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Musica corale

Malta, XII° Valletta Baroque Festival: “Farándula Castiza“

gbopera - Dom, 28/01/2024 - 08:31

Valletta (Malta), The Malta Chamber, XII La Valletta Baroque Festival
FARÁNDULA CASTIZA”
Forma Antiqva
Direttore Aarón Za
José de Nebra (1702-1768): Obertura de “Iphigenia en Tracia” (Allegro); Bernardo Álvarez Acero (1766-1821): Fandango; José Castel (1737-1807): Sinfonía nº 3 (Allegro); Nicolás Conforto (1718-1793): Sinfonía de “La Nitteti”; Vicente Baset (1719-1764): Sinfonia a più stromenti Bas-3; Luigi Boccherini (1743-1805): Tempo di Minuetto (Op VI); Juan Bautista Mele (ca.1701-1752): Sinfonía de Angelica e Medoro; Nicolás Conforto: Fandango; Vicente Baset: Apertura a più stromenti Bas-7; Santiago de Murcia (1673-1739): Cumbées; Nicolás Conforto: Sinfonía de “Siroe”; Francisco Corselli (1705-1778): Obertura de “La cautela en la amistad”; José de Nebra: Obertura de “Iphigenia en Tracia” (Minué, Allegro); José Castel: Sinfonía nº 3 (Minuetto); Vicente Baset: Apertura a più stromenti Bas-5.
Valletta (Malta), 24 gennaio 2024
L’offerta strumentale del Valletta Baroque Festival si articola principalmente in due direzioni: ripresa dei classici e riscoperta di autori e tradizioni musicali più rare. Proprio a questo secondo filone pertengono i due spettacoli strumentali cui assistiamo, a cominciare dalla “Farándula Castiza“ di Forma Antiqva, formazione barocca spagnola affacciatasi ormai da circa un ventennio sulla scena internazionale. Il concerto si apre con pezzi che il gruppo ha già affrontato in studio nell’ultimo album “La caramba” (su etichetta Winter & Winter): si tratta di quelle composizioni che non prevedono l’intervento vocale del soprano Maria Hinojosa – che nell’album punta a far rivivere proprio “La Caramba” Maria Antonia Vallejo, la più celebre delle dive del melodramma alla corte spagnola; a questi si aggiungono anche alcune composizioni di Vicente Baset presenti nell’album eponimo pubblicato nel 2020 per la stessa etichetta; tuttavia, sono i brani che affrontano per la prima volta quelli più interessanti, tratti dal repertorio di Francisco Corselli e Nicolás Conforto, al secolo “Francesco” e “Nicola”, italianissimi che si avvicendarono quali maestri di cappella della corte madrilena del secondo XVIII secolo, e lasciarono un ampio e variegato repertorio operistico e da camera. Per spezzare la naturale continuità stilistica che intercorre da José de Nebra, predecessore di Corselli, fino a Conforto, si inseriscono pezzi da ballo di natura anche smaccatamente popolare, giacché la nuova corte borbonica dell’epoca godeva proprio della commistione dei generi, dell’alto del basso, quasi volendo procrastinare l’inevitabile virata al classicismo che quegli anni stavano imponendo: ecco allora il Fandango di Bernardo Álvarez Acero, imperfetto e spumeggiante come ci aspetteremmo fosse eseguito all’epoca, il Tempo di Minuetto Op. VI di Luigi Boccherini, distantissimo dal modello originale (che proprio Boccherini piegò e rinverdì molte volte) e godibilmente destrutturato, le Cumbées di Santiago de Murcia, dall’andamento più decisamente folk e intrise di sapore bambocciante secentesco. Il grande equilibrio della struttura del concerto restituisce anche l’intesa pressoché perfetta che corre tra i membri della formazione: i tre fratelli Zapico, Pablo (chitarra barocca), Daniel (tiorba) e Aarón (clavicembalista e direttore dell’ensemble), assieme ai due violini di Jorge Jimenez e Daniel Pinteño e al violoncello di Ruth Verona, suonano con grande brio e trasporto, caratteri che forse non ci si aspetterebbe dall’esecuzione barocca, ma che questo repertorio invece richiede; guardarli significa penetrare silenziosamente anche un’armonia di sguardi, sorrisi, piccoli ammiccamenti, che comunicano sì la familiarità, ma anche il reciproco profondo rispetto e senso dell’ascolto – specie durante i frequenti assoli della chitarra. Questo il merito maggiore di questa “Farándula castiza”: non solo il coraggio di riproporre un repertorio quasi caduto nell’oblio; non solo l’intelligenza di scegliere un repertorio barocco “spiazzante”, ossia lontano sia dalle geometrie bachiano-vivaldiane sia dagli abbandoni larmoyant di scuola napoletana, espressione del Settecento più giocondo e pittoresco; ma, soprattutto, un’interpretazione che segue questa linea franca e gioiosa, probabilmente non prossima alla perfezione esecutiva (ogni tanto qualche quarto di tono “scappa”, qualche variazione o abbellimento salta) ma del tutto aderente allo zeitgeist che ha visto fiorire e furoreggiare questo genere nella Spagna post-asburgica. Un’esperienza difficilmente ripetibile. Foto Elisa Von Brockdorff

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Le cantate di Johann Sebastian Bach: terza domenica dopo l’Epifania

gbopera - Dom, 28/01/2024 - 00:20

Herr, wie du willt, so schick’s mit mir BWV 73 (Signore, sia fatto di me secondo la tua volontà) è la cantata prevista per la terza domenica dopo l’Epifania, eseguita a Lipsia il 23 gennaio 1724. Sul piano del testo così come su quello musicale, la cantata poggia su un Corale di Kaspar Bienemann (1540-1591) del 1582, che da il titolo alla composizione e ne costituisce “l’incipit”, qui spezzato in 4 segmenti, con l’inserimento di 3 interventi delle voci soliste in stile recitativo. A sostegno o a completamento di questi interventi gli strumenti propongono 2 incisi tematici che vengono utilizzati come vere e proprie figure “ostinate”. Tutta la condotta risulta fortemente influenzata da continui richiami alla struttura melodica del Corale, sicchè i 2 elementi portanti del discorso, la melodia del lied ed il rivestimento contrappuntistico, si fondono in una singolare unità, tenace e sostanziosa. La cantata il cui testo potrebbe essere uscito dalla mani di Solomo Franck, segna il ritorno a quel senso della morte, abbandonato durante il ciclo natalizio, che pervade gran parte della liturgia e che il luteranesimo oppone dialetticamente, in modo modo molto vigoroso, quasi compiacendosi al senso della vita. Così questa partitura, prende le mosse da un evento gioioso: la guarigione del lebbroso e del servo del centurione e l’inno di ringraziamento dei fedeli miracolati e si trasforma in un sentimento di rassegnazione e di fede. Al peccatore il luteranesimo impone per prima cosa di credere fortemente e di rimettersi alla volontà di Dio. Un sentimento che viene tradotto da Bach in un modo quasi drammatico, spezzando la continuità del Corale con le suppliche dei recitativi e sottolineando il versetto conclusivo “Signore come tu vuoi”, ripetuto 3 volte. L’oboe, che è lo strumento dominante di questa partitura è e una frase meravigliosamente melodiosa nella bellisima aria bipartita afidata al tenore (Nr.2). Il recitativo seguente del basso (Nr.3) sfocia direttamente nell’aria (Nr.4), dai toni semplici, intimi che descrive la disponibilità dell’anima alla morte. La frase “Signore, se lo vuoi” è l’elemento ricorrente di quest’aria.
Nr.1 – Coro e recitativo (Tenore, Basso, Soprano)
Coro
Signore, sia fatto di me secondo
la tua volonà, nella vita e nella morte!
Tenore
Ah! Ma ahimè! Quanta sofferenza
mi provoca la tua volontà!
La mia vita è bersaglio della sfortuna,
dolore e avversità
mi torturano da quando vivo,
e il mio tormento non mi abbandonerà
se non in punto di morte.
Coro
Il mio desiderio è rivolto a te solo,
Signore, non farmi perire!
Basso
Tu sei mio soccorso, consolazione, rifugio,
tu che conti le lacrime degli afflitti
e non spezzi
la fragile canna della loro fede;
e poiché mi hai scelto,
pronuncia una parola di conforto e di gioia!
Coro
Custodiscimi solo nella tua grazia,
e qualsiasi cosa vuoi, donami pazienza,
poiché la tua volontà è per il meglio.
Soprano
La tua volontà è un libro sigillato che
la saggezza degli uomini non comprende; 
la benedizione ci sembra spesso maledizione,
il castigo una furiosa punizione,
il riposo a cui ci destini un giorno
nel sonno della morte,
ci sembra la soglia dell’inferno.
Ma il tuo Spirito ci libera da questi errori
e ci mostra che la tua volontà è salvezza.
Coro
Signore, sia fatta la tua volontà!
Nr.2 – Aria (Tenore)
Fà dunque che lo spirito di gioia
penetri nel mio cuore!
Spesso nel mio spirito debilitato
gioia e speranza vacillano
e si scoraggiano.
Nr.3 – Recitativo (Basso)
Ah, la nostra volontà è fallace,
ora ostinata, ora paurosa,
non accettando mai di pensare alla morte;
solo un cristiano educato nello Spirito di Dio
sa sottomettersi alla sua volontà
e dire:
Nr.4 – Aria (Basso)
Signore, se lo vuoi,
le sofferenze della morte spremano
dal mio cuore gli ultimi sospiri,
se ascolti la mia preghiera.
Signore, se lo vuoi,
deponi nella polvere
e nella cenere le mie membra,
immagine corrotta del peccato.
Signore, se lo vuoi,
suonino dunque le campane funebri,
le seguirò senza timore,
il mio dolore sarà per sempre placato.
Nr.5 – Corale
Questa è la volontà del Padre
che ci ha creato;
il suo Figlio ci ha elargito
la pienezza di beni e di grazia;
anche lo Spirito Santo
ci guida nella fede,
conducendoci al Regno dei cieli.
A lui lode, onore e gloria!
Traduzione Emanuele Antonacci

www.gbopera.it · J.S.Bach: Cantata Herr, wie du willt, so schick’s mit mir BWV 73

 

 

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Al Nuovo di Verona, dal 30 gennaio al 4 febbraio nell’ambito del Grande Teatro, è di scena la commedia di Carlo Goldoni “Gl’innamorati”

gbopera - Sab, 27/01/2024 - 11:02

Dopo il grande successo di “Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese, la rassegna “Il Grande Teatro” organizzata dal Comune di Verona e dal Teatro Stabile di Verona – Centro di Produzione Teatrale prosegue con “Gl’innamorati” di Carlo Goldoni nell’adattamento di Angela Demattè. Lo spettacolo, in programma da martedì 30 gennaio a sabato 3 febbraio alle 20.45 e domenica 4 febbraio alle 16.00 al Nuovo, è prodotto dal Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale. Diretti da Andrea Chiodi, sono in scena Gaspare Del Vecchio (Fabrizio), Elisa Grilli (Eugenia), Ottavia Sanfilippo (Flamminia),Cristiano Parolin (Fulgenzio), Francesca Sartore (Clorinda), Leonardo Tosini (Roberto), Gianluca Bozzale (Ridolfo), Alessia Spinelli (Lisetta) e Riccardo Gamba (servitore). Le scene sono di Guido Buganza, i costumi di Ilaria Ariemme, le musiche di Daniele D’angelo, i movimenti scenici di Marco Angelilli, le luci di Nicolò Pozzerle.
Mercoledì 31 gennaio (e non giovedì come al solito) alle 18.00 gli attori incontreranno il pubblico. Condurrà l’incontro Piermario Vescovo, direttore artistico dello Stabile di Verona nonché segretario scientifico dell’Edizione nazionale delle Opere di Carlo Goldoni, incarico affidatogli dal Ministero della Cultura per sovrintendere l’intera opera goldoniana. L’ingresso è libero.
Biglietti in vendita al Teatro Nuovo, a Box Office e on line su
www.boxofficelive.it e www.boxol.it/boxofficelive

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Roma, Museo Ebraico: “Degenerata” per clarinetto e pianoforte

gbopera - Sab, 27/01/2024 - 10:36

Roma, Museo Ebraico
DEGENERATA
Concerto di Musica classica ebraica italiana per clarinetto e pianoforte.
Eseguita da Davide Casali e Pierpaolo Levi
La musica classica ebraica italiana “Degenerata” ha un ruolo molto importante nel panorama musicale internazionale, ma purtroppo per via delle leggi razziste molta di questa musica non venne mai eseguita. Il duo nasce proprio con l’intento di far conoscere e rinascere questa musica bellissima e spesso sconosciuta. Compositori quali Leone Sinigaglia, Emilio Russi, Alberto Gentili, Aldo Finzi, Mario Castelnuovo Tedesco saranno i protagonisti di questo concerto. Il duo è composto da Davide Casali clarinettista, direttore d’orchestra e direttore artistico del Festival “Viktor Ullmann”, e da Pierpaolo Levi, pianista di caratura internazionale ed esperto della musica “Degenerata” e “Concentrazionaria”. Il concerto, organizzato dalla Fondazione per il Museo Ebraico di Roma in collaborazione con il Centro di Cultura Ebraica e la Fondazione Museo della Shoah, avrà luogo sabato 27 gennaio al Museo Ebraico e rientra anch’esso negli eventi in programma per la settimana della Memoria. Qui per il programma.

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il violinista Matthias Lingenfelder in concerto per gli Amici della Musica di Padova

gbopera - Sab, 27/01/2024 - 08:30

Prosegue il 31 gennaio 2024, alle ore 20.15 all’Auditorium Pollini di Padova, la 67a Stagione Concertistica degli Amici della Musica di Padova, con il ritorno del grande violinista Matthias Lingenfelder, negli anni scorsi più volte ospite dell’associazione come componente dell’ormai sciolto Quartetto Auryn. Al suo fianco questa volta il pianista Oliver Triendl, in un concerto che vuole essere un omaggio ad uno dei più grandi violinisti del 19° secolo, Joseph Joachim (1831- 1907). Joachim fu un compositore, collaborò con Johannes Brahms, Robert e Clara Schumann, ebbe grande fama e contribuì alla riscoperta delle composizioni per violino di Beethoven e Bach. Il concerto sarà dunque un’immersione nella tradizione della scuola violinistica tedesca durante il Romanticismo. In programma Stücke op. 2 di Joachim, la sonata F.A.E. scritta in collaborazione da R. Schumann, J. Brahms e A. Dietrich e dedicata proprio a Joachim, la Sonata n. 1 op. 78 di J. Brahms e una selezione da “Bunte Reihe” op. 30 di F. David, un altro compositore dell’epoca. Matthias Lingenfelder, dopo quarant’anni di attività con il Quartetto Auryn, continua a suonare come solista in diverse formazioni di musica da camera. Nella primavera del 2023 ha registrato l’integrale delle opere per violino e pianoforte di Gabriel Fauré con Peter Orth per l’etichetta Tacet. Matthias suona uno strumento Stradivari del 1722, appartenuto in precedenza a Joseph Joachim.

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Roma, Teatro Parioli: “In ogni vita la pioggia deve cadere” con Leo Gullotta e Fabio Grossi

gbopera - Ven, 26/01/2024 - 23:59

Roma, Teatro Parioli
Stagione 2023 2024
IN OGNI VITA LA PIOGGIA DEVE CADERE 
con Leo Gullotta, Fabio Grossi
regia Fabio Grossi
Teatro Stabile d’Abruzzo/ Stefano Francioni Produzioni /Argot produzioni
Roma, 26 gennaio 2024
Sotto la regia di Fabio Grossi, il palcoscenico ha ospitato una straordinaria e toccante pièce che ha visto protagonisti lo stesso Grossi ed il suo patner nella vita , l’acclamato attore teatrale e cinematografico Leo Gullotta
. Con sessant’anni di carriera nel mondo dello spettacolo, Gullotta è stato il volto di molti film di successo diretti da maestri del calibro di Giuseppe Tornatore, Nanni Loy, Ricky Tognazzi, Carlo Vanzina, Aurelio Grimaldi, Christian De Sica e Ficarra e Picone. “In ogni vita la pioggia deve cadere” narra le vicende di due persone che condividono una vita, supportandosi e amandosi reciprocamente. La storia si dipana negli anni Novanta, un periodo in cui i diritti civili non erano ancora una realtà nel nostro Paese, e il fulcro di questo racconto è la casa, un rifugio che accoglie e protegge questa unione. Papi e Piercarlo, due uomini di età diversa, lontani dalla classica definizione di bellezza ma autentici nella loro umanità, affrontano le gioie e i dolori, le fantasie e le passioni della vita. I protagonisti vivono la loro esistenza con tranquillità e serenità fino a quando, un giorno, la pioggia arriva, stravolgendo la loro vita ideale. Di fronte ai problemi, inevitabilmente, ci si trova impreparati, ma è un confronto che deve essere affrontato. La commedia esplora temi di amore, verità e condivisione, portando in scena due attori, una casa e due vite che si fondono in un’unica esistenza. La pioggia, in una vita intera, arriva inevitabilmente. In questo caso, si abbatte sulla vita di una coppia che condivide quarant’anni di storia. Raccontiamo la giornata di due uomini maturi, che si amano, scherzano e si trovano ad affrontare una pioggia che porta con sé problemi che suscitano riflessioni importanti: che cosa è l’amore? Qual è l’amore solido e convinto? Che significato hanno il rispetto, la fantasia e il gioco? Si cerca di esplorare serenamente il concetto di amore e di riflettere sulla vita, sulla morte e sui diritti. Le scene si delineano con essenzialità, dove gli oggetti in scena si ergono come veri protagonisti, sufficienti a suggerire che lo spettatore si trova non in una semplice ambientazione, bensì all’interno di una sorta di nido. I divani, le coperte, e la delicatezza dei colori trasmettono un’atmosfera intima, evocando la sensazione di calore e affetto. Con passo leggero, il pubblico fa il suo ingresso silenziosamente in questo spazio scenico che, al di là di ogni altro dettaglio, potrebbe benissimo rappresentare la dimora di chiunque abbia condiviso un lungo periodo di relazione e amore. Ciò che colpisce immediatamente è la sottile linea che separa la recitazione dalla realtà autobiografica in scena, un confine talmente tenue da risultare a tratti inesistente. La passione con cui entrambi gli attori affrontano temi così personali si traduce in una commistione di emozioni che ha commosso più di una persona in sala. Lo sguardo rivolto al partner, la bellezza dei gesti, e la parola, pronunciata con eleganza e autenticità, regalano al pubblico un’esperienza indimenticabile, carica di talento e verità. La questione sottesa è che, spesso, l’opinione pubblica associa immediatamente l’omosessualità esclusivamente alla sfera sessuale, trascurando la complessità e la ricchezza delle dinamiche affettive e amorose coinvolte. Sarebbe opportuno avviare una riflessione più ampia, orientata verso la comprensione dell’omoaffettività, al fine di apprezzare appieno la gamma di esperienze umane coinvolte in questo contesto. L’incanto dell’amore tra individui si svela nel delicato intreccio di rispetto e solidarietà, radicato nella volontà sincera di sostegno reciproco e nella dolce necessità di protezione. È un sentimento che si esprime attraverso la condivisione di idee, passioni, principi e valori, manifestandosi con diverse sfumature di intensità e modalità. Questo straordinario legame può sbocciare tra genitori e figli, nonni e nipoti, fratelli e sorelle, amici, donne e uomini, donne e donne, uomini e uomini. Ogni connessione è unico capitolo di una storia d’amore che si dipana attraverso la trama variegata delle relazioni umane.  Il pubblico ha accolto la performance con partecipazione e commozione, tributando un caloroso applauso che più che meritato. In scena sino al 28 gennaio 2024.

 

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Roma, Palazzo Merulana: “Nuotatori d’inverno” Personale di Vittorio Marella dal 27 Gennaio al 03 Marzo 2024

gbopera - Ven, 26/01/2024 - 23:46

Roma, Palazzo Merulana
NUOTATORI D’INVERNO
Personale di Vittorio Marella
Da sabato 27 gennaio a domenica 3 marzo 2024
Palazzo Merulana, sede della Fondazione Elena e Claudio Cerasi, gestito e valorizzato da Coopculture, è lieto di presentare “Nuotatori d’Inverno”, personale di Vittorio Marella, a cura di Giovanna Zabotti. Nuotatori d’inverno è la mostra di Vittorio Marella, ventisettenne artista veneziano, autentica promessa nel panorama artistico nazionale. Il percorso rappresenta una sorta di migrazione silenziosa. Un viaggio che termina in posti in cui si cerca un contatto con la natura e in ultima analisi con la propria interiorità. L’artista compie sulla tela, con un talento straordinario, il suo personalissimo viaggio alla scoperta di un altro punto di vista. Lo fa partendo dai disegni, in mostra nella prima parte del percorso espositivo, vere e proprie annotazioni del mondo, dai tratti precisi e allo stesso tempo pieni di vita. Un mondo che l’artista non si stanca di osservare, studiandolo nei minimi particolari quasi a volerlo non solo rappresentare ma addirittura migliorare. Quando poi il suo sguardo passa dai disegni alle tele, alcune di grandissime dimensioni, ecco la sua capacità di creare atmosfere alla Hopper, di usare sapientemente colori, luci e ombre percorrendo una strada che ricollega i suoi quadri ai dipinti dei grandi maestri veneziani di cui è concittadino ed erede, come  Tintoretto e  Tiepolo, ma senza mai restare ancorato al passato.  La seconda parte del percorso espositivo comprende, infatti, 7 quadri ad olio che catturano attimi della vita quotidiana, rappresentati in un gioco di prospettive che uniscono la percezione bidimensionale a quella tridimensionale. Altra sua fonte di ispirazione sono le opere del realismo magico, in particolare i quadri di Antonio Donghi, artista presente a Palazzo Merulana nella Collezione Elena e Claudio Cerasi. Un’ispirazione che consiste più in un legame affettivo che in un punto di partenza dello studio di Marella, i cui dipinti sono sospesi tra realtà e sogno alla ricerca di “quella consapevolezza del mondo e della natura che oggi manca in ognuno di noi”, come egli stesso sostiene. Costante, poi, è la ricerca del contatto con la natura. Non è un caso che in molti dei suoi lavori sia presente il mare. “Vittorio racconta Venezia, la città di tutti e la città di nessuno, attraverso lo sguardo insolito di un veneziano – scrive la curatrice Giovanna Zabotti –  Lontano dai negozi di souvenir e dai gondolieri di San Marco, raffigura i canali silenziosi, abitati da personaggi emblemi di un’umanità alla deriva. La città fragile, minacciata dal mare, culla le figure che si muovono nella loro solitudine latente, negli scorci umidi ed inquietanti e nelle stanze private. nostre solitudini e dei tempi sospesi”. In questa sua prima mostra a Roma Vittorio Marella si confronterà con una città che lo attrae per la grandezza della sua storia e che, nelle magnifiche testimonianze archeologiche e artistiche, esprime l’invito a non aver paura di osare, a superare i propri limiti.  Un’aspirazione che Vittorio Marella ha profondamente voglia di fare sua. Il giovane artista dipinge con maestria un messaggio intrinseco, un invito a ritirarsi nella natura, in una dimensione pacifica, in cui poter sfuggire alle asperità e alle brutture dei tempi contemporanei. Le sue creazioni raffigurano personaggi che fungono da eroi e, al contempo, guardiani in un atto di azione rivoluzionaria. I volti nascosti all’osservatore conferiscono un’aura di anticipazione, indicando una prontezza nel rivelare la dimensione risolutiva a tutto questo dolore, senza indulgere in intenti narcisistici ed egoici.  Partendo dalla premessa che la Terra costituisce un sistema vivente e gli esseri umani ne sono parte integrante non è così folle sostenere la presenza di una relazione sinergica tra il benessere personale e quello del Pianeta. Le necessità di entrambi sono interconnesse, e da questa prospettiva emerge una stretta correlazione tra la crisi ecologica e le crisi interiori, psicologiche e spirituali. Ristabilire un legame ancestrale con la Madre Natura, sincronizzando i propri ritmi di vita con quelli naturali, si configura come un mezzo per migliorare l’umore, stimolare la creatività, ridurre lo stress e potenziare l’attenzione, rendendoci più energici ed efficienti. Come sottolineato dall’antropologo culturale Wolf-Dieter Storl nel suo libro “Faccio parte della foresta: l’ambasciatore delle piante racconta la sua vita”, spesso dimentichiamo la nostra dipendenza dal suolo, dal sole, dalle condizioni atmosferiche e dalle piante, elementi fondamentali con i quali abbiamo evoluto in una co-evoluzione. L’arte di questo giovane crea una sintonia con il risveglio del nostro amore per la vita, incarnando la biofilia, l’innata propensione a concentrare l’interesse sulla vita e sui processi vitali. Non sorprende, dunque, che, soprattutto dopo l’esperienza del lockdown causato dalla pandemia di Covid-19, un numero crescente di individui cerchi di riconnettersi con la natura attraverso passeggiate in luoghi incontaminati o attraverso la riconsiderazione e la centratura di se stessi. Qui per tutte le informazioni.

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Roma, Parco Archeologico del Celio ed il nuovo Museo della “Forma Urbis”

gbopera - Ven, 26/01/2024 - 20:00

Roma, Parco Archeologico del Celio
Museo della “Forma Urbis”
Viale del Parco del Celio 20

Viale del Parco del Celio 22
Clivo di Scauro 4
PARCO ARCHEOLOGICO DEL CELIO E MUSEO DELLA “FORMA URBIS”
Il Parco e Museo, inaugurati grazie a una serie di interventi sotto la guida scientifica della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali di Roma Capitale, costituiscono un elemento fondamentale di un ambizioso progetto di valorizzazione dell’intera area del Celio. Questa iniziativa è parte integrante di un programma più ampio di riqualificazione denominato Centro Archeologico Monumentale (CArMe), promosso da Roma Capitale. Il Parco del Celio si configura come il risultato di una complessa serie di interventi e trasferimenti di proprietà che si sono succeduti nel corso del tempo. Inizialmente costituito dalla Vigna Cornovaglia nel Cinquecento, l’area ha subito notevoli trasformazioni a seguito dei depositi di terra provenienti dagli scavi napoleonici nelle vicinanze del Colosseo e del Foro Romano. Sulla piattaforma artificiale così ottenuta si è sviluppata un’ampia zona alberata e verde, in prossimità del Colosseo, trasformata in giardino e nota come Orto Botanico. Questo progetto è emerso come una “passeggiata pubblica” commissionata da papa Gregorio XVI all’architetto Gaspare Salvi nel 1835. Salvi ha progettato un edificio adiacente al Tempio del Divo Claudio, destinato a fungere da punto di ristoro per la passeggiata pubblica. La Casina del Salvi, ispirata alla “coffee-house” del Pincio progettata da Valadier, ha influenzato l’orientamento dei viali all’interno dell’area. Recentemente, ricerche archeologiche hanno documentato le testimonianze dell’acquedotto claudio-neroniano e altre opere idrauliche sulla terrazza della Casina del Salvi. Tanto la Casina del Salvi quanto il Parco circostante sono diventati patrimonio comunale per decisione di Pio IX nel 1847. L’edificio Ex Palestra della Gioventù Italiana del Littorio, situato nella parte meridionale dell’area, completato nel 1929, ha sostituito tre capannoni in muratura del 1901, anch’essi divenuti parte del patrimonio comunale nel medesimo anno. All’interno di questo edificio in particolare è stato possibile sistemare i frammenti della Forma Urbis, in un nuovo allestimento che permette di apprezzare al meglio la monumentale pianta marmorea di età severiana, fornendo una lettura cartografica di immediata comprensione. La “Forma Urbis” originariamente adornava la parete di un’aula nel Foro della Pace, successivamente inglobata nel complesso dei SS. Cosma e Damiano nell’area del Foro Romano. Questa imponente mappa marmorea, incisa su 150 lastre di marmo e fissata con perni di ferro, occupava uno spazio di circa 18 metri per 13. Dopo la sua scoperta nel 1562, molti frammenti andarono persi, ma alcuni sono stati fortunosamente ritrovati nel corso del tempo. Attualmente, soltanto circa un decimo della pianta originale è conservato presso i Musei Capitolini dal 1742. Il nuovo allestimento del Museo della Forma Urbis consente ai visitatori di apprezzare appieno la mappa marmorea, migliorando la comprensione di un documento che, per le sue dimensioni e le condizioni frammentarie, risultava di difficile interpretazione. I frammenti della Forma Urbis sono disposti sul pavimento della sala principale del museo, sovrapposti come base planimetrica alla Pianta Grande di Giovanni Battista Nolli del 1748. All’interno dell’edificio museale sono inoltre ben esposti numerosi elementi architettonici e decorativi provenienti dall’ex Antiquarium Comunale. Il Parco, attraversato dalla linea tranviaria post-seconda guerra mondiale, si presenta attualmente diviso in due grandi aree da viale del Parco del Celio. Nell’area settentrionale si trova l’Ex Antiquarium Comunale, originariamente un Magazzino Archeologico Comunale nel 1884, poi trasformato in un museo Antiquarium dal 1929 al 1939, quando divenne inagibile a causa di gravi problemi strutturali causati dai lavori sulla metropolitana. Il Giardino ospita una ricca varietà di reperti archeologici, architettonici ed epigrafici, risultato degli scavi dell’Ottocento per la creazione di Roma Capitale. Questi reperti, organizzati in nuclei tematici, offrono al visitatore una panoramica approfondita della vita quotidiana nell’antica Roma, toccando aspetti sociali, funerari, sacri, amministrativi e architettonici. Le testimonianze esposte nel giardino includono cippi sepolcrali, tombe monumentali, templi pubblici e privati, elementi di edifici pubblici, frammenti di statue onorarie e cippi amministrativi. Inoltre, sono presenti numerosi manufatti che illustrano il gusto architettonico dell’antichità, le tecniche di costruzione e decorazione degli edifici, nonché il fenomeno del reimpiego e della rilavorazione attraverso le diverse epoche storiche della città. Questo passo iniziale di riqualificazione archeologica dell’area è parte integrante del progetto ambizioso e complesso denominato CarMe, il quale si prefigge di rendere il cuore di Roma più accessibile, fruibile e esteticamente apprezzabile. La fase iniziale prevede la riqualificazione della Passeggiata Archeologica, con il già avviato processo di anastilosi della Basilica Ulpia. La nuova fermata della metro C a Colosseo diventerà un ingresso “archeologico”, trasformandosi in un museo prima ancora dell’accesso ai Fori, e accoglierà, tra le altre opere, la celebre zanna di elefante. Il Parco Archeologico del Celio si può visitare tutti i giorni a ingresso gratuito. Il Museo della Forma Urbis resta invece chiuso il lunedì e prevede un biglietto d’ingresso, salvo per i possessori della MIC Card che possono accedere gratuitamente anche allo spazio museale. I servizi museali sono a cura di Zètema Progetto Cultura. Qui per tutte le informazioni.

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