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Como, Teatro Sociale: “Minotauro” dal 22 al 23 novembre 2024

gbopera - Gio, 21/11/2024 - 23:51

Como, Teatro Sociale
MINOTAURO
Tratto da Durrenmatt
prodotto da LaTâche21 e Teatro Sociale Bellinzona
La programmazione del Teatro Sociale si diffonde “altrove” in tutto il teatro, occupando e reinventando tutti gli spazi e sale. Venerdì 22 novembre alle ore 20.30 e sabato 23 alle ore 17.00 e alle 20.30 andrà in scena “Minotauro”. La suggestiva cornice della platea del Teatro, svuotata dalle sue poltrone, accoglierà lo spettacolo in tutta la sua tragicità a 360°, sotto gli occhi attenti di un pubblico che sarà complice e spettatore dell’ingiustizia. Lo spettacolo, prodotto da LaTâche21 e Teatro Sociale Bellinzona, è tratto da “Minotauro”, una ballata di Friedrich Dürrenmatt. La scrittura di Dürrenmatt procede per immagini e da queste è nato lo spettacolo. Come in un’arena dell’antica Roma, il Minotauro rinchiuso nel suo labirinto fatto di specchi luci e ombre, ci invita a vivere insieme a lui ogni sfaccettatura, ogni riflesso della sua storia. Fin dal suo risveglio il Minotauro danza di gioia. Ci viene presentata una creatura innocente, come in un gioco di specchi tra narratrici e personaggi che raccontano il lento e progressivo cammino di consapevolezza del protagonista, costretto tra le pareti del labirinto che è simbolo di un percorso inevitabile della vita. Minotauro è creatura unica al mondo e duale, come tutto il genere umano del resto, ma in questa creatura la dualità è più evidente perché è anche fisica. Viene indagata la dualità nei sentimenti, nelle intenzioni, nei punti di vista diversi della stessa storia e anche nella maschera, nel corpo e nella sua fine. Minotauro non è consapevole della sua morte e nemmeno dell’inganno, a cui impotenti possiamo solo assistere. Il testo è qui tradotto magistralmente in italiano con tutta la sua musicalità da Donata Berra. La voce che di tanto in tanto prende parte alla rappresentazione, vuole essere veicolo di narrazione e di omaggio alla scrittura originale dell’autore svizzero. Unico elemento scenico è una scala ispirata all’opera visionaria di Maurits Cornelis Escher e alle sue famose scale impossibili e labirintiche. Le luci riflesse nei numerosi specchi che abitano la scena restituiscono uno spazio impenetrabile e chiuso come il labirinto di Dedalo. PER INFO E BIGLIETTI: qui

 

Categorie: Musica corale

Torino, Museo Egizio: ” Al via le celebrazioni per il bicentenario del Museo Egizio”

gbopera - Gio, 21/11/2024 - 23:40

Torino, Museo Egizio
RIAPERTURA DELLA GALLERIA DEI RE E DEL TEMPIO DI ELLESIYA
Nel contesto delle celebrazioni per il bicentenario del Museo Egizio di Torino, la riapertura della Galleria dei Re e del Tempio di Ellesiya rappresenta un evento di straordinaria rilevanza, segnando l’avvio di una nuova fase nella storia di questa prestigiosa istituzione culturale, la quale, attraverso un articolato e meticoloso processo di rinnovamento, si prefigge di ridefinire il proprio ruolo all’interno del panorama museale internazionale. Dopo otto mesi di accurati interventi di restauro e riallestimento, queste due aree simboliche del museo sono ora pronte per essere ammirate dal pubblico, in una rinnovata sintesi di rigore scientifico e innovazione tecnologica, che mira a unire la dimensione storica alla fruizione contemporanea. L’inaugurazione ufficiale ha visto la partecipazione di figure di spicco come il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il Ministro della Cultura Alessandro Giuli e Khaled Mohamed Ismail, Segretario Generale del Consiglio Supremo delle Antichità dell’Egitto, a testimonianza dell’importanza del progetto anche a livello istituzionale e internazionale. Il Museo Egizio, il più antico al mondo interamente dedicato alla civiltà faraonica, si rinnova grazie a un ambizioso progetto architettonico e museografico sviluppato dallo Studio OMA di Rotterdam, il quale ha concepito un piano di intervento volto a valorizzare il dialogo tra passato e futuro, rendendo il museo un’entità viva e in costante trasformazione, capace di coinvolgere il pubblico in una narrazione che si estende ben oltre la semplice esposizione di reperti antichi. La ristrutturazione della Galleria dei Re e del Tempio di Ellesiya, pertanto, non rappresenta soltanto un’opera di conservazione, ma anche un’iniziativa che ambisce a offrire un’esperienza culturale immersiva, promuovendo una rinnovata consapevolezza del patrimonio archeologico e del suo valore per la società contemporanea. La Galleria dei Re, completamente ridisegnata sotto la direzione di un’équipe internazionale di egittologi, propone un’interpretazione innovativa della regalità egizia, inserendo le statue monumentali dei faraoni in un contesto scenografico suggestivo e illuminato con perizia, così da trasformarle in protagoniste di una narrazione che esplora il contesto storico e culturale in cui queste figure hanno vissuto. Il nuovo allestimento, che si avvale dell’integrazione di tecnologie digitali e strumenti multimediali, arricchisce l’esperienza dei visitatori, con l’obiettivo di coniugare il rigore dell’indagine scientifica con una fruizione accessibile e coinvolgente, capace di stimolare una riflessione profonda sulla storia dell’antico Egitto. Il Tempio di Ellesiya, donato dal governo egiziano all’Italia negli anni Sessanta come riconoscimento per il contributo italiano alla salvaguardia dei monumenti della Nubia, è stato oggetto di un attento e accurato restauro, che ha riportato alla luce la bellezza originaria della Cappella rupestre, ora accessibile tramite una nuova entrata da via Duse, la quale ha ridefinito la struttura architettonica dell’ex Collegio dei Nobili. Un video mapping, sviluppato da Robin Studio, racconta il lungo e complesso viaggio del tempio dall’Egitto all’Italia, restituendo la ricchezza simbolica e storica di questo straordinario reperto, rendendolo al contempo un elemento narrativo capace di evocare la profondità storica e culturale che esso rappresenta. Nell’ambito delle celebrazioni del bicentenario, il Museo Egizio ha altresì avviato un programma di residenze artistiche, il cui obiettivo è quello di esplorare e reinterpretare il ruolo contemporaneo di un museo archeologico, stimolando una riflessione critica sull’eredità storica e sulle modalità attraverso le quali essa viene comunicata. Ali Cherri, vincitore del Leone d’Argento alla Biennale di Venezia 2022, e Sara Sallam, artista egiziana, sono stati i primi partecipanti di questo progetto. Cherri ha realizzato l’installazione “Returning the Gaze”, collocata nel vestibolo della Galleria dei Re, che indaga il concetto di sguardo e il ruolo degli oggetti museali nella società contemporanea, interrogandosi sulla relazione tra chi guarda e chi è guardato. L’opera, sviluppata in collaborazione con il direttore Christian Greco e il curatore Paolo Del Vesco, coinvolge sette reperti privi di occhi, scansionati digitalmente e reinterpretati in bronzo lucido, con l’intento di restituire loro simbolicamente la capacità di guardare, aprendo così una riflessione critica sulla relazione tra pubblico e oggetto museale, e sul significato stesso dell’osservazione museale. Sara Sallam, dal canto suo, offre una prospettiva decoloniale sulla musealizzazione e sulla rappresentazione dell’identità culturale, interrogandosi sulle narrazioni storiche e stimolando una riflessione critica sulle dinamiche di potere che queste comportano. Il suo progetto invita i visitatori a esplorare nuove prospettive sul rapporto tra passato e presente, incoraggiando una comprensione più consapevole delle narrazioni museali e delle loro implicazioni, evidenziando come la rappresentazione museale non sia mai neutra, ma sempre frutto di scelte interpretative e culturali. Il percorso di trasformazione del Museo si completerà nel 2025 con la costruzione di una corte coperta in vetro e acciaio e di un innovativo ipogeo, grazie al sostegno di importanti partner pubblici e privati, tra cui la Fondazione CRT, la Fondazione Compagnia di San Paolo e il Gruppo Ferrovie dello Stato. Questa sinergia tra istituzioni e sponsor permetterà al Museo Egizio di affermarsi come un punto di riferimento internazionale, aperto a un pubblico sempre più vasto e diversificato, nonché capace di offrire esperienze culturali che uniscano il rigore della ricerca archeologica all’emozione della scoperta. Le celebrazioni del bicentenario, che si svolgeranno dal 20 al 22 novembre, includono una serie di eventi, tra cui una Notte Bianca con performance artistiche e conferenze, pensate per promuovere la conoscenza della storia e della cultura egizia presso il grande pubblico. Inoltre, l’incontro del 22 novembre tra Christian Greco e Ali Abdelhalim Ali, direttore del Museo Egizio del Cairo, segna un ulteriore passo verso una cooperazione internazionale per la ricerca archeologica, testimoniando l’importanza di una collaborazione che mira a rafforzare i legami tra le due istituzioni e a promuovere nuovi progetti di ricerca condivisi. Con il bicentenario, Torino riafferma il suo ruolo di polo culturale europeo, capace di legare le radici della civiltà umana a una visione aperta e innovativa del futuro. Il Museo Egizio, così, continua a ridefinire il suo ruolo, divenendo sempre più un mezzo per comprendere il presente e ispirare le generazioni future, ponendosi come un punto di incontro tra passato, presente e futuro, e come un luogo in cui la storia diventa uno strumento per leggere e interpretare la realtà contemporanea. PhotocreditMuseoEgizioTorino

Categorie: Musica corale

Roma, Nuvola dell’ Eur: “Arte in Nuvola”

gbopera - Gio, 21/11/2024 - 18:27

Roma, Nuvola dell’ Eur
ARTE IN NUVOLA: QUARTA EDIZIONE
Dal 22 al 24 novembre, la Nuvola dell’EUR di Roma si trasformerà in un centro vibrante per l’arte moderna e contemporanea con la quarta edizione di Roma Arte in Nuvola. Un evento che promette di coinvolgere non solo gli addetti ai lavori, ma anche il grande pubblico, offrendo un’esperienza immersiva nel mondo della creatività contemporanea. Ideata da Alessandro Nicosia e guidata artisticamente da Adriana Polveroni, la manifestazione è sostenuta da C.O.R. e da Eur S.p.A., ed è ormai un appuntamento fisso per chiunque sia interessato alle nuove tendenze artistiche. L’atmosfera della Nuvola è quella di un laboratorio artistico in continua evoluzione, dove il visitatore ha l’opportunità di immergersi in un viaggio tra diverse discipline e linguaggi. Sono attese 140 gallerie, sia italiane che internazionali, pronte a portare il meglio della produzione contemporanea, creando una rete di relazioni e dialoghi tra artisti, curatori e appassionati d’arte. In questa edizione, spicca la presenza del Portogallo come Paese ospite, arricchendo il panorama con un’importante finestra sulla creatività lusitana, caratterizzata da una commistione di culture e influenze che rendono unico il suo contributo al mondo artistico. Un’altra grande novità di questa edizione è la partecipazione della Direzione Generale Archivi, che per la prima volta si unisce alla manifestazione. L’obiettivo è portare all’attenzione del pubblico l’importanza del patrimonio archivistico come parte integrante della cultura. Il loro spazio espositivo include la riproduzione di documenti storici iconici come lo Statuto Albertino e la Costituzione della Repubblica, nonché materiali originali di grande valore, quali studi per il mosaico del Ristorante uffici all’EUR di Angelo Canevari e prototipi di automobili della Società Bertone Stile, custoditi dall’Archivio Centrale dello Stato. Roma Arte in Nuvola si configura come un’occasione per vivere l’arte non solo come fruizione, ma come partecipazione attiva. Tra installazioni, performance, e opere che spaziano dal figurativo all’astratto, la Nuvola diventa un luogo di esplorazione estetica e culturale. Qui, ogni angolo è pensato per sorprendere, per scuotere lo spettatore dalla quotidianità e portarlo a riflettere, ad immergersi in una dimensione che va oltre la mera visione. Lo spazio dedicato ad Antonio Canova, realizzato grazie al supporto di Banca Ifis, rappresenta uno dei momenti più attesi dell’intera manifestazione. Saranno esposti dodici busti inediti del grande scultore veneziano, recentemente riscoperti e restaurati. Un allestimento raffinato che mira a far emergere tutta la potenza e l’eleganza dell’opera di Canova, ponendo in risalto la sua maestria nel dare vita al marmo con una delicatezza senza pari. Con il coinvolgimento di istituzioni come il Ministero della Cultura, il MAXXI, il Museo delle Civiltà, e grazie a una serie di eventi collaterali che animeranno la tre giorni, Roma Arte in Nuvola si preannuncia un appuntamento imperdibile. Non solo una fiera, ma un vero e proprio viaggio attraverso le mille sfaccettature della creatività contemporanea, capace di attirare l’interesse di un pubblico sempre più ampio, dai collezionisti agli appassionati, fino ai curiosi che vogliono avvicinarsi all’arte per la prima volta. Photocredit: Marino Festuccia

 

Categorie: Musica corale

Ricordando Franco Mannino nel centenario dalla nascita. Intervista a Massimo Biscardi

gbopera - Gio, 21/11/2024 - 16:01

Il 2024 è l’anno del centenario  dalla nascita di Franco Mannino (Palermo, 25 aprile 1924 – Roma, 1 febbraio 2005) autentico protagonista del Novecento: pianista, compositore, direttore d’orchestra e scrittore. Personalità talentuosa già nel suo Dna, in seguito l’incontro con i grandi personaggi della cultura diventerà la bussola della sua onestà intellettuale. A 10 anni si esibisce al pianoforte in onore di Pirandello il quale, riconoscendone il talento, lo invita a non dimenticare di essere figlio della Sicilia. Studia a Roma presso il Conservatorio “Santa Cecilia” e conosce molti intellettuali (Guttuso, De Chirico, Savinio, la figlia di Tolstoj, Sartre, Cocteau, Mann, ecc.) e musicisti: De Sabata, Giordano, Zandonai, Toscanini, Horowitz, Stravinskij, Casella, R. Strauss, Dallapiccola, Šostakóvič e l’amico fraterno Franco Ferrara. A 16 anni viene ammesso eccezionalmente a partecipare ad un concorso per direttori d’orchestra organizzato dall’Accademia di Santa Cecilia attirando l’attenzione di Tullio Serafin che nel ’47 lo fa scritturare come direttore di tre opere alla Fenice di Venezia. Svolge un’intensa carriera internazionale come pianista e direttore d’orchestra nei più importanti teatri del mondo, scrive oltre 500 composizioni e ricopre il ruolo di direttore artistico di varie istituzioni musicali. Significativo l’incontro con Luchino Visconti e la sorella Uberta, poi sua compagna di vita. Molto attento verso le nuove generazioni, come esempio si segnala una giovanissima Martha Argerich che si cimenta nel Concerto n. 1 per pianoforte e orchestra di Chopin diretta dal maestro a Parigi il 1 febbraio 1970 di cui costituisce testimonianza il video.

Ricordiamo il maestro attraverso la testimonianza di Massimo Biscardi, musicista che ha conosciuto e collaborato con Mannino (poco più che ventenne, è stato suo direttore assistente) un protagonista del mondo della musica (inizia giovanissimo una feconda attività di concertista come pianista e direttore d’orchestra) e delle istituzioni italiane, essendo attualmente Sovrintendente della Fondazione Teatro Petruzzelli di Bari. Dal 2022 è Accademico dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e, nel suo perseguire obiettivi sempre più significativi, formuliamo il nostro Ad maiora per l’insediamento, dal febbraio 2025, come nuovo Presidente-Sovrintendente della stessa Istituzione.
Quando ha incontrato il maestro Franco Mannino e quanto l’esperienza di assistente può aver influito nella sua carriera di direttore d’orchestra?
Credo fosse il 1983, frequentavo assiduamente la casa del leggendario Franco Ferrara. Sotto la guida di questo grande maestro avevo seguito due corsi di perfezionamento di direzione d’orchestra e, in seguito, era nato un rapporto di normale frequentazione. Un giorno mi disse di raggiungerlo a casa sua, abitava a piazza Cavour a Roma, a due passi dalla mia abitazione, perché voleva presentarmi un grande musicista e grande suo amico dai tempi della giovinezza, Franco Mannino. Il maestro Mannino apparve subito una persona particolarmente curiosa nei riguardi di un giovane studente di musica. Da allora iniziò una frequentazione assidua. Non fui mai suo assistente nel senso vero del termine, ma ricordo che ogni domenica mattina mi faceva conoscere la sua ultima composizione che suonava al pianoforte del suo studio in via Fleming. Del maestro Mannino mi ha sempre colpito l’intelligenza acutissima, non solo musicale, e il senso di rispetto verso la musica e i musicisti che sono parte determinante del mio bagaglio culturale.
Potrebbe offrire una testimonianza del maestro come uomo e musicista versatile?
Una sua giornata-tipo prevedeva una parte dedicata alla composizione, una parte allo studio del pianoforte e delle partiture che avrebbe diretto e una parte alle pubbliche relazioni: la testimonianza della sua versatilità sta nei suoi normali ritmi di vita, che erano veramente frenetici.
I suoi studi coincidono con quelli di Mannino. È possibile immaginare alcune sue esperienze professionali grazie allo stesso percorso formativo?
Sono gli studi completi che ogni musicista serio doveva aver necessariamente fatto prima di affacciarsi alla professione. Oggi non è più cosi per gli studenti di musica, purtroppo, e ne subiamo le conseguenze.
Nel 1989 lei dirige Le notti bianche di Mannino. Cosa ricorda di quell’ esperienza?
Una composizione fascinosa che serbava lo spirito di un musicista, in fondo, figlio del romanticismo.
Il 2025 ricorrono vent’anni dalla scomparsa di Mannino. Quali le iniziative più urgenti, da parte delle istituzioni italiane, per valorizzare la sua figura di musicista del Novecento?
Come per tutti i musicisti scomparsi nel giro degli ultimi decenni, sarebbe utile fare innanzitutto uno studio di tutta la sua opera e individuare il meglio da poter tramandare alla conoscenza delle generazioni future come testimonianza della sua arte.
Ringraziamo Massimo Biscardi per la sua testimonianza e per aver condiviso con i nostri lettori un tratto della loro strada, l’amicizia e la collaborazione e soprattutto quei valori di cui, per altri aspetti e percorsi, rimangono ancora significative tracce in me.

Categorie: Musica corale

Il “Tokyo Ballet” al Teatro Lirico di Cagliari

gbopera - Gio, 21/11/2024 - 13:40

Cagliari, Teatro Lirico – Stagione lirica e di balletto 2024
“THE TOKYO BALLET”
“La Bayadère”: Il regno delle ombre
Coreografia Natalia Makarova da Marius Petipa
Musica Ludwig Minkus
Scene Pier Luigi Samaritani
Costumi Yolanda Sonnabend
“Petite Mort”
Coreografia e scene  Jirí Kylián
Musica Wolfgang Amadeus Mozart
Costumi Joke Visser
Luci Jirí Kylián realizzate da Joop Caboort
“Le Sacre du Printemps”
Coreografia Maurice Béjart
Musica Igor Stravinskij
Prime ballerine KANAKO OKI, AKIRA AKIYAMA
Primi ballerini DAN TSUKAMOTO, ARATA MIYAGAWA, SHOMA IKEMOTO
Orchestra del Teatro Lirico di Cagliari
Direttore d’orchestra Paul Murphy
Cagliari, 17 novembre 2024
Grande successo per la tappa cagliaritana del Tokyo Ballet: difficile al giorno d’oggi vedere il teatro pieno di pubblico entusiasta alla quinta replica di qualunque produzione. Ma era importante la possibilità di ammirare dal vivo uno dei corpi di ballo più celebrati al mondo in un repertorio di grande interesse, con l’evento principe de Le Sacre du Printemps di Stravinskij nella storica coreografia di Béjart. Le aspettative non sono state tradite, con uno spettacolo straordinario per tecnica, sobria eleganza ed espressione. Si può discutere l’evidente intenzione di dare esempi di versatilità della compagnia accontentando i vari gusti del pubblico, ma lo storico estratto ripreso da Petipa de La Bayadère, pur un po’ distante dal resto, ha dato comunque un magistrale esempio di atto bianco romantico. Solo una semplice quinta, vagamente ispirata allo stile ukiyo-e, taglia lo spazio scenico per l’entrata delle ombre, senza gli esotismi che spesso appesantiscono le scenografie di genere: tutto è ridotto alle geometrie essenziali e a un’espressione minimale sia nella gestualità che nella compostezza degli atteggiamenti. Una lettura dove è facile vedere il collegamento con la contemporaneità, in cui l’etereo mondo notturno e la levigatezza dell’atto bianco diventano un medium ideale per espressioni coreografiche più recenti. Inutile sottolineare la perfezione tecnica nei vari Pas, l’impressionante sincronia ed eleganza delle file, la bellezza e facilità di ogni variazione: puro godimento visivo. Dalla funzionale ma modesta musica di Minkus a Mozart il salto è grande: Petite Mort di Jirí Kylián, sul secondo tempo dei concerti K 488 e K 467, sublima fin dalla musica l’aspetto di diafana e notturna bellezza anticipato dalla coreografia precedente. La “petite mort” in francese indica l’orgasmo, il momento in cui il culmine del piacere sembra fondersi col presagio della morte: sei uomini entrano in silenzio e accompagnano i primi movimenti con delle spade il cui rumore nell’aria è l’unico elemento sonoro. L’allusione palesemente sessuale è mitigata dall’incontro con sei donne la cui unione è sempre solo suggerita, all’insegna di una sobrietà che è la cifra stilistica di tutto lo spettacolo. Il collegamento col mondo classico appare citato apertamente nel secondo numero musicale, con le donne che scivolano con leggerezza incredibile dentro degli stilizzati costumi-sagome settecenteschi, da cui si distaccano e uniscono in una serie di effetti in chiaroscuro di rara efficacia. Ma l’attesa era chiaramente per il pezzo forte della serata: il capolavoro di Stravinskij non ha segnato solo musicalmente il ‘900 ma anche l’allora criticata coreografia di Nijinsky ruppe definitivamente con il secolo passato introducendo una serie di novità con cui le numerose riprese dovettero fare sempre i conti. Di tutte le più importanti creazioni de Le Sacre du Printemps sicuramente quella di Béjart è una delle più belle e celebrate: cavallo di battaglia da sempre del Tokyo Ballet, che ne ebbe per anni l’esclusiva, è stata quindi imperdibile l’occasione di poterla ammirare in questa performance con la complessità dell’esecuzione orchestrale dal vivo, opportunità tutt’altro che comune per quest’opera. L’attrazione e la seduzione prima sublimate ora diventano palesi, lotta e sfida maschile, contatto, tensione animale, generi in incontro-scontro nell’eterno rito della fecondità primaverile, con la novità, per questa versione, del sacrificio finale proiettato non sull’eletta ma su una coppia uomo-donna. Difficile descrivere il perfetto equilibrio dei gruppi, il coordinamento delle figurazioni, la potenza dei salti, il contrappunto impeccabile dei movimenti coordinati con le continue varianti metriche, le simmetrie e il riempimento armonico degli spazi sgombri di qualunque orpello scenografico: un grande spettacolo, con momenti veramente emozionanti come il finale della prima parte, illuminato da un efficacissimo taglio laterale a guidare l’uscita degli uomini. Straordinarie le prime parti, ma ha impressionato soprattutto l’uguaglianza e il livello del corpo di ballo, specialmente nella componente femminile, frutto sicuramente di una profonda cultura d’assieme. Completa il quadro l’ottima prestazione dell’orchestra del Teatro Lirico che, sotto la guida di un esperto specialista come Paul Murphy, ha dato un eccellente esempio da ogni punto di vista. Se si possono liquidare Minkus come routine e Mozart come repertorio, un discorso a parte merita Le Sacre, proverbialmente pietra di paragone per il virtuosismo di qualunque orchestra: l’ensemble di Cagliari è stato protagonista di un’interpretazione precisa e scintillante in tutte le sezioni, brillante nei colori e nelle dinamiche, solida nell’infernale articolazione metrica e ritmica della celebre partitura. Una scommessa produttiva vincente, impreziosita dalla prestigiosa proposta coreografica, che merita sicuramente degli approfondimenti futuri.

 

Categorie: Musica corale

“La Cenerentola” al Teatro Filarmonico di Verona

gbopera - Gio, 21/11/2024 - 10:15

Verona, Teatro Filarmonico, Stagione Lirica 2024
 “LA CENERENTOLA”
Dramma giocoso in due atti su libretto di Jacopo Ferretti
Musica di Gioachino Rossini
Don Ramiro PIETRO ADAINI
Dandini ALESSANDRO LUONGO
Don Magnifico CARLO LEPORE
Clorinda DANIELA CAPPIELLO
Tisbe VALERIA GIRARDELLO
Angelina MARIA KATAEVA
Alidoro MATTEO D’APOLITO
Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona
Direttore Francesco Lanzillotta
Maestro del Coro Roberto Gabbiani          
Regia Manu Lalli
Scene Roberta Lazzeri
Costumi Gianna Poli
Luci Vincenzo Apicella riprese da Sergio Toffali
Allestimento del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino
Verona, 17 novembre 2024
Il dubbioso Rossini, reduce dal successo del suo Barbiere e già incaricato di scrivere un’opera buffa da rappresentarsi nella stagione di carnevale del 1817, accolse con entusiasmo l’idea di mettere in musica il soggetto di Cendrillon dall’omonima fiaba di Perrault. Per adattarla al gusto italiano, ancor più a quello romano, il librettista Ferretti sostituì gli elementi fiabeschi con situazioni più realistiche ed arricchite da effetti comici. Così il tronfio Don Magnifico, patrigno desideroso di un riscatto sociale, sostituisce la matrigna, la fata diventa il saggio Alidoro, precettore di Don Ramiro, e la celebre scarpetta di cristallo lascia il posto ad un più veritiero braccialetto. Punto di forza della vicenda è lo scambio di ruolo tra il principe Don Ramiro ed il suo cameriere Dandini, operato per valutare la condotta delle sorellastre Clorinda e Tisbe. Scritta a tempo di record, grazie ad una vera e propria catena di montaggio nella quale Ferretti scriveva i versi consegnandoli poi a Rossini che li metteva prontamente in musica, La Cenerentola è tornata al Filarmonico dopo gli allestimenti del 1996 e del 2016 nell’allestimento del Maggio Musicale Fiorentino recentemente andato in scena nella città gigliata, a firma di Manu Lalli. Per idee e contenuti, l’impianto registico strizza l’occhio al celebre film di Ponnelle del 1981 anche se talvolta eccede in mossette e caricature che comunque non disturbano lo spettacolo; vi è comunque da sottolineare che si tratta di un allestimento facilmente proponibile anche ad un pubblico giovanissimo in tempi di grande necessità culturale per le nuove generazioni. Il messaggio della regista è comunque forte e chiaro: Angelina vive e spera in un riscatto sociale, rivendicando i suoi diritti calpestati da una stupida e cieca ignoranza (come nel caso delle sorellastre che strappano le pagine dei libri che la ragazza conserva e con cui nutre le sue speranze) ma anche alimentando i propri sogni e desideri. Sogni che lasceranno il posto ad un futuro certo e basato non sull’interesse sociale ma sull’amore vero; l’autentica magìa non è quella della bacchetta ma della bontà e benevolenza, come nel perdono finale concesso proprio a coloro che l’avevano sempre maltrattata. La tradizione è presente anche nelle scene essenziali di Roberta Lazzeri, nei costumi di Gianna Poli (sui quali svetta il rosso di Don Magnifico) e nelle luci di Vincenzo Apicella, qui riprese da Sergio Toffali. Sul fronte musicale Maria Kataeva si dimostra interprete di livello con un bel colore vocale ed ottima resa scenica, conferendo al ruolo di Angelina una dimensione sospesa tra il sogno ed il reale anelito alla felicità, giungendo alle battute finali in trionfo come ampiamente sottolineato dai vibranti ed entusiasti applausi del pubblico.  Pietro Adaini, nei panni di Don Ramiro, restituisce al personaggio tutta la sua dignità aristocratica con una cantabilità nobile e lineare e facilità negli acuti, che però non sempre risultano a fuoco. Nulla da eccepire sul Don Magnifico di Carlo Lepore, ormai interprete rossiniano di riferimento, che si rivela sempre più degno erede della grande tradizione nel solco tracciato da Dara e Montarsolo, con voce potente ed indiscusse doti attoriali, oltre ad un’invidiabile disinvoltura nei passaggi di agilità e nei frenetici sillabati. Bene anche Alessandro Luongo il quale riesce efficacemente, nel ruolo del cameriere Dandini, a reggere adeguatamente un’ affettata regalità non priva di una certa ironia soprattutto nella sua cavatina Come un’ape ne’ giorni d’aprile. In sostituzione del previsto Gabriele Sagona, Matteo D’Apolito (già interprete del ruolo a Firenze) è il saggio consigliere Alidoro, personaggio che rende con fierezza intellettuale e nobiltà vocale. Le due terribili sorellastre erano rispettivamente Daniela Cappiello (Clorinda) e Valeria Girardello (Tisbe), entrambe perfettamente calate nelle loro parti, che riescono a gestire nel contrasto timbrico tra le due tessiture; forse un tantino eccessive nell’aspetto scenico, hanno comunque condotto felicemente in porto la loro recita. La direzione di Francesco Lanzillotta è brillante seppur tesa ad assecondare la cantabilità delle voci con tempi adeguati, tanto nelle arie quanto nei concertati grazie all’ottimo apporto dell’orchestra della Fondazione Arena. Molto bene il coro, sempre preciso e puntuale nei suoi interventi. Pubblico numeroso ed entusiasta, come testimoniato dagli applausi, soprattutto quello seguito al rondò finale Nacqui all’affanno, partito spontaneamente sulla coda orchestrale. Repliche il 22 e il 24 novembre. Foto Ennevi per Fondazione Arena.

Categorie: Musica corale

Bergamo, Donizetti Opera 2024: “Don Pasquale”; “Casa e bottega”

gbopera - Gio, 21/11/2024 - 08:17

Bergamo, Teatro Donizetti, Donizetti Opera 2024
“DON PASQUALE”
Dramma buffo in tre atti di Giovanni Ruffini
Musica di Gaetano Donizetti
Don Pasquale ROBERTO DE CANDIA
Norina GIULIA MAZZOLA
Ernesto JAVIER CAMARENA
Dottor Malatesta DARIO SOGOS
Un notaro FULVIO VALENTI
Orchestra Donizetti Opera
Coro dell’Accademia del Teatro alla Scala
Direttore Iván López-Reynoso
Maestro del coro Salvo Sgrò
Regia Amélie Niermeyer
Scene e costumi Maria-Alice Bahra
Luci Tobias Löffer
Coreografie Dustin Klein
“CASA E BOTTEGA” – Pagine per violino e pianoforte
Gaetano Donizetti: Sonata in fa minore per violino e pianoforte, “Impromptu” in re maggiore, Variazioni in fa maggiore
Violino Massimo Spadano
Pianoforte Francesco Libetta
Presentazione Paolo Fabbri
Bergamo,  17 novembre 2024
Titolo tra i più noti e rappresentati del catalogo donizettiano “Don Pasquale” sembra quasi sfuggire alle dinamiche festivaliere, l’allestimento bergamasco è stata però occasione per risentire l’opera integralmente come ricostruita dall’edizione critica a cura di Roger Parker e Gabriele Dotto. Non si tratta di stravolgimenti radicali ma di piccole modifiche e della riapertura di qualche inciso che non cambia la struttura generale ma puntualizza alcuni passaggi soprattutto sul piano narrativo. Finalmente sentiamo Norina chiedere quel “Pranzo da cinquanta” di cui solitamente Don Pasquale si lamenta senza che venga richiesto.
L’Orchestra Donizetti Opera era affidata per l’occasione a Iván López-Reynoso, giovane direttore messicano – poco più che trentenne – in fase di affermazione sulla scena internazionale. López-Reynoso vede nell’opera soprattutto la dimensione di commedia con ritmi rapinosi e sonorità brillanti mentre resta forse un po’ in secondo piano la componente patetica. Il suono orchestrale e nel complesso assai piacevole – pur con qualche eccesso fonico che si sarebbe potuto meglio controllare – così come sempre ben gestita è la fusione tra buca e palcoscenico nonostante l’estrema concitazione imposta dalla regia ai movimenti scenici.
Il cast  ci presenta qualche problema: Javier Camarena tenore che nelle scorse edizioni aveva elettrizzato il pubblico è apparso infatti in precarie condizioni di salute – un annuncio al riguardo sarebbe forse stato auspicabile – che l’hanno costretto a giocare in difesa. La classe resta sopraffina, la voce è ideale per la parte e la simpatia scenica impagabile, però è parso evidente la prudenza resa necessaria da una palese raucedine. Nessuna ombra sulla prova di Roberto De Candia, vero mattatore della serata. L’allievo di Sesto Bruscantini fornisce qui una prestazione degna del maestro. In un ruolo che sembra scritto per le sue corde De Candia non solo canta benissimo e con una assai bella come colore e facilissima nell’emissione – i sillabati sono al limite del credibile – ma soprattutto interpreta in modo superlativo. De Candia possiede ogni singola fibra del ruolo, sa dare il giusto colore, la giusta inflessione a ogni parola, a ogni accento. Non c’è nulla che sia neppure lontanamente fuori posto, non c’è nulla che non sia calibrato alla perfezione e che al contempo non trasmetta il senso di più totale naturalezza. Il risultato è un personaggio umanissimo per il quale è impossibile non provare empatia”. Gli altri interpreti sono giovani della Bottega Donizetti chiamati a cimentarsi con ruoli decisamente impegnativi. Giulia Mazzola è una Norina interessante. La voce è bella e ben proiettata, gli acuti sono facili e brillanti, il fraseggio già ricco e vario. Scenicamente simpatica e molto partecipe si cala bene nella parte ottenendone meritato successo. Dario Sogos è un Malatesta di bella presenza vocale, tecnicamente ben impostato e sicuro in tutta la gamma. Interpretativamente è però ancora un po’ scolastico e si sente l’inesperienza dovuta alla giovane età.
Alterno l’allestimento di Amélie Niermeyer tra buone idee di parenza e perdita di controllo progressiva. L’impianto scenico è moderno, una grande villa razionalista un po’ alla Pizzi dove abita Don Pasquale, attempato ma giovanile benestante alla moda – ci si chiede solo per quale ragione Norina voglia cambiare un arredamento di design all’ultimo grido. Ernesto è uno sfaccendato che vive alle spalle dello zio, Norina veramente una spiantata ridotta a vivere in un’auto parcheggiata dietro alla villa e sulla professionalità del Dottore si può nutrire qualche dubbio nel suo essere parte dello stesso mondo sub-proletario di Norina.
Il primo atto è nel complesso ben gestito, brillante e recitato con gusto. Forse i giovani sono un po’ troppo macchiettistici il che non li rende troppo simpatici e qualche scena e troppo caricata – davvero sguaiato per essere credibile il finto notaio – ma nell’insieme il gioco funziona. Il secondo atto è invece dominato da un horror vacui che tutto travolge, la regista riempie la scena di figure di cui sfugge il significato – il rosa elefante che apre l’atto apparentemente fuggito dagli incubi alcolici del Dumbo disneyano, fornitori vestiti con pigiami da orsetti, camerieri trasformati in ospiti di una festa di dubbio gusto, striscioni ideologici – senza che tutto questo riesca a comporsi in un racconto coerente.
La mattina del 17 novembre, presso la casa natale del compositore in Borgo Canale si è svolta – con introduzione di Paolo Fabbri – l’anteprima del nuovo CD – previsto in primavera per Sony Music – della registrazione integrale delle composizioni per pianoforte e violino di Donizetti affidate a Massimo Spadano e Francesco Libetta. La presentazione è stata accompagnata da alcuni brani eseguiti dal vivo. Per l’occasione Spadano ha suonato sul violino settecentesco con accordatura di budello usato per la registrazione mentre Libetta ha utilizzato un pianoforte moderno. Nel disco saranno invece utilizzati tre pianoforti d’epoca di fabbricazione napoletana, viennese e parigina ad accompagnare gli snodi fondamentali della carriera d’occasione.
Musiche d’occasione ma nel complesso assai piacevoli che tradiscono un modo di comporre che interpreta il pianoforte come orchestra e il violino come voce solista. Esemplare al riguardo l’Impromtu in re maggiore che sfugge alle convenzioni del genere – in generale le forme sono assai libere e lontane dal rigore delle coeve esperienze mitteleuropee – per presentarsi come una scena composta da recitativo, aria e da capo con variazioni.

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Roma, Teatro Vascello : “La Scortecata”

gbopera - Mer, 20/11/2024 - 23:59

Roma, Teatro Vascello
LA SCORTECATA
liberamente tratto da Lo cunto de li cunti
di Giambattista Basile 
testo e regia Emma Dante 
con Salvatore D’Onofrio, Carmine Maringola
elementi scenici e costumi Emma Dante 
luci Cristian Zucaro
produzione Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale, e Carnezzeria.
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone
Roma, 20 Novembre 2024
“Ahi, sfortunata vecchiaia, quanto sei schernita e ingannata, non tanto dagli altri quanto da te stessa!”
Emma Dante, con La Scortecata, affronta l’arduo compito di trasporre per la scena una delle fiabe di Giambattista Basile, tratte dalla celeberrima raccolta Lo cunto de li cunti. Questa operazione, che di per sé potrebbe apparire come un mero esercizio filologico, si trasforma invece in un profondo studio sulla natura del linguaggio, della teatralità e della condizione umana. la regista non si limita a rievocare le radici dialettali e popolari del testo: ella compie un atto di riscrittura che restituisce modernità senza sradicare la fiaba dalla sua matrice barocca. Il dialetto napoletano di Basile, ricco di proverbi e lazzi, si riflette nella partitura drammatica con una cadenza ritmica che non tradisce mai l’oralità del testo originario, offrendo una densità semiotica che sollecita la partecipazione attiva del pubblico. La vicenda narrata è quella del decimo trattenimento della iornata primma del Pentamerone: due sorelle anziane, Rusinella e Carolina, vivono miseramente in una catapecchia finché la voce di una di loro non seduce un re che, ingannato dall’apparenza di un dito giovanile, la porta nel proprio letto. L’esito è grottesco: la vecchia, scoperta, viene gettata dalla finestra, ma salvata da una fata che la trasforma in una bellissima giovane. La morale della fiaba, con la seconda sorella che, cercando di imitarla, finisce scorticata, non si riduce a una semplice denuncia della vanità femminile. La regista ne fa un’indagine antropologica sulla solitudine, sull’inganno e sull’ossessione per un ideale di bellezza che trascende epoche e culture. L’analisi psicologica si fa tagliente, esaminando le ambiguità umane con un tono disincantato, quasi cinico, ma capace di far emergere la profondità dell’animo. Il cuore dell’opera non è solo la narrazione di una fiaba, ma un’esplorazione del senso esperienziale della storia stessa. Le due sorelle anziane rappresentano la disperazione umana nel tentativo di sfuggire alla propria condizione. L’illusione della bellezza, l’inganno che perpetuano su loro stesse e sugli altri, è simbolo di un desiderio universale: il bisogno di trasformazione, di redenzione dalla miseria quotidiana. Tuttavia, la trasformazione fisica non equivale mai a una metamorfosi interiore. Questo divario crea una tensione che risuona fortemente con il pubblico, suggerendo una riflessione filosofica sul rapporto tra l’essenza e l’apparenza, sul valore effimero dell’estetica rispetto alla sostanza dell’essere. La regista sembra quasi suggerire che la ricerca della bellezza, come forma di riscatto, sia un inganno crudele e, al contempo, un impulso inevitabile della natura umana ed allo stesso tempo imprime al suo lavoro la consueta capacità di trasformare il minimalismo scenico in un universo simbolico. La scena, affidata alla stessa la regista, è spoglia: due sedie, una porta e un castello in miniatura bastano a delineare spazi fisici e mentali. La catapecchia delle due sorelle diviene metafora di un’esistenza ridotta all’essenziale, mentre il castello in miniatura rappresenta un’illusione di grandezza, una trappola per sogni irrealizzabili. la regista crea una drammaturgia che non cerca di stupire con effetti visivi, ma che indaga l’essenza stessa della teatralità, esprimendo il contrasto tra l’illusione scenica e la realtà psicologica dei personaggi. L’ironia è palpabile: il castello in miniatura, con la sua pretesa di grandezza, è un’ironica metafora delle ambizioni che ci fanno inciampare. Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola offrono una prova attoriale che trascende la semplice interpretazione di un ruolo. Essi diventano corpi narranti, capaci di trasmettere la comicità farsesca e, al contempo, il dramma esistenziale. Le loro voci modulano il dialetto, facendolo oscillare tra il lirico e il grottesco, mentre i gesti amplificano la condizione deformata delle due anziane. la regista sembra voler mostrare il grottesco come elemento inevitabile della condizione umana, dando voce ai desideri più intimi e contraddittori. Gli attori si fanno autori di un linguaggio scenico che vibra di autenticità, con una sottile ironia che rivela la tragica comicità delle loro esistenze. Le luci di Cristian Zucaro disegnano i contorni di una scena che vive di chiaroscuri barocchi. Il buio diviene un elemento narrativo, uno spazio in cui i corpi degli attori emergono come reliquie, fantasmi che vivono una condizione sospesa tra il reale e il fiabesco. La scena non è mai completamente illuminata, riflettendo la dicotomia tra il sogno di bellezza e l’inesorabile decadenza. Questo gioco di luce e ombra suggerisce una ricerca della verità che è sempre parziale, un percorso che si snoda tra luci e tenebre, senza mai svelarsi interamente. L’ironia cinica di la regista si manifesta anche qui: la bellezza resta sempre nel mezzo, irraggiungibile, come un gioco crudele del destino. La Scortecata non si limita a raccontare una fiaba. La regista utilizza la struttura fiabesca come pretesto per un’indagine sul teatro stesso, inteso come luogo di trasformazione e illusione. L’operazione metateatrale è esplicita: i due attori non si limitano a interpretare, ma “inscenano” continuamente, rompendo la quarta parete con complicità e ironia. la regista vede la scena come un luogo in cui il reale e l’immaginario si incontrano, e il pubblico è chiamato a partecipare non solo emotivamente, ma anche intellettualmente, cogliendo i riferimenti e le implicazioni di un testo che riflette sull’inganno come fondamento della rappresentazione scenica. Con La Scortecata, La regista consegna al teatro contemporaneo un’opera che si muove su un crinale pericoloso ma estremamente affascinante: quello tra tradizione e innovazione, tra barocco e minimalismo, tra il comico e il tragico. Lo spettacolo si pone come un’operazione colta, raffinata e al contempo visceralmente teatrale, che riesce a rendere una fiaba secentesca specchio inquietante della modernità. la regista dimostra che il teatro può essere un luogo di dialogo tra il passato e il presente, tra il vero e l’illusione, capace di esplorare le profondità dell’animo umano con uno sguardo acuto, disincantato e, perché no, beffardo.

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Roma, VIVE-Vittoriano e Palazzo Venezia: tornano a splendere le sculture dell’Altare della Patria grazie al contributo di Bvlgari

gbopera - Mer, 20/11/2024 - 18:59

Roma, VIVE
TORNANO A SPLEDERE LE SCULTURE DELL’ALTARE DELLA PATRIA
A seguito del grande progetto di restauro avviato dal VIVE, diretto da Edith Gabrielli
tornano a splendere le sculture del prospetto principale del Vittoriano grazie al contributo di Bvlgari a conferma del forte legame della Maison con la città di Roma ed il suo inestimabile patrimonio. Un’iniziativa di alto mecenatismo nata da una piena condivisione di intenti e valori fra il VIVE-Vittoriano e Palazzo Venezia e Bvlgari nell’ambito della conservazione e della valorizzazione del patrimonio storico-artistico. Diretto da Edith Gabrielli ed eseguito da Susanna Sarmati, il restauro – avviato a marzo scorso e concluso ad ottobre, nel pieno rispetto dei tempi previsti – ha coinvolto le sculture in marmo raffiguranti il Mare Adriatico di Emilio Quadrelli e il Mar Tirreno di Pietro Canonicale sculture in bronzo dorato raffiguranti Il Pensiero di Giulio Monteverde e L’Azione di Francesco Jerace e i pennoni di Gaetano Vannicola con le Vittorie di Edoardo Rubino e Edoardo De Albertis. Nel pieno rispetto dei principi metodologici del restauro italiano, una équipe di esperti operatori, fra le eccellenze del settore, è intervenuta per assicurare la conservazione e la leggibilità delle sculture marmoree e bronzee realizzate agli inizi del Novecento da alcuni dei più importanti artisti del panorama nazionale. L’intervento – interamente sostenuto da Bvlgari tramite l’Art Bonus – ha consentito, in particolare, di bloccare le forme di degrado presenti e di restituire la qualità del modellato delle superfici lapidee delle fontane così come le finiture dorate degli elementi in bronzo. Contestualmente il restauro ha permesso una più approfondita conoscenza dei processi di realizzazione dei manufatti artistici del monumento eseguiti, tutti nel medesimo periodo, da autori diversi. “Il Vittoriano, monumento di straordinaria importanza per la storia e l’identità della Nazione, è insieme una significativa opera d’arte: lo è per l’architettura di Giuseppe Sacconi, lo è per la decorazione plastica, eseguita da alcuni dei principali scultori dell’epoca. Restituito l’accordo cromatico fra il candore del marmo Botticino e la finitura dorata degli elementi in bronzo, il prospetto principale del Vittoriano si presenta oggi agli occhi di cittadini e turisti in tutta la sua magnificenza. Si tratta di un percorso che abbiamo intrapreso insieme a Bvlgari, attraverso una proficua alleanza pubblico-privato per la tutela e la valorizzazione del nostro patrimonio storico-artistico”, dichiara Edith Gabrielli, Direttrice del VIVE-Vittoriano e Palazzo Venezia. Jean-Christophe Babin, Ceo del Gruppo Bvlgari commenta: “Siamo immensamente orgogliosi di aver contribuito al restauro delle sculture del Vittoriano, un monumento straordinario e imponente che, con la sua maestosità, incarna un legame profondo tra passato e presente, ergendosi nel cuore di Roma e celebrando l’unita d’Italia. Il nostro intervento è stato soprattutto focalizzato verso le sculture di marmo e di bronzo, che noi consideriamo i gioielli del Vittoriano. La Città Eterna è da sempre una fonte inesauribile di ispirazione per Bvlgari, e per noi è fondamentale valorizzare, conservare e rendere accessibile al pubblico il suo straordinario patrimonio storico e culturale. Questo impegno rappresenta non solo una responsabilità verso la nostra storia, ma anche un valore imprescindibile per costruire un futuro che permetta di trasmettere la nostra eredità alle generazioni a venire.” Un patrimonio storico-artistico unico al mondo che, per l’intera durata dei lavori, è rimasto accessibile a cittadini e turisti grazie ad un programma di visite guidate che ha riscosso grande apprezzamento da parte del pubblico anche grazie alla possibilità di salire sui ponteggi e vedere dal vivo gli operatori a lavoro sulle opere. Una modalità, quella del “cantiere aperto” già adottata dall’Istituto in occasione del restauro conservativo dell’Altare della Patria volta ad avvicinare il pubblico ad una piena conoscenza del monumento.

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Donizetti Opera 2024: “Zoraida di Granata” (versione Roma 1824)

gbopera - Mer, 20/11/2024 - 15:12

Bergamo, Donizetti opera 2024
“ZORAIDA DI GRANATA”
Melodramma eroico su libretto di Bartolomeo Merelli e Jacopo Ferretti (versione rinnovata)
Musica di Gaetano Donizetti
Almuzir KONU KIM
Zoraida ZUZANA MARKOVÁ
Abenamet CECILIA MOLINARI
Almanzor TUTY HERNÀNDEZ
Ines LILLA TAKÁCS
Alì VALERIO MORELLI
Orchestra Gli Originali
Coro dell’Accademia Teatri alla Scala
Direttore Alberto Zanardi
Maestro del coro Salvo Sgrò
Regia Bruno Ravella
Scene e costumi Gary McCann
Luci Daniele Naldi
Bergamo, Teatro Sociale, 16 novembre 2024
Il progetto “#Donizetti200” è una sorta d’ideale percorso che di anno in anno accompagna la carriera di Donizetti presentando un’opera che compie duecento anni dalla rappresentazione valorizzando i titoli meno noti e frequentati. La proposta di quest’anno è parsa particolarmente interessante trattandosi della prima ripresa moderna di “Zoraida di Granata” nella versione rimaneggiata per Roma nel 1824. Il progetto complessivo – in collaborazione con il festival di Wexford – ha visto andare in scena nello stesso anno le due versioni con lo stesso allestimento. In Irlanda l’originale del 1822, a Bergamo la revisione del 1824 che segnò il primo autentico successo del compositore sulla scena romana destinato a segnare una svolta artistica – e anche umana (l’apertura dei salotti romani lo porterà a conoscere la futura moglie Virginia Vasselli) nella vita di Donizetti.
A Roma l’originario libretto di Merelli – tratta da quel “Gonzalvo da Corboda” che era già servito a Cherubini per “Les Abencérages” – è rivisto e ampliato da Jacopo Ferretti mentre sul piano musicale oltre alla musica per le nuove sezioni si riscontra soprattutto la riscrittura della parte del protagonista Abenamet – originariamente concepita per tenore – per mezzosoprano richiamandosi alla grande tradizione rossiniana. Opera giovanile ma in cui per la prima volta le qualità del giovane compositore riescono a farsi valere in modo compiuto. Il modello rossiniano è certamente imperante ma qualcosa di nuovo comincia a farsi strada, le formule non seguono più lo svolgimento previsto e in alcuni brani – come l’aria di Zoraida “Rose un dì spiegaste” già si percepisce quella che sarà la futura arte donizettiana. L’esecuzione musicale è affidata ad Alberto Zanardi, giovane direttore già assistente di Frizza e in possesso di un senso storico e stilistico di questo repertorio davvero ammirevole. La sua è una direzione curata, giustamente brillante – molta di questa musica lo richiede – ma capace anche di esaltare quel lirismo soffuso che già traspare e che sarà una delle cifre dell’estetica donizettiana. Alle prese con una partitura assai complessa tiene in mano con sicurezza le redini e riesce a valorizzarne i dettagli senza mai perdere il senso del grande affresco complessivo. L’Orchestra Gli Originali non è sempre inappuntabile ma ha il merito di dare a questa musica il giusto colore e la giusta intensità che trovano ambito ideale negli spazi ridotti del Teatro Sociale. Il Coro dell’Accademia Teatro alla Scala conferma i meriti che abbiamo riconosciuto nelle precedenti esibizioni.
Konu Kim – già nel cast di  Wexford – affronta il tiranno Almuzir con notevole baldanza vocale. Alle prese con una parte ampia e impegnativa – si ricordi che fu scritta per Donzelli – mostra una grande sicurezza su tutta la tessitura, con gravi pieni e acuti sicuri e ben proiettati. Non così nel fraseggio che risulta un po’ povero nel gioco di colori e accenti. Il cantante è ancora giovane e su questo terreno può sicuramente ancora maturare perché il materiale vocale è di sicuro interessante.
Cecilia Molinari splende radiosa nelle vesti dell’eroico Abenamet. La voce non è di grande ampiezza – ma poco importa in uno spazio come questo e con questo peso orchestrale – ma qualità di canto e fraseggio da autentica belcantista. Timbro morbido e seducente e tecnica impeccabile sono unite a un’interprete di sensibilità non comune. La nobiltà di un eroismo araldico e stilizzato, autenticamente classico, si unisce nella sua prova a una sincerità di affetti e di accenti che non può lasciare indifferente.
L’amata Zoraida è Zuzana Marková soprano ceco dal timbro cristallino e dall’innata eleganza. Pulita e precisa nelle colorature supera con sicurezza i passaggi d’agilità ma è soprattutto nei momenti più lirici e dolenti – come la già citata aria delle rose – che emerge al meglio la qualità di un canto di aristocratico nitore. Interpretativamente coglie il carattere volitivo di Zoraida, forte di fronte alle avversità senza mai rinunciare alla sua innata dolcezza.  La seducente figura e l’ottima dizione italiana completano ottimamente il quadro. Gli altri ruoli sono affidati ai giovani della Bottega Donizetti che hanno saputo farsi decisamente apprezzare. Valerio Morelli ha una voce di basso molto bella, ricca di suono e ben proiettata con cui da il giusto risalto al perfido Alì, vera anima nera della vicenda mentre la giovane ungherese Lilla Takács nei panni della schiava Ines affronta con gusto e bravura la non facile aria di sorbetto “Del destin la tirannia”. Troppo breve la parte di Almanzor per valutare più compiutamente la prova di Tuty Hernàndez.
La regia di Bruno Ravella declina il tema della guerra civile calandolo nella nostra contemporaneità. La scena si svolge nel luogo simbolo delle guerre balcaniche, la biblioteca di Sarajevo distrutta dai bombardamenti serbi e ricostruita in scena con notevole realismo. I costumi sono contemporanei, abiti eleganti per i civili e divise per i soldati. L’attualizzazione non aggiunge molto – certi temi sono sempre attuali e non è necessario modernizzarli forzatamente – però lo spettacolo e svolto con grande coerenza, e in fondo risulta convincente e non stridente con l’atmosfera dell’opera anche perché la vicenda è seguita con rigore e senza stravolgimenti narrativi. Le scene di Gary McCann sfruttano il ridotto palcoscenico del Teatro Sociale creando illusioni di monumentalità e molto suggestive risultano le luci di Daniele Naldi. Una nota di merito per l’ottima recitazione di tutti gli interpreti con un particolare elogio per la Molinari che si muove in scena con la naturalezza di una vera attrice. Foto Gianfranco Rota

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William Byrd (c.1543-1623): Pieter Jan Belder – “My Ladye Nevells Booke”

gbopera - Mer, 20/11/2024 - 10:03

William Byrd (c.1543-1623): “My Ladye Nevells Booke”. Pieter Jan Belder (clavicembalo). Registrazione: 26 maggio 2012 (tr. 8, 10-13), Novembre 2017 (tr.22-24), Marzo 2018 (tr. 31, 32 & 38) e 29-30 Settembre 2021, in Olanda. T. Time: 69′ 22″ (CD1), 68′ 27″ (CD2), 63′ 51″ (CD3). 3CD Brilliant Classics 96887
Il manoscritto “My Ladye Nevells Booke”, contenente musiche di William Byrd, sicuramente uno dei più famosi compositori inglesi del periodo rinascimentale insieme al più anziano Thomas Tallis, costituisce con il Fitzwilliam Virginal Book una delle principali fonti della musica inglese dell’epoca per strumenti a tastiera in area inglese. Copiato da John Baldwin, un corista della Cappella di Windsor, che, oltre a essere uno dei maggiori calligrafi dell’epoca, fu un grande ammiratore di William Byrd, questo manoscritto, risalente al 1591, consta di ben 192 fogli in formato oblungo, ciascuno dei quali composto da un pentagramma a 4 o a 6 linee, nei quali è possibile leggere ben 42 brani del compositore inglese. Passato alla storia come il “padre della musica”, secondo quanto fu scritto, dopo la sua morte, nei registri della Cappella Reale, Byrd visse in un periodo particolarmente turbolento della storia religiosa inglese, seguito allo scisma della chiesa Anglicana che tante divisioni aveva creato e che comunque non toccò il compositore inglese, il quale, nonostante fosse di fede cattolica, fu particolarmente apprezzato dalla regina Elisabetta I, amante della musica. In questa raccolta, della quale non si conosce con precisione la dedicataria, da identificarsi, secondo alcuni studiosi, in Elisabeth Nevill, moglie di Sir Henry Nevill della Casa di Billingbear, il cui stemma è riportato nel frontespizio, è possibile trovare una sintesi dello stile di Byrd che si esprime nelle varie forme dell’epoca, rappresentate dalle danze, come le pavane, per la verità un po’ cupe, e le gagliarde, dalle variazioni, dalle marce, dalle fantasie e da The Battell, scritta secondo alcuni dopo la vittoria della flotta inglese sull’Invincibile armata di Filippo II di Spagna o più verosimilmente ispirata alle Rivolte del Conte di Desmond per la presenza di una marcia irlandese . Non nuovo all’incisione di integrali, Pieter Jan Belder, al quale si deve una pregevole edizione di tutte le sonate di Scarlatti che, insieme a quella di Scott Ross, costituisce certamente un lavoro di riferimento, si accosta a queste composizioni con profondo senso dello stile e ne evidenzia la varietà sfruttando al meglio le possibilità foniche (il registro da quattro piedi per esempio in The flute and the droome della battaglia) e timbriche dei cinque strumenti di cui si è servito, tra i quali, insieme ad eccellenti copie, spicca un virginale originale di Johannes (?) Ruckers risalente al 1604. Si tratta, indefinitiva, di un’edizione di riferimento dell’opera del grande musicista inglese.

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Roma, Teatro dell’Opera: “Simon Boccanegra” dal 27 novembre al 05 dicembre 2024

gbopera - Mer, 20/11/2024 - 08:00

Roma, Teatro dell’Opera
SIMON BOCCANEGRA
di Giuseppe Verdi
su libretto di Francesco Maria Piave
Il Teatro dell’Opera di Roma si prepara a inaugurare un nuovo allestimento di Simon Boccanegra, il celebre melodramma in un prologo e tre atti di Giuseppe Verdi, su libretto di Francesco Maria Piave. Questo capolavoro, che intreccia potere, amore e riconciliazione, sarà presentato sotto la bacchetta del direttore musicale Michele Mariotti, per una produzione che promette emozioni intense e una qualità artistica eccelsa. La regia, affidata al visionario Richard Jones, si preannuncia innovativa, in grado di esplorare i risvolti più profondi del dramma verdiano. Le scene e i costumi, curati da Antony McDonald, offriranno un’esperienza visiva elegante e potente, arricchita dal lavoro del light designer Adam Silverman, capace di trasformare ogni attimo in un quadro vivido. La coreografia per i movimenti mimici è firmata da Sarah Kate Fahie, mentre il celebre Renzo Musumeci Greco, maestro d’armi di fama internazionale, si occuperà delle sequenze di duelli e azioni sceniche. Il Coro del Teatro dell’Opera di Roma, diretto da Ciro Visco, sarà protagonista di momenti corali che esalteranno la ricchezza musicale e drammatica dell’opera. L’opera vedrà alternarsi interpreti di straordinaria levatura. Nel ruolo del protagonista, il doge Simon Boccanegra, si esibiranno Luca Salsi e Claudio Sgura (nelle repliche del 29 novembre, 1 e 4 dicembre). A dar voce alla sua tormentata figlia Maria, conosciuta come Amelia, saranno Eleonora Buratto e Maria Motolygina. Il personaggio di Jacopo Fiesco, figura cardine della vicenda, sarà interpretato da Michele Pertusi e Dmitry Ulyanov, mentre il giovane e impetuoso Gabriele Adorno avrà il timbro e la passione di Stefan Pop e Anthony Ciaramitaro. A completare il cast, il malvagio Paolo Albiani, interpretato da Gevorg Hakobyan, e Luciano Leoni nei panni di Pietro. L’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma, diretta da Michele Mariotti, darà vita alla complessa e affascinante partitura verdiana, in un allestimento che si presenta come una nuova pietra miliare per il teatro romano. La profondità psicologica dei personaggi, unita all’impatto drammatico della musica e alla raffinatezza visiva della messa in scena, farà di questo Simon Boccanegra un appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati di opera. Le rappresentazioni si terranno dal 27 novembre al 05 dicembre, con un cast d’eccellenza pronto a rendere omaggio a uno dei titoli più amati del repertorio verdiano. Un’occasione unica per immergersi nell’intensità emotiva e nella bellezza musicale di un’opera senza tempo. Qui per tutti i dettagli.

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Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman: “Trappola per topi”

gbopera - Mar, 19/11/2024 - 23:59

Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman
La Pirandelliana

presenta
TRAPPOLA PER TOPI
di Agatha Christie
traduzione e adattamento Edoardo Erba
con Ettore Bassi, Claudia CampagnolaDario MerliniStefano AnnoniMaria Lauria, Marco Casazza, Matteo PalazzoRaffaella Anzalone
scene Luigi Ferrigno
costumi Francesca Marsella
musiche Paolo Silvestri
luci Antonio Molinaro
regia Giorgio Gallione
Roma, 19 Novembre 2024
La tormenta di neve che avvolge la pensione Monkswell Manor non è soltanto un mero sfondo atmosferico, ma un simbolo pregnante di mistero e di isolamento, che avvolge i protagonisti e ne acuisce il senso di vulnerabilità. In questo microcosmo sospeso, dove il tempo sembra perdere consistenza, Mollie e Giles Ralston accolgono un eterogeneo consesso di ospiti, ciascuno dei quali reca con sé un bagaglio di segreti irrisolti e un’aura di ambiguità. L’arrivo del sergente Trotter, col compito di svelare il nesso tra un recente omicidio a Londra e i presenti nella pensione, rappresenta l’elemento catalizzatore di una tensione già palpabile: una tensione che Christie dosa magistralmente, alternando sprazzi di ironia a momenti di suspense di impeccabile precisione. La storia di “Trappola per topi” non è solo una pietra miliare nella produzione della giallista inglese, ma anche un capitolo significativo della storia teatrale stessa. Debuttato all’Ambassadors Theatre di Londra nel 1952, è oggi lo spettacolo più longevo della scena mondiale. Eppure, il fascino di questo dramma non si limita alla sua longevità: è la straordinaria capacità della Christie di sondare le più riposte pieghe dell’animo umano a conferirgli un carattere universale. La produzione italiana curata dalla Pirandelliana riesce a riproporre l’opera non come una semplice rievocazione nostalgica, ma come una riflessione sui meandri della natura umana, mettendo in luce l’attualità di un testo che ancora oggi suscita domande e inquietudini. Giorgio Gallione firma una regia che si distingue per l’equilibrio tra fedeltà al testo e inventiva interpretativa. La regia evita con saggezza la trappola della riproduzione storica pedissequa, offrendo al pubblico una versione che, pur rispettosa del contesto originale, riesce a dialogare con il nostro presente. In questo senso, la sua regia appare essenziale e al contempo audace: le convenzioni dell’ambientazione britannica vengono decostruite, rimosse da quei cliché che avrebbero potuto farne una fredda ricostruzione d’epoca. La pensione Monkswell diventa un non-luogo, uno spazio simbolico in cui il mistero si traduce in inquietudine psicologica, più che in un mero espediente narrativo. L’ambientazione, curata da Luigi Ferrigno, traduce in scena l’atmosfera di isolamento e mistero evocata dal testo. La pensione è un microcosmo di tensioni latenti, in cui ogni oggetto diviene parte integrante del racconto: i mobili austeri, i colori smorzati, tutto contribuisce a una sensazione di attesa carica di presagi. I costumi di Francesca Marsella, accurati e capaci di delineare con eleganza le personalità dei personaggi, sono parte di una messinscena in cui nulla è lasciato al caso, mentre il disegno luci di Antonio Molinaro, con i suoi passaggi studiati tra toni morbidi e tagli drammatici, amplifica la tensione e guida lo sguardo dello spettatore verso il cuore pulsante dell’azione. Il cast è elemento di primaria importanza in questa produzione, e ogni interprete contribuisce con intensità e partecipazione a restituire il complesso gioco di relazioni e segreti sotteso alla trama. Ettore Bassi, nei panni del sergente Trotter, si distingue per una presenza scenica autorevole, capace di unire rigore e ironia, mentre Claudia Campagnola, come Mollie Ralston, offre una performance che gioca con sapienza tra fragilità e determinazione. Gli altri attori – Dario Merlini, Stefano Annoni, Maria Lauria, Marco Casazza, Matteo Palazzo e Raffaella Anzalone – compongono un quadro corale che ben rende la complessità emotiva dei loro personaggi, ciascuno con le proprie ombre e vulnerabilità. Gallione dimostra di cogliere appieno la modernità dell’opera di Christie, esplorando, al di là dell’intreccio giallo, le tematiche più profonde che la sottendono: il labile confine tra innocenza e colpevolezza, la solitudine che si fa eco delle nostre paure più recondite, la fragilità dell’essere umano di fronte al sospetto e alla rivelazione. “Trappola per topi” non è solo un intricato gioco di indizi e false piste, è un’indagine sull’animo umano, su quel lato oscuro che ciascuno di noi preferirebbe non svelare. La produzione del Teatro Quirino è un omaggio rispettoso e insieme innovativo a un classico immortale, un’opera che riesce a sorprendere ancora oggi, nonostante i decenni trascorsi dalla sua prima rappresentazione. Lo spettatore viene coinvolto non soltanto nella risoluzione dell’enigma, ma anche in una riflessione più ampia sulle dinamiche del sospetto, sulle maschere che ciascuno indossa e sui segreti che vorrebbe celare. “Trappola per topi” si conferma così un capolavoro senza tempo, capace di affascinare e catturare il pubblico, regalando ancora una volta quell’emozione unica che solo il teatro sa dare.

Categorie: Musica corale

Bergamo, Donizetti Opera 2024: “Roberto Devereux”

gbopera - Mar, 19/11/2024 - 19:54

Bergamo, Donizetti Opera 2024
“ROBERTO DEVEREUX”
Tragedia lirica in tre atti di Salvatore Cammarano
Musica di Gaetano Donizetti
Elisabetta JESSICA PRATT
Il duca di Nottingham SIMONE PIAZZOLA
Sara RAFFAELLA LUPINACCI
Roberto Devereux JOHN OSBORN
Lord Cecil DAVID ASTORGA
Sir Gualtiero Raleigh IGNAS MELKINAS
Un famigliare di Nottingham e un Cavaliere FULVIO VALENTI
Orchestra Donizetti Opera
Coro dell’Accademia Teatro alla Scala
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del coro Salvo Sgrò
Regia Stephen Langride
Scene e costumi Katie Davenport
Luci Peter Munford
Bergamo, Teatro Donizetti, 15 novembre 2024
Compie dieci il Donizetti Opera, dieci anni che hanno saputo porre questo Festival come punto importante non solo nell’ambito musicale internazionale, ma anche come appuntamento vissuto e partecipato dalla città stessa di Bergamo che vive nel segno di Donizetti. Dieci anni che segnano anche l’ultima stagione di Francesco Micheli che – al netto di qualche distinguo su alcune scelte artistiche – di questa visione aperta del Festival è stato il grande ideatore e artefice.
Decennale che si apre con uno degli estremi capolavori del maestro bergamasco quel “Roberto Devereuxin cui l’anima più oscura del romanticismo penetra nelle fibre più profonde dell’opera italiana, supera le convenzioni della stagione belcantista e apre a una visione drammatica che non solo apre a quella verdiana ma si spinge in avanti a livello d’intensità e coerenza che Verdi raggiungerà solo nella piena maturità.
Grande merito quindi quello di Riccardo Frizza di aver colto ed esaltato queste componenti. Frizza evita la trappola di quella cupezza che tende a caratterizzare l’opera e che può rischiare di schiacciarla per trovare una cifra di autentica drammaticità in cui la cupa cappa del destino che tutto domina si anima di tensione nervose profonde, scoppia di scariche elettriche vanamente represse, si apre in un lirismo che è gemito di cuori sofferenti. Una lettura di estrema coerenza ed efficacia che non solo conferma Frizza tra i massimi interpreti belcantisti del nostro tempo ma dimostra le sue qualità di uomo di teatro. Assai positive le prove dell’Orchestra Donizetti e del Coro dell’Accademia della Scala forgia di quella qualità unica che bisogna riconoscere alla tradizione corale scaligera.“Roberto Devereux” è anche uno degli estremi esiti del belcanto italiano pensato per qualità vocali fuori dal comune e autentico cimento per chiunque sia chiamato a interpretarlo. Protagonista assoluta – cui solo il titolo è negato – Elisabetta trova interprete di sommo interesse in Jessica Pratt. La cantante australiana poteva sulla carta non apparire interprete ideale, virtuosa cristallina ma più portata ad ambiti più lirici che drammatici. La Pratt però ci impone di riflettere sulla vocalità di Elisabetta e su come vada percepita ricollegandosi idealmente Giuseppina Ronzi de Begnis creatrice del ruolo che le fonti ricordano somma mozartiana e più rivolta al passato classico che proiettata ai futuri turgori. Una lettura quindi che si fa recupero di una vocalità che guarda oltre alla tradizione novecentesca per tornare alle origini stesse del titolo. La voce di bellissimo colore, la purezza di una linea di canto ineccepibile, la qualità della vocalista di rango – le puntature aggiunte sono abbaglianti per fermezza e sonorità – si uniscono a un’interprete sensibile e raffinata, capace di cogliere la natura lacerata di Elisabetta, divisa tra affetti e potere e capace di trovare accenti di autentica commozione – quanta verità in quel “Non sia chi dica in terra”.
Al debutto nel ruolo ha tradito un po’ di emozione in “L’amor suo mi fe beata” ma con lo scaldarsi della voce i timori sono scomparsi in uno straordinario crescendo.
John Osborn è un Devereux ideale. La voce unisce solidità e squillo, si è fatta robusta nei centri senza perdere slancio. Anche lui parte un po’ prudente ma passato il primo duetto acquisisce sicurezza e slancio fino a una magistrale esecuzione della grande aria dove alla prestazione vocale si unisce un’autentica partecipazione emotiva. Il suo è un Roberto nobile e sincero tanto nella passione per Sara quanto nella dedizione alla regina, un personaggio vero e profondo.
Raffaella Lupinacci riesce a dare risalto da autentica protagonista a una figura non facile da centrare come Sara. Voce particolare, forse non bellissima ma molto espressiva, timbro da mezzosoprano ma giustamente chiaro e luminoso, sicurissima su una tessitura decisamene alta rende pienamente la natura vocalmente ambigua di queste parti. Interpretativamente tratteggia un personaggio di forte spessore, nobile e appassionato, vittima non passiva del fato inesorabile.
Simone Piazzolla (Nottingham) ha qualche imprecisione nell’aria di sortita ma anche lui va crescendo nel corso dell’opera. Il timbro è davvero bello e lo aiuta non poco. Ci è parso più a suo agio nei furori del marito vendicatore che nell’astratta nobiltà dell’amico generoso. Ottime le prove di David Astorga, Ignas Melkinas e Fulvio Valenti nei ruoli di contorno. Lo spettacolo non manca di suggestione visiva. L’ambientazione è tradizionale anche se non pienamente realistica. Le scene di Katie Davenport sono essenziali e stilizzate e trasmettono un senso di cupa oppressione. Il tema della morte è onnipresente. Lo spettro futuro di Elisabetta si muove tra gli spazi, simboli funerari, teschi e fiori rinsecchiti dominano l’apparato scenico animato da proiezioni di documenti autografi d’epoca. L’immaginario è quello delle Vanitas tanto care all’arte tardo rinascimentale e barocca che ben si adatta al clima dell’opera. Lo stesso tema ritorna nel costume – splendido – di Elisabetta con la grande natura morta dominata da un teschio sepolcrale che ne decora la gonna. Molto belli anche gli altri costumi sospesi tra realismo e simbolo in una sorta di Cinquecento onirico e disturbante.
Ci lascia un po’ perplessi il lavoro registico di Stephen Langridge la cui mano di solida tradizione cede ad alcune cadute di gusto fino al limite del comico involontario – le guardie che giocano all’impiccato con le spade sullo steccato che imprigiona Roberto, l’inspiegata gravidanza di Sara  – che rischiano di compromettere uno spettacolo nel complesso sobrio e funzionale.
Un successo trionfale ha accolto tutti gli interpreti, splendido viatico per il prosieguo del festival e augurio per un futuro che appare ancora nebuloso.

Categorie: Musica corale

Roma, Musei Capitolini: “Tiziano, Lotto, Crivelli E Guercino. Capolavori della Pinacoteca di Ancona” dal 26 novembre 2024 al 30 marzo 2025

gbopera - Mar, 19/11/2024 - 17:03

Roma, Musei Capitolini
“Tiziano, Lotto, Crivelli E Guercino. Capolavori della Pinacoteca di Ancona”
dal 26 novembre 2024 al 30 marzo 2025
La maestosa Pala Gozzi (1520), capolavoro assoluto di Tiziano Vecellio insieme ad altre 5 celebri opere, tutte di carattere religioso e provenienti dalla Pinacoteca Podesti di Ancona, saranno eccezionalmente esposte, per la prima volta a Roma, in occasione del prossimo Giubileo, dal 26 novembre nelle sale di Palazzo dei Conservatori ai Musei Capitolini. 6 prestigiose tele – delle quali 5 pale d’altare di grandi dimensioni e una piccola ma lussuosa tempera su tavola – saranno protagoniste di un percorso espositivo che racconta l’importanza della collezione della Pinacoteca Podesti e, in filigrana, la ricchezza della città dorica committente dei maggiori artisti italiani fra Cinquecento e Seicento. Si potranno quindi ammirare la Circoncisione dalla chiesa di San Francesco ad Alto, opera di Olivuccio Ciccarello, interprete principale del rinnovamento della pittura anconetana che fiorì fra Trecento e Quattrocento; la preziosa Madonna con Bambino di Carlo Crivelli, icona della collezione dorica e somma realizzazione del pittore veneto che visse e operò nelle Marche; la Pala dell’Alabarda di Lorenzo Lotto, per la chiesa di Sant’Agostino, in cui si esplicita l’emozionante talento del pittore veneziano, esule a più riprese nella regione. Ancora di Tiziano sarà esposta la monumentale Crocifissione realizzata per la chiesa di San Domenico in cui l’artista esplora la tragedia e la sofferenza umana. Chiude la rassegna l’imponente Immacolata di Guercino, in cui la delicata figura della Vergine si staglia su un paesaggio marino il cui modello potrebbe essere la baia di Ancona. Con questa mostra si intende avviare un percorso di valorizzazione nazionale della collezione anconetana, con lo scopo di restituire ai cittadini e ai visitatori lo spaccato di un periodo cruciale della storia del gusto, del collezionismo e della museologia nella città marchigiana. Un lavoro che proseguirà con il riallestimento della Pinacoteca Civica Podesti, aperta nel dopoguerra dall’allora soprintendente Pietro Zampetti, con le opere salvate dai bombardamenti da un altro grande protagonista della storia della tutela, Pasquale Rotondi, l’eroico direttore del Palazzo Ducale di Urbino a cui si deve la salvaguardia del patrimonio artistico nazionale negli anni tumultuosi del secondo conflitto mondiale. La mostra romana, con questa importante esposizione delle pale d’altare della città dorica, oltre a testimoniare la sacralità e l’importanza che assunse l’arte adriatica del ‘500, anticipa gli eventi culturali previsti per il prossimo Giubileo. Promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali, con il patrocinio di Giubileo 2025 – Dicastero per l’Evangelizzazione, la mostra è organizzata da Arthemisia in collaborazione con Comune di AnconaAncona CulturaPinacoteca Civica di AnconaRegione Marche e Palazzo Ducale di Urbino – Direzione Regionale Musei Nazionali Marche ed è curata da Luigi Gallo, Direttore della Galleria Nazionale delle Marche e da Ilaria Miarelli Mariani, Direttrice della Direzione dei Musei Civici della Sovrintendenza Capitolina. Servizi museali di Zètema Progetto Cultura.

Categorie: Musica corale

Teatro del Maggio Musicale Fiorentino: Federico Maria Sardelli e Bruno de Sá, in concerto

gbopera - Mar, 19/11/2024 - 16:49

Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, Stagione Lirica “Autunno 2024”
Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Federico Maria Sardelli
Sopranista Bruno De Sá
Johann Anton Filtz: Sinfonia op.II n.2 in Sol minore; Wolfgang Amadeus Mozart: Aria di Sifare “Lungi da te mio bene” (da Mitridate, re di Ponto); Luigi Cherubini: Aria di Lauso “No, non cercar per ora” (da Mesenzio, re d’Etruria); Carl Philipp Emanuel Bach: Sinfonia in Re maggiore Wq 176, H 651; Wolfgang Amadeus Mozart: “Exultate, jubilate” K 165; Sinfonia n.39 in Mi bemolle maggiore K 543
Firenze, 15 novembre 2024
Quando due artisti fuori dal comune si uniscono all’interno dello stesso recital non desta stupore che un luogo enorme come la Sala Metha del Teatro del Maggio registri il tutto esaurito. Da un lato c’è  squisito direttore d’orchestra che è anche compositore, flautista, romanziere, saggista, vignettista e pittore (di tale livello da venire esposto in modo permanente alla Galleria degli Uffizi); dall’altro il sopranista brasiliano, non ancora trentacinquenne, Bruno De Sá, fulgida stella in quel firmamento dei cantanti falsettisti che continua a esercitare grande fascino presso un pubblico sempre più trasversale, anche sul piano anagrafico. Se a tale vocalità è impossibile surrogare l’arte perduta dei castrati, è al contrario assai agevole diventare un simbolo di quella ‘fluidità di genere’ che in molti paesi viene a tutt’oggi osteggiata. Ascolteremmo, dunque, con lo stesso entusiasmo le performances di De Sá se fosse un soprano donna con la fascia delle note gravi che perde assai di volume (chi scrive distava dalla sua ugola sette metri) e nei sovracuti fa avvertire una certa contrazione? Probabilmente sì per il bellissimo e ottimamente proiettato suono del range medio-acuto, impreziosito da frequenti ‘filati’ (che di norma non associamo al repertorio barocco) o per i sempre ben sgranati passaggi di coloratura; ma ancor più per aver il coraggio di recuperare brani dimenticati di autori eccelsi (come Cherubini) o di carneadi (come il Luigi Caruso del bis, l’aria tratta dal Fanatico per la musica “In mezzo a mille affanni”) e confezionare con essi un CD per Warner Classic (il titolo è Mille affetti; oltre ai brani offerti in questo concerto contiene pagine inedite di Seydelmann, Reichardt e Alessandri). Di questa passione nell’indagare il repertorio serio e comico più scognito De Sá è capace di trasmettere tutta l’energia, conferendo una spiccata teatralità alle arie, specie nelle ampie cadenze (funzionali, va da sé, a esaltare i preziosi acuti che mandano il pubblico in visibilio). Non si dovrebbe mai giudicare un cantante dall’abbigliamento bizzarro o dalle stravaganze delle movenze sul palco, bensì dalla sua intelligenza interpretativa e De Sá ne possiede molta; non avrebbe raggiunto altrimenti un esito così intenso nella splendida aria di Sifare dove il suo timbro si sposava alla perfezione con quello del corno concertante, suonato in modo sublime da Alessio Dainese. Più tradizionale è apparsa l’interpretazione del mottetto Exultate, jubilate sulla quale gravava forse il ‘peso’ dei tanti falsettisti che, sin da Aris Christofellis, ne hanno fatto un cavallo di battaglia. Negli affondi verso il registro grave dell’aria di Lauso dal Mesenzio cherubiniano si è ben percepito il ‘lato maschile’ di questo ‘male soprano’ (come ama definirsi) che sul fattore androgino punta per consolidare il proprio successo ma che, glielo si augura, farà sempre più leva sui suoi preziosi progetti di riscoperta del secondo Settecento dimenticato o, meglio, obnubilato dalla presenza titanica di Mozart. Sardelli, da tutti conosciuto come il custode del ‘verbo’ vivaldiano, è un fine conoscitore anche del genio salisburghese che egli interpreta ricollocandolo nel contesto stilistico d’appartenenza e quindi sottraendolo a una mitografia che lo vuole antesignano dei maestri del grande Ottocento e che, pertanto, esige sia cantato come Verdi, Wagner e Puccini o suonato come Brahms. La direzione di Sardelli fa sembrare nuovo un brano arcinoto come la terzultima Sinfonia di Mozart grazie ai tempi più rapidi negli Allegro, ai giochi di contrasti dinamici più spiccati (quegli sforzando indicati come fp nei manoscritti e trascurati da tanti direttori), alle distinzioni sofisticate fra diversi tipi di staccato o di articolazioni degli archi, alla presenza del cembalo (qui l’ottimo Andrea Perugi) come retaggio del basso continuo ancora ben presente nella Vienna del 1788. Stesso discorso si può fare per i brani assai meno conosciuti (ma oggi facilmente reperibili sul web) del violoncellista Filtz (morto a soli 26 anni ma autore di centinaia di brani sinfonici e cameristici alla corte di Mannheim) e di Carl Philipp Emanuel Bach, interpretati rimarcando il nervosismo di fraseggio e la varietà di colori dinamici. Sardelli dirige senza bacchetta perché concerta secondo la prassi di un’epoca in cui la classica figura del direttore d’orchestra era di là da venire; e lo fa con una sicurezza di gesto che gli deriva dal cospicuo studio condotto sulle fonti originali. Lo segue attenta e partecipe l’Orchestra del Maggio, pienamente a suo agio con un repertorio che non è certo abituale nella programmazione concertistica invalsa nei grandi enti lirico-sinfonici e che potrebbe essere ben più spesso frequentato considerando l’entusiasmo di un pubblico tanto numeroso quanto variegato. Foto Michele Monasta

Categorie: Musica corale

Roma, Sala Umberto: ” Jannacci e d’intorni. Una storia raccontata e cantata” dal 21 novembre al 01 dicembre 2024

gbopera - Mar, 19/11/2024 - 11:42

Roma, Sala Umberto
JANNACCI E DINTORNI
UNA STORIA RACCONTATA E CANTATA
Con Simone Colombari e Max Paiella
e con Attilio Di Giovanni
(pianoforte e direzione musicale), Gino Marinello (chitarra classica ed elettrica), Alberto Botta (batteria e percussioni), Flavio Cangialosi (basso e fisarmonica), Mario Caporilli (tromba e flicorno), Claudio Giusti (sax, tenore e contralto)
regia di Lorenzo Gioielli
Un concentrato di Jannacci in un’epoca non lontana, e di chi c’era nei dintorni Giorgio Gaber, Adriano Celentano, Dario Fo. Ma anche i pazzi artistoidi che hanno prodotto capolavori come “El purtava i scarp del tenis” oppure “Vengo anch’io no tu no”. L’amore per il rock, per il jazz ma soprattutto per le persone e le loro storie raccontate nelle canzoni di Jannacci, qualcosa di indefinibile, leggere come aria e allo stesso tempo spesse e profonde, definitive. Jannacci noi lo possiamo vedere in tanti modi diversi, nei dialoghi al bar nel rigore sbagliato, nella foto di un figlio senza motorino, in Cochi e Renato, in Paolo Conte, in Walter Chiari, in Dario Fo, nel Jazz in un locale fumoso, nel cielo grigio ma anche n un prato verde in una foto in bianco e nero di una donna davanti ad una fabbrica in inverno che si chiamava vincenzina. La storia minima di Jannacci vista da un toscano e un romano, un po’ narrata, concentrata, un po’ cantata da Simone Colombari e Max Paiella. Qui per tutte le informazioni.

 

Categorie: Musica corale

Roma, Castel Sant’Angelo: “Forme e Colori dall’Italia Preromana. Canosa di Puglia”

gbopera - Lun, 18/11/2024 - 23:53

Roma, Castel Sant’Angelo
“FORME E COLORI DELL’ITALIA PREROMANA, CANOSA DI PUGLIA”
Curata da Massimo Osanna (Direttore Generale Musei) e Luca Mercuri (Direttore Regionale Musei Puglia)
Roma, 18 Novembre 2024
Nel maestoso abbraccio di Castel Sant’Angelo, luogo intriso di storia millenaria, si è aperta la mostra “Forme e Colori dall’Italia Preromana. Canosa di Puglia”. Questo straordinario evento non è una semplice esposizione di reperti, ma un viaggio emotivo e intellettuale attraverso il tempo, una celebrazione della civiltà Dauna che fiorì tra il IV e il II secolo a.C. Curata con maestria da Massimo Osanna, Direttore Generale Musei, e Luca Mercuri, Direttore Regionale Musei Puglia, la mostra è un trionfo di rigore scientifico e sensibilità artistica, capace di trasportare il visitatore in un universo di simboli, rituali e bellezza senza tempo. Il percorso espositivo è stato concepito con un’attenzione minuziosa alla narrazione visiva e spaziale, trasformando le sale di Castel Sant’Angelo in un teatro dove i reperti diventano protagonisti di una storia dimenticata. La luce, morbida e direzionale, accarezza le superfici degli oggetti, esaltando i dettagli dei mosaici, la lucentezza dei bronzi e le sfumature cromatiche delle ceramiche. La scelta di una palette luminosa calda e dorata non è casuale: essa richiama i toni del tufo pugliese, materiale che ha dato forma agli ipogei dauni, creando un legame simbolico tra il luogo d’origine dei reperti e lo spazio espositivo. Gli oggetti sono collocati in teche di vetro minimaliste, che sembrano sospese nell’aria, quasi a voler sottolineare la loro natura eterea e il loro ruolo di testimonianze di un passato che sfida il tempo. Ogni teca è accompagnata da pannelli esplicativi che coniugano rigore accademico e una prosa evocativa, permettendo al visitatore di comprendere non solo l’oggetto in sé, ma anche il contesto culturale e sociale in cui esso fu creato e utilizzato. Tra i protagonisti della mostra spiccano gli ipogei, tombe scavate nel tufo locale che ospitavano le sepolture delle élite daune. Ogni oggetto recuperato da queste necropoli racconta una storia: le armature, simbolo di potere e prestigio, evocano il ruolo dei guerrieri nelle dinamiche sociali; le ceramiche dipinte con motivi geometrici o figurativi narrano di un’estetica raffinata e di una cultura che intrecciava il sacro e il profano. E poi vi sono i gioielli, ornamenti preziosi che non erano solo simboli di ricchezza, ma amuleti carichi di significati apotropaici, strumenti di comunicazione tra il mondo terreno e quello ultraterreno. Uno dei pezzi più affascinanti è una corona d’oro, finemente decorata con motivi vegetali, che, come una voce sussurrata attraverso i secoli, ci parla della sacralità attribuita al rito funebre e del legame indissolubile tra i vivi e i morti. Accanto ad essa, le statuette votive in terracotta sembrano dialogare con il visitatore, invitandolo a immaginare il fervore religioso e il senso di appartenenza comunitaria che permeava la vita quotidiana dei Dauni. L’allestimento si sviluppa in un crescendo emotivo, conducendo il visitatore attraverso un percorso che alterna la grandiosità degli oggetti cerimoniali alla delicatezza dei manufatti di uso quotidiano. Le sale, scandite da archi e nicchie, amplificano l’effetto scenografico, mentre una colonna sonora discreta, composta da suoni naturali e melodie evocative, accompagna il visitatore, immergendolo in un’atmosfera che oscilla tra il reale e l’immaginario. Un’installazione multimediale posta al centro di una delle sale principali proietta immagini degli ipogei di Canosa, ricostruiti con tecnologie avanzate. Questa scelta non solo arricchisce l’esperienza visiva, ma rende tangibile l’architettura funeraria dauna, permettendo al pubblico di entrare, seppur virtualmente, in quegli spazi sacri. È un’esperienza che amplifica la percezione del tempo come fluido, dove passato e presente si intrecciano in una danza eterna. Canosa, definita dal sindaco Vito Malcangio “una piccola Roma”, è un gioiello dell’archeologia italiana. Situata nella regione della Daunia, questa città fu un crocevia culturale dove convivevano influenze greche, romane e locali. Tra i suoi tesori più celebri si annoverano l’Ipogeo del Cerbero, l’Ipogeo Lagrasta e l’Ipogeo degli Scocchera, complessi monumentali che testimoniano l’abilità tecnica e artistica delle popolazioni antiche. Oltre agli ipogei, Canosa vanta un patrimonio archeologico che include il Battistero di San Giovanni, un esempio unico di architettura paleocristiana, e i resti del tempio dedicato alla dea Minerva. Questi luoghi, insieme ai reperti esposti a Castel Sant’Angelo, raccontano una storia di connessioni culturali e trasformazioni che continua ad affascinare studiosi e appassionati. La mostra, che rimarrà aperta fino al 2 febbraio 2025, non è solo un omaggio al passato, ma un invito a riflettere sul valore della tutela del patrimonio culturale. Ogni reperto esposto è un testimone silenzioso che ci ricorda l’importanza di custodire e tramandare le radici della nostra identità. Come ha sottolineato l’europarlamentare Francesco Ventola, questa esposizione è solo l’inizio di un viaggio che porterà le meraviglie di Canosa in altre città, consolidando il ruolo della cultura come ponte tra passato e presente, tra locale e globale. La scelta di Castel Sant’Angelo come luogo ospitante non è casuale: esso stesso è un simbolo di stratificazione storica, un monumento che unisce in sé epoche e stili, creando un dialogo tra le diverse anime del nostro patrimonio. “Forme e Colori dall’Italia Preromana. Canosa di Puglia” significa intraprendere un viaggio nell’essenza dell’umanità, un viaggio che ci ricorda quanto il passato sia una bussola per orientare il nostro presente e costruire il futuro. Qui il nostro link sulla mostra a Città del Messico.

Categorie: Musica corale

Pompei, Parco Archeologico:” Riapre la Casa della Fontana Piccola”

gbopera - Lun, 18/11/2024 - 23:19
Pompei, Parco Archeologico
RIAPERTURA DELLA CASA DELLA FONTANA PICCOLA
Con la riapertura al pubblico della casa della Fontana Piccola giovedì 21 novembre
, a seguito della conclusione del cantiere di restauro, si inaugura la nuova stagione dell’iniziativa Raccontare i cantieri”. L’iniziativa, alla sua quarta edizione, consentirà ogni giovedì fino al 17 aprile 2025 (alle ore 10,30), ai possessori della MyPompeii Card la visita ai cantieri di valorizzazione e restauro in corso presso i siti del Parco archeologico di Pompei.  Il primo cantiere della Casa della Fontana Piccola sarà illustrato ai visitatori dai funzionari e restauratori del Parco che hanno seguito i lavori, giovedì 21 novembre a partire dalle ore 10,30. Collocata in una posizione importante lungo Via di Mercurio, la casa è organizzata in modo tale che sin dall’ingresso sia possibile scorgere la splendida fontana che decora il giardino della parte posteriore, e intuire l’elevato stato sociale del proprietario. La preziosa fontana è rivestita di mosaici colorati e conchiglie ed è ornata dalla statua bronzea di un pescatore e di un Amorino (esposti in copia). Tutto intorno, le pareti laterali del peristilio sono affrescate con grandi vedute di paesaggio eseguite pochi anni prima dell’eruzione, tra cui notevole è la rappresentazione di una città marittima, tema molto in voga nelle rappresentazioni dell’epoca e particolarmente adatto alla decorazione di giardini. Le coperture in cemento dei due atri, riposizionate all’altezza originaria, risalgono ad un restauro del 1971 e restituiscono la percezione della volumetria antica dell’abitazione. La casa è stata oggetto di interventi di manutenzione straordinaria delle coperture. Tra le principali operazioni condotte, spicca il rinforzo strutturale delle travi in calcestruzzo dell’atrio principale, effettuato con l’impiego di materiali FRP, insieme alla completa sostituzione del suo manto di copertura. Un’attenzione particolare è stata dedicata alla revisione della copertura del peristilio, per garantire una protezione ottimale dagli agenti atmosferici, e all’impermeabilizzazione di tutti i solai piani, intervento fondamentale per prevenire infiltrazioni d’acqua che potrebbero danneggiare le strutture storiche. Inoltre, è stata effettuata la messa in sicurezza degli apparati decorativi del peristilio, preservandone l’integrità e la bellezza. Questo ciclo di lavori è stato completato dal restauro dei blocchi in muratura della facciata della Fontana Grande, domus adiacente alla Fontana Piccola, intervento complesso per la movimentazione dei singoli blocchi, e testimonianza del continuo impegno del Parco nella salvaguardia e nella valorizzazione del patrimonio storico di Pompei. L’iniziativa “Raccontare i cantieri” fino al 17 aprile 2025, consentirà di conoscere 20 cantieri del sito di Pompei e del sito di Oplontis. Dalla Casa della Fontana Piccola allo Scavo IX-10, dalla Casa dell’Atrio all’Insula Occidentalis. E poi, ancora, le Terme del Foro, l’Insula Meridionalis, la Necropoli di Porta Stabia, l’Insula dei Casti Amanti, il cantiere di Civita Giuliana, la Casa di Leda, i Granai del Foro, la casa di Cesio Blando, la casa di Giulio Polibio a vari altri cantieri. Un’occasione per conoscere la delicata e al tempo stesso complessa attività di scavo, di messa in sicurezza, restauro e manutenzione, attraverso il racconto e la visione in diretta degli esperti sul campo – archeologi, architetti, restauratori e ingegneri. Ma anche un’occasione di poter fruire in anteprima assoluta di dimore di eccezionale pregio e raffinatezza o di straordinaria condizione di ritrovamento . L’iniziativa è organizzata dall’ufficio Tecnico del Parco.  Tutti i possessori della MyPompeii Card o i nuovi acquirenti potranno prenotare la visita prescelta, secondo il seguente calendario, al seguente indirizzo mail: mypompeiicard@cultura.gov.it  Le prenotazioni dovranno pervenire almeno un giorno prima rispetto alla data prescelta, ed entro le ore 14.00.  I gruppi di visitatori dovranno essere costituiti da un massimo di 20 persone per turno.
Categorie: Musica corale

Napoli, Teatro San Carlo: “Respiro/ Breath”. La stagione 2024 – 2025.

gbopera - Lun, 18/11/2024 - 21:33

Napoli, Teatro San Carlo
RESPIRO/ BREATH
LA STAGIONE 2024 – 2025
Dodici titoli operistici, quattro balletti e ventuno concerti, insieme alla quarta edizione del Festival Pianistico e della rassegna di Musica da Camera: il Teatro di San Carlo presenta “Respiro / Breath”, la Stagione 2024-2025 che inaugura mercoledì 20 novembre 2024 con Rusalka di Antonín Dvořák per la regia di Dmitri Tcherniakov, al suo debutto al Lirico di Napoli. Sul podio il direttore musicale Dan Ettinger. Respiro / Breath è il claim individuato per questa stagione, un invito alla riflessione, a “prendere fiato” – come in musica – e ascoltare il canto del silenzio prima di diventare suono. Respiro / Breath è la possibilità di acquisire una sempre maggiore consapevolezza nel quotidiano, un segno leggero nel flusso del tempo che scorre, la forza indelebile, quanto evanescente, dell’arte che genera il soffio della vita. È il respiro dell’essere umano che duetta col respiro della terra, a tutela della quale bisogna operare adottando importanti azioni di salvaguardia ambientale; è il respiro del mare, dimensione vitale la cui biodiversità è soggetta a continue minacce. A partire dall’opera inaugurale Rusalka, i cui universi hanno ispirato queste e altre suggestioni, la nuova Stagione del Teatro di San Carlo desidera essere un respiro di pace come forte auspicio per il presente. La Stagione d’Opera vedrà per la prima volta al Lirico napoletano non soltanto Tcherniakov, ma con lui vi debuttano in veste di regista Stéphane Braunschweig, Giorgia Guerra e Daniel Jeanneteau. Tornano Hugo De Ana, Edoardo De Angelis, Massimo Gasparon, Claus Guth, Damiano Michieletto, Jetske Mijnssen e Manfred Schweigkofler. Nel cast vocale dei titoli in cartellone, invece, risaltano i nomi di Alessio Arduini, Gábor Bretz, Gianluca Buratto, Javier Camarena, Marianne Crebassa, Luciano Ganci, Ruzil Gatin, Asmik Grigorian, Ekaterina Gubanova, Jonas Kaufmann, Emily Magee, Roberta Mantegna, Ricarda Merbeth, Beate Mordal, Martin Muehle, Brian Mulligan, Anna Netrebko, Ernesto Petti, Anna Pirozzi, Piero Pretti, Anna Prohaska, Anita Rachvelishvili, Sondra Radvanovsky, Alberto Robert, Cameron Shahbazi, Nadine Sierra, Adam Smith, Annalisa Stroppa, Ludovic Tézier, Alexander Tsymbalyuk, Christian Van Horn, Gabriele Viviani, Charles Workman, Pretty Yende. La Stagione di Danza apre con Lo Schiaccianoci di Čajkovskij, per il quale si presenta una nuova coreografia curata da Simone Valastro. Chiuderà Giselle di Adolphe Adam, con un omaggio a Patricia Ruanne, di cui si riproporrà la coreografia. Tre titoli operistici vedranno impegnato il direttore musicale Dan Ettinger, a sua volta protagonista di quattro appuntamenti della Stagione di Concerti. In questa, il Teatro di San Carlo accoglierà il ritorno di grandi direttori quali Marco Armiliato, Renaud Capuçon, Michele Mariotti, Pablo Mielgo e Constantin Trinks. Per la prima volta al Lirico di Napoli, invece, saranno sul podio Constantinos Carydis, Oksana Lyniv e George Petrou. Una particolare attenzione è dedicata alle grandi voci della lirica contemporanea con, in calendario, i recital di Franco Fagioli, Rosa Feola, Elīna Garanča, Asmik Grigorian, Lisette Oropesa e Luca Salsi mentre, in concerto con l’Orchestra del Teatro di San Carlo, vi saranno Maria Agresta ed Ekaterina Gubanova. Numerosi sono i debutti anche per i solisti che condivideranno il palcoscenico con la compagine orchestrale sancarliana: Truls Mørk al violoncello, Simone Lamsma al violino, Sergei Babayan, Marc-André Hamelin e Juan Pérez Floristán al pianoforte. Quattro debutti anche per i quattro appuntamenti del Festival Pianistico: Daniil Trifonov, Jean-Paul Gasparian, Igor Levit ed Elena Bashkirova. QUI PER TUTTE LE INFORMAZIONI.

Categorie: Musica corale

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