione d’Opera e di Balletto 2024/2025. Questo connubio tra opera e cinema, già messo in luce con la trilogia Manon, testimonia la stretta collaborazione tra il Regio e il Museo Nazionale del Cinema, valorizzando il dialogo tra le due istituzioni e le rispettive arti.
Nei ruoli dei protagonisti si alternano: Jarrett Ott (il conte d’Almaviva), Kirsten MacKinnon (la contessa d’Almaviva), Christian Federici (Figaro), Martina Russomanno (Susanna), Siphokazi Molteno (Cherubino). Il cast si completa con: Chiara Tirotta (Marcellina), Andrea Concetti/ Giovanni Romeo (Bartolo), Juan José Medina (Basilio), Cristiano Olivieri (Don Curzio), Janusz Nosek (Antonio), Albina Tonkikh (Barbarina), Eugenia Braynova/Caterina Borruso (Prima contadina) e Daniela Valdenassi/Ivana Cravero (Seconda contadina). Molteno, Medina, Nosek, Tonkikh sono Artisti del Regio Ensemble.
Va in scena grazie al sostegno di Italgas, Socio Sostenitore del Teatro Regio di Torino.
Le recite proseguiranno fino al 1 dicembre, in alcune recite sarà attivo Opera Buffet il nuovo servizio al pubblico che permette di gustare un aperitivo in un’area dedicata nel Foyer del Toro. La durata prevista dello spettacolo è di circa tre ore e cinquanta minuti comprensiva degli intervalli.

Tutte le informazioni sono reperibili sul sito del Teatro Regio

https://www.teatroregio.torino.it/opera-e-balletto-2024-2025/le-nozze-di-figaro

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Roma, Sala Umberto: “Jannacci e dintorni”

gbopera - Ven, 22/11/2024 - 16:55

Roma, Sala Umberto
“JANNACCI E DINTORNI”
Una storia raccontata e cantata
con Simone Colombari e Max Paiella
Attilio Di Giovanni (pianoforte e direzione musicale), Gino Marinello (chitarra classica ed elettrica), Alberto Botta (batteria e percussioni), Flavio Cangialosi (basso e fisarmonica), Mario Caporilli (tromba e flicorno), Claudio Giusti (sax, tenore e contralto)
Regia di Lorenzo Gioielli
produzione Viola Produzioni – Centro di produzione teatrale | JANDO MUSIC
Roma, 20 Novembre 2024
“Jannacci e dintorni” è molto più di uno spettacolo teatrale. È un omaggio appassionato a Enzo Jannacci, uno dei più grandi cantautori italiani, medico e poeta del quotidiano, scomparso nel 2013. Lo spettacolo, in scena alla Sala Umberto, si snoda attraverso un dialogo continuo tra narrazione, musica e teatro, intrecciando episodi di vita e successi musicali.  Con grande maestria, Simone Colombari e Max Paiella raccontano le tappe fondamentali della carriera di Jannacci. Simone Colombari e Max Paiella, accompagnati da un ensemble di straordinari musicisti, guidano il pubblico in un viaggio emozionale e coinvolgente, capace di divertire, commuovere e far riflettere. “Jannacci e dintorni” è costruito come un viaggio nella vita e nell’universo creativo di Jannacci, dagli esordi fino alla piena maturità artistica. Gli spettatori sono trasportati nei luoghi e negli incontri che hanno segnato la carriera del cantautore milanese: dagli inizi con Adriano Celentano, al sodalizio con Giorgio Gaber nel duo “I due corsari”, fino alle collaborazioni con Dario Fo, Cochi e Renato, con Fabrizio De André. Attraverso canzoni iconiche come “El purtava i scarp del tenis”, “Vengo anch’io no tu no”, “Ho visto un re”, emergono la profondità e l’universalità del mondo poetico di Jannacci, capace di raccontare con leggerezza e malinconia la vita degli ultimi e delle persone comuni. Simone Colombari e Max Paiella sono i narratori e gli interpreti di questo omaggio, e la loro alchimia sul palco è palpabile. Insieme riescono a far rivivere il mondo di Jannacci, alternando momenti di pura leggerezza a scene di profonda introspezione. La loro performance trasforma la musica in un racconto e il racconto in un’esperienza teatrale che cattura e commuove. La stessa musica diventa narrazione, viene interpretata perfettamente attraverso la loro performance, attraverso gestualità e voce.  L’ensemble diretta da Attilio Di Giovanni è il cuore pulsante dello spettacolo. Con precisione e creatività, i musicisti ricreano l’atmosfera musicale di Jannacci, spaziando dal jazz al rock, senza dimenticare il cabaret e il folk, che hanno caratterizzato il suo stile unico. Attilio Di Giovanni, al pianoforte e alla direzione musicale; Gino Marinello dalla chitarra classica a quella elettrica; Alberto Botta, alla batteria e percussioni, regala momenti di pura energia, tra cui un assolo sorprendente che coinvolge ogni oggetto a portata di mano, trasformando sedie e superfici in strumenti ritmici; Flavio Cangialosi, con il basso e la fisarmonica; Mario Caporilli alla tromba e flicorno e Claudio Giusti ai sassofoni. Un dialogo musicale che oscilla tra delicatezza e potenza. I loro sorrisi, le intromissioni giocose, le smorfie e i piccoli balli diventano parte integrante dello spettacolo, regalando al pubblico un’atmosfera di complicità e gioia. Rende visibile un brano di Jannacci: “Quando un musicista ride è perché sente dentro una gioia vera.” Gli arrangiamenti musicali rendono omaggio anche alle influenze più importanti per Jannacci: il jazz dei suoi inizi, condiviso con Giorgio Gaber, l’ironia pungente ereditata da Dario Fo, e l’intensità poetica che lo avvicinò a Fabrizio De André. Questi incontri, richiamati nei brani e nella narrazione, sottolineano la ricchezza e la complessità del suo universo artistico. Le luci, curate con grande attenzione, alternano tonalità calde e intime per i momenti più riflessivi a colori vivaci e dinamici per i brani più ironici e ritmati. Questa alternanza riflette perfettamente la doppia anima di Jannacci, capace di mescolare sorriso e malinconia in modo unico. La scenografia lascia spazio alla musica e alla narrazione, evocando l’atmosfera di un piccolo cabaret milanese, di un salotto musicale. La regia di Lorenzo Gioielli è precisa e attenta. Ogni momento dello spettacolo è studiato per mantenere vivo il ritmo e l’attenzione del pubblico. Spazio e tempo sono gestiti perfettamente. Gioielli, infatti, riesce a bilanciare perfettamente gli elementi narrativi e musicali, la narrazione diventa un continuum della musica. Lascia spazio alla spontaneità e alla freschezza degli attori, creando un climax emotivo che tiene il pubblico incollato alla sedia per oltre un’ora e mezza. “Jannacci e dintorni” è un viaggio nell’anima dell’Italia, un racconto di storie comuni che diventano poesia, un’ode alla capacità di sorridere anche di fronte alle difficoltà. Enzo Jannacci, con il suo linguaggio universale e il suo sguardo unico sul mondo, è celebrato con rispetto, ironia e affetto. Come diceva lui stesso: “La tristezza è buona quando diventa musica.” Ed è proprio questa alchimia che lo spettacolo riesce a catturare, mescolando teatro, musica e narrazione in un’esperienza che lascia il pubblico con un sorriso, una lacrima e una riflessione nel cuore. “Jannacci e dintorni” è un invito a vivere la vita con leggerezza, a trovare la bellezza nell’assurdo, e a cantare, anche quando piove. 

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Milano, MTM, Teatro La Cavallerizza: “P come Penelope” dal 21 al 24 novembre 2024

gbopera - Ven, 22/11/2024 - 16:40

Milano, MTM – Teatro La Cavallerizza
“P COME PENELOPE”
dal 21 al 24/11
Il teatro più raccolto del circuito delle Manifatture Teatrali Milanesi ospita in questi giorni “P come Penelope” monologo scritto e interpretato da Paola Fresa in collaborazione con Christian Di Domenico, per la quale l’interprete ha vinto il Premio Enriquez 2024. Penelope è emblema dell’attesa. Aspetta Ulisse, sposo ed eroe, partito vent’anni prima per una guerra dalla quale tutti gli altri Achei hanno fatto ritorno. Perso nel mar Mediterraneo, naufrago su diversi lidi per volere di Poseidone, Ulisse è protagonista leggendario di una narrazione che attraversa i secoli. Penelope invece la guerra ce l’ha in casa: sola al comando di Itaca, assediata da pretendenti che rappresentano una minaccia per suo figlio, attende e sopporta, si oppone al potere maschile con i mezzi che il suo tempo le offre, contrapponendo all’arroganza dei Proci la sua caparbietà femminile. Nonostante questo, ben poco si conosce della vita di Penelope, la sua storia personale è narrata da un punto di vista maschile, per lo più in relazione al suo ruolo di moglie e madre. La domanda dalla quale siamo partiti è dunque chi è Penelope oggi. Una donna che aspetta per anni un uomo che non sa dire se sia vivo o morto, di cui riceve nel tempo informazioni frammentarie, più vicine al “si dice” che alla realtà dei fatti. Una madre che cresce da sola un figlio che, a sua volta, non ha mai conosciuto il padre e che, nutrito dal suo ricordo, si appresta a diventare un uomo. In uno spazio chiuso, asettico, come un laboratorio di analisi, mettiamo sotto il microscopio l’iconica storia di Penelope, cerchiamo di restituire alla figura universale del mito il suo sguardo negato, quello della donna che l’ha subito-vissuto, riconoscendole così una funzione attiva nella narrazione della sua vita. DURATA: 55 minuti INFO E BIGLIETTI: qui

 

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Roma, Palazzo Barberini: “Caravaggio. Ritratto svelato”

gbopera - Ven, 22/11/2024 - 13:00

Roma, Palazzo Barberini
CARAVAGGIO. IL RITRATTO SVELATO
curata da Thomas Clement Salomon e Paola Nicita
Roma, 22 Novembre 2024

Dal 23 novembre 2024 al 23 febbraio 2025, le Gallerie Nazionali di Arte Antica presenteranno al pubblico un evento di straordinaria rilevanza presso la Sala Paesaggi di Palazzo Barberini: la prima esposizione pubblica del “Ritratto di monsignor Maffeo Barberini” di Caravaggio. Questa opera, proveniente da una collezione privata e mai esposta al pubblico, rappresenta uno dei prestiti più significativi nella storia recente del museo e offre agli studiosi e agli appassionati un’opportunità unica per approfondire la comprensione dell’evoluzione stilistica e della ritrattistica di Caravaggio. Il ritratto, realizzato intorno al 1598 e attribuito con certezza a Michelangelo Merisi da Caravaggio, fu presentato alla comunità scientifica per la prima volta da Roberto Longhi nel 1963. Longhi, uno dei massimi esperti dell’opera caravaggesca, pubblicò un articolo intitolato “Il vero ‘Maffeo Barberini’ del Caravaggio” sulla rivista “Paragone“, delineando un’attribuzione che rimane, ancora oggi, condivisa dalla maggior parte degli studiosi di Caravaggio e della pittura del Seicento. Longhi descrisse il dipinto come un capolavoro di ritrattistica, in grado di rivelare non solo le fattezze del futuro papa Urbano VIII, ma anche la profondità intellettuale e l’ambizione politica che avrebbero caratterizzato la sua figura. L’esposizione, intitolata “Caravaggio. Il ritratto svelato“, curata da Thomas Clement Salomon e Paola Nicita, si pone l’obiettivo di mettere in luce un’opera fino ad oggi nota esclusivamente agli studiosi. La mostra è il frutto di anni di delicate trattative con il proprietario dell’opera, che fino a oggi non aveva mai acconsentito a far uscire il dipinto dal caveau in cui era custodito. Questo prestito, definito “storico” dai promotori dell’iniziativa, segna un momento fondamentale per la riscoperta dell’opera ritrattistica di Caravaggio, un aspetto spesso trascurato in favore delle sue celebri tele religiose. Il percorso del dipinto è avvolto nel mistero, essendo riemerso improvvisamente a Roma privo di una documentazione chiara riguardante il suo percorso collezionistico. Secondo Longhi, il quadro fece parte della collezione della famiglia Barberini per secoli, prima di essere disperso negli anni Trenta, durante una delle frequenti vendite delle proprietà nobiliari, dovute alle difficoltà economiche del periodo. Una recente pubblicazione della corrispondenza tra Longhi e Giuliano Briganti, risalente al 2021, ha gettato ulteriore luce sulla storia del dipinto: fu infatti Briganti a individuare il ritratto e a cederne a Longhi il diritto di pubblicazione. In una lettera del 2 luglio 1963, Longhi riconosceva il contributo di Briganti, ma alla fine pubblicò il dipinto senza menzionare il collega, concentrandosi piuttosto sul restauro eseguito da Alfredo De Sanctis. Si conosce l’esistenza di un secondo ritratto di Maffeo Barberini, conservato in una collezione privata di una nobile famiglia fiorentina e attribuito solo di recente a Caravaggio. Questo secondo ritratto, precedentemente considerato opera di Scipione Pulzone, continua a suscitare dibattiti tra gli studiosi, mentre l’attribuzione dell’opera esposta a Roma ha trovato consenso unanime tra i principali esperti di Caravaggio, tra cui Gianni Papi, Alessandro Zuccari, Keith Christiansen, Sebastian Schütze, Francesca Cappelletti e Rossella Vodret. L’importanza del “Ritratto di Maffeo Barberini” non si limita al suo valore iconografico, ma risiede anche nel suo ruolo nella produzione ritrattistica di Caravaggio. Longhi lo descrisse come una chiave di volta per la comprensione dell’opera del maestro, rivelando il potere dell’artista di cogliere la complessità psicologica del soggetto. Caravaggio affronta il tema del potere con la stessa intensità e realismo che caratterizzano i suoi dipinti religiosi. Il volto di Barberini è scolpito dalla luce caravaggesca, che sottolinea i lineamenti fieri e determinati del futuro papa. Questa luce, che nei dipinti religiosi di Caravaggio illumina i martiri e i santi, qui si posa su un uomo del potere terreno, rivelandone il carisma e la forza interiore. Maffeo Barberini, che sarebbe divenuto papa Urbano VIII, fu una figura di grande rilievo nella Roma barocca, promotore di importanti trasformazioni artistiche e architettoniche nella città. Nel ritratto di Caravaggio, Barberini appare in abito clericale scuro, immerso in uno sfondo essenziale che mette in risalto la forza espressiva del suo volto. Caravaggio, con il suo straordinario talento per la resa psicologica dei personaggi, riesce a far emergere non solo la fisicità del soggetto, ma anche l’intelligenza e l’ambizione che lo caratterizzavano.  Le Gallerie Nazionali di Arte Antica hanno inoltre deciso di arricchire l’esposizione con un ciclo di conferenze e incontri dedicati alla figura di Maffeo Barberini e al contesto storico dell’opera, offrendo così al pubblico l’occasione di riflettere sul rapporto tra arte e potere nella Roma del Seicento. Non è solo l’unicità del prestito a rendere questo evento eccezionale, ma anche la possibilità di riflettere sul ruolo delle collezioni private e sulla loro influenza nella storia dell’arte. Questo ritratto, rimasto celato al pubblico per decenni, viene oggi restituito alla comunità grazie alla disponibilità del collezionista, sollevando interrogativi sulla fruizione del patrimonio artistico e sull’equilibrio tra proprietà privata e bene comune, un tema che ha suscitato l’interesse di molti critici, tra cui lo stesso Longhi. La possibilità di mostrare un’opera di tale importanza al pubblico rappresenta un momento di crescita collettiva e di arricchimento culturale. L’evento costituisce, dunque, non solo una mostra, ma anche un’occasione di dialogo culturale e di riscoperta. La possibilità di ammirare un’opera così significativa offre un’opportunità unica di approfondire la conoscenza dell’arte di Caravaggio attraverso la lente della sua produzione ritrattistica, un aspetto spesso oscurato dalle sue opere più drammatiche e celebri. Il “Ritratto di monsignor Maffeo Barberini” consente di esplorare la capacità di Caravaggio di immortalare la complessità dell’animo umano, di rappresentare il potere e l’ambizione, e di farlo attraverso l’uso magistrale della luce e dell’ombra, cifra inconfondibile del suo stile. L’esposizione anticipa, infine, una grande mostra dedicata a Caravaggio che si terrà al museo romano a partire da marzo 2025, consolidando ulteriormente il ruolo delle Gallerie Nazionali di Arte Antica come centro di riferimento per lo studio e la divulgazione dell’opera del maestro lombardo.

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Milano, Teatro Menotti: “Shakespeare/ Poemetti. Venere e Adone / Lo stupro di Lucrezia”

gbopera - Ven, 22/11/2024 - 09:46

Milano, Teatro Menotti, Stagione 2024/25
“SHAKESPEARE / POEMETTI. Venere e Adone / Lo stupro di Lucrezia”
di e con Valter Malosti
Progetto sonoro e live electronics Gup Alcaro
Traduzione, adattamento e ricerca musicale Valter Malosti
Produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale in collaborazione con TPE – Teatro Piemonte Europa, Teatro di Dioniso
Milano, 19 novembre 2024
L’operazione di traduzione e di interpretazione che da circa quindici anni Valter Malosti sta compiendo sui due principali poemetti di Shakespeare – “Venere e Adone” e “Il ratto di Lucrezia” – è tra le più preziose della drammaturgia italiana contemporanea, e ha di recente ottenuto la sua consacrazione con la pubblicazione nella collana di poesia di Einaudi. È un privilegio poter assistere a una live performance di queste traduzioni, che non conoscono una natura fissa, ma negli anni si rigenerano proprio nel momento della parola proferita, della tradizione orale: questi testi senza tempo (che rappresentano il momento più alto della produzione lirica del Bardo) diventano dei veri e propri ipertesti in scena, grazie al lavoro di incessante curatela che Malosti pone alla phonè in tutti i suoi aspetti – intonazione, emissione, proiezione, fraseggio. Sebbene sul piano scenico lo spettacolo sia inesistente – si tratta di una lettura – l’interpretazione si trasforma in rapsodia, tessitura vocale e intreccio con la seconda grande protagonista della performance, la musica, che viene costruita dal vivo da Gup Alcaro sul testo scespiriano e sull’interpretazione di Malosti: a sua volta, tutto questo background sonoro prevede rumori, voci, suoni elettronici, frammenti di musica barocca, suoni ambientali, un vero universo che si scontra, si amalgama e rimodella sulla parola, e a sua volta conferisce nuove forme, nuove evocazioni al testo stesso. In alcuni punti la fusione è così perfetta da indurre quasi stati alterati, visualizzazioni, esperienze metafisiche – e a questa fruizione quasi mistica partecipa senza dubbio il testo in quanto tale, la dizione di Shakespeare: le sue strutture funamboliche, il suo manierismo spinto e tentacolare, che si nutre di similitudini, di subordinazione vertiginosa e di immagini di inesprimibile nitore. Anche l’ordine nel quale vengono letti è importante: “Venere e Adone” ha un’andamento più teatrale, è un soggetto su cui facilmente il barocco può avvilupparsi (pensiamo al nostrano poemetto di Marino, “L’Adone”, del 1623), ma presenta una materia poetica facilmente riconducibile ancora a un canone rinascimentale; “Venere e Adone” è una sublime ubriacatura iniziale, un’implacabile elegia del piacere, che lascia spazio, tuttavia, dopo l’intervallo, a quel gioiello d’originalità del “Ratto di Lucrezia”, ove un gusto veramente barocco – nel senso di inusitato, eccentrico, fascinosamente orrendo – pervade una romanità assolutamente incredibile nel suo rigore cerimonioso. “Il ratto di Lucrezia” è una sorta di studio su personaggi, un’iperbole introspettiva che si nutre di concordanze e rispecchiamenti, e nel quale ci perdiamo: d’un tratto ci troviamo a godere di una violenza carnale, e non sappiamo da dove venga questo piacere, se dal testo così perfettamente architettato, dall’interpretazione congeniata a regola d’arte o dall’animale che ci portiamo dentro – in ogni caso, siamo sconvolti e travolti dalla bellezza di una simile oscenità, come probabilmente non ci saremmo potuti aspettare prima. Nell’ascoltare e nel figurare, noi siamo Tarquinio e la povera Lucrezia allo stesso tempo, giustifichiamo l’uno come bramiamo l’altra, disprezziamo il primo per poter preservare la seconda. E anche nello scrivere queste poche frasi sconnesse ci accorgiamo che, in realtà, non si riesce a esprimere davvero questa interiore battaglia tra Bene e Male, tra Basso e Alto, tra Terreno e Divino, che avviene in noi man mano che Malosti e Alcaro sgranano la loro performance come un rosario, o meglio come una parata dell’umano, possibile e impossibile. Bisogna andare a vederli, per capire. Vi auguriamo di farlo, fino a domenica al Teatro Menotti di Milano, il 29 e il 30 novembre al Teatro Storchi a Modena. Foto Laila Pozzo e Tommaso La Pera

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