Tu sei qui

Aggregatore di feed

Macerata, MOF 2025: “Macbeth”

gbopera - Dom, 10/08/2025 - 23:59

Macerata, Mof 2025
“MACBETH”
Opera in quattro atti   su Libretto di  Francesco Maria Piave e Andrea Maffei, dalla tragedia di William Shakespeare
Macbeth FRANCO VASSALLO
Banco SIMON ORFILA
Lady Macbeth MARTA MORBIDONI
Dama di  Lady Macbeth FEDERICA SARDELLA
Macduff ANTONIO POLI
Malcolm ORONZO D’URSO
Domestico/ Sicario / Araldo STEFANO GENNARI
Medico LUCA PARK
FORM- Orchestra Filarmonica Marchigiana
Direttore Fabrizio Maria Carminati
Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini”
Maestro del Coro Christian Starinieri
Regia Emma Dante
Scene Carmine Maringola
Costumi Vanessa Sannino
Luci Christian Zucaro
Coreografie Manuela Lo Sicco
Cooproduzione dell’Associazione Arena Sferisterio con il Teatro Massimo di Palermo e il Teatro Regio di Torino
Macerata, 10 agosto 2025
«La vita è solo un’ombra che cammina; un povero attore che si pavoneggia e si agita sulla scena per la sua ora, e poi non se ne sente più nulla». Il celebre passo shakespeariano trova corpo e sangue nell’allestimento di Macbeth firmato da Emma Dante, in scena allo Sferisterio per il Macerata Opera Festival 2025. Non si tratta di una semplice trasposizione scenica, ma di una vera anatomia del potere e del delirio, scolpita con mano rituale e visione ferina. La regia di Dante – sorretta dalle scene di Carmine Maringola e dai costumi evocativi di Vanessa Sannino – ci consegna un universo visivo dominato da oggetti e corpi, dove ogni elemento assume la forza simbolica di una maledizione antica. I letti mobili che attraversano la scena – d’ospedale, di morte, di concepimento – non sono arredi: sono soglie, luoghi di passaggio tra umano e disumano, tra coscienza e rovina. È lì che nascono le streghe, non evocate ma partorite, letteralmente, da un grembo che si fa scena. La loro prima apparizione – viscere contorte, carne che geme – è uno dei momenti più disturbanti dello spettacolo: non magia, ma biologia della profezia. Tutta la regia si muove su questa faglia: il corpo come linguaggio, come limite e destino. Il paesaggio scenico evoca una Sicilia arcaica, dove i fichi d’India sostituiscono la foresta di Birnam. Il fico d’India, pianta che resiste al fuoco e alla morte, diventa emblema di una natura che si ribella, che sopravvive ai carnefici. In questa vegetazione spinosa e sacrale, Macbeth e la sua Lady si muovono come relitti di una nobiltà che ha perso ogni centro, ogni dio. La scena è attraversata da una costante tensione tra sacro e profano: croci, abluzioni, gesti liturgici deformati. Le luci di Christian Zucaro – dure, spietate – tagliano lo spazio come lame, mentre i costumi rivelano un mondo impolverato di riti dimenticati. Lady Macbeth, nella lettura registica, è una Madonna rovesciata. I suoi movimenti – coreografati da Manuela Lo Sicco – sono spasmi da invasata, ma sempre dentro un codice teatrale millimetrico. L’universo scenico non è narrativo, ma mitopoietico. La scena non illustra, trasfigura. Ogni gesto, ogni corpo, ogni oggetto porta un significato che precede la parola. Non si racconta una storia: si partecipa a una liturgia, al disfacimento del mondo da dentro, come se lo spettatore fosse uno dei letti che scorrono, uno dei corpi che assorbe sangue e profezia. Sul versante vocale, la produzione si distingue per una coerenza interpretativa che, pur con qualche discontinuità, si armonizza con l’impianto drammaturgico. A emergere con forza è Franco Vassallo, il cui Macbeth si regge su un’emissione autorevole, sorretta da un timbro baritonale ampio e brunito. Nei recitativi la sua linea è nitida e controllata, mentre nelle arie il fraseggio si dispiega con scolpitezza e misura. Vassallo privilegia una compostezza drammatica intrisa di dignità tragica: il suo Macbeth è un uomo già segnato dal presagio, tragico nella consapevolezza più che nell’enfasi. Marta Morbidoni offre una Lady Macbeth di notevole tensione espressiva. La sua vocalità, tagliente e nervosa, si adatta bene a un ruolo che esige un continuo attraversamento tra dominio e collasso. Il controllo del pianissimo le consente di evocare una forza occulta e terribile, capace di assediare lo spazio anche nel silenzio. Non c’è compiacimento nel suo canto, ma un rigore ieratico che restituisce la dimensione perturbante della protagonista. Un memorabile debutto. Simón Orfila, nel ruolo di Banco, convince per autorevolezza naturale e pastosità timbrica. La sua emissione è salda, il fraseggio levigato, e l’aria del primo atto (“Come dal ciel precipita”) è affrontata con eleganza e raccoglimento. Antonio Poli disegna un Macduff di slancio lirico, grazie a un timbro luminoso e a una proiezione efficace che, nel momento della vendetta, si accende di sincerità drammatica senza mai forzare l’emissione. Federica Sardella, nei panni della Dama, si ritaglia un breve spazio sonoro per chiarezza espositiva e sobrietà. Oronzo D’Urso (Malcolm), Stefano Gennari e Luca Park completano l’ensemble con prove funzionali. La direzione di Fabrizio Maria Carminati si distingue per l’equilibrio fra chiarezza formale e tensione drammatica. Il maestro costruisce un impianto sonoro solido e sorvegliato, in cui la partitura verdiana emerge con nitidezza analitica. I tempi risultano calibrati con attenzione: il dramma procede con andatura narrativa fluida, sempre sorretta da una lucidissima articolazione temporale. L’Orchestra Filarmonica Marchigiana, sotto la sua guida, si conferma duttilissima: archi precisi, legni raffinati, ottoni misurati. Carminati mostra grande attenzione al rapporto con il palcoscenico, accompagnando le voci con discrezione e intelligenza teatrale. Mai invasiva, la buca diventa un corpo unico con l’azione. Il suo Macbeth non indulge nel pittoresco, ma si impone come un affresco lucido e psicologicamente coerente. Gli applausi finali, prolungati ma misurati, hanno chiuso un’esecuzione di coerenza formale e rigore espressivo. Con questo Macbeth, il Macerata Opera Festival 2025 si conclude nel segno di una tragedia asciutta e spietata, dove la scena si fa riflessione sul potere, sul corpo e sulla fine. Nessuna concessione all’enfasi, ma un teatro che continua a interrogare, senza compiacimento, la materia oscura del nostro tempo. Con questa ultima opera si chiude la stagione 2025 del Macerata Opera Festival, che ha registrato oltre 25.000 presenze e un riempimento medio dell’80%. Tre titoli di repertorio, allestimenti di qualità e un’offerta artistica che ha confermato lo Sferisterio come punto di riferimento nel panorama lirico estivo italiano. Photocredit Simoncini

Categorie: Musica corale

Bayreuther Festspiele 2025: “Die Meistersinger von Nürnberg”

gbopera - Dom, 10/08/2025 - 17:13
Bayreuther Festspiele 2025
“DIE MEISTERSINGER VON NÜRNBERG”
Opera in tre atti, libretto e musica di Richard Wagner Hans Sachs GEORG ZEPPENFELD Veit Pogner  JONGMIN PARK Kunz Vogelgesang MARTIN KOCH Konrad Nachtigall WERNER VAN MECHELEN Sixtus Beckmesser MICHAEL NAGY Fritz Kothner JORDAN SHANAHAN Balthasar Zorn DANIEL JENZ Ulrich Eisslinger MATTHEW NEWLIN Augustin Moser GIDEON POPPE Hermann Ortel ALEXANDER GRASSAUER Hans Schwarz TIJL FAVEYTS Hans Foltz PATRICK ZIELKE Walther von Stolzing MICHAEL SPYRES David MATTHIAS STIER Eva CHRISTINA NILSSON Magdalene CHRISTA MAYER Ein Nachtwächter TOBIAS KEHRER Orchestra e Coro dei Bayreuther Festspiele Direttore Daniele Gatti Maestro del Coro Thomas Eitler-de Lint  Regia Matthias Davids Scene Andrew D. Edwards Costumi Susanne Hubrich Drammaturgia Christoph Wagner-Trenkwitz Luci Fabrice Kebour Bayreuth, 5 agosto 2025 Dopo le riflessioni sul ruolo dell’ artista nella società che caratterizzavano la regia di Katharina Wagner e quelle sull’ antisemitismo che erano alla base dell’ allestimento ideato da Barrie Kosky, la nuova produzione dei Meistersinger che ha inaugurato i Bayreuther Festspiele ha voluto rimettere in evidenza il carattere di commedia del capolavoro wagneriano. Matthias Davids,  è conosciuto soprattutto per la sua attività nel campo del musical. La sua regia era focalizzata sull’ evidenziazione del carattere di commedia borghese che è sicuramente uno tra gli aspetti principali dell’ opera, in uno stile figurativo basato su immagini molto colorate soprattutto nelle scene di massa ed elementi scenografici sostanzialmente essenziali ma efficaci. I personaggi vestivano costumi riferiti a diverse epoche, con tocchi umoristici come i Narrenkappen (berretti carnevaleschi) dei Maestri e la chitarra elettrica usata da Beckmesser nel tentativo di darsi un aspetto á la page. Il racconto scenico metteva in evidenza soprattutto la vicenda dei due ragazzi innamorati che riescono a realizzare il loro sogno superando gli ostacoli posti dalla generazione degli adulti e alla fine se ne vanno da soli piantando in asso la cerimonia ufficiale, e insieme ad essa le raffigurazioni dell’ uomo anziano e di buon cuore che li aiuta e del pretendente rivale dai modi grotteschi. Di più Matthias Davids non ha voluto dirci: le riflessioni esposte da Wagner in quest’ opera, che riguardano principalmente il ruolo dell’ arte nella società e la sua vicenda personale di artista alle prese con le convenzioni e i limiti alla libertà creativa impostigli dalle regole codificate tramite la tradizione, erano escluse in partenza dalla sua concezione scenica. Ad ogni modo lo spettacolo era sicuramente molto piacevole da guardare, fluido e dal ritmo teatrale scorrevole oltre che divertente in vari tocchi umoristici come quelli presenti nella scena finale dove apparivano anche dei sosia della Merkel, di Thomas Gottschalk e di Milva.  Ci ha fatto molto piacere assistere una volta tanto a una regia che si poteva capire anche senza il manuale di istruzioni. Pregevole anche la parte musicale, a partire dalla superba direzione orchestrale di Daniele Gatti che ha ottenuto splendidi colori orchestrali e autentiche squisitezze stilistiche dalla magnifica orchestra del Festival, tramite i quali ha impostato una lettura incantevole per la scorrevolezza del fraseggio, la stupenda realizzazione delle dinamiche strumentali e la perfezione tecnica dimostrata nei passi contrappuntistici più complicati come quella della baruffa che conclude il secondo atto, dove una volta tanto si percepivano nitidamente tutte le varie sezioni invece del magma sonoro di tante altre esecuzioni. Assolutamente affascinante era anche la resa del Preludio al terzo atto, oltre all’ atmosfera di magica sospensione temporale ottenuta da Gatti nell’ amalgamare le voci durante il Quintetto. Una splendida direzione, sicuramente tra le migliori mai ascoltate di questo capolavoro dell’ arte di Wagner del quale Gatti è riuscito a cogliere tutta la profondità espressiva. Eccellente è stata anche la prestazione del coro, guidato per la prima volta dal nuovo direttore Thomas Eitler-de Lindt  e ringiovanito dall’ entrata di molti nuovi elementi. Per quanto riguarda il cast vocale, le prove migliori della serata sono state quelle offerte dai due interpreti della coppia di amanti. La voce del tenore americano Michael Spyres, abituata al canto all’ italiana, era davvero ideale per la raffigurazione di un Walther von Stolzing dal carattere idealista e sognante, ulteriormente sottolineata dalle splendide mezzevoci esibite negli assoli e culminante in un’ appassionata e ispiratissima esecuzione del Preislied. Il giovane soprano svedese Christina Nilsson, una tra le voci wagneriane più promettenti della giovane generazione, che io avevo molto apprezzato come Elisabeth nel Tannhäuser lo scorso anno a Frankfurt, ha delineato una Eva dal carattere dolce e delicato ma anche volitivo nel cercare di ottenere a tutti i costi ottenere Walther come suo sposo, grazie a una voce fresca e luminosa, tecnicamente gestita in modo molto corretto, che le permette di esprimere sfumature di fraseggio molto eleganti e raffinate. Nell’altra coppia apparivano molto efficaci le caratterizzazioni del David vivace e spigliato del tenore svizzero Matthias Stier e della Magdalene molto pratica e materna, oltre che ricca di buon senso, delineata dal mezzosoprano Christa Mayer, una veterana dei Festival di Bayreuth. Tra le voci gravi, il Sachs di Georg Zeppenfeld, che debuttava nel ruolo, appariva abbastanza adeguato nella raffigurazione di un uomo che dalla vita ha attraversato esperienze di gioia e dolore attraverso le quali ha maturato la sua arte. La voce del cinquantacinquenne basso di Attendorn perde un po’ in qualità in una parte da basso-baritono che costringe il cantante a schiarire leggermente il timbro, ma il fraseggio è sempre quello dell’ interprete di grande classe e appariva molto accurato e attento alle sfumature della parola, soprattutto nei due grandi monologhi. Michael Nagy ha interpretato Beckmesser in uno stile decisamente tradizionale, quello di un pedante che si rende ridicolo per i suoi atteggiamenti. Di giusta imponenza e autorità era il Pogner del basso coreano Jongmin Park, la cui voce è apparsa omogenea e di adeguata risonanza anche se la pronuncia era a volte un po’ confusa. Perfetta anche la prestazione di tutto il gruppo dei maestri oltre a quella di Tobias Kehrer come Nachtwächter al secondo atto. Successo trionfale per tutti alla conclusione, per una recita assolutamente degna della grande tradizione di Bayreuth, soprattutto dal punto di vista musicale. Foto ©Enrico Nawrath
Categorie: Musica corale

ROF 2025:”L’Italiana in Algeri” in scena dal 12 agosto

gbopera - Dom, 10/08/2025 - 11:32

La seconda nuova produzione del Rossini Opera Festival 2025 sarà L’Italiana in Algeri,  proposta in una versione pirotecnica e coloratissima ideata da Rosetta Cucchi, che andrà in scena a partire dal 12 agosto alle 20 al Teatro Rossini. Nella visione della regista pesarese, l’opera buffa per eccellenza di Rossini è vissuta come spazio di travestimento, ribaltamento dei ruoli e libertà dai codici imposti.
Dmitry Korchak dirigerà l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna e il Coro del Teatro Ventidio Basso. Rosetta Cucchi si avvarrà della collaborazione del suo abituale team creativo: scene di Tiziano Santi, costumi di Claudia Pernigotti, video design di Nicolás Boni e luci di Daniele Naldi. Nel cast, Daniela Barcellona come Isabella, Josh Lovell come Lindoro, Giorgi Manoshvili come Mustafà, e poi Misha Kiria (Taddeo), Gurgen Baveyan (Haly), Vittoriana De Amicis (Elvira) e Andrea Niño (Zulma).
Repliche il 14, 18 e 21 agosto.
La prima rappresentazione dell’opera sarà trasmessa in diretta da Rai Radio3.

Categorie: Musica corale

Le Cantate di Johann Sebastian Bach: Ottava Domenica dopo la Trinità

gbopera - Dom, 10/08/2025 - 00:45

Es ist dir gesagt, Mensch, was gut ist BWV 45 è la terza, e ultima delle Cantate bachiane dedicate all’Ottava Domenica dopo la Trinità eseguita la prima volta a Lipsia l’11 agosto 1726. La partitura parte da una citazione tratta dal profeta Michea (Cap. 6 – Vers.8): “Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio”. In realtà la seconda parte di questo testo nella versione tedesca suonerebbe in un altro modo: “Mantenere la parola di Dio e praticare l’amore e stare umilmente dinanzi a Dio”. Ancora una volta la traduzione in musica del testo sacro è un monumento musicale di altissimo valore. La struttura ABC è analoga a quella che apriva la precedente Cantata per questa festività, la BWV 187 anche se qui la struttura è molto più complessa e ampia: all’introduzione musicale di 37 battute segue un blocco mottettistico preparatorio in cui per 3 volte viene ripetuta la frase “Es ist dir gesagt”. L’episodio cede poi il passo a una fuga sul primo emistichio. Dopo un breve interludio prende avvio il secondo il secondo emistichio di carattere più liberamente mottettistico in stile imitativo; un ritornello conduce alla terza frase in cui l’intero testo viene ripreso. Da notare che le 3 sezioni sono tutte improntate alla struttura del ritornello, ne consegue la salvaguardia del principio di unità in base ad un discorso di natura concertante sulla quale si innesta e sviluppa la complessa costruzione mottettistica. Altra pagina di spicco è l’arioso del basso (Nr.4). Una pagina quadripartita nutrita da un sostanzioso apporto degli archi su un testo tratto dal Vangelo di Matteo (cap.7 vers.22-23):”In quel giorno molti mi diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato nel tuo nome? E nel tuo nome non abbiamo forse scacciato demòni? E nel tuo nome non abbiamo forse compiuto molti prodigi?”. Ma allora io dichiarerò loro: “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità!”. Delle altre 2 arie, la prima (Nr.2), bipartita, è affidata al tenore e ha movenze di danza, mentre la seconda (Nr.5) affianca al contralto solista un flauto traverso.
Nr.1 – Coro
Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono
e ciò che richiede il Signore da te: onorare la Parola di Dio,
praticare l’amore ed essere umile davanti al tuo Dio.
Nr.2 – Recitativo (Tenore)
L’Altissimo mi insegna il suo volere
e ciò che a lui è gradito;
mi ha donato la sua Parola come un cammino
che il mio piede deve seguire diligentemente
in ogni momento
con timore, con umiltà e con amore,
come prova di obbedienza da praticare, per essere
un giorno riconosciuto suo fedele servitore.
Nr.3 – Aria (Tenore)
Conosco i comandamenti di Dio,
ciò potrà aiutarmi
quando domanderà conto
dell’operato del suo servo.
Anima, pensa alla tua salvezza,
all’obbedienza seguirà la ricompensa,
mentre tormenti e disprezzo
puniranno le tue trasgressioni!
Nr.4 – Arioso (Basso)
Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore,
non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni
nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome?
Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti;
allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
Nr.5 – Aria (Contralto)
Chi riconosce Dio
dal più profondo del suo cuore
sarà anche riconosciuto.
Brucerà invece nelle fiamme eterne
colui che solo a parole
lo chiama Signore.
Nr.6 – Recitativo (Contralto)
Allora il cuore e la bocca saranno i miei giudici
e Dio mi ricompenserà secondo i miei propositi:
se la mia condotta non è conforme alle sue parole
chi guarirà infine le ferite della mia anima?
Perché creo io stesso le difficoltà?
La volontà del Signore si deve realizzare,
ma sono certo del suo aiuto,
affinché attraverso me la sua opera sia compiuta.
Nr.7 – Corale
Che io possa eseguire con zelo
ciò che è stabilito per me,
ciò che il tuo comandamento
mi consente di fare nella mia situazione!
Che io possa farlo subito,
al momento opportuno;
e quando lo farò,
accordami il successo!
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Es ist dir gesagt, Mensch, was gut ist” BWV45

 

 

Categorie: Musica corale

Macerata, Mof 2025: “Rigoletto”

gbopera - Sab, 09/08/2025 - 23:59

Macerata, MOF 2025
“RIGOLETTO”
Dramma per musica in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave
Musica di Giuseppe Verdi
Rigoletto DAMIANO SALERNO
Gilda RUTH INIESTA
Il Duca di Mantova IVAN MAGRI’
Sparafucile LUCA PARK
Maddalena CARLOTTA VICHI
Giovanna ALEKSANDRA METELEVA
Il Conte di Monterone ALBERTO COMES
Marullo GIACOMO MEDICI
Matteo Borsa FRANCESCO PITTARI
Il Conte di Ceprano TONG LIU
La Contessa di Ceprano ALEKSANDRA METELEVA
Il Paggio della Duchessa LAURA ESPOSITO
FORM – Orchestra Filarmonica Marchigiana
Direttore Jordi Bernacer
Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini”
Complesso di palcoscenico Banda Salvadei
Maestro del coro Christian Starinieri
Regia Federico Grazzini
Scene Andrea Belli
Costumi Valeria Donata Bettella
Luci Alessandro Verazzi
Produzione dell’Associazione Arena Sferisterio per il Macerata Opera Festival 2015
Macerata, 09 agosto 2025
Nel silenzio minerale dello Sferisterio, Rigoletto si apre come un incubo deformato, immerso in un luna park in rovina che diventa metafora visiva della mente del protagonista. La regia di Federico Grazzini per il Macerata Opera Festival non si limita a narrare una tragedia, ma la trasfigura in paesaggio psichico: tutto è già collassato, privo di salvezza, e la vicenda si consuma in uno spazio che è insieme esterno e interiore. Al centro campeggia una maschera grottesca, cuore scenico ideato da Andrea Belli, che non celebra il carnevale ma ne mostra la decomposizione. Da quella bocca spalancata i personaggi vengono inghiottiti o espulsi, come residui di un mondo marcio. Rigoletto è prigioniero di un sistema che lo respinge: gira in tondo, come un animale chiuso nella propria ossessione. Ogni tentativo di salvezza si rovescia in distruzione. Il luna park fatiscente è più di un fondale: è lo specchio del disfacimento morale e affettivo. I personaggi emergono e si dissolvono; il Duca è puro feticcio narcisistico, Gilda un’emanazione luminosa che si consuma troppo in fretta. Il coro pulsa come un organismo molteplice, massa oscura e giudicante. Grazzini dirige con rigore: nessun gesto superfluo, nessun orpello. La scena è ridotta all’essenziale, e proprio per questo risulta claustrofobica e inevitabile. Le luci di Alessandro Verazzi scolpiscono lo spazio con precisione chirurgica: non proteggono, ma smascherano. I costumi di Valeria Donata Bettella, sobri e simbolici, trasformano ogni figura in segno, incarnazione visiva di un destino. La tragedia si chiude nel cerchio del non ritorno. Questo Rigoletto non si guarda da fuori: lo si attraversa. E quando si esce, addosso non si ha solo il suono di Verdi, ma il peso intero di un uomo che urla nel vuoto della propria rovina. Già presentato nel 2015, lo spettacolo oggi perde parte del suo clamore iniziale, come se il tempo ne avesse limato gli spigoli più disturbanti, restituendone una lettura più profonda e stratificata. Ciò che allora appariva eccesso, ora suona come linguaggio necessario: la rovina estetica si fa linguaggio della rovina morale. In questa rilettura disincantata, la regia guadagna in densità ciò che ha perduto in sorpresa. Jordi Bernàcer articola una direzione solida e ben strutturata alla guida della FORM – Orchestra Filarmonica Marchigiana, che si distingue per compattezza timbrica e rigore esecutivo. L’approccio interpretativo rivela consapevolezza della sintassi verdiana, con scelte metronomiche serrate ma proporzionate, dinamiche cesellate e un controllo scrupoloso dell’equilibrio fonico tra buca e palcoscenico. Nei grandi numeri d’assieme, l’orchestra mostra coesione ritmica, precisione negli attacchi e buona tenuta drammaturgica. Nei passaggi più lirici, Bernàcer predilige un tracciato direttoriale analitico, volto a esaltare la chiarezza costruttiva più che la libertà espressiva. Il risultato è una concertazione salda, ben calibrata e rispettosa della partitura, che solo a tratti si accende di quella cantabilità fluente e mobile che costituisce uno degli assi portanti dell’estetica verdiana. Le voci principali, tutte ben proiettate e funzionali alla spazialità dello Sferisterio, privilegiano l’efficacia scenica alla rifinitura del fraseggio e alla profondità interpretativa. Damiano Salerno offre un Rigoletto vocalmente solido, sorretto da un centro timbrico compatto, acuti ben sostenuti e fraseggio curato. L’emissione è sicura, l’interpretazione coerente nella sua cupezza, sebbene manchi una vera escursione espressiva tra cinismo e disperazione. Il personaggio resta sempre controllato, più ossessivo che emotivo. Ruth Iniesta è una Gilda di eccellente tenuta tecnica e raffinata musicalità. Il timbro, luminoso e ben proiettato, si accompagna a una coloratura scolpita e ad acuti ampi e brillanti. Il mi bemolle di tradizione è centrato con slancio. Scenicamente incisiva, disegna una figura viva, fragile ma mai leziosa. Ivan Magrì, scenicamente efficace, canta un Duca di buon impatto timbrico e fraseggio vario. Qualche rigidità negli acuti estremi non compromette una prova convincente, culminata in una “Donna è mobile” ben sfumata. Tra i comprimari, Luca Park è uno Sparafucile sonoro e ben emesso; Carlotta Vichi una Maddalena scenicamente centrata, dal timbro caldo e rotondo. Solide anche le parti di fianco: Comes, Medici, Pittari, Meteleva ed Esposito completano un ensemble vocalmente compatto e stilisticamente pertinente. Il Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini”, guidato con precisione da Christian Starinieri, contribuisce con rigore e densità sonora all’equilibrio drammaturgico dell’opera. La compattezza del suono, la chiarezza della dizione e il controllo dinamico ne fanno un elemento organico della messa in scena, in piena sintonia con la regia e l’orchestrazione scenica. Non è solo massa vocale, ma coscienza collettiva, riflesso anonimo e spietato del mondo che condanna. Gli applausi finali hanno sigillato una rappresentazione che si distingue per rigore visivo, coerenza musicale e tensione morale. Più che raccontare una storia, questo Rigoletto ha messo in scena un mondo svuotato, dove l’illusione della protezione implode in un sistema di colpe incrociate. La regia di Grazzini non concede vie d’uscita, ma imprime allo spettacolo un respiro tragico compatto e privo di retorica. «L’uomo è la creatura che non può volere il nulla, ma non può nemmeno volere se stesso senza dolore», scriveva Georges Bataille. In questa messinscena tutto sembra ruotare attorno a questa impossibilità: proteggere, redimere, amare, salvare. Ogni gesto finisce per tradirsi. Ogni parola – persino l’ultima – risuona nel vuoto. È in questo vuoto che, infine, si compie la tragedia. Photocredit Simoncini MOF 2025

Categorie: Musica corale

ROF 2025: Torna “La cambiale di matrimonio”. La affiancano le “Soirées musicales”

gbopera - Sab, 09/08/2025 - 19:24

La seconda produzione lirica in programma al Rossini Opera Festival 2025 sarà La cambiale di matrimonio, già messa in scena al ROF nel 2020 nell’estate della pandemia e di nuovo a Pesaro dopo la mini tournée in Oman del novembre 2022. La farsa, preceduta dall’esecuzione delle Soirées musicales, andrà in scena a partire dall’11 agosto alle 20 al Teatro Rossini nella nuova edizione critica di Eleonora Di Cintio.
Christopher Franklin guiderà la Filarmonica Gioachino Rossini nello spettacolo creato da Laurence Dale con le scene e i costumi di Gary McCann e le luci di Ralph Kopp. Nella compagnia di canto figurano Paola Leoci (Fannì), Pietro Spagnoli (Tobia Mill), Jack Swanson (Edoardo Milfort), Mattia Olivieri (Slook), Ramiro Maturana (Norton) e Inés Lorans (Clarina).
Del cast delle Soirées musicales, eseguite nella versione orchestrata da Fabio Maestri per il ROF 2019, faranno parte Vittoriana De Amicis, Andrea Niño, Paolo Nevi e Gurgen Baveyan. Repliche il 15, 17 e 20 agosto.
La prima rappresentazione sarà trasmessa in diretta da Rai Radio3.

Categorie: Musica corale

Verona, Teatro Ristori: a Ferragosto immersi nell’arte dell’opera multisensoriale “Un bacio senza tempo”

gbopera - Sab, 09/08/2025 - 19:23

Ferragosto a teatro, immersi in un viaggio tra le arti animato dall’intelligenza artificiale.  Il Teatro Ristori apre le porte anche il 15 agosto, offrendo ai cittadini un’alternativa culturale e accessibile per trascorrere Ferragosto in città. Per l’occasione, l’ingresso all’opera immersiva Un bacio senza tempo sarà gratuito per tutti i residenti di Verona e provincia, previa esibizione di un documento d’identità.
Lo spettacolo, adatto anche ai bambini e pensato per un pubblico di ogni età, propone un’esperienza multisensoriale della durata di circa 40 minuti, con proiezioni dalle 10:00 alle 20:00, a ogni ora (inizio ultimo spettacolo ore 19). L’iniziativa si inserisce nell’ambito della programmazione estiva già in corso, che proseguirà fino al 21 settembre.
Un bacio senza tempo è un poema visivo, che mette al centro della narrazione l’amore universale ed eterno, attraverso la fusione emotiva e simbolica de Il bacio di Klimt con il mito di Romeo e Giulietta di Shakespeare, sullo sfondo di una Verona liberamente reimmaginata grazie all’intelligenza artificiale.
Qui, per maggiori informazioni o chiamando la biglietteria del Teatro Ristori al numero 045.6930001.

Categorie: Musica corale

Gualdo Tadino (Perugia), Chiesa monumentale di San Francesco: “Giganti”

gbopera - Sab, 09/08/2025 - 18:00

Gualdo Tadino (Perugia), Chiesa monumentale di San Francesco
GIGANTI: DIPINTI E DISEGNI DI GRANDE FORMATO DALLA COLELZIONE DELLA FONDAZIONE THE BANK ETS
a cura di  Cesare Biasini Selvaggi e il collezionista Antonio Menon
Gualdo Tadino, 09 agosto 2025
In un panorama espositivo dominato da mode passeggere e da allestimenti che spesso sacrificano il rigore in favore dell’effetto, Giganti: Dipinti e disegni di grande formato dalla Collezione della Fondazione THE BANK ETS si distingue per una chiarezza di intenti che merita di essere sottolineata. Dal 9 agosto al 16 novembre 2025, la Chiesa monumentale di San Francesco a Gualdo Tadino diventa il luogo in cui la pittura figurativa, con il suo peso storico e la sua capacità di interrogare il presente, torna al centro di un discorso critico serio, concreto e – per una volta – privo di ammiccamenti. Non è un caso che il titolo scelto, Giganti, alluda non solo alla scala delle opere, ma alla statura di un progetto che chiede allo spettatore di rallentare. In tempi in cui l’arte viene consumata come immagine istantanea, questa mostra compie un gesto controcorrente: costringe a misurarsi con tele che non possono essere ridotte a un passaggio rapido di sguardo. Il grande formato diventa così una soglia, un invito a entrare in uno spazio di osservazione dilatata, quasi inattuale, e proprio per questo necessaria. La selezione, curata da Cesare Biasini Selvaggi, è rigorosa. Dieci artisti – da Nicola Verlato a Fulvio Di Piazza, da Emanuele Giuffrida a Ruth Beraha – non sono qui per comporre un catalogo eterogeneo, ma per restituire alla pittura una coralità fondata sulla differenza. Il percorso non indulge in effetti spettacolari: preferisce una disposizione che valorizza la forza intrinseca delle opere, lasciando che siano le loro tensioni interne a guidare la lettura. Nicola Verlato apre con un linguaggio in cui la solidità del disegno e la prospettiva rinascimentale non diventano pretesto antiquario, ma strumenti di indagine sul presente. Le sue composizioni, sorrette da un impianto rigoroso, trattano la pittura come costruzione logica, senza mai smarrire il gusto del racconto. L’effetto è quello di una classicità rovesciata, che usa le armi del passato per parlare una lingua contemporanea. Accanto a lui, Fulvio Di Piazza propone un universo pittorico diametralmente opposto: paesaggi visionari, intrisi di un senso organico e quasi barocco della forma, dove le figure sembrano nascere spontaneamente dalla materia del colore. La sua monumentalità non è decorativa, ma vitale: avvolge e trascina, imponendo allo spettatore una percezione immersiva, quasi fisica. Di segno radicalmente diverso è la pittura di Emanuele Giuffrida, che riduce ogni elemento all’essenziale. Ambienti spogli, corridoi illuminati da una luce crudele, figure isolate: tutto è calibrato per sospendere il tempo e generare un senso di attesa che si dilata davanti alla superficie. Qui il grande formato amplifica il vuoto, facendone non assenza ma sostanza. La stessa tensione analitica percorre le opere di Ariel Cabrera Montejo, che smonta e rilegge l’iconografia patriottica cubana. La sua pittura non è mai illustrativa: lavora per stratificazioni, trasformando la storia in un campo di forze contraddittorie, in cui memoria e ironia si confrontano senza mai annullarsi. Ruth Beraha, con le sue moltitudini di volti, riflette sulla perdita d’identità, restituendo immagini che oscillano tra serialità e inquietudine. Al contrario, Chiara Calore esplora le metamorfosi del corpo: figure ibride, sospese tra umano e animale, che sfidano ogni definizione stabile e aprono la pittura a una dimensione quasi mitologica. Il percorso prosegue con i frottage di Andrea Mastrovito, che trasformano un gesto elementare – il contatto fisico con la superficie – in un’operazione concettuale sulla memoria economica e politica del nostro tempo. Pete Wheeler rompe ogni linearità con una pittura che alterna registri figurativi e astrazioni improvvise, mentre Santiago Ydáñez concentra tutto sulla brutalità espressiva del volto, deformato fino a diventare simbolo di una condizione universale. Chiude Federico Guida, le cui figure, sospese in una luce irreale, restituiscono alla pittura un’intensità che sfiora il sacro senza mai scivolare nella retorica. La forza di Giganti risiede proprio in questa orchestrazione: un allestimento che non si impone, ma lascia respirare le opere, permettendo ai contrasti di emergere senza forzature. È una lezione di metodo: mostrare senza ingombrare, articolare senza frammentare, dare spazio alla pittura perché ritrovi il suo peso specifico. Tutto questo è reso possibile dal patrimonio della Fondazione THE BANK ETS – Istituto per gli Studi sulla Pittura Contemporanea, creata da Antonio Menon nel 2023. Con oltre 1.200 opere, la Fondazione non è una semplice raccolta, ma un archivio critico, una piattaforma in cui la pittura è trattata come oggetto di studio e di confronto, non come reliquia da contemplare. In questo senso, Giganti è una mostra esemplare perché non cerca l’applauso immediato. Non ricorre a dispositivi spettacolari per mascherare un vuoto di idee: al contrario, chiede al pubblico uno sforzo di attenzione e, proprio per questo, restituisce qualcosa che altre esposizioni sembrano avere dimenticato. Qui non si viene per intrattenersi: si viene per guardare davvero. Ed è in questo invito alla lentezza – severo, ma mai pedante – che la mostra trova la sua qualità più rara. Giganti non predica, non indulge in dichiarazioni teoriche ridondanti: semplicemente, costringe le opere a parlare con la loro voce, e al pubblico non resta che ascoltarle. In un’epoca che sembra avere smarrito il senso del vedere, non è poco.

Categorie: Musica corale

Macerata, MOF 2025: “La vedova allegra”

gbopera - Ven, 08/08/2025 - 23:59

Macerata, MOF 2025
“LA VEDOVA ALLEGRA”
Operetta in tre atti su libretto di Victor Léon e Leo Stein, dalla commedia “L’Attaché d’ambassade” di Henri Meilhac
Musica di Franz Lehár
Il barone Mirko Zeta ALBERTO PETRICCA
Valencienne CRISTIN ARSENOVA
Danilo Danilowitsch  ALESSANDRO SCOTTO DI LUZIO
Hanna Glawari MIHAELA MARCU
Camille de Rossillon VALERIO BORGIONI
Cascada CRISTIANO OLIVIERI
Raul de Saint Brioche FRANCESCO PITTARI
Bogdanowitsch GIACOMO MEDICI
Sylviane LAURA ESPOSITO
Kromow STEFANO CONSOLINI
Olga FEDERICA SARDELLA
Pritschitsch DAVIDE PELISSERO
Praskowia ELENA SERRA
Njegus MARCO SIMEOLI
FORM-Orchestra Filarmonica Marchigiana
Direttore Marco Alibrando
Maestro del Coro Christian Starinieri
Regia Arnaud Bernard
Scene Riccardo Massironi
Allestimento dell’Associazione Arena Sferisterio
Macerata, 08 agosto 2025
Portare Die lustige Witwe allo Sferisterio significa compiere un atto teatrale tanto seducente quanto complesso: l’operetta di Franz Lehár, con la sua struttura ibrida e la scrittura orchestrale sofisticata, si inserisce per la prima volta nella cornice monumentale dell’arena maceratese con un impatto che è insieme visivo, acustico e drammaturgico. L’allestimento firmato da Arnaud Bernard si dimostra perfettamente calibrato a un contesto come quello dello Sferisterio, dove la monumentalità non può mai essere mera scenografia, ma deve diventare paesaggio teatrale. Il regista francese sceglie di non spingere sul pedale del kitsch o della comicità slapstick, ma costruisce una narrazione per quadri plastici, ciascuno definito da un impianto cromatico e registico preciso: il primo atto, immerso in un’atmosfera bordeaux e crepuscolare, si svolge in un’ambasciata carica di riti mondani e formalismi asburgici; il secondo, traslato in una spiaggia bianca quasi atemporale, evoca una villeggiatura rarefatta, tra parasoli e costumi rétro; il terzo esplode in un trionfo di colori e movimento all’interno del giardino della Glawari, trasformato in un cabaret liberty dalle movenze lautreciane. La regia è di un’eleganza cartesiana, geometrica, mai didascalica: Bernard evita il bozzetto folklorico e la tentazione del pastiche, optando per una grammatica teatrale costruita su prospettive frontali, ritmi visivi e una figurazione bidimensionale ottenuta grazie alle sagome stilizzate che costellano la scena. Le scene di Riccardo Massironi sono concepite come ambienti pittorici mobili, in cui l’azione scorre su più piani, mentre i costumi di Maria Carla Ricotti si muovono entro un preciso spettro storico, con tagli ispirati alla moda parigina di primo Novecento e un uso intelligente delle gamme tonali per delineare rapporti di classe, potere e seduzione. L’apparato coreografico curato da Gianni Santucci riesce a connettere il movimento di masse con una sintassi musicale sempre leggibile, evitando ogni congestione visiva o ridondanza narrativa. Sul piano musicale, la direzione di Marco Alibrando privilegia un approccio filologico ed equilibrato, attento tanto alla verticalità armonica quanto alla fluidità fraseologica. La concertazione appare coerente fin dalle prime battute, con un trattamento cameristico delle introduzioni orchestrali e una gestione delle agogiche che evita ogni caricatura ritmica. Il valzer non è mai un semplice ornamento o un cliché ritmico, ma si dispiega con morbidezza, sostenuto da un tempo giusto che valorizza il canto ma non sacrifica la tensione interna della frase musicale. Il gesto direttoriale, sempre sorvegliato, trova una notevole efficacia nei passaggi orchestrali d’assieme e nei concertati, dove il lavoro di bilanciamento tra buca e palcoscenico – impresa tutt’altro che banale nello spazio aperto dello Sferisterio – viene risolto con misura e senso acustico. La FORM – Orchestra Filarmonica Marchigiana risponde con compattezza e precisione, anche se con qualche riserva sul versante della flessibilità timbrica: gli archi, pur precisi negli attacchi e omogenei nell’emissione, tendono talvolta a una pastosità eccessiva, che smorza il contrasto tra le sezioni e penalizza le trasparenze. I legni, al contrario, risultano tra i protagonisti musicali della serata: il clarinetto solista nella Vilja cesella una linea di canto timbricamente ricca e fraseggiata con gusto, mentre flauti e oboi contribuiscono a definire il colore di insieme con interventi puntuali e ben articolati. Gli ottoni, specialmente corni e tromboni, appaiono accurati nell’intonazione e incisivi nei momenti solenni, pur mantenendo la necessaria leggerezza stilistica che l’operetta impone. Notevole anche l’equilibrio dinamico tra le sezioni: la concertazione riesce a evitare l’effetto “esplosivo” spesso presente nelle esecuzioni all’aperto, grazie a un controllo efficace della gamma sonora e a una calibratura attenta degli sfumati, in particolare nei finali d’atto. Il cast vocale si rivela ben selezionato, con punte di eccellenza nella protagonista Mihaela Marcu, interprete di una Hanna Glawari vocalmente solida e stilisticamente centrata. Il soprano rumeno possiede una linea di canto fluida, un’emissione regolare su tutta la gamma e una dizione italiana chiara e musicale. La Vilja, affrontata con morbidezza di legato e controllo delle mezzevoci, si rivela uno dei momenti più alti della serata per concentrazione interpretativa e qualità vocale. La zona acuta è ben proiettata e squillante, mai forzata, mentre il registro medio presenta qualche opacità che tuttavia non compromette la coerenza del personaggio, costruito con eleganza e misura. Al suo fianco, Alessandro Scotto di Luzio offre un Danilo vocalmente generoso, dal timbro pieno e rotondo, ma ancora un po’ generico sul piano della caratterizzazione scenica. Il fraseggio è sempre curato, l’emissione sicura, ma la componente ironica del personaggio – la sua ambigua virilità, il suo disincanto affettivo – rimane in parte inespressa, appiattita in una linea interpretativa più lirica che brillante. Tra i comprimari, spicca la Valencienne di Kristin Arsenova, vocalmente brillante e incisiva. Valerio Borgioni, nei panni di Camille, canta con elegante controllo e timbro luminoso. Marco Simeoli, Njegus, si muove agilmente tra battuta e intercalare, senza eccedere nei toni farseschi, mentre Alberto Petricca dà al barone Zeta una vocalità salda e tempi comici ben dosati. Funzionale il resto del cast. Il Coro Lirico Marchigiano “Vincenzo Bellini”, preparato da Christian Starinieri, mostra grande compattezza di insieme e intelligenza scenica, riuscendo a integrarsi con naturalezza nell’azione senza sacrificare precisione ritmica e chiarezza fonetica. Il terzo atto, tra can‑can e fuochi d’artificio, sancisce l’apoteosi scenica della serata: la regia si apre al gioco, la musica si fa corpo, e lo Sferisterio diventa festa. Una Vedova allegra che trasforma la leggerezza in stile, tra valzer e malinconia. Photocredit Simoncini

Categorie: Musica corale

Pioraco, Museo della Carta e della Filigrana: “Carlo Gasperoni: Molecole Mondo Spazio”

gbopera - Ven, 08/08/2025 - 18:00

Pioraco, Museo della Carta e della Filigrana
MOLECOLE MONDO SPAZIO
Curata da Camilla Boemio
Pioraco, 08 agosto 2025
Non è semplice trovare il punto d’incontro tra la bellezza minuziosa della carta filigranata, custodita da secoli nelle stanze silenziose del Museo di Pioraco, e il linguaggio visivo vibrante, dinamico, quasi psicoattivo di Carlo Gasperoni. Eppure, nella mostra Molecole Mondo Spazio  nel suggestivo Polo Museale del borgo marchigiano, questo dialogo non solo avviene: si compie con equilibrio e senso della misura, come se fosse l’evoluzione naturale di un lungo processo di sedimentazione. Curata da Camilla Boemio, la personale si inserisce in un luogo che, per vocazione, parla di materia e di luce: la carta, nelle sue declinazioni più fini, è un supporto che trattiene la storia e ne lascia filtrare i segni. Gasperoni, con il suo universo pittorico fatto di campiture liquide, trame tessili e retroilluminazioni calibrate, non fa altro che proseguire questo discorso, trasformando la superficie in una membrana sensibile, attraversata da stimoli biologici, molecolari, cosmologici. Fin dalle prime opere esposte, si percepisce con chiarezza che la mostra non ha nulla di decorativo o autoreferenziale. Ogni tela, ogni elemento retroilluminato, ogni frammento di tessuto è parte di una composizione che sembra rispondere a leggi proprie, come se le immagini fossero nate da processi naturali più che da scelte artistiche. E tuttavia, dietro questa apparente spontaneità, si nasconde un controllo rigoroso del ritmo, del peso visivo, della tensione cromatica. Non c’è un percorso imposto: si entra nello spazio come in un ecosistema già attivo, dove ogni opera genera reazioni, si rifrange sulle pareti, assorbe e restituisce luce. Le grandi tele si impongono per intensità e presenza, ma non sovrastano mai l’ambiente; le opere più intime, invece, si fanno quasi sussurro, invitando lo spettatore a un’osservazione lenta, concentrata. Gasperoni ha scelto di lavorare con tecniche miste, combinando pittura acrilica, interventi digitali, tessuti trattati. Le superfici risultano così complesse, stratificate, spesso scolpite dalla luce stessa. In alcune composizioni la retroilluminazione crea l’effetto di un respiro interno, come se l’opera fosse viva, in attesa. In altre, la materia pittorica si fa densa, geologica, evocando paesaggi primordiali, masse in espansione, strutture molecolari sul punto di trasformarsi. Ma al di là dell’apparato tecnico, è la qualità dello sguardo a guidare la mostra. Gasperoni non descrive, non narra, non afferma. Piuttosto, interroga. Le sue immagini sembrano porre domande aperte: cos’è un paesaggio se lo si osserva da dentro una cellula? Come cambia la percezione del mondo se la si attraversa con lo sguardo della materia? In che modo l’arte può restituire visibilità a ciò che resta normalmente invisibile? La curatela di Boemio lavora in sintonia con questa postura interrogativa. Niente didascalie ridondanti, niente dispositivi interpretativi invasivi. L’allestimento lascia che siano le opere a dettare i tempi del dialogo. L’unico filo conduttore è quello di una coerenza formale che, di sala in sala, si declina in modalità differenti, senza mai perdere compattezza. Tra i lavori più riusciti, spiccano quelli realizzati in tessuto trattato, piegato, inciso dalla luce. Sono opere che sfidano la bidimensionalità della pittura, pur rimanendo quadri. Non si aprono al tridimensionale per effetto installativo, ma per condensazione di senso. La luce, qui, non è un semplice effetto: è parte della grammatica dell’opera, ne modella la percezione, ne determina la soglia emotiva. Ed è proprio su questa soglia che si gioca il rapporto con lo spettatore. Nessuna provocazione, nessun distacco ironico o citazionismo sterile: Gasperoni invita piuttosto a una attenzione attiva, a un ascolto visivo che somiglia alla meditazione. Le sue composizioni parlano di fenomeni naturali, di dinamiche celesti, ma anche di ricordi sensoriali, di sedimentazioni interiori. I colori saturi, i verdi umidi, gli aranci tropicali, i viola profondi evocano paesaggi lontani, forse brasiliani, forse solo immaginati, comunque sempre filtrati da una distanza poetica che li rende universali. Non è un caso che le opere ricordino, per affinità morfologica, strutture vegetali, formazioni geologiche, schemi molecolari. Ma non c’è mai imitazione della natura: c’è invece trasfigurazione. L’artista non rappresenta, ma costruisce ambienti visivi in cui la natura viene assorbita, reinterpretata, proiettata in una dimensione mentale. Tutto rimane sospeso, come in un limbo biologico dove la forma è sempre sul punto di nascere, o di dissolversi. Con Molecole Mondo Spazio, Carlo Gasperoni conferma la maturità di un linguaggio che si muove con consapevolezza tra le arti visive e la ricerca scientifica, tra estetica e osservazione fenomenologica. Il luogo della mostra – così profondamente radicato nella storia della materia – rende ancora più evidente questa tensione. L’arte, qui, non è ornamento ma strumento di conoscenza. In un tempo che spesso confonde il concetto di “contemporaneo” con quello di “effimero”, Gasperoni propone invece un tempo lento, fatto di stratificazioni, di continuità percettive, di esplorazioni interiori. Ed è forse questa la qualità più preziosa della sua ricerca: la capacità di costruire visioni che non inseguono l’attualità, ma la superano, per restituirci uno spazio mentale in cui pensare, vedere, e – semplicemente – sostare. Photocredit Alice Man

Categorie: Musica corale

Pesaro, Rossini Opera Festival 2025: inaugurazione il 10 agosto con “Zelmira”

gbopera - Gio, 07/08/2025 - 19:25

Sarà la nuova produzione di Zelmira (titolo che mancava al ROF dal lontano 2009), ad inaugurare la 46° edizione del Rossini Opera Festival il prossimo 10 agosto alle 19 all’Auditorium Scavolini.
Lo spettacolo, che offrirà a ciascuno degli spettatori un punto di vista inedito a 360 gradi grazie ad una rivoluzionaria gestione dello spazio teatrale, sarà diretto da Giacomo Sagripanti e messo in scena da Calixto Bieito (al debutto a Pesaro), che ha curato le scene con Barbora Horáková. I costumi sono di Ingo Krügler e le luci di Michael Bauer. Giacomo Sagripanti dirigerà l’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, che torna al ROF dopo esserne stata compagine di riferimento per un trentennio, e il Coro del Teatro Ventidio Basso. Nel cast, Anastasia Bartoli nel ruolo del titolo, Lawrence Brownlee (Ilo), Enea Scala (Antenore), Marina Viotti (Emma), Marko Mimica (Polidoro), Gianluca Margheri (Leucippo), Paolo Nevi (Eacide) e Shi Zong (Gran Sacerdote). Le tre repliche si terranno il 13, 16 e 19 agosto.
La prima rappresentazione dell’opera sarà trasmessa in diretta da Rai Radio3. Chi ascolterà la diretta radio da casa potrà seguire in tempo reale i sottotitoli sul proprio smartphone scaricando l’applicazione gratuita Lyri live.
Zelmira fu messa in scena per la prima volta al Teatro San Carlo di Napoli il 16 febbraio 1822 con un cast formidabile, capeggiato dalla futura moglie del compositore Isabella Colbran: un cast che lo seguì anche a Vienna per la tournée che nello stesso anno lo consacrò come il musicista più importante d’Europa. In seguito Zelmira fu messa in scena con alcuni adattamenti anche a Londra (1824) e a Parigi (1826). Il libretto di Andrea Leone Tottola fu ispirato al dramma Zelmire di Dormont de Belloy (1762). L’edizione eseguita al Festival di quest’anno è quella di Vienna, 1822. Qui per tutte le informazioni.

Categorie: Musica corale

Pompei, Parco Archeologico: ” La rioccupazione nell’Insula meridionalis di Pompei dopo il 79 d.C.”

gbopera - Gio, 07/08/2025 - 18:26

Pompei, Parco Archeologico
Pompei dopo l’apocalisse: la favela nella cenere

Note archeologiche sull’Insula Meridionalis e il ritorno dell’informe urbano
Che cosa accade a una città dopo la sua morte? Se la distruzione è improvvisa e totalizzante, come nel caso dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., si potrebbe pensare a una cesura netta, a una fine senza ritorno. Eppure, l’archeologia – quando non piegata a un’ideologia del pittoresco e del conservato – ci insegna che la città, anche nel suo disfarsi, può conoscere una seconda vita, fatta non di monumentalità e ordine, ma di precarietà e sopravvivenza. È il caso della cosiddetta rioccupazione di Pompei, un fenomeno a lungo ignorato o, peggio, deliberatamente cancellato dal racconto archeologico dominante. A riaprire la questione, con risonanze che travalicano la cronaca dello scavo, è l’intervento in corso nell’Insula meridionalis, ovvero quel quadrante meridionale dell’urbe antica compreso tra la Villa Imperiale e il Quadriportico dei Teatri. Questo settore, risparmiato solo marginalmente dal cosiddetto Grande Progetto Pompei (2012–2023), è ora oggetto di un importante progetto di messa in sicurezza, restauro e consolidamento strutturale, accompagnato da indagini stratigrafiche puntuali. Proprio queste indagini – compiute con metodo stratigrafico rigoroso – hanno consentito di intercettare testimonianze di riuso e riabitazione successive alla catastrofe, smentendo definitivamente l’idea che Pompei fosse rimasta immobile e silente dopo l’eruzione. Anzi, la città, o ciò che ne rimaneva, si rianimò come corpo ferito, popolato da presenze nuove, ibride, sopravvissute o migranti. Si tratta di un’informazione archeologica tanto preziosa quanto scomoda. Perché non parla più di decorazioni affrescate miracolosamente intatte o di suppellettili abbandonati nel momento esatto della tragedia, ma racconta di una Pompei altra, disfatta, riorganizzata con logiche periferiche, simile piuttosto a una baraccopoli che a una colonia latina. Il direttore del sito archeologico, Gabriel Zuchtriegel, ha evocato un’espressione potente e quanto mai opportuna: favela tra le rovine. Nel quadro delle nuove scoperte, appare chiaro come la fase post-eruttiva non possa più essere considerata una mera appendice alla storia ufficiale di Pompei. Gli strati superiori della cenere, infatti, custodiscono non solo materiali di crollo e detrito, ma anche tracce puntuali di insediamenti: focolari, forni, macine, segni inequivocabili di una ripresa, per quanto sommaria, della vita quotidiana. Abitazioni che erano al piano terra ora diventano seminterrati; i piani alti, riaffioranti dal manto piroclastico, si trasformano in rifugi. Non si trattò, con ogni probabilità, di una semplice occupazione disorganizzata da parte dei superstiti – anche se è lecito pensare che tra questi vi fossero pompeiani che non avevano i mezzi per ricominciare altrove. Piuttosto, si assiste a un fenomeno complesso di riappropriazione dello spazio urbano da parte di popolazioni residuali e mobili, forse migranti provenienti da altri centri campani. Lo scopo? Sopravvivere, e al tempo stesso scavare nel ventre della città morta per cercare oggetti di valore, metalli, materiali riutilizzabili. Ma anche, per chi credeva ancora nel genius loci, una speranza di rinascita. Il fatto che si incontrassero – secondo le fonti – anche cadaveri in decomposizione durante queste operazioni, restituisce il carattere brutale, quasi tanatopolitico, della Pompei del IV secolo. La città diventa un campo di tensione tra il tempo della morte e il tempo della necessità. È noto che l’imperatore Tito, resosi conto della situazione, inviò sul posto due curatores Campaniae restituendae, due ex consoli con mandato speciale. Dovevano tentare una rifondazione, amministrare i beni dei defunti senza eredi e – forse – riorganizzare i nuclei abitativi sorti nel caos. Tuttavia, questo disegno politico fallì. Pompei non fu più rifondata secondo i canoni della civitas romana. Rimase un agglomerato irregolare, privo di infrastrutture pubbliche, con case abitate solo in parte e senza alcuna rete urbana coerente. Eppure, questa vita larvale si protrasse per secoli. Fino al V secolo, epoca nella quale un’ulteriore eruzione, forse quella cosiddetta di Pollena (databile tra il 472 e il 512 d.C.), sancì l’abbandono definitivo del sito. Ma se i dati archeologici parlano chiaro, come mai questo lungo periodo è stato rimosso dalla narrazione storiografica e museale? La risposta, come suggerisce Zuchtriegel, risiede in un rimosso profondo dell’archeologia stessa. L’entusiasmo per la bellezza conservata, per gli affreschi del 79 ancora intatti, ha spinto generazioni di scavatori a penetrare oltre gli strati più recenti con zelo quasi iconoclasta. In nome del passato aureo, si è sacrificato il presente frammentario. In questa prospettiva, l’Insula Meridionalis diventa un luogo-limite, una soglia critica da cui osservare il trauma archeologico del post-79. Perché è proprio la metodologia di scavo, quella che privilegia il piano pavimentale coevo all’eruzione, che ha prodotto il fenomeno dell’“inconscio archeologico”. Tutto ciò che veniva dopo è stato, nella maggior parte dei casi, distrutto senza documentazione. Ma oggi, alla luce delle nuove indagini, occorre ribaltare il paradigma. Pompei non è solo la città congelata nel tempo, la capsula dell’anno 79, ma anche il sito di un lungo tempo della resilienza. Laddove la classicità si spezza, si annida un’altra storia, più dolente, più vera: la storia degli sconfitti, dei poveri, dei resti. Lo scavo, in quanto gesto di anamnesi, ha il dovere di restituire anche queste tracce minime. Perché solo comprendendo la città nella sua interezza, anche nei suoi esiti più dimessi, possiamo restituirle la sua dignità storica. Come insegna l’archeologia stratigrafica – che non è tecnica, ma etica del tempo – ogni strato è degno di memoria. E Pompei, se vuole davvero parlare al presente, deve accettare anche la propria rovina più profonda: quella dell’essere stata, per secoli, una città di fantasmi vivi, di sopravvissuti nell’ombra, in attesa di essere ritrovati.

Categorie: Musica corale

Garda Festival 2025: Premio “Cigno del Garda 2025” al tenore Murat Karahan

gbopera - Gio, 07/08/2025 - 07:10

Il Castello Scaligero di Villafranca di Verona è stato il palcoscenico del Garda Festival in occasione del Gala Pavarotti 90, con la straordinaria partecipazione di Murat Karahan. Il tenore turco di fama internazionale ha omaggiato con il suo recital il 90º anniversario della nascita di Luciano Pavarotti. L’evento è parte di un intenso programma del Garda Festival 2025Lake Garda International Music, Dance and Cinema Festival, la rassegna promossa dal Fondo Niccolò Piccinni sotto la direzione artistica di Maximilien Seren-Piccinni. La serata ha visto la presenza dell’Ambasciatore di Turchia a Roma, S.E. Elif Çomoğlu Ülgen (sotto il cui Alto Patrocinio l’evento ha avuto luogo) e dell’Ambasciatore di Turchia a Lubiana, S.E. Hayriye Kumaşcıoğlu, oltre che delle istituzioni locali, l’Assessore al Turismo, Eventi, Cultura e Pari Opportunità Claudia Barbera. L’artista ha ripercorso attraverso alcune delle più celebrate arie operistiche (Turandot, Tosca, l’Arlesiana…), melodie della tradizione italiana e napoletana (da Torna a Surriento, O Sole mio, Non ti scordar di me) e canzoni (My way, Parla più piano) le tappe che hanno fatto di Pavarotti un fenomeno popolare. Accanto a Karahan ha altresì brillato Gledis Gjuzi al pianoforte, che ha fatto commuovere la platea con arrangiamenti strumentali di pagine pucciniane e di grandi hit. Nonostante la minaccia un temporale incombente il pubblico è stoicamente rimasto fino alla fine, sotto gli ombrelli, ma applaudendo calorosamente Karahan e Gjuzi. Il tenore turco si va ad aggiungere alla lista dei grandi ospiti che il Garda Festival ha accolto quest’anno, per la sua terza edizione, dopo Patty Pravo, Ekaterina Bakanova e Ivo Pogorelich (Premio Piccinni 2025).

Categorie: Musica corale

Garda Festival 2025: consegnato il 43° Premio Piccinni al pianista Ivo Pogorelich

gbopera - Mer, 06/08/2025 - 14:18

La suggestiva sala della Dogana Veneta di Lazise sul Lago di Garda ha ospitato la cerimonia di consegna del 43° Premio Piccinni – For the Excellence in the Performing Arts al pianista croato Ivo Pogorelich, all’interno della 3a edizione del Garda Festival. L’iconico artista, uno dei più importanti virtuosi del pianoforte, ha ricevuto il prestigioso riconoscimento da Maria Luigia Piccinni, presidente onorario del Fondo Piccinni, Maximilien Seren-Piccinni, presidente del Fondo Piccinni e direttore artistico del Garda Festival, e da Simone Di Crescenzo, coordinatore del Comité d’Honneur del premio. Pogorelich è stato premiato per la sua capacità di coniugare con stile unico, virtuosismo e profondità espressiva. L’evento è parte di un intenso programma del Garda Festival 2025 – Lake Garda International Music, Dance and Cinema Festival, la rassegna promossa dal Fondo Niccolò Piccinni sotto la direzione artistica di Maximilien Seren-Piccinni, che celebra la grande musica, la danza e il cinema in alcuni dei luoghi più affascinanti del Lago di Garda, sotto l’Alto Patrocinio del Parlamento Europeo e i patrocini del Ministero della Cultura, della Regione Veneto, dell’Ambasciata d’Austria e dell’Ambasciata della Repubblica di Turchia. Il Premio Piccinni, nato nel 1967, e conferito dal Comité d’Honneur (composto dal Presidente e dai membri del Fondo Niccolò Piccinni, dai vincitori delle passate edizioni e dagli Ambasciatori piccinniani nel mondo, artisti, musicologi e personalità istituzionali di chiara fama) può annoverare tra i suoi vincitori: Carlo Bergonzi, Sylvano Bussotti, Franco Corelli, Leyla Gencer, Nicolaj Ghiaurov, Christa Ludwig, Giovanni Martinelli, Mady Mesplé, Leo Nucci, Georges Prêtre, Renzo Rossellini, Joan Sutherland, Uto Ughi e Franco Zeffirelli. Momento centrale della serata è stata l’esibizione del premiato Pogorelich, in un recital interamente beethoveniano, accolto da lunghi applausi dal folto pubblico presente.

 

Categorie: Musica corale

102° Arena di Verona Opera Festival 2025: “Rigoletto” in scena dall’8 agosto

gbopera - Mar, 05/08/2025 - 16:13

Quinto e ultimo titolo operistico a debuttare nel cartellone del 102° Opera Festival, Rigoletto va alla conquista del palcoscenico areniano da venerdì 8 agosto. Per Verdi, il capolavoro più coraggioso e controverso, “la sua opera migliore” come ebbe a dire egli stesso. A otto anni dall’ultima ripresa, torna l’allestimento storico con grandi tele dipinte ispirate ai bozzetti di Ettore Fagiuoli, primo scenografo areniano. Repliche il 22 e il 30 agosto, e il 6 settembre, serata finale del Festival.
L’8 agosto protagonista d’eccezione è Ludovic Tézier, accanto a lui fa il suo debutto in Anfiteatro il samoano Pene Pati, come Duca di Mantova, Nina Minasyan, già applaudita Violetta nel 2022, torna in Arena come Gilda. Sparafucile è il basso Gianluca Buratto, la sorella Maddalena è Martina Belli, mezzosoprano all’esordio areniano.  Dopo la prima dell’8 agosto, grandi artisti sono attesi anche in ognuna delle tre repliche: ancora Amartuvshin Enkhbat (il 22 agosto), poi Luca Salsi (il 30 agosto) e Youngjun Park (il 6 settembre, per la prima volta in Arena nel ruolo del titolo); come Duca, Pene Pati è titolare per le prime tre recite, quindi tocca a Galeano Salas (il 6 settembre). Per un’unica data Rosa Feola è Gilda (il 22 agosto) mentre Erin Morley fa il suo esordio areniano in scena per le ultime due rappresentazioni. Completano il cast interpreti apprezzati nelle ultime stagioni veronesi, come Agostina Smimmero, Francesca Maionchi, Elisabetta Zizzo, Matteo Macchioni, Nicolò Ceriani, Abramo Rosalen, Hidenori Inoue, Ramaz Chikviladze. Il Coro maschile (unica occasione nell’intero corpus verdiano) è preparato da Roberto Gabbiani, diretto con l’Orchestra di Fondazione Arena dal giovane Maestro Michele Spotti.
Le maestranze tecniche areniane riprendono l’allestimento scenico con cui Fondazione Arena ricreò il primo Rigoletto sotto le stelle, 98 anni fa, con la firma dell’architetto Ettore Fagiuoli: grandi scene dipinte da Raffaele Del Savio secondo la più nobile tradizione dell’opera italiana, che rappresentano scorci della Mantova gonzaghesca, le sponde del Mincio dal Castello di San Giorgio alla rocca oggi attribuita a Sparafucile, e le stanze affrescate di Palazzo Te fedelmente riprodotte grazie alla collaborazione con i Musei Civici di Mantova. I costumi storici sontuosi e le luci di Claudio Schmid completano il disegno registico di Ivo Guerra.

Categorie: Musica corale

Roma, Caracalla Festival 2025: “Baush / Bejart / Wheeldon”

gbopera - Dom, 03/08/2025 - 13:42

Roma, Teatro dell’Opera, Stagione 2024/2025
“BAUSCH / BÉJART / WHEELDON”
Within the Golden Hour
Coreografia Christopher Wheeldon
Musica Ezio Bosso, Antonio Vivaldi
Musiche su base registrata dall’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Carlo Donadio
Violino solista Vincenzo Bolognese
Viola solista Koram Jablonko
Costumi Anna Biagiotti
Luci Peter Mumford
Riprese da Stefano Laselva
Interpreti Federica Maine e Alessio Rezza (Waltz), Alessandra Amato e Walter Maimone (Slow), Sara Loro e Michele Satriano (Vivaldi), Simone Agrò e Giacomo Castellana (Duetto maschile)
Bolero
Coreografia Maurice Béjart
Ripresa da Piotr Nardelli
Musica Maurice Ravel
Luci Stefano Laselva
Artista ospite Friedemann Vogel
Solisti Michele Satriano, Giacomo Castellana, Simone Agrò, Walter Maimone
Le Sacre du Printemps
Coreografia e regia Pina Bausch
Musica Igor Stravinskij
Scene e Costumi Rolf Borzik
Direzione artistica Clémentine Deluy, Jorge Puerta Armenta
Direzione prove Eleonora Abbagnato, Damiano Ottavio Bigi, Tsai-Chin Yu
Adattamento scenografico Gerburg Stoffel, Martin Winterscheidt
Adattamento costumi Petra Leidner
Adattamento luci Fernando Jacon
Pina Bausch Foundation Gesa Linnéa Jacon
Coproduzione Teatro dell’Opera di Roma e Pina Bausch Foundation
Eletta Rebecca Bianchi
Orchestra, Étoiles, Primi ballerini, Solisti e Corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma
Roma, Terme di Caracalla, 31 luglio 2025
Non solo uno spettacolo quello a cui abbiamo assistito a fine luglio alle Terme di Caracalla. Dopo il lungo lavoro di perfezionamento tecnico, di confronto con i grandi lavori del repertorio classico e contemporaneo, la compagnia di balletto del Teatro dell’Opera di Roma guidata da Eleonora Abbagnato era pronta per un salto di qualità. E lo si è ampiamente visto durante tutto lo svolgimento della serata. Ad apertura Within the Golden Hour, una serie di piccoli schizzi dipinti sulla musica di Ezio Bosso e di Antonio Vivaldi dal coreografo britannico Christopher Wheeldon. L’ispirazione principale è l’ora dorata, quella di passaggio tra il giorno e la sera, quando l’orizzonte si illumina di rosso. A Caracalla, naturalmente, il gioco di luci è meno percepibile di quanto lo si era notato a teatro nel settembre 2023. Tra le rovine romane a luccicare sono principalmente i colori della musica, le paillettes dei vestiti, nonché quell’etereo fluire di passi, che si presentano come attimi di fugace desiderio, di sprofondamento e risalita nelle curve del corpo e dell’anima, che ricordano al tempo stesso la fuggevolezza e l’eternità della vita. Ben diverso è il clima rovente del Bolero di Béjart, che dal 1951 rende memorabile la partitura di Ravel originariamente concepita per Ida Rubinštejn. Qui l’amore è desiderio, seduzione, ma anche e soprattutto raffinata sensualità che porta alla passione e al possesso. Su un tavolo rosso si impone l’elegante maschilità dell’artista ospite Friedemann Vogel, che nel gioco di luci iniziale svela il movimento delle mani sul petto, per poi donarsi al movimento ritmico scandito dai pliés e dai particolari port de bras, fino ad arrivare allo slancio, a voli d’uccello, al metaforismo di una corrida. I figuranti sullo sfondo intensificano l’atmosfera, mentre i solisti fanno da cornice e contrappunto, guidandoci verso una dimensione pervasiva che dall’estetica arriva a risvegliare i sensi, lasciandoci travolti da quanto ammirato in scena. Ma poi bisogna ricordare che la danza è anche teatro, che come diceva Pina Bausch l’importante non è come si muovono i danzatori, ma cosa li muove nel profondo. Ed è tutto lì l’incontro con la grande coreografa polacco-tedesca, erede della danza d’espressione tedesca, di Laban e di Kurt Joss. Nei suoi stücke ella era solita presentare tra i corpi dei danzatori, elementi naturali quali l’acqua o i fiori, canzoni e musiche evocative, urla e gesti, tutto il variopinto mondo dei sentimenti umani che accompagnano lungo la vita. Il suo era un teatro dei sentimenti, un teatro vissuto e sentito, dove a fuoriuscire era una profonda autenticità e verità. Eleonora Abbagnato lo comprende bene. Del resto, la rielaborazione bauschiana del Sacre du printemps di Stravinskij dopo la prima a Wuppertal nel 1975 è entrato anche nel repertorio del Balletto dell’Opéra di Parigi, con riprese per numerose stagioni. Il progetto di ripresa a Roma ha visto dunque la direzione artistica di Clémentine Deluy e Jorge Puerta Armenta, ma poi insieme con Damiano Ottavio Bigi e Tsai-Chin Yu è stata la stessa Abbagnato a dirigere le prove. Come nella versione di Vaclav Nižinskij del 1913, la dimensione rituale è ben presente. La si riscontra nello stesso spargimento di terra sulla scena durante l’intervallo, così come nei cerchi quasi magici formati dai danzatori nella coreografia. Ma Pina non parla della Russia pagana, parla dei conflitti sociali tra uomini e donne che dall’antichità dei tempi si sono rinnovati fino ai nostri giorni. In scena è il sudore, la lotta, la paura, l’orrore. Un vestito rosso guida l’azione scenica. Su di esso ci si stende per prefigurare la fine, chi lo avrà sarà destinato alla morte. E allora si cerca di divincolarsi come fanno a più riprese le donne, una alla volta, cercando di scampare alla tragedia. Prevale però la predestinazione, la scelta ricade sull’Eletta, chiamata a sacrificarsi per rigenerare la terra. Rebecca Bianchi rivela tutta la sua potenza scenica. Non è più la danzatrice lirica cui siamo abituati, ma una danzatrice attrice capace di portare su di sé tutto il carico dei gesti che animano questa lotta all’ultimo sangue. Con la sua danza viscerale, amplificata dal corpo di ballo, ella richiama il pubblico verso un risveglio delle coscienze. Il teatro non è qui una piacevole visione. Tra i corpi svelati dagli abiti leggeri, ricoperti di terra e di sudore, si apre una diversa concezione del ruolo dello spettatore, che non può solo comodamente assistere ad un bello spettacolo, ma deve domandarsi come può reagire alla visione di ciò che lo inquieta, lo turba, lo rende finalmente scomodo, lacerandone la tranquillità interiore. Foto Fabrizio Sansoni – Teatro dell’Opera di Roma

Categorie: Musica corale

Artitude 2025 – Saint-Nicolas 8-12 agosto

gbopera - Dom, 03/08/2025 - 10:19

Torna Artitude, il festival organizzato da ThroughArt che ogni anno trasforma la Valle d’Aosta in uno spazio aperto di creazione artistica, riflessione collettiva e trasformazione personale. Per la sua quinta edizione, Artitude sceglie un unico luogo – Saint-Nicolas – e un tema potente che attraversa ogni esperienza umana: le transizioni. Passaggi di fasi di vita, trasformazioni visibili e invisibili, soglie che attraversano la vita di tutti noi. “Artitude è uno spazio di incontro, un laboratorio collettivo di immaginazione e possibilità”, racconta Giorgia Madonno, fondatrice di ThroughArt. “Questa edizione esplora le transizioni, quei momenti di passaggio che segnano le nostre vite personali e collettive e che possono diventare occasioni di trasformazione”. Le transizioni non sono solo eventi esterni, ma processi interiori di cambiamento e ridefinizione. Si passa dalla chiusura di una fase che è giunta al suo termine, all’incertezza di una “zona neutra” faticosa ma ricca di nuove possibilità e apprendimenti, fino all’inizio di una nuova fase. Artitude 2025 invita il pubblico a esplorare il senso del cambiamento come chiave per leggere il presente e guardare al futuro e come profondo attivatore di evoluzione personale.
Artitude 2025 si articola in 5 giornate di esperienze immersive, tra arte visiva, laboratori, performance e dialoghi interdisciplinari.
Vi rimandiamo al sito per tutti gli appuntamenti in dettaglio

Categorie: Musica corale

Le Cantate di Johann Sebastian Bach: Settima domenica dopo la Trinità

gbopera - Dom, 03/08/2025 - 07:42

Ultima, in ordine di tempo, delle Cantate per la settima domenica dopo la Trinità è Es wartet alles auf dich BWV 187 eseguita per la prima volta a Lipsia il 4 agosto 1724 e poi ampiamente sfruttata nella Messa in sol Minore BWV 235 (su 6 numeri di quella Messa, ben 4 sono parodie di altrettanti numeri di questa Cantata). Una citazione vecchio testamentario apre la partitura che è certamente una tra le più notevoli dell’immenso panorama vocale bachiano. Essa è tratta dal salmo 104 (vers.27-28). “Tutti quanti sperano in te perché tu dia loro il cibo a suo tempo. Tu lo dai loro ed essi lo raccolgono”. I 2 versetti preceduti da un’ampia introduzione strumentale, vengono organizzati su una struttura tripartita, ABC, dove A equivale al primo versetto, sviluppato come un brano polifonico, con imitazioni canoniche. La sezione B riporta il secondo versetto in forma di “fuga”. La C riprende in forma accorciata la sezione strumentale introduttiva che però è distribuita su entrambi i versetti. La pagina iniziale con la citazione del Salmo è direttamente collegata al nr.4 (aria del basso) con la citazione dei versetti 31-32 dal discorso della montagna nel Vangelo di Matteo (cap.6): “Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.” È dunque la “vox Christi”, il basso, a pronunciare le parole con le quali si invita il fedele ad abbandonarsi alla Provvidenza.  Carattere concertante hanno le altre 2 arie: la nr.3 (cantata dal contralto) ha delle movenze di danza in 3/8, l’altra la nr.5  una pagina per soprano con oboe concertante, in forma bipartita, da un adagio in 4/4 di incantevole trasparenza si passa a un movimento “poco allegro”, nettamente contrastante chiuso da una breve ripresa dell’Adagio. Chiudono la Cantata le strofe 4 e 6 del Corale “Singen wir aus Herzensgrund” di Hans Vogel (?-1565)
Parte prima
Nr.1 – Coro

Tutti aspettano da te che tu dia loro
il cibo in tempo opportuno.
Tu lo provvedi, essi lo raccolgono,
apri la mano, si saziano di beni.
Nr.2 – Recitativo (Basso)
Quante creature contiene
il vasto globo del mondo!
Guarda le montagne che si contano a migliaia;
non generano le acque?
Torrenti e laghi brulicano.
Vasti stormi di uccelli
volano nell’aria sui campi.
Chi nutre una tale moltitudine
e chi
è in grado di soddisfare i suoi bisogni?
Quale monarca può ambire a tale onore?
Tutto l’oro del mondo
può procuragli un solo pasto?
Nr.3 – Aria (Contralto)
Tu solo Signore incoroni l’anno con le tue bontà.
L’olio della benedizione
è versato lungo i tuoi passi,
è la tua grazia che produce ogni bene.
Parte seconda
Nr.4 – Aria (Basso)
Non affannatevi dunque dicendo:
Che cosa mangeremo? Che cosa berremo?
Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose
si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste
infatti sa che ne avete bisogno. 
Nr.5 – Aria (Soprano)
Dio si prende cura di ogni essere vivente
che respira quaggiù.
Solo a me non darebbe
ciò che ha promesso a tutti?
Andate via, timori, la sua fedeltà
è il mio unico pensiero
ed ogni giorno si rinnova per me
attraverso i numerosi doni d’amore del Padre.
Nr.6 – Recitativo (Soprano)
Se potessi stringermi a lui con la fiducia di
un bambino ed accettare con gratitudine ciò che
mi ha destinato, non resterei mai senza aiuto
e vedrei quanto egli ha fatto per me.
Preoccuparsi non serve, è sprecata la pena
che il cuore disperato trae dai suoi bisogni;
Dio sempre ricco di bontà ha preso queste pene
su di sé, io so che mi ha riservato la mia parte.
Nr.7 – Corale
Dio ha creato la terra
e non le farà mancare il suo nutrimento;
ha fatto montagne e umide valli
la cui erba possa ingrassare il bestiame;
dalla terra, il pane ed il vino
ha creato e donato in abbondanza,
affinché gli uomini possano vivere.
Lo ringraziamo profondamente e lo preghiamo
di donarci l’intelligenza dello spirito
per poterlo comprendere sempre meglio,
seguendo i suoi comandamenti,
per rendere grande il suo nome
senza sosta in Cristo:
allora cantiamo giustamente “Gratias”.
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata “Es wartet alles auf dich” BWV 187

 

 

Categorie: Musica corale

Chorégies d’Orange 2025: “La forza del destino”

gbopera - Sab, 02/08/2025 - 19:53
Orange, Théâtre Antique, saison 2025 “LA FORZA DEL DESTINO” Opéra en 4 actes, livret de Francesco Maria Piave Version concert Musique  Giuseppe Verdi Il Marchese di Calatrava / Padre Guardiano  MICHELE PERTUSI Donna Leonora di Vargas  ANNA PIROZZI Don Carlo di Vargas ARIUN GANBAATAR Don Alvaro  RUSSELL THOMAS Preziosilla  MARIA BARAKOVA Fra Melitone AMBROGIO MAESTRI Curra  JULIE PASTOURAUD Un alcade / un chirurgo  LOUIS MORVAN Mastro Trabuco  RODOLPHE BRIAND Orchestre et Chœur de l’Opéra de Lyon Direction musicale  Daniele Rustioni Chef des Choeurs  Benedict Keanrs
Lumières Vincent Cussey
Orange, le 20 juillet 2025 Une autre soirée dédiée au compositeur Giuseppe Verdi aux Chorégies d’Orange. Après “Il Trovatore” au succès éclatant, “La Forza del destino” et sa très belle distribution promettait, elle aussi, de grands moments musicaux. Le ciel allait-il être clément ou le Destin allait-il frapper ? Pas de mise en scène encore mais une mise en espaces agrémentée de quelques vidéos dans les lumières conçues par Vincent Cussey. Cet ouvrage, faisant suite à une commande du tsar Alexandre II début 1861, connut aussitôt quelques problèmes obligeant le compositeur à reporter d’un an répétitions et représentations. Finalement, “La Forza del destino” sera créé à Saint-Pétersbourg le 10 novembre 1862 et avec de nombreuses modifications encore pour la 1ère milanaise donnée au Teatro alla Scala le 27 février 1869; ce sera la version définitive. Le livret, modifié lui aussi, n’est pas simple et l’histoire est assez alambiquée mais les nombreux airs et l’ouverture, reconnaissable entre toutes, sont des promesses d’immenses moments musicaux. Dès l’ouverture, Daniel Rustioni semblait vouloir défier le destin avec ces 3 accords à faire trembler l’empereur Auguste sur son socle. De belles nuances, des contrastes saisissants et une grande détermination sonore, nous immergent dans le drame qui va immanquablement suivre. La Leonora d’Anna PIrozzi, dans une belle présence, séduit dès les premières notes projetées dans un timbre velouté. Sa voix, montant au plus haut des gradins, offre des aigus vibrants et pleins jusque dans les pianissimi. Le long monologue de l’acte II nous laisse entendre sa prière “Son giunta !…Madre pietosa Vergine” qui monte en intensité dans une voix dramatique sur les notes du thème de l’ouverture qui revient en réminiscence. Toujours dans l’acte II “La Vergine degli angeli” s’élève dans une voix céleste accompagnée par la harpe et le chœur d’une pureté toute religieuse. Dès l’acte I, dans son duo avec Alvaro, la soprano italienne laisse passer ses émotions avec fébrilité et des aigus sûrs et sonores. Une voix ductile, dramatique et émouvante avec un souffle qui s’étire jusque dans des aigus lumineux lors de son échange avec le Padre Guardiano. Une superbe interprétation où se conjuguent aisance vocale et scénique. Impétueuse, énergique et très musicale la voix de Maria Barakova dans le rôle de Preziosilla. Une révélation qui séduit aussi par le timbre chaleureux de la voix projetée qui emplit cet immense théâtre avec aisance, sans forcer et dans un jeu scénique très vivant. Remplaçant Brian Jagde initialement programmé, il revient à Russel Thomas de défendre le rôle de Don Alvaro, personnage aux sentiments contrastés face à son destin qui demande de ce fait une grande souplesse de voix. C’est en puissance que le ténor américain aborde ce rôle. Le duo de l’acte I avec Leonora est impétueux avec toutefois tristesse et douceur dans des aigus solides et “La vita è inferno…” à l’acte III, entonné piano, accompagné par la clarinette, prend plus d’intensité au son du basson; l’on remarque le legato musical “Oh tu che mi seno agli angeli”. Si la voix manque un peu de charme par moments, Russel Thomas fait une belle prestation sans le support de la mise en scène sur cet immense plateau avec un très beau duo chanté dans une même esthétique musicale avec Don Carlo. Plus à l’aise scéniquement est Ariun Ganbaatar proposant un Don Carlo à la voix sonore au timbre coloré et homogène dans chaque tessiture. Ligne de chant parfaite et diction projetée dans son monologue “Morir ! tremenda cosa !” où doutes, culpabilité et colère vengeresse animent ses sentiments contrastés. Avec une voix aux aigus puissants et une diction projetée, le baryton mongol fait une grande impression aussi dans le duo avec Alvaro où il ne ménage ni sa force, ni sa rage dans une belle aisance scénique. Michele Pertusi est un Marchese di Calatrava très présent, mais c’est dans le rôle du Padre Guardiano que l’on apprécie le plus sa voix, profonde et bien placée, aux inflexions musicales dont la noblesse du timbre nous laisse apprécier un émouvant échange avec Leonora. Ambrogio Maestri est un Fra Melitone haut en couleur dont la présence scénique est remarquée. Julie Pasturaud est un Curra dynamique à la voix claire et projetée que l’on remarque également. Louis Morvan est à la fois Un alcade et un chirurgien qui impose sa voix sonore dans un style impeccable. Rodolphe Briand, toujours très en place dans les rôles qu’il interprète, est un Trabuco énergique et pétulant à la voix projetée. Le Chœur de l’Opéra de Lyon, très sollicité dans cet ouvrage, très bien préparé par Benedict Kearns, est très en place dans les attaques et fait entendre de belles couleurs de voix dans la puissance aussi bien que dans les évocations religieuses. Dans sa direction vive et énergique, sans jamais couvrir les voix, Daniele Rustioni laisse ressortir les instruments solistes, belles phrases à la clarinette, au violoncelle ou à la flûte… ou les pupitres de cuivres et de timbales jamais trop puissants. Un orchestre à son meilleur que l’on a plaisir à écouter. Hélas, le Destin se manifestera sous forme d’orage à la fin de l’acte III, nous privant du Rataplan mais aussi du très beau “Pace, Pace, pace mio Dio!” de Leonora. Peut-être la mise en espace était-elle moins réussie que celle de Il Trovatore” avec des vidéos moins élégantes. Toujours est-il que même sans la fin, cette représentation a été très appréciée par un public qui, malgré la pluie, hésitait à partir. Le destin, le destin toujours ! Photo Gromelle
Categorie: Musica corale

Il clavicembalo ben temperato di Bach tra clavicembalo e pianoforte

gbopera - Sab, 02/08/2025 - 07:36

Johann Sebastian Bach (1685—1750): Das Wohltemperierte Klavier, Buch I, Das Wohltemperierte Klavier, Buch II. Masato Suzuki (Clavicembalo). Registrazione: 8—11 Ottobre 2021 at the Toppan Hall, Tokyo, Japan. T. Time: 53′ 58″ (CD 1) e 56′ 31″ (CD 2). 2 CD BIS Records BIS-2621
Johann Sebastian Bach (1685—1750): The Well-Tempered Clavier, Book I The Well-Tempered Clavier, Book I I. Aaron Pilsan
(pianoforte). Registrazione: giugno 2020 presso la Deutschlandfunk Kammermusiksaal, Colonia, Germania. T. Time: 51′ 21″ (CD 1) e 55′ 14″ (CD 2). 2 CD ALPHA 669

Alzi la mano chi tra i pianisti non ha studiato un buon numero di preludi e fughe dei due volumi del Clavicembalo ben temperato di Bach! Definita da Hans von Bülow il “Vecchio testamento dei pianisti” e da Robert Schumann il “pane quotidiano dei pianisti”, quest’opera monumentale costituisce uno dei capisaldi del repertorio per strumenti a tastiera, perché, se è innegabile che oggi i suoi preludi e fughe sono eseguiti prevalentemente sul pianoforte, è vero anche che Bach non li aveva concepiti per questo strumento. In questa recensione si renderà conto di due proposte discografiche dei due volumi che differiscono appunto per il diverso strumento su cui questi preludi e fughe vengono eseguiti: il clavicembalo, loro destinazione originaria, e il pianoforte. Ad eseguirli al cembalo, nella proposta dell’etichetta BIS Records, è Masato Suzuki la quale si accosta in modo storicamente informato a questi gioielli che, grazie al suono del clavicembalo, strumento per il quale sono stati concepiti, risplendono nella loro bellezza originaria. Si tratta di un’ottima produzione che, se non aggiunge molto alla pur vasta discografia di quest’opera, propone all’ascolto un’esecuzione corrette e di buon livello.
Meno interessante per un amante delle tastiere storiche, come lo scrivente, è, invece, la proposta discografica dell’etichetta ALPHA, che vede come protagonista al pianoforte Aaron Pilsan, non tanto per la bravura dello strumentista che sfoggia una solida tecnica ed esegue in modo impeccabile questi capolavori bachiani, quanto per lo strumento utilizzato che, comunque, allontana da un vero e concreto approccio storico a questo repertorio. L’ascolto dei due album, però, appare interessante e potrebbe sostituire, con un ascolto sulla poltrona di casa, certe esecuzioni integrali sui due strumenti che spesso sono state proposte dagli enti concertistici.

Categorie: Musica corale

Pagine