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Napoli, Teatro San Carlo: “Rusalka” dal 20 novembre al 10 dicembre 2024

gbopera - Lun, 18/11/2024 - 21:08

Napoli, Teatro San Carlo
Inaugurazione Stagione d’Opera 2024/25
RUSALKA
di Antonín Dvořák
firmata da Dmitri Tcherniakov
diretta da Dan Ettinger
Nel cast vocale Asmik Grigorian, Adam Smith, Ekaterina Gubanova e Anita Rachvelishvili
È Rusalka, la fiaba lirica di Antonín Dvořák, a inaugurare la Stagione 2024-2025 del Teatro di San Carlo.Il sipario si alzerà mercoledì 20 novembre alle ore 20:00 sulla nuova produzione per la regia di Dmitri Tcherniakov, per la prima volta al Lirico napoletano. La direzione è affidata al direttore musicale Dan Ettinger, sul podio alla guida di Orchestra e Coro del Teatro San Carlo, quest’ultimo preparato da Fabrizio Cassi. Come di consueto per ogni sua produzione, Dmitri Tcherniakov firma, per Rusalka, anche la scenografia. I costumi sono di Elena Zaytseva, le luci di Gleb Filshtinsky. Video Designer è Alexej Poluboyarinov con Maria Kalatozishvili come Lead Animation Artist. La drammaturgia è di Tatiana Werestschagina. Un cast internazionale vede in primo piano Asmik Grigorian nel ruolo del titolo. è una Rusalka che segna il debutto sul palcoscenico del Teatro San Carlo non solo per il soprano lituano, ma anche per Adam Smith, che dà voce e volto al Principe. Ekaterina Gubanova sarà La Principessa Straniera, Anita Rachvelishvili Ježibaba. Interpreta Vodník Gabor Bretz. Peter Hoare e Maria Riccarda Wesseling vestiranno i panni del Guardiacaccia e dello Sguattero, che nella inedita visione del regista saranno rispettivamente il Padre e la Madre di Rusalka. Completano il cast vocale le tre Ninfe del Bosco, Julietta Aleksanyan, Iulia Maria Dan e Valentina Pluzhnikova, con Andrey Zhilikhovsky nel ruolo del Cacciatore. Tra i più rinomati registi d’opera della scena contemporanea, Tcherniakov ha ricevuto nel corso della sua carriera numerosi riconoscimenti a livello internazionale. Tra gli altri, vince nel 2008 il Premio della Critica Musicale Franco Abbiati e nel 2014 il Premio Lírico Campoamor. Nella sua rilettura, l’opera sarà lontana dal suo immaginario fiabesco: Lo scopo è di avere una Rusalka diversa, non una Rusalka da fiaba, ma una Rusalka vera” – afferma. “Quando andiamo in teatro deve esserci sempre una scossa elettrica e per questo prendo molto sul serio Rusalka. Che sia una fiaba lo sappiamo tutti. Ma a cosa serve portare in scena un’altra volta una fiaba per far vedere allo spettatore ciò che sa già? È inutile. Importante è invece decifrare quello che cela, il suo segreto.” Prosegue: “La passionalità e complessità della musica fanno intendere un complesso ed intrecciato puzzle dei rapporti e conflitti umani. Parleremo proprio di questo. Tutte le situazioni saranno per noi riconoscibili. E racconteremo delle difficoltà di interazioni umane: della paura dell’abbandono, della vergogna, del sacrificio in nome di qualcuno, di una prolungata situazione di abuso, dell’impossibilità di esprimere qualcosa di doloroso, della dipendenza, dello stalking, dell’ossessione amorosa che oltrepassa tutti i limiti.” Il Sovrintendente Stéphane Lissner dichiara: “Per l’Inaugurazione della mia ultima Stagione al Teatro di San Carlo ho voluto Dmitri Tcherniakov, che considero il più importante regista sulla scena della regia lirica contemporanea. È da anni che gli propongo questo titolo e la conferma è avvenuta proprio quando Asmik Grigorian ha dato la sua disponibilità al regista: una straordinaria congiuntura artistica ha permesso di costruire questa speciale produzione. Rusalka è un’opera meravigliosa, sia dal punto di vista musicale che drammaturgico e Tcherniakov, con la sua rilettura, la arricchisce di uno sguardo inedito per la sua abilità nel trasporre personaggi e vicende delle opere liriche nel mondo contemporaneo.” È una Rusalka che dialoga in maniera speciale anche con la città di Napoli. Una delle immagini create appositamente dai videoartisti per questa produzione ha invaso le strade di Napoli attraverso le opere di Trisha, artista di strada. E su questo progetto di comunicazione, che connette arte e città, la Direttrice Generale Emmanuela Spedaliere afferma: “L’immaginario di Rusalka, che richiama il tema del mito acquatico e della leggenda, è perfettamente in sintonia con il legame storico della città con la figura di Parthenope, la sirena simbolo di Napoli. La sua leggenda continua a essere un’ispirazione per la città e per i suoi abitanti, che celebrano l’unione tra umano e sovrannaturale, tra il reale e l’immaginario. È una fusione che si riflette anche in Rusalka, un’opera che, proprio come la leggenda partenopea, mette in scena il mistero della natura e dell’amore attraverso il destino di una creatura che abita mondi diversi.” QUI PER TUTTE LE INFORMAZIONI.

Categorie: Musica corale

Roma, Galleria Borghese: “Poesia e Pittura nel Seicento. Giovan Battista Marino e la meravigliosa passione”

gbopera - Lun, 18/11/2024 - 15:30

Roma, Galleria Borghese
POESIA E PITTURA NEL SEICENTO. GIOVAN BATTISTA MARINO E LA MERAVIGLIOSA PASSIONE
Curata da Emilio Russo, Patrizia Tosini e Andrea Zezza
“Pittore, hai colori, hai la tela e il pennello; ma non perciò dipingi, se il merto ha più cervello”
G.B. Marino
Roma, 18 Novembre 2024
Con la mostra “Poesia e Pittura nel Seicento. Giovan Battista Marino e la meravigliosa passione”, la Galleria Borghese propone un raffinato viaggio che abbraccia le profonde connessioni tra poesia, pittura, sacro e profano, letteratura, arte e potere, immergendosi nel cuore del primo Seicento italiano. Dal 19 novembre 2024 al 9 febbraio 2025, questo inedito percorso espositivo guida i visitatori attraverso un dialogo tra i capolavori della pittura rinascimentale e barocca, da Tiziano a Tintoretto, da Correggio ai Carracci, da Rubens a Poussin, ispirandosi alla “meravigliosa” passione per la pittura del più grande poeta del Seicento, Giovan Battista Marino. Curata da Emilio Russo, Patrizia Tosini e Andrea Zezza, l’esposizione celebra l’età d’oro del Barocco, un periodo durante il quale il rapporto tra poesia e pittura raggiunse il suo apice. Giovan Battista Marino, autore di capolavori come “Adone” (1623) e “La Galeria” (1619), è protagonista di un viaggio artistico e letterario in cui poesia e pittura si fondono, sfidandosi reciprocamente e giocando con riflessi e rimandi simbolici. Marino, noto per la sua abilità di sedurre i lettori con immagini evocative, trasforma l’arte figurativa in versi poetici che descrivono opere reali e immaginarie, creando un continuo scambio tra immagine e parola. La mostra guida i visitatori attraverso questo intricato mondo di riflessi artistici, invitandoli a riscoprire le connessioni profonde tra le arti visive e la letteratura del Seicento. Il poeta, immerso nelle corti e nei circoli intellettuali più prestigiosi dell’epoca – dalla corte di Matteo di Capua a Napoli, alla corte papale di Clemente VIII Aldobrandini a Roma, fino alle corti genovesi di Giovan Carlo Doria e Giovan Vincenzo Imperiali e quella torinese di Carlo Emanuele I – riuscì a intrecciare relazioni con artisti di primo piano come il Cavalier d’Arpino, Bernardo Castello, Caravaggio, Agostino Carracci, Ludovico Cigoli e Palma il Giovane. La figura di Marino, costretto a lasciare l’Italia nel 1615 a causa delle persecuzioni dell’Inquisizione, è centrale nella mostra. Rifugiatosi a Parigi alla corte di Luigi XIII e Maria de’ Medici, Marino vi restò fino al 1623, stringendo rapporti con artisti come Nicolas Poussin, per il quale scrisse una lettera di presentazione destinata a Roma, una sorta di passaggio del testimone tra poesia e pittura che si rinnova nel contesto romano. Questo momento è simbolicamente significativo, in quanto sancisce l’incontro tra la parabola letteraria del poeta e il definitivo approdo del grande pittore francese a Roma, segnando una congiunzione tra le due arti. La Galleria Borghese, con la sua collezione unica di capolavori iniziata dal cardinale Scipione Borghese nei primi decenni del Seicento, offre il contesto ideale per rileggere la figura del poeta e il suo legame con le arti figurative. Le opere esposte, disposte in un allestimento che celebra la teatralità barocca, sono scelte per illustrare il dialogo continuo tra poesia e pittura: un dialogo che è stato non solo simbolico, ma anche profondamente pratico, influenzando la produzione artistica e letteraria del tempo. “La Galeria” di Marino è una testimonianza chiave di questo rapporto. Composta da 624 componimenti poetici, questa raccolta è divisa in sezioni dedicate a pitture, sculture, favole e storie, e rappresenta un omaggio alle arti figurative dell’epoca. Ogni componimento è un viaggio poetico, una descrizione che vuole tradurre l’immagine in parola, esaltando la bellezza delle opere, spesso presenti solo nella mente dell’autore, e trasformandole in un’esperienza estetica per il lettore. La mostra mette in luce proprio questa fusione creativa: un gioco continuo di rispecchiamenti tra testi poetici e opere d’arte che ben rappresenta l’ambizione barocca di superare i limiti di ogni singola forma artistica per raggiungere la “meraviglia”. L’allestimento scenografico della Galleria Borghese, fedele allo spirito barocco, accentua il senso di stupore e coinvolgimento estetico, immergendo il visitatore nell’universo artistico di Giovan Battista Marino. La “meravigliosa passione” di Marino per l’arte figurativa non era solo un esercizio intellettuale, ma un vero e proprio modo di vivere e sentire l’arte, in cui la poesia diveniva uno strumento per esaltare la pittura e la pittura si nutriva del linguaggio poetico per acquisire nuovi significati e profondità. La mostra è quindi non solo un omaggio a Marino, ma anche un’esplorazione del Barocco come epoca di meraviglia, in cui l’arte figurativa e la letteratura si compenetrano a vicenda. Attraverso il percorso espositivo, i visitatori possono osservare opere di artisti come Tiziano, Tintoretto, Rubens e Poussin, messe in relazione con i versi di Marino, in un dialogo che restituisce il senso di stupore e di bellezza tipico del Seicento. Ogni sala della mostra rappresenta un capitolo di questa narrazione intrecciata, una finestra aperta su un’epoca in cui l’arte non conosceva confini tra i generi e la poesia poteva diventare pittura, e viceversa. “Poesia e Pittura nel Seicento. Giovan Battista Marino e la meravigliosa passione” è un invito a esplorare le meraviglie di un’epoca in cui le arti vivevano in simbiosi, e a riscoprire l’eredità di un poeta capace di elevare la parola al livello dell’immagine, creando un connubio inscindibile tra letteratura e arte figurativa. La Galleria Borghese, con la sua atmosfera unica e la sua straordinaria collezione, rappresenta il luogo perfetto per rivivere questa stagione d’oro dell’arte italiana, offrendo al pubblico un’occasione preziosa per entrare in contatto con la “meraviglia” barocca e con l’eredità di uno dei più grandi poeti e intellettuali del Seicento.

Categorie: Musica corale

Roma, MAXXI: “Bvlgari Prize 2024” dal 25 ottobre al 02 marzo 2025

gbopera - Dom, 17/11/2024 - 20:43

Roma, MAXXI
BVLGARI PRIZE 2024
Nel panorama dell’arte contemporanea, ogni iniziativa che si propone di mettere in dialogo la creatività emergente con istituzioni consolidate costituisce un evento che va oltre la mera celebrazione estetica. Il MAXXI BVLGARI PRIZE 2024 non fa eccezione. Si presenta come un complesso intreccio di significati, un dispositivo che riflette, plasma e interroga il sistema artistico attuale, esplorando al contempo le tensioni sociali, culturali e tecnologiche del presente. Il premio, con le sue molteplici componenti, si configura non solo come una piattaforma espositiva, ma come un vero e proprio campo di forze semiotiche, dove ogni elemento concorre alla costruzione di un discorso stratificato. Le opere site-specific presentate dai finalisti – Riccardo Benassi, Monia Ben Hamouda e Binta Diaw – costituiscono non tanto una risposta quanto una domanda posta allo spettatore, al sistema dell’arte e alla contemporaneità stessa. Ogni lavoro si inserisce in uno spazio che è sia fisico che simbolico, il Museo MAXXI, il quale, con la sua architettura e il suo ruolo istituzionale, diventa il contesto necessario per un dialogo complesso tra tradizione e innovazione, tra la specificità locale e l’apertura globale. La mostra, a cura di Giulia Ferracci, trova nella sala Gian Ferrari non solo una cornice, ma una cassa di risonanza che amplifica la pluralità di voci rappresentate dai tre artisti. Benassi, nato a Cremona nel 1982, esplora attraverso le sue installazioni il rapporto tra corpo, spazio e tecnologia, sfidando le convenzioni narrative dell’arte visiva. Monia Ben Hamouda, milanese classe 1991, intreccia nella sua ricerca le radici culturali e le identità stratificate, offrendo opere che sono al contempo meditazioni intime e riflessioni universali. Binta Diaw, anch’essa milanese ma di origini senegalesi, nata nel 1995, pone al centro della sua pratica la memoria collettiva, declinata attraverso materiali e forme che evocano una profonda connessione tra presente e passato. Questi tre protagonisti sono stati selezionati da una giuria internazionale che, lungi dall’essere un semplice organo decisionale, rappresenta un mosaico di prospettive critiche e geografie culturali. Composta da personalità di spicco come Francesco Stocchi, Direttore artistico del MAXXI, e Diana Campbell, Direttrice artistica della Samdani Art Foundation, la giuria riflette una visione ampia e inclusiva, capace di cogliere le sfide dell’arte contemporanea su scala globale. È significativo che l’annuncio dei finalisti sia avvenuto a Parigi, presso l’Ambasciata d’Italia: un gesto che non è solo logistico, ma simbolico, sottolineando l’intreccio tra rappresentanza nazionale e vocazione internazionale che caratterizza il premio. Il processo di selezione, rigoroso e articolato, vede il coinvolgimento di figure autorevoli del panorama artistico italiano, le quali, attraverso la loro sensibilità curatoriale, contribuiscono a delineare una mappa delle tendenze più innovative. Tra i nomi spiccano quelli di critici e curatori come Antonia Alampi, Maria Alicata e Martina Angelotti, ciascuno portatore di una visione unica che arricchisce il dialogo complessivo. Questa pluralità di sguardi conferisce al premio una profondità che trascende la dimensione individuale, rendendolo un evento collettivo in cui convergono molteplici narrazioni. Un elemento distintivo di questa edizione è l’introduzione del MAXXI BVLGARI PRIZE for Digital Art, che premia progetti capaci di esplorare i confini tra arte e tecnologia. Roberto Fassone, insignito della menzione speciale per il suo lavoro, rappresenta una voce che indaga i limiti dell’immaginazione e le possibilità offerte dall’intelligenza artificiale, mettendo in discussione le logiche autoreferenziali del sistema artistico. Questa nuova sezione non è solo un ampliamento del premio, ma una riflessione sulla direzione che l’arte potrebbe prendere in un’epoca sempre più dominata dal digitale. Il percorso del premio, che culminerà nel gennaio 2025 con l’annuncio del vincitore, non si esaurisce nella celebrazione di un singolo artista, ma si configura come un processo continuo di negoziazione e scoperta. La possibilità per il pubblico di esprimere una preferenza sull’opera più apprezzata introduce un elemento di partecipazione che sfida la tradizionale distanza tra arte e spettatore. In questo senso, il MAXXI BVLGARI PRIZE diventa anche un esperimento sociale, un campo in cui si ridefinisce il ruolo del visitatore, chiamato non solo a osservare, ma a contribuire attivamente alla costruzione del significato. Nato nel 2001 come Premio per la Giovane Arte, e trasformato nel 2018 grazie al supporto di Bulgari, il premio ha assunto un ruolo centrale nel panorama culturale italiano. Non è solo un trampolino di lancio per giovani talenti, ma un punto di riferimento che documenta e promuove le espressioni più sperimentali e innovative dell’arte contemporanea. Attraverso le sue edizioni, il premio ha costruito un nucleo fondamentale della collezione del MAXXI, contribuendo a definirne l’identità. Ciò che rende il MAXXI BVLGARI PRIZE un fenomeno unico è la sua capacità di intersecare i piani del discorso istituzionale e dell’esplorazione creativa. Le opere selezionate non sono solo oggetti estetici, ma dispositivi che interrogano il presente, esplorandone le contraddizioni e le possibilità. Ogni installazione, ogni progetto digitale, ogni intervento curatoriale diventa un tassello di una narrazione più ampia, che coinvolge non solo gli artisti e i curatori, ma anche il pubblico e il contesto sociale in cui si inseriscono. Il MAXXI BVLGARI PRIZE non è dunque semplicemente una mostra, ma un’esperienza che invita a riflettere sul senso dell’arte e sul suo ruolo nel mondo contemporaneo. Ogni elemento – dall’allestimento al coinvolgimento del pubblico, dalla giuria internazionale alla nuova sezione digitale – contribuisce a creare un discorso stratificato, in cui la bellezza, l’innovazione e la critica convivono in un equilibrio dinamico. È in questo dialogo costante, in questa tensione tra passato e futuro, che risiede la vera essenza del premio, che non si limita a premiare, ma a interrogare, ispirare e trasformare.

Categorie: Musica corale

Napoli, Gallerie d’Italia: “Sir William e Lady Hamilton”

gbopera - Dom, 17/11/2024 - 17:32

Napoli, Gallerie d’Italia
SIR WILLIAM E LADY HAMILTON 
a cura di Francesco Leone e Fernando Mazzocca
Napoli accoglie, con lo splendore che le è proprio, una mostra che non si limita a celebrare il passato ma lo trasforma in una narrazione viva e pulsante. “Sir William e Lady Hamilton“, inaugurata alle Gallerie d’Italia di via Toledo il 25 ottobre 2024 e visitabile fino al 2 marzo 2025, è un viaggio raffinato e suggestivo nel cuore del Settecento, secolo di grandi scoperte, di estetiche rivoluzioni e di appassionate vicende umane. L’esposizione, curata con maestria da Francesco Leone e Fernando Mazzocca, offre una lettura profonda della figura di Sir William Hamilton, ambasciatore inglese presso la corte di Ferdinando IV di Borbone, e della sua celebre consorte, Lady Emma Hamilton. Napoli, crocevia del Grand Tour e fucina di ispirazioni per artisti, scienziati e intellettuali, fu per Hamilton una patria elettiva, un laboratorio di esperienze che intrecciarono il fascino dell’antico con la modernità nascente. Questa mostra non è solo un tributo al loro lascito culturale, ma una celebrazione del dialogo incessante tra passato e presente, tra mondi apparentemente lontani che si incontrano nell’arte e nella storia. L’allestimento, che si sviluppa attraverso settantotto opere tra dipinti, ceramiche, sculture e manufatti, rivela il respiro internazionale di un progetto ambizioso. Provenienti da collezioni pubbliche e private di grande prestigio – tra cui la Reggia di Caserta, il British Museum, la National Portrait Gallery e il Thyssen-Bornemisza – i capolavori in mostra delineano un ritratto complesso di William Hamilton, figura poliedrica che seppe coniugare diplomazia, scienza, collezionismo e arte. È impossibile non restare affascinati dall’intensità dei ritratti di Lady Emma, dipinti da maestri come George Romney e Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, che ne immortalano la bellezza radiosa e il carisma magnetico. Emma, figura leggendaria per la sua avvenenza e la sua audacia, incarna lo spirito del tempo, un’epoca in cui il mito classico tornava a vivere attraverso il filtro dell’immaginazione moderna. Nei tableaux vivants che la resero celebre presso la corte napoletana e oltre, Lady Hamilton interpretava le dee e le eroine dell’antichità con una teatralità che esaltava il fascino della sua personalità. La mostra esplora anche questa dimensione performativa della sua figura, amplificata da un video della Fondazione Cineteca Italiana che raccoglie rappresentazioni cinematografiche ispirate alla sua storia. Accanto alla dimensione mondana e mitologica, il percorso espositivo illumina l’originalità del collezionismo di Hamilton. La sua raccolta di vasi greci, molti dei quali provenienti da Ercolano e Pompei, non era solo un esercizio estetico, ma una manifestazione di un’intuizione profonda: l’antichità non è un semplice passato, ma un modello capace di dialogare con il presente. La pubblicazione delle Antiquités étrusques, grecques et romaines, magnificamente illustrata e acquerellata, testimonia questa visione. Hamilton, con il contributo dell’erudito Pierre-François Hugues d’Hancarville e, in parte, di Johann Joachim Winckelmann, non intendeva solo documentare, ma ispirare. Le raffinate illustrazioni dei vasi diventarono un riferimento per gli artisti del Neoclassicismo, come John Flaxman e Josiah Wedgwood, i cui lavori dimostrano come la pittura vascolare potesse rivivere attraverso nuovi linguaggi artistici. Ma Hamilton non fu solo un collezionista. La sua curiosità si estendeva alla scienza, in particolare alla vulcanologia, disciplina in cui fu un pioniere. Attraverso le magnifiche illustrazioni dei Campi Phlegraei, realizzate da Pietro Fabris, la mostra rende omaggio alla passione di Hamilton per i vulcani, simboli potenti del dinamismo della natura e dell’irrequietezza dell’animo umano. Queste opere, colorate a mano con straordinaria perizia, non sono solo documenti scientifici, ma vere e proprie opere d’arte, che catturano l’essenza della terra napoletana, dalle eruzioni del Vesuvio ai paesaggi suggestivi delle sue pendici. Il legame di Hamilton con Napoli si intrecciò anche con il fermento artistico dell’epoca. La mostra dedica uno spazio significativo al suo rapporto con pittori come Giovanni Battista Lusieri, Joseph Wright of Derby e Thomas Jones, che trovavano nelle vedute napoletane e nei fenomeni naturali locali una fonte inesauribile di ispirazione. Hamilton, ospitandoli e incoraggiandoli, contribuì a trasformare Napoli in un centro nevralgico per l’arte del paesaggio moderno, un luogo in cui la tradizione del vedutismo si evolveva in una nuova sensibilità estetica, capace di catturare l’atmosfera fugace e la luce mutevole. Non meno affascinante è la dimensione politica e sociale della mostra. Hamilton, con il suo secondo matrimonio, divenne un protagonista della mondanità europea, intrecciando relazioni che spaziavano dal mondo aristocratico a quello intellettuale. La figura di Lady Emma, con il suo spirito libero e la sua relazione con l’ammiraglio Horatio Nelson, aggiunge un elemento di scandalo e leggenda che permea tutta l’esposizione. I ritratti esposti, impregnati di classicismo, non solo celebrano la bellezza di Emma, ma riflettono il ruolo che la donna ebbe come musa e intermediaria culturale. La mostra “Sir William e Lady Hamilton” non si limita a narrare una storia, ma invita a riflettere sul significato stesso della memoria culturale. Napoli, con la sua stratificazione di epoche e civiltà, diventa il luogo ideale per questa celebrazione. Attraverso un allestimento che combina arte, scienza e storia, il visitatore è chiamato non solo a osservare, ma a immergersi in un’esperienza che restituisce l’atmosfera di un’epoca irripetibile. Le Gallerie d’Italia, grazie al sostegno di Intesa Sanpaolo e al dialogo con istituzioni internazionali, si confermano come un polo culturale di eccellenza, capace di portare avanti una visione moderna del museo come spazio vivo, in cui passato e presente si incontrano. Il catalogo della mostra, pubblicato da Skira, arricchisce questa esperienza, offrendo una testimonianza duratura di un progetto che non è solo espositivo, ma profondamente culturale. Così, nell’intreccio tra la dimensione personale di William ed Emma e il loro contributo al panorama artistico e scientifico, la mostra si rivela un’opera corale, un’ode alla bellezza e alla complessità della Napoli del Settecento. Sir William e Lady Hamilton non sono solo personaggi storici, ma simboli di un’epoca in cui l’arte, la scienza e la vita mondana si fondevano in un’unica, luminosa visione del mondo.

Categorie: Musica corale

Paestum, Museo Archeologico Nazionale: “Paestum: dalla città romana a oggi”

gbopera - Dom, 17/11/2024 - 14:52

Paestum, Museo Archeologico Nazionale
PAESTUM: DALLA CITTA’ ROMANA A OGGI
La riapertura della Sezione Romana a Paestum rappresenta un evento straordinario, un ponte tra presente e passato che getta nuova luce sulle radici di una città dalla storia complessa e stratificata. Il Parco Archeologico di Paestum, rinomato per le sue grandiose vestigia greche, si rivela nuovamente come un luogo in cui epoche differenti si sovrappongono e si intersecano, generando nuove narrazioni e identità. La Sezione Romana, finalmente restituita al pubblico, testimonia il passaggio del sito dal periodo lucano e greco a quello romano, quando Paestum cambiò volto, accogliendo una nuova popolazione, nuove architetture e nuovi costumi, in un processo di trasformazione che segnò profondamente la storia della città. A venticinque anni dal primo allestimento, ha aperto al pubblico la sezione “Paestum: dalla città romana a oggi” del Museo Archeologico Nazionale di Paestum, intitolata all’archeologo Mario Torelli. La mostra è un viaggio attraverso il tempo, dedicato al racconto della città dalla fondazione romana del 273 a.C. fino al Medioevo, esplorando la religiosità, gli spazi pubblici e privati, e la vita quotidiana attraverso reperti inediti. L’esposizione si sviluppa attraverso incisioni e acquerelli del Grand Tour provenienti dalla collezione della Fondazione Giambattista Vico, per concludersi con documenti e fotografie del XX secolo che illustrano gli scavi e gli studi ancora in corso, restituendo un legame immediato tra romanità e contemporaneità. Il taglio del nastro di questo importante traguardo per i Parchi Archeologici di Paestum e Velia è avvenuto venerdì 15 novembre 2024, alle ore 12. Alla cerimonia di inaugurazione hanno partecipato figure di spicco del panorama culturale italiano: Massimo Osanna, Direttore Generale Musei; Tiziana D’Angelo, Direttrice dei Parchi Archeologici di Paestum e Velia; e Teresa Marino, Funzionario Archeologo dei Parchi. Ha concluso l’intervento Alfonsina Russo, Capo Dipartimento per la Valorizzazione del Patrimonio Culturale. A seguito della cerimonia, si è svolta la visita alla domus del mosaico di Nettuno, offrendo ai presenti l’opportunità di immergersi ulteriormente nelle testimonianze della romanità di Paestum. La Sezione Romana si trova all’interno del Museo Archeologico di Paestum e si distingue per l’accurata esposizione di reperti che documentano l’importante trasformazione della colonia a partire dal 273 a.C., quando Paestum entrò ufficialmente a far parte dell’orbita romana. Tra i reperti più significativi si annoverano frammenti di decorazioni architettoniche, statue, iscrizioni e oggetti di uso quotidiano, che delineano il profilo di una città pienamente integrata nella sfera romana. Paestum, un tempo conosciuta come Poseidonia, assunse un nuovo volto, romano, che si intrecciò con le tradizioni e la cultura greco-lucana, creando un esempio emblematico dell’integrazione culturale che ha caratterizzato la storia del sud della penisola italiana. Una delle caratteristiche più affascinanti della Sezione Romana è la narrazione della monumentalità pubblica e della vita privata, due dimensioni imprescindibili della città romana. Le nuove scoperte comprendono tratti della viabilità romana che attraversava Paestum, nonché i resti delle antiche domus, le abitazioni che raccontano il vissuto di una classe sociale composita, formata da proprietari terrieri di origine romana e popolazioni locali. I mosaici, con i loro motivi geometrici e dettagli floreali, evocano l’atmosfera delle dimore dell’epoca, suggerendo un’estetica del bello che permeava ogni angolo della casa. L’attenzione ai dettagli decorativi riflette il gusto romano per la simmetria e l’equilibrio, creando una continuità tra architettura e vita quotidiana. Di particolare rilevanza è la rappresentazione del foro, l’antica piazza principale che costituiva il cuore pulsante della Paestum romana. Qui, tra il II e il I secolo a.C., vennero edificati i principali edifici pubblici: la basilica, luogo in cui si amministrava la giustizia e si svolgevano le attività economiche, e il tempio, simbolo dell’integrazione delle divinità romane in un contesto già sacralizzato dalla presenza del pantheon greco. La ricostruzione del foro all’interno del museo è estremamente suggestiva, con pannelli illustrativi e modellini che permettono al visitatore di comprendere la trasformazione della topografia urbana e la centralità degli spazi pubblici nella vita della comunità. La riapertura della Sezione Romana è stata accompagnata da un lavoro minuzioso di restauro e riallestimento, che ha riportato alla luce i colori, le forme e la vivacità della città romana. I visitatori possono ammirare non solo i resti materiali, ma anche immergersi in una narrazione che restituisce la quotidianità dell’epoca, grazie all’ausilio di supporti multimediali che rendono l’esperienza più immersiva. Camminando tra le strade lastricate, è possibile intravedere le botteghe aperte lungo le vie principali e percepire l’eco delle voci che animavano il foro. Le ricostruzioni digitali offrono uno sguardo inedito sul modo in cui i Romani adattarono la città al loro stile di vita, con infrastrutture come le terme e le strade ben progettate che facevano di Paestum una città moderna e ben collegata. La nuova Sezione Romana rappresenta anche uno spunto di riflessione sull’importanza della conservazione del patrimonio archeologico e sulla responsabilità collettiva di tutelare la memoria storica. Ogni frammento, ogni iscrizione ci parla non solo di un passato lontano, ma anche della nostra identità culturale, offrendo una chiave di lettura del presente. Paestum non è solo una finestra sul mondo greco, con i suoi templi dorici maestosi e il santuario di Hera, ma è anche un racconto della romanità, del modo in cui Roma seppe assorbire e ridefinire le culture locali, dando vita a un tessuto sociale e culturale ricco e articolato. Come ha osservato Italo Calvino nelle sue “Città invisibili”, ogni città è fatta di stratificazioni, di storie che si sovrappongono e dialogano tra loro, ed è proprio questo dialogo incessante che rende i luoghi affascinanti e degni di essere esplorati e compresi. La Sezione Romana è un invito a scoprire quelle storie, a comprendere come la città, pur cambiando volto e nome, abbia mantenuto una continuità culturale e sociale che giunge fino a noi.  Con la riapertura della Sezione Romana, Paestum non è solo la culla dei templi dorici meglio conservati d’Italia, ma diventa anche una testimonianza eloquente del dialogo tra civiltà, del passaggio dalla cultura greca a quella romana, e di come questo passaggio abbia forgiato l’identità del territorio.

 

Categorie: Musica corale

Johann Sebastian Bach (1685-1750): Trio Sonatas for Organ BWV525-530

gbopera - Dom, 17/11/2024 - 08:45

Sonata No.1 in E-flat BWV 525; Sonata No.2 in C minor BWV 526; Sonata No.3 in D minor BWV 527; Sonata No.4 in E minor BWV 528; Sonata No.5 in C BWV 529; Sonata No.6 in G BWV530. Manuel Tomadin (organo). Registrazione: 20 e 21 ottobre 2021 presso Hervormde Gemeente Vollenhove, The Netherlands. T. Time: 79′ 33″ 1 CD Brilliant Classics 96438
Composte tra il 1727 e il 1732 a scopo didattico per il figlio maggiore Wilhelm Friedemann, le Sei sonate in trio per organo di Bach si ispirano alle composizioni per due violini, ma anche per flauto, oboe o altri strumenti e basso continuo. Anzi secondo un’ipotesi, non del tutto verificabile, ma suggestiva e basata sul fatto che il primo movimento della quarta sonata è la trascrizione della sinfonia di apertura della seconda parte della cantata Die Himmel erzählen die Ehre Gott, questi lavori deriverebbero da precedenti composizioni di Bach che, però, non sono attestate. A prescindere dalla loro origine si tratta comunque di piccoli gioielli del genio di Bach che, in questo caso, sfrutta benissimo le possibilità di colore offerte dai due manuali, suscettibili di essere utilizzati con registrazioni diverse, e del pedale dell’organo per creare dei trii particolarmente elaborati anche sul piano contrappuntistico. Ad interpretarle in modo impeccabile, con senso dello stile e con grande attenzione alla polifonia costitutiva di questi lavori è Manuel Tomadin che si avvale dell’organo della Hervormde Gemeente Vollenhove, del quale sfrutta le possibilità timbriche attraverso una registrazione adeguata a queste composizioni, di cui si rende conto nell’esaustivo, sebbene sintetico, Booklet.

Categorie: Musica corale

Le Cantate di Johann Sebastian Bach: Venticinquesima Domenica dopo la Trinità

gbopera - Dom, 17/11/2024 - 00:27

La seconda e ultima Cantata per la venticinquesima Domenica dopo la Trinità è Du Friedefürst, Herr Jesu Christ BWV 116 eseguita la prima volta a Lipsia il 26 novembre 1724. A caratterizzare questa Cantata è lo stile concertante del brano iniziale, con il primo violino  che emerge su una articolazione  del discorso vocale ben differenziata nell’intonare i primi 2 versetti del Corale di Jakob Ebert alla base di questa partitura che viene esposto dai soprani con il rinforzo di un corno a valori larghi e dal quale si distacca autonomamente. I versetti 3 e 4 sono invece in stile mottettistico, polifonico, con le parti strumentali che raddoppiano quelle vocali. Nei versetti 5 e 6 si instaura invece una sorta di condotta dialogica tra la linea di canto del soprano e le altre voci che si inseriscono a contrasto tra le maglie delle melodia con valori larghi, al “superior”, mentre gli strumenti hanno una funzione autonoma. L’ultimo versetto, il nr.7 ripropone lo stile già adottato nella coppia iniziale. e quelli interni.  Subito nella delicata aria per contralto (Nr.2) che segue il coro iniziale la scrittura è cromatica e angosciosa. La voce è accompagnata da una linea di oboe d’amore di carattere completamente diverso da quello spesso assegnato da Bach a questo strumento. Dopo il recitativo  (Nr.3) c’è un rarissimo esempio di terzetto per soprano, tenore e basso, con il solo supporto del Continuo. Nelle Cantate sacre gli esempi di terzetto vocale sono solo 2. 
Nr.1 – Coro
Principe della pace, Signore Gesù Cristo,
vero uomo e vero Dio,
vero soccorso nel bisogno,
nella vita e nella morte.
Dunque solamente
nel tuo nome
possiamo invocare tuo Padre.
Nr.2 – Aria (Contralto)
Ah, indicibile è la nostra sofferenza
e la minaccia di un furioso giudizio!
Siamo appena capaci, nella nostra angoscia,
di invocare Dio nel tuo nome,
come tu stesso, o Gesù, ci chiedi.
Nr.3 – Recitativo (Tenore)
Ah, non farci sanguinare troppo
sotto le frustate delle verghe!
O Dio, tu che sei un Dio di ordine, 
tu sai quanta crudeltà e ingiustizia
c’è nella collera dell’avversario.
Allora stendi la tua mano
su questo paese impaurito e tormentato,
essa può vincere la potenza del nemico
e portarci una pace durevole!
Nr.4 – Terzetto (Soprano, Tenore, Basso)
Ah, riconosciamo la nostra colpa,
chiediamo solo la tua pazienza
ed il tuo amore incommensurabile.
Il tuo cuore misericordioso si è spezzato
quando il dolore di coloro che sono caduti
ti ha condotto a noi nel mondo.
Nr.5 – Recitativo (Contralto)
Ah, non farci sanguinare troppo
sotto le frustate delle verghe!
O Dio, tu che sei un Dio di ordine, 
tu sai quanta crudeltà e ingiustizia
c’è nella collera dell’avversario.
Allora stendi la tua mano
su questo paese impaurito e tormentato,
essa può vincere la potenza del nemico
e portarci una pace durevole!
Nr.6 – Corale
Illumina i nostri cuori e le nostre menti
con lo spirito della tua grazia,
affinchè non ci comportiamo con leggerezza
danneggiando le nostre anime.
O Gesù Cristo,
tu solo puoi compierlo.
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Du Friedefürst, Herr Jesu Christ” BWV 116

 

Categorie: Musica corale

Roma, Teatro Sala Umberto: “Azzurro”

gbopera - Dom, 17/11/2024 - 00:01

Roma, Teatro Sala Umberto
AZZURRO
tratto dal libro “Azzurro, stralci di vita” di CURZIO MALTESE
con SERGIO COLICCHIO (il pianista)
musiche NICOLA PIOVANI 
luci DANILO FACCO
costumi ARABELLA BETTAZZI 
coordinamento artistico NORMA MARTELLI
voci registrate Federico Baudino, Irene Colicchio, Carmen Giardina
elaborazione suoni Lorenzo Gardena
direttore di produzione Rosi Tranfaglia
produzione Viola Produzioni – Centro di produzione teatrale
Roma, 15 novembre 2024
“Azzurro” è uno spettacolo che affascina e coinvolge il pubblico, trasportandolo nelle vicende personali e professionali di Curzio Maltese, una figura poliedrica del panorama italiano. Interpretato con maestria da Antonio Catania, questo atto unico si ispira all’ultimo libro di Maltese “Azzurro. Stralci di vita” ed è frutto della penna di Paola Ponti, con la regia di Carmen Giardina.  Le musiche originali, composte dal premio Oscar Nicola Piovani ed eseguite dal vivo da Sergio Colicchio, donano un ulteriore strato di profondità emotiva e contribuiscono a sottolineare i momenti più intensi della narrazione. La scenografia, essenziale e suggestiva, è dominata da un’insegna al neon con la scritta “Azzurro” posta al centro in alto. Tre poltrone centrali e uno schermo sullo sfondo creano l’impressione di trovarsi in una sala cinematografica. Una scrivania con un moderno computer completa l’ambiente, suggerendo il luogo in cui Curzio Maltese riflette e rivive le sue esperienze. In questo spazio, Curzio diventa anch’egli spettatore della propria esistenza, mentre diverse proiezioni di filmati, che sembrano vecchie registrazioni, lo accompagnano nel suo racconto; sono le voci registrate di Federico Baudino, Irene Colicchio e Carmen Giardina che contribuiscono ancora di più a rendere tangibile il confine tra memoria e realtà. Sul lato destro del palco, un pianoforte accompagna i momenti salienti, mentre l’apertura affidata alle note di un carillon trasporta immediatamente gli spettatori nell’intimità dei suoi ricordi. L’entrata e l’uscita del protagonista, orchestrate con precisione, contribuiscono a creare un sottile gioco di assenza e presenza, simbolo degli sprazzi di vita narrati e ri-vissuti. Gli abiti, di Arabella Bettazzi, caratterizzano il protagonista nella sua essenza. La scelta di un semplice abito da uomo, con la giacca che viene indossata e tolta in momenti chiave. Gesti che riflettono la routine e la resilienza di un uomo che porta con sé il peso della sua storia, invitando il pubblico a partecipare a questa esperienza vissuta con autenticità. La narrazione si sviluppa con maestria, intrecciando il vissuto personale di Curzio con gli eventi storici e politici che hanno segnato l’Italia, creando un percorso ricco di memorie, emozioni e riflessioni. L’interpretazione di Curzio evoca incontri straordinari con figure iconiche come Roman Polanski e Sharon Tate, mentre ricorda anche i grandi protagonisti della scena culturale italiana, da Mariangela Melato a Giorgio Armani e Carla Fracci. Un potente rimando al “Macbeth” di Shakespeare, simbolo delle battaglie interiori, viene abilmente inserito nella trama, stabilendo un parallelo tra le turbolenze del protagonista e del suo tempo. Tra gli eventi storici trattati, la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 emerge come uno dei momenti più traumatici, che ha inciso profondamente sulla sua coscienza collettiva e del paese. L’ingresso di Silvio Berlusconi nel panorama politico, invece, è analizzato con uno sguardo critico, da giornalista, e allo stesso tempo ironico, evidenziando l’impatto che la sua ascesa ha avuto sui media e sull’intero assetto sociopolitico dell’Italia contemporanea. La musica riveste un ruolo fondamentale, attraversando e arricchendo ogni momento dello spettacolo. Curzio canta le canzoni che hanno segnato la sua crescita, come “Azzurro” di Paolo Conte e Vito Pallavicini, o “L’Internazionale”, simbolo di speranza e lotta collettiva. Questi brani, insieme ad altri, fanno parte dell’archivio intimo della sua memoria. La musica, insieme agli oggetti scenici, si intreccia con i suoi ricordi e le sue esperienze, creando un tessuto emotivo che rende lo spettacolo autenticamente umano e condiviso. Tali frammenti disegnano il ritratto di un uomo e danno vita a un affresco collettivo di un’epoca vibrante, segnata da passioni, contraddizioni e cambiamenti. Le luci, curate da Danilo Facco, si fondono perfettamente con la musica, amplificando l’intensità emotiva e avvolgendo gli spettatori in un’atmosfera intima. Gli oggetti scenici, come una valigia, una palla da gioco e una macchinina rossa, non sono semplici elementi di scena, ma simboli di amicizie, viaggi e ricordi lontani. Rappresentano frammenti dell’archivio personale di Curzio, evocando una profonda nostalgia. Quegli oggetti diventano preziosi grazie ai ricordi.  Antonio Catania, con la sua interpretazione magistrale, conferisce al personaggio un equilibrio perfetto tra ironia e profondità, dando vita a una figura ricca di sfumature emotive. Le sue pause ponderate e le modulazioni vocali fanno sì che ogni ricordo diventi un momento di coinvolgimento, invitando il pubblico a condividere quel viaggio emotivo. E le osservazioni pungenti servono come monito: “La democrazia, se svuotata, apre la strada alla dittatura”. “Azzurro”, prodotto da Viola Produzioni – Centro di produzione teatrale, è un tributo alla memoria e alla potenza delle parole. “Noi siamo fatti di parole. Ed io le parole le ho perse” è la frase emblematica che ha racchiuso l’essenza dello spettacolo. L’importanza delle parole, non solo per raccontare, ma per vivere e ricordare la vita di un grande uomo. Tra momenti di intensa commozione e sprazzi di leggerezza, lo spettacolo rappresenta la vita con autenticità e complessità.  Antonio Catania, con la sua straordinaria interpretazione, regala al pubblico un ritratto vibrante e universale dell’esistenza umana, capace di farci ridere e commuovere, rendendoci spettatori dei nostri stessi ricordi e delle somiglianze che ci uniscono come esseri umani. E, in tutto questo, ci ricorda che è la bellezza che spesso ci salva.

 

Categorie: Musica corale

Milano accoglie la meditazione nelle sue strade: l’arte pubblica diventa introspezione collettiva con URBAN PROJECT di The Prism

gbopera - Sab, 16/11/2024 - 17:22

Milano
URBAN PROJECT
progetto artistico ideato da Stefano Simontacchi
curato da Marco Senaldi
The Prism, progetto artistico ideato da Stefano Simontacchi e curato da Marco Senaldi, presenta URBAN PROJECT, un’esperienza immersiva di meditazione a cielo aperto che attraverserà il cuore della città per due settimane. L’iniziativa prende vita in Piazza San Fedele questo fine settimana (16-17 novembre) e continuerà fino al 1° dicembre coinvolgendo altre cinque zone di Milano: Porta Lodovica, Corso Como, San Babila, Buenos Aires, e Via de Amicis. L’arte di The Prism si trasferisce sugli imponenti ledwall metropolitani, offrendo un invito a guardare in alto, a prendere un momento per respirare davvero e a riconnettersi con sé stessi. Una proposta unica che rende la meditazione accessibile a tutti nelle vie di Milano, trasformando l’arte pubblica in un’esperienza tanto intima quanto collettiva. “URBAN PROJECT” rappresenta un’opportunità inedita: l’arte di The Prism, nota per i suoi portali energetici, viene amplificata in dimensioni monumentali per regalare ai cittadini uno spazio di introspezione e crescita personale, direttamente nei centri nevralgici della città. Il percorso di meditazione prende il nome di THE PRISM WAY, strutturato in sette passi che guidano verso una maggiore consapevolezza e armonia interiore. Tramite un QR code proiettato insieme alle opere, ogni persona può accedere a meditazioni guidate dalla voce dell’artista, scoprendo un viaggio di trasformazione profonda attraverso sette portali energetici, ognuno rappresentante una diversa tappa del percorso. Stefano Simontacchi descrive THE PRISM WAY come un manifesto di trasformazione: “È un invito a guardare oltre l’apparenza e ad ascoltare quella voce interiore troppo spesso dimenticata. Il percorso inizia con la scoperta del proprio scopo e la definizione di una visione chiara, fino alla manifestazione delle intenzioni con amore, passando per la presa di decisioni consapevoli e arrivando ad agire con determinazione, sempre con gratitudine verso la vita.” Il progetto è reso possibile grazie al supporto del mecenate Vincenzo Acone e della sua azienda Acone Associati, leader nelle sponsorizzazioni pubblicitarie per il restauro di edifici e monumenti. Acone Associati ha messo a disposizione non solo il ledwall di Piazza San Fedele per l’intero weekend del lancio, ma anche altri grandi impianti pubblicitari nelle aree strategiche di Milano fino al 1° dicembre, garantendo così oltre un milione e mezzo di contatti visivi. Il curatore Marco Senaldi spiega l’unicità dell’iniziativa: “L’arte contemporanea ha sempre cercato di uscire dagli spazi tradizionali, come musei o gallerie, ma URBAN PROJECT va oltre l’uso degli spazi pubblicitari urbani: non è soltanto una questione estetica. Qui si recupera una pratica sciamanica in cui forme, colori, suoni e parole diventano vibrazioni in grado di generare una risonanza energetica, sia individuale che collettiva. L’intento è tornare a concepire l’arte come un dono al servizio dell’uomo, capace di offrire una vera guarigione dell’anima, per tornare a vivere ed esistere nella piena consapevolezza del Sé.” Nella frenesia della vita quotidiana, URBAN PROJECT offre un’opportunità rara per fermarsi e guardarsi dentro, un atto rivoluzionario che restituisce valore al singolo individuo all’interno della collettività urbana. Il progetto porta i portali emozionali di The Prism fuori dal The Prism Core Center, inaugurato nel marzo 2024 in Piazza Napoli 22 a Milano, per incontrare le persone là dove vivono la loro quotidianità. Parallelamente all’installazione pubblica, il The Prism Core Center ospiterà workshop e seminari dedicati alla crescita personale e spirituale, in collaborazione con esponenti del benessere olistico. Un modo per approfondire l’esperienza e per scoprire nuove modalità di connessione con sé stessi e con il mondo. The Prism è un progetto di ricerca artistica interattiva che connette il pubblico attraverso portali emozionali e opere luminose, veri e propri varchi per l’indagine spirituale. Dopo essere stato presentato nel 2023 con il percorso “Project Revelation” a Milano, The Prism ha ampliato il proprio raggio d’azione, conquistando anche il pubblico internazionale. Nel maggio 2024, il progetto ha raggiunto il Consolato Generale d’Italia a New York e ha partecipato alla New York Design Week, portando le sue opere iconiche oltreoceano. Stefano Simontacchi, alias The Prism, è una figura di rilievo nel panorama italiano: avvocato di successo e presidente di uno dei più importanti studi legali del paese, è stato insignito dell’onorificenza di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Con The Prism, Simontacchi coniuga la sua lunga esperienza professionale con una profonda crescita spirituale, esplorando lo sciamanesimo e la meditazione come strumenti di trasformazione personale. The Prism è la sintesi del suo percorso interiore, un progetto che vuole offrire al pubblico la possibilità di “vedere” ciò che solitamente sfugge, aprendo la luce in una miriade di sfaccettature e rendendo l’arte uno strumento per l’elevazione interiore e la conoscenza profonda. URBAN PROJECT di The Prism è molto più di una semplice installazione artistica: è un viaggio nella spiritualità, un’esperienza di meditazione collettiva che sfida i ritmi convulsi della città per riconnettere i cittadini con la parte più autentica di sé. Attraverso la potenza visiva e spirituale delle opere di Simontacchi, Milano diventa teatro di una riflessione profonda, un luogo in cui l’arte e la meditazione si fondono per offrire un momento di autentica rigenerazione. Fino al 1° dicembre, Milano è il palcoscenico di un’arte che è allo stesso tempo rifugio e rivelazione, che ci invita a fermarci, respirare e riscoprire la bellezza di essere presenti.

Categorie: Musica corale

Roma, Villa Farnesina: ” Il Seicento a Villa Farnesina”

gbopera - Sab, 16/11/2024 - 16:15

Roma, Villa Farnesina
IL SEICENTO A VILLA FARNESINA
Villa Farnesina si rivela ancora una volta come uno scrigno inesauribile di sorprese, capace di riscoprire il dialogo fra le epoche, dove la decorazione pittorica diventa il mezzo per reinterpretare l’incessante stratificazione storica di questo gioiello rinascimentale. La recente scoperta degli affreschi seicenteschi dell’antico soggiorno, emersi in un’intercapedine sopra la volta ottocentesca, offre uno spunto per una rilettura della villa in chiave barocca, illuminando angoli nascosti rimasti celati per secoli. Grazie all’utilizzo di tecnologie digitali avanzate, questi affreschi vengono restituiti allo sguardo del pubblico, attraverso video e immagini curate da Luigi Spina, che ci permettono di sfiorare con lo sguardo il cielo popolato da putti in volo intorno allo stemma Farnese, e di ammirare i delicati paesaggi autunnali ad adornare le lunette. Questa piccola ma preziosa mostra, intitolata “Il Seicento a Villa Farnesina”, diventa una finestra sull’evoluzione iconografica e stilistica della villa, ponendo l’accento sulle reinterpretazioni seicentesche delle celebri decorazioni di Raffaello. La mostra, aperta fino al 12 gennaio, svela infatti come i soggetti iconografici ideati dal maestro di Urbino abbiano continuato a ispirare generazioni di artisti, offrendo uno sguardo sulla fortuna dei suoi temi nella Roma del Seicento. L’iniziativa è frutto di una collaborazione tra Villa Farnesina e Palazzo Farnese, condotta in sinergia con l’École française de Rome, un ente che da quasi 150 anni si impegna nella valorizzazione del patrimonio storico e artistico italiano. Questo progetto si inserisce all’interno di una più ampia strategia di cooperazione culturale che coinvolge anche le celebrazioni per l’anniversario dell’École. Le collaborazioni fra Villa Farnesina e Palazzo Farnese, situati sulle opposte rive del Tevere, rievocano simbolicamente il Ponte di Michelangelo, mai costruito, ma concepito nel 1540 come collegamento ideale tra due delle più importanti residenze storiche di Roma. Questo dialogo architettonico e culturale si fa oggi metafora del tentativo di costruire ponti tra passato e presente, tra luoghi che condividono un’eredità comune e la responsabilità della sua trasmissione. Il progetto vuole essere anche un atto di riscoperta del legame profondo tra le due residenze, simboli di un’eleganza e di una raffinatezza senza tempo. La collaborazione tra l’École française de Rome e Villa Farnesina si inserisce in un contesto più ampio di promozione culturale, volto a rinnovare la percezione e la fruizione di queste meraviglie storiche attraverso nuove tecnologie e narrazioni contemporanee. Questo connubio di storia e innovazione offre al pubblico un’esperienza immersiva, che va oltre la semplice esposizione delle opere, ma si configura come un dialogo aperto con il passato. Grazie alle attività di conservazione e restauro portate avanti dall’Accademia Nazionale dei Lincei e dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, la mostra è riuscita a far emergere nuove prospettive sulla decorazione seicentesca della villa, mettendo in luce l’influenza che lo stile di Raffaello ebbe sulla Roma barocca. I lavori di restauro hanno rivelato dettagli pittorici di straordinaria bellezza, dai cromatismi delicati ai motivi decorativi che adornano la volta e le lunette. Per la prima volta, sei dipinti che si ispirano agli affreschi dell’Urbinate e dei suoi collaboratori sono esposti nella Loggia di Amore e Psiche, due dei quali sono rielaborazioni dei pennacchi dipinti da Giulio Romano, giunti dalle collezioni del Museo e Real Bosco di Capodimonte e attualmente custoditi presso la Camera dei Deputati. Il percorso espositivo include anche opere paradigmatiche del classicismo seicentesco, come le Galatee di Pietro da Cortona e Andrea Sacchi, che accolgono i visitatori nella Loggia di Galatea, dialogando idealmente con l’affresco di Raffaello. La presenza di una copia seicentesca della Galatea, proveniente dall’École française de Rome, aggiunge un ulteriore tassello alla narrazione espositiva, rappresentando la continuità del mito e del linguaggio raffaellesco nei secoli. La mostra diventa così un’occasione per riflettere su come i temi e i modelli raffaelleschi siano stati assimilati e reinterpretati dagli artisti del Seicento, generando un repertorio iconografico che si è arricchito di nuovi significati e suggestioni. L’influenza di Raffaello non si esaurisce nella celebrazione del suo genio, ma si espande nel tempo, diventando patrimonio condiviso e fonte di continua ispirazione. Brigitte Marin, direttrice dell’École française de Rome, sottolinea come questa iniziativa non solo valorizzi le collezioni dell’École, ma testimoni anche l’importanza del legame storico fra l’istituzione francese e il patrimonio artistico italiano. Uno dei quadri esposti, una Galatea seicentesca, ha infatti un valore personale per la Marin, essendo parte del suo ufficio sin dal suo arrivo a Roma nel 2019. Il dipinto, donato all’École nel 1913, rappresenta un frammento di memoria che collega storie personali e istituzionali, oggi riportato alla luce grazie ad un meticoloso lavoro di restauro. La mostra diventa quindi anche un viaggio nelle memorie individuali, che si intrecciano con quelle collettive, creando un tessuto narrativo ricco di significati. L’impegno dell’École française de Rome nel campo della ricerca storica e archeologica, che coinvolge giovani studiosi e personalità del mondo accademico, si riflette in questa mostra, che invita il pubblico a intraprendere un viaggio di bellezza e scoperta attraverso gli affreschi della Villa Farnesina. Ancora una volta, la villa si conferma come luogo di ricerca e valorizzazione culturale, capace di restituire al presente la vitalità del passato. Questa mostra non è solo una celebrazione del Seicento romano, ma un’occasione per ripensare la storia dell’arte come un continuo dialogo, in cui ogni epoca lascia una traccia per la successiva. Il percorso di riscoperta della Villa Farnesina proseguirà anche dopo la conclusione di questa mostra, con nuovi progetti di restauro e valorizzazione, che mirano a riportare alla luce ulteriori tesori nascosti. “Il Seicento a Villa Farnesina” rappresenta un invito a guardare oltre la superficie, a scoprire i legami sottili che uniscono epoche diverse e a lasciarsi ispirare dalla bellezza che ci circonda. La villa, con la sua storia complessa e affascinante, continua a raccontarci storie di artisti, mecenati e studiosi, offrendo un rifugio di meraviglia nel cuore di Roma.

Categorie: Musica corale

Napoli, Teatro Bellini: “Tragudia – Il canto di Edipo”

gbopera - Sab, 16/11/2024 - 12:36

Napoli, Teatro Bellini, Stagione 2024/25
“TRAGÙDIA – IL CANTO DI EDIPO”
Spettacolo di Alessandro Serra
Liberamente ispirato alle opere di Sofocle e ai racconti del mito
Traduzione in lingua grecanica Salvino Nucera
Con: ALESSANDRO BURZOTTA, SALVATORE DRAGO, FRANCESCA GABUCCI, SARA GIANNELLI, JARED MCNEILL, CHIARA MICHELINI, FELICE MONTERVINO
Regia, Scene, Luci, Suoni, Costumi Alessandro Serra
Voci e Canti Bruno de Franceschi
Collaborazione ai Movimenti di Scena Chiara Michelini
Collaborazione al Suono Gup Alcaro
Collaborazione alle Luci Stefano Bardelli
Collaborazione ai Costumi Serena Trevisi Marceddu
Direzione Tecnica e Tecnica del Suono Giorgia Mascia
Direzione di Scena Luca Berettoni
Costruzione Scene Daniele Lepori, Serena Trevisi Marceddu, Loic Francois Hamelin
Produzione Sardegna Teatro, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Fondazione Teatro Due Parma
In collaborazione con Compagnia Teatropersona, I Teatri di Reggio Emilia
Napoli, 13 novembre 2024
Quando Edipo arriva a capire – afferma Pasolini intervistato, nel 1968, da Jon Halliday –, non gli serve più. E non gli serve più capire proprio perché, quando è costretto a fare i conti con la realtà, quando comprende che non è possibile modificare la realtà, preferisce «uscir fuori» da essa; preferisce, cioè, collocare e costringere se stesso in una degradante condizione autopunitiva, quella della cecità. Gli occhi, quando non sanno cercare e osservare la verità, servono a poco. Forse, se Edipo avesse vissuto razionalisticamente, se avesse «affrontato» la realtà (e se l’avesse studiata analiticamente, come un poeta o come un «intellettuale», per dirla ancora con Pasolini), avrebbe anche potuto modificarla. Però, in quel caso, sarebbe stato «accecato» da altri. È una tragedia dal carattere irreversibilmente «pessimistico», perché destinata a un’eterna irresolutezza o a risoluzioni fatalmente drammatiche. Tragùdia – Il canto di Edipo, di Alessandro Serra, è tutto ciò che resta d’un teatro sottratto a se stesso e fatto a pezzi. Il corpo d’un teatro dal carattere «neoavanguardistico»; martire stupendo di una «rivoluzionaria» operazione di squartamento dell’elemento di potere per eccellenza, il linguaggio – parafrasando il filosofo Gilles Deleuze che, in Sovrapposizioni, scrive di «teatro esperimento» in riferimento proprio al «non-teatro» di Carmelo Bene, artefice di un atipico teatro neoavanguardista, anche se quest’etichetta è puramente convenzionale. È, dunque, un teatro d’ispirazione beniana; un teatro linguisticamente «crudele» – determinato, soltanto contenutisticamente, dai testi tragici di Sofocle. Non è un teatro borghese, proprio perché non è una culla consolatoria entro cui poter dormire «beatamente», e non ha pretese moralistiche. È un irrazionalistico momento di «crisi collettiva», i cui sintomi risiedono nella potenza sonora d’un linguaggio antico e «nuovo», morto e vivo, tragicamente brillante e robusto: il grecanico (nella traduzione di Salvino Nucera); una lingua che, ancora oggi, sopravvive in angoli remoti di ciò che fu la Magna Grecia, nel profondo Meridione d’Italia. Un linguaggio stupendamente folclorico, a cui viene consegnata una nuova dignità, sia pure soltanto in termini teatrali. Ma, proprio per questo motivo, la rappresentazione appare come mitizzata, perché gonfia di una vaga sacralità; un linguaggio che, dunque, travalica il senso logico o psicologico delle frasi, e che consente allo spettatore di trovare un senso non nella struttura sintattica del testo, ma nella potenza comunicativa ed espressiva del suono, sia pure apparentemente inafferrabile. Un teatro non costituito da dialoghi canonici o da consuete conversazioni, ma fatto di «monologhi a due, tre o a più voci»: sonorità pure, dal carattere poeticamente popolare, organizzate entro una cornice espressiva ed espressionistica più ampia, entro un affresco collettivo, corale; un affresco non costituito da personaggi, ma da figure, la cui funzione è vigorosamente drammatica. Nel coro, risiede la coscienza del re di Tebe: gli attori agiscono attraverso canti (scritti da Bruno de Franceschi) potentemente vigorosi, immersi in un’atmosfera arcaica e ancestrale. Il tono disperato e primitivo dei canti affligge moralisticamente l’incestuoso e parricida Edipo, costretto a scendere a patti con le sue tremende colpe: figlio-sposo di sua madre, fratello-padre dei suoi figli. Ottimi, dunque, gli attori – avvolti in costumi austeri e severi: Alessandro Burzotta, Salvatore Drago, Francesca Gabucci, Sara Giannelli, Chiara Michelini, Felice Montervino. Soltanto Edipo, interpretato da Jared McNeill, appare come il testimone (anzi, come il primo testimone) della nevrotica «disperazione» dell’uomo «contemporaneo» (un riferimento, qui, alle teorie psicoanalitiche freudiane è pressoché scontato, ma fatalmente inevitabile). Ed è per questo motivo che soltanto Edipo, proprio perché già «uomo moderno», può e riesce a staccare se stesso dall’affresco corale, agendo e cantando sotto il segno d’una angoscia realisticamente umana, tra brusche variazioni di tono e momenti di commovente introspezione. Un teatro, dunque, assimilabile alla poetica teatrale del drammaturgo francese Antonin Artaud, il papà del cosiddetto «Teatro della crudeltà», la cui «invivibilità» non è dettata da princìpi sadomasochistici, ma dalla «crudele» operazione di «esemplificazione», a cui il registascenografocostumista, Alessandro Serra, sottopone il contenuto originario della tragedia, inserito in una struttura scenica estremamente stilizzata e nitidamente illuminata (costruita da Daniele Lepori, Serena Trevisi Marceddu e Loic Francois Hamelin). Un rigore matematico e schematicamente geometrico determina le danze e i movimenti dei cantanti-attori: atti teatrali che vanno a comporre un complesso sistema di segni linguistici, inquadrati entro un’astratta struttura sintattica: la potenza comunicativa viene affidata a gesti netti, taglienti e tragicamente asciutti; viene, dunque, affidata a una «scrittura-di-scena»: locuzione «sottratta» alla poetica teatrale di Carmelo Bene – svuotata, qui, però, della sua funzione originaria: in questo caso, la scrittura scenica non determina il linguaggio orale, ma quello gestuale. Linguaggio sostenuto da suoni violenti e drammatici, ideati dal regista medesimo. Un pubblico, attento e commosso, accoglie entusiasticamente questa gemma drammatica del teatro contemporaneo. Foto Alessandro Serra

Categorie: Musica corale

Milano, Teatro alla Scala: “Trittico Balanchine / Robbins”

gbopera - Ven, 15/11/2024 - 22:15

Milano, Teatro alla Scala, Stagione 2023/ 24
“TRITTICO BALANCHINE/ ROBBINS”
“THEME AND VARIATIONS”
Coreografie George Balanchine
Musica Pëtr Il’ič Čajkovskij
Coppia principale NICOLETTA MANNI, TIMOFEJ ANDRIJASHENKO
Quattro soliste GAIA ANDREANÒ, CATERINA BIANCHI, CAMILLA CERULLI, LINDA GIUBELLI
Quattro solisti DOMENICO DI CRISTO, EDWARD COOPER, RINALDO VENUTI, ALESSANDRO PAOLONI
Scene e costumi Luisa Spinatelli
Luci Andrea Giretti
“DANCES AT A GATHERING”
Coreografie Jerome Robbins
Musica Fryderyk Chopin
Pink AGNESE DI CLEMENTE
Mauve VITTORIA VALERIO
Apricot CAMILLA CERULLI
Green MARTINA ARDUINO
Blue GIORDANA GRANATA
Brown SAÏD RAMOS PONCE
Purple MARCO AGOSTINO
Green Boy NAVRIN TURNBULL
Brick DOMENICO DI CRISTO
Blue Boy GIOACCHINO STARACE
Pianoforte Leonardo Pierdomenico
Costumi Joe Eula
Luci Jennifer Tipton, riprese da Perry Silvey
“THE CONCERT”
Coreografia Jerome Robbins
Musica Fryderyk Chopin orchestrazione Clare Grundman
The Ballerina CATERINA BIANCHI
The Husband MARCO AGOSTINO
The Wife MARTA GERANI
Shy Boy ALESSANDRO PAOLONI
The Angry Lady ANTONELLA ALBANO
First Man EMANUELE CAZZATO
Second Man MASSIMO DALLA MORA
2 Matinée Ladies REBECCA LUCA, MARTINA MARIN
Usher ANDREA RISSO
Pianoforte Leonardo Pierdomenico
Scene Saul Steinberg
Costumi Irene Sharaff
Luci Jennifer Tipton
Corpo di ballo e Orchestra del Teatro alla Scala di Milano
Direttore Fayçal Karoui
Milano, 13 novembre 2024
Al teatro alla Scala è in cartellone una serata dedicata a due coreografi importanti del Novecento: uno è l’arcinoto George Balanchine, l’altro Jerome Robbins. Gli spettacoli portati in scena sono tre: quello di Balanchine fu rappresentato solo una volta vent’anni fa circa, mentre Robbins è un debutto assoluto sulle scene scaligere nonostante le coreografie risalgano agli anni 50 e 60. Ma procediamo con ordine.Theme and variations di Balanchine è danzato sulla Suite 3 op. 55 di Čajkovskij. Questa coreografia è del 1947, e, nonostante l’amore e la stima che nutriamo per Balanchine, ci ha lasciati abbastanza freddi, non sappiamo se per l’allestimento o se per la coreografia in sé, omaggio dello stile russo a cui Balanchine era legato dalle sue origini (e che ha ulteriormente omaggiato ad esempio in Jewels, vent’anni dopo). Ma puntando tutto sullo stile, forse è stato danzato in maniera troppo algida, maggiori legato avrebbero giovato. Ad ogni modo tutto il corpo di ballo ha danzato in maniera tecnicamente solida, e rileviamo soprattutto Timofej Andrijashenko nella sua variazione. Notiamo anche il primo violino nel suo momento da protagonista nell’undicesima variazione (con una musica già di per sé incantevole). Segue Robbins con Dances at a gathering. Per circa un’ora di spettacolo dieci danzatrici e danzatori si avvicendano sul palco con i loro avvenimenti, manifestando una varietà di sentimenti dai più eterei e quasi melanconici a quelli più spiritosi… e anche se non sappiamo quali siano questi avvenimenti, essi ci hanno incantato. Al suo debutto, nel 1969, Clive Barnes, sulle pagine del New York Times, saluta questa coreografia “una delle serate più significative nel teatro americano dai tempi di O’Neill”, e definendola “onesta come il respiro, aggraziata come il canto di un’allodola e, in un modo molto speciale, più una cosa da vivere che semplicemente un altro balletto da vedere”, suggerendo che si tratta della “visione di un ballerino di Chopin, ma allo stesso modo potrei dire che è la visione di un americano dell’Europa”. Ci ritroviamo anche nella considerazione per cui questa coreografia è una miscela, anzi fusione di elementi di danza classica e popolare. Balanchine paragonò questo spettacolo ai popcorn. Infatti, questa coreografia era stata concepita come più breve, ma Balachine disse a Robbins: “fanne di più, fallo come popcorn”; e ci sembra che paragone più azzeccato non potesse essere fatto. Proprio come i popcorn, i pezzi danzati di questa coreografia, scaldati al fuoco della musica di Chopin, esplodono ciascuno assumendo una propria forma sempre diversa: a un’occhiata veloce d’insieme ci possono sembrare tutti uguali, ma con attenzione ci accorgiamo che sono uno diverso dall’altro: più piccoli, più grandi, più chiusi, più aperti, e ognuno ha una forma diversa dall’altro, con un proprio carattere. E sempre come i popcorn possono provocare forse indigestione, ma se piacciono danno sicuramente piacere! I danzatori sono stati tutti eccellenti tecnicamente, ma notiamo per l’animo soprattutto Agnese Di Clemente, Vittoria Valerio, Navrin Turnbull e Domenico Di Cristo; il giovanissimo Saïd Ramos Ponce è molto promettente, ma ancora un po’ acerbo nei sentimenti. La serata è terminata con The concert, sempre di Robbins, anch’essa alla prima rappresentazione assoluta qui in Scala. Risalente al 1956, quindi tredici anni prima di Dances, è decisamente figlia del suo tempo, ma una figlia ancora in ottima forma. Il pianista è sulla scena, ed è lui il protagonista iniziale, alla maniera di John Cage e del suo celebre 4’33” del 1952: si prepara, pulisce il piano, per i primi minuti fa di tutto tranne che suonare. Poi inizia il concerto, che si trasforma pian piano in una parodia di alcune coreografie che solitamente vengono portate in scena. La risposta del pubblico c’è, si ride, anche grazie al corpo di ballo che spesso ha avuto buoni tempi comici. In un crescendo lo spettacolo si conclude con un improbabile balletto pseudo-romantico che ha per protagoniste delle farfalle, a cui il pianista verso la fine dà la caccia con un enorme retino! Deve essere tutto ciò ad aver fatto scrivere a John Martin, sempre sul New York Times, che questo spettacolo era “una specie di revisione da incubo in cui una serie di personaggi mantiene le stesse relazioni attraverso una sequenza infinita di situazioni diverse. C’è una parodia esilarante del pubblico, e una ancora più ridicola di un ensemble di balletto in conflitto con un ruvido individualismo, che potrebbe essere la sezione migliore. Una lunga serie di vuoti di memoria [dei ballerini ndr] […] un’idea molto divertente, ma potrebbe essere più efficace in uno spettacolo di Broadway”. Noi la pensiamo diversamente, e crediamo che si possa fare in maniera seria una ridicola “revisione da incubo” di alcuni tipi di balletti senza dover per forza confinare i generi in luoghi autorizzati alla messa in scena. Speriamo quindi che questo debutto di Robbins alla Scala abbia un seguito nel repertorio della compagnia.Prossime repliche: 16, 17 e 20 Novembre. Foto Brescia & Amisano

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Franco Fagioli: “Anime immortali”

gbopera - Ven, 15/11/2024 - 08:43

Wolfgang Amadeus Mozart: “Se l’augellin sen fugge” (“La finta giardiniera” K. 196); “Ah se a morir mi chiama” (“Lucio Silla” K 135), “E giunge a questo segno…Va pure ad altri in braccio” (“La finta giardiniera” K 196); “Lungi le cure ingrate” (“Davidde penitente”) K. 469; “Parto, parto, ma tu, ben mio”, “Deh per questo istante solo” (“La clemenza di Tito” K. 621); “Exsultate, jubilate”, “Fulget amica dies”, “Virginum corona”, “Alleluja”, (“Exsultate, jubilate” K. 165). Kammerorchester Basel, Daniel Bard (direttore), Franco Fagioli (controtenore). Registrazione: Don Bosco, Paul Sacher Saal, Basilea. 3 e 9 ottobre 2020. 1 CD Pentatone PTC 5187 044
I ruoli scritti da Mozart per castrato sono ancora affidati principalmente a mezzosoprani – o soprani – en travesti, mentre più raro è l’uso di falsettisti nel repertorio del salisburghese. Quasi una sfida a questa tradizione arriva dal nuovo CD di Franco Fagioli. Il controtenore argentino si cimenta in questo repertorio offrendo una prestazione assai interessante nonostante il contenuto sia fin troppo ridotto durando la registrazione appena quarantasette minuti e lasciando ampi vuoti in un possibile catalogo dei ruoli mozartiani per castrato. La voce di Fagioli si distingue per l’ampiezza dell’estensione – fino al Do acuto come Venanzio Rauzzini uno dei destinatari dei brani proposti – e per la robustezza del mezzo dotato di una compattezza e omogeneità non così scontate per questa tipologia di voci.
Accompagnato con il giusto rigore filologico dalla Kammerorchester Basel diretta da Daniel Bard Fagioli offre una carrellata – in ordine sostanzialmente cronologico almeno per i brani operistici – della produzione mozartiana per questo tipo di vocalità
Posta in apertura Se l’augellin sen fugge” da “La finta semplice – unica piccola anticipazione cronologica rispetto alle arie successive – colpisce per la leggerezza dell’esecuzione di cui è colto perfettamente il carattere galante. Con la successiva Ah se a morir mi chiama” Fagioli può far valere due delle migliori frecce al suo arco ovvero la facilità della tessitura acuta e la propensione per un canto patetico entrambe centrali nell’aria di Cecilio scritta per Rauzzini. Allo stesso cantante era dedicato il mottetto Exsultate, jubilate”di poco successivo all’opera – posto in chiusura di programma, dove Fagioli può dar fuoco alle polveri del virtuosismo svettando facilissimo sull’alta tessitura e sciorinando con facilità i rapidi passaggi di coloratura dove però resta un sentore di costruito che da un tono quasi aggressivo all’”Alleluja” conclusivo.

Una seconda aria anche da La finta giardiniera”, dopo un recitativo ben eseguito – la dizione è nel complesso corretta anche se manca un po’ di nitidezza – segue l’aria di furore “Va pure ad altri in braccio in cui Fagioli grazie alla pienezza del timbro riesce a risultare autenticamente intenso e drammatico e non solo superficialmente frenetico come spesso queste voci risultano in questo tipo di brani.
Di rarissimo ascolto Lungi le cure ingrate” da “Davidde penitente rientra tra quei brani lirici particolarmente adatti alla voce di Fagioli e rappresenta l’unica incursione oratoriale del programma offrendo anche un estratto da un titolo molto poco frequentato.

Il breve programma si chiude con le due arie di Sesto da “La clemenza di Tito” che possono rappresentare una sorta di cartina tornasole di tutta l’operazione. Vocalmente la prestazione è buona. La compattezza della linea di canto e il colore vocale innegabilmente bello non distinguono troppo questa voce da quella di un mezzosoprano. La tessitura è retta con sicurezza ammirevole e le difficoltà risolte con abilità e una buona naturalezza. Sul piano espressivo Fagioli punta a un taglio passionale e diretto che sicuramente colpisce al primo ascolto ma che a un’analisi più attenta mostra anche una certa superficialità. In brani come questi è possibile – e sarebbe auspicabile tanto più in un prodotto discografico – un approccio più curato e raffinato, un gioco di accenti e di colori più vario e sensibile che qui non troviamo sostituito da un’impetuosità che lambisce appena la ricchezza emotiva del ruolo.
L’orchestra come già detto suona con rigore e buona presenza sonora ma forse solo nell’aria de “La finta giardiniera” riesce a emergere con una certa autonomia dal semplice accompagnamento e nella fin troppo eccessiva stringatezza del programma non è stato concesso all’orchestra nessuno spazio per un momento puramente strumentale.

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Roma, Eur: “Arte in Nuvola” dal 22 al 24 Novembre 2024

gbopera - Ven, 15/11/2024 - 08:00

Roma, Eur
ROMA ARTE IN NUVOLA
Dal 22 al 24 novembre 2024, Roma ospiterà la quarta edizione di “Roma Arte in Nuvola”, la grande fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea, ideata e diretta da Alessandro Nicosia con la direzione artistica di Adriana Polveroni e promossa da Eur SpA. Questo evento rappresenta un’importante piattaforma per il dialogo artistico e culturale, un appuntamento imperdibile per gli appassionati d’arte nella suggestiva cornice della Nuvola di Fuksas. Dopo il successo dell’edizione precedente, che ha visto la partecipazione di oltre 35.000 visitatori e riscontri positivi dalla critica e dal pubblico, l’edizione del 2024 promette di superare le aspettative. Con 140 gallerie partecipanti, sia italiane che internazionali, la fiera non solo facilita l’incontro e il confronto tra artisti e pubblico, ma mira anche a espandere i propri orizzonti includendo le correnti artistiche più influenti ed emergenti​. Una delle principali novità di questa edizione è l’aumento del numero di gallerie presenti e la maggiore partecipazione di espositori internazionali, con un focus sulle nuove tendenze artistiche. Particolare attenzione sarà rivolta agli artisti provenienti dal Centro e Sud Italia, con città rappresentate come Napoli, Catania, Pescara e Nuoro​ . Il paese ospite di quest’anno sarà il Portogallo, che presenterà una selezione di opere dalla Collezione Statale d’arte Contemporanea, curata da Sandra Vieira Jürgens, in collaborazione con il Ministero della Cultura e l’Ambasciata del Portogallo in Italia​ . Roma Arte in Nuvola non è solo una fiera, ma un vero e proprio festival culturale con un programma ricco di eventi collaterali. Tra i progetti speciali, spicca l’omaggio a Pietro Consagra, pioniere dell’arte astratta, con una ricostruzione del suo studio romano e l’esposizione di sculture interattive come i Matacubi. Inoltre, ci sarà una mostra dedicata al duo Vedovamazzei e una retrospettiva sul pittore siciliano Piero Guccione, in occasione del settantesimo anniversario del suo arrivo a Roma​ . Le collaborazioni con istituzioni pubbliche e museali saranno fondamentali per arricchire il programma della fiera. Partecipano il Ministero della Cultura, il MAXXI – Museo nazionale delle arti del XXI secolo, l’Istituto Centrale per la Grafica e il Museo delle Civiltà, tra gli altri. Queste collaborazioni permetteranno di realizzare progetti speciali e spazi di conoscenza per il grande pubblico​ . L’edizione 2024 si caratterizza per la sua capacità di rappresentare tutte le discipline artistiche, dalla pittura alla scultura, dalle installazioni alle performance, dalla video arte alla digital art e alla street art. La fiera è suddivisa in tre sezioni principali: Main Section, New Entries e Solo Show. Queste sezioni permettono di dare spazio sia agli artisti affermati che a quelli emergenti, offrendo una panoramica completa del panorama artistico contemporaneo​. Roma Arte in Nuvola 2024 si prepara a essere un evento imperdibile per collezionisti, curatori, artisti e appassionati d’arte. Con un programma ricco di novità, progetti speciali e collaborazioni prestigiose, la fiera consolida il suo ruolo di rilievo nel panorama artistico internazionale, offrendo un’esperienza culturale unica e di alto profilo​ .

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Maggio Fiorentino: dal 19 novembre “La traviata”, di Giuseppe Verdi.

gbopera - Mer, 13/11/2024 - 23:23

Martedì 19 novembre 2024 alle ore 20 la prima delle sei recite del nuovo allestimento del capolavoro verdiano in cartellone. Sul podio della Sala Grande il maestro Renato Palumbo; la regia è di Stefania Grazioli. In scena, nelle parti principali, Carolina Lopez Moreno e Julia Muzychenko (recite del 21, 26/11 e 1/12) come Violetta, Giovanni Sala e Matheus Pompeu (recite del 21, 26/11 e 1/12) interpretano Alfredo Germont Lodovico Filippo Ravizza e Min Kim (recite del 21, 26/11 e 1/12) sono Giorgio Germont. Negli altri ruoli troviamo Oronzo d’Urso Yurii Strakhov, artisti dell’Accademia del Maggio, sono rispettivamente Gastone e il Il barone Douphol; Gonzalo Godoy Sepúlveda e Huigang Liu interpretano Il marchese d’Obigny e Il dottor Grenvil e Alessandro Lanzi è Giuseppe. Completano il cast vocale due artisti del Coro del Maggio: Lisandro Guinis e Nicolò Ayroldi sono rispettivamente Un commissionario e Un servo. Le scene sono di Roberta Lazzeri, i costumi di Veronica Pattuelli e le luci di Valerio Tiberi. I movimenti coreografici sono di Elena Barsotti. Le scene sono di Roberta Lazzeri, i costumi di Veronica Pattuelli e le luci di Valerio Tiberi. I movimenti coreografici sono di Elena Barsotti.
La recita del 26 novembre 2024 sarà trasmessa in diretta su Rai Radio 3

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Roma, Teatro Ambra Jovinelli: “Venere Nemica”

gbopera - Mer, 13/11/2024 - 23:10

Roma, Teatro Ambra Jovinelli
VENERE NEMICA
con Drusilla Foer
scritto da Drusilla Foer e Giancarlo Marinelli
Regia Dimitri Milopulos
con la partecipazione di Elena Talenti
Produzione artistica di Franco Godi per Best Sound
Produzione esecutiva e distribuzione Savà Produzioni Creative
Roma, 13 Novembre 2024
Drusilla Foer, con la sua inconfondibile cifra artistica, porta in scena “Venere Nemica”, una produzione che rappresenta un manifesto di ironia sofisticata e sensibilità profonda, reinterpretando il mito di Amore e Psiche tratto dalla favola di Apuleio. La dea della bellezza e dell’amore è qui rappresentata come una figura immortale, esiliata dall’Olimpo e immersa nel lusso e nelle imperfezioni del vivere quotidiano a Parigi, lontano dalla perfezione soffocante della sua natura divina e dalle eccentricità dei suoi simili. La Venere di Foer, caratterizzata da un atteggiamento ironico e tagliente, osserva con invidia sottile la condizione mortale degli uomini, una fragilità che conferisce loro un’urgenza esistenziale, donando profondità e autenticità alle emozioni. Attraverso confessioni leggere e riflessioni più intime, la dea si abbandona a momenti di comicità acuta: “Immaginate la mia gioia. Una dea, condannata a vivere nell’eterna umidità del mare, scoprire l’esistenza della messa in piega!”. Accanto alla sua enigmatica e inseparabile cameriera, bellissima e taciturna, Venere ripercorre, quasi per gioco, il passato che la lega al figlio Amore e alla nuora Psiche. In un’epoca in cui gli uomini hanno cessato di credere agli dei per consacrarsi agli eroi, riemerge il dramma della dea tradita e ferita, che riversa tutta la sua collera sulla straordinaria Psiche, la mortale che osò incarnare la bellezza divina, guadagnandosi il titolo di “Venere in terra”. La vendetta di Venere, implacabile e feroce, rivela un paradosso intriso di dolcezza e commozione. Nel corso del suo percorso, Venere giunge a scoprire una verità che nemmeno la sua natura divina le aveva rivelato: l’amore incondizionato per quel figlio che torna a lei, ferito nell’anima e nel corpo, in cerca di un conforto che solo una madre, pur nella sua imperfezione, può offrire. Questa reinterpretazione del mito non si limita a una narrazione classica, ma declina i grandi temi della tragedia antica in chiave contemporanea: la competizione tra suocera e nuora, la paura della bellezza che svanisce, la possessività materna e l’eterna tensione tra uomini e divinità. Drusilla Foer offre una performance magnetica, tratteggiando una Venere incredibilmente umana, vulnerabile e, al contempo, divina. La sua ironia raffinata si fonde con una capacità straordinaria di evocare dolore, rimpianto e amore, rendendo il personaggio complesso e coinvolgente. La sua voce, calda e avvolgente, alterna toni pungenti e momenti di intimità, creando un legame profondo e indissolubile con il pubblico. Accanto a lei, Elena Talenti, nel ruolo della misteriosa cameriera, offre una presenza scenica misurata e incisiva, che funge da contrappunto silenzioso ma potente alla vitalità di Venere. L’alchimia tra le due figure arricchisce la rappresentazione, trasformandola in un dialogo sottile e carico di significati. La pièce, impreziosita da un repertorio musicale sofisticato e, a tratti, spietato, si avvicina alla dimensione del musical senza mai perdere la sua essenza teatrale. Le musiche, intense e ben calibrate, si integrano perfettamente con il testo, amplificando le emozioni e trasportando il pubblico in una dimensione sospesa tra mito e contemporaneità. Ogni brano musicale è stato scelto con cura per risuonare con le emozioni evocate in scena, creando una continuità espressiva tra la parola e la sonorità che accompagna lo sviluppo narrativo. L’allestimento scenico è stato concepito con un minimalismo che esalta l’espressività degli interpreti e valorizza l’azione scenica attraverso elementi simbolici. L’essenzialità delle scenografie, arricchita da giochi di luci magistralmente orchestrati, sottolinea i passaggi drammatici e i cambiamenti di tono, modulando le atmosfere in maniera estremamente raffinata. Il disegno luci, infatti, non si limita ad accompagnare l’azione ma diviene parte integrante del racconto, giocando con ombre e contrasti per evidenziare la dualità di Venere tra divino e umano. I costumi, curati fin nei minimi dettagli, rappresentano un ulteriore elemento narrativo che definisce i personaggi e le loro evoluzioni. Venere indossa abiti che oscillano tra la sontuosità propria di una divinità e la praticità imposta dalla vita terrena, riflettendo visivamente il suo conflitto interiore. La scelta dei materiali e dei colori non è casuale: ogni tessuto, ogni nuance contribuisce a creare un’immagine simbolica che arricchisce la lettura psicologica del personaggio.  La regia, firmata da Dimitri Milopulos lavora su un sottile equilibrio tra comicità e tragedia, evitando di cadere nella caricatura o nella superficialità. La direzione si concentra sulla valorizzazione delle sfumature emotive, creando un crescendo che conduce lo spettatore attraverso un viaggio fatto di risate, momenti di riflessione e intensi passaggi emotivi. La capacità della regia di alternare toni leggeri a profondi momenti di introspezione fa sì che “Venere Nemica” risulti non solo uno spettacolo di intrattenimento, ma un’esperienza di grande intensità artistica. Drusilla Foer emerge come una delle voci più significative del panorama teatrale contemporaneo, capace di dare corpo e anima a un personaggio che, pur radicato nella mitologia, risuona profondamente con le problematiche e le sfide della nostra epoca. La rappresentazione di Venere come una figura imperfetta, capace di amare e soffrire, rende lo spettacolo un potente riflesso delle dinamiche umane, in cui la ricerca di un senso, di un amore, di una redenzione diventa il filo conduttore di un’esperienza scenica che, per intensità e bellezza, rimane impressa nella memoria dello spettatore.

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Roma, Teatro Olimpico: “Raffaella! Omaggio alla Carrà”

gbopera - Mer, 13/11/2024 - 19:15

Roma, Teatro Olimpico
“RAFFAELLA! OMAGGIO ALLA CARRA’”

Un’icona della cultura pop, simbolo di libertà
Con Beatrice Baldaccini
Direzione artistica Claudia Campolongo
Regia Gabriele Colferai
Coreografie Angelo Di Figlia
Band Miki Cappai, Domenico Vena, Omar Ceriotti, Fabio Marchiori, Claudia Campolongo
Corpo di ballo Ilaria Gattafoni, Silvia Gattafoni, Lorenzo Longobardi, Nicholas Jay, Gioele Marcante
Coro Linnverso
Produzione Teatro Verdi di Montecatini
Direttore di produzione Giulia Flosi
Roma, 12 Novembre 2024
“Raffaella! – Omaggio alla Carrà” è un’esplosione di energia e nostalgia che, il 12 novembre 2024, ha riempito il Teatro Olimpico di Roma. La direzione artistica di Claudia Campolongo, la regia di Gabriele Colferai e le coreografie di Angelo Di Figlia hanno orchestrato una performance straordinaria, capace di rendere giustizia alla figura iconica di Raffaella Carrà, una delle più grandi showgirl della televisione italiana. La leggendaria artista pop ha saputo unire diverse generazioni, e la prova è stata un teatro trasformato in un tripudio di emozioni condivise da bambini, ragazzi, adulti e persone di ogni età. Lo spettacolo prende vita attraverso la storia di un giovane fan appassionato, interpretato da Gabriele Colferai, che racconta alla madre (interpretata da Claudia Campolongo) cosa rappresenti per lui la Carrà. Questo filo narrativo permette di rivivere i suoi successi più celebri, da “Fatalità” a “Tanti auguri”, “Ballo ballo”, “Pedro”, “A far l’amore comincia tu”, la travolgente “Rumore”, cantata all’unisono dal pubblico. Ma non solo. L’esibizione omaggia la showgirl anche grazie ai costumi di scena. Ogni abito è simbolo della sua grande personalità: all’elegante vestito rosso lucido, emblema della sua raffinatezza, ai sensuali body, alle spiritose maniche voluminose con volant, agli abiti corti e pantaloni a zampa, fino ai celebri top che lasciano scoperto l’ombelico. Negli anni ’70, mostrare l’ombelico in televisione fu un vero e proprio scandalo, ma anche un atto rivoluzionario che trasformò un semplice capo d’abbigliamento in un potente vessillo di emancipazione femminile.  La carriera straordinaria della Carrà viene ripercorsa attraverso il ricordo dei suoi programmi storici come “Pronto Raffaella”, “Canzonissima”, “A raccontare comincia tu”, in cui faceva visita ai personaggi noti della TV, del cinema e della vita pubblica, intervistando nelle loro case in un clima di serenità e amicizia.  Il pubblico è, così, immerso in un viaggio musicale e visivo straordinario, dove Beatrice Baldaccini, nel ruolo della mitica Raffaella Carrà, incanta con la sua voce straordinaria e la capacità di reinterpretare le movenze iconiche della star: dalla gestualità raffinata al celebre casqué, accompagnato dal suo distintivo caschetto biondo. La cura dei dettagli rende l’illusione perfetta, regalando la sensazione di trovarsi davvero in uno degli indimenticabili show della Carrà. Le luci, potenti come quelle degli spettacoli televisivi, arricchiscono la messa in scena e avvolgono la sala in un’atmosfera sfavillante, evocando i fasti dei grandi varietà in cui la star brillava, accompagnata da un energico corpo di ballo. L’esperienza interattiva coinvolge gli spettatori, che rispondono a domande sulla vita e la carriera della Carrà e si divertono a ballare il celebre “Tuca Tuca” sul palco. Non manca il riferimento alla canzone di Tiziano Ferro, grande amico dell’artista, con la sua “E Raffaella è mia”.  Lo spettacolo si conclude con un trascinante ballo collettivo: tutti sono in piedi, e la sala si riempie di gioia e spensieratezza. Si torna a casa con il cuore leggero e l’anima colma della contagiosa vitalità che ha sempre caratterizzato Raffaella Carrà, portando con sé il suo lascito più prezioso: la gioia di vivere e la libertà di essere sé stessi. Lo spettacolo proseguirà il suo tour in Italia con tappe imperdibili a Torino, Firenze, Avellino… Non perdete l’occasione di assistere: ne vale davvero la pena!

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Roma, Teatro Vascello: “La Scortecata” dal 19 Novembre al 01 dicembre 2024

gbopera - Mer, 13/11/2024 - 15:42

Roma, Teatro Vascello
LA SCORTECATA
liberamente tratto da Lo cunto de li cunti
di Giambattista Basile 
testo e regia Emma Dante 
con Salvatore D’Onofrio, Carmine Maringola
elementi scenici e costumi Emma Dante 
luci Cristian Zucaro
assistente di produzione Daniela Gusmano
assistente alla regia Manuel Capraro 
produzione Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale, e Carnezzeria.
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma
Oh, Valentine, un favore,” disse Maximilien “il vostro dito mignolo, che io possa baciarlo attraverso queste assi!” Valentine salì su una panchina, e passò, non il mignolo attraverso l’apertura, ma tutta la mano al di sopra del recinto. Maximilien mandò un grido, e, arrampicandosi con un balzo sullo steccato, afferrò quella mano adorata, e vi impresse le labbra ardenti; ma subito la piccola mano sgusciò dalle sue, e il giovane sentì fuggire Valentine, spaventata forse per quella sensazione a lei sconosciuta. Il conte di Montecristo Alexandre Dumas
Lo cunto de li cunti overo lo trattenimiento de peccerille, noto anche col titolo di Pentamerone (cinque giornate), è una raccolta di cinquanta fiabe raccontate in cinque giornate. Prendendo spunto dalle fiabe popolari, Giambattista Basile crea un mondo affascinante e sofisticato partendo dal basso. Il dialetto napoletano dei suoi personaggi, nutrito di espressioni gergali, proverbi e invettive popolari, produce modi e forme espressamente teatrali tra lazzi della commedia dell’arte e dialoghi shakespeariani. Come una partitura metrica, la lingua di Basile cerca la verità senza rinunciare ai ghirigori barocchi della scrittura. La scortecata è lo trattenimiento decemo de la iornata primma e narra la storia di un re che s’innamora della voce di una vecchia, la quale vive in una catapecchia insieme alla sorella più vecchia di lei. Il re, gabbato dal dito che la vecchia gli mostra dal buco della serratura, la invita a dormire con lui. Ma dopo l’amplesso, accorgendosi di essere stato ingannato, la butta giù dalla finestra. La vecchia non muore ma resta appesa a un albero. Da lì passa una fata che le fa un incantesimo e diventata una bellissima giovane, il re se la prende per moglie. In una scena vuota, due uomini, a cui sono affidati i ruoli femminili come nella tradizione del teatro settecentesco, drammatizzano la fiaba incarnando le due vecchie e il re. Basteranno due seggiulelle per fare il vascio, una porta per fare entra ed esci dalla catapecchia e un castello in miniatura per evocare il sogno. Le due vecchie, sole e brutte, si sopportano a fatica ma non possono vivere l’una senza l’altra. Per far passare il tempo nella loro miseria vita inscenano la favola con umorismo e volgarità, e quando alla fine non arriva il fatidico: “e vissero felici e contenti…” la più giovane, novantenne, chiede alla sorella di scorticarla per far uscire dalla pelle vecchia la pelle nuova.  La morale: il maledetto vizio delle femmine di apparire belle le riduce a tali eccessi che, per indorare la cornice della fronte, guastano il quadro della faccia; per sbiancare le pellecchie della carne rovinano le ossa dei denti e per dare luce alle membra coprono dombre la vista. Ma, se merita biasimo una fanciulla che troppo vana si dà a queste civetterie, quanto è più degna di castigo una vecchia che, volendo competere con le figliole, si causa lallucco della gente e la rovina di sé stessa. Qui per tutte le informazioni.

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Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman: “Trappola per topi” dal 19 novembre al 01 dicembre 2024

gbopera - Mer, 13/11/2024 - 15:32

Roma, Teatro Quirino Vittorio Gassman
La Pirandelliana

presenta
TRAPPOLA PER TOPI
di Agatha Christie
traduzione e adattamento Edoardo Erba
con Ettore Bassi, Claudia CampagnolaDario MerliniStefano AnnoniMaria Lauria, Marco Casazza, Matteo PalazzoRaffaella Anzalone
scene Luigi Ferrigno
costumi Francesca Marsella
musiche Paolo Silvestri
luci Antonio Molinaro
regia Giorgio Gallione
Il 25 novembre 1952 all’Ambassadors Theatre di Londra andava in scena per la prima volta “Trappola per topi” di Agatha Christie. Da allora, per 70 anni ininterrottamente, il sipario si è alzato su questa commedia “gialla” senza tempo e di straordinaria efficacia scenica. Ed ora tocca a noi… Non è consueto per me, spesso regista drammaturgo in proprio, misurarmi con un classico della letteratura teatrale. Certo da interpretare, ma da servire e rispettare. Ma non ho avuto dubbi ad accettare. Perché “Trappola per topi” ha un plot ferreo ed incalzante, è impregnata di suspense ed ironia, ed è abitata da personaggi che non sono mai solo silhouette o stereotipi di genere, ma creature bizzarre ed ambigue il giusto per stimolare e permettere una messa in scena non polverosa o di cliché. In fondo è questo che cerco nel mio lavoro: un mix di rigore ed eccentricità. D’altronde, dice il poeta, il dovere di tramandare non deve censurare il piacere di interpretare. Altra considerazione: nonostante l’ambientazione d’epoca e tipicamente British, il racconto e la trama possono essere vissuti come contemporanei, senza obbligatoriamente appoggiarsi sul già visto, un po’ calligrafico o di maniera, fatto spesso di boiserie, kilt, pipe e tè. Stereotipi della Gran Bretagna non lontani dalla semplicistica visione dell’Italia pizza e mandolino. Credo che i personaggi di Trappola nascano ovviamente nella loro epoca, ma siano vivi e rappresentabili oggi, perché i conflitti, le ferite esistenziali, i segreti che ognuno di loro esplicita o nasconde sono quelli dell’uomo contemporaneo, dell’io diviso, della pazzia inconsapevole. E credo riusciremo a dimostrarlo grazie alla potenza senza tempo di Agatha Christie, ma anche e soprattutto con il talento e l’adesione di una compagnia di artisti che gioca seriamente con un’opera “chiusa” e precisa come una filigrana, che però lascia spazio all’invenzione e alla sorpresa, una promessa di imprevedibilità e insieme di esattezza. E poi c’è la neve, la tormenta, l’incubo dell’isolamento e della bivalenza, il sospetto e la consapevolezza che il confine tra vittima e carnefice può essere superato in qualsiasi momento. Ingredienti succosi ed intriganti che spero intrappoleranno il pubblico. Giorgio Gallione Qui per tutte le informazioni.

 

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Roma, Sala Umberto: “Azzurro” dal 15 al 17 novembre 2024

gbopera - Mer, 13/11/2024 - 15:12
Roma, Sala Umberto
AZZURRO
di Paola Ponti
tratto dal libro “Azzurro, stralci di vita” di  CURZIO MALTESE
con Sergio Colicchio (il pianista)
musiche Nicola Piovani
luci Danilo Facco
costumi Arabella Bettazzi
coordinamento artistico  Norma Martelli
voci registrate Federico Baudino,  Irene Colicchio, Carmen Giardina
elaborazione suoni Lorenzo Gardena
direttore di produzione Rosi Tranfaglia
produzione Viola Produzioni – Centro di produzione teatrale
Regia di Carmen Giardina
Un grande giornalista guarda indietro alla sua vita e ne ripercorre le tappe. Curzio Maltese ci conduce in una cavalcata attraverso gli ultimi sessant’anni del nostro Paese, un racconto in cui si ride e ci si emoziona. E’ il racconto di una vita incredibile, travagliata e gioiosa, quella che scorre sul palcoscenico. L’Italia del boom, un Paese ancora ingenuo, rivolto al futuro, dove “persino i poveri potevano essere felici”, il sabato alla Rinascente dove lavora la mamma commessa, il profumo di Mariangela Melato, i foulard di Carla Fracci, le vetrine di Giorgio Armani. La fine dell’innocenza, il 12 dicembre 1969, con la bomba che scoppia a piazza Fontana. La lotta di classe al parco Lambro, il liceo negli anni di piombo, e le risate degli anni ’70, con Beppe Viola, Dario Fo, i comici del Derby: “ridevamo come pazzi e poi con un pensoso e penoso senso di colpa passavamo alle cose serie, la politica, il giornalismo, la cultura ufficiale. Pensa che scemi.” Dopo gli esordi nel giornalismo sportivo, arriva a Repubblica, dove inizia a scrivere di politica quando scoppia l’inchiesta Mani Pulite, seguita dalla discesa in campo di Berlusconi. Ma in Azzurro è l’uomo Maltese a parlare, ed è emozionante il racconto di un’infanzia senza padre, della scomparsa della sorella Cinzia, del grande amore per la moglie e il figlio, della gioia di poter seguire da vicino il lavoro di artisti geniali come Roman Polanski, Renzo Piano, Paolo Conte, Ken Loach e tanti altri. Una ricerca della bellezza che non poteva mai prescindere dall’allegria, che diventa salvifica nei momenti più difficili. Azzurro è un racconto talmente coinvolgente da far pensare fin dalla prima lettura a un naturale approdo al palcoscenico. Il cinema era una delle grandi passioni di Curzio Maltese, così mentre cercavo una chiave per la messa in scena, ho pensato a una scenografia che attraverso pochi elementi rappresentasse l’idea di una sala cinematografica: uno schermo, due poltroncine e un’insegna al neon che riprende il titolo del libro, Azzurro. Questo spazio ideale viene abitato dal protagonista in molti modi, permettendogli di attraversare diverse dimensioni: il ricordo, l’evocazione, il ritrovarsi spettatore della propria vita che scorre come su uno schermo, ma anche momenti di allegria che sfociano in canzoni, quasi come in un  musical. Antonio Catania mette il suo talento al servizio di questo impegnativo compito e insieme al suo partner in scena, il pianista Sergio Colicchio, ci trasporta nel viaggio della vita di Curzio Maltese e di un’Italia in cui non possiamo che ritrovarci. Credo che nessun attore meglio di Antonio Catania avrebbe potuto interpretare meglio Curzio Maltese, un uomo innamorato della vita anche nei momenti più difficili, la sua recitazione non è mai enfatica o retorica, ma sempre capace di ironia e umanità. Allo stesso modo la scrittura di Maltese e l’adattamento teatrale di Paola Ponti si sposano alla perfezione con la musica del grande amico Nicola Piovani. Una presenza capace di creare un contrappunto perfetto al viaggio di una vita, nei suoi aspetti divertenti come in quelli più toccanti, in cui tutti possiamo ritrovarci. Carmen Giardina
Categorie: Musica corale

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