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27° Festival organistico internazionale “Armonie sacre percorrendo le terre di Liguria” dal 22 agosto al 7 settembre 2025

gbopera - Gio, 21/08/2025 - 14:49

Nove concerti per il 27° Festival organistico internazionale “Armonie sacre percorrendo le terre di Liguria”, in programma dal 22 agosto al 7 settembre 2025 a Rapallo, Ventimiglia, Santa Margherita, Monterosso, Loano e Sestri Levante, località dove rinnova l’impegno nella valorizzazione del patrimonio organario e spirituale del territorio ligure, proponendo un cartellone ricco di appuntamenti che coniugano tradizione, ricerca e apertura ai linguaggi del presente. Il Festival è organizzato dall’Associazione Rapallo Musica ETS con la direzione artistica di Fabio Macera e Filippo Torre, è realizzato con il patrocinio e il contributo di Ministero della Cultura, Regione Liguria, dei Comuni sedi della manifestazione, sotto l’alto patrocinio del Parlamento Europeo e con il patrocinio di Rai Liguria. Fondazione Compagnia di San Paolo è il maggior sostenitore.
Tra gli ospiti più attesi del Festival figura il concertista francese Thomas Ospital, che si esibirà venerdì 29 agosto nella Basilica dei SS. Gervasio e Protasio di Rapallo, dove concluderà la sua esibizione con un’improvvisazione su temi dati, un tipo di esecuzione da sempre nella tradizione della scuola organistica transalpina.
Il concerto di Ospital fa parte sia del filone “Nuovi Percorsi” che della sezione “Spazio Giovani”. “Nuovi percorsi” si conferma spazio privilegiato per lo sviluppo della creatività contemporanea e il rinnovamento dei linguaggi performativi. Parallelamente, il festival prosegue il suo investimento nella crescita delle nuove generazioni di musicisti, con “Spazio Giovani”, sezione dedicata agli artisti under 35.
Per la prima volta il festival propone un concerto per organo e ensemble di soli ottoni. Venerdì 22 agosto nella Basilica dei SS. Gervasio e Protasio di Rapallo, ne sono protagonisti l’Ensemble di ottoni dell’Orchestra Rapallo Musica e Gabriele Agrimonti, organista italiano emergente che si è distinto in campo internazionale nell’interpretazione della musica romantica, sinfonica e contemporanea, nonché nell’improvvisazione, quest’ultima specialità sviluppata grazie alla formazione al Conservatorio di Parigi. Anche questo concerto fa parte di “Nuovi Percorsi” e dello “Spazio Giovani”.
Il Festival si conclude domenica 7 settembre nella Basilica di S. Maria di Nazareth, a Sestri Levante, con il concerto dell’organista Tomas Gavazzi (Nuovi Percorsi e Spazio Giovani). Qui per tutte le informazioni. In allegato, il Calendario generale del Festival. Calendario_Festival_2025

Allegati
Categorie: Musica corale

Pesaro, Rossini Opera Festival: “Zelmira”

gbopera - Gio, 21/08/2025 - 00:46

Pesaro, Auditorium Scavolini, Rossini Opera Festival 2025, XLVI Edizione
“ZELMIRA”
Dramma per musica in due atti su libretto di Andrea Leone Tottola
Musica di Gioachino Rossini
Polidoro MARKO MIMICA
Zelmira ANASTASIA BARTOLI
Ilo LAWRENCE BROWNLEE
Antenore ENEA SCALA
Emma MARINA VIOTTI
Leucippo GIANLUCA MARGHERI
Eacide PAOLO NEVI
Gran Sacerdote SHI ZONG
Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Giacomo Sagripanti
Coro del Teatro “Ventidio Basso” di Ascoli Piceno
Maestro del Coro Pasquale Veleno
Regia Calixto Bieito
Scene Calixto Bieito, Barbora Horáková
Costumi Ingo Krügler
Luci Michael Bauer
Pesaro, 19 agosto 2025, nuova produzione

«Di Argo lo sguardo | abbia ciascun», esorta astutamente Antenore all’inizio di Zelmira; e parrebbe spronare gli spettatori del Rossini Opera Festival a un’attenzione cui nulla sfuggisse, come ai cento occhi del mostro mitologico, per apprezzare un allestimento innovativo, brillante, violento, capace di soggiogare il pubblico dal primo all’ultimo minuto dell’esecuzione. L’arengo di un ex palazzetto dello sport si trasforma in un grandissimo palcoscenico rettangolare, nel cui mezzo è incassata la fossa orchestrale; ai bordi cantanti, mimi e coristi sfilano per ridare vita all’ultima partitura napoletana di Rossini; il pubblico è seduto sulle gradinate tutt’attorno, a 360 gradi; non c’è sipario, non ci sono scene in elevato né altri piani praticabili. Il tutto può sembrare, più che la chiusura di un ciclo, l’inizio di una nuova fase del festival, in cui sfruttare le molteplici potenzialità del rinnovato (ma sempre alquanto disagevole) Auditorium Scavolini. Anche il fatto che la produzione sia stata affidata a un direttore esperto come Giacomo Sagripanti, ad alcuni cantanti ormai capisaldi del ROF, ma allo stesso tempo a un regista di fama internazionale debuttante a Pesaro, come Calixto Bieito, fa pensare a un progetto di “rinnovamento della tradizione”, che poi era anche la suprema ambizione musicale di Rossini nell’intonare il libretto di Zelmira. L’esperimento funziona? Apparentemente sì, a giudicare dall’unanime furore di applausi e apprezzamenti rivolti a tutti gli interpreti. Sul piano musicale, infatti, l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna diretta da Sagripanti regala continuamente bouquet di colori, nuances e brillantezza. Non si tratta mai di manierismo, comunque, ma di ricerca timbrica applicata ai moduli ritmici che danno l’abbrivio al terremoto musicale. La compagnia vocale è ottima, ma le singole prestazioni sono tutte soggette a due fattori: uno spaziale, perché i solisti si trovano al centro dell’Auditorium e, qualunque sia la loro postura, cantano sempre di spalle per metà del pubblico; l’altro è interpretativo, richiesto dal regista per corroborare la sua visione di Zelmira come dramma di infatuazione bestiale per il potere e la supremazia da parte dei due antagonisti, Antenore e Leucippo, non a caso rappresentati come amanti. Nel ruolo della protagonista si destreggia un’Anastasia Bartoli molto vigorosa nella linea di canto, nell’emissione e nel porgere. Tecnicamente molto buona, riesce anche a commuovere per l’intensità di «Perché mi guardi, e piangi», rivolgendosi al figlio accompagnata dal corno inglese e dall’arpa. Eppure, la sua parte è come sacrificata da una regia che non le rende giustizia protagonistica. Nella costruzione di Bieito, infatti, si assegna un’evoluzione interiore a tutti gli altri caratteri (persino a Emma; persino al cadavere di Azorre, che sgambetta imperterrito nel corso di tutta l’esecuzione), tranne che a quello principale. Enea Scala, come Antenore, giunge certamente a un altro livello (apicale) della sua carriera di tenore rossiniano, considerata l’estrema difficoltà della parte. Dopo Ermione del 2024, questa Zelmira è un ulteriore avvicinamento alla vocalità baritenorile di Andrea Nozzari, per cui Rossini aveva scritto il ruolo. In alcuni momenti Scala dà sfogo a una certa sprezzatura, che libera emissioni stridule e violente, oltre a far uso del portamento; forse è una scelta stilistica funzionale all’interpretazione del feroce personaggio, ma in Rossini rischia di apparire fuori luogo. Il cantante più apprezzato della recita è un altro tenore, colui che reinterpreta la vocalità contraltina di Giovanni David, ossia Lawrence Brownlee, un Ilo dall’emissione smagliante e dalle agilità prodigiose; la sgranatura delle note e dei gruppetti, unitamente alla perfetta dizione del testo italiano, rendono la sua prova memorabile. A due comprimari molto buoni, il mezzosoprano Marina Viotti, debuttante al ROF come Emma, e il terzo tenore Paolo Nevi come Eacide, si affiancano altri due dalla prestazione poco felice, il basso Marko Mimica (un Polidoro con difficoltà di copertura del suono e di intonazione) e il basso-baritono Gianluca Margheri (un Leucippo dalla vocalità inadeguata). Il Coro del Teatro Ventidio Basso, sballottato ai quattro venti e costretto a cantare spesso sulle ripide scale delle tribune, non ha offerto una prestazione secondo lo standard a cui il pubblico del ROF è abituato: altra conseguenza di un progetto scenico originale, azzardato, farraginoso e sicuramente oltremodo costoso (la quantità di posti vuoti è segnale preoccupante per il futuro). Bieito vuole raccontare la storia e dimostrare di aver studiato il libretto di Tottola (incredibile dictu!); poi però vuole anche strafare e commette altro errore abnorme. L’unico elemento di giustizia redentrice dell’impianto registico, infatti, non è affidato a Zelmira, bensì al morto Azorre, un mimo tanto abile quanto fastidioso, perché distrae il pubblico e fa rumore (anche durante le agilità della cavatina di Ilo-Brownlee; e questo mai sarà perdonato). Presunta nemesi dell’assassinio, nella regia di Bieito questo fantoccio peripatetico è il garante del ristabilirsi della pace (nel II atto porta in scena un alberello di ulivo), ma il messaggio è completamente sbagliato: chi legge tra le righe del libretto di Tottola o chi si documenta sulla fonte francese (o semplicemente sull’antefatto dell’opera rossiniana) scopre che Azorre, signore di Mitilene, ha occupato Lesbo con la forza, usurpando il trono di Polidoro; egli è dunque un tiranno, ucciso da altri pretendenti alla tirannide: una catena di soverchiatori distrutti dalla loro stessa protervia e che non meritano tanta attenzione. Dramma politico a lieto fine, Zelmira è uno specchio delle vicissitudini dello Stato e della legittimità costituzionale, ovviamente in termini di conservazione, ma ristabilita per mezzo della pietas filiale. Certo, la sadica violenza di un tiranno è teatralmente più redditizia, soprattutto se ammicca al grottesco ed è pornograficamente esibita.   Foto © Amati Bacciardi

Categorie: Musica corale

Fano, Chiesa di San Francesco: Wunderkammer “Les nuits d’été”, l’Ensemble Orfeo Futuro in concerto tra barocco ed elettronica su testi di Pasolini e Calvino, sabato 23 agosto 2025

gbopera - Mer, 20/08/2025 - 21:20

Tornano ad illuminare il cielo di Fano le notti d’estate della WKO Wunderkammer Orchestra Etssabato 23 agosto alle ore 21:30 c’è un nuovo appuntamento con Les nuits d’été, la rassegna musicale nella Chiesa di S. Francesco in collaborazione con il Comune di Fano – Assessorato alla Cultura e Beni culturali – Biblioteche. Il programma gode del sostegno di Sistemi Klein, Morfeus, Riviera Banca, Roberto Valli Pianoforti, Giardino di Santa Maria.
Tra i più affascinanti tesori d’arte della città marchigiana, luogo di storia e incanto dall’acustica perfetta, il monumento a cielo aperto accoglie l’Ensemble Orfeo Futuro, gruppo a geometria variabile che riunisce dal 2010 musicisti italiani e non, specialisti nelle prassi esecutive su strumenti storici, con all’attivo la partecipazione ai più importanti festival nazionali ed internazionali del settore. Sul palco Nunzia Antonino voce recitante, Luciana Elizondo voce e viola da gamba, Gioacchino De Padova viola da gamba, Gabriele Natilla tiorba, Gianvincenzo Cresta all’elettronica.
In programma, lo spettacolo Le Voci Umane – un’evocazione di parola e suonointreccio di musica antica, elettronica e parola, per dare nuova voce a due giganti della cultura italiana: Pier Paolo Pasolini e Italo Calvino. Il recital è nato per la spinta di una consapevolezza, quella dell’assenza delle voci, bellissime e severe, di due grandi intellettuali del secolo scorso di cui ricorrono i 50 anni della scomparsa. L’Ensemble Orfeo Futuro immagina di evocarne le figure con un intreccio tra alcune loro parole e il suono di una musica lontana nel tempo ma vicina nel carattere, dal Cinquecento ai nostri giorni, con brani di Arcangelo Corelli, Tobias Hume, Marin Marais, Carl Friedrich Abel, Robert De Visée. Accanto a questo, come ulteriore elemento dialettico, si snoda il percorso sonoro disegnato da Gianvincenzo Cresta con le sue musiche elettroniche. Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Roma, Parco Archeologico dell’Appia Antica: “L’Appia Antica, una via di pietra e di memoria”

gbopera - Mer, 20/08/2025 - 10:43

Roma, Parco Archeologico dell’Appia Antica
L’APPIA ANTICA, UNA VIA DI PIETRA E DI MEMORIA
Roma, 20 agosto 2025
Percorrere l’Appia Antica significa penetrare in un paesaggio che non appartiene soltanto al passato, ma che si offre come un organismo vivo, stratificato, in cui le pietre parlano, gli alberi custodiscono segreti e la luce romana trasforma ogni rovina in epifania. Il Parco Archeologico dell’Appia Antica, istituito nel 2016 come ente autonomo del Ministero della Cultura, rappresenta oggi una delle più potenti incarnazioni del concetto di “museo diffuso”: un territorio che si estende dalle Mura Aureliane fino a Frattocchie, per tredici miglia di tracciato, riconosciuto dall’UNESCO nel 2024 come patrimonio dell’umanità. Qui la celebre Regina Viarum non è soltanto un itinerario archeologico, ma un paesaggio di memoria che coniuga storia, natura e spiritualità. Fin dall’Ottocento la via fu percepita come un monumento collettivo. Papa Pio IX ne affidò a Luigi Canina la sistemazione, immaginandola come una passeggiata archeologica: lungo il tracciato furono eretti i muri a secco per delimitare le aree di rispetto, e vennero piantati i pini marittimi che ancora oggi, con la loro verticalità romantica, scandiscono il ritmo del cammino. Quelle file di alberi, così amate da pittori, poeti e viaggiatori, divennero parte integrante dell’immaginario visivo della Roma ottocentesca. Ma la modernità rischiò più volte di cancellare quel sogno: negli anni Sessanta il cemento minacciava di inghiottire ogni cosa, e fu grazie alla battaglia civile di Antonio Cederna e di Italia Nostra che la via fu salvata e restituita ai cittadini. Camminare oggi sull’Appia significa attraversare una sequenza ininterrotta di monumenti che raccontano la potenza e la fragilità di Roma. Il Mausoleo di Cecilia Metella, trasformato nel Medioevo in Castrum Caetani, si staglia come una sentinella di pietra, esempio di come le memorie antiche siano state continuamente rilette, riutilizzate, trasformate. Più avanti, la Villa dei Quintili, con le sue terme e le sue imponenti arcate, narra la storia di un lusso tragicamente interrotto dalla confisca imperiale. Le rovine diventano qui non solo testimonianza, ma racconto drammatico di destini individuali e collettivi. Accanto ai grandi complessi, il Parco custodisce tesori più intimi: il Ninfeo di Egeria, con la sua raffinatezza di marmi policromi e la magia di un’acqua che sembra ancora sgorgare dalla roccia; la Valle della Caffarella, con i suoi campi, le pecore al pascolo e i resti di mulini medievali, quasi un paesaggio arcadico sospeso tra mito e realtà; gli acquedotti Claudio e Anio Novus, con le loro arcate possenti, che evocano la sapienza ingegneristica e la capacità di Roma di trasformare il paesaggio in infrastruttura vitale. L’Appia non è soltanto archeologia: è paesaggio, ed è anche laboratorio culturale. Negli ultimi anni il Parco ha intrapreso una intensa attività espositiva, che ha trasformato i suoi casali storici in luoghi di dialogo tra antico e contemporaneo. Mostre come L’Appia è moderna, Via Appia. La strada che ci ha insegnato a viaggiare o l’attuale Agorà – Scienza e matematica dal Mediterraneo antico mostrano come la via non sia un fossile, ma una trama di senso capace di parlare al presente. La fotografia, l’arte contemporanea, la divulgazione scientifica diventano strumenti per riscoprire l’antico in chiave attuale, restituendo al pubblico non solo conoscenza, ma esperienza. In questa prospettiva il Parco si configura come un modello: unisce la cura filologica del bene archeologico all’apertura verso la città, accogliendo iniziative musicali, teatrali, didattiche. Capo di Bove, con le sue mostre e i suoi concerti estivi, è ormai un presidio di cultura condivisa; la rivista scientifica Archeologi& e i progetti educativi come AppiaPlay rafforzano il dialogo con il mondo accademico e con le nuove generazioni. L’innovazione passa anche attraverso il digitale, con il MUVI Appia, museo virtuale che permette di esplorare in maniera immersiva il paesaggio storico, abbattendo confini e rendendo accessibile a tutti la profondità del sito. Ma la forza del Parco Archeologico dell’Appia Antica sta soprattutto nella sua capacità di evocazione. Ogni pietra è al tempo stesso frammento e simbolo, residuo materiale e metafora. Il viaggiatore che si inoltra lungo il basolato non guarda soltanto i ruderi: ascolta le voci che da quei ruderi provengono, le stratificazioni di usi, riti, memorie. Qui la classicità non è un oggetto morto, ma un compagno di viaggio. Ogni mausoleo racconta l’orgoglio e l’ansia di immortalità di chi lo fece erigere; ogni villa ricorda l’illusione di eternità del potere imperiale; ogni rovina medievale testimonia l’instancabile capacità di Roma di rinascere dalle proprie rovine. Il Parco è dunque un organismo complesso, in cui si intrecciano tutela, ricerca, educazione e vita civile. Non è un recinto chiuso, ma un paesaggio attraversabile, in cui il cittadino romano e il viaggiatore straniero diventano parte integrante del racconto. È un esempio di come la storia possa essere vissuta non come eredità polverosa, ma come risorsa per il presente. Ed è anche un invito alla responsabilità: le battaglie civili del passato ci ricordano che nulla è garantito per sempre, che ogni paesaggio, per quanto magnifico, può essere distrutto dall’incuria o dall’interesse privato. Per questo camminare sull’Appia significa assumersi un compito: essere custodi di un bene comune che appartiene al mondo intero. La via che univa Roma a Brindisi, porta d’Oriente, oggi unisce passato e futuro, archeologia e natura, cultura e società. È una via di pietra, ma anche di memoria e di speranza. Chi la percorre con attenzione comprende che non si tratta di un semplice itinerario turistico, ma di un’esperienza formativa: la consapevolezza che la storia non è mai dietro di noi, ma continuamente davanti ai nostri occhi, pronta a insegnarci ancora a viaggiare.

Categorie: Musica corale

Ferdinand Ries (1784-1838): “Quartets for flute & strings”

gbopera - Mar, 19/08/2025 - 07:37

Ferdinand Ries 1784-1838: Quartet in C Op.145 No.1; Quartet in E minor Op.145 No.2; Quartet in A Op.145 No.3 (CD 1)
Quartet in D minor WoO35 No.1; Quartet in G WoO35 No.2; Quartet in A minor WoO35 No.3 (CD2). Ginevra Petrucci (flauto). Trio David. Gloria Santarelli (violino). Chiara Mazzocchi (viola). Tommaso Castellano (violoncello). Registrazione: 26-29 ottobre 2023 e 12-14 marzo 2024, Beth Recording Studio, Roma, Italia. T. Time: 65’11″ (CD1) e 69’45″ (CD2). 2 CD Brilliant Classics 97150
Allievo e amico di Beethoven, del quale eseguì il Concerto per pianoforte in do  minore in occasione del suo debutto nel mese di luglio del 1804, Ferdinand Ries fu anche autore di una discreta produzione musicale, all’interno della quale sono degni di essere menzionati 30 lavori per flauto, la maggior parte dei quali fu composta nel decennio che va dal 1814 al 1824, periodo nel quale il compositore si era stabilito a Londra. In quegli anni nella capitale inglese, il flauto era diventato  estremamente popolare grazie a eminenti virtuosi come Charles Nicholson (1795-1837) e Louis Drouet (1792-1873) che avevano fatto il loro debutto presso la Philharmonic Society il 25 marzo 1816 e naturalmente alimentavano la domanda di nuove composizioni  destinate a questo strumento.  Al periodo londinese risalgono i tre quartetti dell’op. 145 che costituiscono il programma del primo dei due CD di questa proposta discografica della Brilliant Classics. Composti, infatti, tra il 1814 e il 1825 ma pubblicati nel 1826, questi quartetti riportano, però, nel frontespizio il nome di Charles Aders, un uomo d’affari londinese, grande amico di Ries e flautista dilettante. Scritti per un organico, costituito da un flauto, da un violino, da una viola e da un violoncello, questi lavori rivelano una certa invenzione melodica e una solida struttura formale, evidente soprattutto nei movimenti esterni ascrivibili, in genere, alla forma-sonata. In generale, il flauto ha un ruolo preminente con spunti virtuosistici, anche se gli altri strumenti non gli sono del tutto subordinati dal momento che ad essi sono affidati degli episodi concertanti. Slegati dall’ambiente londinese, sono gli altri tre quartetti che costituiscono il programma del secondo dei due CD e che furono composti dopo che Ries era ritornato in Germania probabilmente per Anton Bernhard Fürstenau, il famoso flautista dell’Orchestra di Dresda, che fu probabilmente anche amico di Carl-Maria von Weber. In questi lavori la scrittura contrappuntistica si fa più serrata attraverso passi di natura imitativa. Queste pagine sono molto ben eseguite da Ginevra Petrucci (flauto) e dal Trio David, composto da Gloria Santarelli (violino), da Chiara Mazzocchi (viola) e da Tommaso Castellano (violoncello). Tutti gli artisti sfoggiano una solida tecnica nei passi più impegnativi e una certa sensibilità espressiva evidente soprattutto nei movimenti lenti. Inoltre, molto curato è l’insieme sia nei passi in cui gli archi accompagnano il flauto sia nei momenti concertanti dove emergono con chiarezza le singole voci.

Categorie: Musica corale

Bolzano Festival Bozen: Gustav Mahler Jugendorchester e Renaud Capuçon sotto la bacchetta di Manfred Honeck

gbopera - Lun, 18/08/2025 - 20:18

Le due date per ascoltare la Gustav Mahler Jugendorchester diretta da Manfred Honeck sono martedì 19 alle ore 20:30 e venerdì 22 alle ore 20:30. In entrambi gli appuntamenti il solista è il celebre violinista Renaud Capuçon.
Il programma di martedì 19 comprende il Concerto n. 3 per violino di Wolfgang Amadeus Mozart e la Nona Sinfonia in re minore, l’ultimo capolavoro sinfonico di Anton Bruckner.
Il programma di venerdì 22 si apre con il Concerto per violino di Erich Wolfgang Korngold, uno dei pilastri del repertorio violinistico del XX secolo, seguito dalla Sinfonia n. 5 di Pëtr Il’ič Čajkovskij, tra le pagine più amate del compositore russo.
In entrambi i concerti al Teatro Comunale, la Gustav Mahler Jugendorchester, in questo ormai 39° anno di residenza a Bolzano, punta ancora una volta sull’accoppiata direttore-solista composta da due protagonisti di assoluto rilievo della scena musicale classica europea: la bacchetta Manfred Honeck e il violinista Renaud Capuçon. Pur essendo una presenza di lunga data del Festival, il rapporto tra il direttore austriaco e la GMJO è ancora più antico: all’inizio della sua carriera, infatti, è stato assistente di Claudio Abbado presso l’orchestra giovanile e come tale è stato ospite a Bolzano in svariate occasioni.
Renaud Capuçon può senza dubbio essere considerato uno dei grandi virtuosi del violino del nostro tempo e in queste due date torna alle sue origini: nel 1997, infatti, fu scelto da Claudio Abbado come primo violino della Gustav Mahler Jugendorchester.
Il Prof. Giacomo Fornari terrà l’introduzione al concerto alle ore 19.00 nel foyer al primo piano del Teatro Comunale. La partecipazione all’introduzione è gratuita.
Qui per tutte le informazioni. Foto Luca Guadagnini / Bolzano Festival Bozen 2021

Categorie: Musica corale

102° Arena di Verona Opera Festival 2025: “Carmina Burana”

gbopera - Lun, 18/08/2025 - 13:15

102° Arena di Verona Opera Festival 2025
Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona
Voci bianche A.LI.VE. e A.d’A.Mus.
Direttore Andrea Battistoni
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Voci bianche dirette da Paolo Facincani, Elisabetta Zucca
Soprano Erin Morley
Controtenore Raffaele Pe
Baritono Youngjun Park
Carl Orff: “Carmina burana” Cantiones profanae cantoribus et choris, comitantibus instrumentis atque imaginibus magicis.
Verona, 15 agosto 2025
La grande cantata scenica che dispiega un numero colossale di esecutori tra solisti, coro, coro di voci bianche e orchestra è tornata all’Arena per la quinta volta; nonostante la popolarità di cui gode è apparsa infatti nell’anfiteatro veronese solo undici anni fa. Orff la compose tra il 1935 e il 1936 con il titolo Carmina Burana: Cantiones profanae cantoribus et choris, comitantibus instrumentis atque imaginibus magicis”, strutturandola su 24 componimenti poetici scelti tra la raccolta medioevale rinvenuta nel 1803 presso il monastero di Benediktbeuern, in Alta Baviera, dove era conservato il Codex Buranus. Si tratta di componimenti scritti dai goliardi e dai clerici vagantes, studenti che nel Basso Medioevo si spostavano per l’Europa. Il musicista si appassionò subito, affascinato dalla varietà degli argomenti trattati scegliendo poesie prevalentemente in latino ma anche in provenzale e alto tedesco: dovette lavorare in un ambito culturale ostile poiché il repertorio medioevale era pressoché sconosciuto tanto nella Germania nazista quanto nella comunità musicale. Il  regime era attentissimo ad ogni nuova forma introdotta nei repertori concertistici, timoroso di vedere indebolita la potenza del Reich che utilizzava anche la musica come strumento di propaganda. I Carmina Burana attraevano Orff ma irritavano non poco il regime di Hitler per il contenuto erotico ed allusivo, licenzioso ed anticlericale di alcuni canti i quali richiedono un organico massiccio per esaltarne i colori, le melodie, le caratteristiche ritmiche e le sonorità strumentali tese a creare suggestioni sonore diversificate. Lo spettacolo, serata unica al 102° Festival, si è avvalso di un nuovo disegno luci, diversificate per ogni sezione musicale della cantata, ed ha visto la conferma sul podio del veronese Andrea Battistoni, direttore principale della Tokyo Philharmonic e direttore musicale del Teatro Regio di Torino, che torna al capolavoro di Orff dopo le edizioni del 2014 e del 2022. Battistoni si impone con autorevolezza dominando la complessa partitura anche nei frequenti passaggi ritmici asimmetrici e con bella varietà di colori e dinamiche, donando una direzione energica e pregnante: lodevole la prestazione dell’orchestra con le percussioni sugli scudi e perfettamente compatta in ogni sezione. Non da meno il coro, preparato da Roberto Gabbiani, che ha saputo caratterizzare i diversi interventi  mettendo in particolare evidenza le voci femminili. Il trio dei solisti, chiamati ad un impegno non indifferente con interventi vocali particolarmente insidiosi, annoverava il soprano statunitense Erin Morley (prossima Gilda in Rigoletto) che ha risolto l’abbandono alla sensualità carnale con adeguata dolcezza di emissione, timbro luminoso e sicura tenuta di suono. Di particolare difficoltà la voce intermedia del trio vocale, per la quale occorre un tenore falsettista o un controtenore a voce piena: la tessitura è particolarmente acuta ma ha trovato in Raffaele Pe (già debuttante in questo ruolo nel 2014), un interprete dotato di vocalità morbida e mai invasiva, capace di proporre con elegante e garbata ironia l’ultimo canto del cigno in Olim lacus colueram. Il baritono Youngjun Park, ormai presenza stabile a Verona, è qui chiamato ad un compito significativo quale cantore della vita nelle sue ricche sfumature che vanno dal risveglio lieto della primavera al richiamo del piacere sregolato dato dal gioco, il cibo ed il buon vino fino alla celebrazione dell’amore sensuale. Di vocalità sicura, perentoria ma con la possibilità di sfumature sonore morbide e delicate alle quali si aggiunge una straordinaria intensità di declamazione ed una linea di canto garbata, ha tuttavia scelto una linea interpretativa poco caleidoscopica smorzando la caratterizzazione vivace imposta dall’impostazione creativa di Orff. Da sottolineare, ancora una volta, l’eccellente apporto dei cori di voci bianche A.LI.VE. e A.Da.Mus. diretti rispettivamente da Paolo Facincani e Elisabetta Zucca, puntuali ed impeccabili nei loro interventi. Pubblico abbastanza numeroso ma lontano dal tutto esaurito, con applausi fuori tempo (che comunque non hanno disturbato l’esecuzione) fino all’ovazione finale con la concessione del bis, il celebre O fortuna che apre e chiude i Carmina Burana, a suggello di una serata musicalmente trionfale. Foto Ennevi per Fondazione Arena

Categorie: Musica corale

Le Cantate di Johann Sebastian Bach: nona Domenica dopo la Trinità

gbopera - Dom, 17/08/2025 - 08:33

“Tue Rechnung! Donnerwort” BWV 168 è la terza e ultima Cantata bachiana per la nona Domenica dopo la Trinità. Su testo di Solomo Franck, la partitura venne eseguita la prima volta il 28 luglio 1725 e si è supposto si tratti di un rimaneggiamento di un precedente lavoro. La Cantata si compone di 3 arie, 2 recitativi e un Corale conclusivo. Due sole le citazioni bibliche, peraltro appena adombrate. La prima è quella che apre la Cantata “Rendimi i conti!” parola che si ispira al Vangelo del giorno, la parabola dell’amministratore ingiusto, nel movimento d’apertura (forse il più interessante dal punto di vista musicale) affidato al basso solista (Nr.1). I due recitativi (Nr.2 e 4) dipingono un’immagine della vita come un prestito che deve essere restituito nel giorno del giudizio e il Signore è la migliore scommessa per la restituzione. Le restanti due arie (Nr.3 e 5) vedono la voce del tenore  in una pagina in triplo tempo in forma di trio sonata, oboe d’amore solista e continuo. La quinta è un’aria/duetto per soprano e contralto solista su una linea di basso in tempo di “Passacaglia” nel continuo. Tue Rechnung! Donnerwort si conclude con un’austera armonizzazione corale per coro e orchestra completa colla parte. 
Nr.1 – Aria (Basso)
Rendimi i conti! Parola folgorante,
che spacca a metà le rocce,
parola che mi gela il sangue!
Rendimi i conti! Andiamo, anima mia!
Ah, devi restituire a Dio
i suoi beni, il corpo e la vita.
Rendimi i conti! Parola folgorante!
Nr.2 – Recitativo (Tenore)
È solo un bene in prestito
tutto ciò che ho nella mia vita:
spirito, vita, coraggio e sangue,
lavoro e rango sono doni del mio Dio,
che sono stato affidati
alla mia custodia da alte mani
affinché li amministri lealmente.
Ma ahimè! rabbrividisco
quando guardo nella mia coscienza
e vedo i miei conti così pieni di errori!
Notte e giorno
i beni che Dio mi ha affidato
ho sperperato incoscientemente!
Come posso sfuggire a te, Dio giusto?
Imploro gemente:
montagne, cadete! Voi colline, nascondetemi
dal giudizio di Dio in collera
e dallo splendore del suo volto!
Nr.3 – Aria (Tenore)
Capitale e interessi,
i miei piccoli e grandi debiti
dovranno un giorno essere calcolati.
Tutto ciò di cui sono debitore
è registrato nel libro di Dio
come con l’acciaio e il diamante.
Nr.4 – Recitativo (Basso)
Eppure, cuore impaurito, vivi e non disperare!
Vai con serenità al giudizio!
Se in coscienza sei convinto
di dover restare in silenzio,
osserva il tuo garante
che cancella tutti i debiti!
È tutto pagato e completamente ripianato
ciò che restava a debito sul tuo conto, o uomo;
il sangue dell’Agnello, o grande amore,
ti ha cancellato il debito
e riconciliato con Dio.
È tutto pagato, non devi più niente!
Eppure,
poiché sai
di essere amministratore,
stai attento e non dimenticare
di usare Mammona con prudenza,
facendo del bene ai poveri,
così potrai, quando il tempo della vita finirà,
riposare sicuro nelle dimore celesti.
Nr.5 – Aria/Duetto (Soprano, Contralto)
Cuore, spezza le catene di Mammona,
mani, distribuite il bene!
Rendete soffice il mio letto di morte,
costruitemi una solida dimora
che resti per sempre in cielo,
quando i beni terreni torneranno in polvere.
Nr.6 – Corale
Rendimi forte con il tuo Spirito di gioia,
guariscimi con le tue ferite, 
lavami con il sudore della tua agonia
nella mia ultima ora;
e infine, quando ti piacerà,
nella vera fede prendimi dal mondo
per unirmi ai tuoi eletti.
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Tue Rechnung! Donnerwort” BWV 186

 

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Garda Festival 2025: si è conclusa la terza edizione, finale poetico con il pianista Leonardo Pierdomenico

gbopera - Sab, 16/08/2025 - 18:40

Finale poetico al luxury resort Le Ali del Frassino di Peschiera del Garda, con il pianista Leonardo Pierdomenico che ha eseguito un programma dedicato a Claude Debussy, sullo sfondo del suggestivo Laghetto del Frassino (Patrimonio UNESCO).
Si è conclusa con successo la terza edizione del Garda Festival – Lake Garda International Music, Dance and Cinema Festival, promosso dal Fondo Niccolò Piccinni sotto la direzione artistica di Maximilien Seren-Piccinni. Il prestigioso festival, che si consolida sempre più come uno degli appuntamenti più attesi nel calendario di eventi internazionali del territorio, è stato realizzato sotto l’Alto Patrocinio del Parlamento Europeo e i patrocini del Ministero della Cultura, della Regione Veneto e dell’Ambasciata d’Austria. La serata con il tenore Murat Karahan ha inoltre ricevuto il patrocinio dell’Ambasciata della Repubblica di Turchia a Roma.
«Con questa edizione abbiamo voluto proporre un vero viaggio di scoperta, attraverso l’arte e i luoghi, una narrazione culturale che, intrecciando tradizione e innovazione, mettesse al centro le emozioni dello spettatore» dichiara Maximilien Seren-Piccinni, Presidente del Fondo Niccolò Piccinni e Direttore Artistico del Festival «La risposta ricevuta ci conferma che il Garda Festival è diventato, per molti, un appuntamento atteso, un tempo e uno spazio in cui lasciarsi sorprendere dalla bellezza delle arti e dalla magia del nostro territorio. Ora guardiamo all’edizione 2026, con la consapevolezza di dover proseguire nel nostro percorso di crescita. Siamo pronti a dare vita a una nuova visione, che prevede la creazione di importanti poli culturali, strategicamente posizionati per concentrare e valorizzare al meglio i nostri spettacoli, con l’obiettivo di garantire al Garda Festival nuove opportunità di collaborazione e un futuro sempre più ricco e stimolante».

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Cisterna di Latina e Sermoneta, Fondazione Roffredo Caetani di Sermoneta : “Il castello Caetani ed il giardino di ninfa”

gbopera - Ven, 15/08/2025 - 20:00

Sermoneta, Castello Caetani
Cisterna di latina, Giardini di Ninfa
IL CASTELLO CAETANI ED I GIARDINI DI NINFA
Roma, 15 agosto 2025
Ci sono luoghi che non si visitano soltanto: si eredita la loro memoria. Il Castello Caetani di Sermoneta è uno di questi. Non è una fortezza immobile nel tempo, ma un organismo vivo che respira attraverso le sue pietre e le sue torri: il Maschio, alto quarantadue metri, e il Maschietto, più piccolo e tenace come un fratello minore, dominano il borgo medievale come due sentinelle che non hanno mai smesso di vegliare. Qui la storia non è un racconto neutrale: è un campo di battaglia, una sequenza di conquiste, perdite e ritorni. Nel 1297, Pietro Caetani, conte di Caserta, con l’intercessione dello zio Papa Bonifacio VIII, ottenne dai baroni Annibaldi il controllo di Sermoneta, Bassiano e San Donato per 140.000 fiorini d’oro. Per Ninfa, invece, ne pagò 200.000: una cifra che dice molto di più di qualsiasi cronaca, perché rivela che ciò che stava comprando non era solo terra, ma potere. Con quel gesto, i Caetani inaugurarono una signoria destinata a segnare il destino di queste terre per secoli. La rocca, già imponente, venne ampliata. La collegiata di San Pietro, dove erano custodite le spoglie della famiglia, fu inglobata nella Piazza d’Armi, e intorno al 1470 nacquero le Camere Pinte, decorate con affreschi mitologici e allegorici: immagini che parlano ancora oggi con un linguaggio che non conosce oblio, una sorta di manifesto politico tradotto in pittura. Ma il potere non è mai una linea retta. Nel 1499 Alessandro VI Borgia, con una bolla pontificia, scomunicò i Caetani e confiscò il castello. Fu un atto di forza che segnò l’ennesimo capitolo di una storia fatta di espropri e riscatti, di alleanze e tradimenti. Eppure, come spesso accade a chi ha radici profonde, i Caetani tornarono. Ripresero la rocca e ne fecero di nuovo il cuore pulsante della loro signoria. Ma il vero contrappunto alla severità del castello si trova poco lontano, dove la pietra cede il passo alla poesia: il Giardino di Ninfa. Non un semplice giardino, ma una città che la malaria aveva ucciso e che l’immaginazione dei Caetani ha trasformato in un sogno sospeso tra rovina e rinascita. “Il giardino più bello e romantico del mondo”, scrisse il New York Times. Ed è difficile dargli torto. Ninfa ebbe una storia tormentata. Acquistata dai Caetani nel 1298, fu a lungo contesa anche dai Borgia, ma alla fine del Trecento cominciò la sua lenta decadenza. Le paludi, la malaria e il progressivo abbandono la ridussero a una città fantasma. Eppure, alla fine dell’Ottocento, la famiglia tornò. Bonificò i terreni, strappò le piante infestanti, piantò cipressi, lecci, faggi e rose a centinaia. Fu un gesto di resistenza contro il tempo. Negli anni Trenta, Marguerite Chapin, moglie di Roffredo Caetani, e poi loro figlia Leila, completarono il miracolo: trasformarono Ninfa in un giardino in stile anglosassone, libero da qualsiasi rigidità geometrica, affidato a un solo principio: lasciare che la natura parlasse da sé. Oggi Ninfa è un mosaico di otto ettari e oltre 1.300 specie di piante: magnolie in diciannove varietà, iris acquatici che sfiorano i ruscelli, aceri giapponesi che tingono l’aria di rosso in autunno, ciliegi che in primavera disegnano cieli di petali. Tra ruderi di chiese, torri e campanili avvolti dall’edera, scorrono acque limpide che formano laghetti e riflessi. Qui, tra queste rovine, Virginia Woolf, Truman Capote, Ungaretti e Moravia hanno trovato parole e silenzi per scrivere. Perché Ninfa non è solo un giardino: è una lettera d’amore alla fragilità delle cose. Nel 1976 è stata istituita un’Oasi del WWF a tutela della flora e della fauna, ma la vera anima di questo luogo è la Fondazione Roffredo Caetani. È la Fondazione che custodisce il castello e il giardino, intrecciando storia e natura in un unico respiro. Qui la conservazione non è semplice restauro: è un atto di fedeltà verso il passato e di coraggio verso il futuro. Aprire Ninfa solo in poche giornate l’anno non è una privazione: è una promessa di protezione, perché ciò che è raro, qui, è anche ciò che si salva. Visitare il castello e Ninfa nello stesso giorno significa attraversare due facce dello stesso destino: la pietra e l’acqua, la forza e la resa, il potere e la poesia. Il borgo di Sermoneta, con le sue stradine che odorano di tempo, ti accompagna fino alle torri che furono testimoni di intrighi papali e assedi, e poi ti lascia discendere, come in una catabasi dolce, verso un giardino che sembra nato per guarire le ferite della storia. Quando esci, il silenzio è la sola cosa che puoi portare via. Ma è un silenzio pieno di voci: dei Caetani, dei poeti, dei giardinieri, di chi ha creduto che anche una città morta possa rifiorire. Perché in fondo, Ninfa e il Castello di Sermoneta ci insegnano la stessa cosa: che le radici non sono catene. Sono ancore.

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Marco Da Gagliano: Missa in Assumptione Beatae Mariae Virginis

gbopera - Ven, 15/08/2025 - 12:17

Fiori Musicali: Toccata avanti la Messa (Frescobaldi) –  Gaudeamus omnes – Kyrie – Gloria (Da Gagliano) –  Famulorum tuorum, quaesumus Domine – Canto Gregoriano-Epistula – Hodie Maria ad coelos ascendit (Da Gagliano) – Canto Gregoriano – Evangelium –  Credo – Ave Maria gratia plena (Da Gagliano) –   Vere dignum et Iustum est – Sanctus (Da Gagliano) – Toccata No. 4 (Frescobaldi) – Pater noster – Pax Domini – Agnus Dei – Quae est ista quae ascendit (Da Gagliano) Postcommunio – Ite missa est – Toccata quinta, “sopra i pedali, e senza” (Frescobaldi)
Ensemble Vocale e strumentale “L’Homme Arme”
Direttore Fabio Lombardo

www.gbopera.it · Missa in Assumptione Beatae Mariae Virginis

 

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Marc-Antoine Charpentier (1643-1704): “Missa Assumpta est Maria” (1699 circa)

gbopera - Ven, 15/08/2025 - 07:53

Marc-Antoine Charpentier (1643-1704): “Missa Assumpta Est Maria” H. 11; “Motet pour une longue offrande” H.434. Louise Champion (soprano). Nicolas de la Fortelle (soprano). David Tricou (contralto). Romain Champion (tenore). Nicolas Brooymans  (basso). Choeur Marguerite Louise. Maîtrise Marguerite Louise. Orchestre Marguerite Louise. Gaétan Jarry (direttore e organo). Registrazione: 11-13 marzo 2024 presso la Chapelle Royale du Château de Versailles. T. Time:  67′ 05″ 1 CD Chateau de Versailles CVS 150 – 2025
Come si apprende dai registri della Sainte-Chapelle di Parigi, il 28 giugno 1698, Marc-Antoine Charpentier divenne maître de musique des enfants (maestro di musica dei bambini) presso l’importante Cappella parigina, incarico che comportava per il compositore francese non solo la composizione di opere destinate alle cerimonie religiose, ma anche la formazione musicale dei bambini nel canto e nel solfeggio. Direttamente legata a questo incarico presso la Sainte-Chapelle è la composizione della Missa Assumpta est Maria e del Motet pour une longue offrande  che costituiscono il programma di questa proposta discografica dell’etichetta Chateau de Versailles. Fatta costruire da San Luigi IX come cappella palatina nel XIII per custodirvi le reliquie della Passione che aveva portato dalla Terra Santa dopo la crociata, la Sainte-Chapelle, con lo spostamento della monarchia al Louvre nel XIV sec., non perse la sua importanza, in quanto la vecchia residenza reale era divenuta sede del parlamento. Per tale ragione, la struttura organizzativa della Cappella, all’epoca in cui Charpentier vi lavorò, era rimasta sostanzialmente inalterata, dal momento che sotto la tutela di un tesoriere, si trovavano canonici, chierici e cappellani. Inoltre era attiva per le celebrazioni liturgiche che si tenevano in occasioni importanti come la riapertura del Parlamento, il 12 novembre quando veniva celebrata la “Messe Rouge”, chiamata così perché vi partecipavano i magistrati che portavano abiti scarlatti. Dalla rivista settimanale “Mercure Galant” si sa che tra il 1698 e il 1700 all’apertura del Parlamento sono state eseguite delle Messe scritte da Charpentier, ma non si hanno notizie più precise su quali siano state. Non è possibile, dunque, stabilire né quando né per quale occasione sia stata composta la Missa Assumpta est Maria, anche se un’analisi della carta e della grafia della copia manoscritta consente di datare quest’ultima tra l’estate del 1698 e la primavera del 1699. Qualche notizia si ha, invece, per l’altro brano in programma nel CD, il Motet pour une longue offrande, il cui titolo originario era Motet pour l’offertoire de la Messe Rouge con un chiaro riferimento alla Messa celebrata in occasione dell’apertura del parlamento. Per quanto riguarda la Messa, è difficile stabilire se la dedica alla Madonna Assunta sia dovuto al fatto che avrebbe dovuto essere eseguita nel giorno della festa dell’Assunzione di Maria o dal tema, di origine gregoriana, sul quale sembra basarsi il Kyrie. Nonostante queste difficoltà, è possibile affermare che questa Messa, l’ultima composta da Charpentier, sia l’espressione della sua piena maturità nell’arte del contrappunto, dal momento che si presenta come una grandiosa struttura per orchestra, solisti, che spesso cantano in terzetto, e un coro a 6 voci (due soprani, contralto, tenore, baritono e basso), nella quale il compositore mostrò una particolare attenzione a “tradurre” musicalmente il testo. Tra i brani più intensi vanno segnalati lo splendido e coinvolgente Et in terra pax del Gloria e il Credo, nel quale emerge il meditabondo Cricifixus, in minore e per solisti in stile fugato. Negli ultimi tre movimenti, i brani vocali si alternano a quelli strumentali secondo la tradizione delle Messe d’organo. Costituito da quattro parti, che presentano tutti la stessa struttura secondo lo schema, preludio-solisti-coro, eccezion fatta per la prima parte nella quale manca il coro, il Motet pour une longue offrande si segnala per l’importante ruolo affidato all’orchestra che si presenta in una grande varietà di combinazioni strumentali. I temi delle quattro parti riguardano, nell’ordine, la preparazione dei giudizio di Dio, le punizioni inflitte ai peccatori, il loro pentimento e le lodi alla giustizia di Dio.
Splendida l’esecuzione di questi due capolavori di Charpentier a partire dalla concertazione di Gaétan Jarry, il quale, alla guida del Choeur Marguerite Louise, della Maîtrise Marguerite Louise (coro di voci bianche) e dell’Orchestre Marguerite Louise, riesce a trovare un perfetto amalgama tra le diverse componenti riuscendo a fare emergere molto bene la polifonia costitutiva di questi poderosi lavori del compositore francese. Inoltre, Jarry, all’organo, è autore di una splendida improvvisazione sui temi del Kyrie tra il primo Kyrie e il Christe. Adeguato e curato è l’apporto dei solisti, Louise ChampionNicolas de la Fortelle, entrambe voci bianche, David Tricou (contralto), Romain Champion (tenore) e Nicolas Brooymans  (basso). Sembra di ascoltare questi lavori nel loro splendore originario grazie anche alla scelta di adottare un diapason antico con il la a 392 Hz e il temperamento mesotonico a 1/5 di comma. Si tratta, in conclusione, dell’ennesima curatissima produzione dell’etichetta Chateau de Versailles.

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Festival Lirico dei Teatri di Pietra: “Cavalleria rusticana” domenica 17 agosto 2025 al Castello di Lombardia (Enna)

gbopera - Gio, 14/08/2025 - 17:10

Cavalleria rusticana di Mascagni al Castello di Lombardia: la lirica ritorna dopo decenni nel salotto musicale della città di Enna.
È una serata attesa da lungo tempo, quella che il Festival Lirico dei Teatri di Pietra sta per regalare alla città di Enna. Domenica 17 agosto, alle ore 21:00, il cortile del Castello di Lombardia – imponente fortezza medievale che domina l’Ombelico della Sicilia – ospiterà Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni, riportando la lirica tra le pietre del maniero dopo un’assenza di oltre vent’anni, secondo alcune fonti anche trentacinque, durante i quali il sito ha perso, salvo rare occasioni, la sua vocazione di salotto musicale cittadino. Il merito del cambiamento è del Festival e del Coro Lirico Siciliano che lo organizza e promuove.
La regia è affidata a Marco Savatteri, artista dallo sguardo visionario, capace di trasformare i luoghi in narrazione drammatica; la bacchetta musicale è del maestro Alfredo Salvatore Stillo, che dirigerà l’Orchestra del Teatro Francesco Cilea; il Coro Lirico Siciliano, preparato dal maestro Francesco Costa – già insignito dell’Oscar della Lirica e direttore artistico del Festival – aggiungerà profondità vocale a una rappresentazione che punta in alto. Il cast, composto da oltre cento artisti lirici, schiera nomi di richiamo internazionale: il soprano Maria Pia Piscitelli (Santuzza), il tenore Giuseppe Distefano (Turiddu), il baritono Carlos Almaguer (Alfio), il mezzosoprano Antonella Arena (Lucia) e il soprano Leonora Ilieva (Lola).
È un’onda collettiva di voci, che riporta la grande musica in uno spazio che per troppo tempo ne è stato privo. Non è un semplice spettacolo, ma un forte segnale che riaccende un dialogo tra passato e presente, tra arte e territorio. Una restituzione simbolica e culturale alla città di Enna, che riaccoglie la lirica nel suo cuore monumentale dopo anni di silenzio, spezzando un incantesimo grazie alla visione e lungimiranza del Festival Lirico. Foto Fabio Marino

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Bolzano Festival Bozen: Iván Fischer dirige la EUYO con Alina Ibragimova giovedì 14 agosto 2025

gbopera - Mer, 13/08/2025 - 18:48

Giovedì 14 agosto, alle ore 20:30, presso il Teatro Comunale, la European Union Youth Orchestra è diretta dal suo Direttore Iván Fischer e accompagnata dalla violinista Alina Ibragimova.
Il programma della serata attraversa paesaggi musicali diversi, dalla vivacità della Rapsodia romena n. 1 di George Enescu all’intensità  del Concerto per violino in Re maggiore Op. 35 di Pëtr Il‘ič Čajkovskij, affidato alla sensibilità di Ibragimova. Nella seconda parte, il concerto si sposta nel mondo di Igor’ Stravinskij con Scherzo à la russeFour Norwegian Moods e la celebre Suite da L’Uccello di Fuoco nella versione del 1919.
Iván Fischer dirige la EUYO, di cui è direttore musicale dal 2024, sul palcoscenico bolzanino che è ormai casa per i giovani musicisti. Per questo secondo appuntamento al Bolzano Festival Bozen, l’orchestra giovanile dialoga per il Concerto per violino di Čajkovskij con la violinista russa Alina Ibragimova. Trasferitasi in giovane età in Gran Bretagna, dove ha portato avanti i suoi studi, Ibragimova si è esibita sui più prestigiosi palcoscenici mondiali e tra i tanti riconoscimenti è anche stata nominata MBE (Member of the Order of the British Empire) nel 2016.
Il Prof. Giacomo Fornari terrà l’introduzione al concerto alle ore 19.00 nel foyer al primo piano del Teatro Comunale. La partecipazione all’introduzione è gratuita.
Qui, per tutte le informazioni.

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102° Arena di Verona Opera Festival 2025: i “Carmina Burana” in Arena venerdì 15 agosto

gbopera - Mar, 12/08/2025 - 19:24

Venerdì 15 agosto, per un’unica data, i Carmina Burana di Carl Orff risuonano tra le millenarie pietre dell’Arena di Verona. La cantata scenica vede schierato sull’immenso palcoscenico un organico colossale: ben 400 tra professori d’Orchestra – con una ricca sezione di percussioni e pianoforti – artisti del coro, preparati dal maestro Roberto Gabbiani, e voci bianche di A.Li.Ve. e A.d’A.Mus.
All’Arena di Verona i Carmina Burana, oggi popolari e amatissimi, sono approdati tardi, solo undici anni fa, e poi riproposti con successo per quattro volte. Per l’unica rappresentazione del 2025, torna sul podio Andrea Battistoni, Maestro veronese dalla carriera internazionale, attualmente direttore principale della Tokyo Philharmonic e direttore musicale del Teatro Regio di Torino, nonché bacchetta più ricorrente nel condurre il capolavoro di Orff in Arena, sin dalla prima del 2014.
Sono inoltre richiesti tre solisti di spessore per le acrobazie vocali pensate da Orff: il baritono, gran cerimoniere dello straordinario inno alla vita, sarà l’applaudito Youngjun Park; per l’ironico ultimo canto del cigno serve l’acutissima tessitura di un tenore in falsetto o la vocalità piena di un controtenore, che sarà lo specialista Raffaele Pe, già primo interprete di questa vocalità in Arena. Infine, una voce di soprano incarna l’eterno femminino fra dolcezze e acuti astrali: ad interpretarne i brani sarà la statunitense Erin Morley, apprezzata lo scorso anno nella Nona sinfonia beethoveniana e attesa Gilda in Rigoletto.
Lo spettacolo, che si avvarrà di un nuovo disegno luci, durerà 70 minuti circa senza intervallo.
I biglietti per i Carmina Burana sono in vendita su arena.it, sui canali social dell’Arena di Verona, su Ticketone e nelle Biglietterie di via Dietro Anfiteatro e via Roma. Speciali riduzioni sono riservate agli under 30 e agli over 65. Qui, per altre informazioni.

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102° Arena di Verona Opera Festival 2025: “Rigoletto”

gbopera - Mar, 12/08/2025 - 13:05

102° Arena di Verona Opera Festival 2025
“RIGOLETTO”
Melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Il Duca di Mantova PENE PATI
Rigoletto LUDOVIC TÉZIER
Gilda NINA MINASYAN
Sparafucile GIANLUCA BURATTO
Maddalena MARTINA BELLI
Giovanna AGOSTINA SMIMMERO
Il conte di Monterone  ABRAMO ROSALEN
Marullo NICOLÒ CERIANI
Matteo Borsa MATTEO MACCHIONI
Conte di Ceprano HIDENORI INOUE
Contessa di Ceprano FRANCESCA MAIONCHI
Usciere di Corte RAMAZ CHIKVILADZE
Paggio della Duchessa ELISABETTA ZIZZO
Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona
Direttore Michele Spotti
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Regìa Ivo Guerra
Scene Raffaele del Savio
ispirate all’edizione 1928 di Ettore Fagiuoli
Costumi Carla Galleri
Luci Claudio Schmid
Verona, 8 agosto 2025
Quinto ed ultimo titolo del corrente festival, Rigoletto rappresenta la perfetta sintesi del pensiero drammaturgico verdiano. Il contrasto che oppone la deformità esteriore del gobbo di Mantova alla nobiltà d’animo del suo slancio paterno e passionale è la metafora della distorsione morale che fece calare la scure della censura francese, dapprima sul lavoro di Victor Hugo e poi di quella austriaca a Venezia. Ma Verdi, quasi ossessionato da Le Roi s’amuse non ebbe pace fino a quando non lo mise in musica grazie al fondamentale contributo del librettista Piave. L’allestimento di Ivo Guerra è tradizionale, unisce suggestione visiva e potenza musicale di impatto forte e deciso che restituisce all’anfiteatro veronese tutto il fascino delle sue produzioni storiche. Le scenografie monumentali di Raffaele Del Savio, ispirate ai bozzetti disegnati da Ettore Fagioli per l’allestimento areniano del 1928, sono di rara efficacia teatrale perché non distolgono l’attenzione dalla musica; la regia risulta quindi assolutamente funzionale e di una certa aderenza al volere verdiano, così come i costumi storicamente classici di Carla Galleri. Quanto al disegno luci di Claudio Schmid, non risulta mai banale ma sempre pertinente all’azione drammatica, soprattutto nella tempesta del terzo atto. Con una siffatta idea registica ne giova sicuramente la compagnia di canto la quale, nella centralità scenica, viene agevolata nei gesti, nei movimenti, nella caratterizzazione dei singoli protagonisti ponendo la musica al di sopra di tutto; è questo a fare la differenza nel teatro lirico e ad individuare chi è davvero capace di firmare una regia d’opera. Grande attesa destava, e qui veniamo alle singole voci, il debutto areniano del tenore Pene Pati, samoano, voce interessante dal timbro centrale morbido e ben portato alle sfumature che scolpisce un Duca di Mantova adeguatamente sfrontato e senza scrupolo, di una certa prestanza fisica. Purtroppo per lui ha pesato l’emozione del debutto in un anfiteatro pressoché esaurito con qualche incrinatura nel registro acuto (anche nella celebre La donna è mobile che ha sollevato qualche dissenso) e la tenuta del suono non sempre impeccabile anche se risolve con coraggio il re sovracuto nella cabaletta Possente amor mi chiama. La sfortunata Gilda ha trovato in Nina Minasyan un’interprete in grado di donare bellezza eterea alla fanciulla innamorata sia nel lirismo notturno di Caro nome che nel toccante duetto Piangi fanciulla ed ancora nella disillusione del terzo atto quando apprende la verità sul giovane che l’ha ingannata. Voce vellutata ed elegante, perfettibile in qualche suono, restituisce comunque una Gilda coerente con i propri palpiti amorosi, le proprie speranze e le illusioni giovanili. Ludovic Tézier, nel ruolo del titolo, si conferma interprete di elevato spessore artistico che scardina tutte le convinzioni interpretative a cui eravamo quasi assuefatti con un gobbo moderato e mai eccessivo negli accenti: i contrasti aggressivi tra il padre affettuoso, il vedovo commosso che parla a Gilda di sua madre, il feroce sbeffeggiatore, l’uomo terrorizzato dall’anatema di Monterone ed infine il subdolo mandante di un omicidio vengono risolti con una cupa rassegnazione alla fatalità di un retaggio crudele che non dà alcuna speranza per il futuro. Ne risulta quindi un Rigoletto morbido, disperato in Cortigiani, vil razza dannata ma sempre all’interno di una propria dignità e fierezza e che va esplicandosi in una invidiabile linea di canto, luminosità di timbro, fraseggio elegante e profonda intensità interpretativa. Il cinico e distaccato sicario Sparafucile vede in Gianluca Buratto un artista capace di esaltarne la freddezza asettica e priva di ogni scrupolo; voce ampia e di timbro scuro che conferisce un’autorità minacciosa all’uomo di spada. Accanto a lui Martina Belli, anch’essa debuttante in Arena, la cui Maddalena unisce bravura attoriale ad intelligenza e sensibilità musicale con una voce dal timbro elegantemente sensuale e deciso. Nei ruoli rimanenti molto bene Abramo Rosalen (Conte di Monterone), autorevole nella sua invettiva, Agostina Smimmero (Giovanna), Francesca Maionchi (Contessa di Ceprano), Nicolò Ceriani (Marullo), Matteo Macchioni (Matteo Borsa), Hidenori Inoue (Conte di Ceprano), Ramaz Chikviladze (Usciere di Corte) ed Elisabetta Zizzo (Paggio della Duchessa). Decisamente positiva la prova del coro della Fondazione Arena, preparato da Roberto Gabbiani, che evidentemente ha potuto lavorare in serenità con posizionamenti adatti al canto, le sezioni vicine e compatte tali da poter garantire coerenza timbrica nonché giovamento scenico: molto efficace il Zitti! Zitti … moviamo a vendetta! che ha ben coronato la scena del rapimento. Un aspetto sul quale più di un regista dovrebbe meditare: non dimentichiamo mai che il coro è coprotagonista ed interagisce con l’azione scenica (oltre che musicale). Michele Spotti fornisce una lettura musicale aderente alla drammaturgia, imprimendo vigore ed impulso emotivo ma anche esaltando il lirismo dei momenti topici; una direzione efficace che si permette pure qualche cedimento agogico al fine di creare tensione narrativa anche se non sempre in perfetto sincronismo tra buca e palcoscenico. Il risultato è comunque indubbiamente espressivo e va ben oltre il mero accompagnamento dei cantanti, mantenendo l’attenzione del pubblico sempre viva, grazie all’apporto dell’eccellente orchestra della Fondazione, precisa nella sua varietà timbrica e dotata di bel suono. Dicevamo del pubblico, come già sottolineato in precedenza si è quasi toccato il tutto esaurito; qualche lieve dissenso, soprattutto nel momento più atteso del terzo atto (quando lo capiremo che Rigoletto non è solo questo?) ma con la fiducia di un assestamento nelle repliche successive che saranno il 22 e 30 agosto e il 6 settembre.
Foto Ennevi per Fondazione Arena

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Pesaro, Rossini Opera Festival 2026: annunciato il programma della 47a edizione

gbopera - Lun, 11/08/2025 - 19:21

Nel corso del secondo dei ROF Talks 2025, è stato annunciato il programma della 47a edizione del Rossini Opera Festival.
Il Festival proporrà dall’11 al 23 agosto 2026 un totale di ventidue spettacoli. Inaugurerà il Festival all’Auditorium Scavolini una nuova produzione di Le Siège de Corinthe, diretta da Carlo Rizzi e messa in scena da Davide Livermore, alla sua quinta regia al ROF. Seguiranno al Teatro Rossini  due riprese di opere che hanno fatto la storia della manifestazione: L’occasione fa il ladro, messa in scena nel 1987 da uno dei maestri della regia rossiniana quale Jean-Pierre Ponnelle, l’anno prossimo diretta da Alessandro Bonato; La scala di seta, ideata nel 2009 da Damiano Michieletto e portata alla Royal Opera House di Muscat nel 2019, che sarà diretta da Iván López Reynoso.
Completeranno il programma Il viaggio a Reims dei giovani dell’Accademia Rossiniana, quattro Concerti di Belcanto, due Concerti lirico-sinfonici e lo Stabat Mater finale, diretto da Domingo Hindoyan.

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Verona, Teatro Ristori: la nuova Stagione Artistica 2025/26

gbopera - Lun, 11/08/2025 - 16:30

Dopo la sperimentazione estiva accolta con entusiasmo da pubblico e critica dell’opera immersiva Un bacio senza tempo, il Teatro Ristori anticipa una Stagione Artistica 2025-2026 che chiamerà a raccolta artisti affermati e voci emergenti per oltre 40 imperdibili appuntamenti con il pubblico. Da ottobre, il teatro-gioiello del territorio veronese, tornerà all’assetto tradizionale per ospitare il Jazz internazionale (una delle novità, le speciali domeniche targate “Ristori Jazz Club”), la Danza con ben due prime nazionali e le Serate d’autore per incontri in dialogo con l’arte e i temi civili. E ancora, l’atteso ritorno del Ristori Baroque Festival come cuore filologico e immaginifico nel segno delle sonorità barocche, percorsi Educational e le attese Cene‑Spettacolo che a fine anno trasformano il teatro in un vero e proprio salone delle feste. Un mosaico di proposte composto dalla direzione del M° Alberto Martini e da consulenti artistici specializzati, come Gegè Telesforo per il Jazz, Emanuele Masi per la Danza ed Elisabetta Garilli sulla parte Educational.
Direttore Artistico del Teatro Ristori, M° Alberto Martini: «Anche quest’anno la stagione si presenta come un percorso articolato e plurale, frutto di una visione condivisa e di una progettualità attenta ai linguaggi del nostro tempo. Per essere coerenti con il continuo rinnovamento, la ricerca e l’innovazione, abbiamo deciso di avvalerci della collaborazione di straordinari professionisti per le rassegne Jazz, Danza ed Educational. Serate d’Autore, Ristori Baroque Festival e Cene-Spettacolo verranno affiancate dal “Jazz Club”, novità di quest’anno per il mese di dicembre. Il nostro pubblico potrà godere di spettacoli in prima assoluta o nazionale, artisti noti in tutto il mondo, giovani dal grande talento riconosciuto dalla critica, dal pubblico, ma anche dalla vita. Ancora più attenzione verrà rivolta verso i giovani, sia per le opportunità di frequentazione, sia attraverso eventi ricchi di contenuti educativi e formativi. Tante novità e tante sorprese, tutte da scoprire».
Nella foto, da sinistra: Alessandro Mazzucco, presidente di CREA srl Impresa Sociale; Filippo Manfredi, direttore generale di Fondazione Cariverona e consigliere delegato del Teatro Ristori; Alberto Martini, direttore artistico del Teatro Ristori; Elisabetta Garilli, curatrice della rassegna Educational; Emanuele Masi, curatore della rassegna Danza.
Qui, per conoscere nei dettagli tutta la programmazione della Stagione 2025-2026 del Teatro Ristori.

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Bayreuther Festspiele 2025: “Lohengrin”

gbopera - Lun, 11/08/2025 - 09:28
Bayreuther Festspiele 2025
LOHENGRIN”
Opera romantica tre atti, musica e libretto di Richard Wagner Heinrich der Vogler MIKA KARES Lohengrin PIOTR BECZAŁA
Elsa von Brabant ELZA VAN DEN HEEVER
Friedrich von Telramund OLAFUR SIGURDARSON
Ortrud MIINA-LIISA VÄRELÄ Der Heerrufer des Königs MICHAEL KUPFER-RADECKI Orchestra e Coro dei Bayreuther Festspiele
Direttore Christian Thielemann
Maestro del Coro Eberhard Friedrich
Regia Yuval Sharon
Scene e costumi Neo Rauch, Rosa Loy
Luci Reinhard Traub Bayreuth, 6 agosto 2025
Da fervente appassionato wagneriano dello scrivente, il viaggio estivo a Bayreuth da anni una consuetudine. Dopo il nuovo allestimento dei Meistersinger, ecco la ripresa del Lohengrin che vedeva il ritorno di Christian Thielemann sul podio del Festspielhaus dopo tre anni di assenza. Il maestro berlinese, che in questo intervallo di tempo ha assunto l’incarico di Generalmusikdirektor della Staatsoper Unter den Linden come successore di Daniel Barenboim, ha trascinato all’ entusiasmo il pubblico che gli ha tributato ovazioni degne di uno stadio calcistico al termine di un’ esecuzione orchestrale assolutamente favolosa, degna di occupare un posto di assoluto rilievo nella storia interpretativa del Lohengrin. A partire dagli squisiti e appena percettibili pianissimi delle battute iniziali in la maggiore del Preludio, che la favolosa acustica del Festspielhaus consentiva di apprezzare in tutta la loro bellezza, Thielemann delinea un magnifico affresco sonoro da saga romantica, con una squisita paletta di timbri orchestrali e una nobiltà assoluta nella realizzazione delle linee melodiche, in un continuo trascolorare di tinte strumentali che la splendida orchestra del Festspiel ha realizzato con una stupenda precisione e un suono di una bellezza davvero irresistibile. L’apparizione del cigno e l’ entrata del protagonista, i grandiosi ensemble e l’atmosfera cupa, da incubo della scena iniziale del secondo atto seguita dalla struggente intensità conferita alla stupenda melodia in sol maggiore che chiude il duetto tra Elsa e Ortrud, la transizione orchestrale fra la seconda e la terza scena dello stesso atto e tutto il duetto iniziale del terzo, con il progressivo accumularsi della tensione drammatica realizzato in maniera splendida, erano probabilmente i massimi esiti di questa superba interpretazione insieme al tono epico delle scene di massa a cui il coro del Festspiel ha dato un contributo determinante. Una direzione che ha ribadito una volta di più la statura interpretativa di Christian Thielemann come massimo direttore wagneriano della nostra epoca, degno senza alcun dubbio di essere paragonato ai grandi maestri del passato. Nel cast vocale, quasi completamente rinnovato rispetto alle recite degli anni precedenti, spiccava decisamente la splendida interpretazione di Piotr Beczala, che non è azzardato definire il miglior interprete della parte di Lohengrin apparso sulle scene dai tempi di Sandor Konya. Il timbro vocale luminoso, la pronuncia tedesca scolpita e raffinata, il fraseggio intenso e concentrato, il legato di altissima scuola proveniente dallo stile di canto all’ italiana hanno permesso al tenore polacco di raffigurare un protagonista veramente nobile e araldico. La splendida mezzavoce in “Nun sei bedankt” e la magnifica progressione dinamica del racconto “In fernem Land”, attaccato con un tono di estasi sognante e poi perfettamente sviluppato fino alla conclusione, erano cose veramente da tenore di altri tempi. In un’ esecuzione dominata da due personalità di questo livello, la prova degli altri componenti del cast è stata complessivamente più che onorevole. Il quarantaseienne soprano sudafricano Elza van der Heever ha raffigurato Elsa come una donna amaramente disillusa, cantando in maniera complessivamente corretta anche se la voce tende a diventare stridula nelle note alte che sono spesso forzate. Migliore mi è sembrata la Ortrud aggressiva e satanica del mezzosoprano finlandese Miina-Liisa Varela, per la grande sicurezza vocele e il fraseggio incisivo. Abbastanza insignificante, sia dal punto di vista vocale che interpretativo, era il Telramund del baritono Olafur Sigurdsson. Il basso finlandese Mika Kares, con la sua voce profonda e risonante, ha conferito la giusta autorevolezza al ruolo del re Heinrich. Il baritono Michael Kupfer-Radecki ha cantato gli appelli dell’ Araldo reale con una voce sufficientemente robusta. La regia di Yuval Sharon delineava in sostanza una Elsa vittima del mondo maschile e sempre inutilmente desiderosa di liberarsi da una società che la opprime. Dopo la seconda visione di questo spettacolo il racconto scenico non è sempre chiaro e definito, con diversi momenti poco risolti. Ad ogni modo, si trattava di uno spettacolo che nel suo insieme si lasciava guardare senza situazioni disturbanti e a tratti regalava anche momenti visivi abbastanza piacevoli. In sostanza, niente che potesse sminuire il piacere provato all’ascolto di una parte musicale di livello molto elevato, assolutamente esemplare per quanto riguarda la direzione e il protagonista. Alla fine grandi applausi del pubblico a tutti i protagonisti, con un autentico trionfo per Thielemann e Beczala. Foto ©Enrico Nawrath
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Macerata, MOF 2025: “Macbeth”

gbopera - Dom, 10/08/2025 - 23:59

Macerata, Mof 2025
“MACBETH”
Opera in quattro atti   su Libretto di  Francesco Maria Piave e Andrea Maffei, dalla tragedia di William Shakespeare
Macbeth FRANCO VASSALLO
Banco SIMON ORFILA
Lady Macbeth MARTA MORBIDONI
Dama di  Lady Macbeth FEDERICA SARDELLA
Macduff ANTONIO POLI
Malcolm ORONZO D’URSO
Domestico/ Sicario / Araldo STEFANO GENNARI
Medico LUCA PARK
FORM- Orchestra Filarmonica Marchigiana
Direttore Fabrizio Maria Carminati
Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini”
Maestro del Coro Christian Starinieri
Regia Emma Dante
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Luci Christian Zucaro
Coreografie Manuela Lo Sicco
Cooproduzione dell’Associazione Arena Sferisterio con il Teatro Massimo di Palermo e il Teatro Regio di Torino
Macerata, 10 agosto 2025
«La vita è solo un’ombra che cammina; un povero attore che si pavoneggia e si agita sulla scena per la sua ora, e poi non se ne sente più nulla». Il celebre passo shakespeariano trova corpo e sangue nell’allestimento di Macbeth firmato da Emma Dante, in scena allo Sferisterio per il Macerata Opera Festival 2025. Non si tratta di una semplice trasposizione scenica, ma di una vera anatomia del potere e del delirio, scolpita con mano rituale e visione ferina. La regia di Dante – sorretta dalle scene di Carmine Maringola e dai costumi evocativi di Vanessa Sannino – ci consegna un universo visivo dominato da oggetti e corpi, dove ogni elemento assume la forza simbolica di una maledizione antica. I letti mobili che attraversano la scena – d’ospedale, di morte, di concepimento – non sono arredi: sono soglie, luoghi di passaggio tra umano e disumano, tra coscienza e rovina. È lì che nascono le streghe, non evocate ma partorite, letteralmente, da un grembo che si fa scena. La loro prima apparizione – viscere contorte, carne che geme – è uno dei momenti più disturbanti dello spettacolo: non magia, ma biologia della profezia. Tutta la regia si muove su questa faglia: il corpo come linguaggio, come limite e destino. Il paesaggio scenico evoca una Sicilia arcaica, dove i fichi d’India sostituiscono la foresta di Birnam. Il fico d’India, pianta che resiste al fuoco e alla morte, diventa emblema di una natura che si ribella, che sopravvive ai carnefici. In questa vegetazione spinosa e sacrale, Macbeth e la sua Lady si muovono come relitti di una nobiltà che ha perso ogni centro, ogni dio. La scena è attraversata da una costante tensione tra sacro e profano: croci, abluzioni, gesti liturgici deformati. Le luci di Christian Zucaro – dure, spietate – tagliano lo spazio come lame, mentre i costumi rivelano un mondo impolverato di riti dimenticati. Lady Macbeth, nella lettura registica, è una Madonna rovesciata. I suoi movimenti – coreografati da Manuela Lo Sicco – sono spasmi da invasata, ma sempre dentro un codice teatrale millimetrico. L’universo scenico non è narrativo, ma mitopoietico. La scena non illustra, trasfigura. Ogni gesto, ogni corpo, ogni oggetto porta un significato che precede la parola. Non si racconta una storia: si partecipa a una liturgia, al disfacimento del mondo da dentro, come se lo spettatore fosse uno dei letti che scorrono, uno dei corpi che assorbe sangue e profezia. Sul versante vocale, la produzione si distingue per una coerenza interpretativa che, pur con qualche discontinuità, si armonizza con l’impianto drammaturgico. A emergere con forza è Franco Vassallo, il cui Macbeth si regge su un’emissione autorevole, sorretta da un timbro baritonale ampio e brunito. Nei recitativi la sua linea è nitida e controllata, mentre nelle arie il fraseggio si dispiega con scolpitezza e misura. Vassallo privilegia una compostezza drammatica intrisa di dignità tragica: il suo Macbeth è un uomo già segnato dal presagio, tragico nella consapevolezza più che nell’enfasi. Marta Morbidoni offre una Lady Macbeth di notevole tensione espressiva. La sua vocalità, tagliente e nervosa, si adatta bene a un ruolo che esige un continuo attraversamento tra dominio e collasso. Il controllo del pianissimo le consente di evocare una forza occulta e terribile, capace di assediare lo spazio anche nel silenzio. Non c’è compiacimento nel suo canto, ma un rigore ieratico che restituisce la dimensione perturbante della protagonista. Un memorabile debutto. Simón Orfila, nel ruolo di Banco, convince per autorevolezza naturale e pastosità timbrica. La sua emissione è salda, il fraseggio levigato, e l’aria del primo atto (“Come dal ciel precipita”) è affrontata con eleganza e raccoglimento. Antonio Poli disegna un Macduff di slancio lirico, grazie a un timbro luminoso e a una proiezione efficace che, nel momento della vendetta, si accende di sincerità drammatica senza mai forzare l’emissione. Federica Sardella, nei panni della Dama, si ritaglia un breve spazio sonoro per chiarezza espositiva e sobrietà. Oronzo D’Urso (Malcolm), Stefano Gennari e Luca Park completano l’ensemble con prove funzionali. La direzione di Fabrizio Maria Carminati si distingue per l’equilibrio fra chiarezza formale e tensione drammatica. Il maestro costruisce un impianto sonoro solido e sorvegliato, in cui la partitura verdiana emerge con nitidezza analitica. I tempi risultano calibrati con attenzione: il dramma procede con andatura narrativa fluida, sempre sorretta da una lucidissima articolazione temporale. L’Orchestra Filarmonica Marchigiana, sotto la sua guida, si conferma duttilissima: archi precisi, legni raffinati, ottoni misurati. Carminati mostra grande attenzione al rapporto con il palcoscenico, accompagnando le voci con discrezione e intelligenza teatrale. Mai invasiva, la buca diventa un corpo unico con l’azione. Il suo Macbeth non indulge nel pittoresco, ma si impone come un affresco lucido e psicologicamente coerente. Gli applausi finali, prolungati ma misurati, hanno chiuso un’esecuzione di coerenza formale e rigore espressivo. Con questo Macbeth, il Macerata Opera Festival 2025 si conclude nel segno di una tragedia asciutta e spietata, dove la scena si fa riflessione sul potere, sul corpo e sulla fine. Nessuna concessione all’enfasi, ma un teatro che continua a interrogare, senza compiacimento, la materia oscura del nostro tempo. Con questa ultima opera si chiude la stagione 2025 del Macerata Opera Festival, che ha registrato oltre 25.000 presenze e un riempimento medio dell’80%. Tre titoli di repertorio, allestimenti di qualità e un’offerta artistica che ha confermato lo Sferisterio come punto di riferimento nel panorama lirico estivo italiano. Photocredit Simoncini

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