Tu sei qui

Aggregatore di feed

Camille Saint-Saëns (1835 – 1921): “Dejanire” (1911)

gbopera - Ven, 01/11/2024 - 10:29

Tragédie lyrique in quattro atti su libretto di Camille Saint-Saëns. Kate Aldrich (Déjanire), Julien Dran ( Hercule), Anaïs Constans (Iole), Jérôme Boutillier (Philoctète), Anna Dowsley (Phénice). Choeur de l’Opéra de Monte-Carlo, Stefano Visconti (maestro del coro), Orchestre Philharmonique de Monte-Carlo, Kazuki Yamada (direttore). Registrazione: Auditorium Rainier III, Montecarlo 12-16 ottobre 2022. 2 CD Fondazione Palazzetto Bru Zane Opéra français n. 39.
La riscoperta del catalogo di Saint-Saëns da parte della fondazione Palazzetto Bru Zane prosegue con l’ultimo lavoro del compositore: “Dejanire” originariamente pensata per les Arénes di Béziers nel 1898 e rivista nelle sue forme definitive per Montecarlo nel 1911. L’opera voleva rappresentare un tentativo di dramma musicale ancorato alla tradizione classica – la tragedia di Gallet che fornisce spunto all’opera è di fatto un rifacimento di Sofocle – in funzione anti-wagneriana. Le scelte musicale rientrato in un recupero erudito della tradizione francese. La prevalenza per un declamato aulico che affonda le sue radici in Berlioz e Spontini fino a risalire alla tragedia musicale sei e settecentesca, l’ampio uso di cori e ballabili, un continuo travasare delle forme sono tutti figli di una precisa volontà stilista. Grande impegno non sempre però retto da un’ispirazione all’altezza così che il lavoro risulta alquanto discontinuo tra momenti decisamente riusciti – soprattutto nei frangenti più lirici – in cui già si anticipano i futuri sviluppi dell’opera francese, il monologo di Iole del II atto sembra già aprire la strada a Mélisande – è brani in cui il compositore si salva con mestiere più che con ispirazione, come tanti brani d’atmosfera dal sapore decisamente pompier. Anche la tensione drammaturgica appare spesso ineguale anche in conseguenza di un libretto che al riguardo lascia non poco a desiderare, si veda solo con quale fretta viene di fatto bruciata tutta la forza espressiva della follia di Ercole, della sua morte e della sua ascesa all’Olimpo, risolte in pochi minuti privi di ogni autentica ispirazione.
Sul piano musicale l’esecuzione è decisamente valida e riserva alcune interessanti sorprese. Kazuki Yamada guida per l’occasione i complessi dell’Opéra di Montecarlo quasi a volersi ricollegare anche fisicamente al luogo dove l’opera vide la luce. Il maestro giapponese opta per una lettura molto rigorosa e per una grande chiarezza espressiva che punta a valorizzare le caratteristiche della scrittura riuscendo a cogliere il luminoso lirismo quasi massenetiano dei momenti più ispirati e cercando di dare una coerenza formale anche alle parti più generiche. La coerenza della lettura di Yamada è sicuramente l’elemento centrale per la riuscita della registrazione anche grazie alle ottime prestazioni dei complessi monegaschi che si mostrano in perfetta sintonia con quest’universo musicale. Una particolare menzione al coro che trova accenti di aulica grandezza come nell’intenso “Comme la Ménade en délire” che annuncia l’entrata della protagonista.
Quest’ultima è Kate Aldrich, mezzosoprano statunitense che ha trovato in Francia il proprio contesto ideale. La Aldrich è una solida professionista è un’interprete appassionata che compensa con l’autorevolezza dell’accento e l’impeto drammatico una voce che non è mai stata classicamente bella e che nel corso degli anni si è ulteriormente inaridita. Sul piano tecnico gli si può impuntare un uso fin eccessivo del vibrato ma fortunatamente il personaggio, sempre estremo nei suoi atteggiamenti, gli risulta interpretativamente assai congeniale.
Una prosodia francese non sempre perfetta non sorprende nell’Aldrich, lascia invece alquanto sgomenti la dizione veramente pessima di Anaïs Constans che è provenzale di Montauban – luogo di reminiscenze operistiche – e da cui si aspetterebbe miglior dizione. Per fortuna la voce è molto bella e il ruolo di Iole con il suo luminoso lirismo esalta le qualità della cantante. Iole ha forse i momenti più ispirati dell’opera come l’aria “Ce n’est pas comme vous” del secondo atto e l’intensa preghiera ad Atena “Pallas, vierge prudente et sage” e la Costans li canta con grazia invantevole.
Una cattiva dizione sembra una costante per le cantanti di questa è accomuna anche l’australiana Anna Dowsley che si fa comunque apprezzare per piacevolezza timbrica e musicalità nel breve ruolo di Phénice.
Dizione che invece risulta elemento di forza per la componente maschile del cast. Praticamente sconosciuto in Italia Julien Dran è la vera rivelazione di questa registrazione. Tenore eroico dalla voce solida e squillante, autorevole nella declamazione e di forte comunicativa è un Hercule veramente apprezzabile al netto di qualche piccola forzatura in acuto. Musicalmente la parte non è tra le più entusiasmanti, anzi è forse la più banale dell’opera nel suo taglio retorico e declamatorio – quanto i duetti con Dejanire sono qualitativamente lontani da quelli da quelli del “Samson et Dalila”– ma nonostante questo riesce a emergere con sicurezza.
La parte dell’amico e poi rivale Philoctète è più interessante nel suo delicato lirismo. Jérôme Boutillier incarna alla perfezione quel tipo di baritono dal timbro chiaro e dal canto nobile così tipico del repertorio francese. La coppia Hercule – Philoctète è un altro interessante esempio nel suo plasmarsi idealmente – nonostante le maggiori tensioni – su quella  Licinio – Cinna della “Vestale” di Spontini che a suo volta guardava a Gluck – della precisa volontà di recupero arcaistico portata avanti da Saint-Saëns in quest’opera.
Terminato l’ascolto non si grida al miracolo però si è ascoltato un lavoro interessante e non inutile da conoscere oltre alla scoperta d’interessanti interpreti della senza assai vivace scena lirica francese.

Categorie: Musica corale

RAI 5. Novembre 2024

gbopera - Gio, 31/10/2024 - 19:42

Venerdì 1 novembre
Ore 10.00

“MOISE ET PHARAON”
Musica Gioachino Rossini
Direttore Riccardo Muti
Regia Luca Ronconi
Interpreti:Ildar Abdrazakov, Erwin Schrott, Giuseppe Filianoti, Sonia Ganassi, Barbara Frittoli…
Sabato 2 novembre
Ore 10.03
“CECCHINA, OSSIA LA BUONA FIGLIOLA”
Musica Niccolò Piccinni
Direttore Franco Caracciolo
Regia Virginio Puecher
Interpreti: Mirella Freni, Sesto Bruscantini, Werner Hollweg, Rita Talarico, Valeria Mariconda, Gloria Trillo, Bianca Maria Casoni.
Domenica 3 novembre / Sabato 9 novembre
Ore 10.00 /10.10

“L’ELISIR D’AMORE”
Musica Gaetano Donizetti
Direttore Mario Rossi
Regia Alessandro Bissoni
Interpreti: Mirella Freni, Renzo Casellato, Sesto Bruscantini, Mario Basiola, Elena Zilio.
RAI, 1968
Ore 11.57
Recital del tenore Renzo Casellato con la partecipazione del soprano Edda Vincenzi. Pagine da Mozart, Donizetti, Bizet e Massenet. Direttore Gennaro D’Angelo
Lunedì 4 novembre
Ore 10.00
“DAS RHEINGOLD”
Musica Richard Wagner.
Direttore Daniel Berenboim.
Regia Guy Cassiers
Interpreti: René Pape, Jan Buchwald…
Martedì 5 novembre
Ore 10.00
“DER FLIEGENDE HOLLANDER”
Musica Richard Wagner
Direttore Christian Badea
Regia Franz Marijnen.
Interpreti: Wolfgang Lenz, Dieter Brencke, Magdalena Cononovici, Robert Schunk, Silvana Mazzieri, Francesco Memeo…
Mercoledì 6 novembre
“SIEGFRIED”
Musica Richard Wagner
Direttore Daniel Barenboim
Regia Guy Cassiers
Interpreti: Lance Ryan, Peter Bronder,  Terje Stensvold, Johannes Martin Kränzle, Alexander Tsymbalyuk, Anna Larsson. Nina Stemme, Rinnat Moriah, Viviana Guadalupi…
Giovedì 7 novembre
Ore 10.00
“L’ITALIANA IN ALGERI”

Musica Gioachino Rossini
Direttore Bruno Campanella
Regia Joan Font
Interpreti: Marianna Pizzolato, Pietro Spagnoli, Marko Mimica, Boyd Owen, Omar Montanari, Sergio Vitale..
Venerdì 8 novembre
Ore 10.00
“LA FILLE DU REGIMENT”
Musica Gaetano Donizetti
Direttore Riccardo Frizza
Regia Emilio Sagi
Interpreti: Patrizia Ciofi, Juan Diego Florez, Francesca Franci, Nicola Ulivieri
Genova, 2005
Ore 21.15 – Domenica 10 novembre
Ore 17.55
“L’HISTOIRE DE MANON”
Musica Jules Massenet
Coreografia Kenneth McMillan
Direttore Paul Connelly
Interpreti: Nicoletta Manni, Reece Clarke, Nicola Del Freo, Gabriele Corrado, Martina Arduino, Francesca Podini, Gioacchino Starace
Domenica 10 novembre
Ore 10.00
“L’ITALIANA IN ALGERI”

Musica Gioachino Rossini
Direttore Jean-Christophe Spinosi
Regia Moshe Leiser, Patrice Caurier
Interpreti: Cecilia Bartoli, Ildar Abdrazakov, Edgardo Rocha, Alessandro Corbelli, Rebeca Olvera, José Coca Loza,, Rosa Bove
Lunedì 11 novembre
Ore 10.00
“PETER GRIMES”
Musica Benjamin Britten
Direttore Robin Ticciati
Regia Richard Jones
Interpreti:John Graham-Hall, Susan Gritton, Felicity Palmer,Ida Falk Winland, Simona Mihai, George Von Bergen…
Milano, 2012
Martedì 12 novembre
Ore 10.00

“DER ROSENKAVALIER”
Musica Richard Strauss
Direttore Richard Hickox
Regia Keith Warner
Interpreti: Anne Bolstad, Kurt Link, Palema Helen Stephen, Laura Claycomb, Jonathan Green, Adria Firestone…
Spoleto, 2000
Mercoledì 13 novembre
Ore 10.00
“L’ORFEO”
Musica Claudio Monteverdi
Direttore Rinaldo Alessandrini
Regia Bob Wilson
Interpreti: Georg Nigl, Sara Mingardo, Roberta Invernizzi, Giovanni Battista Parodi, Luigi De Donato…
Milano, 2009

Categorie: Musica corale

Verona, Teatro Filarmonico: la prima volta di “Stiffelio”

gbopera - Gio, 31/10/2024 - 14:23

Verona, Teatro Filarmonico, Stagione Lirica 2024                                                    “STIFFELIO”
Dramma lirico in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Stiffelio STEFANO SECCO
Lina DANIELA SCHILLACI
Stankar VLADIMIR STOYANOV
Raffaele CARLO RAFFAELLI
Jorg GABRIELE SAGONA
Federico FRANCESCO PITTARI
Dorotea SARA ROSSINI
Orchestra e Coro della Fondazione Arena di Verona
Direttore Leonardo Sini
Maestro del CoroRoberto Gabbiani
Regia e Luci Guy Montavon
Scene e Costumi Francesco Calcagnini
Allestimento del Teatro Regio di Parma in coproduzione con Opéra de Monte-Carlo
Prima rappresentazione a Verona
Verona, 29 ottobre 2024
In linea con le scelte degli ultimi anni la Fondazione Arena presenta al Filarmonico alcune prime interessanti: dopo Il segreto di Susanna e Il campiello di Wolf Ferrari e Amleto di Faccio, ecco approdare a Verona l’inedito Stiffelio di Verdi in un allestimento del Regio di Parma del 2012 e di seguito ripreso all’Opéra di Montecarlo. Il soggetto di Stiffelio è un apologo morale, chiaro e semplice ma soprattutto realistico e contemporaneo per l’epoca (siamo nel 1850): allo stesso tempo, tuttavia, presenta dei limiti poiché manca il classico intreccio amoroso, non abbiamo quella varietà emotiva dei singoli personaggi tanto cara al comporre verdiano, il celebre fraseggio latita e il finale è debole perché lo stesso facile perdono non è nelle corde drammaturgiche di Verdi. Persino l’omicidio, l’unico episodio violento di tutta la vicenda, avviene fuori scena. A bilanciare le sorti dell’opera vi è però la musica interessante dove alcuni numeri, abbandonando i canoni belcantistici, anticipano già la maturità della Trilogia popolare che prenderà forma di lì a poco. La stessa scrittura orchestrale, inoltre, non si limita ad un mero accompagnamento delle voci ma racconta l’azione e vive direttamente il dramma in scena. Sta di fatto, purtroppo, che a detta dello stesso Verdi, pur accolto abbastanza bene alla prima triestina, Stiffelio non poté comunque camminare con le proprie gambe, né gli giovò il rimaneggiamento in Aroldo dato a Rimini nel 1857. Lo spettacolo di Guy Montavon si mantiene prudente ed essenziale, sostanzialmente rispettoso della tradizione, coadiuvato dalle scene e i costumi di Francesco Calcagnini impostati sulla ieraticità del colore grigio, un richiamo all’ambiente austero assasveriano. Unico elemento di contrasto, il costume di Raffaele, dai colori caldi, quasi a sottolineare la sua estraneità alla sfera religiosa e morale della vicenda, oltre alla macchia dell’adulterio, e quello bianco di Lina che aspira al perdono finale che avrà da Stiffelio in quanto pastore, ma forse non dal marito. L’impianto scenico è teso ad immagini didascaliche, un lungo tavolo con crocifisso nel primo atto, un grande cancello per il secondo, una grande Bibbia nel finale catartico della pericope dell’adultera, episodio sottolineato dalle pietre sospese sulle teste dei peccatori; il lato negativo, tuttavia, è la profondità dello spazio scenico che tende a fagocitare le voci dei solisti e del coro. Di ottima fattura il disegno luci, firmato dallo stesso Montavon. Interprete del ruolo eponimo era Stefano Secco il quale, pur non godendo di pagine mirabili o delle sfumature psicologiche di cui è ricco il teatro verdiano, riesce a giocare sul contrasto tra la protervia dell’autorità religiosa e l’intima sofferenza della sua condizione di uomo tradito. La voce è più da lirico, adatta più al primo Verdi che a quello dei ruoli posteriori e talune forzature ne hanno talvolta compromessa l’intonazione ma la sua prova è stata comunque all’altezza della situazione. Daniela Schillaci, pur non brillando particolarmente, ha offerto una Lina sospesa tra il rimorso del tradimento e il desiderio di ricongiungersi allo sposo, con buona vocalità, anch’essa però privata di pagine che ne sottolineino la lotta interiore emotiva. Il migliore della compagnia di canto è stato Vladimir Stoyanov, in grande forma vocale, efficace nell’aria del terzo atto, che ha reso il ruolo di Stankar ossessionato dall’onta e il disonore accentuandone benissimo la durezza inflessibile. Nei ruoli minori, puntuali e ben disegnati l’altero (ma non di grande spessore drammatico) Raffaele di Carlo Raffaelli, lo Jorg nobile e solenne di Gabriele Sagona, Federico e Dorotea interpretati rispettivamente da Francesco Pittari e Sara Rossini. Dal podio il giovane Leonardo Sini gioca sui contrasti dinamici del tessuto orchestrale, (l’elemento più evidente della partitura) con direzione energica e calibrata, tesa ad esaltare la cantabilità, assecondato dall’Orchestra della Fondazione Arena in forma smagliante (eccellente la prima tromba nella sinfonia). Ottimo come sempre l’apporto del coro della Fondazione preparato da Roberto Gabbiani, purtroppo ancora una volta acusticamente penalizzato dalla profondità siderale del palcoscenico. Pubblico non numeroso, ma si trattava pur sempre di una recita infrasettimanale, comunque unanime nel manifestare il proprio consenso. In conclusione, uno Stiffelio ottimale, opera minore di Verdi quantunque di straordinaria modernità per l’epoca in cui fu scritta: vi si tratta il tema del divorzio, per di più chiesto da un pastore protestante. Repliche il 31 ottobre e il 3 novembre. Foto Ennevi per Fondazione Arena.

Categorie: Musica corale

Le Cantate di Johann Sebastian Bach: Festa della Riforma

gbopera - Gio, 31/10/2024 - 00:06

Gott der Herr ist Sonn und Schild BWV 79 è, in ordine cronologico, la prima nuova partitura per questa festa. La Cantata BWV80 (Ein feste burg) era stata riadattata per la Festa della Riforma, ma era originariamente nata per la “Dominica Oculi”. La BWV 79 è invece la prima partitura espressivamente scritta per questa importante celebrazione luterana eseguita la prima volta a Lipsia il 31 ottobre 1725 e successivamente ripresa sempre a Lipsia tra il 1728 e il 1731 con la modifica di alcuni strumenti nell’organico strumentale. Da notare inoltre che i nr.1, 2 e 5 hanno fornito a Bach il materiale musicale per due delle Messe luterane, la BWV 234 e la 236. La partitura si apre con una citazione dal Salmo 84, versetto 12: “Il Signore Dio è sole e scudo; il Signore concede grazia e gloria, non rifiuta il bene a chi cammina con rettitudine”, un Coro (Nr.1)supportato da un ricco apparato strumentale, cui emergono le scintillanti sonorità di una coppia di corni, sulla cadenzata percussione dei timpani in funzione “concertante” con gli oboi e gli archi. Su questo gioco di alterni spessori sonori cui corrisponde  anche una diversa situazione tematica (in particolare quello espresso dalla tromba), si innesta il movimento fugato delle parti corali a struttura tripartita con un’ultima sezione la prima sezione corale e la parte iniziale e finale dell’introduzione strumentale. Una porzione del materiale di quest’ultima, quella affidata ai corni e ai timpani ritorna nei 2 Corale Nr.3 e 6. La Cantata è completata da un’aria per contralto con oboe concertante (Nr.2), un recitativo  del basso (Nr.4) e un’aria-duetto per soprano e basso (Nr.5) caratterizzato da una forte carica ritmica.
Nr.1 – Coro
Il Signore Dio è sole e scudo;
il Signore concede grazia e gloria,
non rifiuta il bene a chi cammina con rettitudine
Nr.2 – Aria (Contralto)
Dio è nostro sole e scudo!
Perciò il nostro cuore riconoscente
lo loda per la bontà
con cui protegge il suo piccolo gregge.
E infatti continuerà a proteggerci,
anche se i nemici affilano le loro frecce
e il cane dell’empietà sempre abbaia.
Nr.3 – Corale
Rendete grazie a Dio
con il cuore, la bocca e le mani,
Egli fa grandi cose
per noi e in tutti i modi,
per noi sino dal seno materno
e dalla nostra infanzia
ha compiuto innumerevoli cose buone
e tante continua a farne.
Nr.4 – Recitativo (Basso)
Dio sia lodato, noi conosciamo
il giusto cammino verso la felicità;
poiché tu, Gesù, ce lo hai rivelato con la tua Parola,
e dunque il tuo nome sia sempre lodato.
Eppure visto che tanti
in questo tempo
un giogo ingannatore
per cecità devono portare,
ah!, abbi pietà
anche di loro nella tua grazia,
affinché possano riconoscere il giusto cammino
e chiamarti loro mediatore.
Nr.5 –  Aria/Duetto (Soprano, Basso)
Dio, o Dio, non abbandonare i tuoi
mai più!
Fai splendere su di noi la tua Parola;
per quanto furiosamente
i nostri nemici si scaglino contro di noi,
la nostra bocca proclami la tua lode.
Nr.6 – Corale
Conservaci nella verità,
donaci la libertà eterna,
perché il tuo nome sia glorificato
per Gesù Cristo. Amen.
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S. Bach: Cantata “Gott der Herr ist Sonn und Schild” BWV 79
Categorie: Musica corale

Roma, Museo di Roma: “Roma Pittrice. Artiste al lavoro tra XVI e XIX secolo”

gbopera - Mer, 30/10/2024 - 23:08

Roma, Museo di Roma, Palazzo Braschi
ROMA PITTRICE. ARTISTE AL LAVORO TRA XVI E XIX SECOLO
A cura di Ilaria Miarelli Mariani (direttrice della Direzione Musei Civici Sovrintendenza capitolina) e Raffaella Morselli (Sapienza, Università di Roma)
Con la collaborazione di Ilaria Arcangeli (Ph.D Università di Chieti Gabriele D’Annunzio).
Organizzazione Zètema Progetto Cultura
Roma, 30 Ottobre 2024
“L’arte non può essere moderna. L’arte è eterna.” – Marina Abramović
Il progetto espositivo “Roma Pittrice” presso il Museo di Roma celebra il talento artistico femminile che, dal XVI al XIX secolo, ha contribuito a tessere il ricco arazzo dell’arte occidentale, spesso celato tra le pieghe di una storiografia omissiva e androcentrica. La mostra, aperta dal 25 ottobre 2024 al 23 marzo 2025, si configura come un viaggio nella Roma delle artiste: una città-laboratorio che ha visto il fiorire di talenti femminili spesso ignorati o attribuiti erroneamente a maestri maschi. Attraverso circa 130 opere di cinquantasei artiste, “Roma Pittrice” è un omaggio tardivo ma necessario al lavoro delle donne che hanno sfidato i confini del contesto sociale e culturale del loro tempo, partecipando alla costruzione della fisionomia estetica della Roma moderna. La visione curatoriale della mostra si ispira alla storiografia sei-settecentesca, evocando il titolo della “Felsina Pittrice” di Carlo Cesare Malvasia, in cui le scuole pittoriche italiane cercavano di definire la propria autonomia rispetto all’egemonia fiorentina. “Roma Pittrice” si propone di restituire voce alle artiste, rivendicando il loro ruolo nella Roma Capitale delle Arti, non più come comprimarie, ma come protagoniste capaci di esprimere una specificità creativa irriducibile. Il viaggio inizia con Lavinia Fontana, figura centrale del tardo Cinquecento, bolognese di origine, che a Roma trovò terreno fertile per la sua produzione artistica. Il suo autoritratto su rame, mai esposto prima, è il simbolo della consapevolezza di sé come artista e donna. Questa coscienza individuale si manifesta poi nelle opere di Artemisia Gentileschi, che incarnò il tormento e l’emancipazione della condizione femminile. Le sue tele esposte – Cleopatra, L’Aurora e Giuditta – segnano il percorso esistenziale e artistico della pittrice, in una tensione tra drammaticità e sensualità che eleva il corpo femminile a strumento di potere e riscatto. Un altro tassello del mosaico è rappresentato dalle nature morte, genere che trovò un terreno di espressione inaspettato per molte artiste, quali Laura Bernasconi e Anna Stanchi. La loro capacità di rappresentare oggetti quotidiani con precisione scientifica si colloca tra arte e botanica, in un gioco di contrasti tra il microcosmo naturale e il macrocosmo umano, richiamando il connubio tra arte e scienza tipico dell’epoca barocca. Particolarmente significativo è il prestito dall’Accademia di San Luca: un album di miniature di Giovanna Garzoni, dove il dettaglio diviene strumento di affermazione artistica e di appropriazione del sapere naturalistico. Nel corso del Seicento, Roma si conferma luogo di apprendistato e mercato per le artiste, nonché spazio di consolidamento della loro presenza in accademie e istituzioni come l’Accademia di San Luca e quella dei Virtuosi al Pantheon. La mostra documenta il lento ma inesorabile ingresso delle donne nelle istituzioni tradizionalmente riservate agli uomini, come testimonia la presenza delle opere di Plautilla Bricci, figura singolare, architettrice e pittrice, il cui progetto per la Villa del Vascello – rappresentato da prospetti ottocenteschi – è il segno tangibile di una volontà creativa che non conosce limiti di genere. Nell’esposizione emerge anche la figura di Angelika Kauffmann, artista di origine svizzera che a Roma trovò un ambiente propizio per la sua affermazione. La sua casa-atelier divenne punto d’incontro per intellettuali e artisti, e le sue opere, intrise di classicismo e sensibilità preromantica, segnano un momento di transizione fondamentale verso il gusto neoclassico. La sua carriera internazionale è simbolo del riconoscimento di Roma come crocevia di culture e luogo di elezione per l’arte femminile. Il percorso della mostra si estende anche al XIX secolo, quando la situazione delle artiste inizia a mutare sensibilmente, non solo per un crescente riconoscimento pubblico ma anche per la possibilità di accedere a una formazione più strutturata. Louise Seidler ed Emma Gaggiotti rappresentano questa evoluzione. Di Gaggiotti sono esposti per la prima volta il Ritratto di famiglia e due opere provenienti dai depositi degli Uffizi e dei Vaticani, finalmente riportate alla luce grazie a un accurato restauro. Queste opere, insieme all’Autoritratto degli Uffizi, testimoniano la crescita di un nuovo protagonismo femminile nella scena artistica internazionale, in cui l’autoritratto diviene strumento di affermazione identitaria. La mostra si conclude con una riflessione sul rapporto tra le artiste e la città di Roma: un legame che non è solo geografico, ma profondamente esistenziale. La capitale, con i suoi monumenti, i suoi salotti e le sue accademie, si fa non solo sfondo, ma vera e propria “personificazione” del genio femminile, che in essa trova ispirazione e riconoscimento. Roma diventa, in un certo senso, pittrice essa stessa, non più solo luogo fisico ma entità vivente che accoglie e restituisce il riflesso delle vite e delle opere di coloro che l’hanno abitata e amata. Il valore simbolico della mostra è ulteriormente rafforzato dalla presenza di opere che ci restituiscono l’immagine delle artiste, non più solo come produttrici di arte, ma anche come soggetti ritratti, spesso in contesti di vita quotidiana o in pose che evocano una nuova consapevolezza del loro ruolo nella società. I ritratti di cantanti, attrici e salonnière rappresentano il volto moderno della donna-artista, capace di attraversare i confini tra le diverse forme di espressione culturale, contribuendo a ridefinire il ruolo stesso dell’arte nella società del XIX secolo. “Roma Pittrice” non si limita a raccontare un passato glorioso e spesso dimenticato, ma invita il visitatore a proseguire idealmente il percorso tra le vie della città. Una mappa delle opere di artiste esposte nei luoghi pubblici di Roma, disponibile in formato sia espositivo che cartaceo, consente di estendere l’esperienza della visita, facendo della città stessa un museo diffuso. La mostra rende omaggio al ruolo delle donne nella storia dell’arte, proponendo una fruizione che supera la mera osservazione per creare un dialogo tra passato e presente. È un viaggio storiografico che riscopre opere dimenticate e figure marginalizzate, affermando Roma come centro culturale che valorizza il contributo femminile.

 

Categorie: Musica corale

Roma, Scuderie del Quirinale: La grande mostra “Guercino. L’era Ludovisi a Roma”

gbopera - Mer, 30/10/2024 - 17:52

Roma, Scuderie del Quirinale
GUERCINO. L’ERA LUDOVISI A ROMA
Giovanni Francesco Barbieri, detto Guercino (Cento 1591 – Bologna 1666), è stato uno dei più grandi esponenti della pittura barocca italiana.
La sua arte si distingue per l’uso magistrale della luce e del colore, capace di creare una narrazione intensa e vibrante, pur evitando il realismo crudo di Caravaggio. Guercino fu influenzato da Ludovico Carracci, che gli insegnò l’uso del chiaroscuro e una tecnica pittorica fluida e dinamica. Cresciuto nel contesto della tradizione padana, l’artista arricchì il suo linguaggio con elementi della pittura veneziana del Cinquecento e con l’influenza ferrarese di Dosso Dossi e Scarsellino, sviluppando così uno stile unico che univa esuberanza cromatica e ricerca luministica. La chiamata a Roma da parte del cardinale Alessandro Ludovisi, che divenne papa Gregorio XV nel 1621, segnò un punto di svolta per Guercino. Roma era allora il centro di un vivace fermento artistico, dove tradizione e innovazione si incontravano. Guercino, anziché seguire i modelli di Guido Reni o Annibale Carracci, sviluppò uno stile personale che combinava classicismo e una sensibilità moderna. Le pitture ad olio del Casino Ludovisi, in particolare l’Aurora, sono un esempio di questo approccio innovativo: le figure sono animate da una vitalità espressiva che contrasta con la compostezza formale del Reni, mentre la sua tavolozza esplosiva dissolve i contorni, donando alle opere un’immediatezza unica. La luce nelle opere di Guercino è un elemento narrativo, simbolico e poetico. Negli affreschi del Casino Ludovisi, l’Aurora diventa allegoria della rinascita, resa attraverso una luce che crea un’atmosfera di speranza e meraviglia. Questo uso evocativo della luce è uno degli elementi distintivi del suo linguaggio pittorico. Durante il suo soggiorno romano, Guercino realizzò anche il grande dipinto “Sepoltura e Assunzione di Santa Petronilla” per la Basilica di San Pietro, oggi conservato nella Pinacoteca Capitolina ed in copia in questo allestimento. In quest’opera, l’artista riuscì a combinare la grandiosità della scena sacra con un toccante realismo popolare. Le figure nella parte inferiore richiamano il naturalismo di Caravaggio, ma con un tono più lirico e meno drammatico. Guercino cercava sempre un equilibrio tra il divino e l’umano, rendendo le scene sacre accessibili e profonde. La mostra “Guercino. L’era Ludovisi a Roma”, alle Scuderie del Quirinale dal 31 ottobre 2024 al 26 gennaio 2025, celebra questo periodo cruciale della carriera dell’artista. Curata da Raffaella Morselli e Caterina Volpi, la mostra è il frutto di un lungo lavoro di preparazione e di una visione straordinaria. Con oltre 120 opere provenienti da importanti musei italiani, europei e americani, l’esposizione ricostruisce il contesto culturale della Roma degli anni Venti del Seicento, mettendo Guercino a confronto con maestri come Guido Reni, Domenichino, Albani, Lanfranco, Van Dyck, Bernini, Pietro da Cortona e Poussin. La mostra si articola in diverse sezioni che esplorano i vari aspetti della produzione artistica del Guercino a Roma, dalle opere realizzate per papa Gregorio XV agli affreschi del Casino Ludovisi. L’esposizione mette in luce come Guercino sia riuscito a reinterpretare le influenze dei grandi maestri dell’epoca, fondendo queste ispirazioni in uno stile personale e innovativo. Le opere in mostra permettono di seguire da vicino l’evoluzione artistica del maestro, mostrando come egli abbia saputo coniugare una forte narrazione con una profonda sensibilità atmosferica. Un tema centrale della mostra è il dialogo tra Guercino e gli altri artisti del suo tempo. Questo confronto è reso possibile dall’accostamento delle sue opere con quelle di Annibale e Ludovico Carracci, Guido Reni, Domenichino, Bernini e Van Dyck. Il visitatore è immerso in un’esperienza visiva straordinaria, arricchita dalla presenza di capolavori cinquecenteschi appartenenti alla collezione Ludovisi, che influenzarono la nascita di una corrente neo-veneta nella pittura romana del Seicento. Inoltre, l’esposizione è accompagnata da un apparato critico che analizza nel dettaglio la tecnica pittorica di Guercino, il suo uso del colore e della luce, e la sua capacità di trasmettere emozioni profonde. Durante il suo periodo romano, Guercino affrontò le sfide di una committenza ambiziosa e sofisticata, sperimentando audaci soluzioni spaziali e cromatiche che superavano i limiti del classicismo tradizionale e integrando la tradizione decorativa romana con elementi innovativi della scuola veneziana. La mostra “Guercino. L’era Ludovisi a Roma” offre non solo l’opportunità di ammirare le opere del maestro, ma anche di comprendere il contesto storico e culturale che ha plasmato il suo stile. L’arte di Guercino riflette un periodo di grande trasformazione per Roma, un momento in cui l’eredità del Rinascimento veniva reinterpretata alla luce delle nuove sensibilità barocche. Il pontificato di Gregorio XV e il ruolo del cardinale Ludovisi furono determinanti nel promuovere un’arte capace di emozionare e coinvolgere il pubblico, rendendola uno strumento al servizio della Chiesa. La committenza Ludovisi rappresentò per Guercino una straordinaria opportunità di crescita, permettendogli di affermarsi in un ambiente in cui l’arte era uno strumento di potere e di persuasione. La presenza in mostra di opere di Bernini, Pietro da Cortona e Van Dyck, accanto a quelle di Guercino, permette di ricostruire un quadro completo della scena artistica romana degli anni Venti del Seicento. In quel periodo, gli artisti partecipavano a una competizione serrata per ottenere le commissioni più prestigiose, contribuendo a plasmare l’estetica del Barocco. Un altro aspetto di grande interesse è il ruolo del mecenatismo Ludovisi. La famiglia Ludovisi, con la sua passione per l’arte e l’antichità, creò un ambiente stimolante per artisti come Guercino, offrendo loro l’opportunità di lavorare a stretto contatto con capolavori del passato. Il collezionismo Ludovisi, con la sua attenzione per le opere di artisti veneziani e ferraresi, favorì il dialogo tra passato e presente, influenzando profondamente lo sviluppo dell’arte barocca. Questo elemento è ben rappresentato nella mostra, che include opere di Dosso Dossi, Paris Bordon e Jacopo Bassano, evidenziando come la tradizione cinquecentesca sia stata una fonte di ispirazione per Guercino e i suoi contemporanei. L’esposizione “Guercino. L’era Ludovisi a Roma” rappresenta quindi un’occasione unica per esplorare la complessità e la ricchezza di un periodo straordinario, in cui l’arte divenne uno strumento di espressione politica, religiosa e culturale.

Categorie: Musica corale

Giovanni Solinas interpreta musiche di Frescobaldi, Pachelbel, Bruhns…

gbopera - Mer, 30/10/2024 - 16:54

Girolamo Frescobaldi (1583-1643) : Toccata prima, dal 2° libro; Johann Pachelbel (1653-1706): Ciaccona in Fa minore; Nicolaus Bruhns (1665-1697): Preludio in Mi minore; Georg Böhm (1661-1733): Vater unser im Himmelreich; Johann Sebastian Bach (1685-1750): Toccata e fuga in Re minore BWV 565; Guy Bovet (1942): Salamanca; Felix Mendelssohn (1809-1847): Sonata V op. 65; Leon Boellmann (1862-1897): Suite Gothique op.25; Franz Liszt (1811-1886): Preludio e Fuga su B-A-C-H. Giovanni Solinas (organo). Registrazione: dal 4 al 23 febbraio 2024 all’organo Stockmann della Chiesa di St Cornelius Dülken. Durata: 88’16’’. 2 Cd Motette Psallite CD MOT 15095
Pur in epoca di progetti discografici coerenti, è assolutamente benvenuta questa bella registrazione che nella sua eterogeneità (ma nella quale non mancano evidenti rimandi) ha la sua ragione unificante prima di tutto nell’accurato restauro dell’organo Stockmann nella Chiesa di St Cornelius a Viersen-Dülken, in Renania, costruito nei primi anni 60 del secolo scorso e che, dopo vari aggiornamenti, ha conosciuto ora un radicale rinnovo. Si tratta quindi di un repertorio scelto, nella sua varietà stilistica e cronologica, per mettere in evidenza le qualità timbriche e dinamiche di un bellissimo strumento, testimone di una grande civiltà musicale passata ma per fortuna ancora presente; il restauro è stato infatti finanziato dal Consiglio Parrocchiale col contributo della Diocesi di Aquisgrana. Ogni commento è superfluo: stiamo parlando di una cittadina di ventimila abitanti ma con un Kantor e organista titolare vincitore di concorso. Proprio l’organista titolare è ovviamente l’altro elemento unificante in questa registrazione: Giovanni Solinas, allievo di Adriano Falcioni ed emigrato da tempo in Germania, unisce le sue doti di naturale cantabilità italiana, tipicamente vocale, a un rigore tecnico che non cade mai nella rigidità agogica o nel virtuosismo fine a se stesso. Questo è un aspetto particolarmente importante perché un evidente filo conduttore tra tutti i brani, rappresentativi dell’arte organistica praticamente dall’origine fino ai nostri giorni, è la derivazione estemporaneo-improvvisativa, non certo rara nel repertorio organistico ma qui presente anche nelle forme di tradizione più strutturata, come la Sonata V di Mendelssohn (di cui Solinas da una bella ed espressiva lettura, soprattutto nell’andante centrale) o la celeberrima Toccata e Fuga in Re minore, da Bach già utilizzata come brano-test nella sua attività di collaudatore di organi, che ben testimonia la sua origine nell’alternanza di formule consuete e di contrasti espressivi e dinamici.
Il test è passato dallo strumento a pieni voti: magnifici soprattutto i ripieni e l’equilibrio nelle mutazioni, con una menzione riservata alla perfetta intonazione, persino in tutte le ance. Si tratta insomma, pur col filtro dell’incisione, di uno strumento erede di una grande tradizione organaria, dalla registrazione completa e ben progettata, di cui non si avvertono difetti tranne il fisiologico lieve ritardo nei registri più gravi dei pedali. Chiaramente, per quanto versatile, non è un organo fatto per eseguire Frescobaldi, ma la condotta espressiva dell’esecutore nelle parti e il collegamento “vocale” degli episodi nella Toccata danno un’esecuzione assolutamente convincente pur se non strettamente filologica. Bella e ben condotta anche la Ciaccona di Pachelbel, apprezzabile nella varietà della registrazione, fondamentale in brani simili, e nell’evidenza delle poderose ance della pedaliera. Da segnalare inoltre, nella parte antica, la precisa esecuzione del Preludio di Bruhns, specialmente nell’ampio fugato cromatico, e l’interessante esposizione di Vater unser im Himmelreich di Böhm, classico corale con canto fiorito al soprano su un’evidente talea ritmica. È comunque soprattutto nella parte romantico-moderna, nel secondo CD, che lo strumento dà il meglio di se: dagli umoristici effetti di Salamanca di Bovet alla bella proposta integrale dell’arcaizzante Suite Gotica di Boellmann, fino al grandioso monumento bachiano eretto da Liszt, Solinas sfrutta abilmente le risorse a disposizione, con una convincente tavolozza timbrica e dinamica dove l’alternanza di passi virtuosistici ed espressivi sono sempre funzionali al disegno globale e inseriti in maniera equilibrata nell’architettura strutturale dei brani. Da segnalare infine la curata veste grafica e il booklet completo e interessante.

Categorie: Musica corale

Vicenza, Teatro Olimpico: “Ariadne auf Naxos”

gbopera - Mer, 30/10/2024 - 10:46

Vicenza, Teatro Olimpico, Vicenza Opera Festival 2024
“LE BURGEOIS GENTILHOMME SUITE”
ARIADNE AUF NAXOS”
Opera in un atto su libretto di Hugo von Hofmannsthal
Musica di Richard Strauss
Bacchus ANDREW STAPLES
Zerbinetta ANNA-LENA ELBERT
Ariadne EMILY MAGEE
Harlekin GURGEN BAVEYAN
Scaramuccio STUART PATTERSON
Truffaldino DANIEL NOYOLA
Brighella JUAN DE DIOS MATEOS
Najade SAMANTHA GAUL
Dryade OLIVIA VERMEULEN
Echo MIRELLA HAGEN
Attori UTKA GAVUZZO, CAMILO DAOUK
Budapest Festival Orchestra
Direttore Iván Fischer
Regia Iván Fischer e Chiara D’Anna
Scene Andrea Tocchio
Costumi Anna Biagiotti
Luci Tamás Bányai
Produzione della Iván Fischer Opera Company, Müpa Budapest, Vicenza Opera Festival e Festival dei Due Mondi di Spoleto
Vicenza, 27 ottobre 2024
Anche quest’anno il Vicenza Opera Festival diretto da Iván Fischer propone un titolo ambizioso, quell’“Ariadne auf Naxos” che rappresenta senza dubbio uno dei picchi (se non il picco) di originalità e genialità di Richard Strauss: la sua genesi e la sua natura composita ne fanno sia un’opera decisamente novecentesca, sia un omaggio accurato e sentito al secolo che l’ha preceduta, in particolar modo a quelle correnti che per Strauss sono state le più importanti – il belcanto italiano e il wagnerismo. Si diceva della genesi, poiché quest’opera inizialmente si inseriva fra le musiche di scena di una fastosa riscrittura hofmannsthaliana de “Il borghese gentiluomo“ di Molière, che vide la luce per la prima volta a Stoccarda nel 1912, rivelandosi un clamoroso fiasco, troppo lunga e troppo musicale per essere una commedia di prosa. Strauss chiese allora a Hofmannsthal di scrivere un apposito prologo, simile per intenti al “Borghese gentiluomo”, ma più agile, da porsi in musica. Ne nacque la versione dell’“Ariadne” che comunemente portiamo in scena, ma non quella scelta da Fischer per Vicenza: lungi da riprovare l’esperimento di Stoccarda, Fischer sceglie però di non portare in scena il prologo, e sostituirlo con la suite orchestrale che lo stesso Strauss (anni dopo il debutto dell’opera) fece del materiale musicale di scena di quella commedia; ecco allora che i primi trentasette minuti di questa recita sono occupati dalla suite delle musiche di scena di “Le bourgeois gentilhomme”, brioso e sorprendente pezzo sinfonico durante il quale i personaggi della Commedia dell’Arte, coadiuvati da due mimi strepitosi (Utka Gavuzzo e Camilo Daouk), giocano e scherzano con l’orchestra, ne spogliano e rivestono i musicisti, ma si divertono anche tra di loro. La scelta è coraggiosa e senza dubbio legittima, giacché si pone come obiettivo di ricostruire quei ponti tra le melodie della suite e quelle dell’“Ariadne”, che nacquero sorelle. Quando poi arriviamo, finalmente, all’opera vera e propria, ci accorgiamo che quelli che credevamo unicamente mimi e attori nella suite orchestrale, si rivelano essere gli interpreti stessi del dramma, veri attori cantanti e viceversa: il baritono Gurgen Baveyan è un Arlecchino rocambolesco ma anche accorato nei suoi spasimi d’amore per Zerbinetta – vocalmente presenta colore ambrato, linea di canto morbida, notevole estensione; Stuart Patterson è uno Scaramouche tutto compito, ma che sfoggia piacevoli colori di tenore buffo nei suoni ben proiettati e puliti; il Brighella di Juan de Dios Mateos è tra quelli che si spendono di più scenicamente, già dalla suite iniziale; pure la prova canora si rivela tuttavia ben superata, grazie a una bel fraseggio efficace; infine il Truffaldino di Daniel Noyola, si distingue non per volumi azzardati o virtuosismi, ma, al contrario, per la capacità di armonizzarli al meglio con le voci degli altri tre con cui passa la maggior parte del tempo. Tuttavia è la Zerbinetta di Anna-Lena Elbert l’étoile della serata: il giovane soprano tedesco sembra nato per il ruolo, sia per l’attitudine coquette che adotta in scena, senza tema di apparire anche in vesti succinte e di lanciarsi in momenti quasi di danza, sia per il registro lirico leggero dalla linea di canto fluente, dai sovracuti e picchiettati disinvolti, il colore argentino, la sapida accuratezza nel fraseggio. Le fa da ideale contraltare l’Ariadne di Emily Magee, ma purtroppo anche sul piano della resa. La voce appare stanca, con i centri opachi e un registro acuto non sempre controllato. Si apprezza ancora il bel colore vocale, ma non basta a salvarne la performance – che pure sul piano del fraseggio e quello scenico è un po’ ridotta ai minimi termini. Le tre ninfe, invece, sorprendono sia per la piena coesione delle linee di canto, ma soprattutto per le qualità vocali indiscutibili: la mezzo Olivia Vermeulen (la Driade) pone le fondamenta della frase con i suoi suoni avvolgenti e caldi, il soprano Samantha Gaul (la Naiade) costruisce le melodie con la sua vocalità tersa e asciutta mentre Mirella Hagen (Eco) la riprende a canone impreziosendola. Un trio che aiuta l’ascoltatore anche a tessere collegamenti con le ninfe del Reno del “Rheingold”, che Strauss voleva chiaramente richiamare. Infine, ma solo in ordine di apparizione, il Bacco di Andrew Staples ammalia già prima di comparire in scena, grazie a una vocalità di autentico tenore drammatico – “wagneriano” verrebbe giustamente da dire, visto l’eroismo madido di sentimento con cui Strauss reinterpreta il Dio dell’ebbrezza; la sua tecnica è granitica, il suono infonde sfumature metalliche a un porgere scolpito e veramente nobile, con una specifica attenzione al fraseggio. Grazie a lui il duetto finale (l’omaggio del compositore a “Tristan und Isolde”) sa veramente portarci dall’isola di Nasso alle vette del Valhalla; peccato per una certa immobilità scenica, dovuta, crediamo, a una scelta di regia non particolarmente felice. Questa, infatti, curata dallo stesso onnipresente Fischer, insieme all’italiana Chiara D’Anna, funziona a meraviglia nelle scene di gruppo e specificamente con i personaggi all’italiana, mentre in quelli “alla tedesca”, si arena in una serie di pose che sviluppano poco gli spunti della partitura. Tuttavia le scene di carta ispirate a Chagall di Andrea Tocchio, i bellissimi costumi di Anna Biagiotti e soprattutto le magnifiche e suggestive luci di Tamás Bányai, riescono sempre a dare movimento alle linee sceniche, senza consentire mai all’occhio rapito dello spettatore di distrarsi. Infatti, alla fine, ovazioni meritate per tutti sugellano anche questo Festival. Foto Vicenza Colorfoto – Francesco Dalla Pozza

Categorie: Musica corale

Roma, Sala Umberto: “Romeo e Giulietta. L’amore è saltimbanco.”

gbopera - Mer, 30/10/2024 - 00:10

Roma, Sala Umberto
ROMEO E GIULIETTA
L’amore è saltimbanco
con Anna De Franceschi, Michele Mori, Marco Zoppello
scenografia Alberto Nonnato
costumi Antonia Munaretti
produzione Stivalaccio Teatro
soggetto originale e regia Marco Zoppello
Roma, 29 ottobre 2024
“All the world’s a stage, and all the men and women merely players; they have their exits and their entrances.” – William Shakespeare
Lo spettacolo “Giulietta e Romeo” di Stivalaccio Teatro irrompe sulla scena con una potenza travolgente, trasformando ogni momento in un vortice di gesti, dialetti, parodie e improvvisazioni che immergono lo spettatore in una dimensione sospesa, fuori dal tempo ordinario. La rappresentazione della tragicità shakespeariana viene scomposta e ricostruita attraverso il filtro dell’ironia, passando per la voce irriverente di Giulio Pasquati e Girolamo Salimbeni, maschere viventi di un teatro popolare che sfida e gioca con i limiti stessi della rappresentazione teatrale. La trama non è solo narrata, ma agita, declinata con una sensibilità metateatrale che mette in discussione la separazione tra finzione e realtà, tra spettacolo e vita. Il testo shakespeariano, uno dei capisaldi della letteratura occidentale, viene qui reinterpretato con leggerezza e inventiva, senza tradire la sua profondità ma valorizzandola sotto una luce diversa. “Giulietta e Romeo” è infatti attraversato da uno spirito dissacrante che non manca di rispetto all’opera originale, ma ne rinnova il senso, lo attualizza e lo porta a dialogare con un pubblico contemporaneo. Gli attori non si limitano a interpretare i personaggi classici, ma oscillano tra diversi ruoli, tra il serio e il faceto, creando un flusso continuo che coinvolge il pubblico fino a renderlo parte integrante dello spettacolo. Questa interazione, tanto straordinaria quanto disarmante, rende ogni reazione del pubblico un momento di partecipazione autentica. La presenza scenica è sostenuta da un ritmo serrato e un’energia vibrante, elementi che definiscono l’essenza di questo allestimento. La scenografia di Alberto Nonnato, essenziale e mobile, si adatta fluidamente a ogni cambiamento di tono, trasformandosi con naturalezza da cornice poetica a spazio comico. Il disegno luci modula lo spazio e accentua con delicatezza i passaggi tra il comico e il poetico, diventando una componente espressiva che si insinua tra le parole e le azioni, creando chiaroscuri che esaltano le espressioni e i movimenti degli attori, amplificando la tensione emotiva e rendendo ogni cambio d’atmosfera ancora più pregnante. La tragedia di Giulietta e Romeo diventa veicolo di una vitalità incontenibile, una forza teatrale potente e difficile da contenere, incredibilmente viva. Il pubblico è coinvolto non solo come spettatore, ma come co-creatore di questo rito collettivo, un momento in cui il teatro torna a essere una festa, un’esperienza che trascende il semplice atto di guardare per diventare partecipazione, immersione e trasformazione. A dare vita a questa straordinaria alchimia teatrale sono Marco Zoppello, Michele Mori e Anna De Franceschi, funamboli della scena, capaci di muoversi con disinvoltura tra precisione e spontaneità. Ogni battuta è accompagnata da una fisicità esuberante che riempie l’intero spazio scenico, trascinando gli spettatori tra il mondo della commedia e quello della tragedia. Gli attori recitano con tutto il corpo: i gesti, le espressioni del volto, le pause, tutto diventa linguaggio, un racconto che si dipana davanti agli occhi del pubblico, catturando e affascinando. I costumi di Antonia Munaretti, sobri ma curati nel dettaglio, evocano una dimensione popolare e artigianale, in linea con lo spirito della commedia dell’arte, in cui tradizione e innovazione si fondono senza perdere autenticità. Le maschere, tipiche del teatro popolare, simboleggiano una tradizione che si rinnova, un linguaggio che non conosce barriere temporali o culturali. Ogni elemento scenico è carico di significato, ma allo stesso tempo leggero, agile, pronto a trasformarsi e reinventarsi, in un gioco teatrale al contempo serio e ironico. Il vero fulcro dello spettacolo è l’interazione con il pubblico. In questo spettacolo, la quarta parete viene infranta fin dai primi momenti, e il pubblico è chiamato a partecipare attivamente, a entrare nel gioco teatrale. Gli attori si rivolgono direttamente agli spettatori, coinvolgendoli con domande, battute, sguardi che rompono la distanza tra palcoscenico e platea. Questo dialogo continuo, questa apertura verso l’altro, rende lo spettacolo un’esperienza viva e unica, diversa ogni sera, modellata sulle reazioni di chi è presente in sala. L’energia in sala è talmente alta e vibrante da generare effetti contrastanti nel pubblico: c’è chi partecipa con entusiasmo, chi si lascia trascinare dall’esuberanza degli attori, e chi invece, più timidamente, si sente sopraffatto da tale vitalità. Non manca chi, fingendo disinteresse o annoiato, dissente su ogni azione sregolata sul palco e sul coinvolgimento attivo del pubblico. Questa molteplicità di reazioni rende ancora più affascinante l’atmosfera, contribuendo alla creazione di un microcosmo teatrale in cui ogni spettatore diventa protagonista. Il gioco delle parti, la consapevolezza della finzione, l’alternanza tra il ruolo dell’attore e quello del personaggio attraversano tutto lo spettacolo, conferendogli una profondità che va oltre la semplice comicità. Gli attori si muovono su un filo sottile, un equilibrio tra la necessità di far ridere e il desiderio di raccontare una storia tragica. Questo equilibrio è mantenuto con maestria, senza mai cadere nell’eccesso, preservando l’essenza del teatro come luogo di incontro, riflessione e condivisione. Al termine della rappresentazione, gli applausi del pubblico risuonano come un’onda che si infrange sul palcoscenico, una manifestazione di gratitudine e entusiasmo che travolge gli attori e li avvolge in un abbraccio ideale. Questo tripudio finale non è solo una formalità, ma il culmine di un’energia condivisa, di una comunione di intenti e emozioni che trova la sua espressione in quel fragore di mani, in quel coro di voci che rende omaggio non solo alla bravura degli interpreti, ma al teatro stesso come atto di creazione e partecipazione. “Giulietta e Romeo” non è semplicemente uno spettacolo, ma diventa un’esperienza, un rito collettivo, un momento di assoluta magia scenica.

Categorie: Musica corale

Firenze, Teatro del Maggio Musicale Fiorentino: “Madama Butterfly”

gbopera - Mar, 29/10/2024 - 23:23

Firenze, Teatro del Maggio Musicale FiorentinoStagione lirica “Autunno 2024”
MADAMA BUTTERFLY
Tragedia giapponese in tre atti su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa, da “Madam Butterfly” di John L. Long e “Madame Butterfly” di David Belasco.
Musica di Giacomo Puccini
Cio-Cio-San CAROLINA LÓPEZ MORENO
Suzuki MARVIC MONREAL
Kate Pinkerton ELIZAVETA SHUVALOVA
F. B. Pinkerton PIERO PRETTI
Sharpless NICOLA ALAIMO
Goro ORONZO D’URSO
Il principe Yamadori MIN KIM
Lo zio Bonzo BOZHIDAR BOZHKILOV
Yakusidé GIOVANNI MAZZEI
Il commissario imperiale DAVIDE SODINI
L’ufficiale del registro EGIDIO MASSIMO NACCARATO
La madre NADIA PIRAZZINI
La zia THALIDA MARINA FOGASARI
La cugina PAOLA LEGGERI
Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino
Direttore Daniele Gatti
Maestro del coro Lorenzo Fratini
Regia Lorenzo Mariani
Scene Alessandro Camera
Costumi Silvia Aymonino
Luci Marco Filibeck
Nuovo allestimento del Maggio Musicale Fiorentino
Firenze, 27 ottobre 2024
Il ciclo di opere autunnali prosegue con “Madama Butterfly” di Puccini, ultimo impegno ufficiale del maestro Daniele Gatti come direttore principale del Maggio. La regia di Lorenzo Mariani e le scene di Alessandro Camera evocano un Oriente sospeso, circoscritto da leggiadri veli ricadenti che plasmano il nido d’amore dei protagonisti, in una vicenda dove l’immedesimazione è garantita dagli attuali costumi di Silvia Aymonino. L’intera produzione sembra esaltare l’immacolata purezza di Cio-Cio-San e il suo contrasto con le consuete dinamiche di ciò che oggi definiremmo “turismo sessuale”, come testimonia il suo isolamento dal resto della famiglia e l’ingresso in scena mediante un’apposita pedana discendente. In particolare, l’impianto registico trova appiglio nelle parole di Pinkerton “che di rincorrerla furor m’assale, se pure infrangerne dovessi l’ale”, a sottolineare l’ineluttabilità della catastrofe e quella fragilità lacerata che tanto strugge in questo dramma. Così, i veli del letto nuziale iniziano a strapparsi nel secondo atto e, grazie a un ingegnoso effetto di luci di Marco Filibeck, si tingono di rosso non appena si paventerà la possibilità del suicidio. Di pari passo, il pavimento della “casa a soffietto” s’inclina progressivamente come fosse il ponte di una nave, fino a squarciarsi in due nell’atto finale. Pochi tratti, dunque, ma significativi, a riprova di come sia possibile godere di riletture in chiave moderna con economia di risorse. Nel corso della rappresentazione non sono mancati momenti più stereotipati, di esasperata passione o d’ironico sarcasmo, e un’ultima sorpresa era riservata al finale, quando le “due” mogli si fronteggiano con abiti gemelli, in un pericoloso gioco di riflessi. Dalla buca dell’orchestra, la direzione evidenzia l’instabilità dell’apparente equilibrio d’amore del primo atto con un’agogica molto varia, a tratti decisamente scorrevole, ma non priva di momenti di grande indugio, volti a saggiare le scale difettive e gli effetti cromatici dell’esotismo d’Oriente. A Daniele Gatti non sfugge la caratterizzazione musicale di uno sviluppo di tipo leitmotivico, con particolare sensibilità sulle poche note del tema identificativo del soprano, che contrastano con le invasive sonorità dell’inno americano (ai tempi inno della marina), sottolineando la morsa del tempo che passa e l’angoscia dell’attesa con moduli cromatici ricorrenti. Di grande intimismo (forse anche troppo) la delicata grana orchestrale che accompagna la celebra aria di Butterfly, ancor più velata sul “coro a bocca chiusa” di Lorenzo Fratini, mentre per gli effetti più vibranti si dovrà attendere l’intermezzo musicale introduttivo al terzo atto e la folgorante restituzione dell’emblematico accordo sospensivo della chiusa. Di buon livello anche il cast vocale, capeggiato dall’interessante prova di Carolina López Moreno. Il giovane soprano si presenta in scena con un timbro diamantino, tanto suadente quanto soffice nell’emissione, inserito in un fraseggio scelto e coadiuvato da spiccate doti attoriali. A fronte di uno strumento vocale non corposissimo, il soprano si concentra sulla caratterizzazione della delicata linea di canto di Cio-Cio-San, modulandola con filati in piano di singolare finezza, in cui non mancano diminuendi ad hoc, tesi a figurare le aspettative e le paure del personaggio. La cantante ben si districa col derisorio atteggiamento verso Yamadori e tratteggia con credibilità la progressiva corsa verso l’autodistruzione, che culminerà nella pregnante interpretazione del finale. Una performance degna di nota, che lascia qualche punto interrogativo su alcuni affondi sui gravi e sugli sbalzi sopra il rigo, in cui il soprano sembra essere meno a suo agio. Le faceva da spalla l’accorata Marvic Monreal, per estensione e timbro piuttosto adatta alla tormentata parte di Suzuki, forse non sempre iper penetrante, ma in grado di bilanciare qualche punto dall’emissione più ingolata con un notevole impegno interpretativo. Piero Pretti torna al Maggio nel superficiale ruolo di F. B. Pinkerton, confermando l’usuale squillo di una voce che soffre la mancanza di una tessitura più acuta, ma che comunque riesce a trovare un equilibrio in mezzo forte nelle insistenti frasi di centro, su cui l’inventiva diminuisce rispetto ai moti di rimorso o d’amore. Un ritorno anche per Nicola Alaimo, baritono dalla grande esperienza nell’opera buffa, che garantisce grande disinvoltura nella scena della lettura della lettera, dove la messa a punto del fraseggio, dell’emissione e delle soluzioni dinamiche traspira tutta la complessità di uno Sharpless di sentita umanità e lontano dall’emissione leggermente più fumosa della sortita. Intorno alla cerchia dei protagonisti si segnala l’efficace apporto del Goro di Oronzo D’Urso, tenore leggero pronto a fraseggiare con gusto e determinazione, mentre non proprio tonante è stata l’irruzione dello zio Bonzo di Bozhidar Bozhkilov, così come l’emissione di Davide Sodini (commissario imperiale) è risultata un po’ impastata nel dare lettura dell’atto di matrimonio. Completavano il quadro i convincenti e partecipativi interventi di Min Kim (contrito Yamadori) e Elizaveta Shuvalova (rattristata Kate Pinkerton), di Egidio Massimo Naccarato (ufficiale del registro), Giovanni Mazzei (Yakusidé) e gli schietti giudizi di Nadia Pirazzini, Thalida Marina Fogasari e Paola Leggeri, rispettivamente come madre, zia e cugina di Cio-Cio-San. Deciso il consenso di pubblico al termine della rappresentazione, in cui non è mancata una timida ovazione per la protagonista. Foto Michele Monasta

Categorie: Musica corale

Roma, Palazzo delle Esposizioni: “L’ultimo meraviglioso minuto” di Pietro Ruffo

gbopera - Mar, 29/10/2024 - 19:28

Roma, Palazzo delle Esposizioni
PIETRO RUFFO:L’ULTIMO MERAVIGLIOSO MINUTO
Roma, 28 Ottobre 2024
Dal 29 ottobre 2024 al 16 febbraio 2025, il Palazzo delle Esposizioni di Roma si trasforma in un monumento dedicato all’arte contemporanea con la mostra personale di Pietro Ruffo, intitolata “L’ultimo meraviglioso minuto”. Curata da Sébastien Delot, direttore della collezione del Museo Nazionale Picasso di Parigi, l’esposizione è promossa dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e dall’Azienda Speciale Palaexpo, che ne è anche produttrice e organizzatrice. Questa mostra rappresenta il culmine delle realizzazioni artistiche di Ruffo, la più grande esposizione personale che un’istituzione pubblica abbia mai dedicato al suo lavoro. Un’occasione straordinaria per immergersi in un viaggio attraverso le trame del tempo e dello spazio, culminante in un omaggio appassionato alla città eterna. Con oltre cinquanta opere realizzate specificamente per quattro delle sale del piano nobile del Palazzo delle Esposizioni, Pietro Ruffo affronta uno dei temi più urgenti e complessi della nostra epoca: il rapporto tra l’essere umano e il pianeta. Con un approccio visionario e audace, l’artista invita i visitatori a esplorare il potenziale “meraviglioso” della nostra presenza sulla Terra, interrogandosi sulla potenza e la fragilità dell’interazione umana con l’ambiente naturale. Riconosciuto a livello internazionale, Ruffo è stato protagonista alla Biennale di Venezia del 2024 con una monumentale installazione dal titolo “L’immagine del mondo”, e alcune delle sue opere fanno parte di collezioni prestigiose come quelle dei Musei Vaticani, del MAXXI e della Deutsche Bank Foundation. La mostra al Palazzo delle Esposizioni segna un momento cruciale nella carriera dell’artista, evidenziando il dinamismo e la vitalità della sua ricerca espressiva. “L’ultimo meraviglioso minuto” si articola come un dialogo complesso tra passato, presente e futuro, giocando sulla dilatazione e contrazione del tempo e dello spazio. L’obiettivo è quello di condurre i visitatori attraverso ere che si estendono ben oltre la memoria collettiva: dalla storia del pianeta alla storia della nostra specie, in un’unica esperienza visiva che si sviluppa attraverso diverse sale espositive. L’avventura creativa ha origine durante la residenza di Ruffo presso la Nirox Foundation in Sudafrica, un’esperienza arricchita dall’incontro con Lee Berger, antropologo e paleontologo di fama mondiale. Questo incontro ha portato l’artista nel sito paleoantropologico noto come “La Culla dell’Umanità”, uno dei luoghi più emblematici della storia umana, situato nei pressi di Johannesburg, dove fu scoperto il primo primate della storia. Questa esperienza ha segnato profondamente l’opera di Ruffo, fornendo il contesto per un racconto che idealmente inizia 55 milioni di anni fa. La prima sala della mostra, intitolata “Le monde avant la création de l’homme”, trae ispirazione dal libro di Camille Flammarion del 1886, “Origines de la terre, origines de la vie, origines de l’humanité”. Ruffo esplora gli elementi caratteristici del pianeta pre-umano attraverso disegni realizzati con penna Bic, creando una foresta primordiale che avvolge l’intero spazio espositivo su una superficie di 700 metri quadrati. Questa imponente installazione circonda i visitatori con immagini di piante e minerali, evocando un’era in cui la giungla tropicale ricopriva gran parte delle terre emerse. Tuttavia, per quanto l’allestimento sia tecnicamente curato, la sua grandiosità sembra talvolta mancare di una vera coerenza emotiva, come se il rigore espositivo non riuscisse pienamente a trasmettere l’intensità primordiale che vuole evocare. Attraversata questa foresta, il pubblico si trova immerso tra le tracce di una vita antica. Ventuno opere circolari dal titolo “De Hortus” galleggiano come ninfee su un pavimento bianco, creando un’atmosfera visiva di forte impatto cromatico e simbolico, un richiamo alla vita vegetale che precedette e accompagnò i primi passi dell’evoluzione animale. Anche qui, nonostante l’evidente ricerca estetica, alcune scelte sembrano non sposarsi del tutto con l’intenzione dichiarata di evocare la bellezza primigenia del mondo naturale, risultando a tratti eccessivamente compiaciute e distanti dal tema. Il percorso della mostra si sviluppa poi nell’Antropocene, l’epoca geologica segnata dall’impatto dell’attività umana. La paleontoclimatologa Rebecca Wragg Sykes, riprendendo il “calendario cosmico” di Carl Sagan, ha descritto questa fase come una manciata di minuti nell’intero anno della storia dell’Universo. Ed è proprio a questi ultimi minuti, alla nostra era, che sono dedicate le tre sale successive. Nella seconda sala, opere su carta intelata con intagli e inchiostro di china ripercorrono l’evoluzione umana, dai Neanderthal di Saccopastore fino alle prime statuette votive, simbolo del pensiero astratto e delle prime società organizzate. La terza sala offre un radicale cambio di scenario con una video installazione intitolata “The Planetary Garden”, ispirata all’omonimo testo del filosofo francese Gilles Clément, che esplora la dinamicità e il cambiamento del paesaggio naturale. Nonostante la qualità tecnica delle opere e l’efficacia della video installazione, alcune delle scelte estetiche risultano discutibili, con una rappresentazione visiva che talvolta sembra non essere all’altezza della profondità dei concetti filosofici espressi, generando un senso di distanza tra forma e contenuto. L’ultima sala, “Antropocene attraverso le stratificazioni di Roma”, rappresenta un omaggio alla città eterna. Partendo dalle celebri mappe di Giovanni Battista Nolli e Luigi Canina, Ruffo reinterpreta la città fondendo squarci di paesaggi naturali inattesi, dal mare primordiale alla giungla tropicale, fino al contesto urbano attuale. Le opere esposte compongono un mosaico di momenti storici e futuri ipotetici, proponendo una riflessione sulle trasformazioni del paesaggio urbano e naturale. Anche in questo caso, nonostante l’abilità tecnica e l’erudizione che permea il lavoro, alcune delle scelte compositive appaiono poco in sintonia con la monumentalità del tema, come se il peso simbolico della storia di Roma non trovasse pieno riscontro nell’allestimento visivo proposto. Con il suo linguaggio visivo, Pietro Ruffo riesce comunque a far riscoprire l’infanzia del nostro pianeta, mettendo in luce la vitalità della Terra e la complessità delle sue trasformazioni. L’esposizione invita a una riflessione profonda e poetica sul significato della nostra presenza nel mondo, sottolineando l’importanza della meraviglia come strumento di comprensione e azione. Tuttavia, alcune delle scelte estetiche e allestitive sembrano ridurre l’impatto emotivo complessivo, lasciando talvolta un senso di incompletezza rispetto all’ambiziosa narrazione proposta. La mostra sarà accompagnata da un catalogo curato da Sébastien Delot, con contributi di Guido Rebecchini, Rebecca Wragg Sykes e Sofia Di Gravio, pubblicato da Drago.

 

Categorie: Musica corale

Roma, RomaEuropa Festival 2024: “Notte Morricone” di Marcos Morau

gbopera - Mar, 29/10/2024 - 11:55

Roma, EuropaFestival 2024
“NOTTE MORRICONE”
di Marcos Morau
Ennio Morricone, Marcos Morau, Centro Coreografico Nazionale/ Aterballetto
Regia e coreografia Marcos Morau
Musica Ennio Morricone
Direzione e adattamento musicale Maurizio Billi
Sound Design Alex Röser Vatiché, Ben Meerwein
Testi Carmina S. Belda
Set e luci Marc Salicrù
Costumi Silvia Delagneau
Danzatori Ana Patricia Alves Tavares, Elias Boersma, Estelle Bovay, Emiliana Campo, Albert Carol Perdiguer, Sara De Greef, Leonardo Farina, Matteo Fiorani, Matteo Fogli, Arianna Ganassi, Clément Haenen, Arianna Kob, Federica Lamonaca, Giovanni Leone, Ivana Mastroviti, Nolan Millioud
Direttore Gigi Cristoforetti
Direttrice di compagnia Sveva Berti
Produzione Fondazione Nazionale della Danza/ Aterballetto
Prima rappresentazione outdoor 1 agosto 2024
Commissione Macerata Opera Festival
Coproduzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale
Prima rappresentazione indoor
Roma, Teatro Argentina, 24 ottobre 2024
Una nuova vita e una diversa poesia è donata alle immagini musicali presenti nei capolavori del compositore Ennio Morricone nello spettacolo di Marcos Morau dal titolo Notte Morricone, presentato in prima nazionale indoor al Teatro Argentina il 24 ottobre 2024. Il buio della notte, una costruzione grigia con scritte dipinte su di essa, delle luci tremolanti che coinvolgono anche la sala, una ragazza che gira attorno al palcoscenico spinta su una sedia mentre indossa delle cuffie, lo straniamento derivato dal contrasto tra un operatore di scena e un uomo che osserva il movimento di un metronomo, tutto ciò fornisce l’ambientazione scenica che coinvolge lo spettatore in un clima quasi surreale. Diviene quasi un sollievo riconoscere una consolle musicale con due protagonisti maschili che vi si sfidano al di sopra, metafore dei contrasti interiori tra le diverse anime del nostro Morricone. E piano piano si costruisce lo spettacolo inglobando al suo interno i movimenti del corpo di ballo e soprattutto vivificandosi grazie alla musica del Grande Maestro. Le sue melodie tratte da capolavori come Nuovo Cinema Paradiso sono arrangiate da Maurizio Billi e registrate con l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, e qui sono rivelate nella loro estrema potenza suggestiva. Durante una conversazione con lo stesso Billi, il Maestro Morricone aveva affermato con sicurezza: «la mia musica non ha bisogno di stampelle…». E sicuramente lo sapevamo anche tutti noi, stimatori del grande compositore profondamente dedito alla cinematografia. Il vantaggio qui non è solo però di poterle ascoltare in una intelligente redazione musicale, ma anche di vederne il contenuto immaginifico incarnato nella coreografia di un visionario come Marcos Morau. Nell’atmosfera notturna, i suoni sprigionano la loro massimale potenza luminosa e si intensificano grazie all’intricato groviglio di movimenti del corpo di ballo, che nelle loro flessioni e involuzioni esprimono un dialogo interiore incessante, mai assopito, anche se associato ad un’anima sensibile. A rivelare quest’anima interviene dunque un emblematico pupazzo, caratteristico della figuratività teatrale di Morau, e qui volto a manifestare i sogni del bambino Morricone, che sperava di farsi strada e di creare qualcosa di grande anche per onorare l’amore dei genitori. Una profonda sensibilità che però necessita di sporcarsi le mani con il lavoro, di materializzarsi in un dinamismo costruttivo palesato dall’uso delle tute. Eppur non basta ancora, ecco aprirsi allora i pannelli mobili e comparire un pianoforte. Solo abbandonandosi allo slancio lirico si può arrivare ai vertici, solo in questo momento la coreografia può spingersi verso languide pose. Morau però procede per discordanze. Il lirismo si accompagna a frastuoni elettronici, la creazione coreografica si accosta al risuonare delle registrazioni della voce di Morricone. Ci confrontiamo a tratti con l’interiorità del Maestro, e in altri momenti con il mondo onirico inframezzato nelle sue composizioni. Non manca il riferimento ai film di Sergio Leone, agli spaghetti-western e all’assolo di tromba. Questo richiamo a una più diretta narratività guida Morau verso la riproduzione su uno schermo di scene tratte dai film. Prevale però il riferimento a Morricone uomo, alla sua carriera, ai premi Oscar, ed infine alla sua scomparsa che grazie all’eternarsi della musica non è del tutto assoluta. Il compositore prima della sua dipartita aveva scritto: «Io, Ennio Morricone, sono morto». Il coreografo di origine spagnola, recentemente nominato Cavaliere dell’Ordine delle Arti e delle Lettere dal Ministero della Cultura francese e selezionato come miglior coreografo dell’anno scorso dalla rivista tedesca TANZ, ci dimostra che tale affermazione non è affatto vera. Ai suoi occhi, «i creatori e gli artisti sempre ci lasciano senza lasciarci», e per questo lo spettacolo Notte Morricone rappresenta un regalo al Maestro, «un devoto tributo alla bellezza che ha donato al mondo». Spiega il coreografo: «Ennio Morricone potrebbe essere mio padre, o mio nonno, io sono un erede diretto della sua eredità, dei film che gli devono un debito incommensurabile (siano essi capolavori, buoni, mediocri o brutti). Fischiettare le sue melodie era già, prima di immergermi nella sua musica, un suono ricorrente nella mia vita… Ennio mise la sua creatività, la sua ispirazione, la sua eterodossia al servizio della ‘fabbrica dei sogni’, incorporando quei suoni nella nostra memoria, diventando un classico, incarnazione del compositore intellettuale, del musicista popolare e quasi di una rock star». Forse è il voler rendere l’idea di questa fabbrica a concretizzarsi in una certa artificiosa ingegnosità nel variegato costruirsi dello spettacolo, spettacolo che al di là di tutto è decisamente impattante, malioso e persino commovente. Merito anche della collaborazione con l’Aterballetto, divenuto Centro Coreografico Nazionale, e improntato alla centralità della musica nello spettacolo. Dopo il successo quest’estate al Macerata Opera Festival, lo spettacolo ha conquistato il pubblico del Romaeuropa Festival e sarà in scena al Teatro Argentina fino al 10 novembre nell’ambito della stagione del Teatro di Roma. Assolutamente da non perdere. Foto Christophe Bernard

Categorie: Musica corale

Roma, Portico d’Ottavia: “Monumenti Sonori”

gbopera - Mar, 29/10/2024 - 11:32

Roma, arrivano i “Monumenti Sonori”
Un viaggio musicale attraverso la storia, dove le note di Puccini, Morricone e Respighi trasformano l’architettura in un palcoscenico a cielo aperto.
Roma, 25 Ottobre 2024

Ogni luogo racconta una storia” è il motto che ha inaugurato un’iniziativa straordinaria, trasformando alcuni dei siti più iconici di Roma in “testimoni sonori”. L’esperienza immersiva conduce i visitatori tra arte, musica e storia, in un viaggio che sembra annullare le barriere del tempo. Sei percorsi sonorizzati en plein air, distribuiti in alcuni luoghi simbolici della Capitale, creano un dialogo suggestivo tra le melodie scelte e l’essenza storica dei siti, un vero e proprio viaggio multisensoriale. La musica diventa la voce della storia, gli dà una nuova vita, la rende tangibile, risuona tra le pietre e le architetture secolari. Il progetto Monumenti Sonori è stato inaugurato al Portico d’Ottavia, nel cuore del Ghetto Ebraico. Alla cerimonia di apertura erano presenti Miguel Gotor, assessore alla Cultura di Roma Capitale, e Michele dall’Ongaro, presidente-sovrintendente dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Gli altri cinque monumenti coinvolti nell’iniziativa saranno rivelati nei prossimi mesi e il programma si estenderà fino a novembre 2025, con installazioni che interesseranno varie zone della città, dal Flaminio alla Magliana. Un sistema audio all’avanguardia, con altoparlanti integrati nell’ambiente, sfrutta le caratteristiche acustiche dei luoghi per creare un’esperienza sonora avvolgente, che permette di percepire ogni nota come se provenisse dalle stesse mura. L’innovativo l’“olofono”, sviluppato dal Centro Ricerche Musicali (Crm), orienta le emissioni sonore per creare spazi d’ascolto immersivi lungo il percorso. Le sonorità, così, sembrano emergere dagli ambienti stessi, la musica ti abbraccia e ti invita ad entrare. Il repertorio musicale scelto per “Monumenti Sonori” rende omaggio alla ricca tradizione musicale italiana, curato con maestria dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Tra i brani selezionati spiccano celebri capolavori come la Tosca di Giacomo Puccini, eseguita dall’Orchestra e dal Coro dell’Accademia, e i suggestivi poemi sinfonici di Ottorino Respighi, tra cui Pini di Roma, Feste romane e Fontane di Roma. Non mancano le emozionanti note del Love Theme composto da Andrea Morricone per la colonna sonora di Nuovo Cinema Paradiso, a cui si aggiungono le indimenticabili melodie di Ennio Morricone tratte dalla colonna sonora del film Mission.  Il palcoscenico architettonico diventa in questo modo più che suggestivo e il visitatore non può che trovarsi sorprendentemente immerso in una sinfonia di emozioni. I percorsi sonorizzati sono accessibili gratuitamente, con due fasce orarie: dalle 11:00 alle 13:00 e dalle 16:00 alle 18:00. Le diverse condizioni di luce e atmosfera offrono esperienze variabili, permettendo di cogliere le sfumature sonore in modi sempre nuovi, sia sotto la luce del giorno che nella morbidezza del tramonto. Questa iniziativa rientra nel più ampio progetto “Roma Smart Tourism”, che mira a valorizzare la Capitale con approcci innovativi alla fruizione culturale. L’obiettivo è restituire voce ai luoghi storici di Roma, risvegliando l’interesse di visitatori, turisti e cittadini romani. E la buona riuscita del progetto è il risultato di una sinergia tra varie istituzioni. Ideato dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e coordinato dal Dipartimento alle Attività Culturali, ha visto la collaborazione della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e della Fondazione Cinema per Roma. La direzione artistica è stata affidata all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, supportata dal Centro Ricerche Musicali (Crm), che ha condotto un’approfondita indagine artistica e tecnica sui monumenti coinvolti. Il coordinamento organizzativo è stato curato da Zètema Progetto Cultura. Monumenti Sonori rappresenta un ponte tra passato e presente, tradizione e innovazione, promettendo di lasciare un’impronta indelebile nella percezione dei luoghi storici di Roma. Le maestose note musicali rinnovano il legame tra la città e le sue storie meno note, creando un racconto che si diffonde e rimane impresso nella memoria di chi lo vive. I luoghi si trasformano in scrigni di suoni che, pur confinati nello spazio, continuano a riecheggiare nel tempo, arricchendo il patrimonio culturale della Capitale e l’anima di chi li visita.

Categorie: Musica corale

Piacenza, Teatro Municipale: “Mosè in Egitto”

gbopera - Mar, 29/10/2024 - 08:13

Piacenza, Teatro Municipale, Stagione Opera 2023/2024
MOSÈ IN EGITTO”
Azione tragico-sacra in tre atti su libretto di Andrea Leone Tottola
Musica di Gioachino Rossini
Mosè MICHELE PERTUSI
Osiride DAVE MONACO
Amaltea MARIAM BATTISTELLI
Faraone ANDREA PELLEGRINI
Elcia AIDA PASCU
Amenofi ANGELA SCHISANO
Mambre ANDREA GALLI
Aronne MATTEO MEZZARO
Orchestra Filarmonica Italiana
Coro lirico di Modena
Direttore Giovanni Di Stefano
Maestro del Coro Giovanni Farina
Regia Pier Francesco Maestrini
Scene e video Nicolás Boni
Costumi Stefania Scaraggi
Luci Bruno Ciulli
Nuovo allestimento del Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena in comproduzione con Teatro Municipale di Piacenza e Teatro Municipale Romolo Valli di Reggio Emilia
Piacenza, 28 ottobre 2024
Mosè in Emilia: inaugurata la stagione a Modena, riversato su YouTube da Opera Streaming, fa il suo trionfale ingresso a Piacenza. Dove il pubblico migliore del mondo lo attendeva in trepidante eccitazione: “stai attenta alla preghiera alla fine: sentirai!” raccomanda chi “a casa ho anche il disco”. Ma poi precisa: “io c’ho il Mosè, senza in Egitto, ma per il grosso la musica è la stessa”. Il musicologo e il rossinista storcano i loro nasi: la sintesi è di indubbia efficacia. Pubblico migliore del mondo (va bene: al netto delle caramelle), si diceva, perché gaudente, sincero, amante. E, come ogni amante che si rispetti, cieco. Cieco a certi inveterati vezzi della messa in scena, quali pugnali che per buone mezz’ore vanno minacciando ugole cantanti, o palmi di mano che si levano scattanti con tutti i ditini ben ritti e staccati. Per non dire del piè furtivo mosso dal corista che, col favor delle tenebre (e del light designer, qui Bruno Ciulli), si piazza in scena, bell’e pronto per il suo prossimo intervento, mentre solo qualche centimetro più avanti qualcuno sta ancora finendo la propria intima aria. Pier Francesco Maestrini ci mette, insomma, il solito mestiere e ne viene una narrazione piana se non piatta. L’impianto visivo di Nicolás Boni è piuttosto astuto: un fondale animato e un eterno tulle su cui la stessa immagine del fondale fa da quintatura. C’è qualche remoto richiamo al bozzettismo ottocentesco (tardo però, soprattutto la grotta), ma l’immagine digitale si tradisce subito e fa parecchio videogioco. Per inciso, il Mosè rossiniano è protagonista di una delle prime proiezioni in movimento sulla scena lirica: a tentarla fu niente meno che Nicola Benois, alla Scala, nel 1937. Giustamente il pubblico amante non si cura troppo di queste cose e va al sodo: le voci. Michele Pertusi brilla per la bellezza della linea del canto, lubrificata dal mezzo così pastoso e morbido che gli conosciamo. Già “Celeste man placata” è una delizia, e poi la famigerata preghiera, bissata a furor di popolo in un pianissimo smorzato, quasi fosse un “a sé”, una preghiera interiore, di grande effetto. Si difende da cotanto Mosè il Faraone di Andrea Pellegrini, giovane voce che abbiamo già ascoltato in tutti i ruoli di fianco possibili e immaginabili. Il timbro è molto bello, mostoso, e il cantante sensibilissimo all’accento, alla parola, alle intenzioni. Ma a stupire per varietà di colori, d’accenti, di dinamiche, in un fraseggio articolato, vario, cangiante, sfumato, iridescente (può bastare?) è l’Osiride di Dave Monaco, dal timbro fresco, limpido, etereo e solare. Accanto a lui l’Elcia di Aida Pascu, voce nerboruta dai centri solidissimi, qualche spigolosità la rivela negli acuti. Amaltea è Mariam Battistelli, bellissima nella sua armatura da guerriera spaziale (i costumi sono di Stefania Scaraggi), chiara fresca e dolce voce di lussureggiante giovinezza ma irrimediabilmente, anzi irresistibilmente “lezzera”. Nelle parti di fianco spicca l’Aronne sonoro netto e squillante di Matteo Mezzaro, accanto all’Amenofi avvolgente e scura di Angela Schisano, e al maligno Mambre di Andrea Galli. L’Orchestra Filarmonica Italiana diretta da Giovanni Di Stefano oscilla lodevolmente fra complicità cameristiche e turgori romantici, mentre il Coro lirico di Modena di Giovanni Farina scandisce con suono netto e compatto il protagonistico lignaggio del proprio ruolo. Lo spettacolo approderà ancora a Reggio Emilia il 15 e 17 novembre prossimi. Foto Rolando Paolo Guerzoni

Categorie: Musica corale

Novara, Teatro Carlo Coccia: “La benedizione” – “Gianni Schicchi”

gbopera - Lun, 28/10/2024 - 23:55

Novara, Teatro C. Coccio, stagione d’opera 2024
LA BENEDIZIONE”
Opera in un atto su libretto di Marco Malvaldi
Musica di Cristian Carrara
Buoso MARCELLO ROSIELLO
Zita FRANCESCA MERCURIALI
Gherardo XIAOSEN SU
Simone STEFANO PARADISO
Rinuccio NICOLA DI FILIPPO
Un frate EUGENIO DI LIETO
“GIANNI SCHICCHI”
Opera in un atto su libretto di Gioacchino Forzano
Musica di Giacomo Puccini
Giani Schicchi MARCELLO ROSIELLO
Lauretta BEATRICE CATERINO
Rinuccio NICOLA DI FILIPPO
Zita FRANCESCA MERCURIALI
Gherardo XIAOSEN SU
Nella ZI JING
Gherardino GIULIO ONGERI
Betto di Signa EUGENIO DI LIETO
Simone STEFANO PARADISO
Marco LORENZO LIBERALI
La Ciesca MARIATERESA FEDERICO
Maestro Spinelloccio/ Ser Amantio RANYI JIANG
Guccio ALBERTO PAROLA
Pinellino JESUS NOGUERA
Buoso Doati DANIELE GUIDA
Orchestra Bazzini Consort
Direttore Vittorio Parisi
Regia Teresa Gargano
Scene Lorenzo Mazzoletti
Costumi Silvia Lumes
Novara, 25 ottobre 2024
Spettacolo annuale del progetto AMO, la scuola di formazione per giovani cantanti portata avanti dal Teatro Coccia, questo dittico segue l’ormai consueta formula di affiancare un’opera di tradizione – quest’anno il ciclo delle farse rossiniane è stato interrotto da “Gianni Schicchi” all’interno delle celebrazioni pucciniane – a un nuovo lavoro introduttivo, appositamente commissionato e in qualche modo legato all’opera di repertorio. Questa volta l’obiettivo è stato pienamente raggiunto sul piano tematico essendo “La benedizione” con musiche di Cristian Carrara su libretto di Marco Malvaldi di fatto un prologo al “Gianni Schicchi” in cui si raccontano la morte di Buoso e le ragioni del testamento a favore dei Minori di Santa Reparata.
Teatralmente il nuovo lavoro funziona bene, è breve – poco più di mezz’ora di musica – e il libretto di Malvaldi con la sua ironia un po’ lugubre si fa decisamente apprezzare. La musica di Carrara è sostanzialmente tonale e d’impianto tradizionale. Lo scrittura orchestrale è di buona fattura e l’aspetto sinfonico non manca di colpire positivamente. latitano invece un maggior senso melodico e un maggior abbandono alla cantabilità, così che la parte vocale si riduce a un declamato teatralmente funzionale ma alla lunga fin troppo ripetitivo.
La parte musicale è stata affidata all’Orchestra Bazzini Consort, compagine bresciana formata da giovani musicisti e guidata per l’occasione da Vittorio Parisi. Si tratta di una formazione quasi amatoriale nata dall’iniziativa degli stessi strumentisti ma nel complesso capace di fornire una prestazione convincente con buona compattezza sonora e in cui si riconosce un notevole impegno. La direzione cerca soprattutto una quadratura complessiva dello spettacolo, sostenendo un cast d’interpreti alle prime armi e riuscendo a garantire una buona tenuta dell’insieme.
Lo spettacolo è una sorta di saggio per i ragazzi del progetto AMO e come tale deve essere considerato risultando evidente, da parte di tutti, una certa immaturità. Unico interprete di esperienza – e presenza abituale sulle scene novaresi – Marcello Rosiello fa un po’ da chioccia per il gruppo dei giovani impegnandosi nel doppio ruolo di Buoso e di Gianni Schicchi. La voce è solida anche se un po’ arida sul piano timbrico, la dizione però è ottima – fondamentale in parti di questo tipo – e il personaggio è ben colto, senza eccessi caricaturali e con una sobrietà complessiva che si apprezza sempre. Forse un accento più sfumato e cangiante non sarebbe stato sgradito ma la prova nel complesso è stata di convincente solidità. Alcuni cantanti partecipano a entrambe le opere. Eugenio di Lieto (un frate e Betto) ci è parso uno dei più solidi, con una buona voce di basso e una corretta linea vocale. Il Rinuccio di Nicola di Filippo ha una buona voce squillante e un’innegabile simpatia scenica però nello stornello è ancora un po’ generico e appare evidente una necessità di maturazione sia vocale sia interpretativa. Funzionale – soprattutto scenicamente – il Gherardo di Xiaosen Su. La Zita di Francesca Mercuriali manca purtroppo di un registro grave solido quale la parte richiede mentre il Simone di Stefano Paradiso non appare ancora centrato sufficientemente. Tra i cantanti presenti solo nel titolo pucciniano ci è parsa alquanto “acerba” la Lauretta di Beatrice Caterino mentre funzionano meglio – nella brevità delle loro parti –  la Cesca di Mariateresa Federico e la Nella di Zi Jing. Di anonima correttezza gli altri. Lo spettacolo firmato da Teresa Gargano ha il merito di mantenere una forte coerenza tra le due opere unite dallo spazio scenico oltre che dal racconto. L’ambientazione è contemporanea – e in un’opera come lo Schicchi manca il medioevo di cui libretto e musica sono così profondamente impastati – con tinte fosche e caratterizzazioni grottesche, palese il riferimento a una certa cinematografia italiana – “Parenti, serpenti” di Monicelli su tutti. Si nota il lavoro di preparazione attoriale – tanto più importante con interpreti così giovani e inesperti – e nel complesso la parte visiva riesce a divertire. Le scene di Lorenzo Mazzoletti con il loro gusto un po’ gotico e le citazioni fiorentine non mancano di efficacia visiva, più anonimi i costumi di Silvia Lumes.

Categorie: Musica corale

Rho (MI): “Madama Butterfly”

gbopera - Lun, 28/10/2024 - 19:02

Rho (MI), Teatro Civico Roberto da Silva, Stagione 2024/25
MADAMA BUTTERFLY”
Opera in tre atti su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Musica di Giacomo Puccini
Cio-Cio-San DARIA MASIERO
Pinkerton GIUSEPPE DISTEFANO
Sharpless FRANCESCO LA GATTUTA
Goro GIACOMO LEONE
Suzuki CARLOTTA VICHI
Il Principe Yamadori YIMING GUO
Lo zio Bonzo GIACOMO PIERACCI
Kate Pinkerton BRONISŁAWA SOBIERAJSKA
Il Commissario Imperiale LIU ALL SONG HAO
Coro e Orchestra Filarmonica Italiana
Direttore Riccardo Bianchi
Maestro del coro Paolo Targa
Regia e Scene Stefano Monti
Costumi Desirée Costanzo e Allegra Montanelli
Movimenti mimici Monique Arnaud
Nuova produzione International Music and Arts in coproduzione con Teatro Civico Roberto De Silva, Fondazione “U. Artioli” Mantova Capitale Europea dello Spettacolo, Teatro Splendor Aosta
Rho (MI), 25 ottobre 2024
C’è una buona notizia al principio di questa recensione: il Comune di Rho, città metropolitana di Milano, per anni considerato il simbolo delle cosiddette “città-dormitorio“ fuori dal capoluogo meneghino, ha un nuovo teatro, bello, della giusta grandezza, con una buca per l’orchestra piccola ma molto profonda, in grado di ospitare compagini di una trentina di strumenti, e una acustica sorprendente; non solo: il Teatro Civico Roberto da Silva ha una stagione ricca, che comprende prosa di alto livello, musica sinfonica d’eccezione (quest’anno vi dirigeranno Pappano e Fasolis) e opera – non potevamo, dunque, farci scappare la loro prima, vera produzione, “Madama Butterfly”. Il dubbio che si tratti di una produzione di serie B viene immediatamente fugato dalla locandina, ove compaiono coro, orchestra, giovani artisti in carriera, e altre due realtà coproduttrici (il Teatro Splendor di Aosta e la Fondazione “U. Artioli” Mantova Capitale Europea dello Spettacolo di Mantova). La compagnia musicale vede senz’altro distinguersi il direttore d’orchestra, Riccardo Bianchi: la sua conduzione energica, senza dubbio personale, non tradisce tuttavia lo spirito più radicale, sofferto della partitura pucciniana; l’Orchestra Filarmonica Italiana, per l’occasione composta da trentuno elementi, non fa certo rimpiangere compagini più numerose, grazie a un suono potentemente coeso, ove senza dubbio spiccano gli archi; anche il rapporto con la scena è preciso e puntuale, e Bianchi si mostra sapiente mediatore tra rispetto filologico e convenzioni della concertazione. Il secondo astro della serata è Daria Masiero, esperta e apprezzata interprete del ruolo: la sua Butterfly è vocalmente morbida e tenace, passa con maestria dai filati più evanescenti al temperamento più passionale mettendo in evidenza un registro sempre brillante e una grazia smaltata e ardente allo stesso tempo, con una linea di canto sempre elegante. Accanto a lei ritroviamo la buona Carlotta Vichi nei panni di Suzuki, che abbiamo appena ascoltato a Savona nello stesso ruolo, riconferma il bel colore vocale, la solida tecnica, unite a un fraseggio accurato e a una efficace naturalezza scenica. Più alterno il Pinkerton d Giuseppe Distefano che mostra, almeno in questa occasione delle pecche nell’emissione con suoni sfocati o che risultano quasi metallici. Di conseguenza il fraseggio ne esce fortemente penalizzato. Complessivamente valida la prova di Francesco La Gattuta (Sharpless) soprattutto a partire dal secondo atto nel quale il baritono mostra una vocalità fresca e morbida. Di pregio il Goro di Giacomo Leone, soprattutto per la bellezza del colore vocale, oltre che per l’impegno profuso in scena. Nell’alveo della correttezza anche le altre performance: lo zio bonzo di Giacomo Pieratti, il Principe Yamadori di Yiming Guo, il Commissario Imperiale di Liu All Song Hao e la Kate Pinkerton di Bronisława Sobierajska, quest’ultima dalle screziature insolitamente e piacevolmente brunite. L’apporto del Coro è pure molto convincente – un plauso al maestro Paolo Targa –, mentre ci lascia più perplesso l’apparato scenico curato da Stefano Monti: la scelta è quella di un Giappone minimale, proiezioni sullo sfondo e tre grandi paraventi soli in scena, che vengono spostati, aperti e chiusi, per ricreare spazi diversi. Pur apprezzando questa idea, e anche la fattura degli oggetti di scena, troviamo le proiezioni alle spalle degli interpreti non solo di produzione scadente (sembrano una presentazione di PowerPoint), ma anche poco significative e dall’arbitrario valore artistico; anche un paio di trovate della regia non ci paiono persuasive – nella fattispecie: la presenza di un mimo silenzioso (Monique Arnaud) in abito tradizionale che durante alcune scene compare per danzare, o muovere oggetti, non sempre in maniera godibile, mai in maniera comprensibile per il pubblico; e l’uso di proiezioni dietro i paraventi, belle e di tradizione, ma che, ad esempio, anticipano al pubblico la presenza del piccolo Dolore (che, invece, molto presumibilmente, negli intenti originali dovrebbe rappresentare il colpo di scena del secondo atto). Inoltre la regia in quanto tale è troppo statica rispetto alla ricchissima drammaturgia musicale di Puccini: spesso i cantanti sono immobili, si osservano, a volte aspettano chiaramente di cantare, ma la cosa forse più stonata è il chiarissimo disagio durante il duetto d’amore del primo atto, in cui Pinkerton e Cio-Cio-San a malapena si toccano (in barba ai vari “Sei mia” e “Ti tengo”), cantandosi semplicemente addosso in maniera un po’ straniante. Insomma, la netta sensazione è che la regia sia composta di elementi slegati tra di loro, senza tener del giusto conto di ciò che Giacosa e Illica, ma soprattutto Puccini, hanno lasciato scritto.

Categorie: Musica corale

Venezia, Palazzetto Bru Zane: “Il tempo ritrovato” con Miriam Prandi e Gabriele Carcan

gbopera - Dom, 27/10/2024 - 11:00

Venezia, Festival “Passione violoncello”, 21 settembre-24 ottobre 2024
IL TEMPO RITROVATO”
Violoncello Miriam Prandi
Pianoforte Gabriele Carcano
Claude Debussy: Sonate pour violoncelle et piano en ré mineur; Nadia Boulanger: Trois Pièces pour violoncelle et piano; César Franck: Sonate pour violon et piano en la majeur (transcrite pour violoncelle et piano)
Venezia, 24 ottobre 2024
Non poteva concludersi in un modo migliore il mirabolante viaggio virtuale alla scoperta del violoncello, iniziato il 21 settembre, su iniziativa del Centre de Musique Romantique Française, nella sontuosa sala capitolare della Scuola Grande di San Giovanni Evangelista e proseguito nella deliziosa sala dei concerti del Palazzetto Bru Zane. L’ultimo concerto, infatti, si è svolto all’insegna della finezza interpretativa e della padronanza tecnica, del puro piacere estetico e dell’emozionata partecipazione del pubblico. Complici i due solisti, entrambi italiani, già affermatisi nel panorama internazionale, nonostante la loro ancora giovane età – Miriam Prandi al violoncello e Gabriele Carcano al pianoforte –, che hanno mirabilmente interpretato tre composizioni di indubbio fascino: La Sonata per violoncello e pianoforte di Claude Debussy, i Tre pezzi per violoncello e pianoforte di Nadia Boulanger, una trascrizione per violoncello e pianoforte della celebre Sonata per violino e pianoforte di César Franck. E proprio a quest’ultima si riferisce il rimando proustiano contenuto nel titolo, assegnato all’evento di cui trattiamo: è possibile, infatti, che Proust pensasse proprio al capolavoro del compositore belga, quando nella Recherche si riferisce all’enigmatica quanto immaginaria “Sonata di Vinteuil”, contenente la “petite phrase”, che Swann associa – ogni qual volta la sente – all’amata Odette. Nella realtà storica la Sonata di Franck lasciò un’impronta duratura sulla musica francese a cavallo tra Otto e Novecento. Nadia Boulanger, che nasce nello stesso anno della prima esecuzione parigina della Sonata, raccoglie il retaggio di Franck, ma è anche interessata alla rivoluzione di Debussy, che ha segnato un punto di svolta nella Francia musicale di inizio secolo. Questa dunque la ratio sottesa ai pezzi in programma nella serata, che il duo Prandi-Carcano ha eseguito, tra l’altro, con grande sensibilità e adeguatezza stilistica.
Veramente notevole la prestazione offerta da Miriam Prandi, che si è segnalata per la bellezza del suono, l’eleganza del fraseggio, la varietà degli accenti, ora ruvidi e perentori ora delicati e sognanti, oltre che per la perfetta concentrazione dimostrata durante ogni esecuzione, quasi che l’artista si estraniasse completamente dalla vita reale per immergersi in una dimensione, nella quale ogni sua fibra vibrava insieme allo strumento, cassa di risonanza del suo profondo sentire. Assolutamente encomiabile anche Gabriele Carcano, che ha dimostrato un’analoga capacità di immedesimarsi totalmente nella musica, facendosi apprezzare per l’estrema sensibilità e la profonda partecipazione, con cui ha interagito con la violoncellista, grazie anche ad un sicuro dominio della tastiera, da cui ha saputo trarre una ricchezza di colori e di accenti, davvero straordinaria. In un’aura notturna, lunare ci ha immerso la Sonata di Debussy – che l’autore voleva inizialmente intitolare “Pierrot faché avec la Lune” –, di cui si è pienamente apprezzato il colore armonico, prevalente in questo pezzo sulle linee melodiche. Molto espressivo, tra contrasti e sfumature, il dialogo tra i due strumenti: nel perentorio Prologo, che termina con con un diafano suono armonico del violoncello; nella Serenata, dove alla sognante linea melodica del violoncello il pianoforte ha contrapposto secchi accordi di chitarra stilizzata; nell’animato Finale concluso da una una strappata del violoncello e un secco accordo del pianoforte. Analogamente variegata l’espressività nei Tre pezzi di Nadia Boulanger: estatico il primo, dolcemente malinconico il secondo, dionisiaco il terzo. Strepitosa l’esecuzione della Sonata di Franck, trascritta per violoncello e pianoforte: un arrangiamento – verosimilmente quello realizzato da Jules Desart – molto fedele all’originale, che lascia intatta la parte del pianoforte e traspone quella del violino all’ottava inferiore solo quando risulta opportuno. Espressivo il pianoforte in apertura del primo movimento, Allegretto ben moderato, con i suoi pacati accordi introduttivi, prima che, alla quinta battuta, entrasse il violoncello con un leggiadro tema dal caratteristico andamento altalenante, il cui nucleo, rielaborato, sarebbe ritornato ciclicamente in tutta la sonata; un secondo tema dai toni quasi supplichevoli è stato poi introdotto dal pianoforte, dopodiché alcune modulazioni hanno rasserenato il clima espressivo, fino alla coda dolce e cullante. Emotivamente intenso, pervaso da accenti palpitanti, a volte drammatici – che ricordano il Quintetto in fa minore –, è risultato il secondo movimento, Allegro, aperto dagli arpeggi del pianoforte, da cui è emerso il primo tema, che si richiama all’idea ciclica, poi ripreso dal violoncello; una seconda idea tematica, triste e desolata, essa pure derivata dall’idea generatrice, ha rappresentato, in questo movimento turbinoso, una fase distensiva, consentendo al violoncello, cui era affidata, di mettersi in luce sopra arpeggi in terzine del pianoforte; successivamente sono riaffiorati, tramite brevi richiami, i temi precedenti, prima dell’impetuosa chiusura tra arpeggi e trilli dei due strumenti. Originale per concezione e struttura, il terzo movimento, Recitativo-Fantasia – altamente lirico e misterioso, nonché caratterizzato da passaggi a varie tonalità –, si è aperto con un lungo recitativo magnificamente eseguito dal violoncello, intervallato dal tema ciclico espresso con pari efficacia dal pianoforte, prima della comparsa di un nuovo tema, dapprima tranquillo, poi via via più drammatico e più volte elaborato, che si sarebbe poi ripresentato nel movimento successivo; più oltre la forte carica espressiva si è stemperata nel pianissimo che ha chiuso il movimento. Introdotto da un disegno imitativo, il quarto movimento, Allegretto poco mosso – che si sviluppa con un procedimento a canone, di cui César Franck è grande maestro – ha visto l’alternarsi di episodi e ritornello, via via riproposti in tonalità differenti, oltre al riapparire del tema presentato per la prima volta nel terzo tempo così come dell’idea tematica principale, prima della brillante chiusura, animata dai trilli del violoncello. Scrosciati applausi alla fine, placati da un bis: il Largo dalla Sonata per violoncello e pianoforte di Chopin, in cui il violoncello ha sfoggiato una serie di piano a dir poco sublimi.

Categorie: Musica corale

Le Cantate di Johann Sebastian Bach: ventiduesima Domenica dopo la Trinità

gbopera - Dom, 27/10/2024 - 01:39

Mache dich, mein Geist, bereit BWV 115 è la seconda delle tre Cantate bachiane giunte a noi e destinate alla ventiduesima domenica dopo la Trinità. Eseguita per la prima volta a Lipsia il 5 novembre 1724, questa partitura ha alla base l’inno omonimo di Johann Burchard Freystein (1671-1718) un importante esponente della vita sociale di Dresda, consigliere di Corte e di Giustizia. L’inno che costituisce un invito a tenersi sempre pronti ad invocare il soccorso Divino e a respingere le tentazioni di Satana in vista del giudizio finale è costruito in 10 strofe musicate nel 1655, da Johann Rosenmüller (1615-1684) uno dei collaboratori di Tobias Michael (1592-1657) Thomaskantor a Lipsia dal 1647 al 1655. Apparentemente il testo sembra avere rapporti con le letture evangeliche, ma in realtà il lied vuole cogliere il messaggio che punta a voler impetrare il perdono Divino. Su questo stimolante invito, Bach costruisce un altro dei suoi capolavori, l’ennesima vetta in un panorama che pare non conoscere limiti ne pecche. La Fantasia su Corale che apre la partitura, nonostante la sua brevità, è articolata in modo assai complesso, un perfetto esempio di quella concisione, eleganza e ricercatezza che Bach sa profondere a piene mani in ogni momento. Le due arie con “da capo” in un andamento “Adagio” e “Molto Adagio” evitano la monotonia espressiva mediante di precisi colorismi strumentali. La prima aria (nr.2) per contralto impiega l’oboe d’amore e gli archi, in un tempo di “Siciliana”, affiancandosi alla tipologia delle melodrammatiche “arie del sonno”, sostenuta dalle regolari pulsazioni del Continuo, con una particolare attenzione delle differenziazioni dei piani e dei pesi sonori, nonché delle pause che gli interrogativi del testo suggeriscono. La seconda aria (Nr.4) per soprano, impone un impegnativo “tour de force” contrappuntistico al flauto e al violoncello piccolo.  La lentezza dell’accompagnamento viene compensata dal fluttuante e fluido dipanarsi del motivo melodico.
Nr.1 – Coro
Preparati, anima mia,
veglia, implora e prega
che il momento del Male non arrivi
su di te all’improvviso;
poiché
l’astuzia di Satana
sa indurre i giusti
in tentazione.
Nr.2 – Aria (Contralto)
O anima addormentata, come? Dormi ancora?
Svegliati subito!
Il giudizio potrebbe coglierti all’improvviso
e, se tu non ti svegli,
potrebbe avvolgerti nel sonno della morte eterna.
Nr.3 – Recitativo (Basso)
Dio, che veglia sulla tua anima,
detesta la notte del peccato;
ti invia la sua luce di grazia
ed in cambio dei suoi doni,
che ti ha abbondantemente promesso,
desidera che tu apra gli occhi dello spirito.
Non c’è limite all’astuzia di Satana
per sedurre i peccatori;
se tu stesso ora spezzi il patto di grazia
non avrai più il soccorso.
Il mondo intero ed i suoi componenti
non sono altro che falsi fratelli;
eppure la tua carne ed il tuo sangue
cercano le loro lusinghe.
Nr.4 – Aria su Corale (Soprano)
Prega allora
finchè sei sveglia!
Per la tua grande colpa implora
la pietà del tuo Giudice,
affinchè ti liberi dal peccato
e ti purifichi!
Nr.5 – Recitativo (Tenore)
Egli si commuove per i tuoi pianti,
volge ad essi le sue orecchie benigne;
se i nemici gioiscono delle nostre sventure,
noi vinceremo grazie al suo potere:
poiché suo Figlio, che noi preghiamo,
crea in noi coraggio e forza
e verrà in nostro soccorso.
Nr.6 – Corale
Allora dobbiamo sempre
vegliare, implorare, pregare,
poiché paura, angoscia, pericolo
si avvicinano sempre di più;
ma non è lontano
il momento in cui
Dio ci giudicherà
distruggendo il mondo.
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Mache dich, mein Geist, bereit” ,BWV 115

 

Categorie: Musica corale

Roma, Accademia Nazionale di San Luca: “Alighiero e Boetti. Raddoppiare dimezzando”

gbopera - Sab, 26/10/2024 - 23:59

Roma, Accademia Nazionale di San Luca
ALIGHIERO E BOETTI. RADDOPPIARE DIMEZZANDO
La mostra Alighiero e Boetti. Raddoppiare dimezzando ha ormai aperto le sue porte al pubblico presso l’Accademia Nazionale di San Luca, offrendo un’occasione unica per esplorare l’opera di uno degli artisti più rivoluzionari del XX secolo. Curata da Marco Tirelli e ideata insieme a Caterina Boetti, la mostra rappresenta non solo un tributo, ma un dialogo intimo e profondo con l’eredità di Alighiero Boetti, nel trentennale della sua scomparsa. Il percorso espositivo si snoda attraverso gli spazi suggestivi di Palazzo Carpegna, con le opere collocate nel Salone d’Onore, nella Sala bianca e sotto il porticato borrominiano. Le scelte curatoriali di Marco Tirelli, noto per la sua capacità di creare atmosfere sospese e meditative, hanno saputo esaltare la complessità dell’opera di Boetti, mettendo in rilievo i temi centrali della sua ricerca: il doppio, la moltiplicazione e la frammentazione. Nelle sale, si percepisce un silenzio denso di significato, che avvolge il visitatore in un dialogo visivo con le opere. Tra i lavori esposti, le famose Mappe di Boetti catturano l’attenzione con la loro maestosità: i confini del mondo sono ridisegnati attraverso ricami colorati, che raccontano non solo una geografia politica, ma una riflessione profonda sull’idea di identità e appartenenza. La moltiplicazione dei segni e delle bandiere diventa simbolo di un mondo frammentato, dove l’individualità si scontra con la globalità. Uno degli aspetti più affascinanti della mostra è la sua capacità di far dialogare le opere con l’architettura del Palazzo. Nel porticato borrominiano, i lavori di Boetti si fondono con la luce naturale, creando un gioco di ombre che amplifica il concetto di raddoppiare dimezzando. La presenza fisica delle opere, che si espande nello spazio, riflette quel senso di crescita organica che caratterizza tutta la produzione dell’artista. Come sottolinea Marco Tirelli, “nessuna opera di Alighiero si esaurisce in sé stessa; apre sempre a un altro senso, a nuove interpretazioni”. La curatela di Tirelli, supportata dalla profonda conoscenza dell’opera del padre da parte di Caterina Boetti, offre al visitatore una lettura sfaccettata e raffinata, dove la potenza concettuale di Boetti è valorizzata attraverso un allestimento che ne esalta la poeticità e la profondità filosofica. La mostra non si limita a esporre opere, ma diventa un’esperienza immersiva, in cui lo spettatore è invitato a riflettere sul rapporto tra l’uno e il molteplice, tra l’ordine e il caos. L’inaugurazione ha segnato un momento di grande partecipazione culturale, con critici e appassionati d’arte che hanno elogiato la coerenza e l’eleganza della mostra. La scelta di esporre opere simboliche come le Mappe, accanto a lavori meno noti ma altrettanto emblematici del percorso di Boetti, dimostra un approccio curatoriale che guarda alla totalità dell’opera dell’artista, senza limitarla a categorie o periodi storici. Con Raddoppiare dimezzando, la mostra non solo celebra la memoria di Alighiero Boetti, ma offre una chiave di lettura contemporanea del suo pensiero, capace di interrogare lo spettatore sulle sfide del presente. Attraverso le opere, emerge la forza innovativa di un artista che ha saputo giocare con i confini dell’arte, della geometria e della filosofia, lasciando un’impronta indelebile nella storia culturale. L’installazione, tra rigore concettuale e vibrante poesia, si presenta così come una delle più significative manifestazioni artistiche dell’anno, un invito a scoprire (o riscoprire) l’universo di Alighiero Boetti con uno sguardo nuovo, capace di cogliere le infinite sfaccettature del suo pensiero.

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Ambra Jovinelli: “Sanghenapule. Vita Straordinaria di San Gennaro”

gbopera - Ven, 25/10/2024 - 23:59

Roma, Teatro Ambra Jovinelli
SANGHENAPULE
Vita straordinaria di San Gennaro
testo e drammaturgia Roberto Saviano e Mimmo Borrelli
regia Mimmo Borrelli
con Roberto Saviano e Mimmo Borrelli
musiche, esecuzione ed elettronica Gianluca Catuogno e Antonio Della Ragione
scene Luigi Ferrigno
costumi Enzo Pirozzi
luci Salvatore Palladino
sound design Alessio Foglia
produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
Roma, 25 Ottobre 2024
Roberto Saviano e Mimmo Borrelli presentano “Sanghenapule. Vita straordinaria di San Gennaro”, un’opera densa di pathos che disvela la Napoli più profonda, quella delle periferie marginali e dei segreti sepolti sotto la sua superficie. Il testo, scaturito dalla collaborazione tra Saviano e Borrelli, esplora la città nelle sue intrinseche contraddizioni: un locus di brutalità e speranza, che si dipana sul palcoscenico attraverso una drammaturgia pervasa di tensione e di poesia oscura. Napoli è una città che vive in un equilibrio precario tra il sacro e il profano, un luogo in cui la bellezza coesiste con la tragedia, e la storia si intreccia con il mito. È una polis di fuoco e sangue, ove il Vesuvio si erge come un guardiano silente e minaccioso, emblema della forza primordiale che la contraddistingue. Napoli è un mosaico di storie ataviche, di personaggi che si muovono nei vicoli angusti, di preghiere sussurrate e di grida disperate. La sua anima si alimenta di contrasti: la devozione religiosa si interseca con la violenza della strada, l’opulenza barocca dei suoi edifici storici con la povertà che serpeggia nei suoi quartieri popolari. È un luogo in cui ogni pietra reca il racconto di resistenza e sopravvivenza, in cui il folklore diventa atto di sfida alla sofferenza quotidiana. In questo spettacolo, che intreccia narrazione e poesia, Borrelli e Saviano conducono lo spettatore nel cuore incandescente di Napoli, dove convivono mistero e contraddizione. Attraverso un linguaggio denso di forza espressiva, i due attori ripercorrono le tappe di una storia che si snoda in equilibrio fra il sacro e il profano, tra il mondo celeste e quello sotterraneo. Il tema del sangue diviene il filo conduttore che lega la narrazione, dalle antiche storie di martiri sino al presente, evocando la sofferenza e la resistenza di una città che lotta incessantemente contro l’oppressione. È il sangue che si scioglie ogni anno in segno di speranza; è il sangue dei martiri della fede e dei “martiri laici” della Repubblica Partenopea, che nel tardo Settecento tentò di contrapporsi all’oppressione borbonica; è l’emorragia dei migranti che lasciarono Napoli nei primi decenni del Novecento, in cerca di un futuro migliore; è il sangue degli innocenti falciati dalle bombe della Seconda Guerra Mondiale e delle vittime della camorra. La regia di Mimmo Borrelli è rigorosa ed essenziale, volta a cogliere la forza primordiale del testo senza concessioni al superfluo. Borrelli modella la scena come un’incudine su cui forgiare l’anima di Napoli, scandendo il ritmo con cambi repentini e pause che divengono respiri profondi, indispensabili per immergersi nell’abisso della città. Ogni dettaglio della regia mira a scuotere lo spettatore, costringendolo a confrontarsi con la crudezza della realtà napoletana, in un percorso che lo conduce nei vicoli bui e senza tregua di una città che ride e sanguina, vive e muore. La trama si dipana attraverso narrazioni intime e confessioni, esplorando una Napoli percorsa da contrasti e popolata da un’umanità dolente. Saviano e Borrelli danno voce a personaggi che si dibattono tra miseria e speranza, con una presenza scenica carismatica e densa di pathos. Saviano, con la sua parola acuminata e tagliente, si fa testimone delle storie di dolore e resistenza; Borrelli, con la sua voce potente e una gestualità evocativa, dà corpo al dolore e alla rabbia di Napoli, in una performance che rasenta il rituale, carica di autenticità e di una forza ancestrale. La scenografia di Luigi Ferrigno è ridotta all’essenziale: pochi elementi suggeriscono una Napoli oscura, fatta di vicoli angusti e di interni modesti, con il Vesuvio che incombe sullo sfondo come un monito perenne. I costumi di Enzo Pirozzi rievocano l’iconografia tradizionale in modo sobrio ed efficace, mentre le luci di Salvatore Palladino creano atmosfere crude e drammatiche, evidenziando la precarietà di una città sospesa fra speranza e dannazione. Le luci fredde, particolarmente nei momenti di violenza, acuiscono il senso di smarrimento e l’urgenza di sopravvivere. La musica, curata ed eseguita da Gianluca Catuogno e Antonio Della Ragione, accompagna la narrazione con un tessuto sonoro che coniuga sonorità elettroniche e ritmi tradizionali napoletani. La colonna sonora si intreccia alla recitazione, creando un dialogo costante tra le voci degli attori e la musica, amplificando la tensione emotiva e rendendo la narrazione ancora più viscerale. Il sound design di Alessio Foglia avvolge lo spettatore in un ambiente sonoro che lo trascina in una Napoli sospesa tra mito e realtà. “Sanghenapule” è uno spettacolo che non può lasciare indifferenti, che invita alla riflessione sulla realtà di Napoli e, per estensione, sull’Italia intera. Saviano e Borrelli, con una onestà disarmante, portano sul palco una città fatta di vicoli oscuri, di esistenze spezzate, e di una speranza che non smette di resistere. Il teatro diviene luogo di denuncia e riflessione, ma anche di possibile rinascita: un altare su cui sacrificare l’indifferenza e accendere una fiamma di consapevolezza. Un’opera di intensa potenza, che si imprime nell’animo come un marchio indelebile, un grido disperato che non può essere ignorato. Il pubblico ha applaudito con entusiasmo e grande partecipazione, dimostrando di aver colto e apprezzato l’intensità e la profondità dello spettacolo. Napoli, con la sua storia di oppressioni e lotte, diviene un simbolo universale di resistenza e di umanità, invitando ciascuno di noi a non arrendersi mai di fronte alle difficoltà e a cercare una redenzione collettiva attraverso la solidarietà e la consapevolezza. Photocredit©LorenzoCevaVall

Categorie: Musica corale

Pagine